Sei sulla pagina 1di 24

PARTE I: GLI ORIENTAMENTI

Qualche idea intorno alla cura


La tematica della cura solo recentemente è tornata a esser oggetto di attenzione in campo filosofico e
pedagogico. Nei diversi contesti culturali il termine "cura" assume significati diversi. In Italia per
esempio, il termine cura viene impiegato in modo indifferenziato per riferirsi sia alle pratiche di cura in
ambito socio-educativo sia alle terapie in ambito medico (in Inghilterra invece si impiegano termini
diversi: 'Cure' per indicare il senso riparativo delle pratiche mediche, 'Care' per indicare il senso pro
motivo, cioè il fatto di incoraggiare, sostenere, favorire, delle pratiche socioeducative).Due sono i
principali campi semantici in cui viene impiegato il termine 'cura':
• Campo medico e ha il significato di terapia, trattamento, guarigione cura come guarigione e come
prendersi cura.
• Campo socio-educativo e fa riferimento alla preoccupazione per un'altra persona, all'attenzione, alla
sollecitudine/prontezza, all'interesse per lei. La cura è un bisogno universale della condizione umana: se
non c'è cura la persona non sopravvive né fisicamente né affettivamente perché la cura è essenzialmente
l'occuparsi della vita materiale, emotiva, cognitiva e spirituale di qualcuno. Il lavoro di cura è rimasto
uguale nel corso del tempo perché nessuna tecnologia può sostituire l'assenza del soggetto che offre le
cure, cioè il caregivers la cura nella sua essenza è relazionale, quindi parlare di cura comporta parlare di
una relazione: perché ci sia cura, infatti, devono esserci due soggetti (uno che cura e uno che viene
curato) che avviano interazione non sempre scelte intenzionalmente non sempre le persone sono in grado
di scegliere di essere curate né da una certa persona né nel modo nel quale vorrebbero. Per parlare di
cura dobbiamo considerare a quale finalità risponde, a quale soggetto è rivolta, quale responsabilità
comporta, a quale tipo di riconoscimento mira (se è remunerata), quale atteggiamento relazionale la
sostiene e la qualità della relazione che esiste tra chi cura e chi viene curato.
La finalità della cura:
• Senso riparativo quando il percorso della cura ha come intenzione il recupero di una qualità di vita
migliore cura come porre rimedio, migliorare lo stato di salute, l'arginare il peggioramento; cura in
ambito medico.
• Senso pro motivo quando si mettono in gioco azioni che cercano di promuovere il dispiegarsi delle
potenzialità dell'altro (per passare da competenze potenziali a competenze acquisite e consolidate) cura
come sostenere e potenziare l'individualità dell'altro; cura in ambito educativo svolta dalle educatrici (le
autrici hanno scelto di usare educatrice invece di educatore o insegnante perché questa professione è
spesso svolta dalle donne, perché il termine femminile richiama la cultura del maternage, cioè il
complesso di atteggiamenti e di azioni
implicati nel rapporto madre-figlio, soprattutto nei primissimi anni, e perché qui si parla di educazione
e non di istruzione). Occorre differenziare i concetti prendersi cura e aver cura, occuparsi e preoccuparsi:
• Prendersi cura descrive un rapporto con le cose, riguarda di più una dimensione materiale.
• Occuparsi è un termine legato ad azioni che sono riferite a cose materiali, è un agire neutro cioè un
agire che non richiede di mettersi in gioco sul piano soggettivo, ma richiede di eseguire la richiesta
ricevuta nel modo stabilito.
• Preoccuparsi presuppone prendersi a cuore l'altro, la sua crescita, implica un investimento nella
relazione con l'altro.
• Aver cura implica l'accompagnare l'altro nel suo processo di crescita, nel suo percorso di
apprendimento, nel suo percorso di conoscenza del mondo. Le pratiche di cura, cioè l'agire nella cura,
sono quel complesso di azioni che le educatrici compiono nei servizi all'infanzia, tenendo presente
sempre una precisa finalità. La cura avviene nella relazione. Due tipi di relazione:
• Relazioni simmetriche nelle quali la responsabilità della cura è distribuita tra entrambi i soggetti (tra
gli adulti della famiglia, tra operatori dello stesso servizio).
• Relazioni asimmetriche, non vi è reciprocità nella cura e chi la riceve è più vulnerabile perché
dipendente (cura verso i bambini o soggetti con disagio).
L'aver cura implica un forte investimento personale: pensiero e affettività vengono coinvolti
profondamente. La responsabilità della cura è legata a chi ha il potere nella relazione, questo potere è
giusto riconoscerlo, ma occorre che sia monitorato in modo che il soggetto curato sia rispettato e abbia
spazio nella relazione. Nei servizi educativi, perciò, la responsabilità della cura deve essere condivisa
dall'intero gruppo educativo per poter equilibrare stili relazionali differenti. Una questione importante
riguarda la problematicità della soggettività di chi presta la cura (quali potrebbero essere quelle azioni
della cura educativa che consentono all'altro soggetto di crescere secondo le proprie potenzialità e non
condizionato dal modo si sentire e di ragionare di chi ha cura di lui?). se nella relazione simmetrica i
bisogni solo negoziabili, nella relazione asimmetrica i bisogni sono individuati dalla persona che ha la
responsabilità della cura. Sappiamo che è impossibile un'assoluta oggettività dell'individuazione perchè
la ricezione dei messaggi è sempre filtrata dalla sensibilità e capacità di attribuire significati più vicini
possibili al bambino, però è importante ed è compito dell'educatrice imparare, nel tempo trascorso con
il bambino, a saper individuare i segnali del corpo e le parole del piccolo interlocutore per decifrare al
meglio il suo messaggio.
Le dimensioni della cura:
• La dimensione fisica e materiale è la dimensione concreta delle azioni rivolte al corpo del bambino
(imboccare, pulire il naso, sistemare gli abiti, pulire il sederino, accarezzare, ecc.). è una dimensione
importante perché ogni gesto porta con se una valenza anche affettiva, non è mai neutro; inoltre questi
gesti sono gesti relazionali che sono cruciali per un equilibrato sviluppo del bambino perchè se compiuti
con rispetto per l'individualità dell'altro, lo aiutano a diventare autonomo dall'adulto e sempre
maggiormente sicuro di sé.
Sono gesti che vanno progettati per evitare che diventino una procedura standard dell'adulto.
• La dimensione organizzativa della cura fa riferimento all'ambiente, al contesto nel quale la cura viene
offerta e ai soggetti che insieme la progettano. Nell'ambito della dimensione organizzativa è importante
che ogni educatrice, o ausiliaria, si approcci alle sue mansioni
facendo riferimento alla dimensione professionale e non personale. Dire "questo non lo faccio perché
non mi piace, questo mi da fastidio" non è un atteggiamento giusto perché tutte le operatrici hanno la
responsabilità di concorrere al raggiungimento degli obiettivi che il
servizio si è prefissato per i bambini ogni comportamento deve essere la traduzione degli scopi che il
gruppo di lavoro si è dato verso i bambini e le famiglie.
• La dimensione emotiva della cura che coinvolge soprattutto l'educatrice: nella relazione con gli altri,
bambini, genitori, colleghi, è impossibile non provare emozioni, positive o negative che siano. Bisogna
essere consapevoli di queste emozioni affinché esse possano essere contenute con un orientamento
costruttivo. La dimensione emotiva deve essere sempre presente nei gesti dell'educatrice perché solo
attraverso essa il prendersi cura del bambino viene nutrito di ascolto, sensibilità e attenzione. Su questa
dimensione occorre promuovere un lavoro di supervisione affinché l'educatrice diventi sicura nel tenere
sotto controllo la propria emotività

Partire dal sapere dell'esperienza.

La cura non è né una tecnica né una scienza, si impara partendo dall'esperienza e dall'elaborazione della
stessa: esperienza di cura prestata e ricevuta. È importante avere presente la differenza tra cura e
relazione. La cura è un fare orientato, uno scambio relazionale che ha la caratteristica di essere
progettabile e controllato anche se permeato dall'affettività, non si tratta di negare l'affettività ma di
collocarla nell'ambito professionale che vuol dire dentro un'intenzionalità esplicita. Con l'espressione
"partire dal sapere dell'esperienza" si intende dare valore alla conoscenza esperienziale, quella
conoscenza non solo intellettuale, una conoscenza diversa da quella scientifica o legata al senso comune,
una conoscenza che si basa sul senso e sugli interrogativi legati alla vita quotidiana, ha come obiettivo
una risposta di senso alle ipotesi di azione dell'adulto. Partire dal sapere dell'esperienza conduce anche
a fare riferimento agli studi sull'intelligenza emotiva. Secondo questi studi vi è un intreccio tra emozioni
e sviluppo della mente ed essi spiegano come le emozioni organizzino la informazioni che i bambini
ricevono dalle situazioni relazionali nelle quali vivono: tanto più cresce l'esperienza dei bambini tanto
più legate ai sentimenti sono le loro esperienze sensoriali.
Greenspan sostiene che persino le capacità generalmente considerate innate, come quella di apprendere
il linguaggio, devono avere una base emotiva per acquisire scopo e funzione (a differenza di Piaget e
Chomsky che ritengono che lo sviluppo del linguaggio e più in generale delle capacità cognitive sia
separato dallo sviluppo delle emozioni). Per Greenspan le emozioni sono importanti nello sviluppo del
linguaggio, anche se la capacità di comprendere le strutture grammaticali è innata, perché i bambini
prima di arrivare a collegare in maniera appropriata le parole devono trovarvi una finalità emozionale:
parole e gesti devono essere inseriti in un contesto relazionale emotivamente significativo è certamente
l'esperienza della cura materna quella che segna il modo in cui noi usufruiamo delle altre esperienze di
cura e il modo con le quali le prestiamo ad altri. Concetto di maternage come modello della relazione di
cura. Tutte le discipline che si occupano dello sviluppo in età evolutiva danno importanza alla relazione
madre-bambino per la formazione di altre relazioni. Nel concetto di maternage si individuano alcuni
concetti importanti quali l'attaccamento, la relazione, la prossimità e il contatto che fanno riferimento a
un'esperienza universale per il bambino piccolo: il riconoscimento dell'importanza della dipendenza
dall'adulto. Perché parliamo di relazione madre-bambino in un libro rivolto alle educatrici? Perché anche
le educatrici hanno avuto una relazione madre-bambino con la propria madre e/o sono madri anche loro,
quindi sperimentano questa relazione madre-bambino; inoltre si vuole sottolineare una differenza
fondamentale tra i comportamenti della madre e quelli dell'educatrice:
- Una madre parte dal piano dell'essere in relazione, poi del sentire e quindi del fare. Mentre si occupa
di lui i sui comportamenti attiveranno un legame di attaccamento le cui caratteristiche riprodurranno la
storia di attaccamento iscritta nella sua biografia personale. In base al suo vissuto affettivo-emotivo, la
madre attiverà la sua affettività, la sua capacità di essere in sintonia con i ritmi del bambino, la sua
capacità di cogliere i segnali comportamentali dandone un'interpretazione e rispondendo in modo
appropriato e pronto.
- Un'educatrice parte dal fare, poi comincia a sentire e poi passa all'essere in relazione, cioè l'educatrice
comincerà a occuparsi del bambino non conoscendolo poi comincerà a percepire i suoi segnali e a dargli
significato, infine costruirà una relazione affettiva. Facendo ancora riferimento al concetto di maternage
si può notare come la madre (o madre normalmente devota o sufficientemente buona), sostenendo lo
sviluppo emozionale del bambino, metta in atto naturalmente e senza pensarci tre
funzioni/comportamenti:
• il contenimento fisico e mentale: la madre tiene in braccio il bambino per farlo sentire protetto e per
contenere le sue emozioni di ansia e paura. Anche l'educatrice può attivare questo comportamento.
Contenimento = capacità di accogliere o comprendere all'interno attività primaria di attribuzione di
significato agli elementi emotivi bruti (elementi beta = emozioni senza significato) che il bambino
registra e trasmette per il tramite dell’identificazione proiettiva proprio l'esperienza di contenimento aiuta
il bambino a strutturare l'origine della sua identità psichica.
• la manipolazione del corpo è la funzione attraverso la quale si integrano nel bambino le esperienze
motorie, sensoriali e funzionali, tracciando il percorso per l'unificazione della mente e del corpo il
bambino piccolo non sa distinguere ciò che appartiene al Sé e ciò che appartiene al mondo esterno. La
capacità del bambino di costruire la propria immagine corporea è frutto delle esperienze di almeno tutto
il primo anno di vita la qualità dei gesti di cura diventa importante per lo sviluppo del Sé: il modo in cui
l'adulto, madre o educatrice, lava il bambino, lo accarezza, lo coccola, gli permette di sviluppare il
proprio io corporeo.
• la presentazione dell'oggetto: questa funzione fa riferimento alla modalità con cui la figura di
accudimento sostiene nel bambino la conoscenza della realtà. Il modo di presentare oggetti e persone, di
dare spazio al bambino per trovare le proprie distanze e i propri tempi nelle
conoscenza con l'ambiente, viene definito lo stile della relazione: ci sono genitori che anticipano certe
conoscenze o genitori che aspettano il segnale del figlio per accompagnarlo nella conoscenza.

Un bambino, tanti bambini.

Nel nido d'infanzia e nelle scuole dell'infanzia: relazioni tra parie con l'educatrice. La dimensione
gruppale diventa per i bambini punto di riferimento quotidiano nel quale misurano le loro competenze e
affinano le strategie di gioco e di comunicazione. Per l'educatrice è sempre difficile gestire gli interventi
educativi verso il gruppo da una parte e l'individuo dall'altra. Spesso è presente ancora quell'idea
"vecchio-stampo" che sostiene l'omologazione degli interventi educativi verso il gruppo dei bambini
quale garanzia di equità nelle opportunità per tutto il gruppo classe/sezione. Posizione non molto corretta
visto che anche se tutti i bambini affrontano gli stessi nodi evolutivi, li affrontano in modo diverso.
Ovviamente possono esserci altri fattori (detti "vincoli del contesto") che non favoriscono questa
separazione degli interventi educativi verso il gruppo e verso il singolo bambino:
• spazi insufficienti o mal strutturati
• carenza di materiale e di opportunità di gioco
• rapporto numerico educatrice-bambini elevato
• poco supporto organizzativo alle educatrici
• formazione non sempre garantita con continuità.
Se l'educatrice però comprende e sente l'importanza di dedicare momenti specifici a ogni bambino,
l'atteggiamento professionale cambia e si riscontrano comportamenti più individualizzati (per esempio:
permettere un bambino di stare più a lungo a tavole se è più lento a mangiare, accettare tempi più brevi
di sonno se il bambino non ha necessità di dormire molto, ecc.). i momenti di cura sono sicuramente
quelle situazioni ottimali in cui dedicarsi al singolo bambino. Perché si sostiene l'importanza di rivolgere
ai bambini un'attenzione individualizzata? Perché già alla nascita ogni neonato è unico e manifesta subito
un proprio stile personale. Si parla infatti di "ecologia della differenza"
- Elisabetta Nigris [ecologia = lo studio scientifico delle relazioni tra gli organismi e l’ambiente] nelle
interazioni del bambino con i pari, con l'adulto e con il materiale di gioco.
Differenze che prima di tutto sono sessuali:
la differenza sessuale è la prima che appare evidente.
Anche nel contesto educativo appare evidente ed è permeata dallo stereotipo della maggiore emotività
delle bambine o della minore precisione dei bambini: stereotipo che spesso comporta una limitazione dei
gesti di dolcezza verso i maschi, per esempio. Le differenze coinvolgono i diversi modi di ragionare dei
bambini e di imparare a farlo. Non si può generalizzare perché le competenze cognitive e lo sviluppo del
bambino dipendono da fattori troppo diversi
che non possono essere accumunati in assoluto. Le differenze cognitive dipendono dall'influenza del
contesto sulle esperienze del bambino. E per contesto si fa riferimento alle relazioni familiari, allo stile
educativo-relazionale delle educatrici e all'intreccio dei rapporti tra famiglia e servizi educativi. Le
differenze dal punto di vista affettivo dipendono molto dalla storia di vita con i genitori e dal
temperamento. Le differenze culturali che determinano alcuni differenti modi di comportarsi dei
bambini, comportamenti derivanti da modelli educativi dei genitori e della loro etnia (per esempio: le
mamme tunisine allattano fino ai due anni; le famiglie cinesi per evitare la sindrome del bambino
prezioso non formano famiglie allargate) differenze culturali che hanno portato a modelli educativi
diversi in dipendenza dai valori principali di quella cultura. Cosa suggeriscono tutte queste differenze?
Ci esortano a rallentare il ritmo degli interventi per prendersi il tempo di conoscere le differenti
caratteristiche del bambino in modo da evitare di applicare procedure standard e, invece, partire dal
bambino per costruire una relazione significativa orientata verso i bisogni del singolo. Dimensioni
psicologiche tipiche dell'età evolutiva ogni intervento educativo comporta due apprendimenti:
• conoscenza del significato che un certo evento/comportamento ha per l'adulto e per la cultura in cui il
bambino vive questa conoscenza può essere insegnata attraverso strategie messe in atto dagli adulti
• conoscenza che lo stesso bambino acquisisce di sé rispetto a quell'evento/comportamento conoscenza
che non può essere insegnata, l'adulto deve accompagnare il bambino alla conoscenza di sé e non cercare
di plasmarlo.
Cosa può fare allora, in questo caso, l'educatrice? Innanzitutto deve partire da un'attenzione
individualizzata, osservando le azioni e le reazioni del singolo bambino.
Deve poi possedere delle strategie che le permettano di prevedere modalità differenti in relazione alle
caratteristiche dei bambini (temperamento, età, situazione familiare, ecc.) e alle caratteristiche del
contesto (risorse umane, periodo di inserimento, ecc.)
Deve tenere presente che la conoscenza di sé passa attraverso la relazione con corpo (per questo si parla
più di cura che di educazione o assistenza) quindi l'educatrice deve fare attenzione ai segnali del corpo
del bambino, ai gesti, al tono della voce, ponendosi in un'ottica di reciprocità della relazione (non è
importante solo quello che un bambino sa fare, ma soprattutto come lo fa perché c'è un percorso
differente e personale caratterizzato da periodi sensibili o critici Periodo critico: momento nello sviluppo
in cui l’individuo deve essere esposto a certe esperienze per acquisire abilità particolari Periodo sensibile:
momento dello sviluppo in cui si hanno maggiori probabilità di acquisire certe abilità. Questa attenzione
individualizzata è importante perché in effetti fin dalla nascita i bambini mostrano ciò che gli occorre,
ma spesso inizialmente queste modalità sono inconsapevoli, quindi il bambino ha bisogno della
continuità della relazione con l'adulto per poter costruire una solida conoscenza del suo Sé e per poter
fortificare l'atteggiamento di fiducia nell'adulto importante la cura da parte di una stessa persona nel nido
d'infanzia per favorire questa conoscenza del Sé. Cura fatta di azioni collegate tra di loro e svolte sempre
nello stesso ordine per offrire al bambino riferimenti sicuri e fatta di tempi non frettolosi bisogna quindi
progettare contesti educativi in cui queste azioni non vengano interrotte (nell'ora del cambio l'educatrice
dovrebbe avere tutto quello che le serve vicino in modo da non distogliere l'attenzione dal bambino).
Importanza di sostenere l'autonomia dei bambini in tutte le loro esperienze di vita affinché i bambini
possano
sperimentare i loro schemi d'azione e possano provare il piacere di fare perché solo attraverso lo
sperimentare e non il compiacere l'adulto lo porterà a una sempre maggiore sicurezza in Sé.
Dipendenza e autonomia: binomio costantemente presente in tutte le età della vita. Binomio del quale
gli adulti hanno la responsabilità nei confronti dei bambini. Perché è importante educare all'autonomia?
Occorre qui fare una riflessione sulla creatività. Winnicott definisce la creatività come l'agire di propria
iniziativa per fare qualcosa che si ha voglia di fare. Questione che sembra banale ma non lo è perché
quell'agire di propria iniziativa non è tanto facile da garantire. Il reagire a degli stimoli prodotti dall'adulto
è qualcosa che non è utile alla costruzione dell'autonomia dei bambini perché la reazione sollecita due
modi di mettersi in relazione con l'altro: il compiacimento o l'opposizione, entrambi questi modi non
sono creativi perché non mettono il bambino nella condizione del piacere di fare, ma lo mantengono in
una
condizione di dipendenza. Quello che Winnicott consiglia agli adulti che curano è di cercare di fare il
meno possibile con i bambini: poche stimolazioni, poche sollecitazioni a fare, controllo delle parole per
evitare di sovrastare le idee dei bambini. Limitarsi a prendere iniziativa non significa però sottrarsi dalla
responsabilità di porre dei limiti all'egocentrismo e
all'onnipotenza dei bambini, la domanda che ci si può fare è: come affrontare i limiti attraverso
un'esperienza costruttiva per i bambini? Il limite a fare non è sempre un'esperienza costruttiva, lo è
quando esso è accompagnato da un'alternativa più complessa, più evoluta. È importante che il bambino
possa sentire che la rinuncia apre la strada alla sperimentazione di azioni più autonome, più complesse,
più ricche socialmente (esempio: se nello svezzamento è permesso al bambino di sperimentare l'uso del
cucchiaio toccandolo o sbattendolo, allora lo svezzamento avverrà sicuramente con maggior successo).
La pedagogia attiva (Maria Montessori) ha sempre lavorato affermando e operando la convinzione che
l'educazione esiste se il soggetto è protagonista del suo sviluppo e si è impegnata affinché i bambini
possano sperimentare attivamente le loro idee sul mondo e sulle cose non bisogna mettersi al posto del
bambino.
Bisogna allora ricercare un equilibrio tra educabilità e libertà. Educabilità intesa come scommessa che il
bambino abbia la possibilità non solo di evolvere, di conoscere di più, ma anche di stabilire un proprio
percorso di crescita, un percorso legato alla molteplicità delle intelligenze [Gardner: considera priva di
fondamento la vecchia concezione di intelligenza come un fattore unitario misurabile tramite il
Quoziente d'intelligenza (Q.I.), e la sostituisce con una definizione più dinamica che nell'intelligenza
vede almeno dieci tipologie differenziate di "intelligenza", ognuna deputata a differenti settori
dell'attività umana].
Bisogna orientare, indirizzare, ma poi lasciare libertà, non interferire in toto. È importante quindi
valorizzare il fare e il piacere di fare questo porta all'autonomia che non può essere insegnata, è una
spinta vitale del bambino. Se l'adulto non interferisce, attraverso l'attività autonoma il bambino impara
a controllare i movimenti, acquisisce conoscenze su di sé, su quello che sa fare, sull'ambiente e impara
a regolarsi. Questo ultimo aspetto è molto importante per lo sviluppo dell'autonomia perché se
l'autonomia è un fare per ubbidire o per compiacere, viene a mancare l'aspetto di sapersi dare delle regole,
se non ci si sa regolare si è dipendenti
dall'esterno. Un bambino che agisce di sua iniziativa e che si corregge di sua iniziativa, è un bambino
che impara ad imparare questa è una forma di meta apprendimento, quindi non è il vero apprendimento,
ma è già una forma superiore a quella che si ottiene seguendo i suggerimenti dell'adulto. L'acquisizione
dell'autonomia è un processo lungo e diverso per ogni bambino come tempi e come modalità, il compito
dell'adulto non è quindi sollecitare questa acquisizione ma accompagnare, sostenere il bambino in questa
libera iniziativa, proteggendolo dalle cose che potrebbero inibirlo. L'adulto deve intervenire
indirettamente sul contesto predisponendo materiali, spazi e tempi che favoriscano l'accompagnamento
del bambino verso un percorso di autonomia.

PARTE II: LE PRATICHE

Premessa.
Momenti di cura nei servizi educativi per la prima infanzia: pranzo, cambio, sonno (ovviamente ci sono
altri momenti che come questi sono ricorrenti, cioè che si caratterizzano per la loro ciclicità, ripetitività
e ritualità: entrata e uscita dal nido, il vestirsi e lo spogliarsi, momento del riordino, lavarsi le mani, ecc.).
Momenti di cura = routine = situazioni che si succedono con regolarità ogni giorno allo stesso modo
(questo da sicurezza al bambino e la fiducia negli adulti e nell'ambiente). Questi momenti vanno
adeguatamente progettati e gestiti dall'educatrice per permettere al bambino di collocarsi con
consapevolezza nel tempo e nello spazio, di costruire il senso di appartenenza a una comunità allargata
e di consolidare conoscenze, abilità e competenze. All'inizio abbiamo visto quanti possono essere i
momenti di cura, se alla cura viene attribuito un significato così ampio, che comprende l'insieme di
preoccupazioni e attività che hanno a che fare con l'attenzione per il benessere dei bambini, si può dunque
affermare che nei nidi e nelle scuole dell'infanzia molta parte del tempo delle educatrici viene dedicato
ad essa e che pertanto le debba essere attribuito un adeguato rilievo all'interno della progettazione
educativa.

Non solo cibo: prendersi cura attraverso l’alimentazione

L'esperienza della nutrizione non è solo un bisogno fisiologico di alimentarsi per sopravvivere, è
un'esperienza globale che comprende aspetti di carattere biologico, psicologico, sociale e culturale
mangiare è dunque un atto che dipende da numerosi e differenti fattori. Nutrirsi è innanzitutto un'azione
necessaria alla sopravvivenza. Il bambino, per poter vivere, introduce nel proprio corpo, attraverso la
suzione, il cibo, qualcosa che si trova al di fuori di lui. Per nutrirsi quindi il bambino deve imparare a
prendere qualcosa da un altro che all'inizio gli è sconosciuto e estraneo, il seno della madre. Da quel
momento inizia il suo rapporto con la madre. In questo rapporto non avviene solo il nutrimento ma
avvengono anche scambi di sentimenti di amore e affetto che li legano il bambino vive le sensazioni
sazietà e felicità che si trasformano in ansia e disperazione se il cibo viene a mancare o viene offerto in
ritardo. Anche il modo in cui la madre vive l'esperienza dell'allattamento influisce sulla relazione con il
figlio e sul rapporto che egli avrà con il cibo. L'identificazione tra nutrimento e figura materna è così
forte negli esseri umani che l'alimentazione continua a rappresentare nel tempo il legame tra mamma e
bambino. Il pasto è un momento relazionale importante sia per il bambino sia per la madre che vede nel
bambino che mangia un bambino che sta bene e che le vuole bene; il rifiuto del cibo viene visto come
un rifiuto si sé. Con il passare del tempo l'esperienza del nutrimento diventa sempre più complessa. Con
lo svezzamento il bambino scopre una vasta e ricca varietà di cibi e sperimenta gradualmente la
possibilità di nutrirsi da solo: il bambino passa dal seno della madre al cucchiaino, dal latte ad altri cibi
per la letteratura
psicoanalitica si tratta della prima importante esperienza di separazione che lascia lo spazio allo sviluppo
di un rapporto più autonomo con il cibo, quindi con il mondo esterno. Il pranzo via via rappresenta un
occasione per imparare a rapportarsi con persone diverse dai genitori e dai fratelli e a mangiare in contesti
differenti nutrirsi diventa allora un'esperienza sociale.
Attraverso il nutrirsi i bambini sviluppano le basi psicologiche dell'identità e della personalità:
• mettere dentro di sé qualcosa di esterno è una delle prime esperienze di differenziazione tra dentro e
fuori, tra sé e qualcos'altro;
• l'allattamento al seno o al biberon offre la possibilità di contatto fisico e quindi è la prima forma di
relazione che il bambino instaura. Il cibo dunque è il veicolo della relazione madre-figlio e permette il
soddisfacimento del bisogno di nutrirsi e di essere contenuto, del bisogno relazionale. Alcuni autori
collegano l'esperienza del nutrirsi alla successiva capacità di elaborare gli eventi della realtà:
• Melanie Klein con il latte il bambino introietta il calore materno, sperimenta la gioia di ricevere e il
sentimento della gratitudine; se tale esperienza è positiva egli ha la possibilità di sviluppare un certo
ottimismo verso la realtà.
• Winnicott se la madre fornisce al bambino un ambiente facilitante che permette ai processi di crescita
naturali del bambino e alle interazioni con l'ambiente di evolversi in conformità al modello ereditario
dell'individuo, se le sue risposte sono sollecite a soddisfare le esigenze fisiche del piccolo, se si comporta
da madre sufficientemente buona, getta le basi della salute mentale del proprio figlio, favorendo il
consolidarsi della fiducia nella bontà del mondo. Il rapporto con il cibo dipende anche dalla propria
indole, dal proprio carattere: c'è chi è molto attivo, mangia molto ed è di buon umore; c'è chi è più
diffidente, schiaccia un pisolino tra un pasto e l'altro, assaggia solo; ecc. Anche al nido come a casa, il
momento del pasto assume valenze affettive, cognitive e sociali significative. È un'occasione di
socializzazione, di conoscenza e di apprendimento. Il nutrirsi, al nido, può essere difficile per alcuni
bambini, quindi è necessario che gli educatori agiscano con estrema cautela, nel rispetto dei tempi e delle
abitudini di ognuno importante quindi non imporre rigidamente un intervento e comunicare con il
genitore, inoltre l'educatrice deve attivare una specifica sensibilità verso il bambino in questa fase. Il
passaggio da una realtà intima e tranquilla come quella di casa a un contesto articolato come quello del
nudo d'infanzia e della scuola dell'infanzia rappresenta per i bambini un'esperienza impegnativa.
Affinché questa fase di transizione possa essere vissuta con serenità ed essere elaborata positivamente,
è necessario che gli adulti coinvolti si mettano dalla parte del bambino per meglio comprendere le
difficoltà e per individuare la strategia che possa aiutarlo a superare in modo positivo questo momento.
Stretta relazione tra alimentazione e dimensione affettiva, cognitiva e sociale individuare tutte quelle
cautele organizzative che vanno incontro ai bambini, ai loro bisogni, alla loro possibilità di essere
protagonisti attivi e consapevoli dei propri processi di crescita. Durante l'ambientamento al nido,
educatrice e bambino iniziano il loro percorso di conoscenza che inizia con i gesti di cura quali pulire il
naso, prendere in braccio, cambiare il pannolino, imboccare, addormentare. La relazione che si crea
viene influenzata sensibilmente dal modo in cui tali gesti vengono gradualmente introdotti. Se l'adulto
coinvolge il bambino in questi gesti spiegandoglieli, seguendo i tempi giusti, allora il bambino inizierà
a percepirsi come persona; se l'adulto compie questi gesti all'improvviso, la costruzione della relazione
risulterà più difficoltosa. Affinché l'esperienza del nido sia positiva è necessario che la relazione con gli
adulti che si prendono cura di lui sia
caratterizzata dalla prevedibilità, dalla coerenza e dalla sintonizzazione con i suoi bisogni, in modo che
egli possa costruire dentro di Sé quella sicurezza che gli permette di esplorare il mondo. Il
riconoscimento dei bisogni, che nei primi anni di vita sono soprattutto corporei, è ciò che permette
concretamente ai bambini di sentirsi riconosciuti. La progettazione educativa deve ruotare attorno ai
momenti di cura in modo da poter rispondere in modo adeguato e
nei tempi adeguati ai bisogni del bambino. Dopo giorni o settimane, l'ambientamento si consolida, è qui
che i gesti di routine possono incorrere nel rischio di diventare educazione informale e occasionale, il
tempo dedicato viene dato per scontato e poco influente per lo
sviluppo globale del bambino questo non deve succedere!!!! Il contesto deve essere pensato per essere
accogliente, rassicurante, adeguato ai bisogni del bambino anche il pranzo necessita di questa
organizzazione. I tempi dei bambini sono molto diversi soprattutto nei primi mesi. Infatti nella sala dei
piccoli si può trovare un bambino ancora allattato al seno, uno che sta iniziando lo svezzamento e uno
che lo ha quasi terminato; oppure trovare bambini seduti sul seggiolone o seduti su una sedia al tavolo.
Queste differenze ci fanno capire che per ogni bambino il pranzo deve essere personalizzato, non bisogna
per forza farli mangiare tutti contemporaneamente anche perché abbiamo già visto come il rapporto
esclusivo educatrice-bambino nell'esperienza del nutrimento, sia un momento importante di relazione e
conoscenza reciproca. Quando i bambini sono più di uno, è consigliabile che l'educatrice di riferimento,
che ben conosce le caratteristiche di ciascuno, stabilisca e rispetti una rotazione fissa, sempre uguale,
che consente di rispettare i bisogni individuali e che permette ai bambini di prevedere quando toccherà
a loro. Man mano che i bambini crescono e le loro abilità aumentano, l'educatrice di adopera per metterli
nelle condizioni di esercitare la propria autonomia: prendere il cibo e metterselo nel piatto, versarsi
l'acqua nel bicchiere, apparecchiare e sparecchiare, ecc. sono attività complesse che però i bambini
possono svolgere, se progettate nel dettaglio. Le esperienze pratiche offrono ai bambini occasioni di
conoscenza di sé, della realtà e suscitano interessi sempre nuovi Maria Montessori: "sotto l'attività che
dirige i bambini verso scopi pratici, esiste uno speciale segreto: la precisione, l'esattezza con cui gli atti
si devono compiere. I bambini infatti amano l'attività che tende a uno scopo ma sono anche molto attratti
dai particolari e dall'esattezza dell'esecuzione". Il pranzo deve essere organizzato con cura: scelta dello
spazio nel quale organizzare il momento del pranzo (in sezione o in una stanza apposita) che dovrebbe
rimanere lo stesso per almeno tutto l'anno mantenere uno spazio fisso per una certa attività permette al
bambino di crearsi dei punti di riferimento e di orientarsi nello spazio e nel tempo. L'ambiente deve
essere considerato un elemento importante del progetto educativo del servizio perché l'ambiente non è
un contenitore neutro, veicola sempre messaggi; deve quindi essere progettato e organizzato perché esso
influenza il benessere dei bambini, influenza il loro comportamento. Per quanto riguarda l'ambiente del
pranzo, per esempio, sarebbe opportuno non eccedere con stimoli visivi, decorazioni, colori accesi, ecc.
i modo che il bambino non sia disturbato da troppe sollecitazioni esterne. Ipotesi di come organizzare e
progettare uno spazio dedicato al momento del pranzo:
• Altezza dei tavoli e delle sedie adeguati all'altezza dei bambini in modo che possano stare seduti bene,
con i piedi appoggiati a terra e con la testa non troppo vicina al piatto;
• Ogni bambino con un posto fisso in modo da evitare confusione e garantirgli prevedibilità e sicurezza
con il passare del tempo i bambini chiederanno di cambiare il posto;
• Attività di lavarsi le mani prima del pranzo a piccoli gruppi in un clima si serenità e tranquillità,
permettendogli anche di fare da soli;
• Evitare che i bambini vengano seduti a tavola costretti ad aspettare per parecchi minuti l'arrivo del
pranzo i tempi d'attesa devono essere i più brevi possibili, quindi questo momento deve essere
organizzato precisamente con il personale che lavora in cucina;
• Un'educatrice seduta a ogni tavolo che non dovrebbe alzarsi per tutto il pranzo ogni spostamento
dell'adulto contribuisce a destabilizzare i bambini e a far vacillare il loro senso di sicurezza per esempio
l'educatrice dovrebbe avere un carrello accanto a se con tutto l'occorrente per il pranzo, in modo che non
debba far spostamenti;
• Se si vuole promuovere l'autonomia, per esempio, le stoviglie dovrebbe essere a misura di bambino e
non troppo pesanti, bicchieri trasparenti per permettere al bambino di imparare a controllare il livello
dell'acqua che si vera da solo, bavagli dotati di elastico per permettergli di metterli e toglierli da soli;
• Per rendere l'ambiente famigliare presentare una tavola imbandita come a casa con tovaglie pulite;
• No rumore e confusione nella stanza per permettere ai bambini di interagire e dialogare, le educatrici
non dovrebbero parlare tra di loro, ma dedicarsi alla conversazione con i bambini man mano che crescono
il momento del pranzo diventa per i bambini un'ottima occasione di dialogo;
• A partire dai due anni i bambini potrebbero essere coinvolti nell'apparecchiare e nello sparecchiare
all'inizio ogni passaggio dovrà essere spiegato passo passo;non coinvolgere troppi bambini
contemporaneamente; attività che consente di esercitarsi in una seri di attività cognitive come la
classificazione (= dividere in classi), seriazione (= ordinare gli elementi i una stesa classe),
lateralizzazione (= individuare la destra e la sinistra);
• I pasti devono essere preparati secondo norme dietetiche, tenendo conto delle esigenze individuali
(allergie, intolleranze) e delle preferenze individuali i bambini devono essere invitati a mangiare e
assaggiare i diversi cibi, ma non costretti non imporre il cibo che non piace perché in questo modo non
si fa vivere con serenità e tranquillità l'esperienza del cibo: i bambini lo vivono come un atto sadico =
una crudeltà senza motivo e
senza giustificazione, in questo modo si priva il bambino della responsabilità del proprio appetito e della
propria digestione;
• Non imporre regole troppo rigide e severe rispetto allo stare a tavola è importante che i bambini
imparino tali norme gradualmente;
• Il momento del pranzo essendo carico di valenza emotiva, deve essere gestito dall'educatrice di
riferimento per quel bambino;
• È necessario uno scambio di informazioni tra educatrice e genitori in merito alle abitudini alimentari
del bambino, al livello di autonomia a tavola, ecc., in modo da garantire il massimo livello di
personalizzazione, tenendo conto delle specificità e dei tempi di ogni singolo bambino. Figura di
riferimento o adulto di riferimento:
- interlocutore privilegiato di un certo bambino e dei suoi genitori;
- la relazione con un bambino passa innanzitutto attraverso il contatto corporeo, attraverso i gesti di cura
e gli sguardi di un adulto che si occupa di lui in maniera privilegiata e che si assume la responsabilità
educativa nei suoi confronti;
- figura che non è la mamma e che ha nella testa altri bambini e altri genitori
- conosce nello specifico il bambino quindi sa quali sono i suoi bisogni, i suoi ritmi e le sue difficoltà;
- deve promuovere l'autonomia del bambino;
- deve verbalizzare le sue richieste senza imporle.
L'esplorazione del cibo con le mani:
- è tipica nei bambini piccoli ed è molto importante dal punto di vista educativo perché il bambino collega
al piacere di nutrirsi quello di esplorare, di sporcarsi e di fare da solo;
- deve essere incoraggiata;
- dal secondo anno se lo fa ancora esprime un bisogno di manipolazione, allora si può venire incontro a
questo bisogno proponendo esperienze manipolative con materiali diversi (didò, pasta e sale);
- l'adulto deve però fare capire al bambino che c'è un tempo per il gioco e un tempo per il pranzo.
Attenzione a ogni bambino con le proprie specificità:
- chi non possiede ancora le competenze viene servito dall'educatrice mentre chi le ha viene lasciato farlo
da solo, con calma e sotto lo sguardo incoraggiante dell'educatrice;
- se qualcosa cade per terra, una forchetta o il cibo, non rimproverare bruscamente, ma tranquillizzare il
bambino che sicuramente già si è accorto dell'errore il rimprovero potrebbe scoraggiarlo nella conquista
dell'autonomia (anche perché potrebbe pensare: ho fatto cadere la forche, allora non so ancora mangiare
da solo);
- se un bambino crede di potersi versare l'acqua da solo e quando lo fa versa dell'acqua sul tavolo, non
rimproverarlo ma verbalizzare quanto accaduto cercando di fargli capire perché l'acqua è caduta sul
tavolo. Altre accortezze da tenere presente durante i pasti:
• Il cibo può essere uno strumento visibile impiegato per comunicare sentimenti ed emozioni invisibili.
Il rifiuto del bambino a mangiare dovrebbe essere ritenuto dall'educatrice una spia di una sua difficoltà,
che deve essere letta e compresa. Può accadere che il rifiuto del cibo sia un modo per gridare al mondo
la propria tristezza, il proprio desiderio di ritrovare la mamma e di alimentarsi solo con lei. Molti possono
essere i motivi, quello che bisogna fare è accogliere il suo rifiuto, porsi in un atteggiamento di
osservazione e di ascolto nei suoi confronti, se necessario confrontarsi con i genitori; ciò che non bisogna
fare e obbligarlo a mangiare e mortificarlo dicendogli quanto sono bravi gli altri che mangiano tutto,
anche perché queste lotte intorno al cibo possono trasformarsi in brutti ricordi e rimanere dentro le
persone per tutta la vita.
• Giocare con l'acqua è una forte tentazione per il bambino, bisogna lasciarlo sperimentare ricordandogli
che a tavola non si gioca e quindi proponendogli delle attività a parte di travasi, ecc.
• Incoraggiare e sostenere l'autonomia tenendo sempre presente le competenze del singolo bambino, non
scoraggiare mai a priori.
• Non fare aspettare a lungo i bambini seduti al tavolo perché potrebbero stancarsi e le stoviglie
potrebbero diventare dei giochi. Si potrebbe allora progettare insieme a chi lavora in cucina i tempi
precisi della preparazione e somministrazione del cibo. Scuole dell'infanzia: spesso, ritenendo che i
bambini dai tre ai sei anni siano già grandi, si commette l'errore di trascurare la valenza educativa delle
cure a favore dell'apprendimento nelle 'Indicazioni per il curricolo per la scuola dell'infanzia' (curricolo
= percorso degli studi) si legge: "le attività informali, di routine e di vita quotidiana, la vita e i giochi
all'aperto sono altrettanto importanti delle attività espressive e di movimento libero o guidato e possono
essere occasione per l'educazione alla salute attraverso una sensibilizzazione alla corretta alimentazione
e all'igiene personale…" Vita del bambino alla scuola dell'infanzia: alternarsi di momenti di cura, attività
strutturate e gioco libero; l'apprendimento e lo sviluppo delle abilità cognitive non avviene solo nelle
attività strutturate anche perché i bambini svolgono le loro iniziative in tutte le situazioni, formali e non,
programmate o no, ecc. i bambini sono per natura operosi. Numerose ricerche hanno ormai confermato
che la conoscenza si raggiunge nelle situazioni, che sono al tempo stesso affettive e cognitive. È
necessario quindi che le educatrici si riapproprino dei veri significati dell'esperienza del prendersi cura
e ne riscoprano i contenuti pedagogici, dal momento che sono proprio i gesti quotidiani della cura che
sostengono il bambino nello sviluppo, nella costruzione di identità, autonomia e competenze
riappropriarsi di un'idea unitaria della persona: mente-corpo, cognizione-emozione non sono
contrapposti, ma inseparabili. Bisognerebbe dedicare quindi ai momenti di cura la stessa attenzione che
si rivolge a un'attività didattica, valorizzarli, pensare alla loro organizzazione nei minimi dettagli i
momenti di cura non possono essere frutto dell'improvvisazione, ma di un'attenta progettazione.
Indicazioni Nazionali la scuola dell'infanzia deve proporsi come un contesto di cura, di relazione e di
apprendimento, tenendo sempre conto dell'individualità di ciascuno.
Il pranzo nella scuola dell'infanzia:
• situazione delicata e ricca, che contiene valenze affettive, emotive, cognitive e sociali;
• deve essere progettato e organizzato con estrema cura, in modo che venga vissuto con serenità e
tranquillità
• indispensabile adottare strategie di aiuto e di sostegno, affinché per il bambino questo sia un momento
da vivere con piacere strategie individualizzare;
• garantire un alto livello di autonomia perché i bambini devono essere protagonisti delle esperienze che
vivono, in tal modo la routine diventa un'occasione di apprendimento: imparare il rito del "mettersi a
tavola", del "mangiare assieme";
• il coinvolgimento nell'apparecchiare, nello sparecchiare, nel servire a tavola produce senso di identità,
di appartenenza e capacità di attribuire senso alla realtà;
• garantire il posto fisso a tavola e rispettare i tempi di ciascuno;
• se organizzato in modo opportuno può essere, per i bambini, un momento privilegiato di comunicazione
e di relazione con l'adulto e con i coetanei;
• il bambino rifiuta il cibo questo può essere un atteggiamento impiegato come strumento narrativo per
raccontare tutto il suo disagio, in questo caso è necessario innanzitutto che gli insegnanti manifestino
ascolto, comprensione e accoglienza dei sentimenti di rifiuto, invece che costringerlo a mangiare; per
poterlo aiutare, infatti, bisogna conoscere le cause del suo malessere; a volte il rifiuto deriva anche dal
fatto che i cibi non sono graditi bisogna rispettare i gusti dei bambini assumere un atteggiamento rilassato
è il modo migliore per evitare scontri e far accettare al bambino, con gradualità, un'ampia gamma di
sapori l'educazione alimentare
non ha nulla a che fare con la costrizione;
• gestito dalle persone di riferimento che conoscono bene il bambino e di cui i bambini si fidano;
• necessario un costante dialogo tra genitori e insegnanti in merito alle abitudini alimentari dei bambini,
ai progressi nell'autonomia, ecc.
• il contesto del pranzo: ovviamente per chi ne avesse la possibilità, se fosse la sezione sarebbe molto
meglio perché è un luogo familiare e tranquillo, se non c'è questa possibilità sarebbe meglio dividere il
refettorio, che sicuramente è un posto ampio e dispersivo, in spazi più piccoli e di non utilizzare tavoli
troppo grandi (al massimo 6/8 persone) tutto questo favorisce la socializzazione.
• Il "fare il cameriere" può essere un'ottima occasione per esercitare e affinare competenze motorie,
acquisire e consolidare concetti logico-matematici, risolvere problemi.
• Spesso abbiamo detto: "Bravo hai mangiato tutto!" un bambino non è bravo se mangia tutto, se mangia
tutto è perché ha fame, perché ha gradito quello che gli è stato offerto, ecc.; quale aggettivo potremmo
allora usare a un bambino che non mangia tutto? Forse bisognerebbe esprimersi meglio: "ti è piaciuto
questo risotto", "quanta fame avevi oggi!" queste espressioni non danno un giudizio sulla persona e non
mortificano chi non finisce tutto quello che ha nel piatto. Non possiamo obbligare il bambino a finire
quello che si ha nel piatto, senza tenere conto dei loro gusti e della quantità di cibo che desiderano
mangiare bisognerebbe allora, invece che servire i bambini con una porzione standard per tutti, metterli
nelle condizioni di servirsi da soli, insegnando loro a prendere la quantità di cibo che pensano di riuscire
a mangiare aiutare, gradualmente, ad autoregolarsi. Questi discorsi valgono per il pranzo come per la
merenda mattutina e pomeridiana. Questi momenti rappresentano importanti occasioni di
socializzazione, di promozione dell'autonomia, di rispetto e sostegno da parte degli adulti, della voglia
di fare dei bambini , di apprendimento.

Questioni di pelle: parlare il linguaggio del corpo

La pelle costituisce il sistema nervoso esterno dell'organismo: tutto il corpo è protetto dall'involucro
pelle. Come più esteso e precoce organo di senso del corpo, la pelle permette all'organismo di conoscere
l'ambiente: attraverso il senso del tatto, porta i segnali e i messaggi dall'ambiente esterno all'attenzione
dell'ambiente interno, cioè la mente. È nella pelle che già nella vita intrauterina viene a stabilirsi la prima
fonte della memoria epidermica, che via via
evolve in memoria psichica. Nel bambino piccolo la pelle è la dimensione corporea fondamentale:
toccare e essere toccato è un bisogno vitale, senza il contatto fisico nessun neonato sopravvivrebbe. L'atto
di toccare da al bambino anche le prime informazioni sulla propria identità: all'inizio non riesce a
differenziare se stesso dalle persone del suo ambiente.
È infatti nei primi tre anni di vita che il bambino vive il processo di separazione-individuazione per
costruire la propria identità differenziata da quella dell'adulto. Ciò che ci differenzia dalle altre specie
animali è che al cucciolo d'uomo non basta il semplice contatto di pelle, ha bisogno di qualcosa in più:
la tenerezza. Questi gesti di tenerezza trasmettono al piccolo sia il calore della pelle dell'adulto sia
l'affetto che la madre prova per lui. Di vitale importanza nello sviluppo del bambino è la crescita del suo
affetti per le figure di riferimento (in primis i genitori) e la sua capacità di esprimere tali sentimenti. Il
senso del tatto quindi è importantissimo per il benessere psico-fisico del bambino perché oltre a riceve i
messaggi, serve anche a emettere messaggi. Egli percepisce tutte le tensioni in negativo e in positivo
attraverso il linguaggio del corpo e attraverso di esso risponde alle diverse sollecitazioni (linguaggio
analogico = ciò che ogni persona esprime attraverso i gesti e i comportamenti) è
proprio attraverso la pelle e il corpo che il bambino comunica nei primi mesi di vita: si arrossa di piacere,
impallidisce per la paura. Attraverso il contatto epidermico, il bambino struttura i confini del Sé
corporeo. Il neonato ha una sensibilità cutanea molto sviluppata, quindi come percepisce bene le
emozioni positive, percepisce altrettanto bene quelle negative e può essere ferito da contatti troppo
poveri, discontinui, frettolosi o distratti è vulnerabile. Anche sollecitazioni troppo intense e prolungate
possono disturbarlo, quindi anche le coccole vanno dosate perché possono creargli uno stato di sovra-
eccitazione che romperebbe l'equilibrio interno, rendendolo nervoso, irritabile, sovra-eccitato il disagio
interiore può essere espresso attraverso una svariata gamma di disturbi psicosomatici (asma, anoressia,
sudorazione profusa, vomito, nausea, tachicardia, cefalea, ecc.). "Un buon rapporto di pelle" è essenziale
per l'equilibrio emotivo e mentale del bambino, quindi il modo con cui l'adulto si pone nella relazione
corporea con il bambino è determinante per il suo processo di crescita. Crescere significa aprirsi al
mondo, e il corpo è il primo mezzo per aprirsi. Il bambino conosce il mondo attraverso il corpo e
comunica attraverso il corpo (soprattutto inizialmente). Ancor prima che compaia il linguaggio verbale,
è ben nota l'importanza dei processi di conversazione precoce. La comunicazione corporea si esprime
nella dimensione analogica, rappresentata dal linguaggio tonico-gestuale: i gesti, gli sguardi, il tono
muscolare esprimono e rivelano i sentimenti, le paure, i desideri che si provano. Il linguaggio del corpo
deve però essere accolto e interpretato da un adulto attento, sensibile e sintonizzato con i segnali
dell'altro. Il processo della comunicazione è una dimensione di riflessione importate per capire come si
sviluppi, durante le cure, il dialogo comunicativo tra l'adulto e il bambino proprio attraverso l'attività
comune. Attraverso questo dialogo quotidiano il bambino acquisisce sempre nuove competenze per
emettere segnali che, se raccolti dall'adulto, influenzano gli avvenimenti successivi. I momenti di cura
del corpo, quindi, favoriscono lo sviluppo del processo di comunicazione precoce,il dialogo gestuale. La
corretta lettura delle richieste del bambino favorisce la fiducia del bambino verso un adulto che sappia
accoglierlo ed ascoltarlo; il successo dell'azione rinforza, inoltre, la capacità del bambino di emettere
segnali pertinenti alle sue necessità. Lo sviluppo della funzione di segnalazione è facilitato dal fatto che
le operazioni di cura sono attività che si ripetono regolarmente, giorno dopo giorno (questo consente al
bambino di prevedere i gesti dell'adulto). Questa ripetizione è una condizione fondamentale perché
permette l'interiorizzazione dei movimenti che consentirà di anticipare il gesto nella sua totalità. Così
facendo,il bambino comincia a costruire sequenza di comportamenti che approderanno ad una completa
competenza. Il processo di comunicazione è facilitato dal fatto che le cure sono prestate anche con l'aiuto
di oggetti che a loro volta indicano al bambino quello che può aspettarsi dall'adulto (per esempio il
bicchiere è associato al bere). Grazie alla comprensione delle azioni che avvengono durante il pasto, il
cambio, il sonno, nel bambino si sviluppa un sentimento che lo rassicura e che gli infonde la certezza di
potersi fidare della propria capacità di influenzare gli avvenimenti che lo riguardano. Tale fiducia
contribuirà a far sorgere le prime relazioni sociali. Cure del corpo favoriscono la comunicazione precoce
tra adulto e bambino. Nei contesti educativi i bambini vivono esperienze nuove e esperienze molto
rituali: i rituali, infatti, sono eventi composti da sequenze comportamentali che si ripetono sempre allo
stesso modo e rappresentano per i bambini una sicurezza emotiva perchè la loro regolarità diventa
prevedibilità e possibilità di controllo da parte loro. Nei nidi o nelle scuole d'infanzia questi momenti
vengono definiti "di routine", questo termine però non è adatto perché rispecchia solo la meccanicità di
questi momenti senza tenere conto delle valenze affettive, emotive e socio-cognitive, quindi si preferisce
usare il termine "momenti di cura". I momenti del cambio e del bagno sono le situazioni nelle quali i
bambini cominciano a maturare la conoscenza del proprio corpo e a prendere confidenza con esso. Le
azioni compiute in questi momenti sono molte, toccare, pulire, lavare, massaggiare, vestire, e queste
azioni trasmettono al bambino sensazioni piacevoli o spiacevoli in relazione alle modalità dei gesti
dell'educatrice. Il bambino, con il suo corpo, trasmette queste sensazioni: cure piacevoli muscolatura
rilassata e si prepara ai gesti dell'educatrice. Nella vita dei bambini piccoli gli stimoli tattili svolgono un
ruolo emotivamente importante all'interno dei contatti adulo-bambino; tali scambi purtroppo non sempre
sono delicati e gratificanti per il bambino, a volte l'educatrice li compie frettolosamente, senza cura e
questo è sbagliato perchè l'educatrice ha una forte responsabilità nell'aiutare il bambino a costruire una
conoscenza del proprio corpo legata non solo a conquiste cognitive (legate alle tappe dell'autonomia),
ma anche a una positiva percezione del proprio corpo. Il bambino deve essere sollecitato l'autonomia,
quindi deve poter sperimentare in base alle competenze già acquisite
senza essere sostituito, questo gli permette di imparare a risolvere i problemi e a consolidare la propria
autostima. È importate, quindi, evitare al bambino inutili frustrazioni e intervenire con aiuto solo quando
egli mostra di non essere in grado o pronto emotivamente per fare da solo. È motivo di fiducia e
rilassamento sentire che si può avere tempo per provare e riprovare, per imparare dall'errore (elemento
necessario per l'acquisizione di nuove competenze). Occorre avere consapevolezza che i gesti non sono
mai neutri ma veicolano le emozioni dell'adulto (gesti frettolosi sentimenti di frustrazione nel bambino);
non bisogna cadere nella ripetitività e meccanicità dell'azione. La rapidità può essere riservata ai
procedimenti tecnici e non all'atto della cura e bisogna dare tempo al bambino di partecipare in modo
attivo a quello che gli sta accadendo, senza fretta. Momento del cambio:
• no rapidità dei gesti;
• linguaggio non unidirezionale, deve esserci interazione e reciprocità nella relazione;
• sguardo fisso sul bambino, sorriso e parole che accompagnano l'azione così il bambino comprende
quanto sta accadendo e se esse vengono dette anticipando l'azione, il bambino attiva la funzione di
prevedibilità degli eventi e si attiva nello scambio e nell'azione.
• Anche il momento di pulire il naso è un momento di cura importante perché anche se riguarda una
piccola parte del corpo può comunque far sentire il bambino accudito e benvoluto; dirgli: "non ti sei
accorto che ti cola il naso?" o altre domande del genere non lo aiutano a costruire la propria autostima,
basterebbe dirgli magari "fermati un attimo e pulisciti il naso" e già la situazione sarebbe diversa, lo
aiuterebbe a stare più attento ai propri bisogni fisiologici e rivelerebbe la convinzione dell'adulto che un
bambino a quattro anni possa pulirsi il naso autonomamente;
• lavare i bambini è un'azione di cura che richiede calore, pazienza e serenità;
• importante coinvolgere i bambini nelle azioni che li riguardano, esortandoli, per esempio, a slacciarsi
il pannolino sporco e a prenderne uno pulito; fare tutto frettolosamente e senza la partecipazione del
bambino, compromette la sua autonomia, non hanno modo di provare, sbagliare,ecc.;
• tenerezza e scambi verbali (i quali sostengono la nascente competenza linguistica). Nella scuola
dell'infanzia l'azione del lavare è più circoscritta ad alcune parti del corpo del bambino (mani, viso)
rispetto a quanto accade al nido e, di conseguenza, comporta un diverso coinvolgimento dell'adulto, il
cui compito è quello di accompagnare il percorso di autonomia dei bambini. È importante che
l'educatrice abbia molta pazienza per lasciare ai bambini il tempo necessario per provare e riprovare la
nuove acquisizioni. Sistemare ai bambini gli indumenti, dopo che sono andati in bagno, è anche un gesto
di cura e permette ai bambini di
coltivare il senso del bello vista l'attenzione che gli adulti porgono ai dettagli; inoltre può questa diventare
un'occasione di aiutarli a memorizzare la sequenza corretta degli indumenti verbalizzando tale sequenza
mentre l'adulto la sta compiendo. Modalità con le quali gli adulti possono favorire l'autonomia dei
bambini duranti i momenti del cambio-bagno: Come aiutare i bambini ad imparare a lavarsi le mani?
• Mettere una bottiglia di sapone con dosatore permette al bambino di imparare a dosare la quantità
necessaria a lavarsi. Come aiutare i bambini ad imparare a riordinare i propri indumenti ed oggetti?
• Mettere cestini contrassegnati con un simbolo o il loro nome (che i bambini possono imparare a
riconoscere dalla lunghezza della parola);
• Contrassegnare l'asciugamano e l'attaccapanni in modo che il bambino possa mettere a posto il proprio
e aiutare un compagno a fare lo stesso (i bambini di tre anni si ricordano anche il simbolo degli altri).
Per favorire l'autonomia è molto importante anche la struttura dell'ambiente: avere bagni con lavandini
piccoli a cui può accedere un solo bambino e senza il posto per appoggiare il sapone, fa si che il bambino
sia dipendente dall'educatrice che gli deve dare il sapone (quindi non impara quel movimento) e inoltre
non essendoci relazione con i pari non può nemmeno mettere in atto quel comportamento imitativo molto
utile all'acquisizione di competenze e non prova piacere nel fare insieme che invece gratifica molto i
bambini e li spinge a compiere azioni più complesse; avere invece vasche più lunghe e rubinetti più
sporgenti per permettere ai bambini di mettere bene le mani sotto l'acqua, permette ai bambini maggiore
autonomia; se la distanza tra la sezione e il bagno è troppo ampia, l'educatrice farà più fatica a favorire
il processo di autonomia perché i bambini dovranno imparare un percorso lungo per andare in bagno da
soli. Sappiamo dalla letteratura psicoanalitica e antropologica che acquisire la capacità di prendersi cura
del proprio corpo rappresenta un conquista sociale il cui percorso è mediato dai modelli delle culture di
appartenenza e dai periodi storici ai quali fanno riferimento. Per il bambino tenere pulito il proprio corpo
non è un'esigenza sentita immediatamente come importante ma, anzi, è una
conquista lenta che egli acquisisce attraverso la relazione con gli adulti che si occupano di lui e con i
quali vi è un profondo legame affettivo. Il bambino infatti non riconosce la differenza tra sporco e pulito
nel senso che li intendono gli adulti: può piangere quando ha il pannolino sporco, ma a due anni capita
che giochi anche con il pannolino sporco almeno fino ai due/tre anni, le esperienze del bambino sono
legate alle sue sensazioni fisiche e non alla dimensione
sporco/pulito: sensazioni piacevoli legate a esperienze soggettive di piacere (essere asciutti, essere
puliti), sensazioni spiacevoli legate a esperienze soggettive di fastidio (essere bagnati, essere sporchi),
ecc. Questo riferimento alla soggettività è perché i bambini hanno soglie individuali di tolleranza alle
sollecitazioni esterne (alcuni bambini provano fastidio nello sporcarsi con la terra, altri si rotolerebbero
dentro). Il fastidio per lo sporco è legato alle individuali caratteristiche temperamentali ma anche ai
messaggi degli adulti verso i comportamenti dei bambini è l'atteggiamento dei genitori e delle educatrici
nei confronti della dimensione dello sporco, ad influire sui comportamenti e sulle pratiche di
apprendimento della pulizia del corpo. Quando, infatti, la progressiva maturazione neuro-muscolare del
bambino gli permette di toccare, afferrare, manipolare gli oggetti, spalmare, l'adulto comincia a
intervenire. La differenza tra il vietare o il lasciar fare e il come e quanto lasciar fare è spesso legata a
fattori soggettivi dell'adulto come la sua esperienza, anche pregressa, rispetto alla dimensione dello
sporco e le implicazioni pratiche: lavare e pulire ciò che i bambini hanno sporcato in eccesso comporta
una maggiore quantità di tempo sia per l'ausiliaria sia per l'educatrice. L'intervento, oltre che con i gesti,
può avvenire anche avvenire verbalmente. Dire: "via da li, non toccare, è cacca" può causare confusione
nel bambino:
• dal punto di vista lessicale e semantico, perché si associa l'acqua del wc alla cacca;
• quella frase, accompagnata da un certo tono di voce e una certa espressione del viso, trasmette al
bambino la connotazione culturale negativa del concetto di sporco e gli fa capire che esso non è accettato
dal mondo degli adulti;
• l'equivalenza tra sporco e cacca, gli trasmette che tutte le cose sporche sono quindi cacca (equivalenza
non immediata e non di aiuto al percorso di conoscenza del proprio corpo e dei suoi prodotti potrebbe
essere un problema soprattutto nel periodo dello sviluppo controllo sfinterico, nel quale il bambino
potrebbe essere influenzato psicologicamente a non fare la cacca perché è sporco, ricordando che già il
bambino attua comportamenti oppositivi durante questo sviluppo). Tra i 2/3 anni il bambino viene
accompagnato a riconoscere i suoi stimoli fisiologici, a saperli controllare e a saperli verbalizzare
all'adulto. Non è facile passare dall'uso del pannolino, che permette al bambino di scaricarsi ovunque
senza interrompere le sue attività e di deciderne autonomamente, al controllo di cacca e pipì. Il bambino
può impiegare molto tempo prima di raggiungere dei risultati stabili nel controllo delle proprio funzioni
fisiologiche; questi risultati sono legati sia al processo di maturazione, assolutamente individuale, sia
all'atteggiamento degli adulti che gli stanno intorno. Le aspettative dei genitori e delle educatrici incidono
fortemente sul comportamento del bambino verso la graduale capacità di non sporcarsi: fretta o calma?
Perché il bambino possa vivere un'esperienza non frustrante e non umiliante nel suo percorso verso la
capacità di saper riconoscere i propri stimoli e possa avvisare l'adulto in tempo, diventa molto importante
che quest'ultimo riesca ad
assumere un atteggiamento rispettoso dei suoi tempi, che sappia gratificarlo per le piccole conquiste. Ci
vuole calma, pazienza, tenerezza e ascolto dei segnali del bambino, anche perché il bambino passa dal
momento del cambio in cui è totalmente dipendente, al momento in cui deve fare da solo, in cui è
autonomo. Per quanto riguarda l'autonomia, che le educatrici devono promuovere, bisogna fare
attenzione a non sottovalutare o sopravvalutare le possibilità dei bambini perché nel primo caso, la
sottovalutazione non permette al bambino di trovare la motivazione per misurarsi con nuove abilità; nel
caso della sopravvalutazione, il bambino si sente emotivamente frustrato e incapace di mettere in atto
strategie di pensiero utili per nuovi apprendimenti. La tenerezza dell'educatrice in questi momenti non è
una predisposizione innata, ma dipende dalle esperienze compiute e soprattutto dalle esperienze di cura
ricevuta.
Chi ha avuto esperienze di poca tenerezza, non è detto che non la impieghino o che non possano imparare
ad usarla. Occorre pensare a percorsi professionali di formazione che mettano al centro un lavoro sulle
emozioni, sulla capacità di mettersi nei panni dell'altro, sulla capacità di accogliere i messaggi dei
bambini.

Quando è l'ora di fare la nanna

Il sonno è un fenomeno naturale, un'esigenza universale degli esseri umani. È un tempo di riposo
necessario al cervello per ricaricarsi e per "disintossicarsi" dalle scorie biochimiche.
Il sonno non è una cosa inutile anzi è uno stato che serve all'essere umano per riorganizzare le proprie
funzioni. "…non è l'individuo che dorme, ma è il suo cervello che chiede di cambiare ritmo e che, nel
corso di una vita normale di almeno settantacinque anni, ne passa venticinque a dormire" (Bouton,
Pedagogia del sonno). Il sonno svolge un ruolo essenziale ancora prima della nascita. Infatti il feto è
quasi perennemente nella fase REM del sonno (Rapid Eye Movement = movimento rapido dell'occhio),
che per gli esseri umani è la fase in cui si sogna.
Anche il neonato trascorre molto tempo a dormire e per tutta l'infanzia sogna come mai più nella vita
(infatti dorme e sogna come prima di nascere). Il suo cervello mentre egli dorme, lavora favorendo la
maturazione del sistema nervoso, della memoria e delle capacità di apprendimento. Fin da piccolo inoltre
il bambino, attraverso i sogni, scarica le proprie tensioni, esprime le proprie ansie e mette in scena le
proprie paure. Nella fase di sonno profondo, invece, l'attività mentale di arresta permettendo al sistema
nervoso di riposare e di proteggere le proprie cellule e all'ipofisi di secernere l'ormone della crescita. Il
sonno quindi è un bisogno primario e la sua soddisfazione è indispensabile per il benessere e l'equilibrio
del bambino.
È importante quindi seguire i ritmi di sonno e veglia, evitando di interferire con "l'orologio interiore"
che li regola. Se questo bisogno non viene soddisfatto, il bambino mostra il suo disagio attraverso
l'irritabilità, il disinteresse al gioco e all'ambiente, la difficoltà ad alimentarsi, ecc. Il modo in cui i
bambini si addormentano e si svegliano e la durata del loro sonno sono strettamente connessi alla fase
di crescita che stanno vivendo. Man mano che il piccolo cresce tende a restare più sveglio sia per la
maturazione del sistema nervoso sia perché
interessato a tutto ciò che lo circonda. La durata del sonno non è uguale per tutti gli individui; a partire
dai 6 mesi di vita le differenze diventano più evidenti. Il sonno costituisce uno dei principali segnali del
benessere, ma anche del disagio del bambino. Mentre inizialmente è il corredo genetico a provvedere a
tutti i suoi ritmi vitali, anche quello del sonno, con il passare
del tempo aumenta in modo significativo l'influenza dell'ambiente per esempio, influenze negative per
il sonno del bambino: abitazioni sovraffollate, cattivi rapporti tra genitori, eccessivo rumore, ecc. Si sa
che i bambini hanno antenne acutissime nel cogliere sensazioni ed emozioni nell'ambiente che li
circonda. Assorbono il clima emotivo come un'aria salubre.
Il sonno può anche rappresentare un meccanismo di difesa in situazioni di eccessivo disagio. Nel caso
di disturbi del sonno, bisogna ricercare le cause nell'ambiente perché tutto ciò che accade nel corso della
giornata si riflette sul sonno e sui sogni. Il neonato trascorre molto tempo a dormire e sognare da piccoli
si sogna quasi il doppio rispetto all'adolescenza o all'età adulta. Nel corso della storia dell'uomo ci si è
molto interrogati sull'origine e sul significato dei sogni, oggi sappiamo che avvengono durante il sonno
REM, che non sono il riflesso della nostra interiorità (come pensava Freud), ma non sono nemmeno
sciocchezze prive di significato, ma posso offrire uno scorcio interessante dei pensieri e delle emozioni.
Per quanto riguarda i bambini piccoli, risulta difficile conoscere il contenuto esatto dei loro sogni perché
non li distinguono dalle fantasie e dalla realtà. Anche se illogici, è importante che si stia ad ascoltare i
racconti dei sogni dei bambini perché li si aiuta a dare un significato anche alle storie assurde. A partire
dai 2/3 anni ai bambini capita di avere incubi notturni che possono presentarsi anche durante il sonno
pomeridiano. Questo momento corrisponde al passaggio dalla dipendenza alle prime forme di autonomia
che ovviamente creano le prime paure, anche perché affrontano nuove avventure e difficoltà. Il modo
migliore per aiutarli, in caso di incubi, è quello di rassicurali e consolarli. Il sonno è innato, ma ha anche
bisogno di essere appreso. Infatti è influenzato dall'alternarsi del giorno e della notte, dall'ambiente
sociale, dalle abitudini familiari, dalle condizioni abitative, dalla nostra capacità di rilassarci, ecc. quindi
a dormire in modo regolare si impara e in ciò un ruolo molto importante è svolto dai genitori quando il
bambino è ancora piccolo. Essi, infatti, devono essere in grado di interpretare i messaggi che il bambino
invia, influendo così positivamente sulle sue abitudini (se il bambino è stanco ed è l'ora di dormire,
bisogna farlo dormire). A partire dai 4 mesi circa il sonno del bambino comincia ad essere influenzato
da fattori esterni. Da quel momento è quindi possibile e opportuno proporgli un rituale di
addormentamento che lo accompagni gradualmente al sonno.
Si tratta di una sequenza di azioni, parole, gesti che viene ripetuta regolarmente in modo da trasmettere
al bambino prevedibilità, sicurezza, tranquillità il rituale dell'addormentamento (storia, canzone,
abbraccio di un oggetto, ecc.) è importante e non si può passare in modo brusco da giochi frenetici al
sonno, bisogna prevedere attività più rilassanti e calme. Gli oggetti transizionali (chiamati così da Donald
Winnicott) hanno un ruolo essenziale in questo rituale. Il bambino, infatti, li utilizza come tramite tra la
realtà psichica interna e quella esterna, ma anche tra egli stesso e la madre. È la prova di un inizio di
relazione con il mondo (perché non usa il suo pollice che è parte di lui) e del passaggio da uno stato di
fusione con la madre a uno stato di relazione con lei in quanto persona esterna e separata. Questi rituali
devono essere ripetitivi, sarà semmai il bambino a chiedere di cambiare qualcosa del rito. Narrazione di
storie e filastrocche come rituale di addormentamento (sono importanti ed efficaci):
• ascoltare una storia raccontata da un adulto, costituisce un momento particolare di relazione e di
intimità;
• importante forma di trasmissione di cultura;
• la narrazione di storie di paura del buio, che mettono in scena la difficoltà di prendere sonno, possono
aiutare i bambini a sentirsi meno soli di fronte alle loro paure e a elaborarle.
Il fatto che molti bambini, al momento di andare a dormire, oppongano resistenza, protestino e si
rifiutino, è assolutamente normale perché dovrei abbandonare la mamma, il papà, i giochi?
Quando mi sveglierò sarà tutto come prima? Il verbo dormire è per il bambino sinonimo di lasciare,
abbandonare, separarsi, distaccarsi. Ecco perché rimanderebbe quel momento all'infinito, ecco perché
avanza continue richieste (una piccola luce accesa, un'altra storia, ecc.) per ritardare il più possibile quel
momento che lo fa sentire abbandonato, da qui l'importanza del rituale di addormentamento per
rassicurarlo e che ha la funzione di preparare al distacco.
Il rituale serve anche a insegnare al bambino ad addormentarsi progressivamente in modo autonomo
sempre con la presenza vigile e rassicurante dell'adulto, non bisogna mai lasciarlo da solo, in lacrime,
finché sfinito dal pianto si addormenta. Anche il passaggio dal sonno alla veglia è un momento delicato:
non impiegare metodi bruschi e frettolosi che fanno dimenticare anche l'intimità del momento. Ogni
bambino ha i suoi tempi per addormentarsi e per svegliarsi, ha tempi diversi di durata del sonno. Bisogna
rispettare queste differenze a casa, come al nido e alla scuola dell'infanzia. Anche il sonno è un'esperienza
ricca di valenze emotive, affettive, relazionali, ecc. Dormire significa separarsi da ciò che è noto, dalle
persone care. Il passaggio dalla vegli al sonno rappresenta un distacco dal mondo esterno e anche il
timore che tutto ciò che esiste intorno svanisca nel nulla e per sempre. Quando un bambino va a dormire
avverte, infatti, una vera e propria paura di separazione che aumenta se dorme in un posto non familiare
come quello del nido. L'ingresso al nido d'infanzia, come anche a quello della scuola dell'infanzia,
situazione che implica la separazione dai genitori e dall'ambiente familiare, rappresenta per un bambino
un'esperienza rilevante, caratterizzata da emozioni intense e cambiamenti importanti. Tali esperienze
possono modificare, in particolare, il ritmo sonno-veglia, rendere più difficoltoso il momento
dell'addormentamento o più agitato il sonno del bambino. Per dormire tranquillamente non basta che sia
stanco, deve sentire di trovarsi in un ambiente sicuro e fidato, deve avere la certezza che, al suo risveglio,
ritroverà le persone e le cose lasciate nel momento in cui si è addormentato. Il momento del sonno quindi,
nei contesti educativi, deve essere progettato e organizzato tenendo conto dei tempi e delle abitudini di
ogni bambino;confrontandosi con i genitori; senza improvvisare. Il luogo destinato al riposo e al sonno
deve essere allestito e arredato tenendo conto di alcuni accorgimenti:
• la stanza del sonno dovrebbe essere un luogo separato dagli altri ambienti e stabile
• non devono essere stanze troppo grandi, anonime e per nulla accoglienti in questo caso si possono
creare spazi più piccoli con gli arredi, abbassare i soffitti con tende o stoffe;
• l'ideale sarebbero stanze di dimensioni medio-piccole, che possano trasmettere ai bambini un senso di
intimità e di contenimento;
• i letti non devono essere troppo alti da terra in modo che il bambino, quando sarà in grado, possa salire
e scendere dal letto autonomamente;
• i letti devono essere personalizzati con oggetti o lenzuola portati da casa, in modo che il bambino possa
riconoscerlo e sentirlo "suo";
• disporre i letti raggruppandoli per evitare l'effetto camerata di tutti i letti allineati;
• ambiente accogliente e intimo colori delle pareti, dei letti e del pavimento non troppo accesi in modo
da favorire il rilassamento; non troppi stimoli visivi e uditivi ma nemmeno stanza spoglia; oscurare la
stanza, non buoi totale;
• almeno un adulto dovrebbe rimanere nella stanza su una poltrona o sedia;
• prediligere la voce in diretta per ninna-nanne o storie perché la voce umana, rispetto a quella registrata
ha un valore affettivo maggiore e accompagna meglio il rituale del sonno. Il momento del sonno ha
un'importante valenza educativa, come il pranzo e il cambio. Il riposo al nido costituisce l'ultimo atto
dell'ambientamento. Aspetti da tenere in considerazione per quanto riguarda il momento del sonno:
• Il sonno deve essere progettato tenendo conto dei ritmi e abitudini individuali di ciascun bambino, in
questo modo si crea un ambiente rilassato e piano piano si giunge a tempi simili per tutto il gruppo. Chi
non riesce proprio a dormire non deve essere obbligato;
• È importante che l'educatrice di riferimento segua il bambino anche nel momento del sonno;
• Il rito dell'addormentamento deve essere ripetitivo e non cambiato, in questo modo il bambino può
controllare ciò che accade e si sente tranquillo;
• Al nido, per quanto riguarda il sonno, i bambini possono manifestare bisogni diversi rispetto a casa;
• Per passare dalla veglia al sonno in modo sereno, il bambino deve sentire di trovarsi in un ambiente
sicuro e fidato, deve sapere che le persone e le cose non spariranno, per questo è meglio che sia
l'educatrice di riferimento a seguire i "suoi" bambini in modo da sapere come rassicurarli e confortarli;
• Importante confrontarsi con le famiglie per individuare le modalità più adeguate ai bisogni dei bambini,
non sempre però al nido si può impiegare il rituale usato a casa, infatti compito dell'educatrice è di
facilitare l'acquisizione di un rituale che renda il bambino capace di addormentarsi in quel contesto in
modo sempre più autonomo;
• Non bisogna obbligare un bambino a dormire ma bisogna aiutarlo a prendere sonno in modo autonomo
standogli vicino, cantando una ninna-nanna, ecc.;
• Se io educatrice non ci sarò al risveglio, è molto positivo dirlo al bambino in modo che possa prevedere
gli eventi successivi e rassicurarsi rispetto a quanto accadrà in seguito;
• Importante discutere le difficoltà nei gruppi di lavoro il collettivo di lavoro rappresenta una comunità
educante, uno spazio tendenzialmente aperto che gestisce il nido pedagogicamente e operativamente
attraverso l'insieme delle figure professionali che agiscono con compiti differenziati, ma dove è
necessario rivendicare il valore della pariteticità e della collaborazione;
• Non far passare i bambini da giochi frenetici al sonno, bisogna prepararli gradualmente
all'addormentamento con attività più calme e tranquilla;
• Il rituale dell'addormentamento non deve durare all'infinito e non si deve chiedere al bambino se ha
voglia di dormire perché questa richiesta implica l'obiezione quando invece si deve dormire; possono
esserci delle eccezioni se però si spiega il motivo di essere al bambino, in questo modo il bambino impara
che ci sono delle regole da rispettare, ma anche delle eccezioni;
• Verso i due/tre anni, i bambini possono avere degli incubi, ciò che è importante è che al risveglio
vengano rassicurati e consolati perché a quell'età, in cui il confine tra sogno e realtà non è ancora così
definito, dirgli "è solo un sogno" non serve a nulla, anzi sminuisce un timore che per loro è reale;
• Il risveglio è diverso per ogni bambino e deve essere rispettato; chi si svegli presto non deve essere
obbligato a stare a letto e chi continua dormire non dovrebbe essere svegliato; non li si deve svegliare
bruscamente ci si può avvicinare cautamente, fare qualche carezza o soffiare sul viso, se il bambino resta
immobile bisogna lasciarlo stare, se sorride vuol dire che ha terminato la fare REM e quindi sarà pronto
per svegliarsi;
• È importante che al risveglio, ogni bimbo abbia la possibilità di trovare un educatrice nella stanza. Il
momento del sonno nella scuola dell'infanzia:
• Il tempo dei bambini è iper-programmato, ma a 3/4/5 anni i bambini sono "grandi" quindi lo è ancora
di più tanto che non ci sono spazi vuoti, tempo dedicato all'ozio; anche a questa età il bambino ha bisogno
di momenti in cui rilassarsi, riposarsi e anche dormire (spesso ormai nella scuola dell'infanzia non c'è
più il riposino pomeridiano, ma visto che oggi queste scuole accolgono anche bambini che non hanno
compiuto tre anni, il riposino non può essere assolutamente eliminato), saltare la nanna li rende solo più
nervosi, si vive male e si dorme male;
• Disporre uno spazio per riposare e/o dormire: è più probabile che i bambini piccoli abbiano bisogno di
dormire, ma anche a quelli un po' più grandi non si deve togliere la possibilità di riposarsi (cioè rilassarsi,
stare un po' in silenzio) o anche di dormire;
• Il contesto educativo deve essere un posto dove il bambino 'sta bene'. Star bene significa sentirsi
apprezzato, sentire che si è importanti per gli altri, vuol dire percepire di essere considerato 'persona
intera'; un contesto dove si sta bene deve tener conto non solo dell'apprendimento, ma anche delle
emozioni, degli affetti e delle relazioni, quindi tutti i momenti di cura devono essere importanti, anche il
riposo;
• Lo spazio dedicato al riposo deve essere accogliente e non avere un eccesso di stimoli in modo da
favorire il rilassamento;
• Tenere conto del diritto di ogni bambino di vedere rispettata la propria identità quindi bisogna
personalizzare il più possibile lo spazio del sonno;
• Attenzione dedicata al tempo che precede il riposo che deve essere un tempo tranquillo, rilassante;
• Non dimenticare che anche per i bambini della scuola dell'infanzia il momento del sonno racchiude
molteplici significati affettivi e simbolici, dormire in un ambiente nuovo significa aver instaurato con
l'ambiente e con le educatrici una relazione di fiducia;
• Il riposo non deve essere imposto, ma nemmeno negato (il tempo dedicato al sonno non è tempo perso);
• Confronto con i genitori per conoscere le abitudini e i tempi di ogni bambino;
• L'educatrice deve essere sempre presente;
• È importante leggerei bisogni dei bambini e di trovare risposte adeguate tutti i bambini sono diversi;
• Ci sono casi di bambini che, per esempio, alla scuola dell'infanzia usano ancora il ciuccio, sicuramente
questo comportamento non va incoraggiato anticipando la richiesta del bambino per il ciuccio, ma non
va nemmeno negato perché è comunque un suo bisogno;
• Sacca personale con le cose per il riposo è un'ottima idea perché nell'ambiente scolastico, dove si è in
tanti e si deve condividere ogni oggetto, ogni momento con gli altri, è importate avere oggetti e piccoli
spazi personali che aiutano a rafforzare la propria identità, in questo modo, la collettività non rischia di
schiacciare l'individuo e di respingerlo nell'anonimato

PARTE III: LE PROSPETTIVE


Formarsi al lavoro di cura

Il lavoro di cura è una professione complessa e articolata nella quale convergono le necessarie
conoscenze tecniche di puericultura insieme con le competenze comunicative e relazionali,
indispensabili a trasformare l'intervento di custodia/assistenza in un intervento educativo/relazionale. Il
lavoro di cura non è solo un lavoro meccanico, è un lavoro in cui l'educatrice deve dare valore educativo
e relazionale alla relazione con il bambino che si fonda anche sui momenti di cura. Per moltissimo tempo,
e in realtà ancora un po' oggi, si è assistito a una profonda svalorizzazione del lavoro di cura: le educatrici
dicono di educare i bambini e non di curare i bambini. La nostra cultura mette in discussione che curare
una persona sia un valore. Svalorizzazione che comincia e permane nelle realtà formative scolastiche
nelle quali il concetto del prendersi cura di qualcuno o qualcosa viene ancora considerato un elemento
trascurabile, spesso affidato solo alle donne e non particolarmente apprezzato. Il lavoro di cura
professionale non è un lavoro prettamente femminile, è un lavoro in continuità con l'opera di una madre.
Queste parole fanno riferimento al concetto di maternage: quell'insieme di atteggiamenti, di sensibilità,
di capacità di sentire e capire i bisogni del bambino e di trovare risposte pertinenti alla sua individualità.
Molta parte della letteratura psicoanalitica ha sottolineato come la capacità di preoccuparsi sia alla base
di ogni lavoro costruttivo. La professione del prendersi cura di un bambino è un lavoro che stimola la
costruzione della fiducia nell'altro nonché la capacità di pianificare strategie per contribuire allo sviluppo
delle potenzialità del bambino che è oggetto delle cure. Quali sono le motivazioni che spingono una
persona a fare l'educatrice? Spesso si risponde "la passione per educare", ma oltre a questa risposta ci
sono ragioni più inconsce che riguardano la personale esperienza infantile; queste ragioni più inconsce
devono essere rintracciate attraverso l'analisi critica del proprio agire con i bambini. Il lavoro di cura
permette di conoscere meglio il bambino, ma anche di conoscere meglio se stessi. Il lavoro di cura non
è una competenza composta da qualcosa di spontaneo, ma da qualcosa elaborato criticamente. Si può
quindi parlare di dimensione cognitiva del maternage, una dimensione che comprende l'osservazione dei
comportamenti, il pensare riflessivo e una progettazione degli interventi condivisa collegialmente. La
relazione di cura dell'educatrice non è assolutamente come quella della madre perché non c'è il legame
filiale, è limitata nel tempo e vive nell'esperienza del presente. L'obiettivo della relazione di cura tra
educatrice e bambino è di prendersi cura del bambino per tutto il tempo che si trova nel servizio. Ed è
nella qualità di quelle cure che può nascere una relazione reciprocamente soddisfacente. Saranno le cure
a fondare la relazione e non viceversa come accade nella relazione materna. Il coinvolgimento nella
relazione suscita forti emozioni, queste emozioni vanno contenute ed elaborate se no il peso delle
emozioni diventa eccessivo; la formazione professionale deve aiutare le educatrici a tenere sotto
controllo la forte esposizione emotiva.
La ricerca di una giusta distanza dalle emozioni è un percorso che in realtà inizia da piccolissimi, spesso
nei contesti educativi non si riserva una sistematica attenzione all'elaborazione dell'emotività. Per questo
si devono progettare percorsi di supporto - formazione e supervisione - al lavoro quotidiano delle
educatrici per offrire contesti di riflessione nei quali sia possibile ricostruire i percorsi operativi ed
emozionali delle relazioni
quotidiane con i bambini, con le famiglie e con i colleghi. Questa formazione non deve essere fatta solo
per sostenere l'inizio della professione, ma dovrebbe essere sistematica e permanente. Il lavoro di cura
non è fatto di gesti istintuali, ma di progettualità sostenuta da calore emotivo e motivazione. Il lavoro di
cura non richiede solo di conoscere i bisogni e le caratteristiche dell'altro, il lavoro di cura va progettato
affinché l'educatrice possa fare un'analisi critica del proprio operato per svolgere al meglio la sua
professione (un rischio frequente è quello di sottovalutare o sopravvalutare le competenze dei bambini
uno strumento utile: le tavole di sviluppo di Kuno Beller, uno strumento osservativo che aiuta l'educatrice
a sviluppare una precisa consapevolezza di ciò che il bambino sa fare realmente, ridimensionando
aspettative e stereotipi intorno alle tappe evolutive). Differenza tra educazione visibile e educazione
invisibile:
• Educazione visibile = processi consapevolmente attivati e orientati su obiettivi prestabiliti;
• Educazione invisibile/implicita/inconsapevole = schemi di comunicazione che gli adulti mettono in
atto spesso senza avere la consapevolezza della loro valenza educativa, non sempre costruttiva per la
relazione con i bambini. Proprio l'educazione invisibile deve essere oggetto di formazione. Perché solo
la consapevolezza dei propri scambi comunicativi nella relazione con i bambini e le famiglie permette
di progettare anche il non detto. Perché la propria esperienza possa diventare oggetto di riflessione,
bisogna addestrarsi all'uso dell'osservazione.
L'osservazione ha un ruolo centrale nel formare le educatrici a saper attivare uno sguardo mirato sui
comportamenti dei bambini per poter costruire una conoscenza dettagliata del loro percorso individuale
di crescita, uno sguardo orientato anche a saper riconoscere le azioni e le reazioni messe in atto con i
bambini quando si costruisce una relazione con loro. Una conoscenza del contesto esperienziale che si
configura come un percorso che deve trasformare gli eventi della vita quotidiana del servizio in elementi
di pensiero sui quali riflettere e lavorare con sistematicità. C'è differenza tra fare esperienza e avere
esperienza: l'esperienza è qualcosa che si fa sempre e si può non avere mai. È molto importante per
un'educatrice, tradurre in parole l propria esperienza; riflettere sul proprio operato è necessario per questa
professione; si dovrebbero pensare percorsi di formazione per implementare la riflessività in modo da
trasformarla in uno strumento o metodo da impiegare anche dopo la formazione. La riflessività è la prima
azione che deve accompagnare i comportamenti degli adulti. Deve esserci però un luogo dove tale azione
possa essere accolta non solo come espressione di soggettività, ma come oggetto sul quale lavorare. Il
lavoro di cura è un lavoro faticoso per la gestione delle relazioni, sia con gli adulti che con i bambini,
che rappresentano certamente una ricchezza ma sono anche luogo di tensioni, conflitti emotivi,
divergenze. La formazione permanente e la supervisione sono sedi di pensiero nelle quali gli educatori,
accompagnati, possono fare "manutenzione del Sé professionale" perché in queste sedi si lavora
sull'emotività in gioco nelle relazioni e sull'assumersi la responsabilità della valenza educativa degli
interventi che si fanno. Il lavoro di cura è perciò una professione che ha fortemente bisogno di
progettualità perché le pratiche di cura devono essere interventi mediati da parte di ogni adulto ed
espressione di precise scelte da parte del gruppo di lavoro che se ne assume la responsabilità educativa
e che le sostiene nella quotidianità

Osservazione e cura

Fare l'educatrice è una professione sfaccettata e complessa perché ha a che fare con il mondo infantile.
Questa professione ha come riferimenti due modelli:
• Quello sociale elaborato dall'adulto modello che pone l'accento sul rispetto delle norme e le pratiche
educative sono orientate a promuovere la formazione dei bambini attraverso un processo di
conformazione assolutamente necessario per vivere la quotidianità in contesti sociali, ma è spesso privo
del carattere della promozione delle potenzialità dei bambini.
• Quello pre-sociale, rispondente al modo di essere dei bambini nella fascia d'età prescolare si focalizza
sulla valorizzazione dell'autonomia dell'infanzia, sul riconoscimento ai bambini di avere propri percorsi
di pensiero e di socializzazione che vanno conosciuti dagli adulti e sostenuti con continuità; modello che
riconosce le fragilità insite nell'età evolutiva e i nodi problematici del processo di crescita. È all'interno
del secondo modello che le educatrici dovrebbero calarsi, per esplorare il mondo dei bambini, conoscerlo
e comprenderlo. Si tratta, perciò, di abbandonare il bambino immaginario costruito dal mondo degli
adulti, per riconoscere il bambino reale, comprendere i suoi bisogni, le sue pulsioni affettive, le sue
esigenze comunicative ed espressive. Questo percorso di conoscenza richiede una lunga, continua,
attenta e puntuale osservazione dei suoi atteggiamenti e dei suoi comportamenti e del contesto allargato
in cui vive. È importante sentire l'esigenza di un sapere sul bambino che non si regga su idee
preconfezionate, su pregiudizi, un sapere che si costruisce riflettendo sullo scambio relazionale. Il
bambino intesse relazioni continuamente con adulti, con i pari, quindi la relazione deve essere
considerata il campo di indagine più appropriato per conoscere il mondo psichico del bambino e
comprenderlo. Come guardare a questa relazione?
La psicologia infantile, ai suoi esordi, impiegava l'osservazione come metodo per studiare lo sviluppo
del bambino. Dagli inizi del '900 lo sviluppo del bambino non è stato più studiato separatamente dal
contesto ma inserito all'interno delle dinamiche sociali. Si sosteneva l'osservazione del bambino in
contesti naturali, cioè quotidiani: la famiglia, il nido d'infanzia e la scuola dell'infanzia. Al nido e alla
scuola dell'infanzia le relazioni sono frutto di un agire professionale mirato alla costruzione di un legame
significativo con il bambino al fine di rappresentare, in quel contesto, un punto di riferimento adulto
capace di sostenere il suo processo di crescita. La relazione comporta la presenza di due persone e
affinché l'intervento educativo sia efficace, l'educatrice deve impiegare l'osservazione per capire più a
fondo cosa sta accadendo dentro di sé, con i bambini e all'interno della relazione che ha stabilito con
loro.
Il modo di osservare implica non solo la capacità di osservare e ascoltare l'altro, ma anche la capacità di
osservare e ascoltare se stessi mentre si osserva e si ascolta l'altro per comprendere cosa passa nella
relazione, sapendo che ciò che si osserva è influenzato dall'incontro con l'oggetto/soggetto osservato
soggettività dell'osservazione. Vi sono punti di vista diversi per quanto riguarda la soggettività
dell'osservazione:
• Secondo alcuni orientamenti teorico-metodologici, la soggettività rappresenta una criticità, una fonte
di errore da eliminare o da ridurre ai minimi termini etologia [Il termine etologia (dal greco ethos e logos
che significano rispettivamente «carattere o costume» e «studio») indica la moderna disciplina scientifica
che studia il comportamento animale nel suo ambiente naturale]: ridurre al massimo l'interferenza
dell'osservatore e, in questo senso, utilizza strumenti osservativi che consentono la neutralità della
registrazione, come la videoregistrazione o le griglie comportamentali.
• La psicoanalisi, invece, valorizza la soggettività dell'osservatore quale canale privilegiato per la
conoscenza dei processi relazionali. Questi due punti di vista vanno uniti nel senso che la soggettività,
in campo educativo, può essere una risorsa se monitorata perché è attraverso il sentire dell'osservatore
che si affina la sensibilità a cogliere dettagli o azioni significative per la comprensione dei comportamenti
dei bambini. L'educatore non è un osservatore indifferente, anzi, quando osserva, si accosta alla realtà
attraverso il proprio mondo interno, fatto di sentimenti e pensieri che entrano nel processo conoscitivo e
possono essere molto aperti alle possibili interpretazioni o molto chiusi e giudicanti. Imparare ad
osservare, prima che conoscere gli strumenti di rilevazione, vuol dire compiere una duplice azione:
individuazione della percezione dell'oggetto con proprie caratteristiche e individuazione della percezione
di sé. Per vedere il bambino più oggettivamente si dovrebbe cercare contemporaneamente di mettere a
fuoco i suoi comportamenti specifici e di ascoltare se stessi, consapevoli che i propri vissuti e le proprie
percezioni soggettive influenzano e interferiscono nel processo di conoscenza del bambino. Necessità di
dotarsi di strumenti che limitino il più possibile le interferenze dell'osservatore bisogna distanziarsi dalle
impressioni personali, il che non vuol dire eliminare la parte soggettiva, ma sostenere la consapevolezza
della sua esistenza e la necessità del suo controllo. L'osservazione è parte della relazione conoscitiva: è
certamente la sensibilità dell'adulto, la suo curiosità e le ipotesi che si fanno sul bambino a orientare
l'osservazione l'osservatore deve poter essere neutrale e partecipe al tempo stesso. Tre principi
fondamentali (provenienti dalla psicoanalisi) sui quali va basata l'osservazione:
1. L'importanza della dimensione sociale ed emotiva nella quale l'osservazione di colloca;
2. L'attenzione ai dettagli;
3. Lo studio della continuità genetica, in quanto ogni comportamento o processo mentale deve essere
considerato come una tappa in una serie in evoluzione. Quando si fa osservazione nei servizi educativi
si dovrebbe porre attenzione al contesto allargato, al clima emotivo in
questione, alle sequenze di comportamento del bambino e dei suoi interlocutori e collegare ciò che si è
osservato al percorso esperienziale del bambino quindi l'educatrice deve tener presente gli aspetti reali,
i comportamenti manifestati e gli aspetti interni (emotività, affettività, ecc.) propri e del bambino. La
dimensione emozionale serve per contestualizzare un comportamento. Osservare con partecipazione
emotiva e raccogliere dati neutrali, non è facile e richiede controllo della propria soggettività emotiva e
affettiva; gli educatori vanno aiutati in questo. Bisogna separare la descrizione dei comportamenti
dall'interpretazione che se ne può dare per non distorce i dati di realtà con le percezioni soggettive. Per
comprendere prima di intervenire occorre perciò imparare a separare le percezioni soggettive dell'adulto
osservatore dai dati oggettivi rilevati con l'osservazione. Le diverse tecniche osservative, da quelle più
strutturate a quelle più narrative, aiutano a compiere questo lavoro di scissione degli eventi registrati dai
relativi commenti. Tale separazione favorisce il confronto intersoggettivo tra educatori. La discussione
in gruppo del materiale osservativo aiuta l'educatore a riflettere sull'incidenza delle aspettative personali
sui comportamenti osservati, stimolando l'emergere di una diversa prospettiva di valutazione degli
eventi. Un modo per evitare l'errore connesso alla soggettività, consiste nell'adottare la pratica dell'inter-
osservazione, osservazione dello stesso comportamento da parte di più persone che poi si confrontano
passare dalla soggettività
all'inter-soggettività non significa eliminare i propri punti di vista, ma mettere insieme i diversi punti di
vista questo può essere costruttivo se le educatrici sono flessibili nell'accettare ipotesi diverse dalle
proprie; i comportamenti che suscitano valutazioni diverse, oltre a essere più interessanti, permettono
poi di darne un'interpretazione molto più attendibile. È molto importante non fermarsi alla realtà
apparente ma cercare di cogliere i significati più profondi dei comportamenti esibiti dal bambino fornire
una formazione sul coinvolgimento emozionale nella relazione con il bambino è un approfondimento
professionale importante perché contribuisce ad affinare la sensibilità degli educatori e ad arricchire le
loro competenze riguardo l'aspetto relazionale nei loro interventi educativi in età prescolare.
L'osservazione come metodo di formazione degli educatori assume un ruolo fondamentale nell'aiutarli a
sviluppare capacità di attenzione di ascolto nella relazione con il bambino in modo da conoscerlo meglio.
Auto-osservarsi non è facile. Il metodo dell'osservazione relazionale è utile per individuare meglio le
dinamiche comportamentali del bambino e dell'educatrice, e per riconoscere le difficoltà nella relazione.
Che cosa, come e quando osservare i momenti delle cure nel nido d'infanzia e nella scuola dell'infanzia:
• Che cosa: espressione del viso, sguardo, postura del corpo, perché i bambini fino ai tre anni comunicano
soprattutto con la gestualità è importante comunque osservare il comportamento corporeo, le parole e la
sequenza delle azioni perché solo contestualizzando il comportamento del bambino ci si può avvicinare
alle sue intenzioni, ai suoi bisogni, al suo mondo interno. La scelta di cosa osservare è molto legata alla
capacità dell'educatrice di attivare uno sguardo mirato, sollecitato dalla sensibilità di voler conoscere
meglio il bambino o di aver colto un dettaglio che la stupisce o la impensierisce. Osservazione
sistematica.
• Come: strumenti osservativi (contenimento alla soggettività dell'osservatore) protocollo osservativo,
strumento in cui l'educatrice, però, non deve inserire termini valutativi, come "è triste", "è arrabbiato", e
termini troppo generici, come "gioca", "socializza". La videoregistrazione è uno strumento che riesce
meglio a tenere a freno la soggettività dell'osservatore, però è uno strumento ricco di dati, quindi molto
complesso da utilizzare.
• Quando: durata e frequenza delle osservazioni dipendono dallo scopo dell'osservazione.
L'importanza dell'osservazione per la formazioni degli educatori è presente anche nel testo dei Nuovi
Orientamenti della scuola dell'infanzia del 1991:
• Osservazione occasionale e sistematica consente di valutare le esigenze del bambino e di riequilibrare
via via le proposte educative in base alla qualità delle sue risposte, poiché la progettazione degli
interventi dipende dai modi di essere, dai tempi di sviluppo, dallo stile di apprendimento di ogni
bambino.
• L'osservazione è uno strumento essenziale per la verifica della validità e adeguatezza del processo
educativo.
• Osservazione per la formazione degli educatori (osservazione per promuovere lo sviluppo di una
specifica attenzione al comportamento del bambino attenzione selettiva utile per comprendere prima di
intervenire, non si può agire di istinto), per la progettazione degli interventi educativi, per la verifica e
valutazione del progetto educativo.
• Attraverso l'osservazione sistematica, l'adulto attiva una maggiore vicinanza emotiva a ciò che il
bambino mostra e a ciò che cela, promuovendo così interventi più pertinenti.
• La funzione progettuale dell'osservazione valorizza la competenza dell'adulto a progettare contesti e
interventi che vadano nella direzione delle finalità che il nido d'infanzia e la scuola dell'infanzia si
pongono promuovere l'unicità del bambino è certamente una finalità fondamentale per il rispetto dello
stesso e della sua crescita; proprio questa unicità deve essere riconosciuta e valorizzata dall'educatrice
tramite l'osservazione occasionale e sistematica che le permette questa conoscenza mirata del bambino
e la successiva progettazione di contesti educativi attenti agli spazi, ai materiali, ecc.
• È proprio l'osservazione che guida l'educatrice a riflettere sui propri atteggiamenti di cura, di rispetto
dei tempi dell'altro, di azioni che siano pensate in continuità con l'evoluzione dei bambini e non in
relazione alle proprie aspettative. Funzione di verifica dell'osservazione: riflessione sulla qualità
dell'intervento educativo e del contesto di relazione progettare eventi che tengano conto del singolo
bambino, ma anche del gruppo; devono essere proposte flessibili ai tempi dei bambini. L'osservazione
occasionale (intendendo con questo termine non il generico "guardare", ma il "guardare mirato") e
l'osservazione sistematica promuovono:
• La conoscenza e una migliore comprensione dei comportamenti del bambino;
• L'abitudine a oggettivare le proprie impressioni;
• Il ricorso al confronto inter-soggettivo per promuovere la condivisione collegiale delle scelte educative.

Quando possiamo parlare di buona cura in ambito educativo?

Da quando i servizi all'infanzia si sono affermati come luoghi nei quali i bambini sono coinvolti in una
serie di esperienze che diventano occasione di crescita, di socializzazione, di apprendimento, bisogna
riflettere sul ruolo dell'adulto in questi contesti. Per fare il mestiere dell'educatore bisogna avere una
serie di conoscenze, competenze, abilità che pongono il problema della formazione di base e della
formazione permanente. Bisogna evitare che si scivoli nella pura esecutività. Considerare tre parametri:
1. Le finalità della cura quale sfondo valoriale nel quale inserire il ragionamento sulla professione
educativa nei servizi;
2. L'atteggiamento di cura quale dimensione del pensiero che orienta successivamente i
comportamentidell'educatrice;
3. I gesti di una buona cura.
1. I compiti di chi lavora nel nido d'infanzia e nella scuola dell'infanzia dovrebbero riguardare la
promozione delle potenzialità di ogni bambino, partendo dalle sue caratteristiche e dai bisogni
irrinunciabili derivanti dall'età evolutiva. Si può quindi intervenire costruttivamente nel processo di
crescita del bambino, aiutarlo a conquistare gradualmente la propria autonomia. Prendersi cura dei
bambini comporta la costruzione di relazioni significative e la qualità di queste relazioni che gli educatori
stabiliscono con i bambini e tra di loro influisce sul benessere nella crescita e sulla significatività delle
esperienze quotidiane. La professione educativa è molto cambiata negli ultimi anni, soprattutto nel nido
d'infanzia, la cui cultura pedagogica ha, nei decenni, superato il timore di lasciare i bambini in contesti
senza la figura di riferimento familiare e i timori legati alle malattie da contagio dello stare in comunità
(timori derivanti da una cultura di tipo assistenziale/sanitario). Questa nuova cultura pedagogica ha
innanzitutto sottolineato la propria funzione non più di custodia, ma educativa che però inizialmente si
concentrava sull'organizzazione di attività mirate a stimolare lo sviluppo cognitivo dei bambini,
mettendo in secondo piano le cure chiamate "momenti di routine" (gesti meccanici). Per molto tempo si
è distinto un duplice ruolo dell'educatrice: da un lato la cura del bambino, sottovalutandone il valore
affettivo, dall'altro l'educazione, la stimolazione cognitiva, motoria e della creatività dei bambini. Oggi
sappiamo che questa distinzione è sbagliata perché anche nei momenti di cura il bambino scopre, impara
ed esplora. Cura fisica, quindi, è nella realtà dei servizi educativi una parte rilevante dell'esperienza del
bambino ma anche dell'esperienza e del lavoro dell'adulto, una parte che non va più considerata fine a se
stessa, ma come un contesto privilegiato di interazione individuale adulto-bambino. Un'educazione alla
cura implica anche una sorta di sensibilizzazione allargata che potremmo chiamare educazione
sentimentale perché saper ascoltare gli altri, organizzare il proprio lavoro assumendosene la
responsabilità ma anche sapendo lavorare in equipe, aver cura delle cose, sono fondamentali competenze
trasversali che devono essere interiorizzate giorno per giorno attraverso la convivenza quotidiana. I
momenti di cura devono diventare un principio organizzatore della giornata e della vita del servizio.
2. Il lavoro di cura necessità di competenze complesse. La competenza professionale dell'educatrice si
compone dell'intreccio tra le riflessioni che fa intorno al suo bagaglio teorico ed esperienziale e la
conoscenza che deve avere del bambino (le tappe di sviluppo e i suoi nodi critici). All'educatrice occorre
molta riflessività e sostegno del gruppo di lavoro perché la progettualità sulle cure è una dimensione
complessa, non solo perché coinvolge aspetti emozionali, ma anche perché deve essere organizzata bene.
Un aspetto rilevante dell'essenza della cura educativa è quello che chiede all'adulto di 'declinare la
propria presenza' che non vuol dire essere indifferenti, ma mettersi in quella posizione seconda che lascia
spazio ai tentativi dei bambini di sperimentare le proprie strategie sugli oggetti e verso i coetanei, che
non interviene nel gioco del bambino e rispetti i tempi di approccio propri di ciascun bambino, che non
si sostituisce o non si impone sul bambino. Un altro aspetto importante è quello di riuscire ad avere
consapevolezza di ciò che di fa nella relazione con il bambino e di come lo si fa. Nella relazione di cura,
il rapporto con il bambino è molto intimo e molto coinvolgente dal punto di vista emotivo, ma affinché
la relazione sia positiva occorre che l'adulto sappia nutrire fiducia nel bambino, nelle sue capacità e nel
suo desiderio di trovare strategie proprie.
Ma anche il bambino deve potersi fidare dell'educatore. Questo sentimento di fiducia non è innato e
nasce per la prima volta dalla qualità del rapporto con la mamma; nasce nel rapporto con l'educatrice se
ella sta offrendo una relazione sufficientemente buona, una relazione cioè calda nei toni emotivi,
prevedibile e rassicurante. Una buona cura è una pratica che deve partire dall'attenzione per l'altro: è
importante mettere al primo posto il benessere dei bambini e lo sviluppo delle loro potenzialità senza
farli sentire dipendenti dalle competenze e abilità degli adulti attivare un atteggiamento di ricettività e
cioè la capacità di far posto all'altro: ai suoi pensieri, ai suoi sentimenti, ai suoi tentativi di diventare
sempre più autonomo dall'adulto, senza formulare ipotesi interpretative condizionate dal proprio modo
di pensare far posto all'altro vuol dire conoscere l'altro. È la conoscenza dell'altro che permette di entrare
in sintonia con i suoi stati d'animo: riuscire a sentire dentro di sé l'esperienza dell'altro (empatia) aiuta
ad attivare risposte più vicine ai bisogni reali dei bambini. La capacità empatica non nasce
improvvisamente, ma richiede di essere coltivata attraverso la disposizione a orientare l'attenzione
sull'altro e contemporaneamente sulla propria esperienza interna. Per far posto all'altro occorre liberare
dentro di sé uno "spazio vuoto", vuoto dai pregiudizi sui comportamenti altrui. Per essere ricettivi occorre
quindi, prima di tutto, avere un'attenzione sempre vigile ai comportamenti dei bambini che ci permette
di avere quelle informazioni necessarie per riuscire a intervenire nella relazione con il bambino quando
è opportuno. È importante, perciò saper attivare una profonda capacità di ascolto necessaria a
comprendere ciò che l'altro cerca di comunicare. L'altro fondamentale atteggiamento, per promuovere
una buona cura, oltre alla ricettività, è quello della responsività. Essere responsivi significa saper
rispondere in nodo adeguato, pertinente ai segnali del bambino: l'azione delle educatrici dovrebbe essere
di aiutare il bambino secondo la sua necessità senza anteporre le proprie aspettative su ciò che vorrebbe
facesse il bambino. La responsività è un atteggiamento difficile da attuare perché come le madri, anche
le educatrici hanno in mente il "bambino immaginario": idee preconcette su come dovrebbe essere il
bambino e su come dovrebbe comportarsi. Attuare un atteggiamento di responsività, nell'aver cura
dell'altro, dovrebbe tradursi in una presenza non intrusiva, discreta ma sintonizzata sui segnali propri di
ogni bambino. Ogni bambino è unico e personale è la sua esperienza: è importante, perciò, che nelle
pratiche di cura non vi siano comportamenti routinari e automatici perché non potrebbero rispettare
l'unicità di ogni bambino e, soprattutto, rappresenterebbero un segnale di poca cura della relazione da
parte dell'adulto. È importante dedicare tempo per conoscere l'altro (attraverso l'osservazione
sistematica), è importante dedicare tempo a trovare il modo migliore di agire (attraverso la riflessività
permanente). Per conoscere meglio l'altro è importante garantire la stabilità della relazione: mantenere
la persona di riferimento di un gruppo almeno in tutti i momenti di cura (il gruppo non deve essere troppo
grande perché non si riesce a conoscere individualmente troppi bambini). Mantenere la persona di
riferimento, permette al bambini di prevedere i gesti di interazione con l'adulto e quindi di anticipare le
modalità di cura d chi si occupa di lui questo gli infonde sicurezza e tranquillità.3. Lo spazio per un
bambino piccolo deve essere progettato in modo da aiutarlo a esprimere quello che lui preferisce fare,
quello che lo soddisfa di più; deve capire che ci sono delle regole da rispettare ma che ci sono delle
possibilità per fare da solo e per riuscirci. La voglia di scoprire, di esplorare e di conoscere che il bambino
ha dentro di sé, deve trovare educatrici attente e capaci di osservar, che sanno sistemare ambienti adatti
ad accoglierlo e che gli permettano di fare esperienza (per esempio: oggetti messi a altezza bambino
possono essere presi secondo gli interessi e i tempi dei bambini stessi). Queste precise azioni
comportamentali delle educatrici riflettono la volontà di dar spazio ai bambini, di credere nelle loro
potenzialità e nelle capacità di fare. Crediamo sia importante far leva sulle capacità, sull'iniziatica e
sull'attività del bambino in modo che, abitando uno spazio adeguatamente predisposto, impari a
conoscere gradualmente se stesso e il mondo circostante facendo tesoro delle proprie esperienze. I ritmi
del bambino non devono essere forzati, è importante che le educatrici credano nelle capacità dei bambini
di acquisire tappe sempre più evolute se messi nella possibilità di fare da sé in situazioni non pericolose,
ma neppure troppo protette. Se si vogliono stimolare i bambini, bisogna mettersi in una posizione di
vicinanza, non di sostituzione: loro devono essere protagonisti delle loro azioni, l'adulto deve mettersi in
una posizione seconda , in un atteggiamento di ascolto e osservazione dei gesti, delle parole e delle
iniziative dei bambini quindi altro comportamento fondamentale nella cura è lo stare in ascolto dei
bambini. Ultimo aspetto che si vuole considerare è di evitare la fretta nei gesti di cura dell'educatrice. La
fretta squalifica qualunque gesto e non attribuisce importanza alla relazione con l'altro. Spesso la fretta
ha origine dall'organizzazione del servizio, dall'esigenza di rispettare determinati tempi imposti dai
vincoli del contesto, ma, molto spesso, la fretta è
anche un segnale di un determinato atteggiamento dell'educatrice che non crede nella valenza educativa,
affettiva e emozionale dei momenti di cura, anzi si pensa che tolgano tempo alle attività didattiche. In
conclusione: per attivare un percorso professionale volto a stabilire buone cure nei servizi educativi, il
gruppo di lavoro (= il collegio di tutti gli operatori del servizio) deve predisporsi a rivedere costantemente
le proprie pratiche di cura avvalersi dell'osservazione e della discussione ragionata in gruppo.

Potrebbero piacerti anche