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CAPITOLO 1 – IL DIRITTO TRIBUTARIO

Attività finanziaria degli enti pubblici e la sua regolamentazione giuridica

Per svolgere le sue funzioni, un ente pubblico deve contare su una disponibilità finanziaria che può derivare
dal proprio patrimonio o da mezzi forniti dai soggetti con cui l’ente si relaziona. Nella normalità dei casi il
patrimonio dell’ente non è capiente per fronteggiare la spesa pubblica, per cui il principale strumento di
finanziamento è rappresentato da un periodico flusso finanziario volontariamente (spesa finanziata
mediante l’indebitamento dell’ente nei confronti di banche o di risparmiatori, che procurano i fondi
necessari in base a rapporti di mutuo ovvero mediante la redditività di attività economiche gestite
direttamente dall’ente pubblico o con l’affidamento in concessione a terzi) o coattivamente proveniente da
terzi (finanziamento si realizza con entrate coattive che danno luogo ad un trasferimento definitivo di
ricchezza a favore dell’ente: ciò è giustificato dalla appartenenza del soggetto obbligato all’ente).
Ora, la parola “tributo”, “imposta”, “tassa”, “contributo” hanno come centro un obbligo, la cui fonte però
non è ricollegabile a una manifestazione di volontà, bensì ad un’imposizione non volontaria. Il ricorso a
forme non volontarie di finanziamento delle spese pubbliche (prevalentemente rivolte verso i soggetti
partecipanti all’organizzazione sociale) rappresenta la regola degli ordinamenti civili. Una regolamentazione
giuridica della partecipazione individuale ai carichi pubblici non è stata necessaria fino all’avvento dello
Stato moderno. Questo perché nel cosiddetto “Stato assoluto”, patrimonio personale del re = finanza
pubblica (quindi il tributo rappresentava la logica esternazione e uno degli strumenti di incremento).
Successivamente si giunse ad una separazione tra patrimonio del re e tra la finanza pubblica, tuttavia la
regolamentazione giuridica del tributo veniva a confondersi con le caratteristiche proprie dell’investitura
feudale (che univa una componente liberale, che si manifestava nell’atto di infeudamento, con l’obbligo di
certi servizi militari e amministrativi in capo al feudatario). Con l’affermarsi poi dei principi dello Stato
moderno nonché del riconoscimento della partecipazione dei singoli alle scelte pubbliche, ci fu una diversa
visione del prelievo tributario, che non era più forma di puro esercizio di sovranità bensì il principale
strumento di raccolta finanziaria destinata al sostenimento delle spese pubbliche. Ad oggi la teoria si
propone di concorrere alla realizzazione di un razionale sistema impositivo che contemperi con norme
fondate su capisaldi dell’esperienza giuridica, l’interesse pubblico al prelievo tributario con la garanzia dei
diritti fondamentali dell’individuo riconosciuti dalla legge.
Diritto finanziario e diritto tributario

Dall’inizio dell’800 si cominciò ad attuare la ricerca di un equilibro tra esigenze finanziarie pubbliche ed
economia privata. L’indagine economica degli effetti del tributo pone in essere la necessità di tener conto
dell’esatta comprensione della funzione economica dello stesso per garantire la giustizia nell’imposizione
cui deve tendere il diritto tributario.

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Il diritto finanziario si poneva come settore specialistico del diritto amministrativo: esso studiava
prevalentemente i rapporti tra Stato e cittadino coinvolti nella dinamica del finanziamento della spesa
pubblica e della gestione dei beni demaniali: vedeva infatti i suoi primi studiosi proporre impostazioni
mutuate dal diritto amministrativo. Cresceva però l’interesse per il diritto tributario: esso concerneva la sua
indagine sui principi disciplinanti le entrate pubbliche derivanti da atti non ricollegabili ad una
manifestazione di volontà del soggetto su cui incombeva l’obbligo della prestazione. L’esigenza di
specificazione dello studio giuridico su certi aspetti oggetto dell’indagine del diritto finanziario ha portato
successivamente alla autonomia accademica anche della cosiddetta “contabilità di Stato”, disciplina diretta
a studiare regole di amministrazione del patrimonio e delle entrate statali, per fornire strumenti giuridici
più adeguati per garantire controllo della gestione della finanza pubblica. Causa progressiva crescita
dell’interesse per il diritto tributario, c’è stato un processo di specificazione all’interno del diritto tributario,
che ha trovato corrispondenza anche in sede universitaria.
La classificazione dei tributi

All’evoluzione del diritto tributario non ha fatto seguito una attenzione del legislatore nel recepimento dei
principi che si elaboravano in sede teorica per fornire un sistema tributario coerente con le finalità
economiche attribuite. Di conseguenza nei manuali di diritto tributario la distinzione è stata proposta con
una sorta di rinvio alle categorie elaborate dalla scienza delle finanze, privilegiando il collegamento del
tributo a servizi pubblici divisibili o indivisibili (nel senso dell’esistenza di un corrispettivo o di un vantaggio
del privato in connessione al pagamento del tributo). Si è invero proposta da alcuni studiosi, tra cui
Griziotti, una classificazione fondata sulle caratteristiche giuridiche dei singoli tributi, come specificazione
della nozione di prestazione patrimoniale imposta elaborata dalla giurisprudenza costituzionale
interpretando il 23 Costituzione: l’elemento differenziale è stato individuato nel diverso modo di
realizzazione della coattività insita nei diversi tributi (da cui imposta = tributo acausale soggetto al limite
costituzionale della capacità contributiva ; negli altri tributi l’elemento della coattività si manifesta secondo
modalità diverse: a seguito di procedimento amministrativo (tassa), nel concorso alla spesa pubblica
specificatamente vantaggiosa per il privato (contributo speciale), nel divieto generalizzato all’esercizio di
attività economica riservata all’ente monopolista (monopolio fiscale). Secondo Tinelli questa è una
differenziazione meramente descrittiva (in quanto senza effetti dal punto di vista della sistematica
giuridica).
In questo senso importante è stato il fatto che le cosiddette “controversie tributarie” sono state dai d. lgs
545 e 546 del 1992 attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice speciale. L’art 2 del 546 parla di tributi
“di ogni genere e specie, comunque denominati”: ciò porta all’abbandono di una predeterminazione legale
dell’ambito di competenza giurisdizionale del giudice speciale tributario e quindi l’opzione legislativa di
attribuire all’interprete la ricerca della nozione di tributo (ma anche di ritenere la qualificazione legale non

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sufficiente ai fini della qualificazione dell’entrata come di carattere tributario). La giurisprudenza di
legittimità considera elementi qualificanti la nozione di tributo (ma non sufficienti quando siamo davanti a
tributi molto vicini ad obblighi di fonte negoziale) l’irrilevanza della volontà del soggetto obbligato e la
destinazione del gettito a finalità pubbliche. Per verificare se siamo davanti a un tributo, occorre vedere se
ci sia un nesso tra le attività riservate all’ente pubblico e il prelievo. Rispetto poi alle altre forme di
estrinsecazione della pubblica autorità, il tributo si pone come un’obbligazione pecuniaria finalizzata al
concorso alle pubbliche spese. Comunque sia, non offrendo la legge una definizione di tributo, la
qualificazione di un tributo come imposta/tassa/contributo, non condiziona l’applicazione di norme
tributarie di carattere generale che il più delle volte si riferiscono al singolo istituto richiamato, piuttosto
che alla natura del tributo. Tinelli tuttavia tenta di fornire una nozione di tributo: una prestazione coattiva
disciplinata dalla legge per consentire ad un ente pubblico la copertura del fabbisogno finanziario
necessario allo svolgimento della propria attività istituzionale. Non fanno parte dei tributi: i contributi (qui
il prelievo rientra nella struttura del presupposto impositivo) e i monopoli fiscali (elemento della coattività
individuato nel divieto generalizzato di svolgere attività economica riservata all’ente pubblico. qui manca
però un rapporto obbligatorio tra privato ed ente pubblico avente ad oggetto la copertura delle spese
pubbliche).
Diritto tributario come diritto dell’imposta e la codificazione tributaria

L’imposta è attualmente il tributo che ha un ruolo sempre più centrale (quasi esclusivo): questo perché in
essa manca ogni forma di rilevanza della volontà del destinatario del prelievo: qui infatti l’obbligazione
tributaria è ricollegabile solo al verificarsi del fatto contemplato dalla legge come espressione di capacità
contributiva e non alla volontà del soggetto (che non può sottrarsi al prelievo se non evitando di porre in
essere il fatto rilevanza tributaria o violando la legge). Studiamo quindi le norme regolanti imposte,
verificando quando ci sia un esame di tributi non qualificabili come imposte.
La regolamentazione giuridica dei singoli tributi è affidata a singole leggi d’imposta ma addirittura anche a
disposizioni tributarie contenute in normative extratributarie destinate a fornire fonti di finanziamento di
una particolare spesa prevista dalla legge stessa. La dottrina in questo senso ha cercato di sistemare
organicamente una materia fuori controllo legislativo, usano indicazioni di una giurisprudenza di legittimità
che ha concorso tra alti e bassi alla stabilizzazione di alcuni principi. La funzione del diritto tributario deve
proprio esser quella di tutelare la certezza del diritto e la corretta attuazione pratica. Il legislatore ha
dimostrato scarsa attenzione all’esigenza di una fissazione di principi generali del diritto tributario (o
comunque una raccolta ragionata di norme tributarie in 1 o più testi unici). In direzione opposta sembrava
muoversi la “legge delega per la riforma del sistema fiscale statale” (l.80/2003), che doveva realizzarsi con
l’eliminazione della gran parte dei tributi a fronte dell’introduzione di 5 imposte (ordinate in un unico
codice articolato in parte generale con la disciplina comune dell’istituzione e parte speciale in cui si

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dovevano raccogliere disposizioni concernenti singole imposte su cui veniva fondato il sistema tributario
statale. Tuttavia la delega non è stata attuata, specie per il rischio di una perdita di gettito connessa a una
riforma della normativa. Il diritto tributario è quindi in crisi: a ciò non si può rimediare se non con un
rinnovato interesse nella ricerca di principi interpretativi generalmente condivisi al fine di giungere alla
realizzazione di una codificazione tributaria “accademica” che ponga le basi di una certezza del diritto
partendo dalla ricostruzione della logica economica delle scelte legislative.
CAPITOLO 2 – LA NORMA TRIBUTARIA

La struttura della norma tributaria

Il contesto legislativo tributario ha dentro di se una serie di definizioni, regole procedurali, strumenti di
garanzia che in altri campi del diritto formano oggetto di autonoma previsione legislativa e di separato
approccio scientifico. È poi inevitabile notare la centralità della funzione amministrativa sin dalla stessa fase
della predisposizione dei testi normativi, che arriva anche ad invadere la fase dell’interpretazione della
stessa norma tributaria, con soluzioni creative e dirette a massimizzare il gettito. Tuttavia attualmente non
si può dubitare della natura giuridica della norma tributaria, ma i profili sopraelencati concorrono a far
apparire il diritto tributario come diritto di serie inferiore (integrabile dalle interpretazioni anche contra
legem offerti delle parti in causa, come ad esempio l’interpretazione della legge tributaria fornita
dall’Amministrazione finanziaria con circolari, risoluzioni, note ecc: cosiddetta “dottrina
dell’amministrazione finanziaria”, con il tacito consenso di un sistema di tutela giurisdizionale non ancora
abituato a una visione imparziale del rapporto d’imposta). L’analisi della norma tributaria consente
all’interprete di cogliere precisamente una scelta legislativa diretta a fondare sul principio di legalità il
prelievo tributario, lasciando all’amministrazione la cura dell’attuazione sostitutiva della norma stessa
nell’ambito di una funzione di controllo di autonoma rilevanza sistematica. Il principio di legalità (23cos)
impone la regolamentazione giuridica, con norme primarie, dell’imposizione tributaria nella sua dimensione
sostanziale, lasciando la disciplina attuativa del tributo ad altre e diverse disposizioni disciplinanti l’attività
della P.A.
Lo studio della norma tributaria (da farsi con metodo giuridico) deve partire dall’analisi della struttura
giuridica usata dalla legge per consentire la produzione di effetti finalizzati al prelievo tributario e
successivamente deve esaminare le regole procedurali apprestate dalla legge per consentire la produzione
di tali effetti o attuazione secondaria in sede di controllo. Secondo Tinelli è possibile affermare l’esistenza di
una linea comune di tecnica legislativa nella costruzione del tributo, ruotante su due dimensioni della
norma tributaria: una struttura normativa statica (in cui si può distinguere la fattispecie impositiva dalla
obbligazione tributaria che ne rappresenta l’effetto (qui la legge regolamenta il rapporto obbligatorio
nascente per effetto del verificarsi del fatto ipotizzato dalla fattispecie, intervenendo con certe disposizioni
per tutelare la funzione pubblica dell’obbligazione d’imposta). In questo ambito della struttura normativa

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statica la legge descrive in via teorica il fatto a rilevanza tributaria, individuando i soggetti tenuti al
pagamento del tributo e dispone la misura del tributo stesso: in pratica con la fattispecie teorica si
individuano dimensioni e modalità del prelievo tributario relativamente a una certa espressione di capacità
contributiva ipotizzata dalla legge che recepisce la scelte di ordine politico-economico) e su una struttura
normativa dinamica (in cui trova disciplina la fase della traduzione della fattispecie astratta in concreta
imposizione. Mediante questa struttura dinamica si attua la concretizzazione del prelievo tributario
riguardo a specifiche espressioni economiche riconducibili alla fattispecie teorizzata dalla legge. La
fattispecie statica disciplina in termini generali ed astratti fatti economici idonei a consentire la più equa
ripartizione delle spese pubbliche; la fattispecie dinamica assicura la corretta rappresentazione del fatto a
rilevanza tributaria e la tendenziale corrispondenza tra fattispecie astratta e risultato in termini finanziari.
La fattispecie tributaria

Nella struttura della fattispecie tributaria statica si possono distinguere alcuni elementi essenziali: il 1° è il
cosiddetto “presupposto d’imposta”: costituisce il risultato della giuridicizzazione del fatto economico alla
base del tributo. In pratica nella disciplina del presupposto il legislatore trasforma in una norma giuridica
l’oggetto economico del tributo (determinando regole individuative, modalità di tassazione, collegamento
del presupposto a un soggetto: da cui imposte personali dove il prelievo tributario avviene considerando la
complessiva situazione personale del soggetto passivo e reali dove è colpita la manifestazione della
capacità giuridica in quanto tale senza contare della situazione soggettiva del debitore dell’imposta). Dalla
struttura legale del presupposto dipende la classificazione delle imposte in dirette (colpiscono il possesso di
un reddito o la titolarità di un patrimonio) e indirette (rappresentate da ogni altra imposta in cui la capacità
contributiva è desumibile indirettamente con atti negoziali o consumi). Sempre dal presupposto abbiamo
imposte periodiche (colpiscono la forza economica espressa in un periodo temporale)e d’atto (colpiscono
la forza economica espressa in un certo atto giuridico o economico). Sempre dal presupposto abbiamo
imposte su base territoriale o mondiale.
Altro elemento essenziale della fattispecie è la disciplina della “base imponibile”: essa ricorre in tutti i casi
in cui l’oggetto economico definito nel presupposto non si presenti in una somma di denaro e richieda
un’attività di stima. In tal caso la legge fornisce strumenti di valutazione del peso economico del
presupposto selezionando regole tecniche rispondenti allo scopo voluto dalla legge fino a trasformarle in
norme giuridiche caratterizzate dai tratti peculiari della generalità/astrattezza propri del metodo giuridico.
Ora la distinzione tra disciplina del presupposto e quella della base imponibile non è sempre netta.
Altro elemento essenziale della fattispecie è la disciplina del “soggetto cui si imputano gli effetti della
fattispecie”. Questa disciplina riguarda le caratteristiche proprie del soggetto cui vengono a imputarsi effetti
attivi e passivi del rapporto obbligatorio nascente dal meccanismo applicativo del tributo. Ci sono dei casi in
cui la disciplina del tributo richiede strutturalmente la regolamentazione dei soggetti cui devono darsi gli

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effetti obbligatori: da qui le cosiddette “imposte personali” (in cui la capacità contributiva contemplata
come oggetto del prelievo è collegata al soggetto, per cui il relativo prelievo deve commisurarsi alla
situazione personale o familiare)
Altro elemento essenziale della fattispecie attiene alla “misura della ricchezza prelevata”: questa deve
essere determinata dalla legge e quest’ultima potrà prevedere il tributo in una misura fissa (es. imposta di
bollo)ovvero potrà individuare in una quota della base imponibile l’importo del prelievo: la c.d.”aliquota”
(che potrà essere proporzionale per cui non varierà col modificarsi della base imponibile; progressiva per
cui aumenterà con l’aumentare della base imponibile. La progressività potrà essere “a scaglioni aggiuntivi”
dove la base imponibile è suddivisa in scaglioni su ciascuno dei quali si applica un’aliquota crescente ovvero
“continua” laddove su tutta la base imponibile è applicata l’unica aliquota corrispondente allo scaglione
d’ammontare più elevato). Infine c’è l’aliquota regressiva per cui diminuirà con l’aumentare della base
imponibile). La Costituzione al 53 esprime preferenza per un’impostazione progressiva (ritenendola
maggiormente perequativa ex 3).
Il principio della capacità contributiva

Il 53 1° Costituzione dice che: “Tutti (collegamento col principio d’uguaglianza) sono tenuti a concorrere
alle pubbliche spese in ragione della loro capacità contributiva”. Viene introdotto quindi questo
fondamentale principio. Questa norma non è l’affermazione costituzionale del dovere tributario, in quanto
ciò si trova nel 2 Costituzione che condiziona questo dovere all’appartenenza allo stato. Con questa norma
si è voluto assolutamente escludere il ricorso al tributo al fine di realizzare finalità politiche o
discriminative. Ragion per cui se una norma è fondata su una valutazione non corretta della base
economica del tributo, sarà sicuramente di dubbia costituzionalità, ma sarà tuttavia cogente fino alla
dichiarazione di incostituzionalità, fermo restando la possibilità di attenuare gli effetti in sede di
interpretazione adeguatrice e costituzionalmente orientata. La capacità contributiva prevede
l’adeguamento della fattispecie astratta ad altri indicatori di idoneità economica del soggetto chiamato a
rendersi compartecipe delle pubbliche spese. Il principio discende dal principio d’uguaglianza ex 3
Costituzione La norma impone al legislatore nella costruzione della fattispecie tributaria un “principio di
ragionevolezza economica del tributo” sia in senso oggettivo (da intendersi che il fatto a rilevanza
tributaria deve rappresentare un fenomeno suscettibile di apprezzamento economico, dovendo esprimere
un’attitudine a consentire la partecipazione ai carichi pubblici) che in senso soggettivo (nel senso che si
deve verificare dalla ricchezza espressa nel fatto, la capacità del soggetto di rendersi compartecipe alle
spese pubbliche). La giurisprudenza Costituzione ha individuato 2 caratteristiche fondamentali della
capacità contributiva: l’effettività (connessa alle regole di formulazione della fattispecie tributaria, specie
nella possibilità per il legislatore tributario di ricollegare l’esistenza di un fatto economico da tassare non
alla sua dimostrazione concreta, bensì alla contestazione di un diverso fatto che sia tale però da presentare

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astratta relazione col fatto economico a base dell’imposizione) e l’attualità (elaborata con riferimento alle
fattispecie d’imposizione retroattiva o anticipata affermando la necessità di un collegamento tra momento
dell’imposizione e quello del verificarsi del fatto contemplato dalla fattispecie impositiva. Riferendosi
all’imposizione retroattiva si distingue tra retroattività propria che si verifica in ogni caso in cui la norma
tributaria collochi nel passato sia il presupposto economico del tributo sia gli effetti giuridici e retroattività
impropria che si realizza quando la norma colloca nel passato solo il presupposto economico, attribuendo
gli effetti della fattispecie ad un periodo successivo a quello dell’entrata in vigore della norma. la l.
212/2000 art 3 ha escluso la natura retroattiva delle norme tributarie (salvo i casi di interpretazione
autentica delle disposizioni consentiti dall’art 1 1° della stessa legge). C’è la possibilità di derogare il
principio per realizzare interessi di natura extrafiscale, ritenendosi generalmente che ciò sia possibile per
lo spessore costituzionale dell’interesse che venga ad essere perseguito dal legislatore: in pratica l’interesse
legislativo deve essere equiparabile con quello contenuto dal 53. Infine, non sembra possibile usare la leva
fiscale per colpire comportamenti contrari alla morale, ove tali comportamenti non siano di per se
espressivi di forza economica, per cui si devono esprimere perplessità sulle legittimità costituzionale di
alcune misure fiscali come ad esempio “porno tax” o la “robin hood tax”.
L’obbligazione tributaria e l’attuazione della norma tributaria

Per realizzare la sua propria funzione (cioè quella di procurare mezzi finanziari necessari a coprire le
pubbliche spese), la norma tributaria usa uno schema di carattere obbligatorio idoneo a consentire il
trasferimento giuridico di una parte della ricchezza espressa dai consociati nella disponibilità del soggetto
titolare del gettito del tributo. L’obbligazione tributaria quindi presenta natura legale. La base civilistica
dell’obbligazione tributaria riemerge in tutti i casi in cui la pur dettagliata regolamentazione speciale manca,
ritenendosi in questo caso applicabile le ordinarie regole del c.c.
L’applicazione della fattispecie astratta alla fattispecie concreta dà luogo all’effetto obbligatorio in cui si
concretizza il prelievo tributario: ciò può derivare da una “spontanea attività del soggetto destinatario dal
lato passivo dell’obbligazione tributaria (“si vedrà il cosiddetto “adempimento spontaneo o automatico del
tributo” cioè “attuazione volontaria”). Tuttavia è possibile anche una forma di “attuazione sostitutiva della
norma tributaria” da esercitarsi senza il concorso della volontà dell’interessato o addirittura vs la sua
volontà. Una volta verificata l’inadeguatezza per il caso concreto delle misure previste dalla legge per
consentire l’attuazione volontaria della norma tributaria, la legge deve disciplinare la possibilità di un
intervento integrativo/sostitutivo del creditore del tributo finalizzato alla tutela dell’obbligazione tributaria:
la cosiddetta “attuazione amministrativa” della norma tributaria, che include l’insieme dei potere e
procedure previste dalla legge per consentire l’applicazione della norma tributaria al caso concreto.
Comunque sia l’attuazione volontaria che quella amministrativa mirano entrambe a ricondurre la
fattispecie astratta a quella concreta, fino a giungere alla liquidazione del tributo stesso ed alla
affermazione delle dimensioni dell’obbligazione
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CAPITOLO 3 – LE FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO

I principi costituzionali e la riserva di legge

Il principio della riserva di legge in materia tributaria vide la luce nelle costituzioni più importanti che
nacquero nella prima metà dell’800. Con l’evoluzione dei sistemi di governo parlamentare, la riserva di
legge non rappresentò più una forma di tutela dell’individuo nei confronti del governante, in quanto
l’individuo stesso partecipa con i suoi rappresentanti all’autorità governativa. Per cui il 23 Costituzione:
“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” finisce per
svolgere una funzione del tutto peculiare: quella di configurare un’esigenza di tutela per le minoranze
parlamentari (non rappresentate nell’esecutivo o nel governo)a fronte di scelte che potrebbero
pregiudicare interessi di cui sono portatori. Tutto ciò però va rivisto dopo il consolidamento della prassi
parlamentare di approvare col voto di fiducia la cosiddetta “legge finanziaria” (l. 468/1975): ad oggi il
dibattito parlamentare sulla legge tributaria è ormai privo di significato. La finanziaria può contenere: a)
modifica delle aliquote, delle detrazioni di imposta, degli scaglioni, delle altre misure incidenti sulla
determinazione del quantum della prestazione, correzioni imposte conseguenti all’andamento
dell’inflazione.
Art 23. Esso, rispetto al 30 s. Albertino, ha una portata maggiore. Infatti si riferisce a tutte le prestazioni
personali (dottrina/giurisprudenza considerano irrilevante la valutazione economica del comportamento
che viene richiesto al privato, presentando un’applicazione più ampia. Es. di prestazioni patrimoniali
imposte: dovere del cittadino di testimoniare in giudizio. In realtà però non è trascurabile il riflesso
economico: ad esempio le prestazioni professionali che per legge possono esser richieste agli avvocati
nelle ipotesi di gratuito patrocinio)/patrimoniali (secondo alcuni autori, il 23 si riferirebbe solo a prestazioni
imposte al fine di determinare decurtazione del patrimonio personale del privato a favore dell’ente
pubblico. Secondo altra dottrina, il profilo della coattività è quello decisivo, quindi vi rientrerebbero anche
quelle prestazioni a fronte di cui è comunque previsto l’integrale ristoro economico del patrimonio del
soggetto inciso. Comunque vada unanimemente la coattività sussiste ogni qual volta la prestazione è
imposta al privato in virtù di un atto autoritativo) imposte al privato . Comunque vada si devono
escludere dal campo di applicazione del 23 quelle prestazioni imposte che risultano disciplinate da altre
norme Costituzione (specie obbligazioni derivanti da sanzioni penali o amministrative a contenuto
pecuniario, rientranti nel campo del 25 Costituzione della fattispecie di “espropriazione forzata per
pubblica utilità”.
Limiti della riserva di legge. La riserva è relativa: questo emerge anche dall’uso del termine “in base alla
legge”. C’è riserva di legge allora solo nella descrizione della fattispecie impositiva, specie nella
regolamentazione degli elementi fondamentali della fattispecie tributaria (quindi sicuramente la disciplina

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del presupposto d’imposta, della base imponibile, dei soggetti). Riguardo all’aliquota, giurisprudenza e
dottrina ritengono che la determinazione del parametro possa esser rimessa a fonti secondarie, se non
addirittura ad atti amministrativi. Si ritiene che la ratio del 23 imponga che la legge determini i limiti entro
cui possa muoversi la normazione secondaria o il potere amministrativo nella concreta determinazione
della quota: limiti massimi (suggerito dall’esigenza di tutela del privato verso l’ Autorità) ma anche minimi
(in ossequio all’esigenza di evitare ingiustificate disparità di trattamento tra contribuenti ). Deve poi
ritenersi esclusa dalla portata del 23 la disciplina dell’attuazione della norma tributaria (che trova quando
affidata alla p.a. norme specifiche di tutela dell’amministrato in sede cos) e la disciplina dell’adempimento
del tributo (anche per la scelta di attribuire a uno strumento d’origine civilista la realizzazione concreta del
prelievo tributario) nonché anche la disciplina delle sanzioni tributarie (regolata dal 25, che prevede
riserva di tipo assoluto).
I principi generali dell’ordinamento tributario:

Lo “Statuto dei diritti del contribuente” (l.212/2000) contiene principi generali dell’ordinamento tributario
(in attuazione degli art 3,23,53,97 Costituzione) , quindi le disposizioni di questa legge possono esser
modificate solo espressamente e mai da leggi speciali. Secondo Tinelli, alcune di queste disposizioni
rappresentano il consolidamento di principi interpretativi di norme costituzionali, che presentano indubbia
portata precettiva, condizionando l’interprete verso una soluzione conforme a principi costituzionali,
nonostante la previsione sia contenuta in una legge ordinaria.
La legge ordinaria, i decreti legislativi e i decreti legge

Nella legge trova perfetta realizzazione la funzione di garanzia insita nel principio Costituzione dell’art 23.
La l.212 ha previsto che leggi e atti aventi forza di legge che hanno disposizioni tributarie devono
menzionare oggetto delle disposizioni contenute, altrimenti non possono contenere disposizioni di carattere
tributario. Sempre per la l.212 (art 1), alla legge ordinaria è riservata l’introduzione di norme interpretative
in materia tributaria (limitatamente a casi eccezioni e con specifica qualificazione come tali delle
disposizioni di interpretazione autentica. Da quest’ultima disposizione può derivare un effetto retroattivo
della legge, quindi questo strumento pone in deroga il divieto di retroattività ex 3 1° l.212. è uno strumento
da usare con cautela).
75 e 81 Costituzione Oltre ciò, la legge tributaria non è oggetto di referendum (75 2° Costituzione): questo
per evitare di dare in pasto ai cittadini un settore normativo di elevato impatto con i loro interessi. C’è stata
in dottrina una parte che ha sostenuto, partendo dal disposto Costituzione che parla di “leggi tributarie”,
che il limite dovrebbe intendersi solo alle norme disciplinanti la struttura portante del prelievo tributario, in
quanto solo l’eliminazione di queste potrebbe comportare uno squilibrio nella struttura del bilancio.
Tuttavia Tinelli è contrario, in quanto senza la disciplina attuativa (che sarebbe abrogabile col referendum)
la stessa struttura sostanziale del tributo viene a perdere di significato. La Corte Costituzionale si è
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schierata a favore di questa visione, dichiarando l’inammissibilità delle richieste di referendum abrogativo
della normativa in materia di prelievo alla fonte ai fini IRPEF. l’81 3° Costituzione prevede il divieto di
introduzione di nuovi tributi (e nuove spese) nella legge di bilancio. Si risponde in questo modo all’esigenza
di imporre una corretta previsione delle esigenze finanziarie pubbliche, ma tuttavia attraverso la finanziaria
è ampiamente derogato, in quanto quest’ultima rinvia alla fine dell’anno finanziario la fissazione dei livelli
di deficit e quindi le misure fiscali necessarie a tal fine.
I decreti legislativi
La particolare complessità nella costruzione della fattispecie impositiva, difficilmente realizzabile a livello
parlamentare, prevede l’uso massiccio dello strumento della legge delega. Chiaramente tutto ciò può
comportare rischi di abuso da parte del governo, quando la delega lascia ampi margini di discrezionalità
normativa. Ricorda il 76 e la possibilità di ricorso alla Corte Costituzionale
I decreti legge
Per evitare l’uso distorto del dl in materia tributaria il 4 l.212 ha previsto che non si può disporre con dl
l’attuazione di nuovi tributi, né prevedere l’applicazione di tributi esistenti ad altre categorie di soggetti.
Tuttavia il dl ben si presta alla materia tributaria, in quanto le esigenze di necessità/urgenza ricorrono
spesso nelle modificazioni di aspetti particolari dei tributi, specie in materia di aliquote (cosiddetto “decreto
catenaccio”), che rimessa all’approvazione del Parlamento potrebbe far perdere al provvedimento la
necessaria incisività o dar luogo a prevedibili distorsioni economiche. disciplina dei dl l.400: pag 81

I regolamenti, atti generali, atti ministeriali non regolamentari

Nonostante il 23, la necessità dei regolamenti si manifesta nel diritto tributario: questo perché ricorre
spesso la necessità di disciplinare in via generale e astratta la portata o l’attuazione della norma tributaria,
con la previsione da parte del Governo o altri enti con potestas legislativa, di regole dirette a meglio
esplicitare la legge. Regolamenti esecutivi, attuativi/integrativi, delegati. Non ammissibili i regolamenti
autonomi o indipendenti, se non per gli oggetti non coperti dalla riserva. Non sono regolamenti i cosiddetti
“atti amministrativi generali”: questi si dirigono si verso una serie indeterminata di destinatari, ma non
presentano generalità/astrattezza, quindi non sono capaci di introdurre norme giuridiche ma sanno solo
dettare la regola del caso concreto. Servono ad attuare norma tributaria e individuano il modo di porsi
dell’Amministrazione. ex d.lgs. 546/1992 questi atti godono di doppia tutela: 1) davanti al giudice speciale
tributario con l’istituto della disapplicazione; 2) davanti al giudice amministrativo. con l’annullamento
dell’atto stesso. Atti ministeriali non regolamentari. Contengono disposizioni intese a specificare previsioni
di carattere generali, ma in certi casi anche disposizioni innovatrici, integratrici, modificanti sistema norma
primaria.

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Le fonti locali

Fondamentale nello studio del diritto pubblico è il tema del finanziamento della spesa degli enti locali. Esso
investe anche scelte politiche e di valutazioni di principio sui ruoli dello stato e delle autonomie locali nel
finanziamento dei servizi dati al cittadino. Dal punto di vista teorico, il finanziamento della spesa locale può
ispirarsi a un modello statalista (che accentra nell’amministrazione centrale ogni potere impositivo,
trasferendo agli enti locali secondo le loro esigenze finanziarie. In questo modello il tributo è introdotto con
legge statale ed è poi applicato da p.a., quindi l’ente locale è un centro di spesa non di finanziamento)
ovvero a un modello federale (che da all’ente locale il potere di introdurre/applicare i tributi necessari alla
copertura delle spese di funzionamento, trasferendo poi allo stato parte del gettito. L’ente locale quindi
introduce/disciplina il tributo che trova applicazione nel territorio amministrato dall’ente stesso). il nostro è
un sistema misto: nella prima legislazione unitaria nazionale (art 116 e ss. l. 2248/1865) si dava un certo
grado di autonomia impositiva a Comuni e Provincie. A seguito dell’attribuzione di ulteriori funzioni
pubbliche e di nuovi oneri agli enti locali e conseguente necessità di garantirne l’equilibrio finanziario tra
entrate e spese, l’autonomia finanziaria locale negli anni ’30, venne ampliata introducendo ulteriori tributi
di competenza di Comuni e Provincie. Questo sistema sicuramente dava responsabilità agli amministratori
locali nella gestione della spesa pubblica, tuttavia attribuiva potere discrezionali alle autorità locali nella
gestione del prelievo tributario, provocando effetti discorsivi derivanti dal possibile uso politico della leva
fiscale, specie nella fase dell’accertamento . oltre ciò il sistema delle autonomie locali d’entrata e di spesa
provocava differenziazioni economiche dei comuni già sviluppati. Tutto ciò portò alla riforma degli anni ’70:
fu eliminato il sistema della fiscalità totale (limitando a pochi tributi lo spazio di manovra per gli enti locali)
creando quindi il finanziamento della spesa locale sul principio della finanza derivata che ruotava sul
trasferimento da parte dello Stato di quote di tributi erariali agli enti locali. Questo sistema portò alla
dilatazione della spesa pubblica, ormai coperta dal finanziamento statale e quindi finanziabile contando
prevalentemente sulle risorse statali e non locali. Da ciò discese anche l’aumento dell’indebitamento degli
enti locali verso il sistema bancario, che si trovava a finanziare l’incasso dei trasferimenti statali,
appesantendo la gestione finanziaria di questi enti. Si era creata una situazione insostenibile : il bilancio
statale caricato di una spesa pubblica locale fuori controllo, da qui l’esigenza di rivalutare l’autonomia
tributaria degli enti locali, fino a fondarsi programmi politici sulla spinta dell’esigenza di assicurare il
cosiddetto “federalismo fiscale”.
Autonomia tributaria degli enti territoriali minori. Nella Costituzione vi è dato spazio: il 5: “la Repubblica,
una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”Principio che trovava applicazione nel 128
prima che fosse abrogato con la legge Costituzionale. 3/2001 (“Le provincie e i Comuni sono enti autonomi
nell’ambito dei principi fissati dalla Repubblica che ne determina le funzioni). In questa norma però si
riconosceva fondamentalmente un’autonomia politico-amministrativa, che però diveniva finanziaria (in

11
quanto questa strumentale alla prima). Questi principi oggi sono espressi in Costituzione L’autonomia per
Provincie, Comuni, Città Metropolitane, si esprime con l’esercizio della potestà regolamentare di tali enti,
diretta ad adeguare alle specificità locali un prelievo stabilito con legge (es. il regolamento comunale non
disciplinerà gli elementi fondamentali del tributo, ma potrà regolare aspetti di carattere applicativo). Nel
corso degli ultimi anni è apparsa più forte l’esigenza di responsabilizzare maggiormente la gestione
finanziaria degli enti locali minori restituendo una limitata autonomia tributaria creando alcuni tributi con
alto gettito attribuiti al finanziamento della spesa locale. Ad esempio l’introduzione dell’ICI (l.504/1992) è
stato primo passo verso il federalismo fiscale, in quanto l’ente locale può fissare l’imposta con la fissazione
delle aliquote tra il minimo e il massimo stabiliti.
Regioni. Ex 116 alle Regioni a statuto speciale sono riconosciute forme particolari di autonomia tributaria
da esercitarsi nell’ambito degli statuti. Il 119 originario sanciva il principio dell’autonomia finanziaria
regionale, da realizzarsi nelle forme e limiti stabiliti da leggi della Repubblica. Questa norma non imponeva
una vera autonomia impositiva, ma la si riteneva compresa nel concetto di autonomia finanziaria. Prima
della Riforma cos, una dottrina minoritaria riteneva che nel 117 non fosse compresa la materia tributaria,
derivando da ciò la mancanza di una base Costituzione di potestà legislativa regionale in materia di tributi.
Con la nascita dell’IRAP (Imposta regionale sulle attività produttive) (l.446/1997) si è dato un tributo di
pesante gettito e si è prevista l’attribuzione alle regioni dell’attività di attuazione amministrativa del tributo.
Dopo la riforma del 2001, il nuovo 117 let. E prevede che lo Stato ha legislazione esclusiva per quanto
riguarda “il sistema tributario e contabile dello Stato”. (sistema dei tributi erariali) Le Regioni ex 117 3°
hanno una potestà legislativa concorrente in materia di “coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario”. (sistema dei tributi regionali e locali)Lo stato farà quindi la legge cornice, nell’interesse
della finanza pubblica e del sistema tributario nel suo complesso Le Regioni hanno una potestà “residuale”
in ogni materia non espressamente statale ex 117 4° . Con la riformulazione del 119 , Comuni, Provincie,
Città metropolitane, Regioni hanno “autonomia finanziaria di entrata e di spesa”. Questi enti dispongono di
risorse autonome, stabiliscono/applicano tributi ed entrate propri “in armonia con Costituzione e secondo
principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”. All’attuazione di tali principi la l.
42/2009 (federalismo fiscale) ha fissato alcuni principi direttivi a cui deve attenersi la legge tributaria: es.
quelli che ribadiscono l’applicabilità di principio capacità contributiva, progressività, coordinamento
stato/enti locali nel contrasto all’evasione. Limiti del potere di introdurre tributi regionali. 1) principi
Costituzione: la regione non può prevedere tributi che mirano a colpire manifestazioni di capacità
contributiva colpite da tributi erariali (divieto di doppia imposizione: richiamo al 53 cos). 2)
predeterminazione dello spazio territoriale in cui può operare la legge tributaria regionale; 3) normativa
comunitaria. La regione non può introdurre leggi tributarie con precetti contrastanti con gli impegni assunti
dallo stato in sede di TUE o con altre fonti comunitarie. (p 95 caso della Sardegna).

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Le Fonti Comunitarie

Il Trattato di Roma ha previsto alcuni obiettivi che devono esser raggiunti dagli stati membri, tra cui alcuni
aventi immediata rilevanza fiscale: l’approvazione di una tariffa doganale comune, l’eliminazione di ogni
barriera doganale nei Paesi coinvolti nel trattato, la libera circolazione di persone, merci, capitali. La
dottrina ritiene che non esista un contrasto tra il principio di riserva di legge e le fonti comunitarie: in
merito ci sono 2 dottrine, la prima (minoritaria) che sostiene che la giustificazione delle fonti comunitarie
sia da ricercarsi nel 10 Costituzione :”L’ordinamenti giuridico italiano si conforma alle norme di diritto
internazionale generalmente riconosciute”, la critica di Tinelli sta nel fatto che non sembra corretto
affermare che fonti comunitarie = fonti del diritto internazionale, in quanto son norme promananti da un
organismo sovranazionale di cui l’Italia fa parte. La seconda tesi (prevalente) trova la base
dell’obbligatorietà delle fonti comunitarie nella 2° parte dell’11 Costituzione: “L’Italia consente, in
condizione di parità con gli altri stati, le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la
pace, la giustizia tra le nazioni, promuove, favorisce le org internazionali rivolte a questo scopo”
.L’immediata efficacia delle norme UE deriva quindi da una autolimitazione della sovranità statale,
prevista da una norma cos, che prevale sul principio della riserva di legge (che si riferisce alla produzione
normativa interna) .
Fonti primarie di natura tributaria: Trattato di Roma, Parte II, Titolo I, Capo II (specie art 99, oggi in
Mastricht, che mira ad obiettivi di armonizzazione della legislazione fiscale degli stati membri per assicurare
instaurazione/funzionamento del mercato interno); norme modificative del Trattato. Queste disposizioni
introducono importanti principi: divieto di discriminazione fiscale ecc. Fonti derivate: direttive e
regolamenti (189 TCE). Direttive: anche se non attuate, per Corte Costituzionale e Corte di Lussemburgo
sono direttamente applicabili dal giudice nazionale negli ordinamenti dei singoli stati, se i termini per
attuazione siano scaduti. Discorso sulla disapplicazione anche applicabile alle direttive per Corte
Costituzionale.

La cosiddetta “PRASSI AMMINISTRATIVA”


Si intende con questo termine l’insieme degli orientamenti interpretativi adottati dalla p.a. e formalizzati in
appositi atti a contenuto interno, la cui diffusione ha finito per rappresentare una insostituibile guida, per
contribuenti e consulenti, nell’applicazione delle norme tributarie. Ora però l’attribuzione della
responsabilità nell’applicazione di norme spesso oscure o scritte in modo approssimativo e la rigorosità
dell’apparato sanzionatorio previsto hanno accresciuto la responsabilità della prassi amministrativa, ora
vera e propria fonte del diritto tributario per qualcuno (Tinelli non è d’accordo).

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CAPITOLO 4 - EFFICACIA NEL TEMPO E NELLO SPAZIO DELLA NORMA TRIBUTARIA
Efficacia nel tempo
Entrata in vigore. Si ritengono applicabili le regole del 73 3° Costituzione e 10 1° Preleggi: essi dispongono
l’inizio della obbligatorietà della legge il 15° giorno successivo alla pubblicazione. Queste disposizioni
prevedono che il termine è derogabile dalla legge stessa, che può ridurlo/prolungarlo: queste facoltà sono
usate dal legislatore tributario quando si ritiene opportuna che l’entrata in vigore della legge coincida con la
pubblicazione ovvero quando 15 giorni sembrano pochi per consentire la piena conoscenza di una
normativa destinata ad ampia diffusione.
Divieto di retroattività. Ex l.212 art 3 (prima parte): “Salvo quanto previsto dall’1 2° , le disposizioni
tributarie non hanno effetto retroattivo”. Questa disposizione consolida normativamente un principio
affermato dalla giurisprudenza cos, che si ritiene la possibilità della retroattività, ma allo stesso tempo ne
rileva il contrasto col principio della capacità contributiva, quando spezzi il nesso di collegamento tra fatto
espressivo di capacità contributiva e il periodo temporale in cui si verifica l’imposizione. Per questo Tinelli
ritiene che il divieto di retroattività della 212 si riferisce solo alle disposizioni di carattere sostanziale (non
per le regole procedurali per cui varranno altre disposizioni di garanzia e nemmeno l’istituto
dell’interpretazione “autentica”).

Art 3 (seconda parte): “Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire
dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le
prevedono”In questo modo la 212 vuole tutelare l’esigenza di effettiva e preventiva informazione ma anche
l’affidamento del contribuente verso norme modificanti/influenzanti scelte fondate sulla normativa vigente
al momento dell’inizio del periodo d’imposta. Art 3 2°: la legge tributaria non può prevedere adempimenti a
carico del contribuente la cui scadenza sia fissata prima del sessantesimo giorno della data di entrata in
vigore. Art 3 3°: divieto di proroga per i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di
imposta. La legge ha spesso disatteso questa morta, specie nei condoni.

Cessazione dell’efficacia. Valgono le normali norme di diritto comune: cessa di produrre effetti la norma
abrogata, in modo espresso o tacito, dal legislatore, oppure dichiarata incostituzionale. L’abrogazione
normalmente non comporta particolari problemi applicativi, in quanto in tali casi il legislatore prevede
disposizioni transitorie per disciplinare rapporti tributari sorti nell’applicazione delle norme abrogate o
modificate. In questi casi, il legislatore detta regole anche sulla successione delle leggi nel tempo,
disponendo anche ipotesi di retroattività della normativa in seguito al verificarsi di certi eventi. Nei casi di
incostituzionalità di una norma tributaria, spesso la legge interviene, ma nella maggior parte dei casi non
interviene, lasciando all’interprete il compito di stabilire la concreta disciplina applicabile ai rapporti non
ancora definiti.

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Efficacia nello spazio

La norma tributaria è di regola destinata a trovare efficacia solo nel territorio statale, all’interno di cui è
obbligatoria per ogni destinatario e come tale può esser oggetto di applicazione in sede amministrativa e
giurisdizionale. Problemi più complessi sono quelli connessi alla possibile rilevanza, nella costruzione della
fattispecie tributaria sostanziale, di fatti economici posti in essere al di fuori del territorio statale e
problemi riguardanti la tutelabilità internazionale del credito tributario.
1° problema. Esso riguarda l’individuazione di limiti spaziali nella formulazione della fattispecie d’imposta:
questi limiti sono derivanti dalla prassi internazionale oppure da accordi tra Stati. Riguardo alla prassi
internazionale, questa non può limitare il legislatore nella scelta dei presupposti d’imposta e nella
fissazione di criteri di collegamento dei presupposti col territorio all’interno di cui lo Stato esercita la sua
sovranità: devono esser limiti derivanti dalla complessa realizzabilità di crediti tributari privi di un
ragionevole collegamento oggettivo/soggettivo col territorio statale, quindi dalla perdita di serietà di un
sistema impositivo privo dell’effettività. Da ciò si sono elaborati criteri omogenei di regolamentazione del
collegamento del fatto economico al territorio, valorizzando volta per volta elementi oggettivi (cioè il
collegamento materiale o giuridico del fatto economico al territorio: avviene quando il bene oggetto
dell’imposizione si trova nello Stato ovvero una certa attività sia svolta nel territorio stesso. Nel 1° sistema
impositivo la determinazione dell’elemento spaziale del presupposto ruota su elementi oggettivi ed è
definito sistema di tassazione su base territoriale) e gli elementi soggettivi (rileva l’esistenza di un
collegamento del soggetto col territorio, derivante da scelta elettiva o da comportamenti concludenti: ad
esempio la residenza della persona fisica ai fini IRPEF. Il 2° sistema ruota sulla residenza del soggetto ed è
definito come sistema di tassazione su base mondiale (world wide system). I 2 sistemi sono combinabili: in
Italia c’è un sistema misto (che fonda l’imposizione dei soggetti residenti sul principio dell’utile mondiale e
l’imposizione dei soggetti non residenti sul principio della territorialità. Nel sistema IRPEF, la persona fisica
residente nello Stato è soggetta al tributo su redditi ovunque prodotti, la persona fisica non residente è
soggetta solo riguardo a redditi prodotti nel territorio dello Stato). La convergenza di più sistemi impositivi
sulla stessa fonte produttiva (ciò è possibile perchè ad esempio un soggetto che produce reddito all’estero
potrà vedere assoggettato ad un’imposta estera su base territoriale lo stesso reddito che concorre a
formare l’imponibile nel suo stato di residenza) urta regole economiche, ma non trova nell’ordinamento
tributario una regola che ne disponga il divieto. Per rimediare agli effetti della doppia imposizione
internazionale, soccorrono a volte rimedi di diritto interno, rappresentati da deroghe eccezionali al sistema
dell’utile mondiale ovvero dal riconoscimento del credito d’imposta per redditi prodotti all’estero. Tuttavia,
il rimedio migliore alla doppia imposizione è rappresentato dalle convenzioni internazionali verso le doppie
imposizioni (trattati tra stati diretti a disciplinare pattiziamente l’applicazione delle rispettive norme

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tributarie, recepiti con legge di attuazione, per la loro specialità prevalgono sulla disciplina interna, tranne
se quest’ultima sia più favorevole per il contribuente, in quanto qui si applica il 169 TUIR).
2° problema. Attiene alla tutelabilità all’estero delle ragioni creditorie fiscali : esso si sostanzia
nell’individuazione di spazi per l’esercizio fuori del territorio statale dei poteri amministrativi di ricognizione
del fatto a rilevanza tributaria (questo può avvenire col ricorso a strumenti di collaborazione internazionale
tra amministrazioni: scambio d’informazioni, autorizzazione alla presenza all’estero di funzionari
amministrativi previsti in ambito UE recepiti da apposite disposizioni interne) e per la riscossione coattiva
all’estero di un credito d’imposta liquido ed esigibile (di regola non può avvenire, salvo le convenzioni, che
prevedano l’avvio di una procedura esecutiva fondata sul titolo formato in Italia, per cui in tal casi la tutela
esecutiva finisce per esser affidata alla delibazione della sentenza secondo regole proprie dello Stato in cui
il credito tributario deve esser portato in riscossione coattiva).

CAPITOLO 5
L’interpretazione delle norme tributarie

Come qualsiasi norma, anche quella tributaria deve esser interpretata: ora però rispetto alle altre norme,
questa è diretta alla definizione di fatti economici ai fini della realizzazione del prelievo tributario. Ciò ha
portato alcuni studiosi ad ipotizzare l’esistenza di regole speciali di interpretazione della norma tributaria.
Secondo Tinelli questo non è propriamente esatto, in quanto problematiche sull’interpretazione potranno
porti solo nei casi in cui la fattispecie normativa sia strutturata con un semplice rinvio a fenomeni economici
altrimenti non disciplinati rinviandosi in tal caso nel diritto tributario le tematiche proprie del settore non
giuridico di provenienza. Quando invece il paradigma normativo è finalizzato a consentire l’attuazione del
tributo o ad imputarne gli effetti, le regole interpretative saranno quelle previste in generale
dall’ordinamento. L’interprete poi potrà esser influenzato da valutazioni personali circa la prevalenza
dell’uno o dell’altro interesse coinvolti nella dinamica impositiva: ciò conferma l’inesistenza di regole
sull’interpretazione dirette ad affermare normativamente la prevalenza dell’uno o dell’altro schema di
ragionamento.
Tuttavia l’interpretazione è molto influenzata dalla presenza dell’autorità amministrativa: quest’ultima
interviene come soggetto portatore di un interesse alla massimizzazione del gettito (questo interesse deve
però contemperarsi con quello alla corretta interpretazione della portata della norma tributaria). Il 5 l.212
conferma questa massiccia presenza dell’amministrazione: essa deve garantire la conoscenza delle
disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, usando gli strumenti di diffusione più
adatti, ma anche un dovere di portare a conoscenza dei contribuenti le interpretazioni contenute in
circolari e risoluzioni emanate dalle amministrazione stessa. Fondamentale è poi l’11 1° l.212: prevede il
diritto di interpello (con cui il contribuente può stimolare una presa di posizione interpretativa

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dell’amministrazione, in presenza di obiettive condizioni di incertezza sull’interpretazione di disposizioni di
carattere tributario). La particolarità di questo istituto sta nella efficacia della risposta (espressa o tacita)
della p.a. che vincola il successivo comportamento dell’amministrazione finanziaria. L’11 2° prevede la
nullità degli atti emanati in difformità della risposta (espressa o tacita) dell’istanza di interpello Questa
importante presenza dell’amministrazione è dovuta anche al modesto contributo in sede di interpretazione
della dottrina (in quanto spesso troppo orientata a favore del contribuente) e della giurisprudenza (non è
stata mai un’efficace guida per l’interpretazione, specie per la instabilità legislativa della materia e
conseguente complessità nell’individuazione della norma applicabile al caso concreto. Ora però sezione
tributaria in Cassazione)

Interpretazione delle norme non tributarie nel diritto tributario

Il legislatore, quando deve definire un fenomeno economico da considerare come espressione di capacità
contributiva, può trovarsi di fronte un fatto disciplinato solo da regole non giuridiche o da norme
extratributarie (in questo caso il legislatore opera una giuridicizzazione del fenomeno economico,
trasformando il fatto dell’economia in una specie giuridica, suscettibile di essere applicata in una serie
indefinita di casi. Per raggiungere tal risultato bisogna descrivere il fenomeno, usando regole definitorie di
carattere empirico o desunte da principi non giuridici comunemente accettati, per consentire all’interprete
di valorizzare tali elementi nella costruzione della portata precettiva della norma)ovvero da norme
tributarie attinenti a tributi diversi da quello oggetto di regolamentazione (in questo caso il legislatore
disciplina la fattispecie facendo ricorso a nozioni o istituti già disciplinati in altri campi del diritto . in questo
caso l’attività interpretativa sarà guidata da scelte legislative, che potranno prevedere un semplice rinvio
alla normativa extratributaria con conseguente applicabilità dell’istituto extratributario, ovvero da una
ridefinizione cioè una disciplina specifica ai fini impositivi che partendo dalla definizione del diritto comune,
ne adatta la portata alle esigenze proprie della sistematica impositiva. La natura speciale della norma
tributaria impone la prevalenza della previsione derogatoria rispetto a quella generale nei limiti della
portata assegnata dal legislatore).

L’integrazione analogica del diritto tributario

Per poterla attuare, ci deve esser una premessa caratterizzata dalla mancanza di una norma idonea a
disciplinare la fattispecie fattuale in esame, per cui il soggetto che deve attuare il diritto tributario è capace
di ricorrere agli strumenti previsti dal 12 2° preleggi: analogia legis (applicata una disposizione che disciplina
casi simili o materie analoghe) e iuris (trovano applicazione i principi generali dell’ordinamento giuridico
dello stato). Questo strumento può trovare applicazione nel diritto tributario, specie nell’ambito delle
norme dirette a consentire l’attuazione del tributo, ma ci si chiede se sia applicabile quando si tratti di

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disciplinare una fattispecie imponibile non prevista normativamente. La tecnica legislativa propria del
diritto tributario deriva dal principio di legalità (che anima la dimensione sostanziale dell’imposizione
tributaria): quindi non è possibile l’integrazione analogica delle norme disciplinanti la fattispecie sostanziale
dell’imposizione. Oltre a ciò la l.80/2003 ha previsto il divieto di applicazione analogica delle norme fiscali
che stabiliscono il presupposto ed il soggetto passivo dell’imposta, le esenzioni e le agevolazioni.

L’elusione tributaria

Essa è il comportamento del contribuente diretto ad ottenere una riduzione del debito d’imposta o
comunque un vantaggio fiscale (ricorrendo ad una regolamentazione civilistica della fattispecie diversa da
quella normale e non giustificata se non dall’interesse ad un trattamento fiscale altrimenti non spettante).
Non è quindi una forma di evasione fiscale. Con questa formula si giunge alla corretta applicazione della
norma tributaria relativamente ad un fatto correttamente rappresentato nella sua dimensione fattuale, ma
tale qualificazione giuridica si fonda su una base civilistica che potrebbe definirsi “forzata” in quanto non
appropriata rispetto all’espressione di autonomia privata che è alla base della manifestazione di capacità
contributiva. Ora, il ricorso a manovre elusive finiva però per minare alle fondamenta la serietà del sistema
impositivo, costituendo una violazione del dovere Costituzione di concorso alle pubbliche spese.
All’affermazione di carattere generale dell’illiceità dell’elusione tributaria si opponeva però la struttura
giuridica su cui si fonda il sistema impositivo italiano (che vede nella descrizione legale dell’area della
rilevanza tributaria la delimitazione stessa dell’intervento amministrativo). La crescente attenzione per il
fenomeno dell’elusione tributaria ha portato una serie di interventi legislativi diretti ad individuare
fattispecie tipiche di elusione tributaria da ritenersi sindacabili in sede amministrativa: il 37 bis DPR
n.600/1973 (introdotto con il 7 d.lgs. 358/1997) ha previsto l’inopponibilità all’amministrazione finanziaria
di atti, fatti e negozi (anche collegati tra loro) privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare
obblighi/divieti previsti dall’ordinamento tributario ed a ottenere riduzioni d’imposta o rimborsi altrimenti
indebiti. Questa norma è destinata ad operare solo in presenza di alcune operazioni societarie o finanziarie,
elencate nel 37bis 3°, consentendo all’amministrazione il recupero delle maggiori imposte sottratte per
effetto del comportamento elusivo oggetto di disconoscimento ai fini fiscali. Questa disposizione conferma
la non praticabilità di strumenti interpretativi ai fini del contrasto dell’elusione tributaria e la tassatività
delle fattispecie normative di sindacato amministrativo sulla validità economica delle scelte negoziali dei
contribuenti, confermando la centralità del principio di legalità nella disciplina dell’imposizione tributaria. Il
legislatore potrà allora determinare le fattispecie sintomatiche di elusione.
Ora, la Cassazione ha teorizzato la figura dell’abuso del diritto, fondato sull’importazione nel nostro
ordinamento di un istituto proprio della disciplina comunitaria e presupposto da una serie di norme in
materia di imposizione indiretta e ha trovato un affinamento con un’interpretazione costituzionalmente

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orientata del sistema delle imposte sui redditi, nell’ambito di cui si è trovata una base nei principi di
capacità contributiva e di progressività dell’imposizione alla possibilità di svalutare la formalizzazione della
condotta abusiva del contribuente, per riallineare l’imposizione all’effettiva sostanza economica del fatto
fiscalmente rilevante. Secondo dottrina e Tinelli però non si può rinvenire uno spazio applicativo per questo
istituto nella materia tributaria (in quanto la natura di norma speciale che si deve dare all’elusione, porta
questa norma a superare la possibile applicabilità della regola generale: non può esservi abuso quando una
norma speciale prevale su quella generale).

CAPITOLO 6 – I SOGGETTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO

I Soggetti Attivi

La norma tributaria nella sua struttura ideale si preoccupa di individuare il soggetto creditore del tributo e
di individuare il soggetto tenuto all’adempimento del tributo per effetto della titolarità della manifestazione
di ricchezza giustificante l’imposizione. Alla titolarità del credito = titolarità dei poteri attuativi connessi alla
concreta individuazione delle dimensioni economiche del fatto a rilevanza tributari ed alla materiale
realizzazione del credito, anche coattivamente. Ora però, alla titolarità del credito potranno non
corrispondere i poteri di attuazione, specie dove si ritenga opportuno devolvere a soggetti diversi dallo
Stato, alcuni compiti che si riferiscono alla tutela del credito tributario.
Non è difficile individuare i soggetti attivi: l’attenzione del legislatore si concentra infatti sui profili
concernenti attuazione o riscossione del tributo. C’è fondamentalmente mancanza di ogni disposizione
diretta a disciplinare il soggetto attivo del tributo: questo perché la disciplina del soggetto attivo è
considerata comunque scontata e comunque irrilevante ai fini della regolamentazione del tributo. In realtà,
il problema connesso all’individuazione del soggetto attivo del tributo è di primaria rilevanza ove si
consideri la dimensione processuale dell’applicazione del tributo (specie quando si deve identificare la
parte processuale, in presenza di controversie prescindenti dall’esistenza di un atto amministrativo come
es. quelle relativi ai rimborsi d’imposta) nonché è di primaria importanza nel caso dell’individuazione delle
responsabilità amministrative connesse all’impulso all’attuazione del tributo (per effetto del riparto tra
Stato ed enti locali delle giurisdizioni di controllo). Da ciò la necessità di giungere all’enucleazione di regole
generali (che consentano di capire chi possa considerarsi soggetto attivo del tributo, quindi soggetto
titolare dei poteri, e delle responsabilità, necessari ad attuare il precetto legale). Una prima differenziazione
tra soggetti attivi è conseguente alla formazione del tributo come erariale o locale (sulla base della
destinazione del gettito normativamente prevista) ma ciò non risolve il problema di fondo in mancanza di
una espressa previsione normativa circa la destinazione del gettito del tributo. La regola potrebbe allora
fondarsi sul principio della normale coincidenza del soggetto attivo con lo Stato (salve le eccezioni che

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danno ad enti diversi dallo Stato la titolarità delle posizioni creditorie inerenti il singolo tributo). Da ciò allo
Stato dovrebbero esser riconosciuti tutti i poteri concernenti la tutela del credito (anche in sede esecutiva
(ma anche questi poteri possono fare capo a soggetti diversi: es. Falsitta parla di scissione tra soggetto
attivo del rapporto di credito e soggetto attivo della potestà di applicazione del tributo a cui la legge
demanda le relative attività di accertamento/riscossione ovvero questi poteri possono trovare disciplina
specifica diretta ad inserire in un’organizzazione amministrativa più complessa la fase della dinamica
applicativa del tributo: ad esempio il soggetto attivo Comune, a questi fanno capo anche i poteri
d’attuazione, salvo che la legge disponga diversamente).

L’organizzazione dell’amministrazione finanziaria


L’amministrazione finanziaria è la figura soggettiva di maggiore rilevanza. Essa è la struttura amministrativa
deputata funzionalmente all’attuazione della normativa tributaria statale (che fino alla riforma attuata con
d. lgs 300/1999 e D.M. 28/12/00 ha coinciso con le attribuzioni del Ministero delle Finanze). L’introduzione
in materia di amministrazione del prelievo tributario di nuovi schemi organizzativi (x separare indirizzo
politico dalla gestione operativa dell’attuazione della normativa tributaria) si è realizzata con una
sostanziale “privatizzazione” dell’attività impositiva (che è attribuita alle Agenzie fiscali, con
organizzazione/controllo dell’attività riservate a Ministero Economia e Finanze). Le agenzie sono 4: Agenzia
delle dogane, Agenzia del territorio, Agenzia del demanio e Agenzia delle entrate.
Agenzia delle entrate: ente pubblico non economico, con autonomia regolamentare, amministrativa,
contabile, patrimoniale, finanziaria. Funzionamento e organizzazione disciplinati da uno statuto emanato su
proposta del Premier di concerto con Ministero Economia, rapporto con il Ministero Economia regolato da
una Convenzione annuale, da cui si determinano servizi e obiettivi da perseguire, nonché risorse finanziarie
disponibili. Ex d. lgs 300/1999 essa ha tutti i potere diretti all’attuazione amministrativa delle principali
imposte erariali (compreso l’accertamento, riscossione, rappresentanza nel contenzioso tributario inerenti
tali imposte). Si articola in: uffici centrali (con sede a Roma. Funzioni centrali una volta esercitate da
Ministero Finanze, ora dal cosiddetto “Ministero snello”: il “Dipartimento delle finanze”articolato in 8
direzioni: legislazione tributaria, giustizia tributaria, studi-ricerche economico fiscali (con compiti di
controllare andamento del gettito e di sostenere il ministro all’atto di adozione di scelte di politica tributaria
svolgendo consulenza giuridica sia a livello interno nel Dipartimento, sia a livello esterno per le Agenzie
fiscali), Agenzie ed enti della fiscalità, relazioni internazionali, federalismo fiscale, comunicazione
istituzionale della fiscalità, sistema informativo della fiscalità, gestione risorse finanziarie e personale), uffici
regionali (con sede in capoluoghi di regione con compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento,
controllo), uffici locali (con funzioni operative territoriali).
Hanno (d.lgs. 300): personalità giuridica di diritto pubblico, ex 61 3° d. lgs 300 osservano i principi di
legalità, imparzialità, trasparenza, loro operato sottoposto alla vigilanza di autorità politica ovvero del

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Ministero economia. Lo statuto (deliberato dagli organi direttivi delle Agenzie, sottoposto ad approvazione
Ministro Economia) deve:

a) definire potere ministeriali di vigilanza, secondo modalità idonee a garantire l’autonomia dell’agenzia;

b) determinare attribuzioni degli organi di cui si compone l’Agenzia;

c) istituire apposite strutture preposte al controllo interno di gestione;

d) individuare principi generali in ordine all’organizzazione ed al funzionamento dell’agenzia;

e) attribuire a regolamenti interni di ciascuna agenzia (adottati dalle direzioni e approvati dal Ministero) la
possibilità di adeguare l’org alle dinamiche esigenze funzionali;

f) devolvere ad atti di organizzazione di livello inferiore ogni altro potere di organizzazione;

g) applicare criteri di mobilità professionale e territoriale ex d.lgs. 29/1993;

h) prevedere attribuzione all’agenzia di autonomia di bilancio;

i) attribuire ad organi direttivi facoltà di deliberare e proporre all’approvazione del Ministero regolamenti
interni di contabilità ispirati a principi civilisti.

Struttura organizzativa: Direttore d’Agenzia, Comitato di Gestione (membri non possono svolgere attività
professionali, non possono esser amministratori/dipendenti di società/imprese operanti nei settori
d’intervento dell’Agenzia, Collegio dei revisori dei conti ( tutti incarichi di durata massimo 3 anni ex 67 d. lgs
300). Commissario straordinario (in casi del tutto eccezionali viene nominato: assume i potere del Direttore
del comitato di gestione). 2 ambiti di organizzazione territoriale dell’Agenzia delle Entrate: regionale (affidato
a Direzioni Regionali delle entrate, che svolge coordinamento degli uffici periferici situati nel territorio
regionale, nonché funzioni operative riguardo certe tipologie di “grandi” contribuenti. per questi ultimi le
Direzioni regionali fanno anche attività di liquidazione automatica e controllo formale delle dichiarazioni,
controllo sostanziale, recupero crediti inesistenti usati in compensazione, gestione contenzioso, rimborso in
materia di imposte dirette ed IVA) e provinciale (affidato a Direzioni Provinciali delle Entrate, istituite con
Delibera del Comitato di gestione; provvedono all’attuazione dei tributi attribuiti alla competenza dell’AE,
curando attività d’informazione e assistenza ai contribuenti, gestione tributi, accertamento, riscossione,
trattazione contenzioso. Strutturate in 1 o più uffici territoriali e in un ufficio controlli che può articolarsi in più
aree, individuate per la numerosità e per le caratteristiche delle diverse tipologie di contribuenti e per i
differenti tipi di attività da svolgere).

La guardia di Finanza
La legge le attribuisce competenze in materia di collaborazione (pur non avendo poteri di accertamento)
con l’attività degli uffici finanziari, prevedendo una cooperazione nell’acquisizione e nel reperimento di
elementi utili ai fini dell’accertamento dei redditi, dell’IVA, e per la repressione delle relative violazioni. Per
quanto riguarda l’attività ispettiva finalizzata alla tutela della pretesa erariale, è prevista una collaborazione
con Equitalia Spa. La Guardia di Finanza ha il compito di reperimento ed analisi della documentazione volta

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alla ricostruzione delle consistenze patrimoniali dei debitori anche al fine di prevenire/reprimere atti di
sottrazione fraudolenta di beni alla riscossione dei tributi. La Guardia di Finanza nasce come “polizia di
frontiera”, deputata al controllo dei confini e alla repressione dei fenomeni di contrabbando: nel tempo
però ha assunto il ruolo di “polizia economica finanziaria” (con un’attività volta al monitoraggio di tutto il
settore economico-finanziario ed alla difesa del connesso interesse pubblico). Normativamente, la struttura
organizzativa è disciplinata dalla l.189/1959. C’è stato però un processo di riforma organica, con il DPR
34/1999 e completato con l.78/2000. Da questa riforma l’attività della Guardia di Finanza si è estesa anche
all’attività di contrasto alla criminalità organizzata, commercio di droghe, concorso a mantenere
ordine/sicurezza, collaborazione con magistratura contabile e Autorità istituzionali centrali e con tutela del
patrimonio artistico-ambientale.
Organizzazione interna. 3 livelli: centrale competenze di direzione generale, collegamento e controllo dei
comandi dipendenti), regionale (c.d.”Comandi regionali”: ha responsabilità unitaria del coordinamento e
del controllo sull’area di competenza, di norma coincidente con la circoscrizione amministrativa di una
regione. Sono retti da un generale di brigata o di un colonnello ); tra i 2 livelli ci sono i “Comandi
interregionali”: comandati da un generale di corpo d’armata, svolgono attività ispettiva verso 2 o più
comandi regionali garantendo buon andamento dell’organizzazione esecutiva del servizio) provinciale (è
riconosciuta la direzione, coordinamento, controllo dell’attività operativa dei reparti incaricati
dell’esecuzione del servizio. I “Comandi provinciali” sono retti da un colonnello o un ufficiale superiore).
Comando Generale: è l’organo di direzione, pianificazione, controllo, responsabile del perseguimento dei
fini istituzionali della l.189: collega e raccorda la Guardia di Finanza con gli organi centrali della P.A., dell’UE,
con organismi internazionali. La Guardia di Finanza è retta da un Comandante Generale (che si avvale del
Consiglio Superiore della Guardia di Finanza che svolge funzione consultiva).

1) L’agente della riscossione

L’attuale assetto della riscossione, introdotto dal DL 3 1° l.248/2005 convertito con la l.248/2005, ha
eliminato l’affidamento a soggetti privati. Le funzioni sono esercitate dall’AE mediante Equitalia spa (società
pubblica: 51% AE, 49% INPS). Per la riscossione si avvale di personale dell’AE e dell’INPS nonche di spa
partecipate dalla stessa, cioè le ex società concessionarie del servizio di riscossione, ora “Agenti della
riscossione”, per cui Equitalia abbia scelto di acquisire il controllo della società ovvero il ramo d’azienda
della banca che, prima della riforma, operava gestione diretta dell’attività di riscossione. Questi soggetti
cedenti però devono acquistare parte del capitale sociale di Equitalia (fermo restando la partecipazione
pubblica di AE e INPS di almeno il 51%, nelle proporzioni dell’atto istitutivo). La norma impone quindi che
max 49% possa esser nella titolarità degli ex concessionari privati. In quanto spa, Equitalia ha suo statuto e
suoi organi sociali , ma il Pres del Consiglio Sindacale deve esser scelto tra Magistrati Cor Conti. L’AE è
chiamata a fornire al Ministero Economia gli elementi acquisiti nell’attività di coordinamento che
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quest’ultima deve svolgere nell’ambito dell’attività di riscossione: il Ministero informa annualmente il Parl
di ciò. Equitalia infine, oltre a attività di riscossione spontanea, svolge anche attività di liquidazione,
accertamento delle entrate tributarie o patrimoniali degli enti pubblici (anche territoriali) e delle loro
società partecipate, nonché ulteriori attività funzionali alla riscossione coattiva del debito.

I soggetti passivi
Nello schema normale dei tributi, sono i soggetti che la fattispecie individua come titolari del fatto
economico assunto a presupposto dell’imposta, determinando i migliori moduli di collegamento. Alla
titolarità passiva dell’obbligazione corrisponde la soggezione ai poteri connessi all’attuazione della norma
tributaria, nonché anche la responsabilità patrimoniale (2740 cc)nell’adempimento del debito d’imposta,
per cui il soggetto passivo è chiamato a rispondere al pagamento del tributo con ogni bene
presente/futuro. Gli istituti soggettivi usati dalla norma tributaria sono quelli propri del diritto comune,
salvo poi la deroga possibile ad un sistema di integrale rinvio alla normativa presupposta, mediante regole
specifiche destinate a realizzare certe finalità fiscali. La norma tributaria propone alcune figure soggettive
non previste dall’ordinamento comune, con ciò prevedendo istituti propri di diritto tributario. In alcuni casi
si attribuisce soggettività ad istituti che non hanno tale soggettività nel diritto comune, derogandosi in
modo espresso rispetto alla base civilista. Il soggetto passivo è indicato come “contribuente”, per
sottolineare la differenza rispetto ad altri soggetti coinvolti nell’attuazione della norma tributaria, ma non
titolari del fatto economico assunto dalla legge a presupposto dell’imposta.

Il sostituto d’imposta (non definito dalla norma. Parla solo del diritto di rivalsa)

Esso è un esempio si coinvolgimento nella dinamica attuativa del tributo di un soggetto diverso dal
contribuente. Egli è un soggetto passivo: questi col proprio patrimonio risponde di un obbligo di
versamento collegato a un’espressione di capacità contributiva riferibile a un soggetto diverso, con cui è
legato da un rapporto di carattere negoziale. Questo meccanismo realizza una situazione di disinteresse del
sostituto all’inadempimento (in considerazione della sanzionabilità della mancata rivalsa verso il sostituto).
Secondo la tradizionale ricostruzione, è un istituto volto alla semplificazione dei rapporti col fisco, che
incide sia nella fase dell’accertamento sia in quella della riscossione (tutelando l’interesse fiscale alla
corretta rappresentazione del fatto a rilevanza tributaria e l’interesse alla riscossione cioè all’adempimento
dell’obbligazione tributaria). Proprio il ricondurre il sostituto d’imposta a questi due interessi consente di
prevenire i dubbi di costituzionalità (che finirebbe per imporre una prestazione tributaria su un soggetto
senza capacità contributiva). Il sostituto viene così a collocarsi nella fase successiva alla fase impositiva,
diventando destinatario di un obbligo di pagamento facente capo al titolare della capacità contributiva
(disponendo strumenti giuridici per non risultare inciso dal tributo). Ora il sostituto esercita la rivalsa: con

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questo mezzo si assicura il ribaltamento sul contribuente del pagamento del tributo a questi riferibile.
Questa può realizzarsi con l’istituto della ritenuta alla fonte (nei casi in cui il sostituto risulti debitore della
somma costituente reddito imponibile per il contribuente. L’istituto viene dai 23 e 30 DPR 600/1973) ma
anche con strumenti propri del diritto civile (quando c’è un rapporto di debito/credito o se il debito è
estinto). Abbiamo 2 ip di ritenuta: la ritenuta d’acconto (qui la somma prelevata costituisce un acconto
dell’imposta sul reddito presumibilmente dovuta dal percettore, il quale dovrà provvedere agli
adempimenti fiscali connessi alla produzione del reddito e potrà detrarre dall’imposta definitivamente
dovuta la ritenuta alla fonte subita. Questo schema non trova applicazione quando non si effettua la
ritenuta: in questo caso il contribuente dovrà dichiarare il reddito non assoggettato al prelievo alla fonte e
determinare l’imposta dovuta secondo l’ordinario sistema. Quando il sostituto effettui la ritenuta, ma non
provveda al versamento della stessa, il contribuente potrà comunque detrarre tale ritenuta e il fisco
procederà al recupero della ritenuta non versata nei confronti del sostituto) e la ritenuta d’imposta (qui la
ritenuta prelevata alla fonte è l’adempimento integrale del tributo dovuto sulla specifica manifestazione di
capacità contributiva, per cui al contribuente non si danno obblighi di collaborazione all’attività
d’attuazione della norma tributaria. In questo caso la legge prescinde dalla collaborazione del titolare della
capacità contributiva e attribuisce al sostituto d’imposta la gestione del prelievo, dandogli anche la
possibilità di rinunciare alla rivalsa, se l’assetto negoziale giustifichi tale traslazione d’imposta che
comunque graverà sul sostituto). Si ha poi l’istituto della ritenuta diretta (se ne parla dopo). Comunque in
tutti questi casi si assiste a una divaricazione della normale uguaglianza tra soggetto passivo e conseguenti
sue posizioni doverose a seguito dell’attuazione della norma tributaria e adempimento dell’obbligazione.
Questa figura è fondamentale perchè garantisce corretta attuazione della norma sostanziale per effetto
della prossimità del sostituto al fatto a rilevanza tributaria.

Il responsabile d’imposta (non definito dalla norma. Parla solo del diritto di rivalsa)

Rispetto al sostituto d’imposta, il responsabile non è chiamato a rispondere del tributo “in luogo d’altri”,
bensì “insieme con altri”. Da ciò quindi questa figura si ricollega alla disciplina della “coobbligazione
passiva”. La norma di riferimento è la stessa del sostituto: il 64 del DPR 600. La norma non definisce
l’istituto, limitandosi a affermare il diritto di rivalsa del soggetto che estraneo al fatto imponibile, sia stato
dalla legge chiamato all’adempimento del tributo insieme ad altri soggetti. Ora, il diritto di rivalsa già spetta
al soggetto chiamato al pagamento del debito altrui in base alla disciplina civilistica (verso sostituto): la
motivazione della norma allora può far pensare solo all’idea di sistemare una parte generale del diritto
tributario, tra cui il responsabile, idea che cominciò con il TU 1958 su questa materia. L’essenza del
responsabile si riconduce a una forma di rafforzamento della tutela del credito fiscale, realizzata con
l’ampliamento del novero dei patrimoni esecutibili ai fini della realizzazione della garanzia patrimoniale
dell’adempimento del tributo. La particolare natura del credito ( e la funzione pubblicistica) creano il ricorso
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a forme differenti di tutela rispetto a quelle proprie del credito non tributario. Ci sono diverse
giustificazioni sul perché si coinvolgono terzi nell’adempimento del tributo: ad esempio il soggetto lo usa
per detrarre da un proprio debito l’importo del tributo nascente da contratto a prestazioni corrispettive
inerente la circolazione di beni immobili o aziende ovvero la responsabilità può collegarsi in altri casi alla
possibilità di prevenire (con atti volontari) una situazione d’insolvenza del contribuente. In generale è allora
una forma di concorso al dovere contributivo (si inserisce nel dovere ex 2 2° Costituzione) ma l’obbligo del
3° è comunque bilanciato dal diritto di rivalsa.

La solidarietà tributaria

L’esame interessa le problematiche legate al coinvolgimento nella riscossione di un tributo di più soggetti
legati da un vincolo obbligatorio idoneo a consentire l’escussione di un solo condebitore per l’intera
prestazione (salva rivalsa interna). L’istituto trova la sua base normativa nel 1292 C.C. per collocare l’istituto
nel diritto tributario, occorre distinguere la solidarietà paritetica (che deriva dalla compartecipazione di
singoli condebitori solidali ai fatti a rilevanza tributaria, quindi da uno stesso titolo. Qui la tutela del
condebitore è diretta all’accertamento del titolo dell’obbligazione) dalla solidarietà dipendente (deriva da
un titolo differente. Qui l’accertamento del titolo dell’obbligazione è meramente incidentale per verificare
la responsabilità dipendente da un titolo diverso da quello tributario). Bisogna verificare se il 1294cc (che
stabilisce che l’obbligazione è solidale se la legge o il titolo non dispongano diversamente, si applichi o
meno nell’ambito del diritto tributario) è applicabile al diritto tributario: la regola vuole che solo nei casi
previsti da legge si applica la regola della solidarietà (questo in applicazione del 23 Costituzione: quindi non
si applica il 1294). Altre problematiche si hanno quando c’è la presenza di un’obbligazione solidale nella
fase di attuazione della norma tributaria: qui le problematiche vertono nelle questioni connesse alla
garanzia del diritto di difesa del contribuente. Il tema concerne le forme di tutela che l’ordinamento
accorda al condebitore solidale nella fase precedente l’escussione del credito tributario nei suoi confronti,
dovendosi escludere che tale tutela sia accordabile in via indiretta (attribuendo potere rappresentativi a
uno dei condebitori sociali). A ciò si contrappone però l’interesse all’accertamento unitario del fatto a
rilevanza tributaria che sia che avvenga in sede amministrativa che giudiziale, non può dar luogo a differenti
valutazioni. Ora la Corte Costituzionale, nel bilanciamento d’interessi, ha ritenuto prevalente quello di
maggior spessore costituzionale, sacrificando alla tutela del diritto di difesa (24 Costituzione) l’interesse
all’uniformità dei giudicati sulla stessa situazione di fatto. SI afferma quindi la necessità della notifica a
ciascuno dei condebitori solidali degli atti amministrativi di gestione della fase attuativa del tributo: ciò ha
portato la possibilità di precludere la possibilità di escutere il condebitore sociale che non ha potuto
esprimere le sue ragioni di contrasto della pretesa fiscale, ma d’altra parte ha aperto la strada a una
proliferazione di giudicati contrastanti in relazione ai diversi coobbligati solidali. La soluzione passa

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affermando l’inscindibilità delle posizioni giuridiche dei condebitori sociali (ma deve svilupparsi con la
ricerca di quelle vie offerte dall’ordinamento per prevenire il contrasto di giudicati: soluzioni che devono
ricondurre agli istituti processuali a ciò deputati, nel senso di decidere unitariamente le controversie
concernenti la stessa situazione di fatto generante un’obbligazione solidale oppure la sospensione del
processo in presenza di una causa pregiudiziale. Infine, il problema della solidarietà è sopravvalutato in
quanto si può ridurre nella ricerca di bilanciamento tra esigenze di tutela dell’obbligazione tributaria e di
garanzia giurisdizionale dei diritto del contribuente (esigenze non mortificabili per effetto del vincolo
solidale)

La successione nel debito d’imposta

Si parla in questo senso delle forme di coinvolgimento a titolo successorio di un soggetto nell’adempimento
dell’obbligazione tributaria riferibile alla capacità contributiva manifestata da un altro soggetto. Il 1°
problema da esaminare riguarda la dimensione sostanziale della successione d’imposta: innanzitutto va
verificato se il debito tributario (ormai liquido ed esigibile) cada o no in successione secondo le ordinarie
regole civilistiche oppure se dai principi regolanti il diritto tributario si possa ricavare un ostacolo alla
trasmissione successoria del debito connesso ad un’espressione di capacità contributiva attribuibile al de
cuius. La fattispecie tributaria non è influenzata dalla successione (che attiene invece all’obbligazione
tributaria). La normativa tributaria non da molte regole per la successione del debito d’imposta, salvo
precisare la natura solidale dell’obbligazione degli eredi nel pagamento delle imposte del defunto (65 1°
DPR 600). Quest’ultima regola deroga alla disciplina civilistica (che prevede la responsabilità dell’erede in
proporzione alla quota ereditaria, trovando conferma anche nella disciplina dell’imposta sulle successioni).
Tuttavia, mancando un’espressa previsione della natura solidale dell’obbligazione come ad esempio l’IVA, il
coerede deve ritenersi responsabile dell’adempimento del tributo in proporzione alla sua quota ereditaria.
Il 2° problema riguarda l’efficacia dell’accettazione con beneficio d’inventario in relazione ai debiti
d’imposta caduti in successione e in particolare se da tale accettazione beneficiata possa derivare una
limitazione della responsabilità patrimoniale dell’erede ai beni caduti in successione. per la dottrina il
beneficio d’inventario rappresenta l’unico strumento per distinguere il patrimonio dell’erede dal
patrimonio del de cuius (in presenza di debiti d’imposta superiori all’attivo successorio). L’adempimento da
parte dell’erede dei debiti tributari del de cuius è un atto di carattere obbligatorio, mentre costituisce
accettazione tacita il ricorso alla Commissione Tributaria verso l’avvio di accertamento del maggior valore
notificato dall’amministrazione finanziaria e la successiva definizione per adesione dell’accertamento (in
quanto questi atti non sono meramente conservativi). Rinuncia dell’eredità = preclude ogni adempimento
(519cc). per quanto riguarda gli obblighi fiscali, il 65 DPR 600 prevede che tutti i termini pendenti alla data
della morte del contribuente o scadenti entro 4 mesi da essa sono prorogati di 6 mesi in favore degli eredi.
Sussiste poi un controllo amministrativo in questo ambito: l’amministrazione finanziaria infatti conosce gli
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eredi del contribuente, per arrivare verso loro le iniziative inerenti la fase dell’attuazione amministrativa.
Sempre il 65 dpr 600 prevede per gli eredi del contribuente un obbligo di comunicazione delle rispettive
generalità al fisco. La legge però, se non si conoscono domicilio/residenza dell’erede, stabilisce che gli atti
possano esser depositati presso l’ultimo domicilio del de cuius. Infine, per opinione comune il titolo
esecutivo formato nei confronti del defunto è usabile per aggredire il patrimonio dell’erede.

Residenza e domicilio fiscale

Residenza: per la norma tributaria sono residenti i soggetti che si trovano per un ragionevole lasso di tempo
in un collegamento stabile col territorio statale (determinato o da una scelta di carattere formale come es.
iscrizione all’anagrafe ovvero dalla constatazione in fatto della sussistenza dei presupposti per attribuire
secondo le regole civilistiche un domicilio cioè la sede principale degli affari/interessi o una residenza cioè
una dimora abituale in un certo luogo, connessa alla permanenza in tal luogo e all’intenzione di abitarvi
stabilmente. Quindi le risultanze anagrafiche non sono superabili dalla prova contraria del contribuente
(che dimostri la natura solo formale dell’iscrizione) tuttavia la non residenza/domicilio può esser anche
verificata secondo le norme civilistiche. Oggi però, per i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi delle
popolazioni residenti ed emigrati in Stati non rientranti nella “white list” (curata da Ministero finanze, è
prevista una sorta di inversione dell’onere della prova per l’effettività del domicilio o della residenza
all’estero.
Società ed enti (73 TUIR). La residenza si verifica: sulla sede legale, sulla sede dell’amministrazione,
sull’oggetto principale dell’attività svolta. Questi sono integrati dal requisito temporale della relativa
sussistenza nel territorio dello Stato per la maggior parte del periodo d’imposta. Per i trus è rilevabile: sede
di residenza del trustee, la sede dell’amministrazione, l’oggetto principale dell’attività. Ad oggi, per il bis e
ter del 73, risiedono nello Stato le società con sede all’estero che detengano partecipazioni di
controllo/collegamento in società di capitali ed enti commerciali residenti, se sono controllate o
amministrate da soggetti residenti in Italia (estero vestizione).
Domicilio fiscale. Esso disciplina la competenza territoriale dell’ufficio amministrativo nell’attività di
attuazione della norma tributaria. Quindi anche il soggetto non residente deve possedere domicilio fiscale
in Italia. Ex 58 DPR 600 la persona fisica residente nello Stato, si intende domiciliata ai fini fiscali nel
Comune alla cui anagrafe è iscritto. Il soggetto non residente ha il domicilio fiscale nel comune in cui
produce il reddito. Se ci sono 2 comuni in cui è prodotto il reddito, il domicilio fiscale è il comune in cui si
produce il reddito più alto. Per le persone non fisiche, il domicilio fiscale è la sede legale, se manca la sede
amministrativa, se non esiste si va nella stabile organizzazione del soggetto non residente, se manca, il
luogo dove si esercita l’attività.

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CAPITOLO 7 – IL CONTENUTO DELL’OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA

Diritto civile e diritto tributario nella disciplina del rapporto obbligatorio d’imposta

La normativa del C.C. si presenta come normativa generale e trova applicazione ogni volta che la normativa
tributaria non prevede specifiche deroghe. Anzi le deroghe, per effetto della loro natura speciale, devono
trovare disciplina espressa e non possono derivare da principi comuni o da consuetudini (fermo restando
comunque un giudizio di preventiva compatibilità di istituti pensati per una disciplina negoziale con la
struttura legale dell’obbligazione tributaria). Tutto ciò risulta evidente nel collegamento normativa civilista-
sistema della contabilità pubblica: tuttavia il connotato della natura pubblicistica dell’obbligazione
tributaria ha perso sempre più di centralità, in quanto sono previsti istituti di certo poco compatibili con
uno dei principi interpretativi su cui con maggior sicurezza si fondava il regime particolare dell’obbligazione
tributaria, ossia quello dell’indisponibilità. In pratica la fase di autoritatività del tributo si limiterebbe
all’introduzione del tributo, potendosi rimettere ad istituti di fonte negoziale le regole per garantirne in
concreto l’attuazione (valutandosi per questo fine non principi teorici, ma aspetti organizzativi più idonei
rispetto al fine perseguito).

Differenze tra obbligazione tributaria e obbligazione di diritto comune.

1)imposte periodiche. In base a ciò, a ciascun periodo d’imposta corrisponde un’obbligazione tributaria
autonoma. La legge tributaria prevede separazione tra obbligazione tributaria (riferibile ad un periodo
temporale rispetto all’obbligazione riferibile al periodo antecedente) e o successivo, escludendo le
possibilità di un reciproco condizionamento se non previsto da legge.

2) pagamento sempre con somma di denaro. Questo perché l’obbligazione tributaria è funzionale a
garantire il concorso individuale alle pubbliche spese. Tuttavia la legge prevede si possa pagare cedendo
beni di interesse artistico/storico/culturale, ma non sembra possibile un’ipotesi di una prestazione in luogo
dell’adempimento (dovendosi invero ritenersi possibile in casi elencati da legge una fattispecie di datio in
solum). Si applica però all’obbligazione tributaria il principio del comportamento secondo correttezza (1175
cc): violarlo può esser causa di responsabilità aquiliana per p.a. (quando quest’ultima violando abbia
provocato lesione alla sfera soggettiva del destinatario).

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L’ADEMPIMENTO
Luogo e tempo sono disciplinati da legge. Deroga al cc sugli “interessi” : in tema di IVA si fanno decorrere
dal 60esimo giorno successivo dalla scadenza del termine del 5 marzo dell’anno solare cui si riferisce
l’accertamento o la rettifica. Mancato o tardivo pagamento del tributo comporta anche sanzioni di
carattere amministrativo (rafforzando tutela interesse pubblico alla realizzazione dell’entrata tributaria).
Deroga al 1181 cc: stabilita dal 31 DPR 602/1973 : il concessionario della riscossione non può rifiutare
pagamenti parziali di rate scadute e pagamenti in acconto per rate di imposte non ancora scadute. Anche
sulla quietanza ci sono deroghe rispetto al 1199 cc col riferimento contenuto quietanza e soggetti
legittimati ad emetterla. Se si paga un’imposta a un ufficio incompetente a riceverla, ma che lo accetta lo
stesso, la regola vuole che il versamento è invalido (salvo le ipotesi in cui la legge dice che il versamento è
valido.)con conseguenze di natura sanzonatoria. In questi casi si deve chiedere risarcimento e poi
procedere a nuovo versamento. Infine la compensazione: rappresenta questa una forma di adempimento
dell’obbligazione tributaria di tipo satisfattorio. La giurisprudenza ritiene che esista: lo Statuto dei diritti del
contribuente chiede però un regolamento ministeriale per fissare regole interpretative.

La traslazione dell’imposta e l’ estinzione dell’obbligazione tributaria

La traslazione dell’imposta rappresenta la possibilità di considerare il debito (o il credito) d’imposta quale


oggetto di un accordo negoziale, che consenta il trasferimento su un soggetto diverso da quello previsto
come tale nella fattispecie d’imposta. A livello giuridico si può realizzare nell’ambito di un modulo
contrattuale a prestazioni reciproche ovvero nell’ambito di uno schema unilaterale: in ambo i casi tali
negozi appaiono ammissibili. Tuttavia, considerando la natura pubblicistica della p.a., la legge tributaria
assoggetta a certi adempimenti l’opponibilità dell’accordo della p.a., confermando la validità del patto inter
partes: l’8 dello Statuto prevede la generale ammissibilità dell’accollo del debito d’imposta altrui senza
liberazione del contribuente originario .

L’obbligazione si estingue:

a) per effetto dell’estinzione del relativo credito (ciò deriva dalla decadenza dell’azione amministrativa
di recupero del credito con esercizio delle procedure di accertamento o liquidazione);

b) dalla prescrizione del credito ormai liquido e esigibile (ma non azionato esecutivamente nei termini di
legge. La disciplina tributaria regola però molto poco ciò). La legge in materia di imposte sui redditi e in
materia IVA disciplina i termini di decadenza dell’azione di accertamento e della riscossione tramite ruolo,
non dettando regole particolari riguardo la prescrizione del credito. La natura generale della disciplina
civilistica impone la prescrizione di 10 anni (2394 cc)quando la normativa tributaria non ponga termini

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diversi (l’8 dello Statuto dice che i termini non possono esser superiori a quelli del cc, tranne nel caso in
cui sia accertato il mancato o irregolare funzionamento degli Uffici finanziari: l’accertamento si fa con
decreto del direttore dell’ufficio di vertice dell’Agenzia fiscale interessata, sentito il Garante del
contribuente, da pubblicare in GU entro 45giorni dalla scadenza del periodo di malfunzionamento).

c) Per forme di definizione legale inserite all’interno di norme dirette a chiusura agevolata di pendenze
tributarie: la legge crea forme di estinzione del debito, ad esempio con il pagamento di una somma
rapportata al debito stesso entro un certo termine e con modalità determinate. Il condono è una
negazione del diritto tributario: produce infatti un effetto premiale per l’evasore fiscale consolidando
situazioni di ingiustizia nell’imposizione. Dopo la sentenza 17 luglio 2008 della Corte di Lussemburgo
perchè ha condannato l’Italia ad aver rinunciato all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel
corso di una serie di periodi d’imposta (violando 10 TCE, direttiva 1997,77/388/CEE), Tinelli si augura di
regolamentare l’inammissibilità di sanatorie generalizzate in materia tributaria.

CAPITOLO 8- L’ATTUAZIONE DELLA NORMA TRIBUTARIA


L’attuazione spontanea della norma tributaria. La dichiarazione

L’esigenza di una regolamentazione giuridica dell’attuazione della norma tributaria si è inserita in un più
ampio programma di politica economica diretto a fondare la gran parte del prelievo tributario sulla
spontanea collaborazione del contribuente (x comprimere i costi connessi ad un’attuazione amministrata e
da ottenere un effetto d’anticipazione finanziaria del gettito). Ora, l’attuazione spontanea si realizza
normalmente mediante la dichiarazione del contribuente, con cui sono forniti gli elementi fattuali su cui
fonda la ricognizione del presupposto d’imposta, la determinazione della base imponibile e la successiva
liquidazione del tributo. In base alle caratteristiche del fatto a rilevanza tributaria, la legge può prevedere
una cadenza periodica della dichiarazione ovvero la presentazione di una dichiarazione e la conferma tacita
della stessa negli anni seguenti. Il contenuto informativo della dichiarazione può trovare garanzia: in
supporti documentali, contabili, informatici che la legge ricollega all’esercizio di attività economiche oppure
alle caratteristiche soggettive del contribuente. La disciplina della dichiarazione è contenuta nell’ambito
delle singole leggi d’imposta, venendo ad essere condizionata dalle caratteristiche del presupposto alla cui
rappresentazione è funzionale. In alcuni casi la dichiarazione sarà particolarmente semplice e senza profili
formali mentre in altri casi richiederà complesse procedure compilative e requisiti di forma condizionanti la
validità. In ogni caso il contenuto sarà rappresentato da una ricognizione fattuale/giuridica del presupposto
del tributo (idoneo a consentire la determinazione della base imponibile e la successiva liquidazione
dell’imposta); si potranno poi aggiungere altre indicazioni richieste dalle singole leggi d’imposta, per
agevolare il controllo amministrativo, mediante informazioni sul soggetto passivo o sull’attività tassata. La
dichiarazione potrà prevedere manifestazioni di volontà del contribuente per destinare parte del tributo a

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scopi benefici. Caratteristica comune a ogni dichiarazione tributaria è la previsione di alcuni requisiti
inerenti la funzione informativa a cui deve assolvere: il 1° si riferisce alla riferibilità della dichiarazione a un
soggetto passivo (che si esprime con il requisito della sottoscrizione della dichiarazione, che ne condiziona
la validità); il 2° è un requisito temporale (che prevede il rispetto di precisi termini in cui la dichiarazione
deve esser presentata). Alla controllabilità amministrativa risponde il requisito della forma legale (nei
tributi rilevanti dal punto di vista economico, si esprime nell’approvazione in sede amministrativa di un
modulo di dichiarazione necessario perchè questa sia valida). Riguardo la natura giuridica della
dichiarazione, essa è una dichiarazione di scienza (in cui il profilo volitivo presenta rilevanza solo al
momento della presentazione e non si estende al contenuto, che è invece obbligatorio). Per quanto
riguarda la dichiarazione dell’imposta sui redditi, dell’IRAP, dell’IVA, deve esser redatta su modelli conformi
a quelli approvati con apposito provvedimento amministrativo da pubblicare in GU, deve essere sottoscritta
dal contribuente o da chi ne ha rappresentanza legale/negoziale e deve esser presentata entro un certo
termine (la violazione di tutto ciò è causa di nullità). Riguardo le modalità di presentazione: banche, uffici
postali, in via telematica all’AE (pag 227).

La rettifica della dichiarazione

Ci si chiede se ci sia la possibilità per il contribuente di correggere, in un momento successivo a quello di


presentazione, eventuali errori commessi nella redazione o nel contenuto della dichiarazione. Secondo
Tinelli ormai si deve ammettere la funzione meramente ricognitiva della dichiarazione (come tale
suscettibile di esser emendata in presenza di errori di rappresentazione del fatto o della sua qualificazione
giuridica. Una serie di norme prevede la possibilità di presentare una dichiarazione integrativa diretta a
correggere errori/omissioni a svantaggio del fisco (salva l’applicazione delle sanzioni) come anche la
possibilità di presentare una dichiarazione integrativa diretta a correggere errori/omissioni che hanno
determinato l’indicazione di maggior reddito o comunque di un maggior debito d’imposta o di un minor
credito. Tuttavia, mentre la dichiarazione rettificativa a favore del fisco può esser presentata entro i termini
stabiliti per l’accertamento tributario, la dichiarazione rettificativa a favore del contribuente può esser
presentata al massimo entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al
periodo d’imposta successivo. Di sostituzione della dichiarazione si potrà parlare quando il contribuente
presenti una seconda dichiarazione da ritenersi integralmente sostitutiva della 1°.

Gli obblighi documentali, contabili e dei terzi

Essi si esplicano sia nell’obbligo di fornire documenti idonei a provare esistenza/dimensioni di un certo fatto
economico come anche obblighi di conservazione di documenti probatori dell’avvenuto pagamento del
tributo e dell’adempimento di obblighi del contribuente. Nel sistema dell’IVA, la legge prevede l’obbligo

31
dell’emissione (in forma cartacea/elettronica) della fattura come adempimento essenziale ai fini
dell’attuazione del meccanismo impositivo. In alcuni casi, dell’obbligo documentale è un 3° (come avveniva
nei casi di scontrino fiscale) che subisce una sanzione nel caso in cui non esibisce il documento o lo esibisce
con corrispettivo inferiore a quello reale, agli organi accertatori.
Dopo la riforma degli anni ’70, il sistema dell’accertamento dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo,
come pure il sistema accertativo proprio dell’iva, ha visto la nascita di obblighi contabili. In particolare, nella
sistematica dell’accertamento delle imposte sui redditi, gli obblighi contabili sono imposti, dal 13 DPR
600/1973, a questi soggetti:
a)società soggette all’IRES;

b) enti pubblici/privati diversi dalle società, soggetti all’IRES, nonché i


Trust;

c) snc,sas;

d)persone fisiche che esercitano imprese commerciali.


Questi soggetti devono tenere (14 del DPR):

a)libro giornale e libro inventari;

b) registri prescritti ai fini dell’IVA;

c)scritture ausiliarie in cui si devono registrare gli elementi


patrimoniali/reddituali;

d) scritture ausiliarie di magazzino.

Gli obblighi dei terzi sono specifichi obblighi (garantiti da sanzioni tributarie) a
carico di soggetti che per effetto di funzioni professionali o di semplice contiguità
col fatto fiscalmente rilevante, si pongono in una posizione di garanti degli
interessi informativi del fisco. La maggior parte sono stati cancellati: ne
rimangono alcuni, specie in materia di accertamento delle imposte sui redditi ed
IVA, ove vengono previsti specifichi obblighi di collaborazione all’attività
istruttoria della P.A. (l’inadempienza trova sanzione nell’11 d. lgs 471/1997). Tra
gli obblighi di collaborazione, abbiamo quello per cui alcuni soggetti pubblici che
svolgono attività ispettive e di vigilanza, devono comunicare fatti che possono
configurarsi come violazioni tributarie.

CAPITOLO 9

32
Il controllo amministrativo

La struttura giuridica del sistema tributario, adottando il cosiddetto “modello della fiscalità di massa”, ha
consentito l’introduzione di tributi ad elevato gettito e destinati ad un’ampia diffusione soggettiva (anche in
presenza di una organizzazione amministrativa che non ha visto una corrispondente crescita dimensionale
proporzionata al maggiore impegno richiesto). Ciò è stato realizzato con la valorizzazione della
collaborazione del privato all’attuazione del tributo, attribuendo al contribuente responsabilità applicative
tali da ridurre l’intervento amministrativo. Oltre a ciò, in questo sistema vengono riconosciuti ruoli di
controllo preventivo del rispetto della normativa tributaria a soggetti estranei alla p.a. (specie professionisti
legati al contribuente da rapporti fiduciari). Oltre ciò, il sistema di fiscalità di massa impone che l’attuazione
amministrativa del tributo abbia ruolo rilevante sia in chiave preventiva (es. dissuasione di comportamenti
fiscalmente devianti)ma anche in chiave repressiva (cm concreto strumento di recupero del gettito sottratto
all’imposizione). Da questa presenza delle situazioni soggettive nell’attuazione del diritto tributaria, è sorta
la reazione legislativa che è espressa nell’introduzione di norme dello Statuto dei diritto del contribuente
disciplinanti l’attività di accertamento: quindi siamo davanti a un principio di legalità dell’azione
amministrativa (per cui le regole disciplinanti le modalità di intervento amministrativo nell’attuazione del
tributo condiziona la legittimità dell’azione amministrativa stessa e quindi la validità giuridica degli atti con
cui si esprime). In generale però non esiste una disciplina comune ai diversi tributi, mentre si riscontra una
disciplina dell’attuazione amministrativa o accertamento propria per ogni tributo.

Il controllo liquidatorio
L’impossibilità materiale di un controllo generalizzato e capillare su ogni imposizione a rilevanza tributaria
ha imposto la divaricazione tra un controllo liquidatorio (generalizzato) ed un controllo di merito selettivo
(x contemperare esigenze di governo del gettito con quelle di dissuasione di comportamenti fiscalmente
rilevanti). Il controllo liquidatorio si svolge nel settore delle imposte sui redditi, con la procedura prevista
dal 36bis DPR 600/1973. Per questa disposizione, l’amministrazione finanziaria, che si avvale di procedure
automatizzate, procede alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti nonché dei
rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta, entro
l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni che si riferiscono all’anno successivo. Il riscontro su
fonda su dati ed elementi desumibili dalle dichiarazioni ed è diretto a:

a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli
imponibili, imposte, contenuti, premi;
b) correggere errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze delle imposte, dei
contributi, dei premi risultanti dalle precedenti dichiarazioni;
c) ridurre detrazioni d’imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non
33
spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;
d) ridurre deduzioni del reddito esposte in misura superiore rispetto alla previsione legislativa;
e) ridurre i crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti
sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;
f) controllare rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti delle imposte, dei
contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di
sostituto d’imposta.
Nel caso di esito positivo del controllo, la liquidazione amministrativa è comunicata al contribuente o al
sostituto d’imposta per evitare la reiterazione degli errori, consentendo la regolarizzazione degli aspetti
formali e per evitare reiterazione degli errori, nonché dare gli opportuni chiarimenti. In mancanza di
versamento o chiarimenti nel termine di 30 giorni successivi al ricevimento della comunicazione, i
maggiori importi sono iscritti a ruolo a titolo definitivo. Ex 6 “Statuto” prima di iscrivere a ruolo si deve
garantire al contribuente la possibilità di fornire chiarimenti necessari e produrre documenti mancanti
(entro termine congruo comunque non inferiore a 30 giorni dalla ricezione della richiesta). Tale regola
riproduce il 36bis DPR 600, ma trova una significativa garanzia nella sanzione di nullità degli atti emessi in
violazione di tali disposizioni contenuta nell’ultima parte del 5° 6.
Un’altra forma di controllo liquidatorio è quella del 36ter del DPR 600, che si svolge secondo modalità
differenti rispetto all’istituto precedentemente esaminato e si dirige ad un sindacato amministrativo della
liquidazione dell’imposta con riscontro dei supporti probatori usati dal contribuente. Il controllo tende a
a)escludere (in tutto o in parte) lo scomputo delle ritenute d’acconto non risultanti dalle dichiarazioni dei
sostituti d’imposta, delle comunicazioni, delle certificazioni richieste da contribuenti;
b)escludere le detrazioni d’imposta non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli
elenchi ex 78 l.413/1991;
c)escludere le deduzioni del reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti o agli
elenchi menzionati in b);
d) determinare i crediti d’imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti
richiesti ai contribuenti;
e) liquidare la maggior imposta sul reddito delle persone fisiche;
f) correggere errori materiali e di calcolo commessi dai sostituti d’imposta. (pag 249-250).

La programmazione selettiva dei controlli


controllo liquidatorio di cui al 36ter è di particolare importanza in quanto introduce il tema della selezione
dei contribuenti nei confronti di cui avviare l’attività di controllo. Dopo alcuni tentativi diretti ad assegnare
alla sorte oppure ad indici esterni, la normativa in materia di accertamento delle imposte sui redditi ha
fondato la scelta dei contribuenti da controllare sulla centralizzazione amministrativa dei criteri da adottare
da parte degli uffici periferici (affidando a una produzione normativa interna la determinazione annuale di
criteri selettivi per programmare azione di controllo, tali da tener conto anche della capacità operativa dei
singoli uffici). Il decreto ministeriale provvede annualmente a programmare l’azione amministrativa di
34
controllo e ad individuare le attività nei confronti di cui deve indirizzarsi l’accertamento tributario (tenendo
conto non solo di indici di pericolosità fiscale delle diverse attività produttive, ma anche dei risultati delle
verifiche condotte negli anni precedenti, come pure delle dimensioni economiche e della localizzazione
territoriale delle attività).

I poteri istruttori dell’amministrazione finanziaria


Questi potere istruttori nascono al fine di controllare la corretta applicazione della normativa tributaria (in
particolare per il rispetto degli obblighi strumentali tributari). Ora, l’elencazione dei potere istruttori deve
ritenersi tassativa (sia per effetto della necessaria legalità dell’azione amministrativa, ma anche
conseguentemente al riconoscimento a livello costituzionale di una serie di posizioni soggettive che
vengono ad essere limitate dall’intervento amministrativo). I poteri istruttori sono regolati dal 31 e ss. DPR
600. Il 31 individua le attribuzioni degli uffici, il 32 elenca i poteri di cui l’ufficio dispone per realizzare tali
compiti istituzionali (in questo senso è rilevante l’individuazione della competenza territoriale dell’ufficio). Il
DPR si occupa poi anche di regolamentare una collaborazione tra Autorità competenti di Stati UE (per
garantire l’accertamento corretto delle imposte sul reddito e sul patrimonio). La Guardia di Finanza coopera
con gli uffici amministrativi per acquisire e reperire elementi utili ai fini di accertare/reprimere violazioni
alle leggi tributarie (con propria iniziativa o su richiesta degli uffici. La Guardia di Finanza utilizza e trasmette
agli uffici i documenti, previa autorizzazione giudiziale relativa al “segreto”).
I potere istruttori usabili dagli uffici si distinguono tra: potere esercitabili verso i contribuenti (la situazione è
la stessa del sostituto d’imposta) e potere esercitabili verso i terzi (essi sono i soggetti non direttamente
influenzati dall’azione amministrativa, perchè estranei alla manifestazione di capacità contributiva); questa
distinzione serve per diversificare le conseguenze ricollegabili al mancato adempimento degli obblighi
previsti dalla legge (in quanto il 32 prevede una certa forma di preclusione di utilizzo a favore del
contribuente dei documenti, libri, registri, non esibiti o non trasmessi in risposta agli inviti degli uffici).
Tra i potere esercitabili verso i contribuenti.
1)potere che danno luogo ad una compressione dei diritti del contribuente (il 33 disciplina l’esecuzione di
accessi, ispezioni, verifiche che si pongono quindi verso diritti di privacy. Ex “Statuto” questi devono esser
svolti, nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche, professionali,
sulla base di specifiche esigenze di indagine/controllo, durante l’orario di esercizio, recando la minor
turbativa possibile. Non serve in questi casi autorizzazione giudiziale (vs 14 3° cos): l’autorizzazione però
serve quando l’accesso riguardi locali adibiti ad abitazioni, ovvero per perquisizioni personali ovvero per
l’apertura di casseforti, borse, mobili ecc ovvero quando c’è segreto professionale. L’ispezione può durare
massimo 30 giorni; di ogni accesso si fa processo verbale e il verbale deve esser sottoposto al contribuente
o al suo rappresentante; questi può entro 60 giorni comunicare osservazioni/richieste valutabili dagli uffici
impositori (introduzione del contradditorio per verificare l’emanazione di atti dotati di rilevante attitudine

35
lesiva di posizioni soggettive del contribuente), a tutela di ciò l’avviso di accertamento non può esser
comunicato prima di questo termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Particolare forma di
accesso presso aziende e istituti di credito e Amministrazione postale per rilevare i dati/notizie che si
riferiscono ai rapporti coi clienti: autorizzazione del Diritto Regionale delle Entrate ovvero Del Comandante
regionale della GDF, accesso effettuato da ufficiali di Guardia di Finanza dal Capitano in su)

2)potere non suscettibili di dar luogo a compressione di diritti soggettivi del contribuente (essi generano
solo obblighi di collaborazione con l’amministrazione finanziaria: sono gli “inviti a comparire”
personalmente o con rappresentante per fornire dati/notizie rilevanti per l’accertamento, gli “inviti ad
esibire” o a trasmettere atti/documenti; l’invio di “questionari” ai contribuenti relativi a dati/notizie di
carattere specifico, col dovere di ridarli firmati).
Potere esercitabili verso i terzi (organi/amministrazioni Stato, enti pubblici non economici, società che
fanno riscossioni/pagamenti in conto di terzi ecc. Molto delicate sono le richieste di informazioni
riguardanti rapporti di contribuenti e aziende/istituti di credito con Amministrazione postale, società
fiduciarie, ogni altro intermediario finanziario: qui la richiesta deve esser autorizzata con modalità
analoghe a quelle previste per l’accesso presso le banche. L’amministrazione finanziaria può richiedere poi
ai soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili, dati, documenti relativi ad attività svolte in un
certo periodo d’imposta verso clienti, fornitori, prestatori di lavoro autonomo.)
Tutela del contribuente verso illegittimo esplicarsi dell’attività istruttoria amministrativa. Riguardo agli atti
che danno luogo alla compressione di un diritto fondamentale del contribuente, la giurisprudenza di Corte
Costituzionale ha fatto una lettura sistematica, ponendo il rispetto delle regole istruttorie come
presupposto della legittimità di ogni successivo atto che si fondi sull’acquisizione probatoria illegittima.
Esiti del controllo:
A)si riscontra la regolarità del comportamento del contribuente o la mancata individuazione d’elementi
utili a supportare una ricostruzione dell’imponibile o dell’imposta in misura diversa/superiore a quella
dichiarata (in questo caso il controllo si conclude con lo stesso atto col quale si giunge alla constatazione di
fatti a rilevanza tributaria. Tuttavia successivamente la Guardia di Finanza o l’amministrazione finanziaria
potranno fare ulteriori controlli e verifiche nei termini entro cui può essere notificato l’accertamento
tributario.

B) si individuano elementi idonei a fondare una pretesa tributaria diretta al recupero d’imposta o alla
rideterminazione dell’imponibile fiscalmente rilevante (in questo caso le risultanze istruttorie acquisite
sono poste a base dell’accertamento tributari, quando da queste derivi un recupero d’imposta o una
rettifica dell’imponibile oppure un provvedimento d’irrogazione di sanzione amministrativa)

L’accertamento tributario
L’esito positivo del controllo introduce l’accertamento tributario “in senso stretto” (esso rappresenta
l’attività di affermazione amministrativa della pretesa tributaria conseguente alla rideterminazione
36
dell’imposta o dell’imponibile in maniera diversa da quella rappresentata dal contribuente oppure alla
determinazione dell’imponibile e dell’imposta nelle ipotesi di omessa dichiarazione). Il DPR 600 contiene la
disciplina meglio articolata. Un primo problema è la rilevanza in sede di accertamento della cosiddetta
interposizione fittizia” (37 DPR 600): per questo art, oggi in sede di rettifica/accertamento d’ufficio sono
imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti (quando dimostrato che questi ne è
l’effettivo possessore per interposta persona: con questa norma si consente al fisco di superare l’assetto
formale dei rapporti, dirigendo l’accertamento anche verso un soggetto interposto, disconoscendo l’effetto
dell’interposizione). Ci si è poi chiesti se l’accertamento si debba necessariamente rivolgere verso la tutela
dell’interesse del fisco (precludendo così un intervento favorevole al contribuente) ovvero possa esperirsi
anche quando porti uno svantaggio per il fisco: ad oggi il 38 1° stabilisce che l’Ufficio delle Imposte procede
alla rettifica delle dichiarazioni presentate dalle persone fisiche quando il reddito complessivo dichiarato
risulta inferiore a quello effettivo o non sussistono o non spettano in tutto o in parte le deduzioni dal
reddito o le detrazioni d’imposta indicate nella dichiarazione.
La disciplina giuridica dell’accertamento. Metodi e presupposti di validità

La particolare forza giuridica che la legge attribuisce all’accertamento tributario, porta con sé anche
l’esigenza di determinare normativamente i presupposti di legittimità e il contenuto dell’atto nonché di
condizionare la validità al rispetto di tali regole da parte dell’autorità amministrativa, per assicurare la
tendenziale conformità dell’azione amministrativa alla funzione attuativa della volontà della legge. I
presupposti sono costituti da regole dirette ad adattare l’istruttoria amministrativa alla situazione base
oggetto di accertamento nonché regole capaci di garantire contradditorio tra amministrazione e
contribuente nella fase genetica dell’atto; le prescrizioni che si riferiscono al contenuto sono invece dirette
a garantire la regolarità formale dell’atto e quindi la sua riferibilità ad un organo amministrativo dotato di
attribuzioni effettive sul rapporto d’imposta (ma anche un’adeguata rappresentazione delle ragioni poste a
fondamento della ricostruzione amministrativa della base fattuale e giuridica del tributo). I presupposti
dell’accertamento si esprimono nella tematica dei cosiddetti “metodi di accertamento”: esse sono una serie
di regole dirette a collegare alla particolare situazione di fatto da osservare i livelli di attendibilità
dimostrativa minimi ai fini dell’affermazione della pretesa accertativa. La legge quindi disciplina la prova del
fatto ignoto sulla base delle caratteristiche del fatto da dimostrare ma anche del grado di collaborazione
offerto dal destinatario dell’attività di accertamento alla concreta ricostruzione del fatto ignoto
(condizionando validità dell’atto amministrativo al rispetto di tale articolazione e lasciando poi alla
successiva dialettica conoscitiva la concreta ricostruzione probatoria del fatto). Il sistema accertativo delle
imposte sui redditi propone la fondamentale distinzione tra accertamento in rettifica e accertamento
d’ufficio: il 1° si dirige alla rettifica della dichiarazione dei redditi, il 2° prescinde dalla dichiarazione, in
quanto omessa o non valida. Nell’IRPEF l’accertamento in rettifica si distingue tra analitico e sintetico: la
differenza dipende dal diverso angolo di osservazione della base imponibile del tributo che deve avvenire
37
con analisi delle singole fonti reddituali ex schema 6 TUIR n.917/1986. Riguardo l’accertamento analitico, la
norma distingue l’accertamento dei redditi diversi da quelli derivanti dall’esercizio di attività
commerciali/lavoro autonomo (per questi l’incompletezza, falsità, inesattezza dei dati si possono desumere
dalla dichiarazione stessa) dall’accertamento di questi ultimi.
L’accertamento dei redditi determinanti in base a scritture contabili

Articolata è la previsione riguardante le prove utilizzabili nell’accertamento dei redditi determinati in base
alle scritture contabili (in connessione all’equilibrio che la legge pone tra adempimento degli obblighi
formali e rispetto in sede di accertamento delle risultanze contabili anche a favore del contribuente). La
struttura della norma è fondata sulla contrapposizione tra metodo contabile (che propone la ricostruzione
del reddito nel rispetto della base dimostrativa delle scritture contabili) e un metodo extracontabile
“presuntivo” (che presuppone la violazione aprendo la porta ad una ricostruzione del reddito stesso
secondo schemi dimostrativi alternativi a quello contabile). Il 39 1° DPR 600 stabilisce che l’ufficio procede
alla rettifica dei redditi d’impresa e di quelli derivanti dall’esercizio di arti/professioni:
a) se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio, del conto dei
profitti/perdite e dell’eventuale prospetto;
b) se non sono state applicate esattamente le disposizioni del capo VI TUIR N.917/1986;
c) se l’incompletezza/falsità/inesattezza dei dati della dichiarazione risulta da verbali e questionari ex 32,
dalle altre dichiarazioni ecc; d) se l’incompletezza/falsità/inesattezza degli elementi indicati nella
dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili e dalle altre verifiche ex 33.

Accertamento contabile. Esso prevede un controllo di diritto (per verificare la corretta applicazione di
norme del TUIR in materia di reddito d’impresa) e un controllo di fatto (con oggetto la dimensione effettiva
degli elementi su cui si è fondata la dichiarazione). Da ciò la corretta tenuta delle scritture contabili non
preclude un sindacato di merito riguardo la base fattuale del singolo fatto di gestione, ma condiziona il tipo
di prova valorizzabile a tal fine che deve presentarsi come caratterizzata da un livello di attendibilità
accentuato, per tutelare l’interesse del destinatario dell’attività di accertamento, ma anche prevenire la
formazione di atti destinati a non superare il vaglio giurisdizionale.
Accertamento extra-contabile. Questa visione è però capovolta dal 39 che prevede un metodo presuntivo:
in esso vengono meno le prescrizioni sulla raccolta e sul contenuto della prova usabile per rettificare il
reddito d’impresa, svincolandosi l’azione accertativa dal rispetto di regole formali, come anche dalla
valutazione delle risultanze contabili dell’impresa (conseguentemente a una violazione da parte del
contribuente delle cosiddette “regole del gioco”). In pratica è possibile rilevare d’ufficio il reddito
d’impresa (sulla base di dati/notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza, con facoltà di prescindere in
tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi
anche di presunzioni prive di requisiti di gravità, precisione, concordanza). Per la legge questo metodo è
adottabile in gravi situazioni che impediscono alla p.a. di fare affidamento sulle basi contabili dell’impresa

38
(specie per un comportamento sospetto o superficiale del contribuente, ma anche per situazioni di forza
maggiore). Per Tinelli questo metodo è però un’extrema ratio, proprio per queste ragioni. I presupposti
sono comportamenti omissivi: ad esempio mancata indicazione del reddito d’impresa in dichiarazione,
irregolarità formale delle scritture tale da condizionare l’attendibilità per mancanza delle garanzie proprie
di una contabilità sistematica ecc.
Accertamento in base a studi di settore

Questo è possibile per le cosiddette “imprese minori”: essi sono dei soggetti per cui la legge prescrive
obblighi contabili meno stringenti in virtù delle dimensioni . Il 62 bis d.l.331/1993 ha introdotto questo
sistema. In particolare gli uffici amministrativi (con associazioni professionali e di categoria) elaborano
appositi studi di settore idonei ad individuare elementi caratterizzanti l’attività esercitata, rendendo così
più efficace l’azione accertativa verso i contribuenti appartenenti allo stesso settore economico. Gli effetti
degli studi di settore sono previsti dal 3° 62 sexies che prevede la possibilità di una rettifica analitica
fondata sull’esistenza di gravi incongruenze tra ricavi, compensi, corrispettivi dichiarati. Così dicendo, ai
risultati degli studi di settore è data un’efficacia dimostrativa privilegiata (idonea a dimostrare una base
attendibile della rettifica, salva la possibilità per il contribuente di dimostrare positivamente la differente
composizione dei fattori economici nella specifica attività realizzata). Attualmente però il 37 2°
d.l.223/2006 ha modificato il 10 l.146/2008, concernente le modalità d’utilizzazione degli studi di settore in
sede d’accertamento. Ad oggi la nuova disciplina permette di rettificare la dichiarazione riguardanti ogni
periodo d’imposta, in relazione a cui il contribuente non è risultato congruo, con le risultanze degli studi di
settore, superando quindi la regola dell’incongruenza dei 2 periodi d’imposta su 3 precedentemente
prevista dal citato 10 2°. La problematica è però sulle caratteristiche di formazione degli studi di settore:
questi si fondano su un’analisi di tipo statistico delle diverse realtà economiche e ciò non si raccorda bene
con la funzione dimostrativa di tipo storico che dovrebbe caratterizzare la prova del fatto a rilevanza
tributaria. Da ciò si apre la discussione riguardo la natura giuridica da attribuire agli studi di settore: ciò
secondo alcuni porterebbe ad inquadrarli tra le presunzioni semplici (inidonee ad invertire l’onere della
prova del fatto ignoto, ma destinate ad operare insieme ad altri elementi indiziari); altri autori riconoscono
la natura presuntiva dello strumento (ma vi attribuiscono natura legale ritenendo sussistenti negli studi di
settore i requisiti di gravità, precisione, concordanza, con possibilità comunque di prova contraria a carico
del contribuente). In altri studi si è cercato di ricostruire la portata dimostrativa degli studi di settore,
facendo leva sul concetto di “massime di comune esperienza” per le quali il giudice potrebbe prescindere
dall’accertamento del fatto ignoto (derivando da ciò la limitazione dell’inversione dell’onere della prova da
essi derivante alla massima stessa). C’è poi un’altra tesi, per cui gli studi di settore, fondandosi su dati
statistici e descrittivi, non potrebbero assurgere a elementi dimostrativi del fatto ignoto, mentre
rappresenterebbero “fatti di mera conoscenza” destinati a costituire parti tecniche estimative di un
discorso retorico di tipo deliberativo. Se si riconoscesse natura presuntiva agli studi di settore, gli stessi
dovrebbero valere anche a favore del contribuente. Queste perplessità però non devono far abbandonare
la visione legislativa, che ha ritenuto di affidare la ricostruzione del fatto ignoto nell’accertamento dei
soggetti di ridotte dimensioni economiche a strumenti di correttezza sistematica. A livello Costituzione poi
tutto regge: infatti il contribuente ha diritto alla prova contraria. Nella pratica si sono rilevati come un
efficace strumento di gettito.

L’accertamento sintetico (l.78=Manovra finanziaria 2010)

Esso è un accertamento svincolato dall’analisi delle singole fonti di reddito ed è diretto a ricostruire il
reddito complessivo IRPEF sulla base di una logica presuntiva differente rispetto a quella posta a base della
ricostruzione analitica. E’ quindi questo un accertamento di 2°, diretto a prevenire un vuoto d’imposta,
conseguente ai limiti dell’accertamento analitico, quando c’è una situazione di contrasto tra reddito
derivante da ricostruzione analitica e reddito complessivo netto che risulta accertabile sulla base del
contenuto induttivo attribuibile alle spese sostenute dal contribuente. Questo tipo di accertamento ha

39
come parametro l’uomo medio (che destina al consumo personale o familiare somme non superiori a
quelle di cui dispone o a titolo reddituale o a titolo patrimoniale). Questo metodo è piuttosto delicato: urge
quindi delineare una serie di garanzie dirette ad imporre una ponderazione quantitativa al ricorso a questo
strumento (il 38 DPR modificato dalla l.78/2010 introduce una soglia minima di accesso alla rettifica
sintetica: il reddito complessivo accertabile deve eccedere almeno di 1/5 quello dichiarato) nonché una
selezione e valutazione degli elementi indicativi di capacità contributiva (la 2° parte del 4°, dopo la l.78,
prevede che l’accertamento sintetico possa fondarsi sul contenuto induttivo di elementi indicativi di
capacità contributiva individuato con l’analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in
funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza, con decreto Ministero Economia da
pubblicare in GU ogni 2 anni. In tal caso si fa salva la prova contraria per il contribuente: questi può
dimostrare che il maggior reddito determinato/determinabile sinteticamente è fatto in tutto o in parte da
redditi esenti o da redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta. Il procedimento prevede che gli
uffici amministrativi invitino il contribuente a comparire di persona o con rappresentanti legali per
consentire la produzione di dati/notizie rilevanti per l’accertamento. Si avvia quindi il
contradditorio.)Infine, la legge prevede che la ricostruzione sintetica del reddito è limitata al solo anno
d’imposta oggetto di accertamento (non sugli anni precedenti).

L’accertamento d’ufficio (art 41 DPR)

In caso di invalida (quando la dichiarazione è scritta su moduli non conformi a quello ministeriale) o
mancata presentazione della dichiarazione da parte del contribuente (dichiarazione non sottoscritta o
presentata oltre i termini di legge) l’attività di accertamento è diretta a sostituire integralmente la
dichiarazione. Lo schema è molto simile all’accertamento extracontabile, in quanto l’amministrazione deve
poter usare, mancando la collaborazione del contribuente, le fonti dimostrative di cui dispone per
ricostruire nel modo più attendibile il reddito. E’ un accertamento tendenzialmente analitico in quanto
l’ufficio deve determinare i singoli redditi (se non è possibile, il reddito complessivo del contribuente)sulla
base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con la facoltà di potersi avvalere
di presunzioni prive dei requisiti di gravità/precisione/concordanza. Si potrà anche usare il metodo
sintetico d’accertamento. L’argomentazione contraria del contribuente eventuale, deve fondarsi su una
prova altrettanto attenuata.

Principio dell’unicità dell’accertamento. Accertamento parziale

Il principio in questione non trova espressione normativa, desumendosi a contrario dalla disciplina degli
accertamenti integrativi e modificativi contenuta nel 4° del 43. In base a questo art l’atto di accertamento
(notificato al contribuente) può essere integrato/modificato in aumento (fino alla scadenza del termine di
decadenza previsto da legge) ma solo in base a sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi (da indicare
specificamente a pena di nullità nell’avviso di accertamento). Così la legge impone un’adeguata
ponderazione di elementi probatori a disposizione dell’ufficio, per evitare che atti o fatti siano in seguito
valorizzati (in presenza es. di una fondata contestazione da parte del contribuente di quelli usati
dall’ufficio). Si han però dei casi in cui la prova di singoli rilievi può presentarsi già attendibile, ma ciò non si
può dire dell’intera posizione fiscale del contribuente relativa a un certo periodo d’imposta: in questo caso
la notificazione di un avviso di accertamento che valorizzi solo gli elementi probatori già acquisiti finirebbe
per imporre una limitazione ad un successivo approfondimento della posizione reddituale del
contribuente. per questo motivo gli uffici dell’AE possono limitarsi ad accertare il reddito o il maggior
reddito imponibile qualora dagli accessi/ispezioni/verifiche o da dati in possesso dell’anagrafe tributaria
risultino elementi che consentano di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato ovvero il maggior
ammontare di un reddito parzialmente dichiarato (che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito
imponibile). Questa attività di accertamento deroga a quella ordinaria (quest’ultima si fonda
sull’attendibilità delle fonti informative da cui promana la base probatoria del recupero a tassazione).

40
Avviso di accertamento

41
L’attività d’accertamento si formalizza con la notifica al contribuente dell’avviso di accertamento
(nell’ambito di cui sono valorizzati ai fini della contestazione al destinatario elementi di fatto e di diritto a
base della rettifica della dichiarazione o dell’accertamento d’ufficio). L’avviso d’accertamento è atto
recettizio (il 42 prevede l’obbligo di portare a conoscenza gli accertamenti in rettifica e d’ufficio con la
notificazione di appositi avvisi condizionando quindi la legittimità dell’azione accertatrice alla legale
conoscenza dell’atto da parte del destinatario. L’omessa/irregolare notifica dell’atto ne pregiudica la
legittimità, salva la sanabilità di certi vizi con la nuova correzione nei termini ex 43). Forma e contenuto
individuati da legge.

1)Presupposti di legittimità dell’atto d’accertamento. 1°)competenza funzionale/territoriale dell’ufficio che


lo emette: questa è attestata dalla sottoscrizione dell’atto stesso dal capo dell’ufficio o da altro impiegato.
La violazione delle regole su competenza/sottoscrizione dell’atto ne pregiudicano la validità.

2) Presupposti di forma: importante il 42 che vuole che l’avviso rechi indicazione dell’imponibile o degli
imponibili accertati, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, per consentire al destinatario di
poter agevolmente ricostruire l’azione accertatrice nell’analisi delle singole operazioni compiute
dall’ufficio.

3) Accertamento motivato relativamente ai presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno


determinato. Con la motivazione il destinatario può quindi valutare la fondatezza dell’atto ai fini delle
successive determinazioni (è quindi uno dei presupposti di legittimità più importanti). La legge disciplina
con dettaglio l’obbligo di motivazione di questo atto, anche considerando la sua idoneità a stabilizzare la
pretesa tributaria in esso contenuta nel caso di mancata impugnazione in sede giurisdizionale (sancendo
una sanzione di nullità conseguentemente alla mancanza di motivazione dell’atto d’accertamento).
Giurisprudenza e dottrina si sono contrapposte spesso sul contenuto dell’obbligo di motivazione dell’avviso
di accertamento: la giurisprudenza, come la dottrina, ha in seguito abbracciato la visione garantista per il
contribuente dell’obbligo di motivazione , Già l’originario testo del 42 prevedeva una sanzione di nullità
collegata alla violazione dell’obbligo di motivazione (differenziando così l’illegittimità dell’atto di
accertamento per difetto di motivazione in quanto in questo caso il fatto ipoteticamente provato non è
rappresentato idoneamente in motivazione e provoca una non conformità dell’atto di accertamento al
modulo legale descritto dal 42, dall’illegittimità dello stesso atto per difetto di prova del fatto fiscalmente
rilevante e in questo caso la motivazione è incensurabile nel suo contenuto esternativo, ma la portata
dimostrativa su cui si fonda l’atto è contestata dal contribuente con apporti conoscitivi o logici che ne
incrinano le basi fattuali o giuridiche su cui l’accertamento si poggia e in questo caso l’accertamento è
infondato sul merito quindi illegittimo).

4) termine decadenziale entro cui si deve perfezionare la notifica dell’avviso: gli avvisi di accertamento ex
43 devono essere notificati entro il 31/12 del 4° anno successivo a quello in cui è stata presentata la
dichiarazione. Nei casi di omessa dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla, l’avviso di
accertamento può esser notificato fino al 31/12 del 5° anno successivo a quello in cui la dichiarazione
avrebbe dovuto esser presentata. Ex 4° 34 (aggiunto con il dl 223/2006) i suddetti termini decadenziali
sono raddoppiati per il periodo d’imposta in cui sono state commesse violazioni comportanti l’obbligo di
denuncia penale per i reati ex d. lgs 74/2000.

5) rispetto del termine dilatorio ex 12 7° “Statuto”: si dispone che l’accertamento non possa esser emanato
prima della scadenza del termine di 60gg previsto per la presentazione di osservazioni/richieste del
contribuente a seguito di rilascio di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni di controllo
fiscale.

Con la finanziaria 2010 si richiede che gli avvisi di accertamento rechino “l’intimazione ad adempiere”
l’obbligo del pagamento degli importi ivi indicati. In questo modo l’avviso di accertamento assume natura
esecutiva : infatti l’avviso di accertamento deve indicare che, decorsi i 30 giorni dal termine ultimo per il
42
pagamento, la riscossione delle somme ivi indicate è affidata in carico agli Agenti della Riscossione
competenti anche per l’esecuzione forzata. Se sussiste un fondato pericolo per l’adempimento
dell’obbligazione tributaria, decorsi 60gg dalla notifica dell’avviso di accertamento, la riscossione integrale
delle somme è affidata agli Agenti per la Riscossione che procederanno all’espropriazione forzata. L’unico
limite per gli Agenti è che, se decorre un anno dalla notifica dell’avviso di accertamento, l’azione esecutiva
dovrà essere preceduta dalla notifica dell’avviso ex 50 DPR 602/1973. Una volta notificato, per effetto della
natura recettizia, l’atto di accertamento è idoneo a produrre i suoi effetti, che continuano a prodursi anche
nella pendenza della verifica giurisdizionale, fin quando un provvedimento incida sulla sua legittimità,
imponendone l’annullamento (parziale o totale) da parte dell’ufficio che lo ha formato. Infine, l’esercizio
del potere di autotutela può esser attivato dal contribuente ovvero dall’interesse dell’Amministrazione a
prevenire situazioni tali da generare vasto contenzioso ovvero dal Garante del contribuente ex 13
“Statuto” (in caso di irregolarità, disfunzioni, prassi amministrative anomale, irragionevoli, altri
comportamenti incrinanti rapporto di fiducia cittadini/amministrazione finanziaria).

La definizione consensuale dell’accertamento

Con il d. lgs 218/1997 “Disposizioni in materia di accertamento con adesione e di conciliazione giudiziale”
cadono tutti i limiti legali alla definibilità in sede amministrativa dell’accertamento tributario, stabilendosi
alcune regole dirette a garantire stabilità della definizione (in questo senso il 2 3° d.lgs. 218/1997 prevede
che l’accertamento con adesione non è soggetto a impugnazione, non è integrabile/modificabile da parte
dell’ufficio e preclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, salve le ipotesi di sopravvenuta
conoscenza di nuovi elementi in base a cui si può accertare maggior reddito superiore al 50% del reddito
definito. L’impulso per la definizione può esser dato d’ufficio ovvero di parte e l’atto di accertamento con
adesione è redatto con atto scritto in 2 copie e deve indicare, separatamente per ogni tributo, elementi e
motivazione su cui la definizione si fonda, liquidazione delle maggiori imposte, sanzioni e altre somme
dovute eventualmente. A tale atto segue entro brevi termini il versamento diretto delle somme dovute o
la rateizzazione degli importi idoneamente garantita dal contribuente e da ciò deriva il perfezionamento
della definizione) e attuazione delle sanzioni derivanti dall’accertamento.

Natura giuridica dell’accertamento con adesione (2 impostazioni). Una impostazione tende ad attribuire
all’accertamento con adesione una funzione di concorso del privato alla produzione degli effetti obbligatori
nascenti dall’atto di accertamento: questa impostazione però si scontra con la natura dell’attività di
accertamento che non può ritenersi idonea a generare effetti obbligatori, ma solo ad individuare
dimensioni fattuali e giuridiche del rapporto tributario originario dal verificarsi del presupposto d’imposta.
Bisogna allora attribuire effetti dispositivi di diritti già esistenti da parte di soggetti che ne sono titolari,
ricorrendo all’assimilazione con istituti civilistici ad esempio transazione. In questo modo però si deve
rinunciare al dogma dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria ( di solito attribuito alla base giuridica
del rapporto d’imposta considerando la sua base pubblicistica e la sua specifica finalizzazione).

Secondo Tinelli, i problemi di queste impostazioni avrebbero termine se si pensasse all’accertamento con
adesione come un accordo sulla rappresentazione dei fatti alla base dell’obbligazione tributaria (in questo
senso diventa solo uno dei metodi di accertamento, caratterizzato però dal fondamentale rapporto
consensuale). In definitiva allora, l’accertamento con adesione sarebbe il risultato di un accordo sulla prova
(per cui l’ufficio non è tenuto a dimostrare secondo regole ordinarie il maggior reddito e il contribuente
rinuncia ad una verifica giurisdizionale sulla fondatezza della pretesa fiscale).

L’accertamento in materia di IVA (dpr 633/1972)

Questo istituto vede nella propria struttura documentale tratti comuni alle regole sulla dimostrazione del
fatto nella disciplina del reddito d’impresa: ciò si esprime in alcuni istituti derogatori rispetto alle regole
tipiche delle imposte sui redditi, che in alcuni casi vedono vera identità di disciplina ottenuta con rinvii
43
interni ovvero con estensioni all’IVA della disciplina prevista ai fini delle imposte sui redditi e viceversa. In
materia di IVA anche troviamo la distinzione tra accertamento in rettifica (consiste nella rettifica della
dichiarazione annuale IVA. Esso è disciplinato dal DPR 633/1972 e consiste nella rettifica della
dichiarazione annuale da cui risulti un’imposta inferiore rispetto a quella dovuta ovvero un’eccedenza
detraibile/rimborsabile, superiore a quella spettante. La rettifica però può basarsi anche su presunzioni
semplici (devono però essere gravi, precise, concordanti) e accertamento d’ufficio (presuppone
omissione/nullità della dichiarazione). La legge consente anche un accertamento induttivo ex 55 DPR
633/1972 : esso è diretto alla ricostruzione extracontabile della base imponibile del tributo e può esser
attivato in 2 casi, cioè quando il soggetto non ha presentato la dichiarazione o quando non ha tenuto le
scritture contabili ovvero quando quest’ultime non sono state esibite a richiesta dell’ufficio. L’attività di
accertamento anche qui si estrinseca con notifica degli avvisi di accertamento: questi ex 56 devono
contenere:

a) nell’accertamento in rettifica, l’indicazione degli errori/omissioni/false indicazioni a pena di nullità;

b) nell’accertamento induttivo, l’indicazione dell’imponibile complessivo e dell’aliquota e delle detrazioni


applicate, nonché il perché si è ricorso a questo metodo d’accertamento.

Gli avvisi devono esser notificati a pena di decadenza entro il 31/12 del 4° anno successivo a quello in cui è
stata presentata la dichiarazione. Rettifiche e accertamenti possono essere integrati/modificati con la
notifica di nuovi avvisi a seguito della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi: ciò è da indicare
nell’avviso a pena di nullità Anche qui è possibile per gli uffici procedere a accertamenti parziali: ex 57 i
competenti uffici dell’AE possono limitarsi ad accertare l’imposta o la maggiore imposta dovuta o il minor
credito spettante emersi nel corso di accessi/ispezioni/verifiche. Infine, ex 54bis, l’ufficio può liquidare
l’imposta dovuta in base alla dichiarazione, avvalendosi a tal fine di procedure automatizzate, nonché può
controllare rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti dell’imposta.

L’accertamento in materia di imposte indirette sui trasferimenti e l’accertamento in materia di accise e di


imposte doganali

Di particolare rilevanza qui è rilevare la natura giuridica del negozio da assoggettare a tributo nonché le
dimensioni economiche del presupposto impositivo sui cui applicare l’imposta. Infatti per quando riguarda
l’imposta di registro, l’attività di accertamento è diretta a verificare la congruità dei valori su cui si applica
l’imposta (nei casi in cui non è applicata in misura fissa) individuandosi la natura giuridica nell’atto in sede
d’applicazione dell’imposta in sede di registrazione. Ex 52 DPR 131/1986 , se l’ufficio ritenga che i beni
trasferiti abbiano un valore venale superiore a quello dichiarato, provvede con lo stesso atto alla rettifica e
alla liquidazione della maggiore imposta dovuta. Di conseguenza l’avviso di accertamento in materia di
imposta di registro ha un contenuto sia di rettifica della base imponibile che di liquidazione dell’imposta. La
motivazione dell’atto deve essere tale da consentire al contribuente di ripercorrere l’iter logico-giuridico
che l’ufficio ha seguito nell’effettuare la rettifica: per la giurisprudenza, quest’obbligo di motivazione trae
origine dalla tutela del diritto di difesa del contribuente (che dall’esame delle indicazioni contenute nell’atto
deve essere in grado di valutare adeguatamente fondatezza e legittimità della pretesa fiscale, ai fini delle
successive determinazioni). La legge ha portato riforme recentemente per quanto riguarda l’accertamento

44
in materia d’imposta di registro con riferimento al settore delle operazioni immobiliari: ex 5°bis del 52 d.l.
223/2006 la preclusione all’accertamento ( di cui al 4°) non troverà più applicazione per le cessioni
immobiliari diverse da quelle con oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze effettuate da
persone fisiche che non agiscono nell’esercizio d’attività commerciali, artistiche, professionali. Termini: 3
anni dal pagamento dell’imposta principale. Se però è stato l’Ufficio e non il contribuente a provvedere alla
registrazione, l’Ufficio può notificare l’avviso di liquidazione entro 5 anni dalla data in cui la registrazione
doveva farsi.
La legge, anche nel caso dell’accertamento in materia di accise e di imposte doganali, prevede una
disciplina d’accertamento che presenta caratteri di complessità, in quanto tende a combinare attività di
controllo con quella di rettifica, anche ad iniziativa del contribuente, prevedendo una serie di rimedi di tipo
amministrativo variamente articolati. Fra l’altro gran parte delle violazioni ha natura penale: l’esercizio
dell’azione penale sospende l’attività d’accertamento e interrompe la prescrizione, quindi il giudice penale
avrà la determinazione definitiva dell’imposta nella sentenza di condanna, che costituisce titolo per
riscuotere il tributo.
Avvisi di liquidazione

Normalmente l’attività di liquidazione non è formalizzata in un vero e proprio atto amministrativo, in


quanto costituisce una base d’una più ampia attività d’accertamento, che si conclude con la
determinazione dell’imposta dovuta a seguito della liquidazione dell’imposta stessa, mediante
l’applicazione dell’aliquota sulla base imponibile accertata. L’autonomia della liquidazione si presenta
invece nel settore delle imposte indirette sui trasferimenti di ricchezza: il 41 DPR 131/1986 prevede che
l’imposta di registro è liquidata dall’ufficio con la notificazione d’un apposito avviso di liquidazione,
contenente l’indicazione della base imponibile e dell’aliquota applicata. In materia poi di imposta sulle
successioni, il 33 d.lgs. 346/1990 prevede che l’ufficio liquidi l’imposta, in base alla dichiarazione di
successione, notificando avviso agli eredi. Ora, in materia di imposta di registro e di imposta sulle
successioni, la disciplina degli avvisi di liquidazione è lacunosa; riguardo invece agli avvisi d’accertamento,
la disciplina è puntuale sia con riferimento a forma/contenuto, sia con riferimento ai termini di decadenza,
mentre per gli avvisi di liquidazione non c’è disciplina dettagliata: si è ovviato al problema regolamentando
che l’ufficio competente a notificare l’avviso di liquidazione è lo stesso competente a notificare l’avviso di
accertamento, così anche i termini sono coincidenti. Per quanto riguarda la motivazione: se l’avviso di
liquidazione contenga solo il calcolo matematico dell’imposta, in questo caso per Tinelli non serve
motivazione in quanto non si è davanti a una funzione di controllo della p.a.; invero, se nell’avviso di
liquidazione l’ufficio contesti al contribuente una visione del rapporto d’imposta diversa rispetto a quella
rappresentata in atti attribuibili al contribuente, allora serve motivazione.

45
Capitolo X – L’adempimento dell’obbligazione Tributaria
Adempimento e riscossione

L’adempimento dell’obbligazione tributaria è completamente disciplinato dalle legge, questo


specialmente per tutelare in maniera intensa il credito tributario rispetto alle ordinarie garanzie derivanti
dal sistema civilistico. Proprio per ciò la normativa che disciplina l’adempimento è connotata da un
accento posto sulla funzione pubblica in cui si esprime l’attività di riscossione. Tuttavia secondo Tinelli
parlare oggi di attività pubblica di riscossione vuol dire perdere di vista il fatto che l’intervento
amministrativo nella realizzazione del tributo è marginale, in quanto la collaborazione del contribuente è
centrale.

Situazione precedente.

1) Sistema della riscossione tramite ruolo. Il sistema di riscossione delle imposte dirette, su cui si
concentrava la parte più rilevante del finanziamento della spesa corrente statale, ruotava attorno alla
figura dell’esattore delle imposte: questi era un imprenditore che acquisiva il servizio della riscossione
delle imposte in un certo territorio, cui faceva fronte l’onere di anticipare il versamento delle imposte
risultanti dal ruolo d’imposta, indipendentemente dall’effettiva riscossione nei confronti del debitore.
Tuttavia, quando l’esattore dimostrava di aver compiuto ogni attività per il recupero del credito, ma
queste si erano dimostrate infruttuose, questi aveva diritto al rimborso delle quote inesigibili da parte
dell’erario. Tuttavia questo sistema aveva delle criticità: innanzitutto la riscossione tramite ruolo risultava
onerosa, in quanto il costo del servizio (che variava in relazione agli ambiti territoriali) rappresentava una
posta riduttiva del gettito (quando posto a carico dell’erario) e un aumento della pressione fiscale (quando
posto a carico del contribuente).

2) Sistema della riscossione tramite ingiunzione fiscale Il sistema di riscossione invece previsto per le
imposte indirette, si fondava sulla gestione amministrativa del servizio di Cassazione (cui si univa
l’attribuzione agli uffici stessi dell’azione esecutiva) e ciò si realizzava con l’istituto dell’ingiunzione fiscale.
Questo sistema risultava poco efficiente per quanto riguarda la gestione della riscossione coattiva:
mancando infatti un diretto interesse alla realizzazione del credito tributario, il funzionario amministrativo
aveva più comprensione verso oggettive difficoltà economiche dei contribuenti.

Comunque sia 1) che 2) non potevano adattarsi a una fiscalità di massa.

Riforma. Essa ha portato alla tendenziale unificazione dei sistemi di riscossione delle imposte dirette e
delle imposte indirette, alla generalizzazione dell’adempimento spontaneo del tributo, nonché al
riconoscimento al sistema di riscossione tramite ruolo di una funzione di riscossione “patologica” (quindi
eccezionale)sia per le imposte indirette che per quelle dirette (figura dell’esattore diventa allora quella del
concessionario del servizio pubblico della riscossione dei tributi).

Ritorno alla mano pubblica. Sempre la riforma poi in seguito ha ricondotto la riscossione a una gestione
pubblicistica: è stata creata “Riscossione spa”, oggi Equitalia spa (società di diritto pubblico: 51% AE,
49%INPS. Collabora per le sue funzioni con Guardia di Finanza) che dal 1/10/06 ha il compito di svolgere
attività di riscossione dei tributi mediante ruolo. Il ritorno al pubblico è stato giustificato per il mancato
conseguimento, col sistema precedente, degli obiettivi di recupero del gettito. Rapporti AE-Equitalia: la 1°
esercita le funzioni riguardanti la riscossione nazionale e a funzioni di controllo e coordinamento su
Equitalia; approva poi l’ordine del giorno di quest’ultima, le sedute del Consiglio d’Amministrazione, le
deliberazioni.

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L’adempimento spontaneo (su esso ruota il sistema di realizzazione del credito tributario)

Si realizza col versamento diretto da parte del contribuente della somma dovuta secondo le modalità
previste dalle singole leggi d’imposta. Per le imposte sui redditi la legge prevede il versamento diretto al
concessionario della riscossione o alla tesoreria provinciale dello Stato: il versamento può farsi:

1)con delega irrevocabile a una banca convenzionata, la quale rilascia apposita attestazione conforme al
modello ministeriale;

2)con conti correnti postali intestati al concessionario (la l. 413/1991 ha introdotto il “conto fiscale”: esso
è aperto presso il concessionario competente per territorio in relazione al domicilio fiscale del
contribuente e registra ogni versamento e rimborso relativo alle imposte sui redditi, alle imposte
sostitutive, all’IVA, può anche estendersi ad altri tributi. Le somme riscosse dal concessionario sul conto
fiscale sono versate entro il 3° giorno lavorativo alla sezione di tesoreria provinciale dello Stato o alle casse
degli enti destinatari);

3) pagamenti telematici per soggetti titolari di partita IVA.

La compensazione

Nei rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria, il contribuente (debitore a titolo d’imposta)
può vantare un credito verso l’erario. In tale circostanza si pone il pone il problema dell’applicabilità della
compensazione (metodo satisfattorio delle obbligazioni) disciplinato dal 1241 e ss del C.C. La dottrina che
si è occupata di ciò, ha escluso la compensazione civilistica come causa di estinzione delle obbligazioni
tributarie. Questo perché:

1) lo stato ha necessità di riscuotere senza intralci e rapidamente i tributi;

2) c’è diversa natura tra il credito vantato dall’ente impositore di natura pubblicistica rispetto a quello del
contribuente di natura privatistica;

3) il fatto che le entrate dello Stato di regola si riscuotono in contanti. Secondo la dottrina, mentre è
sempre possibile all’Amministrazione finanziaria compensare un suo credito con un debito del
contribuente, quest’ultimo non può opporre in compensazione un suo debito all’erario.

Ritenuta diretta. Essa è una forma di compensazione prevista dalla legge tributaria, che si applica agli
emolumenti corrisposti dalle amministrazioni statali. Secondo gran parte della dottrina, attraverso questa
si opererebbe una compensazione legale tra debito dell’amministrazione statale avente ad oggetto le
somme che costituiscono reddito e il correlato credito d’imposta a favore dell’erario relativo al reddito
predetto. Tuttavia Tinelli ci dice che oramai non si parla più di essa come nello schema della
compensazione legale: questo perché lo schema della compensazione potrebbe esser usato solo se la
ritenuta è a titolo d’imposta (in quanto solo in tale ipotesi si verifica l’estinzione dell’obbligazione
tributaria) e anche perché la compensazione richiederebbe identità tra amministrazione titolare del
tributo e quella titolare del debito (ciò di fatto si verificherebbe solo per i dipendenti dell’amministrazione
finanziaria). Per questi motivi l’istituto della ritenuta diretta è una semplice modalità pubblicistica di
riscossione dei tributi.

Ipotesi di compensazione: 11 4° e 80 DPR 917/1986: secondo esse se l’ammontare dei crediti d’imposta è
superiore a quello dell’imposta dovuta, il contribuente ha diritto ( a sua scelta) a computare l’eccedenza in
diminuzione dell’imposta relativa al periodo d’imposta successivo o di chiederne il rimborso (sempre in

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sede di dichiarazione dei redditi). Abbiamo poi ipotesi di compensazione di discendenza civilistica,
implicanti identità di posizioni di creditore e debitore, ma anche ipotesi atipiche di compensazione, in cui
manca l’identità: ad esempio 17 d.lgs.241/1997 che ha consentito al contribuente di compensare crediti e
debiti dello stesso periodo anche relativi a tributi diversi (estendendo la compensazione anche quando i
rapporti obbligatori contrapposti riguardano prestazioni non tributarie, ma previdenziali). Ed è proprio la
mancanza di identità ad aver sollevato dubbi sulla equiparazione tra compensazione civilistica e
finanziaria: infatti essendo consentita ex 17 la compensazione anche fra crediti verso l’amministrazione
finanziaria e debiti verso istituti previdenziali, non c’è perfetta identità tra soggetti titolari delle diverse
posizioni creditorie e debitorie. Alcuni per questo ravvisano nel 17 l’operatività di diversi istituti
(riconducibili in parte alla compensazione vera e propria) mentre in gran parte sarebbero da inquadrare
nella delegazione di debito tra contribuente (delegante) ed ente (delegato) avente ad oggetto l’assunzione
di un’obbligazione verso un altro ente delegatario. Usando l’attuale normativa possono esser compensati
(usando modulo di pagamento F24) le imposte sui redditi e le ritenute alla fonte, l’IVA, le imposte
sostitutive delle imposte sui redditi, L’IRAP, i contributi assistenziali, previdenziali e premi (INPS, INAIL,
ENPALS, INPDAI), i diritti camerali, interessi in caso di pagamento a rate, imposta sugli intrattenimenti, le
accise. Tra i recenti interventi legislativi c’è anche poi l’ 8 1° “Statuto” che prevede la possibilità
dell’adempimento del tributo mediante compensazione con un credito del contribuente. Al riguardo tale
disposizione prevede che “l’obbligazione tributaria può esser estinta anche per compensazione” anche se
c’è il rimando ad un apposito decreto attuativo per regolamentare le modalità di adempimento. In pratica
da ciò però si evince che la compensazione è applicabile solo quando previsto da legge: con l’art 8 sembra
esserci un richiamo alla disciplina civilistica della compensazione, ciò quindi potrebbe invero aprire la
strada all’applicazione di tale istituto. Infine, sempre in tema, si è introdotto il contributo unificato di
versamento, grazie a cui la possibilità d’un’estinzione per compensazione dell’obbligazione tributaria è
stata estesa a ogni contribuente, mentre prima era solo per quelli che avevano il conto fiscale. Infine il 2 d.
lgs n.262/2006 ha introdotto una nuova ipotesi di compensazione in fase di riscossione, per il quale l’AE,
quando procede all’effettuazione di un rimborso, verifica l’esistenza di debiti iscritti a ruolo in capo allo
stesso contribuente, per cui l’agente della riscossione procede alla notifica di apposita proposta di
compensazione volontaria (con contestuale sospensione delle procedure di recupero del credito) che il
contribuente è ammesso ad accettare nel termine di 60gg dalla ricezione.

Il ruolo d’imposta (ha funzione residuale)

Il ricorso a questo strumento come metodo di riscossione fisiologica è limitato alle ipotesi in cui
un’autoliquidazione del tributo da parte del privato si presenta complessa o non proponibile o richiede la
disponibilità di dati in possesso dell’ente impositore. Tuttavia questo istituto sopravvive proprio per il
ricorso all’interesse privato nella realizzazione coattiva del tributo: ciò ha fatto si che questo strumento
rimanesse, anche se si è delineato come uno strumento diretto ad intervenire in mancanza di un
adempimento spontaneo del contribuente, che impone un intervento amministrativo di recupero del
credito. La struttura (praticamente immutata dopo le riforme tra cui il dl 203/2005) si fonda sulla
distinzione tra soggetto che forma il ruolo (alla formazione provvede, per i tributi erariali,
l’Amministrazione finanziaria; per gli altri tributi, il soggetto titolare delle attribuzioni attuative) e soggetto
che provvede alla riscossione del credito in esso iscritto (il cosiddetto “agente della riscossione”: egli deve
concretamente individuare il contribuente, portare a sua legale conoscenza il titolo e procedere alla
riscossione del credito portato dal titolo. L’”Agente” è remunerato per tale attività con una somma
rapportata alle caratteristiche di oggettiva difficoltà dell’esazione, determinate su base territoriale in
relazione ad elementi statistici) . Il DPR 602/1973 considera il “concessionario” come colui a cui è affidato
in concessione il servizio di riscossione ovvero il commissario governativo che gestisce il servizio stesso e
“ruolo” l’elenco dei debitori e delle somme da essi dovute formato dall’ufficio ai fini della riscossione a
mezzo del concessionario. Il ruolo diventa titolo esecutivo per la riscossione anche coattiva delle somme
iscritte a ruolo con la “sottoscrizione” o la “validazione”. Abbiamo ruoli ordinari e ruoli straordinari (questi
sono formati quando vi è fondato pericolo per la riscossione, considerando le caratteristiche del credito e
le condizioni del debitore). Il ruolo deve contenere: generalità del contribuente, codice fiscale, descrizione
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del tributo, eventuale motivazione della pretesa (se previsto). L’iscrizione a ruolo può avvenire a titolo
definitivo o a titolo provvisorio (in pendenza cioè di accertamento non definitivo per effetto
dell’impugnazione avanti il giudice tributario). Il DPR 602/1973 in materia di dilazione del pagamento,
dispone che l’agente della riscossione può, su richiesta del contribuente, concedere nelle ipotesi di
obiettiva difficoltà del contribuente, la ripartizione del pagamento delle somme iscritte a ruolo fino a
massimo 72 rate mensili. La sospensione della riscossione può esser disposta dall’autorità amministrativa
che ha iscritto a ruolo ex 39 DPR 602/1973, fino alla data di pubblicazione della sentenza della
Commissione Tributaria Provinciale. L’agente della riscossione riceve il ruolo e notifica lo stesso con la
cartella di pagamento (redatta conformemente allo schema ministeriale, deve contenere :1)l’intimazione
ad adempiere entro 60gg dalla notificazione, con l’avvertimento che in mancanza si procederà ad
esecuzione forzata, 2) responsabile del procedimento di iscrizione al ruolo e di quello di emissione e
notificazione della stessa (a pena di nullità). Il pagamento può esser fatto presso gli sportelli dell’agente
della riscossione, banche, uffici postali. Si può fare anche con mezzi diversi dal contante, ma il pagamento
si considera omesso in caso di assegno scoperto o non pagabile e in caso di utilizzo di carta di credito se il
gestore della carta non fornisce la provvista finanziaria. Il pagamento delle imposte dirette può esser fatto
con la cessione di beni culturali o con compensazione (specie quando, in sede di erogazione d’un rimborso
d’imposta, l’AE rileva che il beneficiario è iscritto a ruolo).

La riscossione coattiva

Con la notifica della cartella esattoriale, il contribuente è messo in mora nel pagamento della somma
iscritta a ruolo, per cui se questi non provveda nel termine di 60gg al pagamento, il concessionario
provvede alla riscossione coattiva del credito. Secondo Tinelli, la procedura di riscossione coattiva
tributaria è una espropriazione forzata speciale. La disciplina si fonda sul DPR 602/1973 che però fa
sovente rinvio alle regole del CPC (ritenendo applicabili le regole sull’espropriazione forzata del CPC ove
non derogate). Ora, rispetto al CPC mancano però il giudice dell’esecuzione e l’ufficiale giudiziario: infatti
la figura del giudice interviene solo in presenza di opposizioni dell’esecutato (l’opposizione all’esecuzione
è ammessa solo se diretta a contestare la pignorabilità dei beni; l’opposizione agli atti esecutivi non è
ammessa se relativa alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo esecutivo) o del 3° (deve esser
promossa prima della data fissata per il 1° incanto e non può esser promossa quando i mobili pignorati
hanno formato oggetto di una precedente vendita nell’ambito di procedura di espropriazione forzata
promossa dall’agente della riscossione verso lo stesso debitore), mentre le funzioni dell’U.G. sono
esercitate dagli ufficiali della riscossione (i collaboratori dell’agente della riscossione).

Procedura (ricalca CPC). 1) Pignoramento, 2)vendita al pubblico incanto dei beni del debitore.

L’agente della riscossione può, per assicurare la proficuità dell’azione esattiva, accedere ai dati
dell’anagrafe tributaria relativi a rapporti finanziari e bancari e anche richiedere detti dati a soggetti
pubblici/privati

L’agente della riscossione può per conto del creditore del tributo presentare istanza di fallimento del
debitore o può chiedere l’ammissione del credito tributario al passivo di un fallimento promosso da altri
creditori. Ex 59 DPR 602 chiunque si ritenga leso dall’esecuzione può proporre azione verso l’agente della
riscossione. Infine, abbiamo le disposizioni che regolano i rapporti tra riscossione coattiva e pagamenti
delle P.A. a favore di debitori iscritti a ruolo: il 48bis del DPR 602 dispone che le P.A. e le società a
prevalente partecipazione pubblica, prima di fare pagamento di un importo superiore a 10000euro,
devono verificare se il beneficiario è inadempiente dall’obbligo di versamento di somme risultanti dalla
notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari a detto importo. Se ciò
ricorre, le PA non fanno il pagamento, segnalando ciò all’agente della riscossione che farà l’attività di
riscossione delle somme iscritte a ruolo avvalendosi del credito vantato dal debitore.

49
Le garanzie del credito d’imposta

Ex 2740cc il contribuente risponde dell’adempimento dell’obbligazione tributaria con tutti i suoi beni
presenti e futuri. La garanzia della conservazione del patrimonio del debitore è rimessa agli ordinari istituti
di diritto comune. Ora però, il Codice Civile prevede una serie di privilegi per il credito tributario, ispirati a
una tutela di tale credito nel concorso con altri crediti: questi sono sia privilegi generali (che si riferiscono
a ogni bene mobile o immobile del debitore) sia privilegi speciali (che si riferiscono a specifici beni mobili o
immobili, consentendo l’aggressione del bene vincolato al privilegio anche nei confronti del 3° acquirente
del bene stesso). Dopo la riforma del 1975 i privilegi trovano specifico riferimento all’imposta a tutela di
cui sono posti. Singole fattispecie di privilegio:il 2752 prevede privilegio generale sui mobili del debitore a
tutela della riscossione dell’IRPEF e dell’IRPEG (ora si intende per l’IRES), sui redditi non rilevanti da
immobili, relativamente ai crediti iscritti nei ruoli resi esecutivi nell’anno in cui il concessionario procede o
interviene nell’esecuzione e nell’anno precedente. (vedi pag 360-361).

50
Capitoli XI – L’indebito Tributario
Indebito tributario e rimborso

L’indebito tributario identifica una situazione creditoria opposta a quella tributaria, che trova la propria
causa nel pagamento di un tributo in misura superiore a quella dovuta. Ora, nelle altre varie ipotesi di
credito d’imposta, la legge prevede il riconoscimento al contribuente di una posizione creditoria nei
confronti del fisco, ma tale posizione non presenta una sua autonomia giuridica ed una causa di
pagamento indebito in quanto rientra nel normale meccanismo di liquidazione dell’imposta. L’indebito
tributario invero deriva dal pagamento d’un’imposta e segue logicamente alla fase di liquidazione
dell’imposta stessa. Il credito d’imposta derivante da un indebito tributario presuppone applicazione non
corretta della normativa tributaria (che quindi da luogo al versamento d’un’imposta superiore a quella
dovuta). I casi in cui ciò può avvenire possono semplicisticamente essere distinti in:

a) “Errore sul fatto a rilevanza tributaria”: in questo caso il versamento spontaneo ovvero imposto
dall’ufficio in sede di controllo amministrativo deriva una rappresentazione non corretta del fatto stesso
(che quindi genera pagamento spontaneo/coattivo di un’imposta superiore a quella che risulta a seguito
della corretta rappresentazione del fatto);

b) “Errore di diritto”: ciò deriva dalla non corretta riconduzione alla fattispecie legale di un fatto
oggettivamente non controverso (sia in sede di dichiarazione che di accertamento);

c)”Modifica con effetti retroattivi della norma impositiva”: il pagamento dovuto originariamente può
divenire indebito a seguito di dichiarazione di incostituzionalità della norma impositiva ovvero dalla
mancata conversione in legge di un d.l. ovvero dall’abrogazione con effetti retroattivi della norma
impositiva;

d) “Modifica con effetti retroattivi del fatto tassabile”: in tal caso si modifica la base fattuale su cui
poggiava l’applicazione del tributo a seguito del verificarsi di situazioni di patologia negoziale (come la
nullità) capaci di eliminare retroattivamente il presupposto del tributo (esempio: dichiarazione di nullità di
un contratto su cui è stata applicata l’imposta di registro, che impone la restituzione dell’imposta quando
derivi da causa non imputabile alle parti, venga accertata con sentenza passata in giudicato o non sia
suscettibile di ratifica, convalida, conferma).

Le procedure di rimborso

La legge le disciplina, sottraendo quindi all’autonomia privata le modalità di attuazione/realizzazione del


diritto al rimborso. La disciplina legale delle procedure di rimborso deriva dall’esigenza di coordinare
l’iniziativa privata di rimborso con la gestione pubblica del rapporto d’imposta, specie nella fase della
modifica in senso negativo d’un’entrata già perfezionata. Oltre ciò il tema dell’indebito si interseca spesso
con quello della rettifica della dichiarazione in quanto la rideterminazione della base imponibile
rappresenta il più delle volte presupposto essenziale per riconoscere l’indebito tributario: in questo senso
la spettanza del rimborso è subordinata all’affermazione di un assetto della fattispecie diverso rispetto a
quello considerato ai fini del versamento dell’imposta. Tuttavia i 2 aspetti, anche se legati da vincolo di
pregiudizialità/dipendenza, si presentano autonomi nella loro dinamica applicativa. Infatti un diritto al
rimborso può derivare a seguito della stessa dichiarazione che ha dato luogo ad un erroneo versamento
per errore di calcolo: ciò si manifesta nelle fattispecie di “rimborso d’ufficio” in cui la realizzazione del
diritto di credito del privato è rimessa ad un’iniziativa ufficiosa della P.A., inserendosi in una situazione di
gestione amministrativa. della riscossione del tributo. La legge prevede il rimborso d’ufficio quando
l’indebito deriva da un’iscrizione a ruolo e l’errore alla base dell’obbligazione di restituzione è riferibile ad
un’attività dell’ufficio nonché quando l’applicazione del tributo genera un credito del contribuente in
conseguenza dell’inderogabilità di adempimenti inerenti il versamento dell’imposta. In questi casi
51
l’Amministrazione cura la realizzazione del credito del contribuente, adempiendo un dovere imposto dalla
legge. Il termine di prescrizione del credito è 10 anni (modello civilistico). A livello procedurale la legge
non disciplina il rimborso d’ufficio: si limita a prevede obbligo di comunicazione al contribuente del
rimborso e la consegna dell’ordinativo al concessionario che provvede alla restituzione.

Rimborso su istanza di parte (è la regola generale, le ipotesi di prima sono ipotesi speciali)

Il 21 d.lgs. 546/1992 prevede la possibilità di azionare l’indebito tributario con istanza da presentarsi entro
il termine di 2 anni dal pagamento ovvero se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per
la restituzione. Ora, questa disciplina non si sovrappone a quella del rimborso d’ufficio, quindi le 2
procedure non sono concorrenziali (questa disciplina si applica se la legge non prevede il rimborso
d’ufficio). Questa disciplina prevede la necessità dell’istanza del contribuente (o del sostituto d’imposta)
che vanti un diritto alla ripetizione dell’indebito. Questa istanza è valida quando indirizzata all’ufficio
competente a disporre il rimborso (competenza funzionale = si determina sulla base delle attribuzioni
previste dalla legge; competenza territoriale = in base a regole proprie del rapporto d’imposta in
discussione, ad esempio domicilio fiscale contribuente o sede dell’ufficio del percettore delle imposte. Il
38 DPR 602 prevede per i versamenti diretti da questo art, una competenza territoriale dell’ufficio sulla
base della sede di quella del concessionario ricevente il versamento indebito, stabilendo anche termine
decadenziale di 48 mesi dalla data del versamento stesso). in materia di imposta di registro, il 77 DPR
131/1986 stabilisce che il rimborso può esser richiesto (a pena di decadenza) entro 3 anni dal giorno del
pagamento ovvero (se posteriore) da quello in cui è sorto il diritto alla restituzione. Il 77 2°, in caso di
imposta di registro su contratti a prezzo indeterminato, stabilisce che se la restituzione dell’imposta
dipende dalla misura dell’imponibile, il termine decorre dal giorno in cui è stato accertato il minore
ammontare.

52
Capitolo XII – Le sanzioni Tributarie
Evoluzione storica del sistema delle sanzioni tributarie

L’attuale sistema delle sanzioni tributarie è il risultato d’un’evoluzione storica, che si può cogliere bene se
si esamina distintamente il settore delle imposte dirette (settore dove l’accertamento/riscossione affidate
ad Amministrazione finanziaria, quindi fino al 1956 la tutela della fattispecie tributaria consisteva in
contravvenzioni punite con ammenda. Tuttavia con la l.1/1956 fu introdotta una pena detentiva per
sanzionare l’omessa denuncia dei redditi oltre una certa soglie nonché il delitto di frode fiscale punito con
reclusione fino a 6 mesi) e quello delle imposte indirette (per questo settore è stato elevato fin dall’Unità
d’Italia a regola la tutela penale della fattispecie tributaria, in connessione alla problematica
individuazione della fattispecie impositiva e in certi casi dei soggetti passivi).

Comunque, la disciplina sanzonatoria ebbe una disciplina generale con la l.4/1929 “Norme generali per la
repressione delle violazioni delle leggi finanziarie” con cui fu organicamente disciplinata la materia delle
sanzioni tributarie relative a tributi erariali: la legge si limitava a prevedere la disciplina generale
applicabile agli illeciti tributari, lasciando poi a singole disposizioni specifiche la regolamentazione di
dettaglio delle relative sanzioni. Questa legge creò la “summa divisio” tra sanzioni penali (derivate da
illecito penale) e amministrative (queste nei casi in cui la sanzione consisteva in un’obbligazione civile di
provvedere al pagamento di somma di denaro che si esprimeva nelle figure tipiche della l.4: pena
pecuniaria e sopratassa). L’art 1 2° conteneva il “principio di fissità” (le disposizioni della stessa legge non
potevano essere abrogate/modificate da leggi posteriori concernenti i singoli tributi, se non per
dichiarazione espressa del legislatore o con specifico riferimento alle singole disposizioni
abrogate/modificate) ; l’art 20 derogava al 2 del Codice Penale introducendo il “principio di ultrattività
della norma penale finanziaria” (con cui si affermava l’applicazione della norma sanzionatoria vigente al
momento della commessa violazione, anche quando questa fosse ormai abrogata ovvero modificata da
altra più favorevole al trasgressore).

Critiche alla l.4/1929. Le sanzioni amministrative (pena pecuniaria e sovrattassa) avevano una natura
giuridica eterogenea: la pena pecuniaria era posta in regime di alter natività rispetto alle sanzioni penali e
in quanto commisurata alla personalità del trasgressore, denotava una connotazione di tipo afflittivo tipica
delle sanzioni penali; la sopratassa si poteva invero cumulare con sanzioni penali e pena pecuniaria, ciò
determinava una natura tendenzialmente risarcitoria, caratteristica delle sanzioni civili.

La l.4 contemplava poi, sotto il profilo del rapporto tra accertamento della violazione e irrogazione della
sanzione, una procedura differenziata in funzione del tipo di violazione. Riferendosi alle violazioni
costituenti reato e riferite a tributi diretti era previsto l’istituto della pregiudiziale tributaria (x cui l’azione
penale non poteva esser iniziata se non dopo l’intervenuta definitività dell’accertamento del tributo in
sede amministrativa). Riguardo alle violazioni relative agli altri tributi, se l’esistenza del reato dipendeva
dalla risoluzione d’una controversia riguardante il tributo, il Tribunale penale investito della cognizione del
reato decideva della controversia relativa al tributo stesso, osservando però le regole di C.p., quindi si
decideva il profilo penale e non tanto quello amministrativo sottostante al 1°, secondo il “principio
dell’assorbimento”. Questa bipartizione si giustificava in ragione del più elevato tasso di tecnicismo che
ineriva i tributi diretti e per cui l’irrogazione della sanzione penale era subordinata al giudizio dell’autorità
amministrativa ovvero del giudice speciale tributario in ordine alla fattispecie base sottostante. Nel caso
invece di reati connessi a tributi diversi da quelli diretti (es. quelli doganali), si poteva giustificare
l’attribuzione al giudice penale della cognizione sia del profilo penale che di quello tributario.

Modifiche alla legge 4 (per il resto inalterata fino a Riforma Visco 1996-1997). La Consulta ha dichiarato
incostituzionale la pregiudiziale tributaria, escludendone l’applicazione nei casi di violazioni formali ove
non era necessario quantificare l’imposta evasa; la legge stessa spesso ha ignorato il principio di fissità
consentendo quindi cumulo materiale tra sanzioni amministrative e penali. A seguito della riforma
53
tributaria degli anni ’70, l’accertamento ha perso la funzione di ordinario strumento di recupero del
gettito, per divenire ruolo di monito al corretto adempimento dell’obbligo tributario. In questo modo il
sistema ha cominciato a perdere le caratteristiche che si richiedono a un sistema punitivo: prevenzione e
esser afflittivo. La legge a quel punto ha: 1) aperto la depenalizzazione riconducendo nell’area dell’illecito
amministrativo violazioni che prima erano di rilevanza penale (es. l.689/1981 ha sostituto all’ammenda
l’obbligo di pagamento di somma di denaro); 2) è ricorsa al penale per prevenire/reprimere fenomeni
evasivi e fattispecie prodromiche dell’evasione (capaci di mettere in pericolo potenzialmente gli interessi
erariali); 3) inasprito le sanzioni in tema di violazioni relative a imposte sui redditi a all’IVA (L.516/1982,
che ha anche eliminato il principio di fissità e ha anche eliminato la pregiudiziale tributaria, collegando la
sanzione penale a fattispecie cosiddette “semplici” (prescindenti dalla concreta determinazione
dell’imposta evasa) fondate sull’accertamento di fatti materiali ritenuti sufficientemente espressivi di
comportamento evasivo/potenzialmente evasivo.

Le sanzioni amministrative (art 3 133° legge delega 662/1996 (parte della “riforma Visco”)

La legge non modifica fondamentalmente la differenziazione tra sanzioni penali e amministrative,


proponendo però un sistema sanzionatorio amministrativo. più orientato verso la personalizzazione anche
della sanzione amministrativa. La legge delega si fondava su questi principi direttivi:

1)adozione di un’unica sanzione amministrativa (in luogo di pena pecuniaria e sopratassa) assoggettata a
principi di legalità, imputabilità, colpevolezza;

2)riferibilità della sanzione alla persona fisica autrice/coautrice secondo il regime del concorso (in luogo
del regime della solidarietà ex l.4) e in trasmissibilità della sanzione per causa di morte;

3)previsione dell’obbligazione solidale a carico della persona fisica o dell’ente che si giova della violazione;

4)fissazione delle cause di esclusione da responsabilità secondo principi propri del diritto penale;

5) affermazione principio di specialità;

6)adozione di criteri di determinazione della sanzione in relazione alla gravità della violazione e dell’opera
prestata per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, oltre che in relazione a condizioni
economiche/sociali/personali del trasgressore;

7)introduzione della disciplina dell’autore mediato;

8)fissazione della disciplina della continuazione e del concorso formale di violazioni;

9) previsione di sanzioni amministrativa accessorie non pecuniarie e introduzione d’un sistema di misure
cautelari;

10)previsioni di aggravanti/attenuanti/esimenti per incentivare gli adempimenti tardivi;

11)introduzione di procedimento unitario di irrogazione della sanzione tale da garantire il diritto di difesa
e tale da assicurare sollecita esecuzione del provvedimento sanzionatorio;

12)riduzione dell’entità della sanzione in caso di accettazione del provvedimento e di pagamento nel
termine previsto per la sua impugnazione;
54
13) revisione dell’entità delle sanzioni e loro migliore commisurazione all’effettiva entità
oggettiva/soggettiva delle violazioni in modo tale da assicurare uniformità alla disciplina per identiche
violazioni anche se riferite a tributi diversi, contando anche delle previsioni punitive adottate dall’UE. La
delega è stata attuata con: d. lgs. 472/1997 (“disposizioni generali sulle sanzioni amministrative tributarie),
471/1997 (“disciplina in materia di imposte dirette e sul valore aggiunto), 473/1997 (“disciplina delle
sanzioni amministrative in materia di tributi su affari, produzione, consumi, altri tributi indiretti”).

Disciplina generale in materia di sanzioni amministrative tributarie. Il d.lgs. 472 ha previsto un’unica
sanzione amministrativa (in sostituzione delle 2 precedenti), omogeneizzando la normativa rispetto ai
principi generali e di base governanti le sanzioni penali, in quando sono stati introdotti i principi di legalità.
Irretroattività, favor rei (art 3 ), abrogazione di ultrattività (art 29), principi di imputabilità (esclude la
sanzionabilità dell’autore che al momento della violazione non era capace di intendere/volere) e
colpevolezza (l’autore è punibile solo in funzione della riferibilità allo stesso dell’azione od omissione
cosciente/volontaria, sempreché dolosa o colposa: è colposa quando l’evento ancorchè non voluto si
verifica per negligenza, imprudenza, imperizia, inosservanza di leggi. Una precisazione: le violazioni
commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria e comportanti la soluzione di problemi di
speciale difficoltà sono punibili solo per dolo o colpa grave. Colpa grave (non codificata nel c.p.): sussiste
quando l’imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non si può dubitare
ragionevolmente del significato o della portata della norma violata e quindi è evidente ogni macroscopica
inosservanza di elementari obblighi tributari. Dolo: si ha quando la violazione è attuata con l’intento di
pregiudicare la determinazione dell’imponibile o dell’imposta ovvero è diretta a ostacolare l’attività
amministrativa di accertamento ) (art 4 e 5 1°). Le definizioni di dolo e colpa grave non sembrano idonee a
dare una puntuale enucleazione dell’elemento soggettivo, mentre sembrano fatte per restringere le
nozioni stesse di dolo e colpa grave in relazione a cui non opera il limite di responsabilità ex 2° 5: infatti nei
casi in cui la violazione sia stata commessa da un dipendente o da un rappresentate legale o negoziale di
un ente o persona fisica nell’esercizio delle sue funzioni/incombenze, saranno obbligati in solido l’autore e
il soggetto rappresentato al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di
regresso. Se però la violazione non è stata commessa con dolo/colpa grave, la sanzione non può esser
eseguita verso l’autore che non ne abbia tratto vantaggio più di 51645 euro.

Riguardo alle società ed enti con personalità giuridica, il 7 d.l.269/2003 ha introdotto però un principio di
esclusiva riferibilità alle società e ad egli con personalità giuridica delle sanzioni amministrative commesse
in relazione al rapporto fiscale proprio di tali soggetti giuridici. Tuttavia per la categoria degli illeciti in
esame, il 3° del 7 dice che continuano ad applicarsi le disposizioni già recate dal d.lgs.472. Tinelli interpreta
ciò dicendo che vi sarebbe in capo alla persona giuridica il solo obbligo di pagamento di una sanzione
amministrativa pur sempre determinata in via generale dal d.lgs.472 con particolare riferimento
all’imputabilità e agli stati soggettivi di dolo o colpa grave dell’autore materiale della violazione. Tinelli
infine auspica che nel futuro codice tributario (delega già conferita al governo: l. 80/2003) si preveda che
la sanzione amministrativa si concentri sul solo soggetto traente beneficio dalla violazione delle norme
tributarie, senza distinzione tra enti rappresentati dotati o meno di personalità giuridica.

Cause di non punibilità (6 d. lgs.472). Si verificano quando difetti la rimproverabilità dell’autore, come nel
caso di:

1)errore sul fatto se non determinato da colpa; rilevazioni contabili fatte nel rispetto dei principi di
continuità dei valori di bilancio secondo corretti criteri contabili e valutazioni fatte con corretti criteri di
stima;

2)esistenza di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito applicativo della norma ovvero
indeterminatezza delle richieste degli uffici o dei modelli di dichiarazione e di pagamento dei tributi;

55
3)mancato pagamento per fatto denunciato all’autorità giudiziaria ed imputabile solo a terzi;

4) inevitabilità dell’ignoranza della legge tributaria (da intendersi in maniera oggettiva, dopo la lettura
della Consulta);

5)forza maggiore;

6) violazioni non arrecanti pregiudizio nell’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla
determinazione della base imponibile dell’imposta

Il concorso di violazioni e il concorso di persone

Ex 12 del d. lgs 472 chi con una sola azione/omissione viola diverse disposizioni anche relativi a tributi
diversi ovvero commette (anche con più azioni/omissioni) diverse violazioni formali della stessa
disposizione, è punito con la sanzione più grave aumentata da ¼ fino al doppio. Si ha quindi l’applicazione
del cumulo giuridico in luogo della regola che vorrebbe il cumulo materiale. Se le violazioni rilevano ai fini
di più tributi, la sanzione base è aumentata di 1/5. Oltre ciò, quando violazioni della stessa indole si
riferiscono a più periodi d’imposta, la sanzione base è aumentata dalla metà fino al triplo. Oltre ciò, se in
tempi diversi sono state commesse più violazioni che pregiudichino la determinazione dell’imponibile
ovvero la liquidazione anche periodica del tributo (quindi nel caso di continuazione) si applica la sanzione
più grave, aumentata da ¼ al doppio. Con il 9 d.lgs. 472 si è fissata la disciplina del concorso di persone:
questa si ha quando più persone concorrono in una violazione, in questo caso ogni persona soggiace alla
pena disposta per la violazione. Se però la violazione consiste nell’omissione di un comportamento cui
sono obbligati in solido più soggetti, è irrogata una sola sanzione e il pagamento eseguito a uno dei
responsabili libera gli altri salvo il diritto di regresso. Sembra ex 11 applicabile il concorso in ordine a
violazione colpose: infatti prevede l’11 che ci siano violazioni diverse a fronte di cui siano applicate
sanzioni diverse.

Infine, il concorso si verifica:

1) pluralità di agenti;

2) realizzazione dell’elemento oggettivo dell’illecito;

3) contributo causale di ogni concorrente al verificarsi dell’evento;

4) volontà di cooperare o contribuire alla realizzazione dell’evento.

Ex 10 è punibile l’autore mediato (colui che con violenza, minaccia, inducendo altri in errore, usando
persona incapace di intendere volere, determina la commissione di una violazione. Ne risponde in luogo
dell’autore materiale).

56
Il ravvedimento operoso (art 13 d.lgs 472) e il procedimento di irrogazione della sanzione amministrativa
(16 e 17 d.lgs 472)
è un trattamento premiale a favore del contribuente, il quale pur avendo commesso una violazione, operi
spontaneamente per rimediarvi attraverso la regolarizzazione degli adempimenti omessi ovvero
irregolarmente effettuati. Il ravvedimento deve essere fatto prima che siano iniziati accessi, ispezioni,
verifiche o altre attività di accertamento. Il ravvedimento dà luogo a riduzione della sanzione da un
dodicesimo a un decimo del minimo edittale.
Le sanzioni sono irrogate dallo stesso ufficio o ente competente in ordine all’accertamento del tributo le cui
violazioni si riferiscono. L’ufficio notifica al trasgressore un atto di contestazione (che indica a pena di nullità
fatti contestati, elementi probatori, norme applicate, criteri che vuole seguire per determinare la misura
delle sanzioni, minimi edittali previsti da legge per le singole violazioni). Se la motivazione si riferisce ad
altro fatto non conosciuto né ricevuto dal trasgressore, ex “Statuto” questo fatto deve essere allegato
all’atto che lo richiama salvo che quest’ultimo non ne riproduca il contenuto essenziale. Notificato l’atto, il
trasgressore e i soggetti coobbligati in solido possono entro 60gg definire la controversia pagando un
importo pari a un quarto della sanzione indicata e comunque non inferiore a un quarto dei minimi edittali
previsti per le violazioni più gravi relative a ogni tributo. Se non fanno ciò, possono produrre deduzioni
difensive entro 60 giorni dalla notifica: in questo caso è sospesa l’efficacia dell’atto e l’ufficio nel termine di
decadenza della presentazione delle deduzioni, se lo ritiene irroga le sanzioni con atto motivato a pena di
nullità anche in ordine alle deduzioni stesse. Se mancano deduzioni difensive e di estinzione della violazione
con pagamento, l’atto di contestazione è considerato provvedimento di irrogazione (quindi impugnabile
davanti Commissione tributaria competente entro 60 giorni dalla notificazione). Nel caso invece di sanzioni
“collegate al recupero del tributo”, gli uffici procedono all’irrogazione delle sanzioni senza previa
contestazione, unitamente all’atto d’accertamento o rettifica avente ad oggetto i tributi a cui le violazioni si
riferiscono. Decadenza dell’azione amministrativa di irrogazione della sanzione: 5° anno successivo a quello
in cui è avvenuta la violazione (art 20) o nel diverso termine previsto dai tributi singoli.
Il principio di specialità

Il legislatore intendeva necessario prevedere un meccanismo volto ad evitare la contemporanea applicazione


della sanzione penale e di quella amministrativa a fronte della stessa violazione: tuttavia il legislatore delegato
non ha disposto nulla nella disciplina delle sanzioni amministrative. I rapporti tra i 2 tipi di sanzioni sono però
regolati dal d.lgs. 74/2000 che ha codificato il principio di specialità: all’art 19 si legge che quando uno stesso
fatto è punito da una delle disposizioni che contemplano i reati in tema di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto (come anche una disposizione che prevede una sanzione amministrativa)allora si applica la
disposizione speciale rispetto all’altra più generale che disciplina l’illecito. In pratica si afferma la prevalenza
della disciplina penale su quella amministrativa.

57
Le fattispecie sanzionatorie (d. lgs 471)

Sanzioni in tema di imposte sui redditi e IVA. 3 patologie:

a) violazioni formali o documentali che comunque non influenzano la determinazione dell’imponibile o


del’imposta, punite con sanzione amministrativa tra 258 e 2065euro;

b)violazioni prodromiche all’evasione ma non necessariamente rilevanti ai fini della quantificazione


dell’imponibile o dell’imposta, punite con sanzione amministrativa tra 100 e 200% dell’imposta relativa
all’imponibile non correttamente documentato/registrato nel corso dell’esercizio;

c) violazioni sostanziali concernenti l’omessa/infedele dichiarazione di elementi rilevanti per la quantificazione


dell’imponibile o dell’imposta, punite con sanzione amministrativa tra 120 e 240 % delle somme risultanti
come dovute (nel caso di dichiarazione omessa) e con sanzione tra 100 e 200% in caso di dichiarazione
infedele.

Sanzioni in tema di riscossione. Si menzionano le ipotesi di omesso, ritardato, insufficiente versamento al di


fuori dei casi di iscrizione a ruolo: sono soggetti ad una sanzione pari al 30% del tributo. Riguardo all’IVA, la
sanzione (nelle ipotesi di mancati versamenti periodici o in acconto) deve esser commisurata al netto degli
eventuali versamenti periodici o di conguaglio già autonomamente sanzionati.

Sanzioni accessorie (21 d. lgs 472). Consistono:

a) nell’interdizione per massimo 6 mesi delle cariche di amministratore, sindaco, revisore di società o enti;

b) interdizione per massimo 6 mesi dalla partecipazione a gare per l’affidamento di pubblici appalti/forniture;

c) nell’interdizione dal conseguimento di licenze, concessioni, autorizzazioni amministrative per l’esercizio di


imprese o attività di lavoro autonomo e la loro sospensione, per la durata massima di 6 mesi;

d) nella sospensione per massimo 6 mesi dall’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa diverse da
quelle indicate alla lettera c).

Queste sanzioni sono eseguibili quando il provvedimento di irrogazione è divenuto definitivo.

Le sanzioni penali (stesso ruolo di quella amministrativa, ma colpisce gli illeciti più gravi)

Esse hanno il valore di extrema ratio: sono state previste per scoraggiare la commissione di violazioni
(funzione afflittiva) e contemporaneamente rafforzare la conoscenza giuridico-sociale dei consociati nella
direzione del corretto adempimento degli obblighi tributari (funzione deterrente). Il bene giuridico tutelato
dalla sanzione penale tributaria è individuabile nell’interesse generale a che tutti concorrano all’esatto e
puntuale adempimento rispetto agli obblighi tributari su di ciascuno di loro gravanti. Nel nostro ordinamento
sono allora punite anche con sanzione penali le violazioni riferite a: imposte sui redditi, sul valore aggiunto,
sui tributi doganali, sugli oli minerali, in materia di monopoli fiscali. Bisogna cercare il criterio più appropriato
per circoscrivere gli illeciti più gravi ed enuclerare quindi il campo di operatività della sanzione penale. I criteri
impiegabili sono: il tipo di obbligo fiscale violato; il tipo di condotta tenuto dal trasgressore; il quantum
dell’imposta evasa: oggi sono sanzionate penalmente sia le ipotesi connotate da una certa insidiosità della
condotta tenuta sia anche quelle che si risolvono in un’evasione particolarmente significativa.

Tecnica normativa di costruzione del precetto penale. Si può procedere attraverso il mero rinvio alla
58
corrispondente figura tributaria (esempio: abrogato 56 del DPR 600 che prevedeva che oltre alla pena
pecuniaria dello stesso art, si applicava la pena dell’arresto da 3 mesi a un anno) ovvero con l’autonoma
costruzione del precetto. Comunque sia, c’è una dipendenza di disciplina penaltributaria da quella tributaria:
partendo da ciò ci si è chiesti quanto possano valere in ambito penale i termini e gli istituti propri del diritto
tributario e viceversa. Ora, per Tinelli, il riferimento in ambito penale a concetti/istituti tipici del diritto
tributario non soffre di particolari limitazioni. Riferendosi al tema delle presunzioni legali, si può distinguere il
caso delle presunzioni relative (ai fini penali gli si può attribuire solo una valenza di meri schemi
argomentativi, bisognevoli in ogni caso del vaglio critico del giudice penale) e delle presunzioni assolute (ai fini
penali gli si può dare una valenza relativa, confinata cioè al profilo processuale e probatorio). Riguardo invero
alle fonti di diritto penale tributario, sono piuttosto numerose. Le principali si trovano: nel 1° libro C.p.; nel d.
lgs 74/2000 relativo ai reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; nel DPR 43/1973 relativo al
contrabbando doganale; nel dl 334/1939 relativo ai reati in materia di oli minerali.

Tra le poche differenze del d.lgs. 74/2000 rispetto al sistema penale occorre ricordare:

a) la speciale causa di non punibilità ex 15 in dipendenza di obiettive condizioni di incertezza sulla


portata/applicazione della norma;

b)la speciale causa di non punibilità ex 16 in presenza di comportamento conforme al parere espresso dal
Ministero;

c)2 speciali cause di interruzione della prescrizione ex 17 dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto. (altre cose pag 422-425).

Singole fattispecie di reato tributario (d.lgs. 74/2000)

Delitti in materia di dichiarazione.

1)Si distinguono a seconda della connotazione fraudolenta (art 2: reclusione da un anno e mezzo a 6 per chi,
al fine di evadere le imposte, indica in una delle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi avvalendosi di
fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) o non fraudolenta (art 3: stessa pena per chi realizza la
dichiarazione annuale infedele con strumenti diversi da fatture o altri documenti: l’evasione però deve esser
superiore a 77468, 53 euro per ciascuna imposta e il tot dell’evasione sia superiore al 5% dell’ammontare
totale degli elementi attivi indicati in dichiarazione o comunque superiore a 3mld di lire) del comportamento
tenuto dall’agente.

2) dichiarazione infedele: reclusione da 1 a 3 anni quando il contribuente per evadere le imposte, indichi in
una delle dichiarazioni annuali elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero elementi
passivi fittizi (se però l’imposta evasa sia superiore a 103291,38 euro per ciascuna imposta e quindi
ammontare complessivo dell’evasione sia superiore al 10% dell’ammontare totale degli elementi attivi indicati
in dichiarazione o comunque sopra 4mld di lire).

3)omissione di dichiarazione: ex art 5 punito con reclusione da1 a 3 anni chi, per evadere le imposte, non
presenti, essendovi obbligato, 1 o più dichiarazioni tributarie annuali, quando l’imposta evasa sia superiore
riferendosi a ciascuna imposta a 77468,53 euro.

Delitti in materia di documenti. Essi sono caratterizzati dall’autonoma rilevanza della condotta tipica
finalizzata all’evasione (senza che cioè derivi necessariamente il mancato pagamento dell’imposta).
Costituisce eccezione rispetto all’impostazione generale, che tende a qualificare il delitto in base al danno
effettivamente cagionato all’Erario.

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1) Ex art 8 è allora punito con reclusione da 1 anno e mezzo a 6 chi, per consentire a terzi l’evasione,
emette/rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Se l’importo non rispondente al vero
indicato nelle fatture è però inferiore a 300mln di lire, si applica reclusione da 6 mesi a 2 anni.

2)ex 10 chi occulta o distrugge scritture o documenti contabili obbligatori è punito con reclusione da 6 mesi a
5 anni (se lo ha fatto per evadere lui o per far evadere altri).

Altre fattispecie incriminatrici. Sanzionato penalmente l’omesso versamento di ritenute certificate: reclusione
da 6 mesi a 2 anni per chi non versi, entro termine stabilito per presentare la dichiarazione annuale dei
sostituti d’imposta, le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti per un importo superiore a
50000euro per ciascun periodo d’imposta. Delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: chi
per sottrarsi al pagamento delle imposte, sanzioni, interessi di ammontare complessivo superiore a 100mln di
lire, aliena simultaneamente o compie atti fraudolenti su propri beni o su beni altrui idonei a rendere
inefficace la procedura di riscossione coattiva, è punito con reclusione da 6 mesi a 4 anni.

CAPITOLO XIII – LA TUTELA GIURISDIZIONALE IN MATERIA TRIBUTARIA

L’evoluzione storica del sistema della giustizia tributaria

Excursus storico. Nel periodo preunitario esisteva una netta demarcazione tra sistema di tutela previsto per le
imposte dirette e quello previsto per le imposte indirette: questa distinzione trovava la sua probabile ragione
per la peculiarità dell’oggetto della lite fiscale: nei tributi indiretti la facilità di distinzione delle questioni di
diritto (an) dalle questioni tecniche di stima (quantum) consentiva di devolvere al giudice ordinario la piena
cognizione delle controversie (pur posticipandola ad una prima fase di natura tecnico-amministrativa), mentre
nei tributi diretti la connessione tra presupposto e base imponibile unita all’enorme prevalenza delle
contestazioni in ordine a valutazioni del fatto pertinenti la funzione amministrativa di accertamento, rendeva
impossibile devolvere queste questione “di semplice estimazione” al giudice ordinario.

Dopo l’Unità d’Italia, la l.1830/1864 introdusse l’imposta sui redditi di ricchezza mobile, attribuendo alle
istituite “Commissioni tributarie” evidenti connotazioni di amministrazione attiva nella ripartizione del carico
tributario localmente stabilito. La 1° regolamentazione di tale tributo diretto prevedeva un sistema cosiddetto
”a contingente” in cui le Commissioni di prima istanza (comunali o consorziali) dopo aver pubblicato gli
elenchi forniti dall’agente e dopo aver esaminato eventuali osservazioni dei contribuenti, “accertavano i
redditi” con deliberazioni soggette a reclamo dinnanzi a Commissione provinciale. La legge però rimaneva
silente circa l’attività giudiziaria. Intervenne in questo senso la l.2248/1865 (quella che abrogava contenzioso
amministrativo) che stabilì implicitamente che tutte le controversie in materia di imposte dirette (quindi
anche di imposta di ricchezza mobile) fossero conosciute dal giudice ordinario. Ora questa legge però
manteneva il sistema delle Commissioni, tuttavia prevedeva che l’azione giudiziaria in materia d’imposte
dirette potesse esser proposta solo a seguito della formazione del ruolo d0imposta e del pagamento delle
imposte in esso iscritte (la regola del cosiddetto “solve et repete”), restando escluse comunque dalla
giurisdizione ordinaria le controversie di semplice estimazione. Successivamente, con la l.3021/1866 ci fu la
sostituzione del metodo del “contingente” con quello della “quotità” (con cui si trasferisce all’agente la fase di
accertamento del tributo e la formazione del ruolo, nonché l’introduzione di un 3° grado di giudizio, limitato
però alle sole questioni concernenti l’applicazione della legge). Tuttavia solo con la l.3719/1867 si introdusse
la possibilità del successivo ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria, anche qui escludendo le controversie
attinenti la semplice estimazione del reddito. In pratica fino alla riforma tributaria del 1972 il sistema che
sorse con la 1° legge sull’imposta di ricchezza mobile, posponeva la tutela civile (strutturata in 3 gradi) a quella
speciale (articolata con Commissioni, comunali o mandamentali, provinciali e Centrale. Ma solo le
Commissioni di 1° e 2° istanza potevano addentrarsi nelle questioni relative all’estimazione del reddito). Ora il

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complesso dei mutamenti intervenuti, come ad esempio l’indicato limite oggettivo al giudizio ordinario,
condusse dottrina e giurisprudenza a rifiutare il precedente inquadramento amministrativo delle Commissioni
e a classificarle tra le “giurisdizioni speciali amministrative”: tuttavia la composizione dei collegi e l’incisività
dei “potere di accertamento” loro conferiti, indussero a ritenere invece che queste conclusioni non fossero
per nulla pacifiche. Le Commissioni in seguito apliarono la loro area di influenza: all’imposta sui fabbricati
(1889), all’imposta complementare sui redditi (1925),all’imposta indiretta sui trasferimenti della ricchezza
(1936).

Negli anni 1936-1937 vennero introdotte norme recanti il riordino delle Commissioni tributarie e la riforma
del relativo procedimento. Queste modificazioni hanno dato maggior compiutezza al diritto processuale
tributario. Da un lato vennero recepite dal processo civile fondamentali regole attinenti la formazione della
pronuncia, il contraddittorio, l’uso delle prove, il giudizio d’appello, la revocazione; d’altro lato per la nomina
dei componenti fu abbandonato il principio elettivo e fu mantenuta la facoltà della Commissione di 1° istanza
di elevare gli accertamenti eseguiti dagli uffici ( o concordati col contribuente) di complesso inquadramento
sistematico. Quindi le Commissioni divenivano sempre più organi giurisdizionali, ma d’altra parte
continuavano ad essere organi burocratico-corporativi vicini all’amministrazione.

Con l’avvento della Costituzione, la previgente normativa mal si conciliava sia con la statuita necessità
dell’indipendenza dei giudici appartenenti alle giurisdizioni speciali (108 cos)sia con la prevista tutela in sede
giurisdizionale verso gli atti della P.A. (113cos). In tale ottica, mentre il 102cos pose il divieto di istituire nuovi
giudici speciali, la VI disposizione transitoria decretò che entro 5 anni dall’entrata in vigore della Cos, la legge
avrebbe dovuto provvedere a revisionare gli organi di giurisdizione speciale esistenti alla data di entrata in
vigore della Costituzione , diversi da Consiglio di Stato, Corte dei Conti, tribunali militari. Si erano studiati tanti
progetti, ma la legge si occupò solo della legge delega di riforma tributaria: la l.825/1971 conferì al Governo il
compito di procedere alla revisione delle Commissioni tributarie con criteri che esaltassero autonomia dei
componenti, garantendo autonomia del giudizio, escludendo le questioni di estimazione dalla cognizione del
giudice ordinario. Quindi natura giurisdizionale delle Commissioni.

Le commissioni tributarie

Sono stati pubblicati i d. lgs 545 (dedicato all’ordinamento degli organi della giurisdizione tributaria) e 546
(dedicato al processo tributario) a seguito dell’art 30 legge delega 413/1991, con cui il Parlamento ha dettato
principi e criteri direttivi per la revisione del contenzioso tributario. La riforma del 1992 ha sancito il carattere
giurisdizionale delle commissioni tributarie, conferendo al sistema struttura più omogenea, migliorando il
profilo dell’indipendenza dei giudici, in generale conferendo maggiore pariteticità tra le parti in lite tramite il
più ampio rinvio alle forme ed agli schemi del processo civile.

Struttura (d.lgs. 545). Primi 2 gradi: Commissioni tributarie provinciali e regionali: hanno sede nei rispettivi
capoluoghi. Ultimo grado: Cassazione.

Composizione. Ogni Commissione ha un Pres. ; è formata da una o più sezioni (ognuna ha 1 Presidente, un
vicepresidente, almeno 4 giudici). All’interno di ogni sezione i collegi giudicanti, presieduti dal Presidente o
vice Presidente di sezione, decidono con un numero invariabile di 3 votanti. I membri delle Commissioni sono
individuati dal “Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria” (organo di “autogoverno” posto a garanzia
dell’autonomia della stessa: ha funzioni di reclutamento, vigilanza, consultive, ispettive). La magistratura
tributaria appare come una sorta di magistratura onoraria, in quanto i componenti non sono reclutati per
concorso, bensì sulla base di criteri automatici quasi del tutto svincolati dall’effettivo riscontro del livello di
preparazione (la legge in realtà pone dei requisiti per i giudici ex 3,4,5 d.lgs. 545, ma la legge delega chiedeva
molto di più). I componenti delle Commissioni sono nominati con Decreto del Presidente della Repubblica su
proposta del Ministro Finanze, previa deliberazione del Consiglio di Presidenza. I magistrati giurano fedeltà
alla Repubblica. Non sorge un rapporto di pubblico impiego. Il compenso è un emolumento (non ha i caratteri

61
della retribuzione).

Incompatibilità (art 8 d.lgs. 545). Nei casi di incompatibilità, la cessazione dell’incarico viene disposta con
Decreto del Ministero Finanze, con deliberazione del Consiglio di Presidenza.

Astensione. I casi di astensione ineriscono all’accertamento di situazioni soggettive anomale dell’organo


giudicante, ma in relazione al singolo caso trattato. Infatti l’astensione opera come istituto preposto ad
assicurare la terzietà del giudice, sorge quando per certe circostanze stabilite da legge, il giudice ha l’onere di
non partecipare alla decisione; se ciò non avviene, la parte può proporre istanza di ricusazione.

Durata. La nomina a giudice della Commissione ha durata massima nella stessa sezione della stessa
Commissione di 5 anni; cessa comunque al compimento dei 75 anni.

Uffici di segreteria delle Commissioni e del “Consiglio di Presidenza”. Svolgono attività ausiliaria. Il personale
dipende dal Ministero delle Finanze. Svolgono funzioni amministrativo burocratiche, giurisdizionali, ausiliarie.

PROCESSO TRIBUTARIO. Con il d.lgs. 546, ai fini dell’individuazione dell’oggetto della cognizione del giudice, il
termine “competenza” è stato sostituito da “giurisdizione”. La Commissione tributaria competente deve esser
individuata in base alla sede dell’Ufficio, dell’ente locale, del concessionario per la riscossione nei cui confronti
il ricorso è proposto. Alla “giurisdizione” si è invece attribuita la nozione del thema decidendum (ossia
l’ambito oggettivo del potere giurisdizionale). Ora, la ricognizione dell’ambito della giurisdizione tributaria
implica l’esame di 2 piani d’indagine:

1)quello delle norme che delimitano esternamente rispetto alle altre giurisdizioni ordinaria e amministrativa.
Il d.lgs. 546 aveva ricompreso nella giurisdizione delle Commissioni tributarie le controversie concernenti
“ogni altro tributo” loro attribuito dalla legge, così ampliando l’operatività. Successivamente la l.488/2001 ha
esteso la sfera di cognizione delle Commissioni a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi d’ogni
genere/specie, nonché le sovraimposte, le addizionali, le sanzioni amministrative irrogate da uffici finanziari.
Oltre ciò, anche le controversie concernenti alcune tipologie di prestazioni patrimoniali imposte, come le
controversie con oggetto la debenza del canone per l’occupazione di aree/servizi pubblici, canone per
scarico/depurazione acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani. La Corte Costituzionale ha rilevato in
molte pronuncie che la giurisdizione dei giudici tributari “deve essere imprescindentemente legata alla natura
tributaria del rapporto”: quindi è la “materia tributaria” ad esser di competenza del giudice tributario: il
giudice ordinario avrà allora le sole controversie riguardanti gli atti dell’esecuzione forzata tributaria. Giudice
amministrativo: quest’ultimo potrà giudicare sui singoli decreti ministeriali che: individuano gli indici rilevatori
di capacità contributiva ai fini dell’accertamento sintetico dei redditi, determinano i coefficienti
d’ammortamento dei cespiti strumentali, approvano gli studi di settore (compresi anche i regolamenti degli
enti locali istitutivi di tributi o disciplinanti elementi secondari alla prestazione impositiva). Davanti al giudice
amministrativo il contribuente potrà poi tutelare la lesione degli interessi legittimi che non si concretizzano in
atti impugnabili innanzi a commissioni tributarie e che risultano frutto dell’esercizio di potere discrezionale
della P.A. (sono interessi legittimi residuali: es provvedimenti in materia di domicilio fiscale). Fermo restando
ciò, il giudice tributario ha cognizione sulle controversie relative all’impugnazione del provvedimento di
rigetto (espresso o tacito) dell’istanza di autotutela promossa dal contribuente per l’annullamento di un atto
impositivo dell’Amministrazione finanziaria (ogni volta si discuta di uno specifico rapporto tributario): la
valutazione rimane però circoscritta alla verifica della legittimità del comportamento tenuto dall’ente
impositore in ordine all’istanza di autotutela.

2) quello delle disposizioni che, dall’interno, disciplinano le parti necessarie del processo e gli atti impugnabili.
Il processo si instaura per iniziativa del contribuente che abbia interesse ad agire: quindi le sue controparti
sono esclusivamente quelle disciplinate dal 10 d.lgs. 546, ossia Ufficio Ministero Finanze, l’ente locale o il
concessionario del servizio di riscossione (che ha emanato l’atto impugnato o non ha emanato l’atto

62
richiesto). Ex 19 d.lgs. 546 gli atti impugnabili sono (elencazione tassativa): l’avviso d’accertamento, l’avviso di
liquidazione, il provvedimento irrogante sanzioni, il ruolo e la cartella di pagamento, l’avviso di mora,
l’iscrizione di ipoteca sugli immobili ex 77 DPR 602, atti relativi alle operazioni catastali, il rifiuto al rimborso
(espresso o tacito), il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata, ogni
altro atto per cui la legge prevede autonoma impugnabilità davanti alle Commissioni. Ora tutti questi atti sono
“autonomamente impugnabili”: quindi la “mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati
precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ultimo”: ossia gli atti
della riscossione, se preceduti dalla notifica di atti di accertamento/liquidazione/irrogazione della sanzione
non impugnati dal contribuente, possono esser contestati solo per vizi propri e non per vizi relativi a tali atti
che ne rappresentano il presupposto (quindi si possono considerare prodromici).

Difetto di giurisdizione. Ex riforma 1992 è rilevabile, anche d’ufficio, in ogni stato/grado del processo (col solo
limite della formazione del giudicato sulla questione di giurisdizione); è ammesso il regolamento preventivo ex
cpc. La giurisdizione è presupposto processuale: il giudice adito dovrà allora giudicare in via preliminare,
affermandola (con decisione anche sul merito) ovvero negandola (dando allora spazio a successive
impugnazioni) ovvero disponendo l’improponibilità assoluta della domanda di fronte a qualsiasi giudice.

Possono infine sorgere problemi anche nello stabilire a quale giudice spetti la cognizione effettiva della
controversia: la premessa è la competenza è presupposto di validità del processo (non della domanda). Dato
che non si possono applicare le disposizioni del processo civile che attengono ai regolamenti di competenza,
può accadere che la Commissione provinciale/regionale si reputi implicitamente/esplicitamente competente
quando giudica sul merito: in tal caso il vizio potrà esser sollevato in sede d’appello o ricorso per Cassazione .
(nel qual caso il giudizio continuerà di fronte al giudice dichiarato competente). Se invecela Commissione
dichiari la propria incompetenza e indichila Commissione competente, ci sarà la traslatio iudicii.

Il giudizio avanti alla Commissione tributaria provinciale (prima parte)

INTRODUZIONE DEL GIUDIZIO. L’avvio del procedimento viene rimesso ad un atto, il “ricorso” che è posto in
essere ad iniziativa del contribuente ed è rivolto alla Commissione tributaria provinciale. Tale atto implica la
presenza del difensore del ricorrente (tranne per le liti di importo unitario inferiore a 2582,28 euro: li si può
stare personalmente). Ex 12 d. lgs 546 sono abilitati all’assistenza tecnica: avvocati, dottori commercialisti,
consulenti del lavoro, anche geometri e periti agrari (x controversie di natura catastale). Il conferimento
dell’incarico avviene per atto pubblico ovvero per scrittura privata autenticata (se la procura è posta in calce
ad un atto del processo, lo stesso professionista autentica la firma del delegante). È applicabile al processo
tributario l’84 cpc (il difensore può compiere e ricevere, nell’interesse della parte stessa, tutti gli atti del
processo non riservati espressamente ad essa, ma non può compiere atti che comportino la disposizione della
pretesa in contesa (es. conciliazione)tranne che se espressamente autorizzati).

Requisiti essenziali del ricorso (18 d.lgs. 546): l’atto deve indicare:

a)Commissione tributaria cui è diretto;

b) ricorrente e suo legale rappresentante, residenza, sede legale o domicilio eventualmente eletto nel
territorio statale, il codice fiscale;

c)l’Ufficio del Ministero finanze o dell’ente locale o del concessionario del servizio di riscossione nei cui
confronti il ricorso è proposto;

d)l’atto impugnato e l’oggetto della domanda (il petitum);

63
e)i motivi (la “causa petendi” cioè le ragioni di fatto/diritto poste a fondamento della domanda). Ex 4° la
mancanza/assoluta incertezza di questi motivi determina l’inammissibilità del ricorso. Si può però ritenere (in
quanto nulla dice la legge al riguardo) che, se non spirati i termini per la proposizione, è consentita la
riproponibilità del ricorso dichiarato inammissibile.

Riguardo al petitum, esso è connesso all’antica disputa sulla qualificazione del processo tributario e
dell’obbligazione che ne è alla base. Abbiamo infatti 2 teorie:

a) identifica il processo tributario come giudizio di impugnazione-annullamento degli atti emanati


dall’Amministrazione finanziaria (involgendo esclusivamente i vizi di legittimità degli stessi)

b) teoria dell’impugnazione-merito per cui il giudizio investe altresì il modo di essere, la disciplina del rapporto
d’imposta, essendo preordinato all’accertamento del relativo regime giuridico (quest’ultima teoria è per
Tinelli maggiormente condivisibile ed è anche quella più diffusa: da ciò si desume che il connotato
dell’impugnazione attiene solo al profilo formale del processo, caratterizzandone la fase introduttiva, mentre
l’attività del giudice investe il processo sostanziale, attinente al merito del rapporto obbligatorio d’imposta,
fino all’emanazione della sentenza della Commissione tributaria in cui la volontà ordinamentale è attuata
dall’organo giudicante in sostituzione della ricognizione operata dall’Amministrazione finanziaria nell’atto
impugnato.). In pratica in virtù di questa 2° teoria il contribuente chiede al giudice non tanto l’ annullamento
dell’atto, bensì l’accertamento della situazione giuridica soggettiva (nei limiti della domanda). Una volta
specificato il petitum nell’atto introduttivo, esso non può più esser modificato.

Riguardo ai motivi del ricorso, essi variano in relazione al contenuto della domanda. L’eventuale integrazione
dei motivi trova applicazione eccezionale (essendo legata al presupposto della sopravvenuta conoscenza di
nuovi argomenti della linea difensiva della controparte). E’ quindi una strategia processuale quella di
presentare una domanda con oggetto più ampio possibile (considerando l’eventualità di poter comunque
rinunciare a parte di esso).

Attività processuale che porta al perfezionamento della fase introduttiva. Il giudizio è introdotto quando la
controversia, nelle forme previste, è portata alla conoscenza dell’altra parte “resistente” e quindi nella
cognizione del giudice. Il 1° momento si manifesta nella “proposizione del ricorso” (20 d. lgs 546): con questa
fase si instaura il contraddittorio con la controparte, ponendola a legale conoscenza dell’azione. Il 2°
momento si concretizza con la “costituzione in giudizio” del ricorrente (21 d. lgs 546) e consente di presentare
la controversia all’esame dell’organo giudicante.

Il ricorso è proposto con notifica alla controparte ex 16 2° e 3° d.lgs 546 e si prevedono 2 fattispecie di
notificazione:

a) in modo diretto (notificazione “propria” o “tipica”) tramite ufficiale giudiziario ex 137 e s.s. cpc

b)in modo indiretto (notificazione “impropria” o “atipica”) attuabile secondo 2 diverse modalità:

1) a mezzo del servizio postale con spedizione in busta chiusa con raccomandata con ricevuta di
ritorno. (per il ricorrente la notificazione è effettuata alla data della spedizione; per il resistente si prevede che
i termini che hanno inizio dalla notificazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto);

2) all’ufficio del Ministero finanze o all’ente locale con consegna dell’atto all’impiegato addetto che ne
rilascia ricevuta sulla copia. Il ricorso può esser proposto entro 60 giorni dalla data di notificazione dell’atto
impugnato (art 21).

Costituzione del ricorrente. Con la costituzione in giudizio la Commissione tributaria è investita della
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controversia: in questo momento nasce il processo tributario (indipendentemente dalla costituzione del
resistente) .Il ricorrente ex 22 deve depositare entro 30 giorni (termine per la costituzione) dalla proposizione
del ricorso (a pena dell’inammissibilità) nella segreteria della Commissione tributaria, l’originale del ricorso
notificato tramite ufficiale giudiziario ovvero copia del ricorso consegnato/spedito per posta. La Corte
Costituzionale con una sentenza del 2002 ha dichiarato l’illegittimità Costituzione del 22 1° e 2° del d.lgs.546
per contrasto con gli art 3 e 24 Costituzione, “nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti afi fini
della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale”. A seguito di ciò il legislatore ha modificato il 22 1°
prevedendo la possibilità di costituzione in giudizio anche con trasmissione a mezzo posta (in plico
raccomandato senza busta con avviso di ricevimento)del ricorso notificato ex 137 e s.s. cpc.

La fase in esame si esplica con il deposito da parte del ricorrente, presso la segreteria della Commissione
tributaria provinciale, di un fascicolo di parte costituito da:

a) ricorso in originale (nel caso di notificazione tramite ufficiale giudiziario) ovvero in copia (in tal caso insieme
alla fotocopia della ricevuta di deposito o di spedizione, se è stato proposto con consegna diretta o tramite
spedizione a mezzo posta);

b) originale dell’atto impugnato o sua fotocopia (se notificato);

c) ulteriori documenti (in originale o in fotocopia)che si reputino utili al procedimento dinanzi al giudice.

Si ricordi che, in caso di proposizione a mezzo posta, mentre ai fini della regolare costituzione è sufficiente il
deposito della sola ricevuta della spedizione, la prova del perfezionamento dell’intera procedura di
notificazione è costituita invece dall’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente. Infine, riferendosi alle
ipotesi di vizi procedurali che pendono sul ricorrente in tale fase del giudizio, queste sono collegate dalla legge
alla mancata costituzione nel termine dei 30 giorni ed alla difformità dell’atto depositato da quello
consegnato/spedito alla controparte. Inammissibilità rilevata in ogni stato/grado del giudizio
(indipendentemente dalla costituzione in giudizio della parte resistente).

Costituzione del resistente (23 d.lgs.) l’ufficio del Ministero finanze, l’ente locale o il concessionario del
servizio di riscossione, se ritengono di partecipare attivamente al processo, hanno l’obbligo di costituirsi entro
60gg dalla notificazione (o dalla consegna o dal ricevimento tramite posta) del ricorso. La costituzione avviene
con un atto analogo al ricorrente (quindi con fascicolo di parte contenente controdeduzioni in cui il resistente
espone le sue difese prendendo posizione su motivi addotti dal ricorrente, indica le prove di cui intenda
avvalersi, propone le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, presenta istanze per la chiamata
di terzi in causa e altri documenti, utili per il processo, offerti in comunicazione). Il resistente partecipa ad un
processo con oggetto già determinato e delineato sia dai motivi del ricorso sia dalla motivazione contenuta
nell’atto impugnato ; oltre ciò il termine per costituirsi ha solo funzione ordinatoria (in quanto la
mancata/tardiva costituzione non pregiudica la prosecuzione dell’attività processuale o l’attività difensiva del
resistente. L’unica conseguenza della non tempestiva costituzione è la preclusione della chiamata di un 3° in
causa). Nell’ipotesi di mancata costituzione, non essendo prevista la dichiarazione di contumacia, i riflessi
dell’inadempimento si riverberano solo in tema di notificazione degli atti processuali (udienza, istanze,
sentenze) e di comunicazione dell’avviso di trattazione, che possono esser fatte solo dalle parti costituite.

Litisconsorzio necessario (14 d.lgs). Questo istituto era stato in precedenza solo prospettato da non unanime
dottrina e da incerta giurisprudenza. Lo stesso intervento normativo però non consente di superare le
difficoltà insite nel cercare situazioni in cui può ricorrere l’inscindibilità di rapporti: in questo senso la
giurisprudenza ne ha ravvisato un’ipotesi nelle controversie concernenti il rimborso di ritenute alla fonte (i
litisconsorti sono: sostituto, sostituito, Amministrazione finanziaria). Parte della dottrina ravvisa altri casi nelle
ipotesi di morte del ricorrente la cui legittimazione processuale si trasmetta mortis causa a una pluralità di
eredi.

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Dottrina e giurisprudenza escludono il litisconsorzio necessario però nell’eventualità di obbligazioni solidali (in
quanto queste non ostano allo svolgimento di processi distinti nei riguardi di ciascun coobbligato). In questo
caso si può ravvisare il litisconsorzio facoltativo: ex d.lgs. 546 art 29, è riconosciuta al Presidente di sezione la
facoltà di disporre la riunione dei ricorsi aventi lo stesso oggetto ( o tra loro connessi). La richiesta può esser
fatta: da altri soggetti che vogliano intervenire volontariamente (a processo già iniziato. Ex art 14 è legittimato
solo chi è destinatario dell’atto impugnato ovvero parte del rapporto tributario controverso . Non è quindi
ammesso né l’intervento principale (105 1° cpc) né quello adesivo dipendente (105 2°). Il soggetto
interveniente volontario deve notificare l’atto d’intervento a tutte le altre parti e si costituisce in giudizio
secondo le regole previste per il resistente), su istanza di parte, per ordine del giudice. Ex 14 6° , il legislatore
preclude l’impugnazione dell’atto alla parte chiamata in causa o intervenuta volontariamente, se per essa sia
già trascorso il termine ex 21.

Il giudizio avanti alla Commissione tributaria provinciale (seconda parte)

Possibilità di ampliare l’ambito cognitivo già offerto al giudice. Ex 24 è possibile integrare questa sfera con i
“motivi aggiunti”: questa è però un’ipotesi del tutto eccezionale (ammissibile solo a seguito del deposito di
documenti non conosciuti, ad opera delle altre parti o per ordine della Commissione tributaria, anche se in
realtà è stato abrogato il 7, dove si contemplava la facoltà del giudice tributario di ordinare alle parti il
deposito di documenti ritenuti necessari per decidere la controversia). Questa attività può esser fatta entro
60gg dalla data in cui l’interessato ha notizia del deposito dei documenti sconosciuti (se però è già stata fissata
la trattazione della controversia, l’interessato a pena di inammissibilità deve dichiarare non oltre la trattazione
in camera di consiglio o la discussione in pubblica udienza, che intende proporre motivi aggiuntivi).

Chiesto e pronunciato. Riguardo al chiesto, la materia del contendere è delimitata dalla motivazione
contenuta nell’atto oggetto di impugnazione e dai motivi presenti nel ricorso e da quelli successivamente
aggiunti. Quindi il giudice deve pronunciarsi sui fatti come giuridicamente configurati dalle parti. Riguardo al
momento del pronunciato (cioè il convincimento del giudice in merito alla ricostruzione dei fatti), non c’è
alcun riferimento normativo che possa disciplinare/circoscrivere l’attività giudiziale di acquisizione delle
prove. Ora, secondo dottrina/giurisprudenza, la fase istruttoria è governata riguardo alle parti dal principio
dell’onere della prova ex 2697 cc, mentre la ricostruzione dei fatti necessaria alla decisione di merito è
fondata sul cosiddetto “principio dispositivo” (a mente di cui il giudice baserà la sua decisione sulla base dei
fatti così come provati dalle parti): quindi i “potere istruttori” del giudice non possono avere ad oggetto il
riscontro di fatti ulteriori rispetto a quelli allegati dalle parti (ed oggi non possono le Commissioni neppure
chiedere alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia, dopo
l’abrogazione del 7 3°). Le Commissioni possono comunque richiedere apposite relazioni ad organi tecnici
dell’Amministrazione statale o altri enti pubblici (anche GDF) ovvero disporre consulenza tecnica.

Mezzi di prova adducibili. Non sono adducibili giuramento e prova testimoniale.

Riprendiamo lo studio della procedura del processo. Ex 25, la “Segreteria della Commissione” iscrive il ricorso
nel registro generale e forma il fascicolo d’ufficio del processo (inserendovi anche quello del ricorrente e delle
altre parti, con atti e documenti prodotti, successivamente gli originali dei verbali di udienza e dei decreti e
copia delle sentenze. Le parti possono avere copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti). A questo
punto poi il fascicolo viene dato alla “Segreteria del Presidente della Commissione”, che assegna il ricorso ad
una delle sezioni (se si hanno ricorsi concernenti identiche questioni di diritto a carattere ripetitivo, questi
posson esser assegnati alla stessa sezione per esser trattati congiuntamente).

Esame del ricorso da parte della Commissione. 2 momenti.

A) l’esame preliminare. Il Presidente della Sezione cui è assegnato il ricorso effettua un controllo preventivo
66
per evitare che vado in trattazione ricorsi viziati palesemente (dichiarandone eventualmente la inammissibilità
ex 27). Il Presidente Sezione nella stessa sede può dichiarare sospensione, interruzione, estinzione del
processo (con decreto, se ne esistono i presupposti). Il Presidente Sezione può poi disporre in ogni momento
la riunione dei ricorsi (con decreto) assegnati alla sezione da lui presieduta (che abbiano stesso oggetto o
siano tra loro connessi). Se i processi pendono davanti a sezioni diverse della stessa Commissione, Il
Presidente della Commissione (su ufficio o istanza di parte o su segnalazione dei Presidente Sezione)
determina con decreto la sezione presso cui i processi devono proseguire. Successivamente però il collegio
giudicante, se rileva che la riunione dei processi connessi ritarda o rende più gravosa la loro trattazione, può
disporre con ordinanza motivata la separazione.

B) Se questo esame preliminare passa indenne, il Presidente Sezione fissa la trattazione della controversia e
nomina il relatore. In questo modo si entra nella discussione sul merito del ricorso e l’esame di esso passa dal
Presidente Sezione al giudice della Commissione Tributaria. Fissata quindi la trattazione, la segreteria
comunica alle parti la data dell’udienza almeno 30 giorni liberi prima dell’udienza stessa. Le parti ex 32 posson
depositare documenti fino a 20 giorni liberi prima della data della trattazione (con la stessa forma vista
trattando l’integrazione dei motivi) al fine di arricchire l’impianto probatorio già allegato in sede di
presentazione del ricorso. Fino a 10 giorni liberi prima, ciascuna parte può depositare “memorie illustrative”
con relative copie per le altre parti. Infine nell’ipotesi di trattazione in camera di consiglio, sono consentite
brevi repliche scritte fino a 55 giorni prima della data di trattazione.

Trattazione “vera e propria”. Essa ex 33 avviene normalmente senza la partecipazione delle parti costituite
(tecnicamente “in camera di consiglio” , cioè con l’esposizione del relatore al collegio giudicante dei fatti e
delle questioni della controversia).

La discussione “in pubblica udienza” è invece subordinata alla previa ed espressa richiesta di una delle parti da
avanzarsi con apposita istanza da depositare in segreteria e da notificare alle altre parti costituite entro il
termine ex 32 2° (10 giorni liberi prima della data di trattazione). Oltre ciò la richiesta “in pubblica udienza”
può esser contenuta nel ricorso introduttivo del processo, nel ricorso in appello o in altri atti processuali (in
quest’ultimo caso però questi atti devono esser notificati alle parti costituite e devono esser depositati presso
la Segreteria della Commissione entro 10gg liberi prima della data di trattazione). In questa forma di
discussione, il relatore espone al collegio i fatti e le questioni della controversia , successivamente Il Pres
Sezione ammette le parti presenti alla discussione. Dell’udienza il Segretario trae processo verbale. La
Commissione può disporre il differimento della discussione a udienza fissa, su istanza della parte interessata,
quando la sua difesa (scritta o orale) è resa molto difficile a causa dei documenti prodotti o delle questioni
sollevate dalle altre parti.

Sospensione del processo (39). Essa è prevista per le ipotesi per cui è espressamente esclusa la giurisdizione
del giudice tributario dal 2 3° (querela di falso ovvero la questione attinente allo stato/capacità delle persone
salvo che si tratti di capacità di stare in giudizio). Non esiste quindi la sospensione necessaria o volontaria del
processo civile. Il processo rimane comunque in stato di quiescenza. Venuta meno la causa che ha generato la
sospensione, il processo riprende se una delle parti propone istanza di trattazione al presidente Sezione entro
i successivi 6 mesi dalla venuta meno della causa di sospensione.

Interruzione del processo. Essa opera quando si verificano fatti pregiudicanti la partecipazione della parte
(morte, perdita di capacità di stare in giudizio ecc)ovvero del suo difensore (oltre ai primi 2, radiazione,
sospensione dall’albo professionale). Per il resto, disciplina identica alla sospensione. Il processo riprende
quando una delle parti presenti istanza di trattazione al Presidente Sezione entro 6 mesi dalla data in cui fu
dichiarata l’interruzione.

Sia la sospensione che l’interruzione sono dichiarate dal Presidente Sezione con decreto reclamabile ovvero
dalla Commissione con ordinanza. In queste fasi non si posson compiere atti e non decorrono termini.

67
Se le parti sono chiamate a integrare, proseguire, riassumere il giudizio e non ottemperano entro il termine
stabilito da legge o dal giudice, il processo si estingue per inattività con modalità fissate dal 45. Altre cause di
estinzione: 44 (rinuncia al ricorso); 46 (cessata materia del contendere).

Fase di decisione. Il collegio giudicante, alla fine della trattazione, delibera in camera consiglio e formalizza la
decisione con sentenza. Alle deliberazioni del collegio si applicano norme del cpc (276 e ss) : non sono però
ammesse sentenze non definitive o limitate ad alcune domande.

La sentenza contiene:

1)indicazione della composizione del collegio, delle parti, dei difensori se ci sono;

2) la concisa esposizione dello svolgimento del processo;

3) le richieste delle parti;

4) la succinta esposizione dei motivi in fatto e diritto;

5) il dispositivo.

La sentenza è corredata dalla data della deliberazione e è sottoscritta dal Presidente Sezione e dall’estensore
(questi ultimi 2 requisiti consentono di definire un certo atto, una sentenza).

Le decisioni di rito sono quelle su cuila Commissione pronuncia:

a)sulla sua giurisdizione, rilevando l’eventuale difetto;

b)sulla propria competenza territoriale;

c)sull’inammissibilità del ricorso introduttivo ex 18;

d)sull’estinzione del giudizio per rinuncia delle parti, per loro inattività processuale, per cessata materia del
contendere).

Verificata l’insussistenza di tali preclusioni processuali, la Commissione si pronuncia sul merito: le decisioni
posson avere ad oggetto l’accoglimento (totale o parziale) ovvero il rigetto. Dopo la deliberazione della
sentenza, ci sarà la sua pubblicazione (con deposito nella segreteria della Commissione entro 30 giorni dalla
data di deliberazione) e comunicazione (alle parti costituite entro 10 giorni dal deposito-pubblicazione). Così si
conclude il 1° grado di giudizio.

I procedimenti speciali (47 e 48)

Procedimento cautelare (47). Fu introdotto, dopo che per molto tempo ne fu avvertita la necessità, solo con la
legge delega 431/1991. Il 47 nasce proprio dall’attuazione della delega: si è creato un procedimento interno al
processo tributario che, in presenza dei presupposti di legge, consente di sospendere l’esecuzione dell’atto
impugnato fino alla pubblicazione della sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale.
(ricordiamo però che ci sono analoghi rimedi di natura amministrativa comunque esperibili). La funzione di
cautela insita nella sospensione è evitare che, nelle more di definizione del giudizio, in virtù del principio per
68
cui l’impugnazione dell’atto non ne sospende l’esecuzione, si possano cristallizzare nei confronti della parte
ricorrente gravi danni e irreparabili (mancando un provvedimento giurisdizionale, ancora in la da venire). I
presupposti della tutela cautelare sn: periculum in mora e fumus boni iuris. Il procedimento si attiva con
istanza motiva proposta dal contribuente nel ricorso ovvero in atto separato, notificato alle altre parti e
depositato in segreteria (sempre osservando le disposizioni sulla costituzione in giudizio del ricorrente,
cosìcchè la decisione sull’istanza cautelare epiloghi un vero e proprio procedimento incidentale).Il Presidente
fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la 1° camera di consiglio utile; in caso di
eccezionale urgenza potrà disporre la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio.
Ci può anche essere sospensione parziale (relativa a una parte dell’atto impugnato) , subordinata alla
prestazione di idonea garanzia mediante cauzione/fideiussione bancaria. La trattazione della controversia
deve esser fissata non oltre 90gg dalla pronuncia e gli effetti della sospensione cesseranno dalla data di
sospensione della sentenza di 1°. Infine, è possibile revocare/modificare il provvedimento cautelare prima
della sentenza, se mutano le circostanze sulla base di cui la sospensione era stata concessa.

Procedimento conciliativo (48). Questo istituto ha dei forti collegamenti con l’accertamento con adesione:
entrambi hanno comune matrice nell’antico “concordato tributario”. Tuttavia con il 48, il procedimento
conciliativo ha una sua disciplina autonoma. Dopo il d.lgs 218/1997, posson esser conciliate, in tutto o in
parte, controversie riguardanti ogni tipo di questione o materia e concernenti qualsiasi categoria di
contribuenti. Il procedimento può realizzarsi solo davanti alla Commissione provinciale e si snoda secondo 2
diversi schemi: uno “in udienza” (si innesca quando o una delle parti l’abbia proposto con istanza per la
trattazione in pubblica udienza ovvero quando la Commissione l’abbia sollecitato ovvero quando l’ufficio
abbia depositato la proposta di conciliazione con l’adesione della controparte. Se si raggiunge l’accordo, si fa
apposito processo verbale in cui sono indicate imposte/sanzioni/interessi e il verbale è titolo esecutivo per
riscuotere le somme dovute.) e l’altro “fuori udienza” (si realizza quando l’ufficio depositi la proposta
accettata dalla controparte, prima che si fissi la data di trattazione. A questo punto il Presidente Commissione,
verificata l’esistenza dei presupposti e delle condizioni di ammissibilità, dichiara l’estinzione del giudizio con
decreto). Entro 20 giorni successivi al processo verbale o al decreto, il contribuente dovrà pagare quanto deve
o pagare la 1° rata e dare fideiussione per le successive: così si perfeziona l’accordo. Applicazione di eventuali
sanzioni: avviene nella misura di 1/3 delle somme irrogabili sull’entità del tributo definito.

Le impugnazioni

Nel caso in cui una delle parti abbia motivi di doglianza, può impugnare la sentenza di 1° tramite l’appello
presso la Commissione tributaria regionale; la decisione di quest’ultima è impugnabile con ricorso per
Cassazione (questi 2 mezzi sono i “mezzi ordinari d’impugnazione” assieme alla revocazione ordinaria. Questi
posson esser esperiti solo se la sentenza non è passata in giudicato)Sia per le sentenze di 1° che di 2° è
ammessa la revocazione (395cpc). (revocazione straordinaria = “mezzo straordinario”. Possono intervenire in
sentenze passate in giudicato, per ottenere l’annullamento del vizio, sia perché sentenze viziate da anomalie
nel giudizio di fatto sia perché affette da patologie apprese in un momento successivo dagli interessati). Ex 49
c’è un generale rinvio alla disciplina processuale civilistica.

Appello (52). Al 1° la “Commissione regionale” è individuata come il giudice funzionalmente competente a


conoscere dell’appello proposto avverso le sentenze emesse dalle Commissioni provinciali. Non è applicabile il
ricorso immediato per Cassazione per le sentenze di prime cure (nel cpc si: 360 2°). L’appello a pena di
inammissibilità deve contenere: l’indicazione del giudice adito, dell’appellante, delle altre parti nei cui
confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, esposizione sommaria dei fatti, petitum, causa
petendi, sottoscrizione. I termini: “termine breve”: 60 giorni dalla notificazione integrale della sentenza di 1° a
cura della parte; “termine lungo”: 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza. Se non si fa in questi tempi, la
sentenza passa in giudicato. L’appello si presenta con ricorso (che si presenta di persona ovvero spedito per
posta alla controparte). A differenza del ricorso (atto esclusivo del contribuente) l’appello può anche esser
proposto dalla controparte. Se il ricorso non è notificato con Ufficio giudiziario, l’appellante deve a pena di

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inammissibilità depositare copia dell’appello presso l’ufficio di segreteria della Commissione pronunciante la
sentenza impugnata. L’Ufficio che voglia notificare l’appello al contribuente si può avvalere anche di messi
comunali. Se siamo davanti ad ipotesi di litisconsorzio necessario e l’appello sia stato notificato solo ad alcuni
di essi, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio entro un termine da lui fissato, pena
l’inammissibilità dell’impugnazione. In litisconsorzio facoltativo la mancata notificazione ordinata dal giudice
non rende inammissibile l’impugnazione, ma sospende il processo fin quando non siano decorsi i termini a
carico della parte pretermessa per l’impugnazione che è legittimata a proporre. Dopo la notifica, l’appellante
deve costituirsi (a pena di inammissibilità) entro 30 giorni presso la Segreteria della Commissione regionale
(depositando appello più documenti). Questa segreteria chiederà a quella della Commissione provinciale il
fascicolo contenente anche copia autentica della sentenza di 1°. La parte vittoriosa, ricevuta la notifica
dell’appello, può attivamente partecipare al giudizio di 2° depositando atto di controdeduzioni. Sono
legittimati ad agire = chi era parte nel giudizio di 1°. Ha interesse ad impugnare chi è risultato soccombente:
la parte ricorrente (se la Commissione non abbia accolto in tutto o in parte le richieste avanzate al giudice di
prime cure) e la resistente (nel caso in cui non sia stata condivisa dallo stesso giudice la domanda di rigetto del
ricorso). La soccombenza è allora il vero presupposto. Se c’è soccombenza ripartita, tutte le parti sono
legittimate e quindi han interesse ad impugnare. La legge ha stabilito che tutti i gravami verso la stessa
sentenza siano esaminati in un solo processo: in questo senso si colloca l’appello incidentale che altro non è
che quello presentato dopo l’appello principale. Quindi la parte che si vede notificare l’appello principale, se
vuole impugnare la sentenza (sempre che sia soccombente) può farlo entro 60 giorni dalla notificazione
suddetta, depositando l’atto presso la Segreteria. L’appello incidentale è tempestivo quando proposto entro i
termini previsti per l’appello principale: è autonomo rispetto a quest’ultimo, quindi l’invalidità di uno non
travolge l’altro. Appello incidentale tardivo: può esser fatto dalla parte per cui siano scaduti i termini per
impugnare o abbia inteso prestare acquiescenza, quando ad essa sia notificato appello principale. In questo
caso l’appellato beneficia di una rimessione in termini ad opera dell’appellante, che gli consente di far valere
le sue ragioni in un processo iniziato da altri. Il soggetto avrà quindi altri 60 giorni per presentare appello
incidentale “tardivo”. Questo segue le sorti di quello principale. Il giudice d’appello è vincolato al principio
della domanda (quindi può pronunciare sugli aspetti della controversia ce non siano stati sottoposti al suo
esame) e oltre ciò non può riformare la sentenza a danno dell’appellante, in mancanza d’appello incidentale
dell’appellato (divieto di “reformatio in pejus”). Il giudizio d’appello è sicuramente devolutivo (il giudice di 2°
potrà esercitare gli stessi potere di cognizione e di decisione spettanti al 1° giudice), tuttavia il legislatore ha
posto dei limiti all’automatismo dell’effetto devolutivo: ex 56 le questioni/eccezioni non accolte in 1°, se non
sono specificatamente riproposte in appello, si intendono rinunciate. L’appellato e l’appellante hanno l’onere
di riproporre ogni ragione di difesa o contestazione (proposte in 1°), non accolte o non esaminate, pena la
decadenza ex 346. No nuove domande ed eccezioni che siano rilevabili anche d’ufficio (divieto di ius
novarum). Contenuto della sentenza: di rito e di merito (in quest’ultimo caso la sentenza emessa da
Commissione regionale sostituisce quella impugnata, sia che sia di riforma che di conferma della stessa). Nei
casi stabiliti dal 59, la legge dispone la rimessione al giudice di primo grado per assicurare il doppio grado di
giudizio (es. in caso di irregolare costituzione del contraddittorio o mancata sottoscrizione della sentenza).

Ricorso per Cassazione (62). I motivi sono quelli del 360 n.1-5 cpc. Dopo l.69/2009, introdotto altre 2 cause di
inammissibilità ex 360bis. L’impugnazione per Cassazione . costituisce tipico rimedio impugnatorio, tendente
ad individuare vizi in senso tecnico della sentenza impugnata (non chiedere un nuovo giudizio,
genericamente). Il ricorso si propone entro gli stessi termini previsti per l’Appello, con notifica alla controparte
e depositato nella cancelleria della Corte entro i successivi 20 giorni. Anche il ricorso in Cassazione . va
sottoscritto a pena di inammissibilità ma solo da avvocato patrocinante in Cassazione . o da un rappresentante
dell’Avvocatura generale dello Stato. La controparte può presentare controricorso e, se legittimata (cioè in
caso di soccombenza parziale reciproca), anche ricorso incidentale. Se il ricorso è fondato, la Cassazione .
Cassazione la sentenza (con rinvio alla Commissione regionale). In caso violazione/falsa applicazione di norme
di dir (dopo il novellato 384cpc), la Corte enuncia il principio di diritto cui il giudice dovrà attenersi, in sede di
rinvio. Il principio di diritto può esser poi ora reso dalla Corte addirittura “nell’interesse della legge” ed anche
quando la sentenza del giudice di merito non è impugnabile ovvero non è stata impugnata nei termini di legge
ovvero quando le parti hanno rinunziato al ricorso. Il principio di diritto potrà poi essere enunciato d’ufficio, se
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il riscorso proposto dalle parti sia stato dichiarato inammissibile, in tutti i casi in cui si ritenga che la questione
decisa rivesta particolare importanza (questo considerando la funzione nomifiliaca della corte): in questo caso
la pronuncia della Corte non avrà effetto sul provvedimento del giudice di merito, ossia la sentenza non
gioverà alle parti in quanto, altrimenti, finirebbero per essere vanificate le regole sulla inammissibilità dei
ricorsi per Cassazione .

Revocazione (64-67). Può fondarsi solo sui motivi tassativamente indicati dalla legge al 395cpc
(vedi).L’impugnazione è diretta allo stesso organo pronunciante tale decisione. La revocazione ordinaria è
quella per i motivi ex n.4 e 5 395cpc (ossia vizi palesi, immediatamente conoscibili dalla parte interessata dalla
semplice lettura della sentenza. Termine di proposizione: 60 giorni dalla notifica della sentenza, se manca la
notifica, 1 anno dalla pubblicazione). La revocazione straordinaria (64 2°) è proponibile per i motivi n.1,2,3,6
395cpc (ossia vizi occulti non immediatamente rilevabili dalla sentenza stessa. Termine di proposizione: 60
giorni dalla scoperta del vizio). Sentenze revocabili: per opinione comune le sentenze di 1° sono revocabili se è
scaduto il termine d’appello e solo per i motivi di revocazione straordinaria; le sentenze di 2° sono soggette a
revocazione ordinaria e straordinaria (in quanto per i vizi relativi non può porre rimedio il giudizio di
Cassazione). Procedimento: stesso di commissione regionale. Sentenza: impugnabile con i mezzi medesimi
esperibili verso sentenza revocata.

Esecuzione delle sentenze

L’impugnazione dell’atto emanato dall’Amministrazione finanziaria non sospende la riscossione dei tributi
pretesi (salva l’ipotesi in cui tale effetto consegua al positivo esperimento del procedimento cautelare). Per
questo il 68 determina entità e tempi del pagamento del tributo in pendenza del processo modulando
gradualmente l’esazione in funzione della oggettivata probabilità di fondamento della pretesa tributaria
confluita nell’atto impugnato. Nel caso poi di accoglimento del ricorso, lo stesso art prevede l’obbligo di
procedere al rimborso di quanto versato in eccesso entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza. Il 69
invece prevede le modalità per dare esecuzione alla sentenza con cui il giudice tributario abbia condannato
l’ufficio o il concessionario al pagamento di somme in favore del contribuente (in questo caso l’esecuzione
coattiva, subordinata al passaggio in giudicato della sentenza, potrà avvenire seguendo il rito ordinario basato
sul titolo esecutivo rappresentato dalla copia della sentenza di condanna rilasciata in forma esecutiva dalla
segreteria della Commissione).

E’ comunque ex 70 possibile esperire il “giudizio di ottemperanza” (istituto del diritto amministrativo) per
dotare il contribuente di uno strumento volto a garantire l’effettività nell’esecuzione delle sentenze delle
Commissioni tributarie. L’applicazione di questo istituto in sede tributaria non è indirizzata in modo unanime:
da un lato si afferma la distinzione con l’istituto amministrativo ravvisandosi nella figura fiscale solo un’attività
esecutiva volta a consentire la restituzione al contribuente di somme indebitamente percepite dall’erario,
mentre d’altra parte si osserva che l’oggetto di tale giudizio sarebbero solo obblighi di fare diversi da quello
insito nel pagamento di somme, in quanto già disciplinato dal 69. Comunque vada, il giudizio d’ottemperanza
può esser avviato proponendo ricorso al Presidente Commissione provinciale o regionale se esistano 2
presupposti: da un lato la sentenza di cui si chiede l’adempimento deve essere passata in giudicato e d’altra
parte deve essere scaduto il termine (fissato da legge) per l’adempimento dell’obbligo risultante dalla
sentenza a carico dell’Ufficio finanziario o dell’ente locale (in mancanza di questo termine si richiede la
decorrenza di 30 giorni dalla loro messa in mora a mezzo di Ufficiale giudiziario). Il ricorso viene poi
comunicato dalla segreteria della Commissione, all’Ufficio finanziario o all’ente locale obbligato a provvedere
(quest’ultimo entro 20 giorni dalla comunicazione, può far pervenire alla Commissione le sue osservazioni) e
quindi assegnato alla sezione emanante la sentenza rimasta inadempiuta. Il collegio (sentite le parti in
contradditorio e acquisita la documentazione necessaria) pronuncia sentenza (impugnabile solo in
Cassazione . per violazione delle norme sul procedimento) con cui, se accerta l’inadempimento denunciato dal
contribuente, adotta provvedimenti necessari l’ottemperanza (potendo delegare un suo componente o
nominare commissario a cui fissa un termine per i necessari provvedimenti attuativi). A quel punto il collegio

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chiude il procedimento con ordinanza.

Giustizia tributaria e “giusto processo”

La giustizia tributaria presenta un oggetto particolare, intimamente connesso all’esistenza stessa dello Stato in
quanto in grado di controllare le attività amministrative di reperimento delle risorse finanziarie essenziali per
il funzionamento dello stato. Applicare quindi i principi del “giusto processo” alla giustizia tributaria è un
compito delicato per il teorico della materia, in quanto vuol dire esprimere una preliminare opzione per un
approccio di pura critica verso un sistema che non può e non vuole garantire una rigorosa ricerca della
giustizia tributaria. Per poter conciliare quegli aspetti nella disciplina del processo tributario, ci sarebbe
bisogno d’un intervento riformatore per garantire la tutela effettiva delle posizioni soggettive coinvolte nella
dinamica applicativa del tributo e quindi bilanciamento tra interesse pubblico al prelievo tributario e interesse
individuale all’integrità patrimoniale, rispettando principio di legalità e altri principi dello “Statuto”

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