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La gatta feroce.

Scebarnenco

La gatta aveva trovato il suo piccolo morente, quella sera, vicino al contatore del gas, in cucina. Era
stata una mezz’ora in terrazza ad annusare un lieve odore di pesce che veniva dal piano di sotto,
quindi era tornata a sorvegliare il piccolo e l’aveva trovato morto, in un angolo della cantina.
Oscuri e primitivi dolori la invasero, oscure e primitive disperazioni. Prese il piccolo per la pelle del
collo e il piccolo le ciondolò dalla bocca, muto; la cuccia era troppo in alto per saltarvi con quel
peso; perciò la gatta si rifugiò sotto l’arco formato dalla porta d’entrata, dove si trovava un morbido
nettapiedi.

T3 Il padrone della casa in cui la gatta viveva stava in quel momento caricando una non piccola
rivoltella a tamburo. Era un giovane alto, dai capelli neri, ondulati, bellissimi. Nel silenzio delle
stanze, non abitate che da lui e dalla gatta, s’udiva chiaro, evocativo, il tlic del tamburo che egli
faceva girare per riempire i fori di pallottole. Era una rispettabile arma, quella, era qualche cosa
come una piccola mitragliatrice, un minuscolo cannone, e il suo possessore metodicamente la
caricava, col volto buio.

T2 + PIANO reg.acuto In tutta la stanza nella quale egli si trovava era passato un vorticoso
sommovimento, una nervosa devastazione per cui i cassetti dei mobili erano chiusi, ma biancheria e
cravatte e lembi di indumenti fuoruscivano come dalle labbra serrate di un mostro. Il letto non
conservava che una lontana rimembranza del suo essere; i due materassi erano addirittura a terra,
uno un poco in piedi appoggiato al muro, come un panciuto schiacciato signore.
In questa bolgia il giovane si muoveva con elastica noncuranza. Calpestò una matita per le
labbra e si pulì quietamente la suola sul materasso che arrossì; dette un calcio a una scatola di
cipria vuota, girò intorno lo sguardo mobile intelligente nervoso, quindi lasciò la stanza diretto
verso la porta, per uscire. STOP
Davanti alla porta v’era la gatta. Aveva disteso sul nettapiedi il piccolo che forse non viveva più,
quindi si era messa sopra di lui a pancia piatta, covandolo e scaldandolo come la chioccia col
pulcino.
«Ciao, Cleopatra», disse il giovane vedendola, e sorrise e il suo sorridere non aveva nulla di
benevolmente umano, ma esprimeva invece un radicato distacco da ogni cosa, forse, che non fosse
l’arma che teneva in tasca, e il denaro, e l’urgente proposito che lo spingeva ad uscire.
T4 + CL reg.basso La gatta soffiò, lo fissò con disperati occhi gialli in cui, può darsi, l’oscuro, il
primitivo dolore che soffriva diveniva, o così pareva, rabbiosa luce; ed egli si avvicinò noncurante
alla porta – davanti alla quale si trovava la bestia, – per aprirla e andarsene, quando un’ombra
passò davanti al suo viso, delle unghie si conficcarono nelle sue guance, vicino agli occhi.
…………………STOP
Con un colpo del braccio egli riuscì a liberarsi e si tirò indietro. La gatta era ricaduta sul nettapiedi
e da lì, accanto al piccolo forse non più vivo, seguiva ogni suo gesto, inquieta massa di unghie, di
peli ritti, di code, sembravano veramente tante code, che s’agitavano lente e nervose.
«Cretina», disse il giovane placido, e ragionevolmente si teneva a distanza da quell’animale, poi
tornò nella stanza da letto e si guardò nello specchio. Gocce di sangue, una sotto l’altra, lungo tutto
il percorso di numerosi sgraffi gli colorivano dal mento allo zigomo. Si pulì col fazzoletto, guardò
l’orologio, e il proposito d’uscire dovette divenire più urgente per lui. Allora andò in cucina,
prese una lunga spelacchiata scopa dal manico unto.
Con la scopa, ora, egli intendeva sloggiare la gatta dal suo rifugio, pensando che con due tre colpi
bene assestati sarebbe riuscito nel suo intento. Già mezz’ora prima aveva allungato un calcio al
gattino che gli era venuto tra i piedi, e lo aveva mandato a sbattere contro il contatore del gas.
Invece, menando i primi colpi di scopa che andarono a vuoto come la maggior parte di quelli che
tirò, intuì che ora l’operazione era molto complessa e diveniva un lungo, incerto, impari duello.
Impari per il giovane, perché la gatta saltava di qua e di là e quasi mai fu colpita mentre egli
doveva tirarsi indietro a ogni colpo per non essere una seconda volta investito da quel bolide il
quale, quando attaccava, non sbagliava certo la mira come lui. Del resto, dato che la gatta non
voleva abbandonare il piccolo il quale giaceva sempre nella stessa positura, non si sa se morto o
vivo, bastava che egli si ritirasse oltre un’immaginaria linea di confine, segnata dalla gatta, perché
questa non l’assalisse.
T2….. Presto il giovane si stancò di quella vana, logorante, pericolosa scherma. Sudato,
spettinato, guardò l’orologio, forse pensò alla rivoltella che teneva sotto la giacca, e con tale arma
non sarebbe stato difficile insegnare alla gatta a comportarsi più saggiamente, in un’altra vita,
s’intende. Ma egli doveva avere impellenti motivi per evitare scene fragorose. Pensò, forse, anche
alla possibilità di correre verso la porta, resistere per un attimo all’aggressione della gatta e aperto
l’uscio andarsene. + PIANO Ma non si trattava, purtroppo, di un attimo: la porta era quella che
dava sul pianerottolo e non era chiusa da una semplice maniglia, come le altre, per aprirla
occorreva anzi un non breve lavorio con tutte e due le mani, per disinnestare il catenaccio da una
parte e tirare indietro lo scatto dall’altra. Egli non se la sentiva di sottostare all’aggressione per più
di un attimo, forse neppure per un attimo. In quel momento si udì la suoneria del telefono, + CL.
egli andò all’apparecchio; una voce di donna, forte bassa voce di cui doveva essere proprietaria
una lievemente avvizzita ancora pericolosissima bellezza, molto truccata certo, con quel rossetto
che egli aveva schiacciato impiastricciandone poi il materasso, con quella cipria di cui era
rimasta, e presa a calci, la scatola vuota; questa voce gli domandò: «Allora?». STOP

«Allora, maledizione», disse egli, fissò iroso la tappezzeria, poi la gatta in fondo all’anticamera,
percepì un vago senso di ridicolo nella sua situazione e disse ancora: «Ti spiegherò poi, ma
aspettami. Se tardo prenderemo l’altro treno».
Sedette poi un minuto, il giovane, sul tavolinetto vicino al telefono. Era stanco, quietamente
furioso. In quel minuto, mentre pur pensava al modo di liberarsi dalla bestia, senza far rumore,
sepolte reminiscenze, ricordi, immagini del passato salirono, involontariamente per lui, alla sua
coscienza. E ricordò un gattino che da ragazzo aveva ucciso buttandolo dalla finestra del secondo
piano, un altro che aveva tormentato coi fili nudi della corrente elettrica dopo averlo legato a una
sedia, un altro che aveva chiuso in una valigia in cui aveva sparso tutto il pepe trovato in casa. E
certo, quella gatta – questo egli pensava, se non coscientemente, per un crepuscolare residuo di
moralità – quella gatta, insomma, pareva impersonare la vendetta di tutta una specie, come una
gattaggine erettasi a giudice delle sue malvagità. E, forse, non soltanto delle malvagità da lui
commesse verso la propria specie, ma delle sue malvagità in genere, delle sue ribalderie, della sua
spregiudicata indifferenza morale verso e contro la vita tutta.
Sentiva questo, egli, anche se confusissimamente, e ne provava, può darsi, un sordo timore, ma
incapace di dar valore allo spirituale valore di quei richiami, come a ogni cosa dello spirito mai
aveva creduto, saltò giù dal tavolinetto dopo aver ancora guardato l’orologio, decise di finirla,
offeso dall’ingiuriosa circostanza che lo metteva in disputa con una gatta.
T3 Dunque prima riempì un catino d’acqua e lo rovesciò addosso alla bestia che si scansò come
poté. Ma pur rimanendo infradiciata essa non abbandonò il posto perché doveva difendere il
piccolo, anche in quelle miserande condizioni, dall’uomo che voleva toglierglielo, dato che
così la gatta supponeva, e contro questa spaventosa evenienza essa agiva sino al completo
sacrificio di sé.
T3 + T4 Il giovane non lo capì (questo fatto), e le rovesciò addosso un secondo, un terzo catino
d’acqua. Ma benché il nettapiedi non fosse ormai che un poltiglioso fondo di laghetto sul quale
galleggiava inerte il gattino, benché questi e la madre non sembrassero più gatti ma stracci bagnati
e la madre fosse un furente straccio, pure egli non riuscì nel suo intento, ma anzi ebbe paura e
stava molto lontano dalla porta.
+ CL + PIANO Allora disperatamente tentò con una coperta, tenendola distesa davanti a sé,
avanzò verso la gatta, poi gliela gettò addosso, poi si buttò addosso lui, in una comica
rischiosissima corrida, brancicando per prendere la gatta sotto la coperta. Fu qui, nella furibonda
lotta, che egli sentì un dolore dilaniante all’occhio destro e dato un urlo fuggì, veramente fuggì in
camera da letto e seduto su una sedia gemeva comprimendosi l’occhio col fazzoletto.
…………………………STOP

Il telefono suonò, in quel momento, tante volte, senza che egli si alzasse per rispondere. Infine
tacque ed egli gemeva ancora e si picchiava il pugno sul ginocchio, torcendosi.
Dovette pensare poi: «Ora basta», perché colla destra libera tolse la rivoltella dalla fondina, liberò
quindi la sicura, avanzò in anticamera cauto, fissando la gatta, ma esitò. Troppo rumore, troppo
compromettente per lui doveva essere. Gemendo di dolore e di rabbia rimise l’arma nella fondina e
intanto gli venne un’altra idea, l’acqua bollente.
Andò in cucina, mise sul gas il catino pieno d’acqua e stette ad aspettare, resistendo al dolore. Ma
ecco che si udirono dei passi nel pacato silenzio della notte, passi che salivano le scale e si
fermavano davanti alla sua porta. Il giovane di irrigidì e smise di gemere, poi udì dei forti colpi
alla porta, benché si potesse suonare il campanello.
«Apri, la polizia», e dopo un poco ancora: «non fare storie, sbrigati».
CL note lunghe Il giovane guardò l’acqua che si stava scaldando sul gas. Non rispose alle
ingiunzioni che gli venivano dal di fuori. Piano, piano, con esitazione stanca girò la chiavetta
e la fiamma si spense. Sembrò che non avesse più la forza di stare in piedi, egli, e si abbandonò
su una sedia. Con l’unico occhio aperto fissò ancora la gatta. ……..STOP
T2 Forse per il torrente d’acqua fredda, forse per l’abbarbicato spirito vitale che lo animava
ancora, il gattino in quel punto cominciò a dar segni di vita ed emise un pallido gnaulio e mosse un
poco la testa e aprì gli occhi un poco e le zampine cercarono un poco di afferrarsi a qualcosa. La
madre allora lo prese per la pelle del collo, guatò davanti a sé e schizzò rapida verso la camera da
letto nascondendosi sotto la poltrona. STOP
Ecco, adesso la porta era libera, egli poteva uscire. Si alzò quasi barcollando, vinto gridò a
quelli che continuavano a picchiare alla porta: «Ma piantatela, eccomi qua», e aprì l’uscio. T2
+T3 +T4 +PIANO + CL……………… (dim.)……

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