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Il Chigi L VIII 305 sancisce un passaggio epocale. Copiato a Firenze fra gli anni Trenta e Cinquanta del
Trecento, raccoglie principalmente i testi di poeti assenti o marginali nei manoscritti precedenti: Guido
Cavalcanti, Dante Alighieri, Cino da Pistoia. Si aggiunge Guido Guinizzelli che è l’unico ad essere
rappresentato in modo importante anche negli altri canzonieri. Questi poeti sono i cosiddetti stilnovisti
(termine coniato da De Sanctis nel 1870 e ispirato ad un passo del XXIV canto del Purgatorio).
L’idea di Stilnovo parte proprio da Dante che nel Purgatorio fa dichiarare a Bonagiunta Orbicciani che egli si
colloca “al di là” del dolce stil novo che ode nelle parole del poeta. Dante individua un “nodo”, un punto di
svolta tra la maniera “antica” di fare poesia e quella “moderna”, rappresentata da lui e da Cavalcanti, Cino
da Pistoia e Lapo Gianni. Questa poesia è definita dolce, dove dolce esprime una qualità formale in
opposizione all’asprezza linguistica e stilistica di Guittone e i guittoniani. Dante, sempre nello stesso passo
del Purgatorio, afferma che il suo linguaggio è ispirato da Amore e rivendica una più esatta corrispondenza
tra ciò che il poeta prova e il modo in cui si esprime.
Guido Guinizzelli è il poeta considerato da Dante come “padre” dello Stilnovo. È il poeta con cui si apre il
Chigiano ed è l’unico tra gli stilnovisti rappresentato in modo importante anche negli altri manoscritti.
Nasce in una famiglia della piccola nobiltà bolognese legata all’ambiente giuridico (egli stesso è giudice) e di
orientamento ghibellino.
In uno scambio di sonetti tra Guinizzelli e Guittone, il primo definisce l’aretino “padre” ma in senso
antifrastico: mette in dubbio l’autorità di Guittone ironizzando sui suoi vizi individuali e su quelli dell’ordine
dei Gaudenti.
Uno dei motivi per cui Guinizzelli è definito “padre” dello Stilnovo è rintracciabile in una tenzone tra lui e
Bonagiunta Orbicciani. Bonagiunta, nel sonetto Voi, ch’avete mutata la mainera, rimprovera Guinizzelli di
aver cambiato il modo in cui si fa poesia d’amore, puntando sull’oscurità e sul grande utilizzo (tipico dello
Stilnovo) di riferimenti biblici e filosofici (“la scrittura” v. 14).
La risposta di Guinizzelli, Omo ch’è saggio non corre leggero, sembra di carattere morale universale, ma in
realtà si rivolge ironicamente a Bonagiunta, facendogli capire che sarebbe stato meglio se avesse taciuto. Il
sonetto parla del modo in cui un uomo saggio non dovrebbe esprimere la propria opinione avventatamente
su quello che fanno gli altri. Così come Dio ha creato svariati tipi di uccelli, ognuno col suo canto e il suo
piumaggio, così anche gli uomini sono stati creati per avere idee e opinioni diverse; un uomo saggio non
dovrebbe mai commentare quelle degli altri.
Nella sua produzione troviamo molti temi tipici della tradizione poetica romanza: la descrizione minuziosa
dell’innamoramento, il rapporto feudale con la donna amata, la passione che conduce alla morte, la
speranza della ricompensa. Ma è possibile rintracciare anche temi più “stilnovisti” come ad esempio l’elogio
della donna amata.
Nel sonetto Io vo’ del ver la mia donna laudare Guinizzelli si concentra prima sulla descrizione della bellezza
dell’amata attraverso similitudini naturali (nelle quartine) e poi sugli effetti nobilitanti che l’amore ha
sull’uomo (nelle terzine). Questo è un tema molto sentito nell’epoca, dato che la borghesia legata al
commercio e alle professioni pubbliche (di cui fanno parte gran parte degli stilnovisti) punta a creare un
ideale di nobiltà legato alle virtù individuali più che al sangue. Gli stilnovisti concepiscono dunque un
nuovo tipo di aristocrazia fondata sulle virtù e sui meriti individuali. L’esperienza attraverso la quale si
manifesta e si raffina questa nuova nobiltà è l’amore. L’amore e l’animo nobile sono una cosa sola.
Nel “manifesto” dello stilnovo, la canzone Al cor gentil rempaira sempre amore, Guinizzelli esprime a fondo
questo concetto. La canzone è caratterizzata da un ricco sistema di comparazioni tra il mondo naturale e
l’amata, dagli elementi naturali fino alle sfere celesti. Esprime due concetti che si ritroveranno anche in
Dante: 1. Amare nobilmente significa possedere delle qualità morali individuali che distinguono da tutti gli
altri uomini 2. Questo amore scatta solo se interviene la mediazione di una donna diversa da tutte le altre
che ha l’aspetto e la virtù di un angelo.
Cavalcanti nasce a Firenze da una importante famiglia magnatizia. Partecipa ad alcuni scontri tra guelfi
bianchi e guelfi neri e perciò viene condannato all’esilio dai priori di Firenze (tra cui figura anche Dante).
Nelle fonti antiche viene definito come filosofo e non come poeta, in ragione della complessità della sua
canzone più celebre, Donna me prega.
Dante gli dedica la Vita Nuova ed è documentato un fitto dialogo di testi tra i due. È nominato anche nel
sonetto di Dante Guido, i’ vorrei che tu Lapo ed io. Dante e Guido sono molto vicini dal punto di vista
stilistico. Dopo una iniziale fase di amicizia, per motivi sconosciuti si allontanano. Dante colloca il padre di
Cavalcanti nell’Inferno, definendolo epicureo (ateo), fama che resterà a posteriori anche al figlio. Viene
nominato, come epicureo, anche nel Decameron di Boccaccio.
In Chi è questa che vèn si ripropone il tema della lode della donna: il passaggio dell’amata, gli effetti che
produce su quelli che guardano, la donna è umile, si oppone alla superbia, è la regina di tutte le virtù, è la
dea della bellezza. Ma Cavalcanti pone l’accento anche sull’incapacità del poeta di descrivere
compiutamente il fenomeno quale assiste. Il sonetto si apre con una citazione biblica dal Cantico dei Cantici
(Chi è questa che sorge come aurora?) e tutta la raffigurazione è di matrice biblica, con la descrizione della
donna come bella e terribile. Accanto alla donna compare la personificazione di Amore che negli stilnovisti
assume i tratti di un vero e proprio personaggio.
In Cavalcanti si accentua la tendenza della poesia romanza a trasferire il discorso dall’esterno (lode della
donna, descrizione della natura, racconto degli eventi) all’interno (stati d’animo del poeta). Questo è
particolarmente percepibile nel sonetto L’anima mia in cui il fulcro è l’interiorità del poeta, la battaglia che
si svolge tra anima, cuore e spiriti (fluidi sottili esalati dal sangue) nel momento in cui l’anima non riesce a
sopportare l’amore e si sente morire. Non è una poesia intimista, ha una forte tensione comunicativa.
Negli stilnovisti si nota un intenso utilizzo della terminologia scientifica e filosofica (cfr. lo spirito in Anima
mia, la descrizione della scintillazione in Chi è questa che vèn – cfr. anche ciò che dice Bonagiunta Orbicciani
sulla “scrittura”). Questo fenomeno trova il suo culmine in Donna me prega. Questa canzone si distingue
per il rigore formale, la terminologia aristotelico-scolastica e per la dichiarata volontà di ragionare
sull’amore in termini di filosofia naturale. La prima stanza funziona da proemio ed espone la ragione,
l’argomento, i destinatari e le modalità del canto. Le stanze successive trattano gli argomenti nominati nella
prima: 1) dove si trova amore; 2) da chi o da cosa venga creato; quali siano 3 )le sue virtù; 4) la sua potenza;
5) l’essenza; 6)il movimento (o il dinamismo); 7) il piacimento e infine 8) se sia visibile. Compare anche qui
l’idea di nobiltà morale stilnovista.
Nella ballata Perch’i’no spero, composta quando stava per morire, troviamo il tema della morte. Questo ci
fa capire che gli Stilnovisti comunicavano tra loro in rime anche su argomenti importanti e quotidiani. Il
testo è costruito come un testamento, in una modalità che ricorda la commendatio anime dei testamenti
medievali con la quale il morente affidava la propria anima a Dio. Qui invece Cavalcanti prega la propria
anima di onorare la donna quando si troverà in sua presenza.
1. Lapo Gianni, notaio e giudice fiorentino, è un poeta particolarmente prossimo per temi e per stile a
Guinizzelli e al Dante giovane della Vita Nuova. Viene citato nel De vulgari eloquentia tra coloro che
hanno raggiunto l’eccellenza del volgare accanto a Dante.
2. Cino da Pistoia, nato da una famiglia ricca e nobile di parte nera. La sua produzione poetica è
strettamente legata a quella di Dante. Utilizza lessico, temi, motivi, immagini che sono propri anche
e soprattutto di Dante, dal quale viene elogiato nel De vulgari eloquentia. È soprattutto attraverso
di lui che Petrarca riprende e sviluppa la tradizione lirica duecentesca.
Nella canzone per la morte di Dante offre un’immagine di sintesi tra il poeta d’amore della poesia
lirica e il poeta del poema sacro. Questa canzone è nella forma di una preghiera a Dio (prestito di
altra forma letteraria come visto con la ballata-testamento di Cavalcanti) affinché l’anima di Dante
trovi posto in paradiso accanto a Beatrice. La canzone termina con un’invettiva contro Firenze che
ha esiliato Dante e con un complimento a Ravenna che invece ne conserva le spoglie.
Nonostante Guittone e i siciliani continueranno ad essere rilevanti nel Trecento, gli stilnovisti sono
quelli che influenzeranno maggiormente la poesia dei secoli successivi, in particolare Petrarca.