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GLI STATI

• IL “SISTEMA PAESE”
In linea di principio, l'intervento dello Stato nel commercio con l'estero si realizza in diversi modi che spaziano tra:
- il laissez faire ovvero l'astensione dall'imporre una propria normativa lasciando agli operatori economici privati ed al
mercato la facoltà di forgiare le proprie regole;
- il protezionismo, ovvero la regolazione unilaterale del commercio estero attuata attraverso norme di diritto pubblico
dell'economia;
- la partecipazione ad accordi internazionali bilaterali e multilaterali che possono condurre alla creazione di norme
istituzionalizzate di cooperazione economica.

Tra questi estremi si collocano tutte quelle forme di manifestazione della sovranità dello Stato volte a stabilire
l'ammissione, nel proprio territorio, degli stranieri e dei loro beni; l'imposizione di dazi doganali; l'ammissione sul
territorio di nave, aeromobili, agenti statali stranieri e beni appartenenti a Stati esteri.
L'intervento dello Stato italiano nel commercio internazionale trova fondamento nell'art. 41 Cost. laddove si stabilisce
che il principio di libertà d'iniziativa economica va inteso entro i limiti imposti dall'utilità sociale ed esercitato in modo
da non recare danno “alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. La legge determina i programmi e i controlli
opportuni.

Il vertice del “Sistema Paese”: al vertice si collocano il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE), il Ministero
degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), quali enti decisori delle principali linee d'indirizzo e
delle strategie, nonché, per le materie di propria competenza, il Ministero con delega al Turismo.

Gli enti operativi del “Sistema Paese”: l'attuazione degli interventi è affidata a un complesso di enti operativi. In
particolare, si tratta dell'Istituto per il Commercio con l'estero (ICE), della SACE, della Società italiana per le imprese
all'estero, del sistema delle Camere di Commercio in Italia e all'estero, degli enti regionali di promozione, della Finest,
di Informest e dell'Ente Nazionale Italiano per il Turismo (ENIT). L'attuale assetto del “Sistema Paese” per l'export è
frutto di una stratificazione di interventi normativi.

LA COMMISSIONE PER IL COORDINAMENTO E L'INDIRIZZO STRATEGICO DELLA POLITICA


COMMERCIALE CON L'ESTERO PRESSO IL CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione
Economica)

È una commissione permanete presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o per sua delega dal Ministro dello
Sviluppo economico e composta dai Ministri dell'Economia e delle finanze, degli Affari esteri, e delle Politiche agricole
e dal Segretario del CIPE. La V Commissione può emanare direttive al fine di coordinare l'attività, definire le priorità e
i criteri operativi comuni degli organismi coinvolti nella politica commerciale e delle amministrazioni e degli enti del
“Sistema Paese”.

LA CABINA DI REGIA (2011)


È co-presieduta dai Ministri degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale (MAECI) e dello Sviluppo
economico (MiSE), cui è stata successivamente associato, per le materie di sua competenza, il Ministero per i beni, le
attività culturali ed il turismo. Tale organismo definisce gli indirizzi strategici delle politiche di internazionalizzazione e
di promozione degli scambi con l'estero. La Cabina di Regia si sostituisce al Ministero dello Sviluppo economico come
decisore strategico in tema di politica commerciale internazionale del Paese, ma non può assumere il ruolo di unico
coordinatore di tutti gli enti operativi poiché non concorre alla definizione dei parametri e dei criteri operativi di SACE
e Simest, che restano competenza del CIPE. Le principali decisioni assunte finora sono state l'identificazione delle aree
geo-economiche e dei Paesi prioritari per le imprese italiane e l'approvazione delle linee guida sulle attività di
promozione all'estero e sulle modalità di programmazione e degli indirizzi relativi all'articolazione della rete estera. La
Cabina ha anche discusso i temi del coordinamento dell'attività promozionale, della collaborazione con le Camere di
commercio e dell'attrazione degli investimenti diretti esteri nonché il Piano strategico del turismo.

DAL MINISTERO DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE (MINCOMES) AL MINISTERO PER LO


SVILUPPO ECONOMICO (MiSE)
Il Ministero del commercio internazionale è stato, fino ad un'epoca recente, l'organo principale dello Stato italiano pe la
regolazione delle attività commerciali con l'estero. Senonché, la sempre più ampia “comunitarizzazione” della politica
commerciale internazionale unitamente al progressivo svuotamento delle competenze del Ministero del commercio
internazionale ha portato all'assorbimento del MICOMES nel Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) che oggi
costituisce il principale decisore di linee di indirizzo e di strategie di commercio internazionale (promozione della
ricerca e dell'innovazione, semplificazione degli scambi commerciali con l'estero, promozione di nuovi investimenti
italiani all'estero e azioni per l'attrazione di nuovi investimenti esteri in Italia, ecc). Il Ministero ha competenza anche
per gli interventi di sostegno delle attività produttive (concessione ed erogazione di agevolazioni alle imprese in forma
di contributi finanziari – in conto capitale, conto esercizio o conto interessi).

IL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE (MAECI)


Ha il compito di rappresentare, tutelare e coordinare in sede internazionale gli interessi italiani, anche di natura
economica. In questo ambito, alla Direzione generale per la promozione del sistema Paese (DGSP) compete di
assicurare la coerenza complessiva delle attività di promozione, sostegno e valorizzazione all'estero del Paese e di tutte
le sue componenti. All'estero, il sostegno all'internazionalizzazione avviene tramite l'attività diplomatica della rete delle
ambasciate, dei consolati e delle rappresentanze presso organismi internazionali, coordinate dalla DGSP.

Per sostenere le imprese italiane all'estero e favorire la crescita del Paese, la Direzione Generale per la Promozione del
Sistema Paese (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale) mette a disposizione degli operatori
molteplici strumenti e attività:

- Sostegno delle imprese: azioni dell'Amministrazione centrale e degli uffici all'estero volte a sostenere gli interessi del
sistema imprenditoriale italiano nella penetrazione dei mercati, nell'acquisizione di contratti e commesse, nella
realizzazione di investimenti, nella partecipazione ai negoziati internazionali economici e commerciali.
- Coordinamento e promozione delle iniziative di internazionalizzazione.
- Informazione: informazione in tempo reale su caratteristiche e opportunità dei mercati esteri, commesse e gare, ecc.
- Analisi: studio delle tendenze evolutive del sistema economico internazionale e dei singoli mercati esteri per favorire il
corretto matching geo-settoriale nelle strategie delle imprese.

L'AGENZIA ICE (Agenzia per la Promozione all'estero e l'Internazionalizzazione)


Ente pubblico non economico, nella manovra economica di luglio 2011, l'Istituto per il commercio con l'estero (ICE) è
stato soppresso ed il suo personale oltre alle risorse vennero trasferiti al MiSE. Nel successivo mese di dicembre, con il
decreto “Salva Italia”, fu adottata la scelta di affidare nuovamente tali funzioni a un ente autonomo, denominato
Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione (Agenzia ICE).
Oggi l'Agenzia ICE è un ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto ai poteri di indirizzo e
vigilanza del Ministero dello sviluppo economico che li esercita, per materie di rispettiva competenza, d'intesa con il
MAECI e sentito il Ministero dell'economia e delle finanze. L'ente possiede autonomia regolamentare, amministrativa,
patrimoniale, organizzativa, contabile e finanziaria; è soggetto al controllo della Corte dei Conti. Compito dell'Agenzia
ICE è quello di informare, sviluppare, agevolare e promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l'estero,
con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese. Svolge, anch'esso, attività di informazione,
consulenza e assistenza alle imprese che intendono operare con l'estero. Mentre invece la promozione degli investimenti
esteri in Italia viene affidata ad altri enti.

Di particolare interesse per gli investitori italiani sono le schede Paese contenenti informazioni sul quadro economico
generale, sul rischio Paese, sull'interscambio commerciale e i flussi di investimento, sulla normativa doganale, fiscale e
societaria cui si aggiungono notizie sui finanziamenti disponibili. Oltre a fornire informazioni necessarie per effettuare
le analisi di mercato, l'ICE può intervenire nella ricerca di partner commerciali esteri e nell'assistenza operativa in loco
per le imprese.

LA SACE (Istituto per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero)

È stata trasformata in una società per azioni nel 2004 (SACE S.p.A.). La principale attività di Export Credit Agency
(ECA) italiana svolta da SACE consiste nella copertura del rischio di mancato pagamento nelle contrattazioni
internazionali e dei rischi di natura politica per gli investimenti all'estero. Altre attività della SACE riguardano le
coperture assicurative e di garanzia dei rischi di mercato, esercitate però senza pubbliche garanzie. La SACE S.p.A.,
oltre all'attività tradizionale di assicurazione del rischio politico ha esteso la propria attività anche a rischi di natura
commerciale, entrando così nel mercato delle assicurazioni private.
Per il tramite della SACE, lo Stato incentiva (o disincentiva) il commercio con gli operatori di dati Paesi, assumendo in
assicurazione e/o in riassicurazione i rischi cui sono esposti gli operatori italiani nei loro scambi e/o negli investimenti
all'estero. In tal modo, per l'impresa esportatrice diviene più facile espandersi all'estero in Paesi ad alto potenziale
economico, riducendo l'incidenza del rischio politico.

Nelle sue forme più semplici, l'attività della SACE è simile a quella di un'impresa privata di assicurazioni: l'impresa
esportatrice italiana versa un premio alla Sace e quest'ultima le fa sottoscrivere una polizza. Poi, se l'affare all'estero va
male (es. x un colpo di Stato) la SACE pagherà all'impresa esportatrice un indennizzo, come avviene dinanzi ad un
sinistro assicurativo qualsiasi.
Da un punto di vista gestionale, la SACE si finanzia con il proprio patrimonio e non riceve contributi dallo Stato.
LA SIMEST (Società italiana per le imprese all'estero SpA)
È una finanziaria di sviluppo e promozione delle imprese italiane all'estero. È stata costituita nel 1990 per coadiuvare
gli imprenditori italiani ad espandersi su nuovi mercati. Dal 2012 è divenuta una S.p.A. Il Ministro dello sviluppo
economico, sentito il CIPES (Comitato interministeriale per la politica economica estera) formula le linee direttrici per
gli interventi della SIMEST.

L'attività operativa della Simest consiste principalmente nella partecipazione al capitale di società estere partecipate da
imprese italiane (joint-venture) nella gestione di finanziamenti agevolati. La partecipazione al capitale avviene sia
tramite investimento diretto che attraverso il Fondo partecipativo di Venture Capital (opera in parallelo con la
partecipazione diretta) destinato alla promozione di investimenti in Paesi extra UE.

L'assunzione di partecipazioni (investimento diretto) si svolge tramite il capitale sociale della Simest, che ricopre il
ruolo di azionista “dormiente”, senza partecipare attivamente alla gestione aziendale.

Dal 2010 SIMEST può partecipare al capitale di società italiane e/o loro controllate in Stati membri UE, inclusa l'Italia,
a condizioni di mercato e senza agevolazioni per sviluppare investimenti produttivi o, comunque, sostenere programmi
di sviluppo tecnologico nelle aziende che investono in innovazione e ricerca applicata (partecipazione per max. 8 anni).

LA CASSA DEPOSITI E PRESTITI S.p.A.


La missione della CDP si articola nel finanziamento degli investimenti della Pubblica Amministrazione centrale e
locale, nel favorire lo sviluppo delle infrastrutture e nel sostegno dell'economia e del sistema imprenditoriale. È una
società per azioni a controllo pubblico, che gestisce il risparmio postale sia privato che pubblico, sia in materia interna
che internazionale.

FINEST E INFORMEST
L'attività di sostegno finanziario al commercio e agli investimenti delle imprese del Triveneto nei Paesi dell'Europa
centrale e orientale è svolta dalla Finest S.p.A. Informest è invece un centro di servizi informativi sui Paesi dell'Europa
e dell'Asia centrali e orientali per le imprese delle medesime regioni.

LE CAMERE DI COMMERCIO
Sono enti autonomi di diritto pubblico svolgenti funzione di interesse generale a favore delle imprese della
circoscrizione territoriale di competenza. Hanno sede in ogni capoluogo di provincia ed il loro intervento sul commercio
estero attiene principalmente all'attribuzione del numero meccanografico alle imprese che operano con l'estero, alla
gestione dei carnet ATA e TIR, al rilascio dei certificati di origine delle merci, alla dichiarazione di congruità dei prezzi.
Attraverso il c.d. sportello per l'internazionalizzazione, ciascuna Camera di Commercio offre informazioni ed assistenza
in materia di import/export, fiere, gare d'appalto, ricerca partner, ecc.

Camere di commercio italiane all'estero. Si tratta di associazioni di diritto privato liberamente costruite da
imprenditori italiani residenti all'estero e volte a favorire le relazioni bilaterali tra operatori italiani e del Paese estero
tramite l'attuazione di un programma vario a contenuto promozionale. Offrono servizi di consulenza import/export,
attività informative e formative allo sviluppo di contratti d'affari, ecc. Inoltre, forniscono utili informazioni sulle
imprese locali, sugli usi e consuetudini commerciali, sull'andamento dei prezzi intensificando, allo stesso tempo, la
conoscenza e, in ultima analisi, il consumo dei prodotti italiani. Le CCIE offrono altresì servizi di assistenza e
consulenza.

LE REGIONI (un ulteriore attore dell'internazionalizzazione del “Sistema Paese”


Con la riforma del Titolo V della Costituzione italiana, si è riconosciuta alle Regioni una competenza concorrente con lo
Stato in materia di commercio con l'estero. L'attività delle regioni italiane nel campo dell'internazionalizzazione appare
assai eterogenea, anche perché si modella sulla specializzazione produttiva dei territori di riferimento.

Gli SPRINT (sportelli regionali per l'internazionalizzazione) sono privi di personalità giuridica e collocati
alternativamente presso le sedi regionali dell'ICE, le Camere di Commercio, gli uffici delle regioni o presso enti
strumentali regionali. Obiettivo di tali sportelli è quello di svolgere attività di consulenza e di formazione agendo in
sinergia con operatori privati e pubblici.

INVITALIA (Agenzia per l'attrazione degli investimenti)


Si tratta di una società per azioni controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) che, attualmente, ne è
l'azionista unico. Si tratta di una società di gestione di tutti gli incentivi nazionali che favoriscono la nascita di nuove
imprese e le startup innovative. Invitalia si pone come ente di riferimento per le imprese estere che vogliono avviare o
espandere un'attività nel nostro Paese.
• VALUTAZIONE DEL “SISTEMA PAESE”

Dal punto di vista delle imprese, si percepisce solo il CAOS: promozione, consulenza, finanziamento, formazione,
sono svolte, in Italia, in sovrapposizione tra diversi enti e nessun governo è mai riuscito a mettere ordine in una materia
di interesse vitale per il nostro Paese.

- Frammentazione, duplicazioni: la frammentazione dell'articolazione del Sistema-Paese all'estero rende spesso difficile
per gli stessi utenti la comprensione delle competenze e delle specificità di ciascuno degli attori.
- Assenza di adeguato targeting: le imprese lamentano spesso, specie in confronto con i nostri partner europei, l'assenza
di un'azione continua e organica nell'attività di promozione nazionale. Tale carenza risulta più grave nei maggiori
mercati di sbocco, dove si possono perdere occasioni con rilevanti ricadute economiche. Le imprese, inoltre, spesso
lamentano una scarsa professionalità nei servizi offerti e nell'organizzazione delle missioni promozionali, nonché
l'assenza di sistematiche e serie valutazioni ex post dell'operato dei diplomatici e degli altri funzionari pubblici sulla
customer satisfaction delle imprese italiane.

Le rilevazioni della Banca d'Italia presso le imprese indicano che il “Sistema Italia” è ancora eccessivamente articolato;
inoltre, emerge che l'effettivo successo delle iniziative di promozione spesso dipende fortemente dalle capacità
individuali dei singoli, piuttosto che dal disegno complessivo dell'azione di sistema. Da questo punto di vista può
essere pertanto opportuna una migliore riorganizzazione del “sistema Paese”.

In Italia l'attuale proliferazione di uffici pubblici e privati sull'internazionalizzazione e la mancanza di un quadro il più
semplice possibile di tutti gli strumenti finanziari agevolati disorienta molti operatori privati.

• CONTRATTI TRA STATI E PRIVATI STRANIERI


Nell'epoca in cui viviamo, gli Stati svolgono una duplice attività in quanto essi agiscono sia in veste di soggetti
regolatori che di operatori del commercio internazionale. Sotto il primo profilo, quali centri indipendenti del potere
politico, gli Stati regolano il commercio attraverso l'esercizio della propria sovranità. Inoltre, attraverso l'elaborazione di
norme di applicazione necessaria, ciascuno Stato può incidere concretamente nello sviluppo dei traffici privati.

Ma, oltre alla tradizionale attività di regolazione del commercio esercitata iure imperii, gli Stati, sin dal dopoguerra,
hanno sempre più sviluppato un'attività iure gestionis che si è concretizzata nella conclusione di contratti (c.d. State
contracts) con gli altri operatori del commercio internazionale in condizioni di sostanziale parità giuridica. Si è formato
un vasto settore del commercio internazionale regolato da contratti che vedono quali parti contraenti uno Stato ed un
privato straniero in base ad un regime giuridico analogo a quello normalmente vigente tra operatori economici privati di
Stati diversi. (esempio nel contesto dei mercati delle euro-monete e degli Euro-bonds).

L'evoluzione della posizione giuridica dello Stato-imprenditore verso la sostanziale parità rispetto alla controparte
privata si constata attraverso la combinazione di due elementi caratteristici: l'inserimento di clausole compromissorie
negli State contracts e la progressiva riduzione della sfera delle immunità. Sotto il primo aspetto si svincola la decisione
dell'eventuale controversia dagli organi dello Stato medesimo (o di altro Stato) attribuendola ad arbitri cioè a soggetti
privati, esterni alle parti; sotto il secondo aspetto, la possibilità che lo Stato ripercorra la via delle prerogative sovrane e,
quindi, invochi successivamente l'immunità dalla giurisdizione e dalla esecuzione di un lodo arbitrale appare un
fenomeno sempre più contenuto. La partecipazione dello Stato ai mercati transnazionali risulta, infatti, condizionata dal
rispetto delle regole valevoli per tutti gli operatori economici privati, pena l'esclusione dalla contrattazione. Perciò,
mentre la sfera delle immunità si sta progressivamente riducendo nel contesto del commercio internazionale, si amplia
la sfera dell'attività transnazionale dello Stato.

LE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Le OIG sono una pluralità di centri indipendenti di organizzazione istituzionale della cooperazione tra Stati,
cooperazione che, a seconda dei casi e delle materie, può assumere maggiore o minore intensità e che può coinvolgere
un elevato o un piccolo numero di Stati. Dal punto di vista dell'oggetto dell'attività delle OIG si può distinguere, ancora,
tra OIG ad oggetto generale o speciale. Quando una OIG ha oggetto generale significa che ha per oggetto tutti gli
interessi comuni degli Stati membri nel campo della propria attività (ad. es. ONU).
Tutte le altre OIG aventi oggetto speciale possono dividersi in organizzazioni internazionale ad oggetto militare
(NATO), sociale (OIL), tecnico (Unione Postale Universale) ed economico.

In concreto, l'esatta delimitazione delle competenze affidata dagli Stati membri a ciascuna OIG discende dall'accordo
costitutivo di ognuna di esse. Generalmente l'adozione degli atti delle OIG avviene all'unanimità. Invece, per alcune tra
le più importanti organizzazioni intergovernative economiche quali, ad esempio, il Fondo Monetario Internazionale o la
Banca Mondiale, vengono previsti appositi meccanismi di ponderazione dei voti in base alle quote di capitale
sottoscritto.

Il consensus: attraverso il consensus si approva una decisione senza una formale votazione ma limitandosi a sottoporre
all'organo decisionale una certa dichiarazione, invitando ad una formale presa di posizione solo coloro che non sono ad
essa favorevoli. Qualora nessuno si opponga, la dichiarazione è considerata approvata.

RUOLO DELLE OIG NEL COMMERCIO INTERNAZIONALE


Le OIG sono in grado di incidere sulla disciplina dei rapporti nascenti dal commercio internazionale in 3 modi distinti,
ma complementari.

1. Impulso alla stipula di convenzioni internazionali. Innanzitutto, le OIG svolgono i loro compiti istituzionali
agendo nel quadro delle funzioni tradizionali di impulso alla stipula di Convenzioni interstatali, sia in materia di
uniformazione delle norme di conflitto dei vari Stati, sia attraverso l'elaborazione di disposizioni di diritto materiale
uniforme, come avviene, ad esempio, in seno all'Unidroit e all'UNCITRAL.
2. Elaborazione di leggi modello. Un ulteriore possibile tipo di attività delle OIG è costituita dalla predisposizione di
strumenti di soft law che, frequentemente, prendono forma di una legge modello. Tali strumenti, anche se non
vincolanti, possono rivelarsi particolarmente utili.
3. Elaborazione di modelli e guide contrattuali. Questo tipo di attività suscettibile di incidere sulla disciplina dei
rapporti nascenti dal commercio transnazionale è costituito dalla predisposizione di modelli e guide contrattuali. Si
tratta del tentativo di codificare le prassi degli operatori del commercio transnazionale al fine di facilitare la stipula di
contratti tra loro. Siffatta attività si svolge, ad esempio, presso la Commissione Economica per l'Europa (ECE) delle
Nazioni Unite e si è concretizzata nella redazione di condizioni generali di vendita e clausole standard, fino alla più
recente esperienza di Unidroit sfociata nella redazione dei Principi Unidroit sui contratti del commercio internazionale.

Attività iure gestionis delle OIG. Le OIG possono svolgere un'attività iure gestionis che si traduce nella stipulazione
di contratti con altri operatori del commercio internazionale. Sono contratti che l'ente stipula ai fini del proprio
funzionamento (contratti di acquisto di forniture d'ufficio, di assicurazione sui beni posseduti e così via). Con
riferimento a tali contratti, la sottoscrizione di accordi arbitrali è particolarmente frequente. Quando i contratti stipulati
dalle OIG con soggetti privati vengono muniti di una clausola compromissoria, le relative problematiche vanno
inquadrate non nel contenzioso di diritto internazionale pubblico bensì in quello dell'arbitrato commerciale
internazionale.

L'ONU E LA COOPERAZIONE ECONOMICA


La cooperazione internazionale in campo economico costituisce uno degli ambiti di attività della principale
organizzazione intergovernativa a vocazione universale, l'Organizzazione delle Nazioni Unite.

Il Segretariato dell'ONU. Recentemente ha lanciato al World Economic Forum di Davos un'iniziativa denominata il
Global Compact. Il progetto ha l'obiettivo di coinvolgere il mondo delle imprese e delle loro ONG in una nuova forma
di collaborazione con le Nazioni Unite attraverso l'adesione ad alcuni principi universali nelle aree dei diritti umani, del
lavoro e dell'ambiente.

Il Consiglio economico e sociale (ECOSOC). Conta 54 Membri, si riunisce annualmente e coordina le attività
economiche e sociali delle Nazioni Unite e delle sue istituzioni specializzate – che, com'è noto, sono organizzazioni
intergovernative autonome, dotate di personalità giuridica propria e legate all'ONU tramite apposito accordo di
collegamento – come la WHO; l'UNESCO; la FAO; l'ILO; l'ICAO; l'FMI. L'ECOSOC è un forum di discussione sui
temi economici e sociali internazionali nonché di formulazione di raccomandazioni politiche (adottate tramite la
maggioranza semplice) che tuttavia non sono giuridicamente vincolanti. Per il suo particolare ruolo il Consiglio effettua
inoltre consultazioni periodiche con le ONG.

L'ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO (WTO)


L'atto istitutivo dell'OMC (1995) ha assorbito il General Agreement on Tariffs and Trade (GATT) che, sin dal 1947,
aveva costituito il principale strumento di cooperazione multilaterale in materia di commercio internazionale.
L'OMC ha vocazione universale e non si limita unicamente ad organizzare la negoziazione di accordi in materia
tariffaria tra i suoi Membri, ma gestisce altresì una serie di rapporti più ampi di quelli che in passato rientravano nel
GATT. L'OMC funge da quadro istituzionale comune per la gestione delle relazioni commerciali tra i suoi Membri nelle
questioni relative agli strumenti giuridici ad esse attinenti: in particolare l'accordo istitutivo; gli accordi commerciali
multilaterali e quelli plurilaterali. Non è prevista l'espulsione quale sanzione per un Membro inadempiente ed ogni
Membro può recedere dall'OMC nei modi previsti all'art. XV.
L'OMC si rivolge, inoltre, ai paesi in via di sviluppo, sia tramite l'assistenza tecnica che con un sistema di deroghe
finalizzate al loro migliore inserimento nel sistema commerciale globale.

Si tratta quindi (al contrario del GATT '47), di un'organizzazione intergovernativa in senso tradizionale dotata di
personalità giuridica di diritto internazionale. L'OMC può stipulare trattati con altre organizzazioni intergovernative o
Stati terzi e gode dell'immunità dalla giurisdizione statale per le attività poste in essere dall'organizzazione rientranti nel
proprio ambito di competenza.

Struttura. L'organo principale è la Conferenza ministeriale che si riunisce almeno una volta ogni due anni ed è abilitata
a prendere decisioni su tutte le questioni relative agli accordi commerciali. Si tratta di un organo (si Stati). La gestione
esecutiva degli accordi compete invece al Consiglio Generale, che si riunisce anche come Organo di risoluzione delle
controversie e quale Organo di controllo delle politiche commerciali. Altri organi sono: il Consiglio del commercio
delle merci, il Consiglio per il commercio nei servizi ed il Consiglio per gli aspetti commerciali della proprietà
intellettuale. Ad essi si affiancano altri 6 organi chiamati “comitati” che si occupano delle seguenti materie: commercio
e sviluppo, ambiente, accordi commerciali regionali, restrizioni della bilancia dei pagamenti e questioni amministrative.

Membri. Nel 2017 conta 164 Stati membri. Alcuni paesi possiedono solo lo status di osservatore (es. la Santa Sede). A
differenza del GATT, la partecipazione degli Stati all'OMC comporta l'accettazione oltre che delle intese GATT anche
degli accordi allegati in materia di commercio dei servizi (GATS), investimenti (TRIMS), proprietà intellettuale
(TRIPS) e risoluzione delle controversie (DSU).

Meccanismi decisionali. La principale regola decisionale permane, in generale, quella del consensus. Ove questo non
sia possibile le decisioni vengono prese a maggioranza dei voti espressi, salvo ove diversamente stabilito. Ciascun
Membro dispone di un voto. In 4 casi si hanno maggioranze diverse:

1- le decisioni interpretative dell'accordo istitutivo dell'OMC richiedono la maggioranza dei ¾.


2- le deroghe agli obblighi degli stati membri possono essere concesse in circostanze eccezionali e a titolo temporaneo.
Tali decisioni vengono prese per consensus o alla maggioranza dei ¾.
3- gli emendamenti al Trattato istitutivo dell'OMC formano oggetto di disposizioni complesse e possono richiedere
l'unanimità, consensus o maggioranza dei 2/3.
4- l'adesione di nuovi Membri viene decisa a maggioranza dei 2/3.

Meccanismo di esame delle politiche commerciali. È finalizzato a permettere una maggiore trasparenza e una
migliore conoscenza delle politiche e delle prassi commerciali dei Membri dell'OMC. Tale esame viene effettuato ogni
due anni per i 4 membri che possiedono le principali quote degli scambi mondiali (Comunità Europea, USA, Giappone
e Canada), ogni quattro per i 16 membri successivi e ogni sei per gli altri membri. L'esame viene effettuato sulla base di
una “dichiarazione di politica generale” presentata dal Membro interessato e di una relazione compilata dal segretariato
dell'OMC.

IL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE (FMI)


Venne istituito a seguito degli accordi di Bretton Woods entrati in vigore il 27 dicembre 1945. È un'istituzione
specializzata delle Nazioni unite che ha come scopo principale quello di: 1) promuovere la cooperazione monetaria
internazionale; 2) facilitare l'espansione e l'armonico sviluppo del commercio internazionale; 3) promuovere la stabilità
dei cambi; 4) contribuire alla istituzione di un sistema multilaterale di pagamenti, relativamente alle operazioni correnti
tra gli Stati membri, nonché all'eliminazione delle restrizioni valutarie; 5) assicurare agli Stati membri la disponibilità
temporanea delle risorse del Fondo; 6) abbreviare la durata e ridurre l'ampiezza degli squilibri delle bilance dei
pagamenti degli Stati membri.

Struttura. Gli organi principali del Fondo, che conta, nel 2017, 189 Stati membri ed ha sede a Washington sono: il
Consiglio dei Governatori; il Comitato esecutivo ed il Direttore Generale.

Il Consiglio dei Governatori è l'organo plenario e più importante del FMI ed è composto da tutti gli Stati Membri.
Ciascuno Stato membro nomina un Governatore ed un supplente i quali, nella prassi, sono il Ministro delle finanze (x
l'Italia il Ministro dell'economia) o il Governatore della Banca centrale. Il Consiglio si riunisce una volta l'anno. Questo
organo delibera secondo un sistema di voto ponderato su tutte le materie che non sono affidate al Consiglio di
Amministrazione o al Direttore Generale.

Al Consiglio dei direttori esecutivi spetta la “condotta delle operazioni generali”. Si riunisce almeno una volta alla
settimana a Washington ed è composto da 24 Direttori esecutivi (5 dei maggiori paesi azionisti – USA, Giappone,
Germania, Francia e GB; tre nominati da Cina, Russia e Arabia Saudita; gli altri dagli altri paesi).

Il Direttore Generale, tradizionalmente europeo, viene nominato dal Comitato esecutivo e resta in carica per un
quinquennio. È il capo del personale dell'organizzazione, dirige gli affari ordinari del Fondo e presiede l'Executive
Board.
Risorse finanziarie. Il FMI le attinge principalmente dal capitale sottoscritto e versato dagli Stati membri. Altre risorse,
che si aggiungono al capitale proprio, vengono mutuate dal FMI contraendo prestiti con gli Stati, anche non membri o
con soggetti privati. Nel FMI non vale (a differenza dell'OMC) il principio “uno Stato un voto” bensì la quota di cui
ciascuno Stato membro è titolare determina il numero dei voti che può esercitare e l'entità delle risorse finanziarie a cui
può attingere in caso di bisogno.

Funzioni del FMI. Il ruolo del FMI ha subito, nel corso degli anni, una peculiare evoluzione. Fino agli anni '70
concedeva assistenza finanziaria agli Stati membri per gestire i propri squilibri nella bilancia dei pagamenti (denominati
in dollari US). Successivamente questo ente ha sviluppato una vasta attività di analisi delle politiche economiche degli
Stati membri e di ricerca. Le principali aree di attività del FMI sono: la vigilanza economica, sia di tipo bilaterale che
multilaterale sulle politiche monetarie e le misure di controllo dei cambi; l'assistenza finanziaria ai Paesi con difficoltà
di bilancia dei pagamenti – quando uno Stato registra un deficit nella bilancia dei pagamenti, può ricorrere all'assistenza
finanziaria del Fondo che, entro certi limiti, è automatica, incondizionata e a breve termine, mentre negli altri casi deve
essere negoziata ed è condizionata all'adozione di adeguate politiche di risanamento economico; l'assistenza tecnica per
i paesi meno sviluppati.

Violazione degli obblighi verso il FMI. In caso di inadempimento delle obbligazioni derivanti dalla partecipazione al
FMI, il Fondo “(a) può dichiarare il Paese membro decaduto dal diritto di usare le risorse generali del fondo; (b) se
dopo un ragionevole periodo di tempo, dopo la dichiarazione di decadenza... il Paese membro persiste nel non
adempiere ad alcuno degli impegni assunti in base al presente Statuto, il Fondo può, in base ad una decisione presa da
una maggioranza rappresentante il 70% dei voti complessivi, sospendere il Paese membro dal diritto di voto; (c) Se
dopo un ragionevole periodo di tempo dalla decisione di sospensione ai sensi della lettera (b) di cui sopra, il Paese
membro persiste nel non adempiere ad alcuno degli impegni assunti, esso potrà essere invitato a ritirarsi dal Fondo
(85% dei voti)”.

Controllo. Il FMI risulta privo di un sistema di controllo internazionale e anche di un meccanismo di soluzione delle
controversie. Le controversie interpretative vengono risolte da un unico organo politico-tecnico, l'Executive Board che
decide in merito alla erogazione degli aiuti.

LA BANCA MONDIALE
La Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BIRS) fu costituita a conclusione della Conferenza di
Bretton Woods (1944) parallelamente al FMI. Dal 1947 è un'istituzione specializzata delle Nazioni Unite ed ha sede a
Washington D.C. La BIRS è l'organizzazione intergovernativa principale di un gruppo, detto il gruppo della Banca
Mondiale, che comprende altre due OIG funzionalmente collegate: la Società Finanziaria Internazionale (SFI) e
l'Associazione Internazionale per lo Sviluppo (AIS). Ad esse vanno aggiunti altri due enti come il Centro internazionale
per la risoluzione e le controversie in materia di investimenti diretti esteri (ICSID) e l'Agenzia Multilaterale per la
Garanzia agli investimenti (MIGA).

Attività. Le sue prime attività si sono concentrate sulla ricostruzione dei Paesi devastati dalla WW2 ed il finanziamento
degli investimenti produttivi nei Paesi a basso tasso di risparmio. L'attività inizialmente è stata orientata verso la
realizzazione di progetti di sviluppo di infrastrutture e nei settori energetico e dei trasporti; solo successivamente si è
gradualmente rivolta verso lo sviluppo del capitale sociale e del capitale umano. Negli anni '80 la BIRS ha promosso
vasti programmi di aiuti finanziari ai Paesi in via di sviluppo e delle economie emergenti. Durante gli anni '90 la Banca
ha formulato nuove strategie ed ha individuato nella riduzione della povertà il fine principale del proprio operato. Ha
inoltre favorito la lotta alla corruzione ed il consolidamento di politiche di buon governo nei Paesi destinatari dei suoi
finanziamenti. Nel nostro tempo gli Stati hanno approvato l'Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, i cui elementi
essenziali sono i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e i 169 sotto-obiettivi, i quali mirano a porre fine alla
povertà, a lottare contro l'ineguaglianza e allo sviluppo sociale ed economico unitamente all'esigenza di affrontare i
cambiamenti climatici e costruire società pacifiche entro il 2030. a tale fine la Banca concede finanziamenti a medio-
lungo termine con tassi di interesse lievemente inferiori a quelli di mercato ed offre anche assistenza tecnica.
Un'ulteriore peculiarità della BIRS è quella del criterio di partenariato. In base a detto criterio, la Banca non assume mai
di regola un finanziamento al 100% bensì, coprendo una percentuale inferiore, coinvolge altre istituzioni finanziarie
internazionali ed il settore privato.

Differenza tra Banca Mondiale e FMI. Lo scopo della Banca è prevalentemente finanziario e di sviluppo, mentre il
FMI ha come scopo precipuo il mantenimento della stabilità del sistema monetario internazionale.

Partecipazione. Acquistano la qualità di membri della BIRS solo quegli stati che siano membri del FMI (oggi 186).
Ogni stato dispone di 250 voti più un voto per ogni tranche di cui è titolare. Nelle tre principali organizzazioni facenti
parte del gruppo della Banca Mondiale (BIRS, IDA e IFC) non vige il principio “uno Stato un voto”. Vige invece, come
nel FMI, il principio maggioritario e la ponderazione dei voti dei singoli Stati in funzione delle quote di capitale
sottoscritto. La ponderazione del voto ha determinato il controllo di tali enti in favore degli “azionisti di maggioranza”: i
Paesi sviluppati. (Italia membro IFC, IDA, ICSID, BIRS)

Struttura. La BIRS segue il modello classico ed è formata da un Consiglio dei Governatori, da un Consiglio di
Amministrazione, da un Presidente e da un Tribunale Amministrativo.

Il Consiglio dei governatori elegge il proprio presidente tra i governatori, si riunisce almeno una volta all'anno e decide
su questioni di carattere generale (ammissione di nuovi membri, aumento/diminuzione del capitale sociale, sospensione
di un membro, ecc.). Le delibere vengono prese a maggioranza, fermo restando che il potere di voto è proporzionale alle
quote di cui ciascuno Stato è titolare.

I Direttori esecutivi costituiscono una sorta di “consiglio di amministrazione) della Banca permanentemente in funzione
e la gestiscono nel suo normale operare, inclusa l'approvazione dei prestiti concessi. Vengono eletti dagli Stati membri
attraverso un voto ponderato per un totale di 24. Ogni amministratore dispone di un voto e, nella prassi, le votazioni
avvengono per consensus. I direttori esecutivi designano anche il Presidente (di solito USA) e presiede il medesimo
organo.

Il Tribunale Amministrativo, composto da 7 membri scelti tra giuristi di chiara fama venne istituito nel 1980 con lo
scopo precipuo di risolvere il contenzioso dei funzionari delle organizzazioni facenti parte del gruppo della Banca
Mondiale.

I prestiti della Banca Mondiale. Le operazioni di finanziamento sono regolate da appositi accordi di prestito stipulati
dalla Banca con gli Stati beneficiari. Qualora il finanziamento non sia destinato direttamente ad uno Stato membro
bensì ad un'impresa privata, viene concluso un accordo di garanzia mediante il quale lo Stato membro si fa garante della
restituzione del prestito. La Banca richiede in contropartita la restituzione del capitale con interessi che si collocano in
linea con quelli di mercato e sono calcolati in funzione del rischio assunto.

Il Panel d'ispezione. Nel 1994, il Consiglio d'Amministrazione ha istituito l'Inspection panel con il compito di valutare
i ricorsi esperiti contro i progetti finanziati in caso di violazione delle regole fissate dalla Banca. È un organismo
indipendente cui possono rivolgersi gruppi di due o più individui. La richiesta d'ispezione può essere presentata da un
rappresentante che agisca in nome e per conto delle persone interessate, o anche da un membro del CdA stesso. Dopo
una valutazione preliminare del caso, il Panel avvia l'inchiesta. Al termine di essa, il Panel sottopone un rapporto
dettagliato al CdA e al Presidente della Banca, in cui presenta le proprie conclusioni. Il CdA decide infine quali misure
adottare, in base al rapporto del Panel e alle raccomandazioni della Direzione. Qui, l'individuo ottiene accesso al Panel.

La Società Finanziaria Internazionale (IFC). Fu costituita come filiale della BIRS nel 1955, per completare l'azione
della Banca concedendo finanziamenti alle imprese private nei PVS. Eroga prestiti a lunga scadenza, offre prodotti per
la gestione del rischio ed assistenza tecnica. L'attività di tale ente – ne fanno parte gli Stati della BIRS – si traduce
nell'assunzione di partecipazioni e nell'erogazione di prestiti per la realizzazione di investimenti produttivi a condizioni
più favorevoli di quelle della BIRS. Viene privilegiata l'affidabilità degli investimenti rispetto alla loro utilità
economica. La SFI possiede personalità giuridica e bilancio separati da quelli della Banca mondiale.

L'Associazione Internazionale per lo Sviluppo (IDA). È un'altra istituzione specializzata dell'ONU. Ha iniziato ad
operare nl 1960. il suo scopo principale è quello di promuovere lo sviluppo economico dei Paesi più arretrati attraverso
la concessione di mutui a lungo termine e a condizioni ancora più vantaggiose rispetto a quelle ottenibili dalla BIRS,
dalla IFC e dal mercato. La sua attività riguarda la concessione di crediti senza interessi e a condizioni più favorevoli
rispetto a quelle della BIRS a favore di reddito pro-capite annuo inferiore ad un determinato livello soglia fissato dalla
stessa IDA ogni anno. L'IDA opera grazie ai contributi dei Paesi della Banca Mondiale. L'appartenenza all'associazione
è limitata agli stati già membri della Banca Mondiale e quindi della IFC.

OIG A CARATTERE REGIONALE


Questi enti possono favorire una cooperazione particolarmente intensa tanto da indurre gli Stati a dotarli di ampi poteri
e competenze. Tra le OIG a carattere regionale ci sono:

- L'Unione Europea ed il Trattato di Lisbona. L'Unione Europea costituisce oggi il principale attore del commercio
mondiale, seguita dagli Stati Uniti e dal Giappone.

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007, ha modificato il Trattato sull'Unione europea (TUE) ed il Trattato
che istituisce la Comunità europea (TCE), ridenominato Trattato sul funzionamento dell'Unione (TFUE). Si è
abbandonato il troppo ambizioso “metodo costituzionale” per tornare al più sicuro “metodo comunitario”, più vicino
alla posizione degli Stati membri. Così, nella nuova riorganizzazione operata dal Trattato di Lisbona, nel TUE sono
confluite le disposizioni di natura “costitutiva” ed “organizzativa”, mentre nel TFUE sono confluite sia disposizioni di
applicazione delle disposizioni del TUE, sia disposizioni per le singole politiche dell'Unione.

Con il Trattato di Lisbona viene formalmente attribuita la personalità giuridica di diritto internazionale all'UE la quale
assorbe la Comunità Europea. Pertanto, sarà l'Unione a stipulare accordi con gli Stati terzi e le OIG; oltre che possedere
beni e a partecipare ad eventuali contenziosi internazionali. L'Unione deve rispettare, oltre all'identità nazionale dei suoi
Stati membri, il relativo sistema delle autonomie regionali e locali. La sicurezza nazionale rimane di esclusiva
competenza di ciascun Stato membro.

Il Trattato di Lisbona introduce nuovi obiettivi rispetto a quelli già previsti dai trattati comunitari. Si tratta della
promozione della pace; di una economia sociale di mercato fortemente competitiva; alla promozione del progresso
scientifico e tecnologico, la parità tra uomini e donne; la tutela dell'ambiente; ecc.

L'Unione agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite dagli Stati membri attraverso i trattati istitutivi.
L'esercizio delle competenze da parte dell'Unione è funzionale a due principi: quello di sussidiarietà, per cui l'Unione
interviene nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione
prevista non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri; e quello di proporzionalità, per il quale il
contenuto e la forma dell'azione dell'Unione non vanno al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli
obiettivi dell'Unione.

Il predetto trattato, inoltre, ribadisce che le modalità di ripartizione delle competenze vanno inquadrate in tre categorie:
le competenze esclusive, laddove l'Unione è l'unica a poter legiferare ed adottare atti giuridicamente obbligatori mentre
gli Stati membri possono farlo autonomamente previa autorizzazione dell'Unione oppure per l'attuazione degli atti da
questi adottati; competenze concorrenti: qui sia l'Unione, sia gli stati membri hanno piena facoltà di legiferare e adottare
atti giuridicamente obbligatori; azioni di sostegno, di coordinamento e di completamento: in questo caso, l'Unione può
condurre azioni che completano l'azione degli Stati membri, senza tuttavia sostituirsi a loro.

Il Parlamento Europeo (PE). A seguito delle modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona esercita, congiuntamente al
Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio. La rappresentazione dei cittadini è garantita in modo
regressivamente proporzionale con una soglia minima di 6 seggi per Stato membro ed una soglia massima di 96.

Il Consiglio europeo. Definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell'Unione, ma non esercita funzioni
legislative. Il Consiglio europeo si riunisce due volte per semestre e decide per consenso, salvo i casi espressamente
previsti dal Trattato (TUE). Il Presidente viene eletto dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata per un mandato
di due anni e mezzo rinnovabile una volta. Il Consiglio si riunisce in varie formazioni ad es. il Consiglio “Affari
generali”, il Consiglio europeo e la Commissione.

La Commissione Europea. La prima Commissione nominata dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009) è
composta da un rappresentante per ogni Stato membro, compreso il Presidente della Commissione e l'Alto
rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. A partire dal 2014, la composizione è fissata ad
un numero corrispondente ai 2/3 degli Stati membri, a meno che il Consiglio europeo decida di modificare tale numero.
I membri dovranno essere scelti sulla base di un sistema di rotazione paritaria tra gli Stati. La Commissione possiede
ampi poteri di iniziativa legislativa, salvo che i trattati non dispongano diversamente; promuove l'interesse generale
europeo. Il presidente della Commissione è eletto dal PE, a maggioranza dei membri che lo compongono, sulla base di
una candidatura proposta dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata e previe consultazioni appropriate.

Relazioni commerciali esterne. Prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la conclusione di accordi
internazionali avveniva attraverso la CE in base alla norma generale dell'art.300. L'art. 218 TFUE pur riprendendo la
sostanza del precitato art.300, indica che gli accordi sono stipulati dall'Unione e sono negoziati e conclusi secondo la
procedura seguente: il Consiglio autorizza l'avvio dei negoziati, definisce le direttive di negoziato, autorizza la firma e
conclude gli accordi. La Commissione, o l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza
quando l'accordo previsto riguarda esclusivamente o principalmente la politica estera e di sicurezza comune, presenta
raccomandazioni al Consiglio, il quale adotta una decisione che autorizza l'avvio dei negoziati e designa, in funzione
della materia dell'accordo previsto, il negoziatore o il capo della squadra di negoziato dell'Unione. Il Consiglio, su
proposta del negoziatore, adotta una decisione relativa alla conclusione dell'accordo. Tranne quando l'accordo riguarda
esclusivamente la politica estera e di sicurezza comune, il Consiglio adotta la decisione di conclusione dell'accordo.

La politica commerciale comune è disciplinata dall'art. 207 TFUE.


Alla Commissione Europea spetta il ruolo di negoziatore unico nel quadro di poteri specifici ad essa assegnati dal
Consiglio a cui, comunque, spetta la conclusione degli accordi.
- L'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) fu istituita con la Convenzione di Parigi
del dicembre 1960. Il suo scopo è quello di promuovere politiche volte alla realizzazione, con attenzione ai PVS, della
massima espansione possibile dell'economia degli Stati membri su base multilaterale e non discriminatoria cercando di
eliminare o, comunque, di ridurre gli ostacoli di qualsiasi tipo agli scambi internazionali. Oggi fanno parte dell'OCSE
trenta paesi industrializzati che rappresentano i 2/3 dell'intera produzione mondiale di beni e servizi ed i 3/5 delle
esportazioni complessive, per questo è nota come “club dei Paesi ricchi”. L'adesione all'OCSE, decisa all'unanimità dal
Consiglio, è condizionata all'impegno da parte dello Stato richiedente di avere un'economia di mercato ed una
democrazia di tipo pluralistico. L'attività dell'OCSE viene finanziata tramite quote stabilite in percentuale al PIL di
ciascuno Stato membro. I principali contribuenti sono USA, Giappone e Germania. L'OCSE è un forum
intergovernativo di discussione, programmazione e coordinamento delle politiche economiche e sociali. Tra le sue
attività figurano pure l'elaborazione di regole del “buon governo” nel settore pubblico e privato e vari atti in materia di
tassazione internazionale.

Il Consiglio OCSE. È l'organo principale ed ha competenza generale ad emanare tutti gli atti dell'organizzazione. Si
riunisce al livello di Ministri o dei rappresentanti permanenti e le decisioni sono prese all'unanimità, salvo che sia stato
deciso un diverso quorum. In caso di astensione, la decisione non è vincolante per il Membro astenuto.

Il Comitato esecutivo. È un organo sussidiario del Consiglio ed è costituito dai rappresentanti di 14 Stati membri
nominati dal Consiglio. Si riunisce una volta alla settimana.

Il Segretario Generale. Viene nominato dal Consiglio per 5 anni; presiede le riunioni dei rappresentanti permanenti del
Consiglio; partecipa alle riunioni del Comitato esecutivo; formula proposte al Consiglio e a tutti gli altri organi
dell'OCSE; assicura l'esecuzione delle delibere ed è il capo del personale dell'organizzazione.

- L'OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio). Venne istituita nel settembre 1960. Ha come scopo
quello di coordinare le politiche petrolifere dei suoi membri per stabilizzare i prezzi ed i livelli produttivi. Organi
principali sono: una Conferenza degli stati membri che si riunisce due volte l'anno e decide all'unanimità dei voti le
linee di politica generale; un Consiglio dei governatori, quale organo esecutivo ed un segretariato.

Attività. Se agli inizi della sua attività era stata concepita quale organizzazione di Stati tesa a controbilanciare lo
strapotere delle imprese transnazionali del petrolio, detta organizzazione ha sempre più assunto la veste di un vero e
proprio cartello di Paesi produttori.

TRE MODELLI ORGANIZZATIVI DI COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA REGIONALE. La UE,


l'OCSE e l'OPEC costituiscono tre esempi paradigmatici del diverso assetto che la cooperazione economica istituzionale
tra Stati può assumere evidenziando come il conseguimento di obiettivi economici comuni sul piano internazionale-
regionale può dare luogo ad un vincolo associativo più forte fino al trasferimento, più o meno accentuato, di
competenze attinenti alla sfera della sovranità economica statale. Il trasferimento di competenze e di parte della
sovranità economica dei singoli Stati membri è ampissimo nel caso della UE; meno ampio nell'OCSE ove però il raggio
d'azione dell'OIG si estende a gran parte delle questioni economiche; più ristretto nell'OPEC ove l'obiettivo primario è
quello di regolare il commercio petrolifero. La posizione giuridica dell'individuo è sommamente valorizzata nella UE;
più tradizionale, e quindi coperta dallo schermo statale, ma indirettamente presente a livello di gruppi di pressione negli
ordinamenti dell'OCSE e dell'OPEC.

ACCORDI A “MAGGIORE O MINORE” COOPERAZIONE


Si possono individuare tre modelli di relazioni economiche tra Stati: a) quello delle aree di libero scambio, in cui gli
Stati membri aboliscono le barriere commerciali e doganali interne mantenendo però verso l'esterno ciascuno le proprie
competenze e, dunque, un proprio diritto doganale (es. NAFTA); quello delle unioni doganali, in cui gli Stati membri,
oltre ad abolire le barriere commerciali interne adottano una tariffa doganale esterna comune; quello del mercato
comune ove, oltre a quanto conseguito tramite l'unione doganale, vengono smantellati gli ostacoli alla libera
circolazione dei fattori produttivi con particolare riferimento alle merci ed i capitali. I primi due modelli sono quelli più
diffusi su scala mondiale.

- Il MERCOSUR. I suoi obiettivi, simili a quelli dell'UE, sono la libera circolazione di beni servizi e fattori produttivi
tra gli Stati.
- L'Unione Economica Eurasiatica (UEE). Costituita nel 2014, comprende Russia, Armenia, il Kazakhstan e la
Kirghisi. Tra gli obiettivi di questo trattato si prevede la libera circolazione di beni, servizi, capitali e dei lavoratori degli
Stati membri.
ALTRI ENTI INTERNAZIONALI
Di particolare interesse per il diritto del commercio internazionale è l'attività dell'UNIDROIT, dell'UNCTAD,
dell'UNCITRAL, della CPDIP.

- L'UNIDROIT. L'istituto internazionale per l'unificazione del diritto privato venne istituito nel 1926 come organismo
della Società delle Nazioni; successivamente, nel 1940, fu ricostituito sulla base di un accordo multilaterale che è a
tutt'oggi il suo Statuto organico. Ne fanno parte 60 Stati tra cui l'Italia. L'UNIDROIT, che ha sede a Roma, è
un'organizzazione intergovernativa, a struttura tripartita, composta dall'Assemblea generale, dal Consiglio di direzione e
dal Segretariato.

La sua attività principale consiste nel compiere studi di diritto comparato al fine di elaborare progetti di Convenzioni di
diritto uniforme da negoziare a livello intergovernativo. L'ente ha elaborato anche strumenti non vincolanti. Si tratta
della predisposizione di leggi modello che i singoli Stati possono prendere in considerazione in occasione
dell'elaborazione delle rispettive legislazioni nazionali o, ancora, dei Principi Unidroit sui contratti commerciali
internazionali, una codificazione del diritto dei contratti internazionali autorevole anche se, di per sé, non vincolante sul
piano intergovernativo.
-L'UNCTAD. Venne istituita nel 1964 e da allora costituisce la principale sede internazionale in cui vengono discusse le
problematiche dei Paesi in via di sviluppo e, più in generale, la loro partecipazione al commercio internazionale. Si
riunisce con cadenza quadriennale. Tra le sue finalità vi sono quelle di fungere da forum permanente di discussione
intergovernativa circa gli scambi commerciali tra Paesi a diverso livello di sviluppo economico; esaminare, tramite
apposite ricerche e studi, l'andamento dell'economia mondiale ed i suoi effetti sullo sviluppo; effettuare attività di
assistenza tecnica a favore dei Paesi meno avanzati.
-L'UNCITRAL. La Commissione delle Nazioni Unite per il Diritto del Commercio Internazionale è stata istituita nel
1966. Ha il mandato di promuovere l'armonizzazione e l'unificazione graduale del diritto in via intergovernativa al fine
di rimuovere gli ostacoli agli scambi derivanti da carenze e differenze fra le normative nazionali in materia.
-Il G7, G8 ed il G20. Con il termine G8 viene denominato il vertice tra i massimi leader dei Paesi più industrializzati
del mondo. Si è riunito per la prima volta nel 1975 e rappresenta un foro di dialogo al massimo livello tra i leader delle
principali democrazie industrializzate. All'inizio, tale vertice si è concentrato sui grandi ordinamenti politici in materia
economica. Nelle fasi successive, ha allargato progressivamente l'agenda a tutti i temi della politica mondiale, dal
terrorismo alla sicurezza, dalla politica ambientale all'aiuto al terzo mondo. Tale summit è stato poi affiancato dal G20
al quale partecipano anche i nuovi protagonisti dell'economia mondiale, a partire dalla Cina e dall'India.

Caratteristiche. La sua caratteristica è l'informalità, funzionale alla capacità di discutere e assumere in tempi rapidi
posizioni comuni rispetto alle più importanti sfide globali di ordine economico-finanziario, alle crisi regionali o alle
questioni ambientali e di sviluppo. La Presidenza è assicurata a rotazione da ciascuno dei Paesi membri e coincide con
l'anno solare. Un'altra figura è quella dello sherpa che organizza il G8. Lo sherpa è il rappresentante personale per il G7
del Capo di Stato o di Governo per tutte le questioni che formano l'agenda del Vertice, è responsabile del processo
preparatorio del Vertice annuale e coordina la stesura della Dichiarazione Finale. Gli Sherpa comunicano le posizioni e
le proposte dei rispettivi Capi di Stato o di Governo sulle principali questioni internazionali. In Italia la carica di Sherpa
è tradizionalmente ricoperta da un diplomatico di alto rango. Il G20 è un gruppo informale internazionale istituito nel
1999 che riunisce i 19 Paesi più industrializzati del mondo (+ l'UE). Il G20 nasce su iniziativa dei Ministri delle Finanze
del G7 per affrontare le sfide poste dalla crisi finanziaria e valutaria scoppiata in Asia nel 1997 e poi nel 2008. pertanto,
il Gruppo dei 20 nacque come un meccanismo di dialogo informale tra economie “a rilevanza sistematica” per discutere
della stabilità economica, della crescita sostenibile e della creazione di una nuova architettura finanziaria globale.

-Il Club di Parigi ed il Club di Londra. L'attività di ristrutturazione della posizione debitoria degli Stati è da tempo
oggetto dell'attività del Club di Parigi che, dal 1956, riunisce in modo informale 22 fra i principali Paesi creditori ed ai
cui lavori partecipano, in qualità di osservatori, il FMI e la Banca Mondiale, nonché le Banche Regionali di Sviluppo e
l'UNCTAD. Al Club di Parigi i membri coordinano le loro azioni di cancellazione, recupero e riprogrammazione dei
crediti nei confronti dei Paesi debitori (principalmente PVS). La partecipazione finanziaria italiana agli sforzi della
comunità internazionale per contenere il debito estero si manifesta, sia a livello bilaterale che multilaterale.

Nel c.d. Club di Londra, invece, sono i consorzi di banche private che (ri)negoziano la ristrutturazione dei debiti
contratti in forma privata dagli Stati con modalità simili a quelle del Club di Parigi.

ULTERIORI ORGANISMI INTERNAZIONALI A COMPETENZA SPECIALIZZATA


- OIL/ILO. opera in materia giuslavoristiva attraverso l'adozione di raccomandazioni e la predisposizione di progetti di
Convenzione multilaterale che vengono successivamente sottoposti agli Stati membri.
- ICAO/OACI. svolge la propria attività fissando gli standard internazionali e le pratiche raccomandate in materia di
traffico aereo. Ha il potere di adottare degli allegati alla Convenzione, tramite maggioranza qualificata dei 2/3, che
divengono vincolanti dopo tre mesi per tutti gli Stati membri a meno che non vengano rigettati all'unanimità.
- IMO/OMI. L'Organizzazione Marittima Internazionale si occupa dei problemi della sicurezza dei traffici marittimi.
- WIPO/OMPI. Una istituzione specializzata delle Nazioni Unite che amministra 23 trattati internazionali riguardanti
diversi aspetti della protezione della proprietà intellettuale in materia di indicazioni geografiche, brevetti, marchi, design
industriale, copyright. La WIPO ha predisposto un regolamento di arbitrato amministrato, specifico per la soluzione
delle controversie in materia di proprietà intellettuale.
- BRI. La Banca dei Regolamenti Internazionali venne istituita nel 1929 con lo scopo di favorire la cooperazione tra le
banche centrali dei paesi membri. La Banca funge da “banca delle banche centrali”, da mandatario nei regolamenti
internazionali e, soprattutto, da foro di consultazione e cooperazione monetaria multilaterale. Perciò la BRI promuove la
cooperazione monetaria e finanziaria tra le banche centrali, fornisce servizi di gestione delle riserve in valuta a
numerose banche centrali e svolge attività di ricerca economica e monetaria, producendo statistiche sul sistema bancario
e finanziario internazionale.

In tutte le organizzazioni intergovernative sopra indicate (a parte l'OIL) il ruolo degli individui esterni alle OIG e quindi
degli operatori economici (privati) del commercio internazionale è del tutto marginale.

LE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE (ONG)


Le ONG a vocazione economica assumono la forma giuridica di associazioni di diritto interno con attività
transnazionale. La consultazione delle OIG risulta prevista, in termini generali, dall'art.71 della Carta delle NU.

Funzioni. Svolgono un ruolo di coordinamento e di autoregolazione per le imprese che ne sono membri. A tali enti
spetta, infatti, il ruolo di elaborare modelli contrattuali, identificare le best practices, emanare regole di lex mercatoria e
codificare (in forma privata) gli usi del commercio internazionale. A questo tipo di attività si affianca molto spesso
quella di amministrare la risoluzione delle controversie intervenute tra i propri membri attraverso lo strumento
dell'arbitrato e degli ADR methods. Così, ad esempio, in materia di diritto contabile, l'International Accounting
Standard Board (IASB) determina i principi contabili internazionali che, successivamente, vengono diffusi in tutto il
mondo. Altri esempi sono: il Comité Maritime International, l'International Shipping Federation, la International
Maritime Pilots Association.

Tra le ONG che svolgono un'attività rilevante nell'uniformazione del diritto commerciale internazionale vanno ricordate
la Federation Internationale des Ingenieurs-conseils (FIDIC) e l'International Standard Organisation (ISO). La prima, fin
dal 1957, provvede alla predisposizione di contratti-tipo in materia di appalti internazionali; la seconda, costituita a
Ginevra nel 1947, codifica attraverso le norme “ISO” le specifiche tecniche destinate ad essere utilizzate in tutto il
mondo nella definizione e nella realizzazione delle caratteristiche qualitative delle merci. In questo modo,
parallelamente a quanto realizzato dalle NU attraverso la ECE, l'ISO offre un importante contributo sia alla
standardizzazione qualitativa dei prodotti sui mercati mondiali, sia all'abbattimento degli ostacoli tecnici al commercio.

L'attività congiunta delle ONG rivela l'inefficienza di molte organizzazioni intergovernative che oggi rischiano di
svolgere un ruolo di recezione simbolica di norme regolamentate altrove (presso le ONG). Si confronti l'attività
dell'International Civil Aviation Organization (ICAO) con quella della International Air Transport Association (IATA).
Quest'ultima è un'associazione privata di vettori aerei con sede a Montreal in grado di uniformare la condotta dei propri
membri.

LA CAMERA DI COMMERCIO INTERNAZIONALE (ICC).


È l'ONG a vocazione economico-transnazionale più importante. È stata istituita nell'ottobre del 1919 quando alcuni
imprenditori si riunirono per discutere quali iniziative assumere per superare le conseguenze negative sugli scambi
commerciali derivanti dal primo conflitto mondiale. Nel giugno del 1920 fu costituita, a Parigi, la ICC. Durante la
WW2 l'attività della ICC venne sospesa. L'espansione della ICC riprese alla fine del conflitto, con l'istituzione di
comitati nazionali in Asia e nei Paesi di nuova indipendenza.

Attività. Svolge un ruolo consultivo di massimo livello presso l'ONU e le istituzioni specializzate in applicazione
dell'art.71 della Carta delle NU: partecipa ai lavori delle più importanti organizzazioni intergovernative, ove ha funzioni
di osservatore, collabora attivamente con la Banca Mondiale, il FMI e l'OMC nonché con l'UE e l'OCSE. Ha tra le sue
finalità quelle di:

- rappresentare il commercio, l'industria, i trasporti e tutti i campi dell'attività economica transnazionale;


- sottoporre ai Governi ed alle OIG il punto di vista degli operatori privati;
- contribuire al mantenimento della pace e delle relazioni amichevoli tra gli Stati;
- elaborare soluzioni pratiche per rendere più efficienti le varie operazioni relative al commercio ed agli investimenti
internazionali.

Membri. Sono membri le associazioni industriali e bancarie dei principali Paesi, le Camere di Commercio, singole
imprese e società che esercitano il commercio internazionale. La partecipazione avviene tramite l'istituzione di un
comitato nazionale che fa da portavoce ai diversi settori nazionali dell'industria, commercio, finanze e trasporti, si
collega alla ICC e la rappresenta nel Paese in cui è costituito. In mancanza di tale comitato è possibile diventare
membro della ICC per adesione diretta.

Organi. Sono il Consiglio mondiale (organo supremo) che è composto da delegati dei comitati nazionali ed ha il
compito di: determinare la politica generale; decidere sull'adozione e sulle possibili modifiche dello statuto; decidere,
inoltre, sulla creazione di commissioni ed organi di lavoro appropriati; l'adesione di nuovi membri. Spetta al Consiglio
mondiale eleggere il Presidente della ICC ed il Vicepresidente, che restano in carica per due anni.

Il Comitato direttivo è composto da una trentina di membri eletti dal Consiglio. Si riunisce tre volte l'anno ed ha il
compito di elaborare proposte strategiche e controllare l'attuazione della politica della ICC.

Il Segretariato internazionale è il “braccio operativo” dell'ente. Prepara il lavoro del Consiglio e ne esegue le decisioni;
segue i lavori delle OIG; assicura il contatto diretto con i comitati nazionali.

A tali attività si affianca quella della Corte internazionale di arbitrato. L'arbitrato della CCI è un arbitrato istituzionale e
l'amministrazione di esso viene effettuata da un organo permanente: la corte internazionale d'arbitrato. L'arbitrato è
aperto poiché non è riservato unicamente ai cittadini nel cui paese si è costituito un comitato nazionale della ICC.
Inoltre, il luogo di svolgimento del procedimento arbitrale può essere fissato in qualunque punto del globo, a
prescindere dalla localizzazione della sede dell'istituzione a Parigi. La Corte adotta tutte le misure necessarie per lo
svolgimento del procedimento arbitrale, dalla costituzione del collegio arbitrale all'esame del progetto di lodo, in
conformità alle norme previste dal regolamento. La Corte internazionale d'arbitrato della CCI non giudica tuttavia
direttamente le controversie, ma svolge un'attività di assistenza e di monitoraggio sugli arbitrati che si svolgono
secondo il procedimento arbitrale CCI.

Attività di codificazione privata. Modelli contrattuali uniformi e clausole, regole uniformi e codici di condotta sono
elaborati dalla CCI e periodicamente aggiornati dopo un'estesa consultazione con gli operatori del commercio mondiale.
I modelli contrattuali della CCI ambiscono ad offrire alle parti una struttura il più possibile neutrale nella regolazione
dei rapporti contrattuali, nel senso che le loro clausole vengono concepite tenendo conto della varietà dei sistemi
giuridici statali e delle esigenze del commercio internazionale. Es. l'ICC Model international sale contract in materia di
vendita internazionale o l'ICC Model mergers&acquisition contract in materia societaria.
Regole oggettive del commercio internazionale. L'attività della ICC ha portato anche alla redazione di diverse norme
che a volte possono essere configurate alla stregua di compilazioni private di usi del commercio internazionale. Es. in
materia di credito documentario, le Uniform Customs and Practice for Documentary Credits.

Codici di condotta. Oltre alla compilazione di usi del commercio internazionale, l'attività della CCI si rivolge
all'elaborazione di codici di condotta collettivi che vanno dalla pubblicità alla repressione dell'illecito transnazionale,
fino alla tutela dell'ambiente.

LE IMPRESE TRANSNAZIONALI (c.d. MULTINAZIONALI)


L'imprenditore italiano che esercita la propria attività con l'estero deve richiedere alla Camera di commercio competente
per territorio ove l'impresa ha sede legale un apposito codice alfanumerico meccanografico e la registrazione
nell'Archivio camerale degli operatori abituali con l'estero. Il codice ha rilevanza statistica; comporta altresì l'iscrizione
presso la banca dati denominata ITALIANCOM. Siffatto database viene diffuso tra gli operatori italiani e stranieri,
nonché presso le ambasciate e gli uffici consolari italiani all'estero. Il Centro Estero, attivo presso le Camere di
commercio, svolge un'attività volta ad agevolare e sostenere gli imprenditori nel contratto con potenziali partner esteri
(manifestazioni fieristiche internazionali; organizzazione di missioni economiche all'estero; realizzazione di workshop,
ecc.).

La nazionalità delle società commerciali. Le società commerciali sollevano alcune problematiche peculiari. Le società
di capitali esistono solo in quanto un ordinamento statale dato ne ha permesso la costituzione e ne regola il
funzionamento. Quando le attività delle società si sviluppano oltre le frontiere nazionali e si manifestano degli elementi
di estraneità rispetto all'ordinamento statale si pongono almeno due problemi: quello di individuare la nazionalità e
quello di individuare il diritto ad esse applicabile. In materia di nazionalità, va osservato che le indagini dottrinali e la
prassi di molti Stati si sono sviluppate avendo a mira lo statuto personale delle persone fisiche, sicché è parso ovvio che,
avendo gli individui una cittadinanza, lo stesso valesse per le persone giuridiche parlandosi più propriamente, in questo
caso, di “nazionalità”. Questa nazionalità è un carattere che può essere attribuito o negato a seconda dello scopo da
perseguire attraverso quelle norme che a tale carattere fanno riferimento. Ciascun ordinamento statale, tramite norme
unilaterali, distingue ai propri fini le società nazionali da quelle straniere per l'ammissione a determinate attività, per
acquistare beni immobili, per controllare una società privatizzata e così via. Così, dal punto di vista del nostro
ordinamento, sono da ritenere italiane le società costituite in Italia ed aventi sede nel territorio italiano.

Nel diritto del commercio internazionale, la nazionalità delle società commerciali acquista particolare rilevanza in
materia di protezione diplomatica, con riferimento alle Convenzioni multilaterali e bilaterali in materia di investimenti
esteri, nonché nell'analisi delle norme in materia di embargo e di sanzioni economiche internazionali in genere. Più
complessa è la questione dell'eventuale “nazionalità europea” delle società poiché né il TUE né il TFUE contengono
specifiche norme in materia.

Individuazione del diritto applicabile alle società di capitali. Si è visto che la problematica della determinazione
della nazionalità delle persone giuridiche resta concettualmente distinta da quella della individuazione della legge ad
esse applicabile. Qui si tratta, principalmente, di individuare il diritto che regola il funzionamento interno delle società
di capitali. Nel d.i.pr. comparato, la determinazione della lex societatis è improntata ad almeno tre criteri di
collegamento principali. Si tratta: (a) del criterio dello Stato di costituzione che fa riferimento alla legge del luogo in cui
l'ente è stato costituito o registrato; (b) di quello della sede effettiva della società e di quello del controllo (c).

(a) l'ordinamento britannico, quello dell'Irlanda e quello degli Stati federati degli USA fanno riferimento al criterio dello
State of incorporation.
(b) gli ordinamenti belga, tedesco e francese
(c) nel nostro tempo questo criterio sembra abbandonato dalla maggior parte degli Stati del mondo.

Alcuni Stati hanno preferito adottare delle combinazioni dei suddetti criteri, il legislatore italiano ha introdotto
un'apposita norma che, pur impiegando il criterio dello Stato di costituzione, lo combina con quello del luogo di
svolgimento dell'attività principale dell'ente. L'art. 25 della L. 31 maggio 1995, n.218 dispone che: “Si applica la legge
italiana se la sede dell'amministrazione è situata in Italia, ovvero se in Italia si trova l'oggetto principale di tali enti.

Ambito soggettivo della lex societatis. Ricade nell'ambito di applicazione della disposizione in esame ogni soggetto
diverso dalle persone fisiche: le società, le associazioni, le fondazioni e qualsiasi altro ente, pubblico o privato. La
norma, quindi, si applica sia agli enti a scopo di lucro che a quelli che ne sono privi, sia alle persone giuridiche che agli
enti privi di natura associativa.

La prima norma di conflitto, contenuta nel primo periodo del 1° comma dell'art.25, costituisce una norma bilaterale in
quanto pone sul medesimo piano il diritto italiano e quello straniero. Il punto di collegamento è il luogo in cui si è
perfezionato il procedimento di costituzione dell'ente ed in ciò si coglie l'opzione dell'ordinamento italiano in favore
della dottrina dello State of incorporation di matrice anglo-americana. Va sottolineato, tuttavia, che il criterio
dell'incorporazione opera in tutta la sua efficacia soltanto per le società costituite all'estero la cui sede ed oggetto sociale
principale si trovino all'estero, ossia in altro Stato diverso dall'Italia. In tale fattispecie, sembra evidente l'intenzione del
legislatore di rendere applicabile solo la legge regolatrice dello Stato di costituzione e non quella dello Stato ove si trova
la sede o l'oggetto sociale, fermo restando che questi ultimi elementi non siano in Italia.

Ciò significa che la disciplina societaria italiana, le sue suddivisioni, i tipi societari ivi previsti e le sue regole non si
applicano, in linea di principio, alle società costituite all'estero: queste ultime possono essere organizzate secondo
schemi societari diversi da quelli ammessi in Italia. Si consideri, ad esempio, una corporation costituita nel Delaware
(USA) che svolga la propria attività in Europa ed in America Latina. Se il suo oggetto principale non è localizzabile in
Italia resterà regolata in toto dal diritto del Delaware pur operando in Italia come società straniera.

Qualora l'ente sia costituito all'estero e si tratti di una società extra UE avente sede amministrativa o l'oggetto principale
della sua attività nel nostro Paese, si dovrà tuttavia applicare la legge italiana. L'apertura verso l'esterno
dell'ordinamento italiano, operata attraverso la prima norma di conflitto, diviene dunque chiusura qualora l'ente presenti
un particolare “attacco” con il territorio italiano. La ratio è, infatti, quella secondo la quale non è possibile sfuggire
all'applicazione del diritto societario italiano, costituendo una società all'estero e dal ì operando stabilmente con l'Italia.
Ciò non esclude, secondo alcuni, la contemporanea applicazione della legge straniera e di quella italiana secondo un
processo di applicazione cumulativa della lex causae e della lex fori, ferma restando, in caso di conflitto, la prevalenza
della normativa italiana. Ma anche accogliendo quest'ultimo punto di vista, la conclusione non può essere che una sola:
la società costituita all'estero ed avente in Italia la sede principale o l'oggetto principale dell'impresa resta assoggettata a
tutte le norme imperative di diritto societario italiane, incluse quelle sulla sua costituzione ed estinzione.
Competenza giurisdizionale. In materia di giurisdizione va ricordato che, a livello UE, l'art.24, par.2 del Reg.
Bruxelles I bis prevede la competenza esclusiva del giudice dello Stato membro in cui l'ente ha sede in materia di
“validità della costituzione, nullità o scioglimento delle società o persone giuridiche, o riguardo alla validità delle
decisioni dei rispettivi organi”.

CONTENUTO DALLA LEX SOCIETATIS. La lex societatis, che è sempre a carattere statale ed è sempre unica, “è
competente a regolare le caratteristiche proprie dell'ente, le sue vicende, la sua struttura organizzativa, le situazioni in
base a cui l'ente entra in rapporto con terzi, la posizione dei soci e quella di chi agisce in nome dell'ente ed infine le
conseguenze della violazione della legge o dell'atto costitutivo”. Proprio in quanto si tratta di interna corporis, rientrano
nella lex societatis le questioni attinenti alla rappresentanza organica e l'eventuale responsabilità degli amministratori
verso la società per atti ultra vires. La lex societatis regola, inoltre, in via generale, la responsabilità patrimoniale della
società e l'autonomia patrimoniale dell'ente rispetto al patrimonio dei singoli soci.

In caso di contratto preliminare di società, obbligazioni contrattuali nascenti dalla cessione transnazionale di un
pacchetto azionario e patti parasociali transnazionali sono regolati, dal dicembre 2009, dal Reg. Roma I.

LE SOCIETA' DI CAPITALI ED IL LORO DIRITTO DI STABILIMENTO NELLA UE. Nel disciplinare il


diritto di stabilimento delle persone fisiche e giuridiche aventi la cittadinanza o la nazionalità dell'Unione, il TFUE
prevede il coordinamento “al fine di renderle equivalenti, delle garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle
società, a mente dell'art.54, secondo comma, per proteggere gli interessi tanto dei soci, come dei terzi”. A livello
unionale, possono essere adottati, in qualsiasi momento, degli atti suscettibili di incidere nel diritto dei singoli Stati
membri attraverso apposite norme uniformi di diritto materiale o di conflitto.

Libertà di stabilimento a titolo secondario e a titolo principale. La libertà di stabilimento, disciplinata dagli artt.49-
54 del TFUE si sostanzia, anzitutto, nel diritto di stabilirsi in uno Stato membro diverso da quello di origine.

Il diritto di stabilimento primario significa la possibilità di esercitare un'attività economica o professionale interamente
in un Paese diverso da quello di origine, mentre il diritto di stabilimento secondario implica la possibilità del titolare,
che continua ad esercitare l'attività economica indipendente nel proprio Paese di origine, di aprire o istituire in un Paese
diverso agenzie, succursali, filiali o sedi secondarie, iniziando a svolgere una parte dell'attività anche sul territorio di un
altro Stato.

Beneficiari della libertà di stabilimento. Della libertà in parola beneficiano sia le persone fisiche in possesso della
cittadinanza di uno qualsiasi degli Stati membri, sia le persone giuridiche, ed in particolare le società commerciali,
equiparate alle prime, tramite l'art.54 TFUE.

Al fine di godere della libertà di stabilimento garantita dal diritto UE occorre dunque che una società sia stata costituita
in uno Stato membro e che, oltre alla sede sociale, possieda all'interno della Comunità: a) l'amministrazione centrale;
oppure b) il centro di attività principale. In caso contrario si ha una società “extracomunitaria” e, dunque, riprende pieno
vigore la disciplina di d.i.pr dello Stato dal cui punto di vista ci si colloca per esaminare la fattispecie concreta.

Il diritto UE, tuttavia, non identifica la lex societatis lasciando detta questione alle norme di d.i.pr dei singoli Stati
membri; pone però dei limiti, qualificabili alla stregua di norme di applicazione necessaria di origine comunitaria o,
meglio, di ordine pubblico comunitario: qualunque sia la legge applicabile il risultato non deve tradursi in una
violazione della libertà di stabilimento regolata dal diritto comunitario.

IL DIRITTO SOCIETARIO DELLA UE. L'attività del legislatore UE ha subito, per lungo tempo, una battuta
d'arresto, tuttavia, in tempi recenti si assiste ad un salto di qualità dell'attività del legislatore dell'Unione che,
abbandonando il metodo delle direttive di armonizzazione del diritto nazionale degli Stati membri, ha assunto un ruolo
molto più incisivo, utilizzando lo strumento del regolamento comunitario per unificare il diritto societario del mercato
unico. L'impiego di tale strumento che, a norma dell'art.288 TFUE, ha portata generale ed è “obbligatorio in tutti i suoi
elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri” porta alla costruzione di un vero e proprio diritto
sovranazionale societario. Ciò è avvenuto con il varo del regolamento sulla Società Europea (SE) offrendo così una
disciplina sovranazionale della società per azioni che tuttavia non ha avuto un grande successo nella prassi. Sulla scia
del Reg.2001/2157 dell'ottobre 2003 sulla SE è stato adottato anche il Reg. del Consiglio n. 1453/2003, relativo allo
statuto della società cooperativa europea (SCE).

I predetti regolamenti si aggiungono al non più isolato Reg. n. 2137/85 sul Gruppo Europeo d'Interesse Economico
(GEIE) il quale consente a singoli operatori stabiliti in Stati membri differenti di sviluppare in comune alcune attività,
senza dovere procedere alla fusione o formare una succursale comune.
SPECIFICHE VICENDE LEGATE ALLO SVILUPPO SU SCALA TRANSNAZIONALE DELLE SOCIETA'
ITALIANE. Varie sono le modalità di internazionalizzazione societaria. Innanzitutto, va ricordato che esistono alcune
società “internazionali” in senso proprio, enti creati mediante accordi fra Stati che ne fissano lo statuto, eventualmente
rinviando al diritto interno dello Stato della sede o, ancora, ai principi comuni del diritto degli Stati contraenti. Tale
fattispecie è assai rara.

Invece, nello studio dei processi di transnazionalizzazione delle società dal punto di vista dell'ordinamento italiano,
esistono diversi casi:

a) Istituzione di sede secondaria all'estero. L'ipotesi più comune di sviluppo in senso transnazionale delle società è
quella dell'istituzione di una sede secondaria all'estero. Il legale rappresentante della società deve presentare domanda
d'iscrizione in Italia presso l'ufficio del Registro delle Imprese nella cui circoscrizione si trova la sede principale
dell'impresa entro 30 giorni dalla istituzione della sede secondaria. Risulta evidente che la sede secondaria rimarrà
soggetta alla normativa civilistica e fiscale vigente nel paese estero di istituzione e, nel caso di istituzione di sede
secondaria in uno Stato membro UE beneficerà della tutela offerta dall'ordinamento comunitario
b) Trasferimento all'estero della sede sociale. Il trasferimento della sede sociale all'estero è un evento che
l'ordinamento italiano disciplina, per le società di capitali, attraverso tre disposizioni di carattere generale. Si tratta degli
artt. 2369 e 2437 cod.civ.it e dell'art.25 della L. n. 218/1995, relativo alla disciplina internazionalprivatistica di società e
altri enti. È pacifico che il trasferimento all'estero della sede sociale (principale) comporta l'assoggettamento alla
normativa civilistica e fiscale dello Stato di destinazione, ma questa circostanza, per sé, non dovrebbe comportare la
perdita della nazionalità italiana, né la liberazione dagli obblighi civilistici imposti dalla legge italiana in quanto la
società è stata costituita in Italia e qui svolge l'oggetto principale dell'impresa. Il trasferimento all'estero determina,
piuttosto, la perdita della residenza fiscale in Italia.
c) Fusione transnazionale. L'art. 25 della L. n. 218/95 condiziona l'efficacia, nell'ordinamento italiano, della fusione
con enti stranieri, alla condizione che sia posta in essere conformemente alle leggi degli Stati interessati. Prima di
effettuare una fusione, si deve consultare la legge regolatrice di ciascuna società partecipante all'operazione al fine di
verificare l'esistenza dei presupposti necessari. Occorre, in particolare, verificare che non sussistano condizioni ostative
con riferimento, ad esempio, ai tipi societari per i quali la fusione è ammessa. Inoltre, si deve accertare che la lex
societatis di ciascun ente non escluda la possibilità di porre in essere fusioni transnazionali.

CAPITOLO 3
LE FONTI
Il sistema delle fonti del diritto del commercio internazionale e quindi delle norme applicabili a specifiche operazioni di
commercio internazionale si caratterizza per l'operare di norme di diversa provenienza formale e ad oggetto
diversificato.

FONTI DI DIRITTO INTERNO


DIRITTO INTERNO. L'ordinamento giuridico italiano è un ordinamento di Civil Law, appartenente al sistema
romano-germanico. Stante l'impostazione dualista dell'ordinamento giuridico italiano, le fonti di ordinamenti giuridici
diversi vanno separate e la loro interazione con l'ordinamento giuridico italiano va analiticamente esaminata. Non tutte
le fonti di quegli altri ordinamenti divengono sempre ed automaticamente tali anche nel nostro, bensì il loro ingresso nel
diritto italiano avviene sempre e comunque attraverso gli specifici meccanismi di adattamento. Quanto al diritto UE si
ha che “in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del trattato e gli atti delle
istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l'effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli stati membri,
non solo di rendere “ipso jure” inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione
contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi
nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme comunitarie”. Quanto all'ordinamento
internazionale, è ben noto che l'adattamento del diritto italiano alle consuetudini internazionali, ai trattati internazionali
ed alle fonti c.d. di terzo grado viene appositamente regolato dal nostro ordinamento.

DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO. Punto di partenza del d.i.pr. è la considerazione secondo la quale
ciascuno Stato può stabilire autonomamente che a determinati rapporti giuridici si applichi, anziché il proprio diritto,
quello prodotto da un altro Stato e, conseguentemente, può richiedere ai propri giudici di applicare, anziché il proprio
diritto, l'ordinamento giuridico di quell'altro Stato. Ciò accade in forza di una norma di diritto statuale o comunque di
una norma in vigore nella lex fori. Così lo Stato tramite le sue norme richiama, per regolazione di certi rapporti, il diritto
di un altro Stato. Ciò è possibile in quanto le norme del d.i.pr. utilizzano la tecnica della scelta di una determinata legge,
risolvendo quello che, rispetto al rapporto giuridico in questione, è un potenziale concorso di leggi.
Le norme di diritto internazionale privato, pertanto, si caratterizzano rispetto alle altre norme dell'ordinamento statuale
non tanto per la loro fonte o la loro natura, quanto per il loro oggetto e la loro funzione. Quanto all'oggetto, si tratta di
norme che regolano fatti che presentano, rispetto allo Stato, elementi di estraneità; quanto alla loro funzione, secondo
l'ordinamento oggi prevalente, si tratta di una funzione bilaterale, in quanto le norme di d.i.pr. consentono: 1. di
delimitare l'ambito di applicazione del diritto interno; 2. di richiamare, se ne ricorrono i presupposti, norme di diritto
straniero.

In Italia, l'art.16 della L. 218/1995 delimita il funzionamento delle norme di diritto internazionale privato stabilendo che
l'apertura a valori giuridici estranei all'ordinamento interno non può avvenire in contrasto con l'ordine pubblico.

Norme di d.i.pr. che trovano la loro fonte nell'ordinamento UE o in quello internazionale. Oltre alle norme
nazionali in materia di d.i.pr., nel nostro ordinamento si applicano le norme fissate a livello UE. Parimenti, oltre a
norme nazionali e UE di d.i.pr. sono operative le norme di diversa provenienza formale, applicabili sul proprio territorio
onde individuare il diritto applicabile.

Norme statali di d.i.pr. materiale. Nel diritto del commercio internazionale assumono una particolare rilevanza le
norme di diritto internazionale privato materiale. Si tratta di una tecnica di regolazione alternativa rispetto a quella
dell'emanazione di norme di conflitto. Qui, il legislatore emana apposite norme di diritto interno in materia
internazionale: norme materiali specificamente concepite per regolare le fattispecie con elementi di estraneità. Tali
norme materiali si collocano nell'ordinamento giuridico statale alla stregua di norme speciali, sia rispetto alle altre
norme sostanziali, sia rispetto alle norme di conflitto del foro e sono caratterizzate dal fatto che non richiamano altre
norme per la disciplina delle questioni con cui hanno a che fare, ma le risolvono direttamente (es. nel codice del
commercio della Rep. Cecoslovacca).

Nel nostro tempo queste norme vengono fissate in apposite convenzioni internazionali. Perciò se una convenzione
internazionale portante norme di d.i.pr. materiale è in vigore nella lex fori, il giudice dovrà darne applicazione con
prevalenza rispetto alle norme nazionali difformi, trattandosi di una questione di adattamento del diritto interno al diritto
internazionale.

FONTI DI ORIGINE UNIONALE (UE)


Le norme “primarie” del diritto dell'Unione sono quelle contenute nei trattati istitutivi dell'Unione europea. La
partecipazione del nostro, come di altri Paesi europei, all'UE ha comportato una limitazione della sovranità dello Stato
(consentita dagli artt. 11 e 117 della Cost. Italiana) e la possibilità, per questo nuovo ente, di esercitare, nelle materie
stabilite dal Trattato, diretti poteri normativi entro i singoli Stati membri, con la conseguenza ulteriore che, nelle materie
regolate da alcune fonti unionali, i giudici nazionali debbono risolvere le controversie ad essi sottoposte con
l'applicazione diretta del diritto UE, disapplicando il diritto interno con esso contrastante, salvi, solo, i principi
fondamentali della Costituzione e i diritti fondamentali dell'uomo.

La libertà di circolazione delle merci. L'unione doganale, realizzata tra gli Stati membri a partire dal 1°luglio 1968, ha
comportato la soppressione dei dazi doganali all'interno della Comunità e l'adozione di una tariffa doganale comune
applicata alle importazioni di provenienza da Paesi terzi. La soppressione dei controlli alle frontiere interne ha
determinato il rafforzamento dei medesimi controlli alle frontiere esterne. Pertanto, il funzionario che esercita i
controlli, oggi, è tenuto a farlo per conto di tutte le amministrazioni nazionali e nell'interesse di tutti gli operatori e
consumatori della UE.

La libertà di circolazione dei servizi. All'interno dell'Unione, un cittadino o un'impresa comunitaria possono eseguire
un servizio in uno Stato membro diverso dallo Stato di residenza a condizioni di parità con gli operatori del primo Stato.
La libera circolazione dei servizi si ricongiunge con il diritto di stabilimento che consente ai lavoratori autonomi e alle
imprese comunitarie di stabilirsi in un altro Stato Membro e di esercitarvi la propria attività.

La libertà di circolazione dei capitali e dei pagamenti. Nel contesto della libera circolazione dei capitali è vietata
ogni restrizione sui movimenti di capitali e sui pagamenti di merci o servizi, fatte salve le misure nel settore fiscale e in
quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie.

La libertà di circolazione delle persone. La libertà circolazione delle persone nell'UE, materia connessa con quella
della cittadinanza europea, consente ad ogni cittadino dell'Unione di circolare e soggiornare liberamente sul territorio
degli Stati membri, nei limiti e alle condizioni previste dai trattati e dalle norme che ad esse danno attuazione (art.45 del
TFUE x libera circolazione dei lavoratori, Convenzione di Schengen per la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza
e giustizia). Le norme di diritto originario fissano le procedure per l'adozione degli atti da parte delle istituzioni europee
che si pongono, pertanto, al secondo livello del sistema giuridico dell'Unione e costituiscono il c.d. “diritto derivato
dell'Unione”.
NORME DI DIRITTO UE DERIVATO. Il diritto derivato della UE comprende, in particolare, gli atti adottati sulla
base di specifiche disposizioni dei Trattati, che indicano, in relazione alla materia e la tipologia di atto e la relativa
procedura di adozione. Gli atti della UE hanno notevole importanza per gli operatori del commercio internazionale
perché spesso precisano le norme contenute nei trattati istitutivi e, quando posseggono carattere immediatamente
vincolante, possono essere fatte valere dagli operatori anche nei confronti del proprio Stato. Le Autorità nazionali
devono assicurare la corretta applicazione delle Direttive dell'Unione trasposte nel diritto nazionale. La Commissione e
la Corte di Giustizia vigilano sul rispetto del diritto UE e sulla effettiva trasposizione delle Direttive nel diritto interno.

INCIDENZA SUL DIRITTO DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE. Per gli operatori italiani del commercio
internazionale, l'incidenza del diritto UE sugli scambi internazionali si manifesta in almeno tre contesti:
1- Le norme di diritto materiale UE. Per superare le barriere al mercato interno originate dalle normative nazionali il
diritto UE è all'origine di numerose normative di diritto materiale che hanno irrorato l'intero settore del diritto privato
degli Stati membri. In materia societaria, ad esempio, il Reg. n.2137/85 sul gruppo europeo di interesse economico
(GEIE). In materia di proprietà intellettuale, le norme nazionali si fondano sul principio di territorialità, che designa una
limitazione spaziale del diritto per cui esso esiste unicamente sul territorio dello Stato che lo concede e ciascuno Stato è
competente a determinare per il proprio territorio quali beni immateriali concedere, i titolari di questi beni, il contenuto
dei relativi diritti, quando essi si distinguono e se e come tutelarli. In materia contrattuale, le numerose differenze
sostanziali tra le normative nazionali degli Stati membri dissuadono le imprese dall'operare in Stati membri diversi da
quelli di domicilio, con ripercussioni negative sul mercato interno e sui consumatori europei. Per ridurre queste
conseguenze negative, la Comunità economica, dapprima, e l'UE, poi, hanno armonizzato alcuni settori del diritto
contrattuale degli Stati membri. Ad esempio, in materia di contratti del consumatore l'UE ha di recente adottato la
direttiva 2011/83/UE del 2011, che istituisce uno Statuto europeo dei diritti del consumatore.
Pur se la regolazione di fonte unionale si è estesa ad alcune questioni inerenti la responsabilità civile, le norme di diritto
materiale positivo dei contratti B2B (per adesso) restano norme nazionali e non vi è nessun codice europeo dei contratti
che regoli, proprio vigore, i contratti tra imprese degli Stati membri UE.

2- Politica commerciale comune, dogane e PESC. Poiché gli Stati membri hanno dato vita ad un'unione doganale che
prevede un regime comune per le importazioni provenienti da paesi terzi, le importazioni da essi vengono sdoganate
una singola volta da uno qualsiasi degli Stati membri ed entrano così nel territorio dell'Unione. Le merci vengono
classificate secondo la tariffa doganale comune (Taric) e la c.d. “nomenclatura combinata” adottata tramite
Regolamento e amministrata dalla Commissione, che la aggiorna. Si tratta di un sistema di classificazione che prevede
l'attribuzione di un codice ad ogni tipo di merce e che permette l'applicazione delle misure di politica o difesa
commerciale. Le misure di difesa commerciale si concretizzano in dazi antidumping, le misure di difesa contro gli
ostacoli al commercio e le misure anti-sovvenzione. Queste misure sono regolate e coordinate anche dal sistema del
WTO/OMC al fine di armonizzare il sistema globale e contenere le guerre commerciali. La politica commerciale
comune, il diritto doganale comune ed eventuali misure restrittive agli scambi internazionali (es. embargo contro la
Russia) vengono decisi a livello UE e regolati tramite apposita normativa. L'attuazione di tali norme è però affidata alle
Autorità nazionali, in primis l'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

3- Le norme di d.i.pr. e processuale che trovano la loro fonte nell'ordinamento dell'UE. L'obiettivo di unificazione
del diritto viene raggiunto tramite Regolamenti dell'Unione i quali tendono a fornire una disciplina tendenzialmente
organica e sempre più dettagliata del diritto internazionale privato che, data la diretta ed immediata applicabilità dei
regolamenti stessi, sostituisce in toto la disciplina comune già in vigore nei singoli Stati che dell'Unione fanno parte. Le
norme di d.i.pr di fonte unionale trovano applicazione ad opera dei giudici degli Stati membri non solo per le fattispecie
intra-UE ma anche per le fattispecie che presentano contratti con Stati non facenti parte dell'UE (es. Regolamento CE
17 giugno 2008, n.593/2008, sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali – Roma 1).

FONTI DI ORIGINE INTERSTATUALE


La componente di diritto internazionale “pubblico” del commercio internazionale è particolarmente rilevante, sia per
l'elaborazione e le attuazioni dell'ordine economico internazionale, sia per conoscere i vari trattati in materia, sia per
capire il funzionamento delle organizzazioni internazionali, sia per comprendere gli effetti della soluzione di eventuali
macro-controversie tra Stati in materia commerciale.

CONSUETUDINI INTERNAZIONALI. La consuetudine ha, di regola, portata generale ed ha come destinatari tutti i
membri della Comunità internazionale. In materia economica, le fonti di diritto consuetudinario evidenziano pochissime
regole di diritto positivo. La prima e la più importante è quella della piena libertà dei singoli Stati di concludere (o non
concludere) accordi bilaterali o multilaterali in materia di scambi e pagamenti internazionali. Altre norme generali si
hanno in materia di immunità e nazionalizzazioni.
TRATTATI INTERNAZIONALI. I trattati sono fonte di diritto interstatuale particolare e si distinguono in accordi
bilaterali e multilaterali (nel diritto dell'OMC si distinguono anche quelli plurilaterali – vincolanti solo per quei membri
che li hanno accettati).

Norme di conflitto che trovano la loro fonte nei trattati internazionali. Per superare possibili conflitti tra sistemi di
d.i.pr diversi, vengono stipulate apposite convenzioni internazionali, con le quali più stati si impegnano reciprocamente
a adottare norme di conflitto uniformi. A tal proposito, la Conferenza dell'Aia di diritto internazionale privato, ha per
scopo la progressiva unificazione delle norme di diritto internazionale privato, mediante l'elaborazione di trattati
multilaterali volti a garantire la certezza del diritto nei rapporti di diritto privato aventi connessioni internazionali.

Norme di d.i.pr materiale che trovano la loro fonte in trattati internazionali. All'elaborazione di tali strumenti
internazionali si rivolge la principale attività di Unidroit e dell'UNCITRAL. La conclusione di tali trattati spetta sempre
agli Stati sicché tali organizzazioni svolgono un ruolo di elaborazione di proposte normative, impulso ai negoziati e
depositari dei trattati eventualmente conclusi. L'elemento comune delle Convenzioni di diritto materiale uniforme è che,
per loro tramite, gli Stati contraenti si obbligano a regolare le questioni costituenti il loro oggetto in modo, appunto,
uniforme. Le norme materiali uniformi, una volta introdotte negli ordinamenti interni dei singoli Stati mediante i propri
processi costituzionali, divengono norme di diritto speciale per i casi da esse contemplate rispetto alle altre norme di
diritto materiale del foro.

DIRITTO MATERIALE DELL'OMC QUALE NORMATIVA QUADRO DEGLI SCAMBI


INTERNAZIONALI. Il sistema giuridico dell'OMC risultante dall'Atto finale, firmato nell'aprile del 1994, comprende,
oltra agli accordi istitutivi dell'OMC, una serie di accordi internazionali funzionalmente collegati che disciplinano, in
via multilaterale, le relazioni commerciali tra Stati nei più svariati settori.

Principi di base. In linea generale, l'intera normativa di diritto materiale dell'OMC si ispira ad alcuni principi di base,
in primis il principio di non discriminazione commerciale il quale regola l'estensione automatica ed incondizionata a
tutti i Membri dello status di Nazione più favorita ed il trattamento nazionale. La conoscenza delle principali norme
materiali dell'OMC è indispensabile per l'impresa transnazionale giacché dette regole incidono sulla possibilità di ideare
e progettare un prodotto in un dato Paese, fabbricare i componenti in un altro Paese, realizzare le operazioni finali di
assemblaggio in un terzo Paese e quindi esportare il prodotto finito nel resto del mondo.

Norme principali dell'OMC.


- Clausola della Nazione più favorita. Venne inizialmente utilizzata negli accordi bilaterali di amicizia, commercio e
navigazione. Secondo questa clausola: “tutti i vantaggi, benefici, privilegi o immunità, accordati da una Parte contraente
ad un prodotto originario di, o destinato a qualsiasi altro Paese, saranno immediatamente e senza condizioni, estesi a
tutti i prodotti simili originari del, o destinatari al territorio di tutte le altre Parti contraenti”. Si tratta di una clausola
destinata ad operare in modo multilaterale ed incondizionato e perciò l'estensione dei vantaggi commerciali agli altri
Stati membri avviene in modo immediato, automatico e multilaterale. Qualunque vantaggio impositivo concesso in
favore di un prodotto proveniente da un determinato membro dell'OMC si estende automaticamente a quelli originari di
tutti gli altri membri senza necessità di ulteriore negoziazione e senza condizioni. Tali norme puntano a porre i prodotti
stranieri su una posizione di uguaglianza.
- Il “trattamento nazionale”. Oltre all'uguaglianza “sul piano orizzontale”, il GATT introduce ulteriori norme destinate
ad operare sul “piano verticale”, ove si misura il trattamento dei prodotti nazionali e di quelli importati, una volta assolti
gli oneri doganali. Si tratta qui di evitare la discriminazione tra i prodotti stranieri e quelli, anche simili di origine
nazionale per quanto concerne l'imposizione fiscale od altre misure legislative interne (parità tributaria tra prodotti
stranieri e nazionali).
- La protezione doganale esclusiva ed il divieto di restrizioni quantitative. Il terzo principio è quello dell'abolizione
delle restrizioni quantitative. Nessuno stato può imporre divieti o restrizioni diversi dai dazi doganali. Eccezioni: in caso
di penuria di prodotti alimentari, di misure governative sul controllo di qualità di “prodotti destinati al commercio
internazionale” o ancora in caso di restrizioni all'importazione di prodotti agricoli in date circostanze nonché in caso di
grave deficit della bilancia dei pagamenti.

Eccezioni e deroghe. Le deroghe possono essere concesse per consensus ovvero alla maggioranza di ¾ dei membri.
Sono deroghe temporalmente limitate soggette a periodico esame da parte dell'OMC. Il diritto materiale dell'OMC è
improntato ad una strategia di liberalizzazione, che viene inquadrata entro determinati parametri al fine di consentire a
ciascuno Stato membro di mantenere un certo controllo nell'apertura dei propri mercati a prodotti e servizi stranieri. A
tali finalità sono orientate altre due categorie di limiti:

1- Clausola generale di salvaguardia. Permette di regolare eventuali misure provvisorie restrittive che lo Stato adotta
per permettere agli operatori nazionali di recuperare competitività rispetto ai concorrenti esteri. La parte contraente ha la
facoltà, per quanto riguarda un prodotto, di sospendere l'obbligo totalmente o in parte, di ritirare o modificare la
concessione.

2- Eccezioni orizzontali e generali. Si tratta di una norma la cui applicazione è risultata assai controversa nel
contenzioso OMC e non stupisce che, nella prassi, si richieda allo Stato che invoca l'art. XX di provare che una misura
adottata sulla base della norma de qua non sia di carattere protezionistico e che risulti congrua rispetto all'obbligo
prefissato.

Eccezioni concernenti la sicurezza. All'art. XXI vengono invece disciplinate le eccezioni concernenti la sicurezza dei
singoli stati membri tramite le seguenti norme.
Eccezioni: zone di libero scambio ed unioni doganali. Quanto alle norme contenute all'art. XXIV si tratta di
un'eccezione strutturale rispetto alla clausola della Nazione più favorita. Quest'ultima clausola viene derogata in favore
dell'istituzione di zone di libero scambio e di unioni doganali nella misura in cui queste favoriscano la cooperazione e
l'integrazione economica su scala multilaterale-regionale (aumentano la libertà del commercio).
Eccezioni: PVS e sistema delle preferenze generalizzate (SPG). L'UE ha stipulato appositi accordi internazionali di
commercio preferenziale di natura bilaterale od unilaterale, o mediante la creazione di aree di libero scambio. Questi
accordi prevedono esenzioni o riduzioni daziarie per i prodotti originari di uno degli Stati contraenti.

In breve: un'ulteriore eccezione strutturale nel sistema dell'OMC è quella concernente i PVS, introdotta nel 1965 su
impulso dell'UNCTAD. Nel GATT si favorisce l'aumento delle esportazioni dei PVS tramite l'accesso ai mercati dei
paesi industrializzati e si prevede che i vantaggi tariffari concessi a tali paesi siano svincolati dalla condizione di
reciprocità (clausola di abilitazione). Tramite di essa si è organizzato – in via unilaterale, da parte di ciascun membro –
il trattamento differenziato dei PVS i quali si trovano a beneficiare di un trattamento tariffario privilegiato: il sistema
delle preferenze generalizzate. Viene inoltre differenziata, all'interno della categoria dei PVS, quella dei paesi meno
avanzati (PMA). Questi ultimi, una volta riconosciuti come tali dall'ONU, sono esentati dal fare concessioni agli altri
Stati membri e beneficiano dei massimi vantaggi tariffari. Tuttavia, la prospettiva di un commercio internazionale che
privilegia, da un punto di vista economico, i PVS non viene accolta in pieno nel sistema dell'OMC che invece, a più
riprese, propone un modello di “ritorno graduale” delle economie dei PVS al livello di parità con quello dei paesi Nord.
Nell'accordo istitutivo dell'OMC non si rinvengono speciali disposizioni derogative in favore dei PVS salvo una norma
ove si stabilisce che solo i PMA saranno tenuti ad assumersi impegni e a riconoscere concessioni solo nella misura in
cui ciò sia compatibile con le loro specifiche esigenze commerciali, finanziarie e di sviluppo o con le loro capacità
amministrative e istituzionali.

Altri accordi in materia di commercio dei prodotti e la lotta contro le barriere non tariffarie.
a) L'accordo sugli ostacoli tecnici al commercio (OTC). Si inserisce tra gli strumenti destinati ad eliminare o
quantomeno a ridurre le barriere non tariffarie nel commercio internazionale. In tale prospettiva, l'accordo si divide in
tre parti aventi per oggetto le regole tecniche, le norme e le procedure di valutazione della conformità dei prodotti a tali
regole; gli obblighi d'informazione e di assistenza dei Membri. Un esempio in Italia delle regole di cui si parla si coglie
con riferimento alle norme statali secondo le quali le apparecchiature elettriche devono essere costruite “a regola
d'arte”. Qui, le regole d'arte vengono fissata dal Comitato elettronico italiano. Tali regole non sono di per sé vietate
dall'accordo OTC, ma devono essere applicate nel rispetto del principio di non discriminazione e di proporzionalità,
considerando i dati tecnici disponibili.
b) L'accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS). Riguarda tutte le misure applicate per proteggere la vita
delle persone e degli animali o per preservare i vegetali dai rischi derivanti da additivi, contaminanti, tossine o
organismi patogeni presenti nei prodotti alimentari o ancora per proteggere un paese dai danni derivanti dall'entrata,
dall'insediamento o dalla diffusione di parassiti. L'accordo riconosce il diritto dei membri a adottare misure restrittive
giustificate da ragioni sanitarie e fitosanitarie scientificamente fondate.
c) L'accordo sul valore in dogana. Precisa la nozione di “valore reale” di cui all'art. VII del GATT in modo da evitare
accertamenti arbitrari o fittizi del valore delle merci in dogana al fine di applicare i relativi dazi. L'accordo àncora la
valutazione delle merci in dogana al loro prezzo affiancando cinque metodi di valutazione che devono essere applicati
in un ordine gerarchico determinato
d) L'accordo sulle ispezioni pre-imbarco. Nella prassi commerciale internazionale gli importatori fanno spesso ricorso
ai servizi di società private, già nel paese dell'esportatore, per verificare la qualità, la quantità, il prezzo e/o la
classificazione doganale delle merci importate. L'accordo sulle ispezioni prima dell'imbarco enuncia l'obbligo, a carico
dei paesi che fanno ricorso ai servizi di cui si è detto, di rispettare i principi di non discriminazione, trasparenza e
riservatezza delle informazioni commerciali, limitando ogni inutile ritardo causato da tale attività. Tale accordo dispone
infine che, in caso di controversie tra esportatori ed imprese id ispezione, venga impiegato lo strumento arbitrale.
e) L'accordo sulle regole d'origine. Per origine preferenziale si intende uno status della merce grazie al quale viene
assegnato il diritto ad un trattamento tariffario preferenziale; tale trattamento si sostanzia in un dazio ridotto in virtù di
specifici accordi di libero scambio vigenti fra il Paese di origine e il paese di destinazione della merce (es. UE).
f) L'accordo sulle procedure riguardanti le licenze d'importazione. Il fine perseguito è quello di regolamentare il
loro impiego da parte dei membri dell'OMC in modo da non ledere il principio di non discriminazione, assicurando la
semplificazione procedurale, la trasparenza e la pubblicità delle normative statali a tale riguardo.
g) La disciplina settoriale: il commercio dei prodotti agricoli. Conformemente all'accordo sull'agricoltura l'accesso al
mercato dei prodotti agricoli viene regolato esclusivamente tramite dazi doganali. Le misure non tariffarie sono vietata
ma eventuali limiti agli scambi di prodotti agricoli possono essere introdotti conformemente all'accordo SPS. I nuovi
dazi doganali devono essere ridotti in media del 36% in sei anni nel caso dei Paesi sviluppati e del 24% in dieci anni nel
caso dei PVS. I paesi meno avanzati non devono effettuare riduzioni.

L'ACCORDO GENERALE SUL COMMERCIO DEI SERVIZI (GATS). Comprende 160 settori: dalle tecnologie
ai servizi bancari, dalla sanità alla pubblica istruzione. Fanno eccezione i “servizi forniti nell'esercizio dei poteri
governativi” (servizi che non sono forniti su base commerciale o in concorrenza con uno o più fornitori).

Il GATS è un accordo quadro che si può scindere in tre parti fondamentali:

1) una serie di norme di applicazione generale valevoli per tutti i Membri e per tutti i tipi di servizi, contenute
nell'accordo;
2) gli allegati concernenti settori specifici del commercio dei servizi;
3) le liste contenenti gli impegni specifici relativi all'accesso al mercato di ciascun paese membro.

Tra le norme generali, la nozione di servizio contemplata dal GATS comprende le seguenti fattispecie: prestazione
transfrontaliera; consumo all'estero; presenza commerciale; presenza di persone fisiche.

Principi del GATS. Nel GATS, come nel GATT del 1994, spicca per importanza la clausola della nazione più favorita,
di tipo multilaterale ed incondizionato (ai fornitori di servizi). Al fine di garantire la massima trasparenza possibile, il
GATS obbliga i Membri dell'OMC a dare pubblicità delle misure che riguardano o influiscono sul funzionamento
dell'accordo. L'accordo si basa inoltre sul principio del trattamento nazionale. Infatti, nei settori indicati da ciascuno
Stato membro e secondo le condizioni indicate, ciascun Governo deve concedere ai servizi e ai fornitori di qualsiasi
altro membro un trattamento non meno favorevole di quello che concede ai propri servizi e fornitori di servizi simili.
L'art. XVI del GATS prevede un obbligo a carico degli Stati membri di astenersi dall'introdurre o mantenere misure
volte a limitare il numero dei prestatori di servizi (imprese e persone fisiche).

Allegati GATS. Del GATS fanno parte alcuni allegati che disciplinano alcuni settori del commercio dei servizi.
L'allegato sulla circolazione delle persone fisiche autorizza i governi a negoziare impegni specifici applicabili al
soggiorno temporaneo di persone fisiche sul loro territorio in vista della prestazione di un servizio. L'allegato sui servizi
di trasporto aereo esclude dal campo di applicazione del GATS i diritti di traffico e i servizi ad essi connessi facendo
salva l'applicazione della disciplina esistente. I due allegati sui servizi finanziari che interessano prevalentemente i
servizi bancari e assicurativi.

Lista delle concessioni. Lo strumento principale in cui si concretizzano gli sforzi negoziali è costituito dalla lista
nazionale degli impegni specifici. Le liste con gli impegni nazionali specifici contengono l'elenco dei settori che ogni
Paese apre agli operatori stranieri. Pertanto, il GATS si caratterizza per una elevata flessibilità, intesa come
discrezionalità per ogni governo nazionale di scegliere in quali settori e con quali livelli di liberalizzazione sottoscrivere
impegni nei confronti degli altri Paesi membri dell'OMC.

L'ACCORDO TRIPs. Scopo dell'accordo è quello di garantire una maggiore protezione internazionale dei diritti di
proprietà intellettuale attinenti al commercio, tenendo conto delle differenze dei sistemi giuridici nazionali e del diverso
ambito di applicazione delle Convenzioni internazionali in vigore, fissando un quadro multilaterale che consenta di
contrastare la contraffazione e risolvere le eventuali controversie. L'accordo si applica al diritto d'autore e diritti
connessi, ai marchi di fabbrica e di commercio, alle indicazioni geografiche, ai disegni e modelli industriali, ai brevetti,
alle topografie di prodotti a semiconduttori, ai segreti commerciali ed alle conoscenze tecniche. Tra le norme generali
dell'Accordo TRIPs si ritrovano le disposizioni in materia di clausola della nazione più favorita, multilaterale ed
incondizionata, e di trattamento nazionale, in base a cui deve essere riservato ai cittadini degli altri stati membri un
trattamento non meno favorevole di quello accordato ai propri cittadini per quanto concerne la protezione della
proprietà industriale.
Tutele. Per i diritti di proprietà intellettuale protetti dall'accordo TRIPs, gli stati membri dell'OMC devono prevedere
apposite procedure destinate ad assicurarne la tutela effettiva. Tali procedure devono essere leali, eque, non essere
inutilmente complesse o costose e non comportare termini irragionevoli. L'efficacia dell'accordo viene differenziata nel
tempo: i Paesi sviluppati dispongono odi un periodo di transizione di un anno al fine di adattare il diritto interno alle
disposizioni dell'accordo; tale periodo è di 5 anni per i PVS e per il Paesi il cui regime ad economia pianificata è in
corso di trasformazione in un'economia di mercato, mentre è di 11 anni per i PMA. L'applicazione dell'accordo viene
monitorata dal Consiglio per gli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, in seno all'OMC,
mentre la risoluzione delle controversie in materia viene disciplinata dalle norme generali del sistema di risoluzione
delle controversie.
TUTELA DEI SINGOLI E DIRITTO DELL'OMC/WTO. I singoli rimangono sottoposti allo “schermo statuale”
rispetto ad un sistema di soluzione delle controversie che risulta incentrato su meccanismi intergovernativi. Ma anche in
tale contesto si registrano nuovi orientamenti nella giurisprudenza dell'Organo d'appello dell'OMC, ove si è
recentemente ammessa una limitata partecipazione di soggetti privati.

Questione dell'efficacia diretta degli accordi GATT. Il concetto di efficacia diretta di un accordo internazionale si
materializza nell'attribuzione ai singoli di alcuni diritti la cui fonte si fa risalire ad un atto intergovernativo contenente
alcune norme dotata di particolari requisiti. Sono dette “esclusive” quando sono integralmente esercitate
dall'organizzazione intergovernativa e “ripartite” quando sono esercitate insieme con gli stati membri.

Il problema dell'invocabilità da parte dei singoli delle norme dell'OMC comprende due diversi livelli di analisi: quello
della loro eventuale efficacia diretta all'interno dell'ordinamento statale di ciascuno stato membro dell'OMC e quello
della loro diretta efficacia all'interno dell'ordinamento comunitario. La Corte di Cassazione italiana, fino all'inizio degli
anni '70, riconobbe l'idoneità delle norme del GATT del 1947 ad essere invocate dalle imprese a tutela dei propri diritti
dinanzi all'Autorità giudiziaria ordinaria, anche nei confronti dell'Amministrazione dello Stato. L'effetto diretto venne
riconosciuto principalmente con riferimento alle norme sul trattato nazionale dei prodotti ed a quelle concernenti il
divieto di aggravamento tariffario. Successivamente, con la comunitarizzazione della materia, prevalse l'opposto
orientamento della Corte di Giustizia della Comunità europee, teso a negare la diretta efficacia alle norme del GATT
1947 nell'ordinamento comunitario e quindi ad impedire ai singoli e persino agli stati membri della CE di contestare la
legittimità di atti comunitari eventualmente in contrasto con il GATT (nei primi anni '70). In alcune pronunce
successive, la Corte di Giustizia, pur ribadendo l'orientamento costante volto a negare l'invocabilità diretta del GATT,
ammise che, qualora un regolamento comunitario facesse espresso rinvio alle norme del GATT, andava riconosciuto, ai
singoli individui, il diritto di invocare in giudizio tali norme dinanzi al giudice comunitario.

Questione dell'efficacia diretta degli accordi OMC. A partire dal 1°gennaio 1995, la CE ed oggi la UE, al pari degli
Stati membri, è membro dell'OMC. Negli accordi di Marrakech non è stata disciplinata la questione dell'efficacia diretta
delle norme in essi contenute. Gli Stati Uniti e l'UE hanno unilateralmente affermato l'assenza di effetto diretto. Così, la
tesi dell'invocabilità diretta del diritto dell'OMC ad opera dei singoli come parametro di legittimità di atti comunitari è
stata respinta dal giudice comunitario prediligendo un orientamento che costituisce il prolungamento di quello
evidenziato a proposito del GATT '47.

Le misure di difesa commerciale regolate dall'OMC: la tutela antidumping. Attraverso la normativa antidumping,
le imprese possono ottenere, al livello UE, apposite misure di difesa commerciale quali l'imposizione temporanea di
diritti doganali sulle importazioni in dumping. Si deve trattare della tutela di un interesse collettivo (insieme dei
produttori nazionali di prodotti simili). L'istituzione di dazi antidumping è soggetta ad una duplice condizione:
l'esistenza di pratiche di dumping e di un pregiudizio a danno dell'industria comunitaria causato da tali pratiche. Un
prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all'esportazione nella Comunità è inferiore ad un
prezzo compatibile del prodotto simile, praticato nel Paese esportatore nell'ambito di normali operazioni commerciali.
Occorre, inoltre, un nesso di causalità tra il margine di dumping e il pregiudizio grave a danno di un'industria
comunitaria, pregiudizio che può anche essere solo potenziale. Se sussistono le condizioni ora ricordate, i singoli
possono ottenere l'apertura del procedimento ad opera della Commissione, procedimento che viene attivato in seguito
ad una denuncia scritta. La denuncia deve contenere gli elementi di prova relativi all'esistenza del dumping, del
pregiudizio e del nesso di causalità tra questi due elementi. La denuncia viene esaminata in sede di comitato consultivo,
composto dai rappresentanti di ogni Stato membro e presieduto da un rappresentante della Commissione. Qualora risulti
che gli elementi di prova sono sufficienti per giustificare l'apertura di un'inchiesta, la Commissione avvia il
procedimento entro 40 giorni e pubblica sulla Gazzetta ufficiale dell'UE un avviso di apertura dell'inchiesta indicando il
prodotto ed i paesi interessati e fissando i termini entro i quali le parti possono comunicare le proprie osservazioni e
chiedere di essere ascoltate. L'inchiesta si conclude, di norma, entro 15 mesi dall'inizio del procedimento, con la
chiusura o con l'istituzione di una misura definitiva. Nel caso l'inchiesta dia esito positivo scatta, a beneficio delle
imprese dell'Unione, l'istituzione di dazi antidumping, provvisori o definitivi.

ALTRE NORME DI ORIGINE INTERSTATUALE

L'art. VIII, par. 2, lett. b, dello Statuto del FMI. Secondo un'opinione consolidata, questo articolo individua una
normativa di applicazione necessaria di origine interstatuale. La predetta norma incide sul trasferimento di moneta da un
Paese all'altro. Cioè l'obbligo di non introdurre, senza previa autorizzazione del Fondo, restrizioni sui pagamenti e sui
trasferimenti effettuati in occasione di operazioni internazionali concorrenti.

Mentre le norme di cui all'art. VIII costituiscono norme di un trattato internazionale dotate di un ambito di applicazione
che è appunto quello del trattato sul FMI e che risultano direttamente applicabili negli ordinamenti statali nei quali detto
trattato è in vigore, le norme della lex monetae o quelle della lex contractus possono appartenere a Stati che non sono
membri del FMI. Il controllo dei cambi e delle divise – cioè la normativa valutaria – va infatti considerato alla stregua
di una limitazione imposta da uno Stato all'acquisto ed al possesso dei mezzi di pagamento esteri al fine di costruire una
forma di difesa della moneta nazionale, ove se ne ravvisi la necessità.

LOTTA ALLA CORRUZIONE DEI PUBBLICI UFFICIALI STRANIERI NEI RAPPORTI COMMERCIALI
INTERNAZIONALI. La recente emersione di una tipologia vasta ed articolata di prassi corruttive ha portato, in tempi
recenti, al varo della Convenzione OCSE, del 17 dicembre 1997, sulla lotta alla corruzione degli agenti pubblici
stranieri nelle transazioni commerciali internazionali.

Modifiche al codice penale italiano. La ratifica della Convenzione OCSE ha comportato l'inserimento nel Codice
penale italiano dell'art.322 bis, dedicato ai reati di peculato, concussione, corruzione e istigazione alla corruzione sia di
membri degli organi dell'Unione, sia di funzionari di Stati esteri. All'art. 322 ter, si prevede l'obbligatorietà della
confisca dei beni che costituiscono il provento dei fatti di corruzione, fatti salvi i diritti dei terzi estranei al reato. Viene
introdotta e consolidata così, nell'ordinamento penale italiano, la nozione di confisca di valore o per equivalente,
nozione destinata ad operare prevalentemente in fattispecie in cui non risulta possibile acquisire direttamente la tangente
o il provento della corruzione in quanto questo non si trova nella disponibilità del reo. Nel caso di condanna per i reati
previsti dagli artt. Da 314 a 320 c.p., si procede alla confisca di beni di cui il soggetto dispone fino al raggiungimento
del valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato.

Responsabilità amministrativa delle persone giuridiche. L'art.2 della Convenzione OCSE è finalizzato a stabilire la
responsabilità delle persone giuridiche in caso di corruzione di un pubblico ufficiale straniero, ferma restando l'adozione
di sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

LE FONTI DI ORIGINE ASTATUALE


LA NUOVA LEX MERCATORIA. Nel nostro tempo il diritto del commercio internazionale continua a riferirsi a
regole a carattere a-nazionale, il cui raggio di azione è tendenzialmente globale. L'antica lex mercatoria era tale perché
regolava rapporti tra mercanti e soprattutto perché era un diritto creato direttamente dai mercati. Del pari, oggi, per
nuova lex mercatoria si allude alle regole create direttamente dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere
legislativo degli Stati. Si tratta di regole destinate a disciplinare, in modo uniforme, attraverso gli Stati ed al di là dei
loro territori, i rapporti commerciali che si instaurano entro l'unità economica dei mercati.

Composizione della nuova lex mercatoria. Tali regole a-statuali ma internazionalmente uniformi derivano,
fondamentalmente: (1) dalla diffusione internazionale delle prassi contrattuali del mondo degli affari. Talvolta questa
diffusione si è prodotta in modo spontaneo: molteplici modelli contrattuali, come il leasing, il factoring, il performance
bond ecc., creati da operatori economici di un dato Paese, sono stati spontaneamente recepiti dagli operatori economici
di altri Paesi, dando così vita a modelli contrattuali internazionalmente uniformi. Altre volte, la diffusione è stata
assecondata dalle cosiddette regole oggettive del commercio internazionale: associazioni transnazionali di categoria (es.
ICC) hanno creato appositi formulari di contratti per gli imprenditori ad esse aderenti. Gli Incoterms o le regole in
materia di credito documentario della ICC sono esempi notevoli di nuova lex mercatoria. Altre volte ancora, sono state
le grandi società multinazionali ad imporre questa uniformità: esse hanno predisposto in sede centrale le condizioni
generali di contratto, cui le singole filiali nazionali, da esse controllate, si sono dovute adeguare; (2) negli usi del
commercio internazionale; (3) nei codici di condotta collettivi; (4) nei principi generali di diritto; (5) nella
giurisprudenza arbitrale internazionale.

GLI USI DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE. Gli usi del commercio internazionale, a differenza degli usi del
commercio interno, si ricollegano ad un substrato socioeconomico transnazionale e sono diretti a disciplinare, in modo
uniforme, specifici problemi legali a singole operazioni economiche. Nel commercio internazionale non esiste alcun
organismo ufficiale abilitato alla raccolta sistematica degli usi del commercio internazionale, ma alcune organizzazioni
internazionali, governative e non governative, provvedono alla loro compilazione.

La raccolta di cui si parla viene facilitata dalle raccolte di usi effettuate dalle ONG le quali, essendo esponenziali di
specifici settori economici, possono certamente identificare gli usi che siano “ampiamente conosciuti e regolarmente
osservati nel commercio internazionale”. Ciò avviene, ad esempio, presso la ICC ove, attraverso numerosi gruppi di
lavoro formati al suo interno, vengono elaborate varie raccolte di regole valevoli in materia bancaria, assicurativa, di
commercio e trasporti internazionali. Tali raccolte costituiscono delle fondamentali fonti di cognizione degli usi del
commercio internazionale e quindi della nuova lex mercatoria. Es. gli International Commercial Terms (Incoterms)
della ICC oppure l'ISO fatta da una ONG.

PRINCIPI UNIDROIT SUI CONTRATTI COMMERCIALI INTERNAZIONALI. L'esigenza di uniformità della


disciplina dei traffici commerciali internazionali si colloca alla radice del progetto e dell'attuale successo dei Principi sui
contratti commerciali internazionali elaborati dall'Unidroit. Innanzitutto, va detto che i Principi Unidroit 2016 assolvono
oggi numerose funzioni che vanno ben oltre quelle ufficialmente annunciate dal Preambolo che li introduce. Si tratta,
infatti, di svolgere la funzione di:

- diritto applicabile tout court al merito di controversie transnazionali;


- uno strumento di interpretazione o integrazione del diritto applicabile;
- uno strumento di interpretazione del diritto internazionale uniforme;
- una fonte di cognizione e strumento di codificazione progressiva della nuova lex mercatoria;
- un modello per il legislatore nazionale e per le Convenzioni internazionali;
- una enunciazione di alcuni principi generali di diritto ex art.38 dello Statuto della CIG;
- una guida alla redazione contrattuale;
- uno strumento didattico;
- uno strumento di individuazione degli usi del commercio internazionale.

I Principi Unidroit come lex contractus. I principi Unidroit espandono la nozione di legge applicabile nel contesto
arbitrale. L'arbitro internazionale, infatti, può trovarsi a decidere controversie in cui le parti hanno eletti i Principi
Unidroit, quale lex contractus, in alternativa ad un dato diritto statale.

I Pr.Un. come strumento di codificazione progressiva della nuova lex mercatoria. Anche se i Principi costituiscono
una fonte di cognizione della lex mercatoria, questa fonte non è esaustiva. Si tratta di una codificazione parziale in
quanto i Principi possono contenere soluzioni innovative perciò, data anche la particolare metodologia di redazione,
occorre usare prudenza nel considerare i Principi a più elevato grado di astrazione quali espressione di principi generali
di diritto riconosciuti dalle Nazioni civili. I Principi inoltre mancano di apposite norme in materia di gerarchia delle
fonti ed anche di disposizioni di conflitto che consentano di delimitare esattamente l'ambito di applicazione degli stessi.
Non bisogna, poi, perdere di vista il fatto che la lex mercatoria è composta anche da modelli contrattuali
internazionalmente diffusi i quali identificano contesti normativi più specifici e relativi a dati settori del commercio
internazionale, nonché delle norme enunciate nei codici di condotta adottati dagli organismi non governativi
esponenziali di determinate categorie professionali.

I Pr. Un. come modello per i legislatori nazionali. Fungendo da strumento di soft law i Principi potranno concorrere
all'uniformazione del diritto superando il problema delle ratifiche e delle eventuali riserve alle Convenzioni di diritto
uniforme.

I CODICI DI CONDOTTA. Per una ricostruzione sistematica delle fonti del diritto del commercio internazionale e
con riferimento alle fonti di origine a-statuale, occorre ora accennare ai codici di condotta delle imprese transnazionali
ed alla loro operatività ed efficacia. Negli ultimi vent'anni, si è affermata la tendenza di elaborare quei codici da parte di
alcune organizzazioni intergovernative allo scopo di “moralizzare” l'attività delle imprese transnazionali in campo
economico e sociale. A tale tendenza ha fatto eco una fiorente diffusione di codici di condotta ad opera delle ONG
economiche e di alcune società multinazionali. La loro effettiva applicazione è ancora oggetto di forti critiche da parte
degli attivisti dei diritti umani ma non si può sottacere che gli UN Guiding Principles on Business and Human Rights ne
ufficializzano la funzione al livello del II pilastro di detti Principi, quello della “Responsability to respect”.

L'APPLICAZIONE DELLA LEX MERCATORIA AD OPERA DELL'ARBITRO INTERNAZIONALE. La


questione dell'individuazione del diritto applicabile al contratto internazionale, nel contesto arbitrale, è stata a lungo
dibattuta dalla dottrina di diritto internazionale privato specializzata nell'arbitrato commerciale internazionale. Oggi,
l'arbitro internazionale, a differenza del giudice statale del luogo in cui viene posta la sede dell'arbitrato, non è obbligato
ad applicare le norme di conflitto di quel foro.
Nel quadro di un arbitrato amministrato, sarà, il più delle volte, il regolamento arbitrale ad indicare all'arbitro le norme
di conflitto da seguire. Pertanto, in sede arbitrale internazionale, la lex mercatoria ed i Principi Unidroit hanno ricevuto
applicazione come lex contractus, come strumento di interpretazione e di integrazione della legge applicabile ed infine,
come strumento di interpretazione e di integrazione di Convenzioni internazionali di diritto uniforme. In alcuni casi si è
avuta una scelta espressa delle lex mercatoria e dei Principi Unidroit quale lex contractus ad opera delle parti ma, nella
maggior parte dei casi, l'applicazione di tali norme di diritto astatuale è avvenuta su iniziativa degli arbitri.
Nell'ambito della casistica concernente le applicazioni della lex mercatoria e dei Principi Unidroit come strumento di
interpretazione o di integrazione del diritto statale si assiste, più di frequente, ad applicazioni sviluppate dalla pratica
arbitrale con l'obiettivo di confermare delle soluzioni fondate sul diritto statale. Ciò al fine di conferire uno status
transnazionale all'applicazione del diritto interno.
Infine, un'ulteriore categoria di applicazione della lex mercatoria e dei Principi Unidroit consiste nell'impiegare tali
norme al fine di risolvere dei dubbi interpretativi o di colmare eventuali lacune all'interno di convenzioni
intergovernative di diritto uniforme.
LA POSIZIONE DEL GIUDICE STATALE DINANZI ALLA LEX MERCATORIA. Riferimenti minori alla lex
mercatoria si reperiscono nella giurisprudenza italiana in alcune recenti pronunce sia del Tribunale di Milano che della
Corte di Cassazione in materia di performance di bond o di contratto autonomo di garanzia. Invece si è avuta una
sentenza con riferimenti espliciti alla lex mercatoria da parte della Suprema Corte della Corte di Cassazione che ha
riconosciuto ed eseguito un lodo straniero relativo ad un accordo arbitrale valido in base alla lex mercatoria.

CAPITOLO 4
I CONTRATTI INTERNAZIONALI IN GENERALE
L'operazione economica dell'esportazione di beni si scompone giuridicamente in diversi contratti variamente combinati
il cui fulcro riposa sul contratto di vendita internazionale. Alla disciplina della vendita occorre aggiungere quella dei
trasporti e delle assicurazioni, così come viene evidenziato dagli Incoterms della ICC. La fase del pagamento o del
finanziamento completa l'operazione di esportazione. A questa combinazione si affiancano altre fattispecie contrattuali
corrispondenti a diverse e più penetranti strategie dell'impresa esportatrice.

Nozione di contratto internazionale. Nonostante il contratto sia il principale strumento attraverso il quale si svolge la
circolazione della ricchezza, manca una definizione universalmente accettata di contratto internazionale. In prima
approssimazione, è possibile affermare che i contratti sono internazionali (o transnazionali) e quindi si differenziano dai
contratti interni, quando non sono destinati ad esaurirsi nell'ambito di un unico ordinamento statale.

Elementi di estraneità. Siffatti contratti si caratterizzano, da un punto di vista formale, per la compresenza di uno o più
elementi di estraneità rispetto all'ordinamento giuridico dal cui punto di vista ci si colloca per esaminarne la struttura.
Tali elementi di estraneità sono, di frequente, i seguenti:

- la nazionalità delle parti;


- la sede d'affari di ciascuna delle parti;
- il luogo in cui si è perfezionato il procedimento di costituzione;
- il luogo di conclusione del contratto;
- il luogo dell'esecuzione del contratto;
- il luogo di situazione del bene oggetto del contratto;
- la moneta di pagamento;
- il luogo di pagamento.

Quando si è in presenza di un contratto internazionale si presentano 3 problemi fondamentali: quello di conoscere


quale giudice in caso di controversia deciderà la lite; quello della lingua a cui occorre fare riferimento per intendere il
significato delle clausole e, soprattutto, quello di individuare quale diritto regola il contratto (lex contractus).

1) Questione della giurisdizione: il problema può essere risolto dalle parti scegliendo, tramite apposite clausole
contrattuali, o il foro competente oppure pattuire che le eventuali controversie siano risolte da arbitri internazionali.

2) Lingua del contratto: anche questo problema va concretamente risolto stipulando un'apposita clausola contrattuale.
Certo, la principale lingua degli affari è l'inglese ma va osservato che il testo contrattuale può essere redatto in più
versioni linguistiche. Occorrerà dunque pattuire quali e quante versioni linguistiche del contratto sono “ufficiali” e
quale versione prevarrà in caso di discrepanze linguistiche.

3) Legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. Per determinare il “diritto applicabile” ad un contratto
internazionale ogni Paese dispone di apposite norme di diritto internazionale privato. Perciò occorre verificare, volte per
volta, se la presenza di uno o più elementi di estraneità sia necessaria e sufficiente a configurare il rapporto come
“internazionale” dal punto di vista dello Stato del foro astrattamente competente. Del pari, ciascuna convenzione
internazionale prevede un proprio ambito di applicazione e quindi una propria nozione di “internazionalità” valevole in
materia contrattuale, nozione che occorre preventivamente indagare ai fini dell'applicazione della disciplina in esse
contenuta. Per facilitare la redazione dei contratti internazionali sono stati predisposti appositi modelli contrattuali da
parte di ONG a vocazione economica-transnazionale e da enti intergovernativi.

Tecniche di redazione dei contratti internazionali. Il testo contrattuale dovrà essere il più possibile completo e
dettagliato; essere il più possibile chiaro e di semplice comprensione; essere il più possibile organico e coerente, in
modo da evitare sovrapposizioni e contraddizioni tra le proprie clausole. Dovrà, inoltre, essere idoneo a guidare i
contraenti passo dopo passo durante l'esecuzione del contratto. Al fine di potere interpretare il contratto, assumono
grande importanza le c.d. “premesse” o “considerando” (che sotto il profilo del contenzioso devono spiegare il contesto
e gli obiettivi perseguiti dalle parti). Si è soliti, tramite apposita clausola contrattuale, indicare che le “premesse” siano
considerate parti integranti del contratto.

Alle premesse segue il corpo del contratto, indicando l'entrata in vigore del contratto, l'esatta individuazione ed
estensione delle obbligazioni delle parti. Ancora: saranno indicate le cause di risoluzione del contratto, oltre alle
clausole di forza maggiore e hardship. Le clausole di limitazione ed esonero della responsabilità andranno valutate con
grande attenzione in relazione alle norme imperative della legge applicabile. Particolare importanza assumono, poi, le
clausole di riservatezza le quali hanno per oggetto particolari procedimenti tecnici, metodi commerciali e dati finanziari.
Dovranno precisare l'oggetto della riservatezza, le eccezioni, nonché la durata e le eventuali sanzioni. Seguiranno le
clausole penali e le clausole finali tra cui quelle che individuano la legge applicabile ed il foro competente o prevedono
l'arbitrato.

CONTRATTI INDIVIDUALI
Formazione del contratto. La maggior parte degli ordinamenti giuridici richiede, per la formazione di un valido
contratto, l'incontro delle manifestazioni di volontà delle parti.

Secondo i Principi Unidroit sui contratti commerciali internazionali “un contratto è concluso, modificato o sciolto con
il semplice accordo delle parti, senza bisogno di ulteriori requisiti”. Al fine di pervenire alla conclusione del contratto,
occorre l'accettazione di un’offerta presentata da uno dei contraenti. Ai sensi dell'art.2.1.6 dei Principi per aversi
accettazione e quindi conclusione del contratto occorre “una dichiarazione od altro comportamento tenuto dal
destinatario indicante il suo consenso... Il silenzio o l'inerzia non equivalgono ad accettazione”. L'accettazione di una
offerta produce effetto nel momento in cui l'indicazione del consenso perviene al proponente. Con i principi ricordati, si
combina la soluzione prevista all'art.9, par.2, della Conv. di Roma del 1980 ed all'art.11, par.2, del Reg. Roma I che,
regolando i requisiti di forma dei contratti conclusi tra persone che si trovano in Paesi diversi, prevede che il contratto
sia valido se soddisfa i requisiti di forma della legge che ne regola la sostanza o della legge di uno dei Paesi in cui si
trovano i contraenti.

L'interpretazione del contratto. La materia dell'interpretazione del contratto internazionale ha trovato collocazione sia
nella CVIM, nei Principi Unidroit ed anche nei Principi della Commissione europea del diritto dei contratti.

Anche nel contratto internazionale, occorre separare la problematica dell'interpretazione della lex contractus
(interpretazione del diritto applicabile) da quella concernente la determinazione della volontà delle parti circa l'assetto
da loro attribuito ai propri interessi in merito ad una determinata operazione economica transnazionale (quindi
interpretazione del contratto). Nel primo caso, l'arbitro dovrà procedere all'interpretazione del diritto applicabile a
prescindere dal testo contrattuale. Nel secondo caso l'arbitro dovrà interpretare la volontà delle parti ponendola in
controluce rispetto al dato normativo offerto dalla lex contractus al fine di determinare l'esatta estensione delle loro
obbligazioni. Un principio generale del d.i.pr. indica che le questioni relative all'interpretazione della volontà delle parti
sono da fare rientrare nel campo di applicazione della lex contractus onde sarà da questa che occorrerà trarre i canoni
ermeneutici.

In un contratto internazionale la volontà delle parti dispiega i propri effetti ancor prima che nell'individuazione delle
reciproche obbligazioni, nell'individuazione del diritto applicabile delle stesse. Ne segue che l'arbitro internazionale
potrà procedere all'interpretazione del contratto secondo la volontà delle parti solo dopo avere interpretato quelle
specifiche clausole del contratto che gli consentono di giungere a determinare l'ordinamento su cui basare la prima
interpretazione (di tipo “internazionalprivatistico”).

La risoluzione del contratto. Dalla lettura combinata dei Principi Unidroit e della Convenzione di Vienna del 1980
emerge che solo un inadempimento “essenziale” costituisce causa di risoluzione del contratto condizionata ad una
manifestazione della volontà in tal senso e, in alcuni casi, l'onere del tempestivo avviso alla controparte.

- Inadempimento essenziale: ai sensi dell'art.7.1.1 dei Principi Unidroit, “per inadempimento si intende il mancato
adempimento di una parte di una qualsiasi delle sue obbligazioni derivanti dal contratto, incluso l'adempimento inesatto
o il ritardo”. Ma l'inadempimento non determina sempre la risoluzione di un contratto. Occorre, infatti, un
inadempimento “essenziale”, evento che si verifica quando (1) l'inadempimento priva sostanzialmente il creditore di ciò
che aveva diritto di aspettarsi dal contratto; (2) l'esatto adempimento dell'obbligazione non eseguita è essenziale
nell'economia del contratto; (3) l'inadempimento è doloso o gravemente colposo; (4) l'inadempimento dà al creditore
motivo di ritenere di non poter fare affidamento sul futuro adempimento della controparte; (5) la parte inadempiente in
caso di risoluzione del contratto subirà una perdita eccessiva quale conseguenza della preparazione del contratto o delle
prestazioni già eseguite.

Si può inoltre verificare la risoluzione del contratto con inadempimento anticipato quando “prima della data di
esecuzione del contratto è certo che vi sarà inadempimento essenziale da parte del debitore”. La parte inadempiente si
libera della responsabilità se prova che l'inadempimento era dovuto ad un impedimento derivante da circostanze
estranee alla sua sfera di controllo e che non era ragionevolmente tenuta a prevedere tale impedimento al momento della
conclusione del contratto o ad evitare o superare l'impedimento stesso o le sue conseguenze (forza maggiore).

Clausole di forza maggiore e di hardship.


- Forza maggiore: durante l'esecuzione di un contratto internazionale possono emergere ostacoli imprevedibili,
inevitabili ed estranei alla volontà delle parti che ne rendono impossibile l'esatto adempimento. Si tratta di situazioni
che prevedono la risoluzione del contratto. Per tali ragioni, nei contratti internazionali occorre regolare le conseguenze
di tali eventi mediante una apposita clausola di forza maggiore. Al riguardo la ICC ha predisposto una clausola standard
di forza maggiore destinata ad essere recepita in contratto ad opera delle parti. Tale clausola comprende, tra l'altro,
quanto segue: (1) motivi di esonero da responsabilità (es. naturali, politici, ecc.); (2) l'obbligo di notificazione alla
controparte delle circostanze di forza maggiore e poi del loro venir meno da parte del contraente che intende avvalersi
della forza maggiore, immediatamente dopo la conoscenza dell'impedimento e dei suoi effetti; (3) conseguenze della
forza maggiore: finché permane l'impedimento che costituisce forza maggiore la parte inadempiente è esonerata dal
risarcimento del danno oltre che dal pagamento di penali o sanzioni, salvo gli interessi. L'esecuzione del contratto viene
sospesa per un periodo durante il quale la controparte non può risolvere il contratto ma può sospendere l'esecuzione
della propria prestazione. Se la situazione di forza maggiore si prolunga oltre il periodo previsto in contratto, ciascuna
parte può risolvere il contratto.

- Clausola di hardship: affianca la clausola di forza maggiore senza confondersi con essa. Si riferisce al caso in cui un
evento imprevedibile ed inevitabile produce un mutamento sostanziale e non previsto delle circostanze e, di
conseguenza, modifica profondamente l'economia del contratto, rendendo la sua esecuzione particolarmente onerosa per
una delle parti. A differenza della forza maggiore non trova riconoscimento generalizzato nei vari ordinamenti. Pertanto,
ancora una volta, le parti dovranno redigere un'apposita clausola che permetta un adattamento del contratto alle nuove
circostanze, attraverso un negoziato, oppure attraverso l'intervento di un terzo. La clausola di hardship è appropriata per
i contratti di durata, poiché nel lungo termine gli eventi richiamati sono più probabili. In pratica, va osservato anche che
la clausola di hardship potrebbe obbligare le parti a rinegoziare un contratto nel caso in cui sopravvengano specifici
eventi e ciò a prescindere dalla “voglia di rinegoziazione” di una delle parti. Data l'importanza della questione per il
commercio internazionale, la ICC ha elaborato uno schema di clausola di hardship.

MODELLI CONTRATTUALI INTERNAZIONALMENTE UNIFORMI


Nella realtà del commercio internazionale le condizioni generali di contratto vengono precostituite dalle organizzazioni
intergovernative e dalle ONG a vocazione economica.

MODELLI CONTRATTUALI ELABORATI DALLE ORGANIZZAZIONI INTERGOVERNATIVE.


Nell'ambito dell'attività di elaborazione dei modelli contrattuali suscettibili di impiego nel commercio internazionale,
intervengono due categorie di soggetti di natura giuridica disuguale: le OIG e le ONG a vocazione economica
transnazionale. Alcune OIG hanno iniziato ad elaborare contratti-tipo, guide contrattuali ed anche codici di condotta
destinati agli operatori del commercio internazionale agendo al di là degli scopi fissati dall'art.13 della Carta delle
Nazioni Unite e dalla tradizionale ottica intergovernativa. Occorre distinguere due tipi fondamentali di strumenti: i
modelli e le guide contrattuali.

1) Modelli contrattuali. Nel primo caso, le OIG, attraverso i propri organismi e la consultazione di gruppi di esperti
provenienti da Paesi diversi, tentano di codificare le prassi del commercio internazionale al fine di favorire lo sviluppo
di transazioni economiche, elaborando strumenti dotati di finalità essenzialmente pedagogica. Sotto tale aspetto, le OIG
svolgono un'attività concorrente rispetto a quella delle ONG a vocazione economica come la CCI. Sono esempi la
Commissione Economica per l'Europa (ECE) e l'International Trade Center.
2) Guide contrattuali. Il miglior contributo delle OIG allo sviluppo ordinato del traffico commerciale internazionale
non si misura tanto attraverso la predisposizione di modelli contrattuali quanto attraverso la predisposizione di guide
contrattuali (es. Guide on new forms of Industrial co-operation, guide to legal aspects of privatization, ecc.).

Analoghe considerazioni valgono a proposito della Commissione per il diritto del commercio internazionale dell'ONU
(UNCITRAL). Essa è, però, intervenuta, finora, prevalentemente nel settore dell'uniformazione convenzionale del
diritto, agendo a livello intergovernativo ed elaborando alcune importanti leggi modello od altri documenti di rilevanza
arbitrale senza intervenire, eccettuate alcune guide contrattuali, sul piano della formulazione di veri e propri modelli
contrattuali.

IL CONTRATTO TRANSNAZIONALE PER ADESIONE. La redazione di contratti uniformi, ad opera di


un'impresa transnazionale, risponde ad una logica che è prima economica che giuridica: la produzione e la distribuzione
dei beni e servizi su larga scala necessitano di una contrattazione transnazionale uniforme perché, diversamente,
l'organizzazione della logistica, la programmazione strategica globale e la gestione finanziaria dell'impresa diverrebbero
inefficienti o incerti. La moderna società post-industriale porta, dunque, le imprese a standardizzare i propri processi
produttivi, distributivi e finanziari.

Contratti isolati e contratti in serie. Dal punto di vista dell'impresa, la “gestione” dei rapporti contrattuali si sdoppia
così nella predisposizione di contratti in serie, per le operazioni correnti, ed in quella di ciascun contratto isolato per le
singole operazioni spesso di grande importanza economica. Nel commercio internazionale si assiste, tuttavia, ad un
ulteriore processo di diversificazione: a modelli contrattuali unilateralmente predisposti si affiancano, sempre più
numerosi, i contratti tipo (model contract) per l'adozione negli scambi B2B dalle ONG a vocazione economico-
transnazionale.

Contratto transnazionale per adesione. In questo caso il contratto stipulato dal proponente in modo ripetitivo ed
uniforme su scala transnazionale-multi statuale, è dotato di una certa rigidità al fine di non subire modifiche. Questo
tipo di contratto può sviluppare una forza vincolante che arriva a concorrere con quella delle convenzioni internazionali.
Ci troviamo qui di fronte ad un delicatissimo problema di politica legislativa: in assenza di localizzazione del contratto
in un ordinamento statale ed in assenza di un unico legislatore mondiale, capace di dominare il settore delle società
multinazionali, si può manifestare lo spettro di un monopolista imprenditore-legislatore di natura privata e
transnazionale capace di emanare regole di comportamento obbligatorie per una generalità di individui sparsi per il
mondo (es. contratto di franchising). L'individuo può divenire in materia economica, un potere concorrente con quello
governativo ed intergovernativo, aprendo scenari ben diversi da quelli immaginati all'epoca della fondazione dell'ordine
economico internazionale del dopoguerra.

Occorre, tuttavia, precisare che la fattispecie del contratto per adesione unilateralmente predisposto non esaurisce la
categoria del contratto internazionalmente uniforme nel commercio internazionale. Di somma rilevanza, infatti, sono i
contratti standard redatti da associazioni di categoria od altri organismi privati a vocazione internazionale. In questo
caso è bene sottolineare che il contenuto del contratto non viene predisposto dal singolo individuo ma è elaborato da
una ONG dopo lunghi lavori. È il caso frequente, dei modelli contrattuali predisposti dalla ICC in cui il nucleo del
contratto viene predisposto dall'ente suddetto, sulla base delle esperienze acquisite dal gruppo socioeconomico di cui è
esponenziale, ma con l'ulteriore previsione di un sistema di clausole alternative che ne rendono flessibile parte del
contenuto in rapporto alle esigenze specifiche delle parti.

Contrariamente a quanto osservato in materia di contratti per adesione, qui può ben verificarsi che nessuna delle due
parti conosca, in modo approfondito, tutti gli impegni che il contratto comporta.

La tutela del contraente debole posta dal legislatore del contratto per adesione unilateralmente predisposto in base ad
una presunta mancanza di informazione determinante del consenso, la tutela del consumatore-persona fisica e quella
dell'imprenditore in stato di dipendenza economica non sembrano applicarsi al contratto-tipo internazionalmente
uniforme predisposto da una ONG a vocazione economico-transnazionale che fosse impiegato da due imprenditori
nell'esercizio della loro attività professionale. Nella fattispecie ora evidenziata si supera, infatti, la teoria del contratto
imposto perché nessuna delle parti impone all'altra le sue condizioni generali di contratto, il suo modulo o il suo
formulario, ma è, invece, l'ONG a vocazione economica transnazionale che lo trasmette alla generalità degli operatori
che ne sono membri, in vista di un impiego uniforme su scala planetaria.

INDIVIDUAZIONE DEL DIRITTO APPLICABILE AI CONTRATTI


TRANSNAZIONALI
Nel diritto del commercio internazionale assume importanza centrale il c.d. principio dell'autonomia contrattuale. Il
principio di autonomia della volontà si configura come una variabile comparatistica anche nell'ottica
internazionalprivatistica ed una novità di assoluto rilievo sta nella sua recentissima collocazione nel diritto
internazionale privato europeo dei contratti. Esigenze di certezza del diritto hanno indotto gli Stati membri a conferire –
a partire dal Trattato di Amsterdam – un particolare slancio al diritto internazionale privato di fonte comunitaria ed ora
unionale, attribuendo all'UE nuove competenze in materia. Così, negli ultimi anni, si è assistito ad una frenetica attività
normativa che ha portato, tra l'altro, all'adozione del Reg. “Bruxelles I” e poi “Bruxelles I bis”, in sostituzione della
Convenzione di Bruxelles del 1968 nelle relazioni tra gli Stati membri, e del Reg. “Roma II” sulla legge applicabile alle
obbligazioni extracontrattuali.

AMBITO DI APPLICAZIONE DEL REG. n. 593/2008 (“ROMA I”). È entrato in vigore nel luglio 2008 ma si
applica ai trattati conclusi dal 17 dicembre 2009 in situazioni implicanti un conflitto di leggi (ossia quando ci sono
elementi di estraneità) in materia civile e commerciale. Non si applica invece alle materie fiscali, doganali ed
amministrative. Il Reg. Roma I è direttamente vincolante per tutti gli Stati membri della UE, compreso il Regno Unito,
con l'unica eccezione della Danimarca.
La disciplina prevista dal Reg. Roma I ha carattere generale e, secondo quanto indicato nel considerando n.7, è coerente
con il Reg. “Bruxelles I” concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in
materia civile e commerciale e con il Reg. “Roma II” del 2007 sulla legge applicabile alle obbligazioni
extracontrattuali.
Il Reg. Roma I trae origine da una fonte internazionale di terzo grado, nel caso di specie un atto normativo tipico del
diritto UE, ai sensi dell'art.288 TFUE dotato, in tutti i suoi elementi, di efficacia immediata e diretta nell'ordinamento
degli Stati membri così come nell'ordinamento italiano.

Il Reg. Roma I è obbligatorio e direttamente applicabile negli stati membri. La sua diretta applicazione non
presuppone alcun atto statale di adattamento ed il suo primato sul diritto interno è garantito dal diritto UE. Per la sua
eventuale modifica o abrogazione non è necessaria alcuna conferma intergovernativa, bensì occorre seguire i normali
procedimenti di law making dell'Unione. Per gli stessi motivi, il Reg. Roma I non ammette riserve, né è possibile
formularle per gli Stati membri UE. L'interpretazione del Reg. Roma I è affidata agli organi di giurisdizione ordinaria
ed al giudice dell'Unione. In caso di violazione del Regolamento da parte di uno Stato membro, a differenza di quanto
avveniva per la Convenzione di Roma del 1980, sarà possibile promuovere una procedura di infrazione di diritto UE.
Ferma restando la “diversità” formale tra il Reg. Roma I e la Convenzione del 1980, non va peraltro sottaciuto che
molte delle norme del Reg. riprendono – e talvolta copiano – le soluzioni già previste dalla Convenzione di Roma.

- I rapporti tra il Reg. Roma I e l'art. 57 della L.n.218/95. Quest'ultima norma “nazionalizza” ed estende le soluzioni
della Convenzione di Roma del 1980. l'applicazione dell'art. 57 della L. n. 218/95 costringe oggi l'interprete a scegliere
tra almeno due impostazioni diverse.

1) La prima consiste nel ritenere che il rinvio recettizio dell'art.57 alla Convenzione di Roma sia idoneo. Tra tutte le
interpretazioni possibili dell'art. 57 va prescelta quella conforme al diritto UE.
2) Secondo una diversa impostazione (preferibile) si deve invece ritenere che il Reg. Roma I e la Convenzione di Roma
coesistano nell'ordinamento italiano. Il primo, infatti, è applicabile direttamente ed in tutti i suoi elementi a prescindere
da quanto previsto dall'art.57 L. n. 218/95. La seconda, proprio in quanto oggetto di rinvio recettizio del (solo)
legislatore italiano continua a sopravvivere in modo unicamente nazionale e ad individuare la legge applicabile alle
obbligazioni contrattuali che ricadono al di fuori del campo di applicazione del Reg. Roma I. Per le fattispecie che
ricadessero contemporaneamente nell'ambito di applicazione sia della Convenzione di Roma che del Reg. Roma I
prevarrebbe comunque quest'ultimo, in quanto Regolamento UE ed anche in virtù della “cedevolezza” in favore del
primato del diritto UE.

In conclusione, per i contratti a decorrere dal 17 dicembre 2009 occorrerà fare riferimento solo al Reg. Roma I per le
materie che ricadono nell'ambito di applicazione di quest'ultimo.

- Le materie escluse dall'ambito di applicazione del Reg. Roma I. Si possono notare “materie comuni”, ossia
esclusioni che già erano previste dalla Convenzione di Roma del 1980 e che sono state reintrodotte nel testo del
Regolamento, e “nuove esclusioni”. Quanto alla prima categoria di esclusioni va detto che si trovano escluse dall'ambito
di applicazione proprio vigore di ciascuno strumento, sia pure con qualche piccola differenza lessicale: (1) le questioni
di stato e di capacità delle persone fisiche eccetto la questione della tutela del legittimo affidamento; (2) le obbligazioni
contrattuali relative a testamenti e successioni, regimi matrimoniali ed altri rapporti familiari; (3) le obbligazioni
relative a “strumenti negoziabili” (cambiali, assegni, vaglia cambiari); (4) clausole compromissorie, compromessi e
clausole d'elezione del foro competente; (5) le questioni inerenti al diritto delle società, delle associazioni e delle
persone giuridiche; (6) la questione di stabilire se l'atto compiuto da un intermediario valga ad obbligare di fronte ai
terzi la persona per conto della quale ha agito; (7) le questioni relative al trust; (8) quelle relative alla prova ed alla
procedura.
Sono invece introdotte ex novo dal Reg. Roma I: le esclusioni in materia di obbligazioni derivanti da trattative
precontrattuali; riguardo le materie fiscali, doganali e amministrative nonché quelle relative ad alcuni contratti
d'assicurazione.
- Il coordinamento del Reg. Roma I con altre norme di d.i.pr. di origine unionale ed internazionale. Le
disposizioni, emanate o da emanare, di diritto UE prevalgono su quelle del Reg. Roma I (tramite l'art.23 del Reg.),
soprattutto per quanto concerne le disposizioni che regolano, in materie particolari, i conflitti di legge nel campo delle
obbligazioni contrattuali.

LA SCELTA DEL DIRITTO APPLICABILE ALLE OBBLIGAZIONI CONTRATTUALI NASCENTI DA UN


CONTRATTO INTERNAZIONALE.

Autonomia della volontà. Nel Reg. Roma I la volontà delle parti funge da criterio di collegamento ai fini
dell'individuazione dell'ordinamento (statale) competente a regolare le obbligazioni contrattuali, aumentando per questa
via la certezza del diritto applicabile ed una gestione efficiente dei costi di transazione.

Autonomia di diritto civile interno. Dal punto di vista di un ordinamento dato (i.e. quello italiano), la libertà delle
parti trova espressione nella sua dimensione materiale attraverso: a) la scelta di contratti interni tipici; b) la
determinazione del contenuto del contratto; c) la conclusione di contratti atipici.

Autonomia di d.i.pr. L'autonomia delle parti, in senso internazionalprivatistico, a sua volta, esplica la sua funzione
nell'attribuire alle parti: a) la facoltà di designare la legge applicabile alle obbligazioni nascenti da un contratto
internazionale; b) la facoltà di designare il giudice competente a dirimere le eventuali controversie nascenti dal contratto
medesimo o c) di ricorrere all'arbitrato commerciale internazionale.

Autonomia della volontà quale “pietra angolare” della contrattazione internazionale. La centralità del principio
dell'autonomia privata nella sua funzione internazionalprivatistica, intesa come libertà, viene enunciata chiaramente nel
considerando n.11 del Reg. Roma I. In sintesi, è possibile osservare che il principio dell'autonomia della volontà,
prevista dal Reg. Roma I si afferma quale principio cardine del diritto internazionale privato dell'UE, superando in
radice tanto le corrispondenti soluzioni normative o giurisprudenziali che negli ultimi due secoli si erano affermate nel
diritto interno degli Stati membri, quanto gli aspri dibattiti dottrinali attorno alla lex voluntatis, sollevati da coloro che
criticavano l'autonomia contrattuale “conflittualistica” considerata alla stregua di una minaccia all'autorità del diritto
statale.

Limiti all'autonomia delle parti. Ogni libertà viene delimitata ed opportunamente compressa attraverso alcune norme
come quelle previste dal Reg. Roma I all'art.3, par.3 ed art.3, par.4; quelle relative ai contratti conclusi con “parti
deboli” quali i consumatori o i lavoratori o ancora al trasporto di passeggeri; quelle in materia di forma del contratto
avente ad oggetto beni immobili fino ai limiti classici delle norme di applicazione necessaria e dell'ordine pubblico del
foro.

LA SCELTA ESPRESSA POSITIVA DELLA LEX CONTRACTUS. Tanto nel Reg. Roma I, quanto nel “sistema”
della Convenzione di Roma, la volontà delle parti funge da criterio di collegamento sicché è possibile designare, in
modo immediato e diretto, l'ordinamento giuridico che regola le obbligazioni contrattuali. La volontà delle parti
costituisce un criterio di collegamento unico e del tutto autosufficiente non essendo minimamente necessario che il
contratto presenti altre circostanze di collegamento rispetto all'ordinamento statale designato od anche rispetto a
ordinamenti terzi.

La volontà inequivoca delle parti di riferirsi ad un dato ordinamento giuridico, in quanto assunta da una norma di diritto
internazionale privato dell'Unione come criterio di collegamento, è criterio sufficiente ai fini di una electio iuris valida
ed efficace. La norma sull'autonomia della volontà di cui al Reg. Roma I significa concretamente che, se un contratto
internazionale presenta dei collegamenti oggettivi con gli ordinamenti degli Stati A, B e C, le parti sono libere di
designare l'ordinamento dello Stato D quale competente a regolare le obbligazioni contrattuali. Questa opzione si spiega
quando le parti ritengono che la sottoposizione del rapporto alla legge della controparte attribuirebbe un vantaggio
ingiustificato in termini di informazione sulla legge applicabile. Scegliendo un ordinamento terzo, le parti intendono
realizzare una sorta di “parità delle armi” anche per non attribuire ad alcuna di esse ingiustificati vantaggi nell'ipotesi di
contenzioso. Altre volte, le parti prescelgono un ordinamento terzo prescindendo da connessioni oggettive perché
particolarmente “evoluto” nella regolamentazione giuridica del contratto da esse menzionato.

Scelta espressa del diritto applicabile. La scelta deve essere espressa e deve esserlo con chiarezza dalle parti. Si tratta
di una soluzione già presente nella Convenzione di Roma a cui non vengono apportate modifiche tecniche. Qualora uno
Stato si componga di più unità territoriali (es. Regno Unito o USA) è il Reg. Roma I che individua immediatamente la
legge dell'unità territoriale applicabile alle obbligazioni contrattuali.

IL PROBLEMA DELLA SCELTA ESPRESSA NEGATIVA DELLA LEX CONTRACTUS. A volte, le parti si
limitano ad indicare nel loro contratto di non volere l'applicazione di uno o più ordinamenti statali dati. Ciò non deve
sorprendere in quanto è possibile che, durante i negoziati circa un dato contratto transnazionale, le parti si accordino sul
contenuto del contratto ma non riescano ad accordarsi proprio in ordine alla lex contractus. Pertanto, può verificarsi che
le parti, pur di addivenire alla firma del contratto, formulino la clausola di scelta della legge applicabile in termini
negativi indicando ad esempio che “al presente contratto non si applicherà la legge dello Stato X né quella dello Stato
Y”. la giurisprudenza italiana ha escluso l'ammissibilità della scelta negativa delle lex contractus così come la migliore
dottrina l'ha esclusa. Va osservato, tuttavia, che il Reg. Roma I, al pari della Convenzione di Roma, non contempla detta
fattispecie, né sembra vietare manifestazioni diverse da quella della scelta positiva. In caso di una scelta espressa
negativa, spetterà all'interprete il compito di individuare la lex contractus attraverso norme di conflitto prestabilite in
ipotesi di assenza di scelta della legge applicabile. Il giudice determinerà l'ordinamento con cui il contratto presenta il
collegamento più stretto.

ESTENSIONE DELLA ELECTIO IURIS. Un'ulteriore fattispecie astrattamente prevista dal Reg. Roma I, sulla linea
della Convenzione di Roma, è quella del depreçage volontario. Trattasi di un'ulteriore direzione in cui si esplicita
l'autonomia della volontà nella misura in cui alle parti è consentito di scegliere una legge straniera al fine di disciplinare
solo alcuni aspetti del contratto o di sottoporre singoli aspetti o clausole di questo a leggi diverse. Si applicherà la legge
designata dalle parti solo per quelle obbligazioni nascenti dalla parte del contratto a cui la electio iuris è rivolta, mentre
per le altre parti occorrerà individuare l'ordinamento competente o gli ordinamenti competenti applicando la disciplina
del Reg. Roma I prevista in caso di assenza di scelta di lex contractus. Tramite il depreçage, un'unica operazione
economica finisce con l'essere regolata da una moltitudine di discipline di diritto materiale statale. Per questo presenta
scarsità pratiche. Attraverso il depreçage volontario, trionfano le complicazioni provocate da più leges contractus
applicabili. Una soluzione moderna sarebbe stata quella di allargare ulteriormente l'oggetto della choice of law a norme
di diritto a-nazionale quali la lex mercatoria e i Principi Unidroit.

La Commissione Europea nel 2003 aveva proposto una soluzione innovativa, favorevole al richiamo di norme di diritto
non statale come i Principi Unidroit ed i PECL (Principi di diritto europeo dei contratti). Per tali ragioni i Principi sono
applicati in sede arbitrale. Diversa è stata la storia e la sorte dei PECL. Si tratta di uno dei più importanti progetti nella
storia della costruzione europea, un progetto finalizzato alla edificazione di un vero e proprio corpus di diritto privato
dell'Unione che, pur affondando le proprie radici culturali nel diritto privato dei singoli Stati, possa realizzare
concretamente il sogno dottrinale della rinascita di uno jus comune. Tuttavia, fu un fallimento.

Riferimento delle parti a norme di diritto non statale. Anche se la Convenzione di Roma porta ad escludere
l'applicabilità delle norme a-statuali, resta comunque ammessa l'applicazione della lex mercatoria – o di altre norme a-
nazionali – in via mediata, attraverso l'ordinamento statale preventivamente designato dalle parti, nella misura e con le
modalità ammesse da quest'ultimo. Il giudice nazionale dovrà, prima di tutto, individuare la legge del Paese con cui il
contratto presenta il collegamento più stretto e poi, attribuire efficacia alla fonte a-statuale, solo nella misura ammessa
dall'ordinamento statale richiamato. L'unica differenza tra la convenzione di Roma del 1980 e il Reg. Roma I è che,
mentre nella prima la lex mercatoria non è nemmeno menzionata, il considerando n.13 del Reg. Roma I sostiene che il
Reg. non impedisce alle parti di fare riferimento al diritto non statale o a una convenzione internazionale.

Scelta implicita della lex contractus. Il Reg. Roma I ammette anche la scelta implicita della lex contractus, purché
risulti “in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto o dalle circostanze”. Esempi di circostanze
indicative di una electio iuris implicita sono: la scelta del foro di un determinato Paese, le condizioni generali di
contratto contenute in moduli e formulari se concepite sulla base di un ordinamento dato come ad es. le polizze
assicurative dei Lloyd's rispetto all'ordinamento inglese o ancora il richiamo di determinati articoli della legislazione di
un paese dato rispetto a parti fondamentali del contratto.

CAPITOLO 15
GLI INVESTIMENTI ESTERI
L'investimento diretto estero consente all'impresa uninazionale di realizzare l'espansione della propria attività attraverso
la costituzione, l'acquisizione del controllo o di una partecipazione rilevante in società straniere in modo tale da
realizzare l'obiettivo della presenza permanente sul mercato estero ed il controllo di una data combinazione di fattori
produttivi. L'impresa, dunque, espande o delocalizza una o più fasi per realizzare delle economie di scala che le
consentono di produrre in modo più efficace ed efficiente. Si tratta di una opzione strategica in base alla quale
l'imprenditore decide di costituire una joint venture in loco o di stabilire una filiale la quale, grazie alla sua prossimità ai
mercati di sbocco, potrà svolgere tra le altre, funzioni di assistenza post-vendita. Tra i vantaggi normalmente conseguiti
si hanno una maggiore disponibilità di fattori produttivi ed una migliore o pari qualità degli stessi: dalla riduzione dei
costi di trasporto delle merci, a quella dei costi del lavoro, da minori costi delle materie prime all'esistenza di incentivi
dello Stato territoriale in favore degli investitori stranieri.
I flussi di capitale a fini di investimento avvengono attraverso i quattro punti cardinali (Nord-Nord, Ovest-Est, Nord-
Sud e Sud-Sud) ma si concentrano prevalentemente in ambito Nord-Nord. L'investimento diretto nei PVS (Nord-Sud) è
stato spesso realizzato al fine di acquisire materie prime, una manodopera locale meno onerosa e l'apertura di nuovi
mercati di sbocco sicché, da qualche decennio, si trova al centro di un ampio dibattito.
La nozione di “investimento” è economica prima che giuridica. Secondo gli economisti è investimento tutto quanto non
viene destinato dall'impresa ad attività di consumo; da un punto di vista giuridico, conviene invece centrare la nozione
di investimento diretto estero (IDE) sull'acquisizione di partecipazioni nel capitale sociale di società straniere in
un'ottica di medio-lungo periodo.
Il diritto internazionale degli investimenti si applica quando un investimento è effettuato da un investitore straniero, cioè
un operatore economico proveniente da uno Stato diverso da quello del territorio nel quale viene realizzato.
Ammissione e trattamento degli IDE nello Stato ospite. Il “trattamento” degli investimenti comprende quelle norme
sia di origine interna che interstatuale che precisano il regime giuridico dell'investimento in materia di: ammissione,
ammontare dell'investimento, localizzazione dell'investimento, regime fiscale, normativa in materia di rimpatrio dei
profitti, regime del disintervento. Spesso alcuni settori considerati dallo Stato di rilevanza strategica sono preclusi agli
investitori stranieri (produzione di armi, settore bancario e dell'energia). Altre norme possono imporre determinate
forme societarie, l'assunzione di personale locale e disciplinare le modalità di pagamento; i settori dell'economia
totalmente riservati ai cittadini; quelli ad accesso controllato, di rilevante interesse per l'economia nazionale, e quelli in
cui viene previsto il libero accesso. Ancora, possono essere previsti dei c.d. performance requirements, ossia delle
obbligazioni di risultato in ordine al raggiungimento di determinati obiettivi (prassi abbandonata data la correlazione
esistente con fatti di corruzione degli agenti pubblici stranieri).
Sono di regola norme nazionali quelle concernenti il procedimento di ammissione degli investimenti stranieri e, onde
favorire l'ingresso di capitali esteri, si rende necessario, in particolare in Italia, aumentare il livello di conoscibilità e
trasparenza fino a costituire veri e propri one stop shop. Il disinvestimento può, inoltre, essere ammesso solo dopo certi
limiti temporali ed anche per dati quantitativi, onde per cui l'esame della normativa applicabile diviene cruciale.

Protezione degli IDE. La “protezione” concerne invece quelle norme sia di origine interna che intergovernative volte a
tutelare la proprietà straniera con riguardo a espropriazioni o nazionalizzazioni ad opera dello Stato ospite.

Garanzia degli IDE. La “garanzia” dell'investimento si riferisce a quegli strumenti, sia di diritto interno che di diritto
interstatuale, che consentono di trasferire le conseguenze finanziarie del rischio politico su soggetti diversi
dall'investitore privato.

AMMISSIONE E TRATTAMENTO DEGLI INVESTIMENTI ESTERI. La disciplina degli investimenti


internazionali deve contemperare due opposti interessi, entrambi meritevoli di tutela: a) l'interesse dello Stato di
destinazione dell'investimento a salvaguardare la propria sovranità sul proprio territorio rispetto a centri di potere
economico in grado di influenzare la gestione della cosa pubblica; b) l'esigenza dell'impresa transnazionale a ricevere
tutela rispetto ai beni che si trovano nel territorio dello Stato ospitante. In materia di trattamento degli stranieri (e dei
relativi beni), vigono due principi generali di diritto interstatuale.

Consuetudini internazionali in materia di trattamento dello straniero. In base al primo principio, lo Stato
territoriale non può richiedere al privato straniero “comportamenti che non si giustifichino con un sufficiente 'attacco'
dello straniero stesso con la comunità territoriale”. Il secondo principio attiene all'obbligo, a carico dello Stato
territoriale, di prevenire e reprimere “le offese contro la persona o i beni dello straniero, l'idoneità essendo commisurata
a quanto di solito si fa per tutti gli individui”. Va detto che, ogni Stato rimane libero di ammettere o non ammettere gli
investimenti stranieri e di regolarne lo statuto giuridico all'interno del territorio statale. Non esiste un diritto ad investire
in un Paese straniero di cui un soggetto privato possa ritenersi automaticamente titolare, come non esiste, per diritto
generale, un diritto ad immigrare in uno Stato diverso dal proprio. Muovendo da tali premesse ne segue che ciascuno
Stato risulta libero di adottare misure incitative, dissuasive o semi-incitative sugli investimenti e, in ultima analisi, di
limitarne l'ingresso o l'uscita fatti salvi gli impegni di diritto pattizio.

Trattati multilaterali in materia di IDE. Le Convenzioni sono poco numerose. Si tratta, in particolare della
Convenzione di Washington del 1965, istitutiva dell'ICSID, di quella di Seul, istitutiva dell'Agenzia multilaterale per la
garanzia degli investimenti (MIGA) e di pochi altri. Qualora uno Stato destinatario dell'investimento sia membro
dell'OMC, sarà soggetto agli obblighi generali di non discriminazione di cui agli artt. I e III ed il divieto di restrizioni
quantitative di cui all'art. XI del GATT.
A queste Convenzioni se ne aggiungono poche altre che hanno portata internazionale-regionale. È fallito il recente
tentativo di pervenire ad un accordo multilaterale sugli investimenti in seno all'OCSE. Più fruttuosi, invece, si sono
rivelati i negoziati interamericani e quelli in materia energetica (es. NAFTA e MERCOSUR).

Trattati bilaterali in materia di IDE. La materia degli investimenti esteri viene ampliamente disciplinata da
Convenzioni bilaterali (BIT). I BITs traggono origine dai trattati di amicizia, commercio e navigazione, convenzioni di
antica tradizione tramite i quali ciascuno stato ha disciplinato l'accesso delle persone fisiche e giuridiche, il loro
stabilimento nel territorio, l'esercizio delle professioni e lo statuto dei loro beni. Tali trattati puntavano all'assimilazione
dello straniero al cittadino dello stato contraente. I meccanismi di risoluzione delle controversie di tipo classico, si
basavano sulla protezione diplomatica e sull'arbitrato interstatuale. La maggior parte dei BIT di stipulazione recente
prevedono la soluzione delle controversie tra lo Stato territoriale e l'investitore straniero tramite l'arbitrato ICSID. Le
clausole più frequenti in materia di trattamento degli stranieri attengono alle materie del: trattamento nazionale; del
trattamento giusto ed eque; della piena protezione e sicurezza ed infine della Nazione più favorita.

Clausola del trattamento nazionale. In base alla prima clausola, si stabilisce che agli investitori stranieri è dovuto lo
stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali.

Clausola del trattamento equo e giusto. Si tratta di una clausola generale che ha trovato concretizzazione attraverso la
prassi arbitrale evidenziando le fattispecie del trattamento ingiustificato ed arbitrario, contrario a buona fede o alle
legittime aspettative dell'investitore, della certezza del diritto intesa quale prevedibilità/stabilità del sistema normativo
dello Stato territoriale dell'investimento, fino alla trasparenza dei procedimenti giurisdizionali.

Clausola della “piena protezione e sicurezza”. Significa originariamente protezione in senso fisico da parte degli
organi dello Stato ospite.

Clausola della Nazione più favorita. Questa rende applicabile all'investitore di uno Stato, il migliore trattamento tra
quelli accordati agli investitori appartenenti a Stati terzi.

IDE e politica commerciale comune della UE. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la materia degli
investimenti all'estero è diventata di esclusiva competenza unionale.

LA PROTEZIONE DEGLI INVESTIMENTI E LA QUESTIONE DELLE NAZIONALIZZAZIONI. Per


nazionalizzazione s'intende “il trasferimento dalla sfera privata a quella pubblica della titolarità. Tra gli esempi più
celebri si annoverano quelli delle nazionalizzazioni intervenute in URSS a seguito della Rivoluzione russa e nei Paesi
dell'Europa orientale nell'immediato secondo dopoguerra. L'ipotesi di nazionalizzazioni settoriali ricorre allorché uno
Stato vuole escludere il capitale straniero da determinati settori del tessuto economico del Paese ed in particolare dallo
sfruttamento delle risorse naturali.

Dimensione internazionalistica. La rilevanza delle nazionalizzazioni per il diritto internazionale discende dal
“conflitto di interessi che si determina tra lo Stato nazionalizzatore, che tende a disporre delle situazioni giuridiche
rientranti nella sua giurisdizione, e lo Stato di appartenenza del soggetto spossessato”.

IDE, NOEI e diritto internazionale allo sviluppo. L'esercizio del potere di nazionalizzare viene considerato quale
corollario naturale della sovranità degli Stati, perciò ogni Stato è libero di disciplinare gli investimenti “in conformità
alle sue leggi e regolamenti ed alle priorità ed obiettivi nazionali di politica economica e sociale”. Secondo i paesi
industrializzati, l'ordinamento internazionale pone dei limiti all'esercizio del potere di nazionalizzare interessi
patrimoniali stranieri condizionandone la legittimità al perseguimento di un “pubblico interesse”, alla non
discriminatorietà delle misure verso lo straniero ed al pagamento di un indennizzo “pronto adeguato ed effettivo”. In
caso di nazionalizzazione illecita dal punto di vista del diritto interstatuale, lo Stato nazionale dei privati lesi può far
valere la responsabilità internazionale dello Stato nazionalizzante reagendo all'illecito con i mezzi e le conseguenze
previste dall'ordinamento internazionale. Queste conclusioni non sono state condivise per luogo tempo dai PVS. In
estrema sintesi, per i PVS va negata l'internazionalizzazione degli investimenti sul loro territorio mentre, all'opposto,
secondo i Paesi industrializzati, la situazione giuridica dei beni stranieri forma oggetto di norme di diritto
internazionale. Ed il vero nodo della discordia, in tema di nazionalizzazioni, consiste, ancor oggi, non tanto nell'an ma
piuttosto nel quantum dell'indennizzo posto che l'unico punto fermo in materia è che un'obbligazione di pagamento
sussiste e dunque lo Stato nazionalizzante commette l'illecito internazionale quando non intenda in alcun modo
indennizzare.

Questione dell'indennizzo. Per risolvere la questione dell'indennizzo è invalsa nella prassi internazionale la
stipulazione di appositi accordi di composizione globale, c.d. lump sum agreements. Questi accordi altro non sono che
una transazione, tra lo Stato nazionalizzante e quello di cittadinanza degli stranieri espropriati, tramite il quale si fissano
il quantum, le modalità e i destinatari dell'indennizzo.

ACCORDI TRA STATI E PRIVATI STRANIERI. Lo Stato si fa operatore del commercio internazionale e conclude
contratti direttamente con altri operatori collocandosi in una posizione di tendenziale parità giuridica nei confronti di
questi ultimi. Attraverso tali contratti lo Stato, ad es., concede lo sfruttamento di determinati giacimenti minerari, si
procura navi militari ed altri armamenti. L'equilibrio tra pubblico imperio e interesse privato può essere raggiunto
attraverso l'impiego dell'istituto arbitrale ed un'accorta stipula della clausola di scelta del diritto applicabile.

Soluzione delle controversie tramite arbitrato. La risoluzione in via arbitrale delle eventuali controversie appare
accettabile anche dal punto di vista dello Stato contraente perché, oltre ad essere il principale modo di risolvere le
controversie nei rapporti internazionali, presenta almeno 3 tipi di vantaggi: 1) è un meccanismo che evita la
sottoposizione del contenzioso ai giudici di un altro Stato (dimensione politica); 2) la riservatezza del procedimento
facilita il mantenimento dei rapporti contrattuali con gli altri operatori economici (dimensione della riservatezza
commerciale); c) la scelta dell'arbitro da parte di entrambi i contraenti e dunque anche da parte dello Stato è garanzia di
competenza professionale dell'organo giudicante e, possibilmente, di neutralità culturale rispetto ai contendenti
(dimensione professionale della gestione della controversia).

Diritto applicabile. Per quanto riguarda la scelta del diritto applicabile va sottolineato che, attraverso la clausola di
electio iuris, gli operatori del commercio internazionale hanno fatto spesso riferimento ai principi generali di diritto, al
diritto internazionale ed alla lex mercatoria, sia in modo immediato e diretto che in combinazione con l'elezione di un
diritto statale preventivamente designato.

Fasi principali del discorso giuridico sugli State contracts. Ci sono quattro fasi principali. In un primo momento, alle
soglie del 1900 si è sostenuta l'esclusiva sottoposizione degli State Contracts alla legge dello Stato contraente. Si
sosteneva che l'individuo-contraente non era un soggetto di diritto internazionale e che, quindi, tali fattispecie non
appartenevano all'ordinamento internazionale bensì a quello interno dei singoli Stati, fatti salvi gli aspetti di natura
interstatuale.

In una seconda fase, cominciata nel dopoguerra, venne evidenziata l'applicabilità del diritto internazionale agli State
contracts. Inizia così a farsi strada l'idea che dei contratti stipulati iure gestionis tra Stati e privati stranieri siano, in
effetti, particolari rapporti internazionali. Il dibattito si sposta allora sull'individuazione del diritto applicabile a siffatti
“contratti internazionalizzati”.

Nella terza fase, il dibattito sugli State contracts si lega a quello sui c.d. accordi di sviluppo economico. In questa fase,
alcuni autori hanno portato la tesi dell'internazionalizzazione alle estreme conseguenze e si è affermata la sottoposizione
dei contratti tra Stati e privati stranieri alla nuova lex mercatoria, concepita quale terzo tipo di ordinamento giuridico,
distinto da quello interno e da quello internazionale-interstatuale.

L'epilogo di tale sviluppo vede la fase della banalizzazione degli State contracts, una crescente applicazione dei Principi
Unidroit sui contratti commerciali internazionali a tali controversie e la loro decisione attraverso vari meccanismi
arbitrali.

Conclusioni. In conclusione, dunque, oggi questo tipo di rapporti vengono conclusi tra uno Stato, come operatore del
commercio internazionale, ed un privato straniero in seno ad un ordinamento giuridico che non è più di tipo interno.

ACCORDI BILATERALI STIPULATI DALL'ITALIA.


Clausole ricorrenti. I BITs stipulati dall'Italia si fondano su alcune clausole ricorrenti quali, ad esempio, il principio del
trattamento non discriminatorio degli investitori esteri rispetto a quelli nazionali dello Stato destinatario
dell'investimento, il principio di legalità nel caso di nazionalizzazioni o espropri e il principio della clausola della
Nazione più favorita. Fra le norme di garanzia poste a tutela dell'investitore si prevede quella concernente la libera
trasferibilità dei capitali inerenti all’investimento, da effettuarsi in qualsiasi valuta convertibile e senza indebito ritardo.
Nella prassi italiana, all'accordo principale viene allegato un Protocollo, che costituisce parte integrante dell'accordo, il
quale ha la funzione di interpretare e precisare alcune clausole contenute e senza indebito ritardo. In caso di
controversie, sempre più diffusa è la stipulazione, nel BIT, di apposito accordo arbitrale che devolve all'ICSID la
composizione dei litigi.

Tramonto dei BITs degli Stati membri UE, inclusa l'Italia. Con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la
competenza a concludere nuovi trattati bilaterali in materia di investimenti esteri è attribuita alla UE e si tratta di una
competenza esclusiva sicché, nel prossimo futuro, la negoziazione e conclusione di questi accordi sarà effettuata dalle
istituzioni dell'Unione.

GARANZIA DEGLI INVESTIMENTI ITALIANI ALL'ESTERO. La garanzia degli investimenti esteri viene
predisposta da ciascuno Stato per limitare il c.d. “rischio Paese” e quindi incentivare i propri operatori ad investire oltre
i propri confini. Tale rischio è legato alla possibilità che circostanze di natura politica o economica portino ad una
svalutazione dell'investimento effettuato nel Paese destinatario o al suo annientamento tramite misure di
nazionalizzazione o espropriazione. I fattori da cui dipende tale rischio sono ascrivibili, di regola, a misure statali.
Valutazioni del rischio Paese sono effettuate da numerosi enti (FMI, SACE) che riclassificano continuamente i vari
Paesi sulla base del quadro politico e della situazione economica e finanziaria. La SACE copre il rischio degli
investimenti all'estero dell'operatore nazionale che controlli o partecipi a società e imprese all'estero.

Il rischio garantito consiste principalmente nel rischio di perdite del capitale investito all'estero a causa di perdite
patrimoniali da parte dell'impresa costituita, controllata o partecipata all'estero o di definitiva impossibilità della
prosecuzione della sua attività in dipendenza degli eventi generatori di sinistro. Si tratta in particolare di ogni “decisione
di un Paese estero intendendosi con tale locuzione ogni atto, comportamento o decisione del governo di un Paese
diverso dal Paese dell'assicuratore, compresi atti comportamenti o decisioni di enti pubblici equiparati ad interventi del
governo che:
1- ostacolino l'esecuzione della Convenzione di credito acquirente o del contratto commerciale oppure
2- conducano alla nazionalizzazione, espropriazione, senza adeguato indennizzo […] oppure
3- incidano sugli investimenti all'estero modificando in modo unilaterale accordi generali o particolari di protezione o
realizzazione di detti investimenti oppure
4- modifichino gli impegni contrattuali sottoscritti da Autorità governative nel contesto di finanziamenti strutturati
oppure
5- determinino cambiamenti del quadro normativo/regolamentare nell'ambito del quale era stato specificamente
progettato il finanziamento strutturato”.
6- eventi quali guerra, guerra civile, rivoluzione, sommossa, tumulti civili, terrorismo, sabotaggio, ecc.

Anche la SIMEST può finanziare ed assicurare operazioni di investimento diretto estero.

LA MIGA (Agenzia per la garanzia multilaterale degli investimenti). È stata istituita tramite la Convenzione di Seul
dell'11 ottobre 1985 ed ha iniziato ad operare nell'aprile del 1988. si tratta di un ente dotato di personalità giuridica
internazionale – la cui attività è collegata a quella della Banca Mondiale – e che si compone di un Consiglio dei
governatori, rappresentanti degli Stati membri, un Consiglio di amministrazione ed un Presidente.

Gli Stati membri della MIGA risultano distinti, anche in funzione dell'apporto di capitale, in due categorie: la prima è
costituita dagli Stati industrializzati mentre la seconda raggruppa gli Stati meno sviluppati. Il sistema di voto si basa su
di un meccanismo di ponderazione che fa riferimento alla quota di capitale sottoscritto da ciascuno Stato.

Lo scopo di tale organismo è quello di facilitare gli investimenti diretti esteri nei Paesi in via di sviluppo offrendo
garanzie contro certi rischi non commerciali quali quelli di valuta, espropriazione, inadempimento contrattuale, conflitto
armato o disordini civili.

Contratto di garanzia MIGA. Qui la copertura assicurativa viene disciplinata mediante un apposito contratto
internazionale di garanzia tra la MIGA e l'investitore ove vengono precisate la durata, l'indennizzo, i tipi di rischi, ed
una clausola compromissoria in caso di controversie. Non sono coperti, invece, i rischi di mera svalutazione o
deprezzamento monetario. L'accordo assicurativo deve essere concluso prima di effettuare l'investimento, deve essere
effettuato in un PVS, il progetto deve essere approvato dal Paese in cui l'investimento verrà effettuato, l'orizzonte
temporale del progetto deve essere di almeno tre anni.

Prima di invocare la garanzia della MIGA occorre dimostrare l'esaurimento dei ricorsi interni allo Stato destinatario
dell'investimento. Le eventuali controversie tra la MIGA in qualità di surrogante e lo Stato destinatario vengono risolte
tramite negoziato od arbitrato secondo le regole dell'ICSID.

INVESTIMENTI STRANIERI IN ITALIA. Altro settore rilevante per gli scambi economici internazionali è quello
degli investimenti esteri diretti (IDE) in Italia. Qui si misura l'attrattività del Paese rispetto agli operatori economici
stranieri i quali apportano capitali al fine di insediarsi e realizzare stabilmente un'attività produttiva all'interno del nostro
Stato. I dati economici sugli investimenti stranieri in Italia, messi a confronto con quelli degli altri Paesi, evidenziano
tuttavia, da tempo, una situazione di progressivo arretramento degli IDE e di concentrazione nel Nord del Paese. Dal
punto di vista di un operatore estero, varie sono le modalità con cui è possibile sviluppare la propria presenza
commerciale in Italia.

Filiali e succursali straniere in Italia. A volte, le società multinazionali costituiscono in Italia una filiale, ossia
costituiscono una società di diritto italiano mantenendone, tuttavia, la maggioranza azionaria o comunque il controllo.
Altre volte, una società estera decide di stabilire in Italia solamente una sede secondaria: è il caso della succursale. Qui,
infatti, si tratta di una sede secondaria di una società principale la cui sede e l'oggetto principale sono all'estero. La sede
secondaria è comunque soggetta alla legge italiana e viene dotata di un fondo di dotazione di cui risponde sempre la
società principale, essendo la succursale sprovvista di personalità giuridica.

Applicazione dell'art. 2508 cod.civ. Le società extra-UE che stabiliscono nel territorio dello Stato italiano una o più
sedi secondarie dotate di una rappresentanza stabile sono soggette, ai sensi dell'art. 2508, c.1, cod.civ.it., alle
disposizioni della legge italiana sulla pubblicità degli atti sociali. Dette società avranno l'obbligo di depositare in Italia,
presso il Registro delle imprese del luogo ove è stata istituita la sede secondaria, copia dell'atto costitutivo e delle
eventuali modifiche successivamente intervenute alla nomina del rappresentante e all'attribuzione dei suoi poteri. Non è
previsto alcun controllo di legalità sulla costituzione della “casa madre” trattandosi di enti la cui soggettività deriva da
un ordinamento straniero riconosciuti come tali dall'ordinamento italiano. Le società estere sono altresì soggette, per
quanto riguarda le sedi secondarie in Italia, alle disposizioni che regolano l'esercizio dell'impresa o che la subordinano
all'osservanza di particolari condizioni. La sede secondaria viene assoggettata automaticamente a tutte le vigenti norme
italiane in materia di scritture contabili, rapporti di lavoro, rappresentanza e adempimenti fiscali. Del pari, la società
deve osservare le norme che riguardano le licenze e le necessarie autorizzazioni amministrative. Le società straniere,
con sede secondaria in Italia, devono istituire una propria rappresentanza stabile in Italia, poiché la norma richiede la
nomina di una o più persone munite del potere di rappresentanza sostanziale e processuale che esercitino l'attività
economica in modo non occasionale. Si ritiene, a tal fine, che non occorra la presenza in loco di uno o più
amministratori della società principale, bensì è sufficiente che le persone preposte all'amministrazione della sede
secondaria siano munite di apposita delega comprendente il potere di firma. Inoltre, la norma de qua si applica a
prescindere dal particolare tipo societario della sede principale, che può anche essere diverso da quelli conosciuti
dall'ordinamento italiano.

Le norme cui ora si è fatto riferimento vanno coordinate con quelle di origine UE per garantire il pieno esercizio della
libertà di stabilimento. Qualora invece si tratti di una società costituita all'estero, ma si tratti di una società
“comunitaria” che realizzi parte della propria attività in Italia tramite una sua sede secondaria, allora la normativa
societaria italiana cede per consentire la libertà di stabilimento e, più in generale, il primato del diritto dell'Unione su
quello nazionale.

LA CONDIZIONE GIURIDICA DELLO STRANIERO IN ITALIA (condizione di reciprocità).


Nozione di straniero. La nozione di “straniero” ha subito notevoli temperamenti e sviluppi nel nostro ordinamento
giacché esistono, tra i soggetti “non italiani”, diverse categorie di stranieri quali gli stranieri “comunitari” ed “extra-
comunitari” i quali, a propria volta, possono essere distinti tra “regolarmente soggiornanti” e “non legalmente
soggiornanti”. L'idea di fondo è quella di ammettere lo “straniero extra-UE non regolarmente soggiornante in Italia” al
godimento di tali diritti nel nostro Paese a condizione che la sua legge nazionale consenta a soggetti italiani, siano essi
persone fisiche o giuridiche, di fruire di quegli stessi diritti nel suo Paese.

Funzione dell'art. 16 preleggi. La funzione di questa norma è quella di precostituire una sorta di strumento di
“ritorsione e di rappresaglia” nei confronti dei cittadini di alcuni Stati stranieri al fine di promuovere la tutela dei diritti
e degli interessi degli italiani all'estero. Detta norma può essere letta in chiave di sanzione positiva, ossia di misura
premiale per quegli ordinamenti statali che predispongano un favorevole trattamento dei cittadini italiani all'estero;
senonché va ribadito che si tratta di una sanzione negativa: il suo effetto giuridico è, infatti, una limitazione di diritti in
Italia a carico di stranieri provenienti da Stati che non hanno predisposto o non riconoscono ai cittadini italiani i diritti
che si vogliono fare valere in Italia (la condizione di reciprocità non è mai stata abrogata).

RECIPROCITA' DIPLOMATICA, LEGISLATIVA E DI FATTO. La dottrina giusinternazionalistica distingue tre


tipi distinti di reciprocità.

1- Reciprocità diplomatica. Consiste nel parificare gli stranieri ai cittadini nella misura in cui ciò sia previsto e
regolato da appositi accordi intergovernativi (es. negli accordi bilaterali in materia di investimenti ed in quelli contro le
doppie imposizioni fiscali).

2- Reciprocità legislativa. Si ha invece reciprocità legislativa quando esistono nell'ordinamento interno dello Stato
straniero disposizioni legislative che attribuiscono ai cittadini italiani i diritti di cui gli stranieri invocano l'applicazione
nello Stato italiano.

3- Reciprocità di fatto (o sostanziale). Quando, a prescindere dal dato formale (accordo o disposizioni legislative
straniere), l'ordinamento straniero consenta in concreto ai cittadini di godere dei diritti di cui lo straniero intende
beneficiare. In questo caso, occorre avere a riguardo la prassi.

Posizione dell'ordinamento italiano. L'ordinamento italiano sembra improntato al modello della reciprocità di fatto
con riferimento al criterio della reciprocità in senso lato. La condizione di reciprocità di cui all'art.16 preleggi esige di
essere verificata sotto un duplice concorrente profilo e cioè, sia nel senso che lo Stato, cui lo straniero appartiene,
riconosca, in via generale e astratta, nel proprio ordinamento un diritto corrispondente a quello che lo straniero intende
esercitare in Italia, sia nel senso che tale ordinamento non ponga discriminazioni a danno del cittadino italiano in ordine
all'esercizio di quel diritto nello Stato estero.

FONDAMENTO E SIGNIFICATO DELLA “CONDIZIONE DI RECIPROCITA'” DI CUI ALL'ART. 16 DISP.


PREL. COD.CIV.IT. L'attività economica generale sul territorio italiano dello straniero, sia esso persona fisica o
giuridica, ricade nel campo di applicazione della norma di cui all'art.16 preleggi, a prescindere dalle vicende della legge
applicabile ai rapporti intrattenuti con soggetti italiani e dei limiti di applicabilità del diritto straniero.

Interpretazioni dottrinali art. 16 preleggi. Secondo una prima impostazione, la norma di cui al predetto art. 16 non
costituisce una norma di diritto internazionale privato, bensì affianca quelle norme incidendo unicamente sulla capacità
giuridica dello straniero e determinando una situazione di potenziale incapacità giuridica generale di diritto privato
italiano. Secondo altra parte della dottrina, invece, si tratta di una norma che configura un'incapacità giuridica speciale
limitata a determinati atti quali, in particolare, l'acquisto della proprietà di beni nello Stato.
Secondo l'Autore, l'art. 16 preleggi va considerato alla stregua di una peculiare norma di applicazione necessaria
dell'ordinamento italiano. Si tratta di una norma di applicazione necessaria italiana proprio perché appartiene a quelle
norme che, in linea generale, “in ragione del loro oggetto e dello specifico fine a cui tendono, si applicano a rapporti che
presentano elementi di estraneità rispetto al foro e che potrebbero trovarsi sottoposti ad una legge straniera”. Le norme
di applicazione necessaria costituiscono, infatti, un limite speciale al funzionamento del d.i.p. del foro, un limite che ha
per oggetto l'applicazione del diritto richiamato dalla norma di conflitto. Movendo da questa impostazione si ha che
l'art.16 colpisce – limitandola – sia la capacità dello straniero, che la validità dell'atto, determinando, a priori, una
situazione di possibilità/impossibilità giuridica dell'atto dettata da una norma imperativa italiana diretta a regolare il
traffico giuridico transnazionale.

In poche parole, l'art. 16 preleggi costituisce una norma generale volta a precostituire una ritorsione diretta a colpire
direttamente non singoli stati esteri, bensì gli atti in Italia dei cittadini di particolare stati esteri nei confronti dei quali la
reciprocità non è verificata.

Limiti di fonte costituzionale alla “reciprocità” di cui all'art. 16. Qualora ricorressero gli estremi di applicazione
dell'art.16, la condizione di reciprocità va coordinata con l'art.2 Cost., in base al quale “la Repubblica riconosce e
garantisce i diritti inviolabili dell'uomo”. Ne segue che lo straniero sarà sempre protetto dallo schermo dei diritti
inviolabili dell'uomo indicati ai successivi artt. 13 ss. della Costituzione, a prescindere dalle esigenze di reciprocità
poste dalla norma sotto ordinata.

Conclusione: il riconoscimento costituzionale dei diritti inviolabili dell'uomo non comporta un'assimilazione
automatica dello straniero nell'intero patrimonio giuridico del cittadino italiano. Né alcuna norma internazionale, sia
essa di natura consuetudinaria o pattizia, impone allo Stato italiano la completa parità tra cittadini italiani e stranieri
relativamente all'acquisto, al godimento e all'esercizio di tutti i diritti civili. Né, infine, la reciprocità appare in contrasto
con la norma costituzionale di cui all'art. 10, giacché si prevede che la condizione giuridica dello straniero sia regolata
dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali.

NUOVI LIMITI POSTI DALLA DISCIPLINA ITALIANA DELLA IMMIGRAZIONE.


L'art. 16 preleggi deve essere ulteriormente coordinato attraverso altre norme di rango legislativo, in particolare quelle
contenute nel Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello
straniero (TUI).

L'art. 1 TUI stabilisce che la nuova legge si applica ai cittadini di Stati non appartenenti all'UE e agli apolidi. L'art. 2
TUI stabilisce che lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile
attribuiti al cittadino italiano, salvo che le convenzioni internazionali in vigore per l'Italia e la presente legge dispongano
diversamente.

Si prevede in sostanza che il cittadino extracomunitario titolare della carta di soggiorno o di regolare permesso di
soggiorno rilasciato per motivi di lavoro subordinato, lavoro autonomo e familiari gode dei diritti civili senza che vi sia
necessità di verificare l'esistenza della condizione di reciprocità. Questa, viceversa, dovrà essere accertata per gli
stranieri extracomunitari persone fisiche non soggiornanti in Italia, o per coloro che in Italia soggiornino non
regolarmente e per coloro che non siano muniti della carta e del permesso di soggiorno, o per non averlo chiesto o
perché sia stato loro rifiutato. Per le stesse ragioni, la reciprocità non andrà dimostrata dagli apolidi e dai rifugiati in
Italia regolarmente residenti da almeno tre anni in Italia.

PROVA DELLA SUSSISTENZA DELLA CONDIZIONE DI RECIPROCITA'. Sussiste un obbligo in capo al


notaio di verificare la sussistenza della condizione di reciprocità. L'accertamento sarà immediato per i cittadini
comunitari, in base agli artt. 49, 56, 63 TFUE. Analoga soluzione si avrà per i cittadini dello Spazio Economico
Europeo. Per i cittadini “extracomunitari” - extra-UE - occorrerà invece verificare con cura se siano titolari di un
permesso di soggiorno di lungo periodo, per motivi di lavoro, per motivi di studio, di famiglia o umanitari. Per gli
apolidi ed i rifugiati occorrerà, altresì, verificare che i medesimi risultino regolarmente residenti nel territorio italiano da
almeno tre anni. Se poi, lo straniero extracomunitario sia privo di un titolo di soggiorno come quelli appena menzionati,
occorrerà verificare se sia in vigore un accordo avente ad oggetto i diritti civili tra il suo Paese e l'Italia. Diversamente,
occorrerà effettuare specifiche e più dispendiose indagini, anche eventualmente acquisendo il parere di esperti al fine di
accertare se sia verificata o meno la condizione di reciprocità.

LIMITI DI ORIGINE UE ED INTERSTATALE.


Art. 16 preleggi e diritto UE. Ulteriori limiti all'operatività della norma imperativa generale di cui all'art. 16 preleggi si
rinvengono attraverso il suo coordinamento con altre norme di origine unionale ed interstatale suscettibili di incidere
sull'attività economica dello straniero. Sul piano del diritto dell'UE risulta ormai pacifico che l'art. 16 preleggi non possa
essere invocato contro i cittadini degli altri Stati membri, in applicazione degli artt. 18 ss., 49, 56, 63 TFUE, norme che
hanno definitivamente sancito ogni divieto di discriminazione. Oltre alla cittadinanza europea, i principi in materia di
libera circolazione delle persone, di stabilimento e di prestazione di servizi si pongono in contraddizione con la norma
di cui all'art. 16 e quindi prevalgono senz'altro su di essa con tutta la forza e l'efficacia del diritto dell'Unione.

Art. 16 preleggi e CEDU. Si tratta di una norma corrispondente a quella prevista all'art. 1 del Protocollo addizionale
alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

Art. 16 preleggi e convenzioni internazionali in vigore per l'Italia. Per quanto riguarda i limiti di applicazione
derivanti da accordi interstatali in vigore per l'Italia, non v'è dubbio che questi ultimi prevalgano sulle corrispondenti
norme di cui all'art. 16 preleggi in virtù del principio di specialità che le norme dei trattati in vigore assumono nel diritto
interno. Così, occorre verificare se lo Stato di cui lo straniero è cittadino abbia concluso un accordo internazionale in
materia di diritti civili con l'Italia. Qualora siffatto accordo fosse in vigore, esso dunque prevarrà sull'art. 16, in virtù del
principio di specialità, e quindi, la condizione di reciprocità richiesta verrà derogata dalle corrispondenti norme
dell'accordo interstatuale. Tale è il caso dei cittadini degli Stati con i quali sia in vigore un accordo bilaterale sulla
protezione degli investimenti o altre categorie di accordi internazionali quali ad esempio, gli accordi di stabilimento ed i
Trattati di amicizia, commercio e navigazione. Questa verifica viene facilitata dal Ministero degli Affari esteri e della
Cooperazione internazionale tramite il proprio sito internet.

PARTECIPAZIONE DI STRANIERI IN SOCIETA' ITALIANE. In linea di principio, le persone fisiche e


giuridiche straniere che vogliono intraprendere un'attività in Italia possono costituire ex novo una società o assumere
delle partecipazioni al capitale sociale di una società italiana già esistente. In tal caso, la società costituita o altro ente
che soddisfi i requisiti di cui all'art.25 della L.n. 218/95 sono da considerare, in sé per sé, italiani a tutti gli effetti.

I cittadini dell'UE beneficiano del diritto di stabilimento previsto all'art. 54 TFUE e pertanto possono costituire,
assumere partecipazioni e gestire società sul territorio italiano in posizione di parità con i cittadini italiani. Va anche
ricordato che il TUI ha consentito agli stranieri (persone fisiche) “extracomunitari” regolarmente soggiornanti in Italia
da almeno 3 anni di partecipare a società italiane (si applica l'art.26 TUI). Anche i rifugiati e gli apolidi possono
costituire società in Italia solo qualora siano regolarmente residenti da almeno tre anni. Invece, lo straniero
extracomunitario persona giuridica o fisica, non regolarmente soggiornante in Italia, che desideri diventare socio o
acquistare partecipazioni in società italiane, lo potrà fare solo a condizione di reciprocità, come previsto dall'art. 16
preleggi.

La condizione di reciprocità dovrà quindi essere soddisfatta da ciascun socio straniero e la sua cittadinanza deve essere
espressamente menzionata nell'atto costitutivo. Se la reciprocità sussiste, il socio straniero viene equiparato al socio
italiano e può anche risultare unico azionista.

Restano ferme tutte le considerazioni in materia di diritti fondamentali, incluso quello di adire il giudice da parte del
socio straniero alle stesse condizioni previste per il socio italiano. Così la Cassazione ha stabilito che, in una società
commerciale costituita in Italia tra cittadini italiani e stranieri, qualora l'atto costitutivo contenga una clausola
compromissoria e gli arbitri nominati in virtù di essa abbiano declinato la loro competenza, il diritto di agire il giudice
italiano risorge sia in favore del socio italiano che di quello straniero.

CAPITOLO 16
SOLUZIONI DELLE CONTROVERSIE INTERSTATALI PRESSO L'OMC
PROCEDIMENTO.
Il contenzioso tra i Membri dell’OMC/WTO è affidato ad un organo di Stati, il Consiglio generale (che opera quale
DSB cioè Dispute Settlement Body).

La prima fase del procedimento comprende la fase delle consultazioni tra i contendenti al fine di pervenire ove possibile
ad una soluzione mutuamente accettabile. In questa fase – il cui termine è di 60 giorni – possono attivarsi anche due tipi
di forme classiche di soluzione pacifica delle controversie: da un lato il Direttore generale dell'OMC può esercitare i
propri buoni uffici o svolgere opera di conciliazione e di mediazione; dall'altro, le parti in lite possono ricorrere
all'arbitrato internazionale in senso proprio e, quindi, “uscire” dal procedimento istituzionale.

Nomina del panel. Nel caso in cui la controversia non trovi soluzione, il DBS procede alla nomina di un Panel formato
da 3 o 5 esperti indipendenti i quali devono redigere un rapporto dettagliato in cui vengono valutate le questioni di fatto
e di diritto relative alle domande delle parti. Il rapporto accerta la compatibilità delle misure nazionali impugnate con gli
obblighi derivanti dall'OMC e raccomanda le misure necessarie al fine di far cessare l'eventuale violazione. (6 mesi)
Adozione del rapporto del Panel. Una volta redatto il proprio rapporto, il Panel lo trasmette al DSB che lo adotta entro
60 gg dalla data in cui la relazione è stata distribuita ai Membri salvo il consensus negativo e cioè la volontà unanime
dei Membri dell'OMC di respingerlo. Parimenti, il rapporto del Panel non viene adottato qualora una delle parti in lite
decide di ricorrere all'Organo d'appello.

L'Organo d'appello del WTO. Quest'ultimo, che è organo permanente, si compone di 7 esperti indipendenti nominati
dal DSB per un periodo di 4 anni rinnovabili solo una volta ed è competente ad esaminare le solo questioni “giuridiche
contemplate nella relazione del panel e alle interpretazioni giuridiche sviluppate del Panel”. Il rapporto dell'Organo
d'appello può confermare, modificare o annullare le constatazioni e le conclusioni giuridiche del panel”. La decisione
dell'Organo d'appello è “accettata incondizionatamente dalle parti della controversia” e diviene automaticamente
vincolante a meno che non si formi un consensus negativo.

ATTUAZIONE DELLE DECISIONI DEL DSB. Al fine di verificare l'attuazione delle raccomandazioni e delle
decisioni del DSB, 30 gg dopo la data di adozione del rapporto del Panel o dell'Organo d'appello la Parte soccombente
“informa il DSB delle sue intenzioni” circa l'esecuzione delle misure previste. Qualora non sia possibile ottemperare
immediatamente, è accordato un “periodo di tempo ragionevole” che può essere concordato tra le stesse Parti o fissato
tramite arbitrato.

Ritorsioni incrociate. Qualora invece non venga data esecuzione al rapporto, il DSB può autorizzare la Parte
“vincitrice” a adottare delle contromisure commerciali. Queste possono colpire settori diversi da quelli implicati nel
contenzioso e in questo caso si parla di “ritorsioni incrociate”.
La partecipazione di soggetti privati a tali procedimenti è di norma esclusa.

CAPITOLO 17
LE CONTROVERSIE TRANSNAZIONALI DINANZI ALL'ARBITRO
L'arbitrato. La dottrina è unanime nel considerare l'arbitrato come il modo più diffuso di composizione delle
controversie nascenti nel commercio internazionale. L'arbitrato “è un processo privato, volto ad una giustizia alternativa
rispetto a quella di cognizione somministrata dal giudice statuale. Ha per oggetto controversie su posizioni e pretese
giuridiche; si svolge innanzi ad un privato – l'arbitro – con la partecipazione dei litiganti in contraddittorio; mette capo
una disposizione, il lodo dell'arbitro vincolante tra le parti”. Le principali fonti dell'arbitrato commerciale
internazionale sono le convenzioni internazionali in vigore, le legislazioni nazionali sull'arbitrato, i regolamenti
arbitrali.

TIPOLOGIA DELL'ARBITRATO. L'arbitrato è un mezzo di risoluzione elle controversie alternativo alla


giurisdizione statale. Per radicare il procedimento arbitrale è sufficiente che le parti abbiano inserito nel contratto una
specifica clausola compromissoria. Anche dopo il verificarsi della lite è comunque possibile optare per il ricorso
all'arbitrato, sottoscrivendo un apposito compromesso. In quest'ultimo caso si tratta di un accordo posteriore al contratto
o, più in generale, al rapporto litigioso.

Distinzioni concettuali. Nell'accordo arbitrale le parti possono fare riferimento ad una istituzione arbitrale o stabilire
esse stesse il procedimento. Nel primo caso il procedimento sarà amministrato dall'ente e si svolgerà secondo le regole
stabilite nel relativo regolamento. Altrimenti, si ha il caso dell'arbitrato ad hoc: le parti dovranno indicare in dettaglio le
regole cui gli arbitri si dovranno attenere ai fini della pronunzia del lodo. Un'ulteriore partizione, caldeggiata dalla
dottrina italiana si ha tra arbitrato rituale (lodo vincolante per le parti) ed irrituale (decisione che ha valore meramente
contrattuale). Si può inoltre avere un arbitrato secondo diritto o secondo equità. Quest'ultima figura si realizza nel
formulare giudizi sul caso di specie senza avere riguardo a norme generali prestabilite.
Dall'arbitro vanno ulteriormente distinti l'arbitraggio e la perizia contrattuale. La figura dell'arbitraggio ricorre
esclusivamente in quelle fattispecie in cui le parti abbiano lasciato indeterminato un elemento contrattuale e, di
conseguenza, richiedano ad un terzo, l'arbitratore, di determinarlo. Si ha perizia contrattuale ogni qualvolta le parti
affidano ad una o più persone una valutazione tecnica confidando nella loro particolare competenza. Entrambi gli istituti
hanno in comune la loro natura contrattuale che, come tale, impedisce di attribuire al risultato dell'attività
dell'arbitratore o del perito valore di sentenza come invece avviene per il lodo arbitrale.
Un'ulteriore partizione è quella tra arbitrato interno, internazionale (quando una delle parti ha residenza o sede all'estero
o esecuzione all'estero di una parte rilevante delle prestazioni nascenti dal rapporto al quale la controversia si riferiva)
ed estero (quando la sede dell'arbitrato non è in Italia ed il procedimento si è esaurito all'estero).

ARBITRATO ICC. Il procedimento arbitrale amministrato dalla ICC prende avvio con l'istanza arbitrale inviata da
una delle parti al Segretariato della Corte Internazionale di arbitrato. Il Segretariato notifica all'attore ed al convenuto
l'avvenuta ricezione della domanda di arbitrato e la data di tale ricezione che costituisce la data d'inizio del
procedimento arbitrale. Il convenuto, entro 30 gg, deve trasmettere l'atto di risposta. Definiti gli elementi della
controversia si passa alla costituzione del tribunale arbitrale. Gli arbitri possono essere uno, tre o più ma sempre in
numero dispari. Ciascuna delle parti nomina un arbitro il quale deve possedere requisiti di indipendenza rispetto alle
parti in lite e deve essere confermato nelle sue funzioni dalla Corte internazionale di arbitrato della ICC.

Sede dell'arbitrato. Una volta costituito il collegio arbitrale, la Corte d'arbitrato fissa il luogo dell'arbitrato e trasmette
il fascicolo agli arbitri. Questi ultimi dovranno risolvere la specifica controversia seguendo il procedimento previsto dal
regolamento di arbitrato ICC.

Il locus arbitri, ossia il luogo in cui viene riposta la sede dell'arbitrato acquista particolare importanza giuridica, sia per
la comparizione di testi che per i provvedimenti cautelari, sia ai fini di eventuali azioni di impugnazione del lodo
dinanzi al giudice statale del Paese nel cui territorio si svolge l'arbitrato per tentare di impedire la circolazione
transnazionale del lodo stesso, in particolare ai sensi e per gli effetti della Convenzione di New York del 10 giugno
1958. Ne consegue che, nonostante gli arbitri conducano il procedimento arbitrale ICC, le norme statali della lex arbitri
- ossia la normativa nazionale sull'arbitrato in vigore nello Stato di sede assumono rilievo, sia in caso di eventuali (rare)
lacune del regolamento arbitrale, sia definendo i rapporti tra arbitri e giudici nazionali durante il procedimento sia, alla
fine dell'arbitrato, disciplinando gli eventuali rimendi contro la decisione arbitrale nello Stato di origine del lodo. Ecco
perché la scelta della sede dell'arbitrato è una variabile strategica.

Norme applicabili al merito. Le norme applicabili al merito delle controversie sono fissate all'art.21 Reg. ICC 2017.
Tramite detto articolo si prevede l'applicazione non solamente di norme statali ma anche di norme di origine a-nazionale
come la lex mercatoria e i Principi Unidroit. In sede di arbitrato, dunque, le parti hanno facoltà di designare regole non
statali al merito della controversia.

Lodo. Prima di sottoscrivere il lodo e consegnarlo alle parti gli arbitri devono trasmettere il progetto di lodo alla Corte
internazionale di arbitrato della ICC la quale può anche prescrivere modifiche di forma e richiamare la sua attenzione su
questioni inerenti al merito della controversia. Il lodo non può essere emesso senza essere stato approvato dalla Corte.
Una volta esaurita quest'ultima fase, il Segretariato notifica alle parti il testo del lodo. A questo punto, la parte risultata
vittoriosa nell'arbitrato chiederà alla parte soccombente l'esecuzione della decisione arbitrale. Qualora detta esecuzione
non avvenisse in modo spontaneo, occorrerà chiedere al giudice statale l'exequatur del lodo. Grazie alla Convenzione di
New York del 1958, il riconoscimento e l'esecuzione dei lodi arbitrali è reso uniforme in tutti gli Stati contraenti della
medesima convenzione, facilitando così l'efficacia dello strumento arbitrale.

RICONOSCIMENTO ED ESECUZIONE IN ITALIA DI LODI ARBITRALI STRANIERI. Il lodo estero è


soggetto al procedimento di riconoscimento, esecuzione ed eventuale opposizione, disciplinato rispettivamente dagli
artt. 839 e 840, fatte salve, in ogni caso, le norme stabilite in Convenzioni internazionali. Il Presidente della corte
d'appello, accettata la regolarità del lodo dichiara con decreto l'efficacia del lodo straniero nella Repubblica.

Exequatur del lodo. L'exequatur del lodo straniero in Italia va chiesto con ricorso al Presidente della Corte d'Appello
nella cui circoscrizione risiede l'altra parte e se tale parte non risiede in Italia, è competente la Corte d'Appello di Roma.
Il presidente della Corte d’Appello decide con decreto dopo aver verificato la regolarità formale del lodo. A tale scopo,
il giudice richiesto è tenuto a compiere due serie di accertamenti: il primo volto a verificare che la controversia fosse
arbitrale dal punto di vista del diritto italiano; il secondo concerne l'eventuale contrarietà del lodo con l'ordine pubblico
del foro.

Opposizione. Contro il decreto del giudice italiano che accorda o nega l'exequatur del lodo straniero è ammessa
opposizione dinanzi alla Corte d'Appello. Il riconoscimento o l'esecuzione del lodo straniero sono rifiutati dalla corte
d'appello se nel giudizio di opposizione la parte contro la quale il lodo è invocato prova l'esistenza di una delle seguenti
circostanze:
1) le parti della convenzione arbitrale erano incapaci in base alla legge ad esse applicabile oppure la convenzione
arbitrale non era valida secondo la legge alle quale le parti l'hanno sottoposta;
2) la parte nei cui confronti il lodo è invocato non è stata informata della designazione dell'arbitro o del procedimento
arbitrale
3) il lodo ha pronunciato su una controversia non contemplata nel compromesso o nella clausola compromissoria;
4) la costituzione del collegio arbitrale o il procedimento arbitrale non sono stati conformi all'accordo delle parti;
5) il lodo non è ancora divenuto vincolante per le parti o è stato annullato o sospeso da un'autorità competente dello
Stato.

La parte soccombente nel procedimento arbitrale può dunque tentare di resistere nonostante l'exequatur del giudice
statale. Ma l'opposizione non permette mai di rimettere in discussione l'intero risultato dell'arbitrato reintroducendo un
ulteriore grado di giudizio.
Il legislatore italiano aggiunge -a differenza di altri Stati contrenti della convenzione di NY- l'ulteriore motivo di
impugnazione del mancato conseguimento dell'efficacia vincolante del lodo o dell'annullamento o della sospensione nel
Paese in cui è stato pronunciato.

Annullamento nello Stato di origine del lodo. Nel caso in cui il lodo non fosse obbligatorio o fosse stato annullato o
sospeso nello Stato di origine, la Corte d'Appello italiana potrà, a propria volta, sospendere il procedimento per il
riconoscimento o l'esecuzione del lodo straniero. La parte che chiede al giudice italiano il riconoscimento può
comunque chiedere al giudice italiano di ordinare all'altra parte di prestare idonee garanzie. Restano salve, ovviamente,
le norme stabilite in Convenzioni internazionali multilaterali o bilaterali in materia di arbitrato.

ARBITRATO ICSID (Centro internazionale per il regolamento delle controversie in materia di investimenti). È
stato istituito sotto gli auspici della Banca Mondiale, tramite la Convenzione di Washington del 1965 (153 membri
effettivi), al fine di risolvere le controversie tra Stati e privati stranieri. Scopo dell'ICSID è quello di incentivare gli
investimenti privati all'estero attraverso la predisposizione di meccanismi internazionali a carattere conciliativo-arbitrale
in grado di risolvere le controversie tra Stati e privati stranieri in subiecta materia.

Spetta al Consiglio di amministrazione l'emanazione del regolamento di arbitrato. Il Segretario Generale, eletto dal
Consiglio a maggioranza dei 2/3 dei componenti, è, invece, il legale rappresentante del Centro di cui è a capo
dell'apparato amministrativo. Detta funzione comprende, in primis, quella di amministrazione dei procedimenti arbitrali
che si svolgono sotto l’egida dell'ICSID assolvendo a funzioni di cancelleria con competenza ad autenticare i lodi ed a
fornire copie autentiche dei medesimi.

Regolamento arbitrale. La Convenzione di Washington si applica tra uno Stato contraente e un soggetto di un altro
Stato contraente, i quali siano in relazione diretta con un investimento e che le parti abbiano consentito per iscritto di
sottoporre al Centro; quando le parti hanno dato il loro assenso, nessuna di esse può ritirarlo unilateralmente. Tramite il
meccanismo arbitrale ICSID si potenzia la posizione giuridica dell'individuo nel diritto internazionale degli
investimenti, attribuendogli un ruolo attivo nell'applicazione e nell'esecuzione coattiva del diritto internazionale.

Esclusione della protezione diplomatica. Nessuno Stato contraente può accordare la protezione diplomatica o
avanzare pretese internazionali in relazione ad una controversia che uno dei suoi soggetti ed un altro stato contraente
hanno convenuto di sottoporre o hanno sottoposto ad arbitrariato nel quadro della Convenzione di Washington. Lo Stato
destinatario dell'investimento e lo straniero si confrontano direttamente nel procedimento arbitrale internazionale, un
procedimento amministrato da un organismo intergovernativo che si caratterizza per la sua completa autonomia e
autosufficienza rispetto a qualsiasi ordinamento giuridico nazionale, incluso quello della sede dell'arbitrato.

Consenso all'arbitrato ICSID. Le parti devono esprimere il loro consenso a favore dell'arbitrato ICSID. A partire dal
1992 si è ammesso che l'investitore privato possa iniziare un procedimento arbitrale ICSID contro uno Stato straniero
basando la propria richiesta di arbitrato su un trattato bilaterale di investimento.

Diritto applicabile al merito. Un ulteriore aspetto di particolare importanza è l'individuazione del diritto applicabile
alla controversia. Qui si cerca di mediare tra gli interessi del Paese destinatario dell'investimento e quelli del privato
investitore, lasciando comunque ampia libertà alla volontà delle parti. Il Tribunale si pronuncia sulla controversia
conformemente alle norme di diritto convenute tra le parti. In difetto di accordo tra le parti, il Tribunale applica la legge
dello Stato contraente parte nella controversia come pure i principi di diritto internazionale in materia.

Exequatur dei lodi ICSID. Per quanto riguarda la fase del riconoscimento e dell'esecuzione dei lodi arbitrali, la
Convenzione di Washington obbliga tutti gli Stati che l'hanno ratificata, a riconoscere e dare esecuzione ai lodi arbitrali
ICSID, come se si trattasse di decisioni definitive dei propri giudici nazionali e prescindendo da qualunque controllo da
parte del giudice interno. Gli artt. 53-55 della Convenzione di Washington del 1965 dispongono il carattere obbligatorio
dei lodi non solo tra le parti, ma anche tra gli Stati contraenti. Ne risulta un rafforzamento della tutela dell'investitore
privato in ipotesi di mancata esecuzione spontanea del lodo, aumentando così la fiducia degli investitori in rapporti
transnazionali di medio-lungo periodo soggetti a rischi politici e commerciali. Per ottenere il riconoscimento e
l'esecuzione di un lodo ICSID, occorre presentare copia del lodo, certificata conforme dal Segretario Generale del
Centro, al tribunale competente dello Stato in cui si richiede l'exequatur.

L'eventuale decisione relativa all'annullamento di un lodo ICSID spetta ad un Comitato ad hoc di tre membri nominato
dal Presidente del ICSID fra gli arbitri inclusi in un apposito elenco.
CAPITOLO 18
LE CONTROVERSIE TRANSNAZIONALI DINANZI AL GIUDICE INTERNO
LA COMPETENZA GIURISDIZIONALE DEL GIUDICE INTERNO IN ASSENZA DI UNA CLAUSOLA
ARBITRALE E DI UNA CLAUSOLA DI DESIGNAZIONE DEL FORO COMPETENTE.

La L.n. 218/95 e l'ambito della giurisdizione italiana. In assenza di convenzioni internazionali in vigore per l'Italia,
ovvero di specifici atti di origine unionale, la giurisdizione italiana viene fissata dalle norme generali di cui alla L.n.
218/95. Una volta stabilita la giurisdizione italiana, a prescindere dalle vicende del diritto applicabile alla sostanza della
controversia, il processo dinanzi al giudice interno viene celebrato esclusivamente secondo la legge italiana. Dal punto
di vista dell'ordinamento italiano, la competenza dei nostri giudici si radica alternativamente quando il convenuto è
domiciliato o residente in Italia oppure quando questi abbia un rappresentante autorizzato a stare in giudizio, a
prescindere dalla cittadinanza. Per le persone giuridiche vale, in via generale, la sede dell'amministrazione.

Regolamento Bruxelles I bis. Si applica in materia civile e commerciale ad esclusione del settore fiscale, doganale ed
amministrativo. Detto Reg. si applica quando il convenuto è domiciliato in uno Stato UE.

Legge applicabile al processo e conflitto di leggi. Laddove il processo, per effetto delle norme in materia di
giurisdizione, si radichi in Italia, sarà regolato esclusivamente dal diritto italiano (comprensivo del diritto UE). Il diritto
applicabile al merito della controversia (norme sostanziali), invece, sarà quello designato dalle norme di conflitto in
vigore in Italia.

Foro generale: il domicilio del convenuto. Le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono
convenute, a prescindere dalla loro cittadinanza, davanti ai giudici di tale Stato membro (Reg. Bruxelles I bis). La
competenza generale spetta, dunque, al giudice dello Stato in cui è domiciliato il convenuto indipendentemente dalla
cittadinanza di quest'ultimo. Per le persone giuridiche il domicilio coincide con la sede sociale, l'amministrazione
centrale o il centro di attività principale.

Fori speciali. In alternativa alla regola generale del foro del convenuto, in particolari materie vigono regole speciali in
base alle quali la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta in un altro Stato membro:

1) in materia contrattuale davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere
eseguita;
2) in materia di “illeciti civili dolosi o colposi, davanti al giudice del luogo in cui l'evento dannoso è avvenuto o può
avvenire”;
3) qualora si tratti di un'azione di risarcimento danni;
4) qualora si tratti di una controversia concernente l'esercizio di una succursale, di un'agenzia o di qualsiasi altra sede
d'attività, davanti al giudice del luogo in cui essa è situata;
5) nella sua qualità di fondatore, trustee o beneficiario di un trust costituito in applicazione di una legge o per iscritto o
con clausola orale confermata per iscritto, davanti ai giudici dello Stato membro nel cui territorio il trust ha domicilio;
6) l'assistenza o il salvataggio di un carico o di un nolo;
7) in materia assicurativa, in materia di lavoro e di contratti conclusi con i consumatori.

Fori esclusivi ed inderogabili. Per alcune materie sussiste una competenza esclusiva del giudice individuato dall'art.
24:
1) in materia di diritti reali immobiliari e di contratti d'affitto di immobili, i giudici dello Stato membro in cui
l'immobile è situato. Per i contratti per un periodo massimo di 6 mesi hanno competenza anche i giudici dello stato
membro purché affittuario e proprietario siano domiciliati nello stesso Stato membro.
2) in materia di validità, nullità o scioglimento delle società o persone giuridiche, aventi la sede nel territorio di uno
Stato membro, o riguardo alla validità delle decisioni dei rispettivi organi, i giudici di detto Stato membro.
3) in materia di validità delle trascrizioni ed iscrizioni nei pubblici registri, i giudici dello Stato membro nel cui
territorio i registri sono tenuti.
4) in materia di registrazione o di validità di brevetti, marchi, disegni e modelli e di altri diritti analoghi per i quali è
prescritto il deposito ovvero la registrazione, i giudici dello Stato membro nel cui territorio il deposito o la registrazione
sono stati richiesti, sono stati effettuati o sono da considerarsi effettuati a norma di un atto normativo comunitario o di
una Convenzione internazionale.
5) in materia di esecuzione delle decisioni, i giudici dello Stato membro nel cui territorio ha luogo l'esecuzione.

Difetto di giurisdizione. Ai sensi degli artt. 27-28 del Reg. Bruxelles I bis, l'incompetenza del giudice adito può essere
sollevata dal convenuto o, d'ufficio, dal giudice adito quando (a) è investito a titolo principale di una controversia
rientrante nella competenza esclusiva di un altro giudice; (b) non sussiste la competenza in base al Reg. Bruxelles I bis
ed il convenuto non compare in giudizio. Rientrano in questa categoria tutte le cause di limitazione alla giurisdizione
derivanti dal diritto internazionale “pubblico”, di fonte consuetudinaria o pattizia.

COMPETENZA GIURISDIZIONALE DEL GIUDICE INTERNO IN PRESENZA DI UNA CLAUSOLA DI


DESIGNAZIONE DEL FORO COMPETENTE.

Clausole attributive della giurisdizione. Le parti ad un contratto possono scegliere in anticipo il giudice dello Stato
ove risolvere le loro controversie. In tal caso stipulano un'apposita clausola tramite la quale pattuiscono di attribuire la
competenza a conoscere delle controversie, presenti o future, nate da un determinato rapporto giuridico, ad un giudice
di un dato Stato membro. Le clausole attributive di giurisdizione sono consentite all'art. 4 della L.n. 218/95. La materia
si trova disciplinata agli artt. 24 e 25 del Reg. Bruxelles I bis. La clausola attributiva di giurisdizione non può avere per
oggetto, a pena di inefficacia, le materie rientranti nella competenza esclusiva di cui all'art. 24, ovvero la materia
assicurativa. Ulteriori limiti all'efficacia di dette clausole sono imposti a favore dei consumatori e dei lavoratori.

LE CONTROVERSIE CON GLI STATI E LE ORGANIZZAZIONI INTERGOVERNATIVE: L'IMMUNITA'


DALLA GIURISDIZIONE DI COGNIZIONE.

Fondamento e significato dell'immunità. Fino ad un'epoca abbastanza recente, in base ad un principio di diritto
internazionale consuetudinario, si riteneva che il giudice interno non avesse competenza a decidere le controversie con
gli Stati stranieri. Successivamente, la giurisprudenza italiana per prima, seguita da quella belga, francese, svizzera e poi
dei Paesi anglosassoni, ha sviluppato la distinzione tra immunità assoluta e relativa, distinzione tuttora valida che trae
origine, appunto, dallo sviluppo di attività diverse da quelle tradizionalmente svolte dagli Stati. Tale orientamento è
stato accolto in molti altri Paesi e ha ricevuto consacrazione legislativa ad esempio nel Foreign Sovereign Immunities
Act del 1976 negli USA e Convenzione europea sull'immunità degli Stati del 1972 (non in vigore per l'Italia).

Convenzioni internazionali in materia di immunità. L'esame dei lavori della Commissione di Diritto internazionale
dell’ONU circa il Progetto di articoli su “Le immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni” evidenzia che la
portata esatta della distinzione tra acta iure imperii e iure gestionis degli stati non viene definita dal diritto
internazionale bensì ricavata dalla prassi dei singoli Stati e tale prassi non appare univoca. Di conseguenza, la
qualificazione spetta al giudice interno dello Stato in cui l'immunità viene invocata.

Immunità assoluta e ristretta. In linea generale, si ha immunità assoluta e quindi totale difetto di giurisdizione del
giudice interno, ogni qualvolta si tratti dell'instaurazione di un giudizio di cognizione avente ad oggetto degli acta iure
imperii, ossia atti attraverso i quali si esplica l'esercizio delle funzioni pubbliche statali. Qualora, tuttavia, si tratti di acta
iure gestionis, ossia di atti di natura privatistica come contratti di compravendita, di locazione, ecc., posti in essere jure
privatorum la teoria dell'immunità ristretta depone nel senso di assoggettare questi stessi atti alla competenza del
giudice interno.

Immunità delle OIG. Le OIG beneficiano dell'immunità dalla giurisdizione civile ed esecutiva in virtù di accordi
intergovernativi. Dall'analisi di ciascun accordo è dunque possibile determinare la posizione processuale dell'ente
dinanzi al giudice interno dei singoli Stati. Anche in materia di immunità delle OIG, parallelamente a quanto si è
verificato per gli Stati, si è progressivamente delineata la distinzione tra atti iure imperii e iure gestionis, sia rispetto alla
giurisdizione cognitiva, sia rispetto a quella cautelare ed esecutiva. La questione dell'immunità si concretizza rispetto ai
contratti dell'ente e cioè, ancora una volta, ai rapporti giuridici posti in essere dall'organizzazione con operatori
economici privati, rapporti che sempre più spesso vengono muniti di accordo arbitrale.

Sia gli Stati che le OIG possono unilateralmente rinunciare alle loro immunità. La rinuncia può essere espressa oppure
implicita.

L'IMMUNITA' DALLA GIURISDIZIONE CAUTELARE ED ESECUTIVA.


Exequatur. Nel caso dell'esecuzione forzata su beni appartenenti ad uno Stato straniero, opera il principio secondo il
quale l'esecuzione forzata è ammessa se ha per oggetto beni che non siano destinati ad una pubblica funzione. I beni di
Stati esteri presenti in Italia e destinati all'esercizio di funzioni pubbliche sono immuni ex se da misure coercitive,
indipendentemente dalla condizione di reciprocità.

In estrema sintesi, al fine di stabilire se i beni colpiti da misure esecutive siano coperti dall'immunità occorre fare
riferimento, caso per caso, alla loro destinazione ed al concreto collegamento con lo svolgimento di atti iure imperii;
diversamente, se la destinazione ed il collegamento si verificano con un'attività commerciale, l'immunità viene meno.
Può essere colpito solo lo “Stato-imprenditore” e non lo “Stato-apparato”.
ASSUNZIONE DI PROVE IN MATERIA CIVILE E COMMERCIALE ALL'ESTERO AI PROCEDIMENTI
SEMPLIFICATI.

Uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia. Negli ultimi anni, si assiste ad un peculiare sviluppo del
principio di mutuo riconoscimento delle decisioni in materia civile e commerciale nell'ordinamento comunitario.

Assunzione di prove all'estero. Il Reg. (CE) n. 1206/2001, del Consiglio del 28 maggio 2001, relativo alla
cooperazione fra autorità giudiziarie per l'assunzione di prove in materia civile o commerciale all'estero, applicabile a
partire dal 1°gennaio 2004, ricalca in larga misura le norme della Convenzione dell'Aja del 18 marzo 1970 che già era
in vigore tra 11 Stati membri. Il Regolamento si applica, in materia civile e commerciale, quando il giudice di uno Stato
membro richiede all'organo giurisdizionale competente di un altro Stato membro di compiere un atto di assistenza o di
aprire direttamente un'istruttoria. Per facilitare la comunicazione diretta tra i giudici, ciascuno Stato membro predispone
un elenco dei magistrati di collegamento e designa un'autorità centrale con il compito di fornire informazioni e di
ricercare soluzioni per le difficoltà che possono sorgere in occasione di una richiesta.

L'EFFICACIA IN ITALIA DELLE SENTENZA STRANIERE.

Primato del Reg. Bruxelles I bis sul “diritto comune” di cui alla L.n. 218/95 ed al c.p.c. La legge di riforma del
sistema italiano di d.i.pr. (l.n.218/95) tratta dell'efficacia delle sentenze e degli atti stranieri in Italia promuovendone il
loro riconoscimento automatico, senza però rinunciare completamente alla giurisdizione esecutiva dello Stato italiano
sul proprio territorio. Viene fatta salva l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia e, in ambito
UE, occorre fare particolare riferimento al Reg. Bruxelles I bis. La questione dell'efficacia delle sentenze e degli atti
emessi negli Stati membri dell'UE va affrontata separatamente da quella dell'efficacia di sentenze ed atti stranieri
provenienti da Paesi extra UE.

Reg. Bruxelles I bis. Generalizza, estendendola a tutte le decisioni giudiziarie in materia civile e commerciale,
l'abolizione dell'exequatur, vale a dire la soppressione di qualsiasi procedura necessaria affinché l'esecutività di una
decisione resa in uno Stato membro dell'UE possa avere effetto anche in un altro Stato membro. L'art. 39 del Reg.
Bruxelles I bis prevede, inoltre, che “la decisione emessa in uno Stato membro che è esecutiva in tale Stato membro è
altresì esecutiva negli altri Stati membri senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività”.

Sentenza extra UE e norme italiane. Nel caso di sentenze extra UE, in mancanza di convenzioni internazionali
bilaterali o multilaterali in vigore relativamente al caso di specie, occorre fare riferimento al diritto comuni ossia alla L.
n. 218/95. Qui, viene espresso il principio generale per cui le sentenze straniere passate in giudicato sono
automaticamente riconosciute in Italia senza necessità di speciali procedimenti esecutivi se, a norma dell'art. 64 ss.,
vengono rispettate le seguenti condizioni:

1) il giudice che l'ha pronunciata poteva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale
propri dell'ordinamento italiano;
2) l'atto introduttivo del giudizio è stato portato a conoscenza del convenuto in conformità a quanto previsto dalla legge
del luogo dove si è svolto il processo e non sono stati violati i diritti essenziali della difesa;
3) le parti si sono costituite in giudizio secondo la legge del luogo dove si è svolto il processo o la contumacia è stata
dichiarata in conformità a tale legge;
4) essa è passata in giudicato secondo la legge del luogo in cui è stata pronunciata;
5) essa non è contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano passata in giudicato;
6) non pende un processo davanti a un giudice italiano per il medesimo oggetto e fra le stesse parti, che abbia avuto
inizio prima del processo straniero;
7) le sue disposizioni non producono effetti contrari all'ordine pubblico.

Mancata ottemperanza. In caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della sentenza,
“chiunque vi abbia interesse può chiedere alla Corte d'Appello del luogo di attuazione l'accertamento dei requisiti del
riconoscimento”.

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