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Pietro Metastasio

La partenza

Per il commento a questo testo rimando al saggio di Santagata Arie e canzonette.


Aggiungo alcune considerazioni di carattere generale sulla poesia dell’età
dell’Arcadia, intendendo con questa espressione la produzione poetica che è
riconducibile ai canoni dettati dall’Accademia fondata nel 1690 a Roma, la quale si
proponeva il ripristino del “buon gusto” letterario contro gli eccessi propri del gusto
barocco (concettismo, abuso della metafora, ricerca della “meraviglia”, ecc.). [Su
questi aspetti cfr. il capitolo Arcadia del manuale].
Al tipo di produzione poetica cui appartiene anche la canzonetta metastasiana
sottostà l’idea che la poesia consista nel ridire meglio, con eleganza, chiarezza e
facilità, ciò che altri poeti, antichi e moderni, hanno già detto. Perciò nella poesia
di quest’epoca non dobbiamo cercare l’espressione intima e irripetibile di una
sensibilità individuale (come siamo soliti fare quando leggiamo dei versi), perché in
quest’epoca la poesia è essenzialmente uno strumento di comunicazione sociale.
La poesia è prodotta per essere fruita in contesti pubblici: i versi sono composti
per essere recitati nelle accademie, nei salotti, nei luoghi di incontro mondano; sono
scritti per celebrare occasioni private e pubbliche (nascite, matrimoni, morti,
monacazioni, lauree, ingressi in cariche pubbliche, ecc.) e pubblicati per lo più in
raccolte miscellanee: una forma, allora assai apprezzata, di omaggio collettivo, di
gruppo, rivolto a precisi destinatari. Quella delle raccolte diventa una moda talmente
diffusa da dar luogo anche a parodie che la irridono, come avviene nel 1741 a Milano
con l’iniziativa presa da Domenico Balestrieri di invitare vari poeti a collaborare alla
raccolta Lagrime in morte di un gatto.
Una caratteristica diffusa in questo genere di poesia è quella di ritrarre
determinate «situazioni»: tra queste la partenza, il litigio o la rappacificazione con
l’amata sono topoi letterari tradizionali che ricorrono di frequente nella lirica
settecentesca. Il tema della partenza, ad esempio, si incontra anche nella celebre
canzonetta di Paolo Rolli, Solitario bosco ombroso.
In questo caso, Metastasio e Rolli ripropongono un tema che al loro pubblico è
già noto e familiare, sapendo che il pubblico è chiamato ad apprezzare non tanto il
tema in sé, ma il modo “nuovo” nel quale il poeta glielo ha saputo riproporre. Siamo
in presenza, cioè, di un repertorio condiviso di temi sedimentati nella memoria
collettiva, repertorio al quale il poeta di volta in volta attinge per dar vita a una
personale “variazione” di ogni prelievo (come si trattasse di variare un tema
musicale).
In questo repertorio, prevalentemente modellato sugli autori classici, ha un posto
fondamentale la mitologia, che funge da filtro anche nella rappresentazione della
società contemporanea. Ne sono un esempio gli Amori di Lodovico Savioli, un libro
che trae ispirazione dagli Amores di Ovidio, composto di ventiquattro canzonette,
tutte nello stesso metro, che mettono in scena momenti, episodi e situazioni della vita
galante e mondana del tempo (Il passeggio, Il mattino, La maschera, Il teatro, La
notte, All’amica inferma, All’amica infedele, All’ancella, ecc.).
Il termine canzonetta, che abbiamo sin qui adoperato, si addice a vari schemi
metrici di poesia per musica, e tale è anche La partenza, che fu musicata, oltre che
dallo stesso Metastasio, da altri compositori e cantanti, tra i quali il celebre sopranista
Caffarelli. Questa forma fu soprattutto messa in voga a partire dalla fine del
Cinquecento da Gabriello Chiabrera, che presentò le sue composizioni come una
imitazione moderna della poesia di Anacreonte: di qui il nome di anacreontiche
assunto in molti casi da queste canzonette, di argomento leggero, conviviale e
amoroso, composte di strofe brevi (di quattro, sei o al massimo otto versi), nelle quali
si faceva largo uso di rime tronche e sdrucciole irrelate (cioè senza corrispondenza
nella strofa, ovvero in rima ritmica [cfr. manuale Beltrami]).
La canzonetta ebbe grandissimo successo nel Settecento, perché ben si prestava a
ribadire quell’associazione tra versi e musica che era congeniale al gusto del secolo
(basti pensare al successo del melodramma), e congeniale anche alle modalità di
fruizione sociale della poesia cui abbiamo accennato (la poesia veniva soprattutto
pronunciata e ascoltata, e la musica favoriva e rendeva ancor più piacevole questo
tipo di approccio).
Questa forma si struttura su una disposizione lineare e simmetrica dei versi (con
preferenza accordata ai versi brevi, a quella ricerca di chiarezza nella costruzione
sintattica che corrisponde a una esigenza di ordine nello sviluppo dei pensieri. In altre
parole: nella limpidezza della versificazione si riflette una razionalità intellettuale.
Siamo agli antipodi del concettismo secentesco, che abbiamo visto, ad esempio nei
sonetti sugli orologi.
La partenza segue lo schema metrico abbct ddect: la strofa si compone di due
quartine di settenari unite tra loro dal verso tronco finale. Gli altri versi sono tutti
piani e rimano in rima baciata il secondo e il terzo, il quinto e il sesto. Il primo verso
di ogni quartina è irrelato (non rima con nessun altro verso della strofa). Il distico
finale è ripetuto (come un ritornello) alla fine di ogni strofa (con lievi varianti nelle
ultime due). Nel distico finale è presente una rima al mezzo: e tu, chi sa se mai / ti
sovverrai di me.

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