Introduzione
La conoscenza dei principi e delle regole fondamentali dell’ordinamento giuridico del diritto amministrativo è
necessaria per comprendere lo studio dell’ordinamento di turismo.
Il fenomeno giuridico del turismo è una materia poliedrica poiché caratterizzata da diverse sfaccettature e
profondamente interconnessa con altri ambiti materiali, ovvero con altri settori; è banale dire che presenta
una forte connotazione territoriale o che le attività turistiche si svolgono nel territorio poiché la dimensione
territoriale deve fare i conti con una dimensione nazionale, internazionale e sovranazionale.
Oltre alla dimensione giuridica però, il turismo, possiede anche una dimensione sociale (benessere
psicofisico della persona, cultura ed educazione) e una dimensione economica (il turismo è una componente
trainante dell’economia di tanti paesi).
L’obiettivo di questo corso è quello di sviluppare la conoscenza dei principali strumenti insiti nell’ordinamento
Italiano nel rispetto delle competenze definite dalla Costituzione al fine di comprendere la promozione dello
sviluppo turistico, la valorizzazione dei territori e i legami che questo settore possiede con altri.
L’Unione Europea nasce per realizzare un mercato unico comune tra i paesi membri, per cui una materia così
importante sotto il profilo economico come il turismo non può non interessare l’organizzazione
sovranazionale che è l’unione. L’altra ragione, per cui l’UE è molto interessata al turismo, è da ricercarsi nel
fatto che questo sia oggi diventato un aspetto fondamentale nella vita dei cittadini europei e rappresenta uno
strumento fondamentale per promuovere e rafforzare i processi di integrazione tra i diversi Stati membri.
- Con il Trattato di Lisbona del 2009, l’ultimo dei trattati che ha modificato i trattati istitutivi della comunità
Europea, il turismo è entrato ufficialmente a far parte degli obiettivi perseguiti dall’UE. Quest’ultima può
quindi agire a sostegno dell’azione degli stati Membri sul turismo per promuovere la competitività tra le
imprese del settore e per realizzare delle politiche sostenibili, responsabilità e di qualità.
La disciplina giuridica del turismo deve fare i conti con fenomeni meta-giuridici (extra giuridici) come la
democratizzazione, la globalizzazione e l’impatto delle nuove tecnologie, i quali hanno fortemente
condizionato il sistema. Ora il turismo è un fenomeno di massa grazie all’apertura dei confini mentre le nuove
tecnologie hanno modificato il modo di percepire il territorio.
Il turismo sostenibile è uno dei temi in cui l’organismo nazionale (Italia) e sovranazionale (UE) si sta
confrontando ormai da tempo.
- In Italia esiste un innegabile legame tra il patrimonio storico-artistico-culturale e lo sviluppo turistico dei
territori. A conferma di ciò si può far riferimento ai dati contenuti nel piano strategico nazionale del turismo
2017/2020.
- Proprio per i motivi sopracitati, qualche anno fa, l’Italia ha deciso di attribuire al Ministero dei beni e delle
attività culturali anche la competenza in materia di turismo, facendolo diventare: Ministero per i Beni e le
Attività culturali e per il Turismo MIBACT.
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Il dato economico condiziona molto la disciplina del turismo e questo si può vedere già a partire dal 1948 con
l’ARTICOLO 117 presente nella versione originale della costituzione italiana.
➡ Nel testo dell’Articolo si evince come sia lo Stato che le Regioni concorrono alla podestà legislativa della
materia del turismo, ovvero che condividono l’esercizio della podestà legislativa. Anche se la podestà
concorrente del ’48 non è più quella odierna.
➡ La materia del turismo, nell’elenco dell’articolo, presenta un forte riferimento all’industria alberghiera perchè
i padri costituenti non avevano ben in mente il ruolo fondamentale che questo settore avrebbe avuto nel
futuro economico del paese. Importante ricordare che benché nel 1948 si aveva l’idea delle regioni, queste
hanno iniziato ad operare solo nel 1970 con le prime elezioni regionali.
A partire dagli anni ’70, con l’entrata in funzione del sistema regionale, si è venuta a creare una divisione tra i
sostenitori di un accentramento delle competenze in materia del turismo da parte dello Stato e tra chi
sosteneva la necessità di una completa regionalizzazione del comparto turistico. Le ragioni di questo conflitto
sono derivate da differenti opinioni:
- Accentramento statale -> si sostiene che non si possa non riconoscere un ruolo fondamentale allo Stato di
coordinamento delle politiche turistiche nazionali in un settore come quello del turismo, il quale possiede
un forte impatto nel sistema economico del paese.
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Appunti di Asya Moro
- Regionalizzazione -> si sostiene la necessità di dare maggiore rilievo alle tipicità regionali e di valorizzare le
potenzialità dei territori tramite le loro caratteristiche peculiari, pur sempre mantenendo un ruolo di
coordinamento da parte dello Stato e in linea con un modello autonomistico che prevede la promozione
delle autonomie locali.
Durante questo conflitto ci sono stati diversi momenti in cui o l’uno o l’altro fronte sembravano prevalere,
come per esempio nell’ultimo tentativo di riforma costituzionale del 2016, quando si è tentato di modificare
l’assetto della materia turistica cercando di riportare al centro le competenze legislative. Questo tentativo non
andò a buon fine perché il referendum confermò il ruolo essenziale delle regioni.
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Il sistema delle fonti del diritto fa riferimento all’insieme delle regole che sono destinate ad organizzare le fonti
del diritto, ovvero tutti gli atti e i fatti idonei a produrre norme giuridiche. Si è soliti distinguere DUE tipologie di
fonti:
- le fonti ATTO : sono le norme giuridiche scritte emanate da organi a cui è stato attribuito il relativo potere
normativo;
- le fonti FATTO : sono le norme giuridiche non scritte che possiedono una natura consuetudinaria.
La norma giuridica è una regola che serve a disciplinare la civile convivenza all’interno di una comunità e
che possiede delle caratteristiche ben precise che consentono di distinguerla da altri precetti, da altre norme
che non hanno rilevanza giuridica (come possono essere le norme morali).
I. L’Astrattezza: una norma giuridica è astratta perché non disciplina una fattispecie specifica bensì una
fattispecie astratta. Per esempio si pensi al reato di omicidio (“Chiunque cagiona la morte di un uomo è
punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”) che è una norma astratta, perché non disciplina
l’omicidio che è stato compiuto in un determinato giorno, in una determinata strada ma disciplina
qualsiasi omicidio.
II. La Generalità: poiché la norma si applica a tutti i soggetti che si trovano in quella specifica situazione.
IV. La Novatività: la norma giuridica innova l’ordinamento, introducendo talvolta delle disposizioni che fino a
quel momento non erano prevista.
V. La Coazione (o autorità): se la norma giuridica contiene un precetto (divieto o comando) allora questa
norma è assistita da una sanzione.
➡ La differenza tra una norma morale e una giuridica si può comprendere in questo esempio: tra fidanzati se
uno dei partner tradisce non è soggetto a sanzioni o obblighi; mentre se la coppia è legata da contratto
matrimoniale, il quale esplicita chiaramente i diritti e i doveri dei soggetti coinvolti, il tradimento da una delle
due parti potrebbe comportare sanzioni.
Le fonti di produzione del diritto (ATTO e FATTO) sono tutti quegli strumenti predisposti dall’ordinamento per
creare/modificare/estinguere norme giuridiche. Per esempio la fonte di produzione di diritto per eccellenza
(ATTO) è la Legge ordinaria della Repubblica Italiana.
Le fonti di cognizione del diritto, che si distinguono dalle atto e fatto, sono quei documenti a cui viene
affidato il compito di garantire la conoscibilità legale della norma giuridica. Per esempio la gazzetta ufficiale
della Repubblica o il bollettino ufficiale delle regioni o la gazzetta ufficiale Europea.
Un’ulteriore distinzione è fatta sulle fonti sulla produzione del diritto. Queste sono norme che disciplinano i
modi di produzione del diritto e quindi i soggetti e le procedure che portano all’adozione di quella norma
giuridica. Per esempio la fonte sulla produzione del diritto è l’Art. 72 della costituzione, ovvero quella norma
di rango costituzionale che definisce modi, forme, soggetti e procedure della norma giuridica contenuta in
quella fonte di produzione del diritto.
- Il sistema delle fonti è un sistema chiuso perché nel nostro ordinamento non sono ammesse delle fonti di
produzione del diritto diverse e/o ulteriori da quelle che sono identificate da apposite norme di
riconoscimento.
- Il sistema è caratterizzato da una pluralità di fonti poiché non ne esiste soltanto una ma diverse e di rango
e posizione diversi; in ragione di questa diversa posizione hanno anche una forza giuridica diversa (sistema
gerarchico delle fonti). Questa distinzione fa si che nel caso in cui si creano conflitti tra le fonti,
l’ordinamento ha predisposte una serie di regole finalizzate a risolvere questa problematica.
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Appunti di Asya Moro
Nel caso quindi si ponesse un conflitto tra due fonti di rango differente, quella che si trova in posizione
superiore prevale e viceversa, quella di grado inferiore non può abrogare quella di grado superiore.
1. Al vertice, cioè in prima posizione per valore gerarchico, si trova la COSTITUZIONE ITALIANA, le leggi
costituzionali (Lex Cost) e leggi di revisione costituzionale (Lex Rev Cost, ovvero quelle leggi che secondo
un procedimento aggravato possono modificare la costituzione italiana).
La fonte primaria per eccellenza è la legge ordinaria, quella che viene adottata dal parlamento italiano. Uno
dei pilastri dello stato di diritto è il principio della divisione dei poteri:
Altre due fonti primarie dell’ordinamento sono ascrivibili ad atti aventi forza di legge come il decreto legislativo
e il decreto legge. Questi sono atti normativi adottati non solo dal parlamento ma anche dal Governo, in
maniera diversa, e ciò che li caratterizza è proprio l’adozione congiunta da parte dei due organi.
- decreto legislativo: atto normativo adottato dal Governo su delega del Parlamento;
- decreto legge: atto normativo provvisorio adottato dal Governo che dovrà, successivamente, essere
convertito in legge dal Parlamento.
Il comma 6 dell’articolo 72 della Costituzione introduce la riserva di legge parlamentare, ovvero una serie
di materie che possono essere svolte/disciplinate in via esclusiva dalla legge parlamentare (legge ordinaria).
• la materia elettorale
• le leggi di delegazione
Queste materie sono quindi riservate solo alla Legge Ordinaria poiché la costituzione ritiene che queste siano
così importanti per garantire e tutelare le minoranze parlamentari.
Esistono dei casi in cui la Costituzione pone dei limiti alla libertà del legislatore perchè predetermina in parte il
contenuto della fonte primaria, individuando delle modalità attraverso le quali il potere normativo deve essere
esercitato; questo è il caso della riserva di legge rinforzata.
Per esempio alcuni articoli della Costituzione che limitano la libertà del legislatore:
Articolo 16 -> Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio
Nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.
Nessuna distinzione può essere determinata per ragioni politiche.
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Appunti di Asya Moro
Articolo 7 -> Lo Stato e la Chiesa Cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. I loro
rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. La modifica dei patti è accertata dalle due parti non richiedendo
processi di revisione costituzionale.
Articolo 71 -> L'iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed
enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la
proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli. -> solo una Legge
Costituzionale può attribuire ad un organo o ad un ente l’iniziativa legislativa.
Il rapporto tra fonti primarie e secondarie è regolato dal principio gerarchico e da una riserva di legge che può
assumere una duplice natura, assoluta o relativa:
- riserva assoluta di legge -> materie che possono essere disciplinate solo ed esclusivamente da una fonte
primaria (ex. articolo 13),
- riserva relativa di legge -> materie che possono essere disciplinate sia da fonti primarie che da fonti
secondarie (ex. articolo 97 comma 2).
Esempi:
Articolo 13 -> La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o
perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato
dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.
In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l'autorità di pubblica sicurezza
può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all'autorità
giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi
di ogni effetto. E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di
libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.
Articolo 97 -> Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano
l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
USI e CONSUETUDINI
Usi e consuetudini sono norme non scritte dell’ordinamento che assumono natura giudiziaria per il fatto di
derivare da comportamenti ripetuti nel tempo dai consociati nella convinzione che questi comportamenti
siano doverosi, obbligatori e vincolanti. La norma giuridica è frutto della ripetizione del comportamento.
Necessario determinare che queste non siano contrarie o ritenute superiori ad altre fonti dell’ordinamento.
- Gli usi e le consuetudini sono utilizzate molto più in ambito di diritto privato.
Principio di competenza
Nel caso in cui il conflitto avvenga tra fonti che si trovano sullo stesso piano, che possiedono la stessa forza/
competenza ma che appartengono ad ordinamenti diversi, quello statale e quello regionale, è il principio di
competenza ad entrare in azione.
La diversa competenza tra l’ordinamento regionale e quello statale è disciplinata dall’Articolo 117, il quale
definisce il riparto della podestà legislativa tra Stato e Regioni, ovvero indica in quale materie viene esercitata
la podestà legislativa Statale e in quali quella Regionale.
Questo principio, che regola leggi statali e leggi regionali, regola anche il rapporto tra regolamenti del governo
e regolamenti delle regioni, le quali sono due fonti che si trovano nella stessa posizione nei rispettivi
ordinamenti.
Principio di abrogabilità
Un altro tipo di conflitto è quello che avviene tra norme con la stessa forza e che presentano la stessa
competenza, come succede tra diversi regolamenti Governativi o tra leggi e decreti legislativi. Questo
conflitto viene disciplinato tramite il criterio di abrogabilità delle norme, il quale è contenuto nelle cosiddette
pre-leggi al Codice Civile, ovvero una serie di norme che si trovano prima del CC. Il principio si basa sul
concetto che la legge successiva abroga quella precedente, per cui nel conflitto la legge emanata dopo ha la
meglio sulle precedenti.
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Appunti di Asya Moro
I. Abrogazione espressa/esplicita -> si realizza quando una norma indica precisamente quali delle norme
precedenti al momento della sua entrata in vigore sono abrogate. In alcuni testi di legge si trova, alla fine,
la cosiddetta norma di abrogazione che presenta un elenco di tutte quelle norme che quel testo di legge
sta abrogando.
II. Abrogazione tacita -> si realizza quando una norma disciplina una materia, quindi introduce una regola,
che è completamente diversa da quella disciplinata dalla norma precedente. La norma precedente viene
di fatto sovrastata da quella più recente.
III. Abrogazione implicita -> questa si realizza quando una nuova norma disciplina ex-novo l’intera materia
regolata dalla legge precedente. La seconda norma prevale sulla prima in toto, anche se non è stato
specificato.
Principio di specialità
Se il conflitto dovesse essere posto tra una legge speciale e una legge normale, la prima prevale sulla legge
generale anche se questa è successiva. Questo non è un principio espresso nelle pre-leggi, ma è un principio
che è stato elaborato dalla dottrina.
Principio di retroattività
Le norme non dispongono che per il futuro, ovvero non hanno effetti retroattivi. Questo è un principio
fondamentale anche e soprattutto nell’ordinamento penalistico, tanto che è richiamato sia nell’Articolo 2 del
codice penale sia nell’Articolo 25 della costituzione italiana (“nessuno può essere punito se non in forza di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”).
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LA COSTITUZIONE ITALIANA
La carta Costituzionale è la legge fondamentale di una comunità, che regola il potere pubblico limitandolo a
garanzia dei poteri individuale.
La Costituzione Italiana si inserisce nel solco della tradizione del costituzionalismo moderno. La storia
costituzionale moderna ha inizio da due eventi che hanno avuto un’importanza decisiva per lo sviluppo della
civiltà liberale e democratica:
1. Il potere costituente appartiene al popolo -> questo è il fondamento della legittimazione del potere
costituzionale. Nel costituzionalismo moderno, l’unico titolare del potere costituente è infatti il popolo
sovrano che usa questo potere delegando ad un’assemblea il compito di stilare la costituzione.
La costituzione moderna deve essere elaborata e successivamente votata dall’assemblea (in alcuni casi
anche dal popolo). Questa è la differenza con le prima costituzioni del 1700, come poteva essere lo
Statuto Albertino, le quali venivano concesse da un sovrano e non votate.
2. La separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario in diversi organi per garantire la democraticità.
Esistono però alcune costituzioni che non possiedono una natura scritta: quella inglese, quella israeliana e
quella neozelandese sono definite infatti consuetudinarie, perchè formate da principi e norme che si sono
consolidate grazie a prassi e consuetudini susseguitesi nel tempo.
Nel 1948, dopo un grande lavoro durato all’incirca 20 mesi, entra in vigore la Carta Costituzionale italiana,
che è votata e scritta. I padri costituenti, nella stesura, dovettero compiere delle scelte molto importanti:
1. Adottare una costituzione lunga -> Le costituzioni del 1700/1800 erano sostanzialmente brevi, ma, alla
fine del 19° secolo comincia a subentrare l’esigenza di adottare testi costituzionali che comprendessero
un numero maggiore di valori e di principi fondamentali. La prima costituzione lunga europea è quella
della Repubblica Tedesca di Weimar del 1919, adottata dopo la prima guerra mondiale e chiamata “dei
Professori” perchè caratterizzata da una maggiore sistematicità data dai costituzionalisti tedeschi.
Alla base della lunghezza dei testi vi è l’esigenza di rafforzare le norme costituzionali e renderle
maggiormente chiare per poterle far rispettare di più.
La costituzione Italiana, essendo stata scritta subito dopo l’uscita dalla dittatura fascista, è lunga.
2. La costituzione è programmatica perchè contiene, oltre che la descrizione dei rapporti tra i poteri e i modi
di produzione del diritto, delle disposizioni che indirizzano l’azione dei soggetti dei pubblici poteri. Per
esempio, con l’Art. 97 comma 2 (vedi pag.4), la costituzione prefigura un obiettivo di imparzialità e di
buon andamento che deve essere uno dei principi fondamentali del pubblici uffici.
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Appunti di Asya Moro
3. La costituzione è rigida -> la scelta dei padri costituenti è stata data dal vivido ricordo della vicina
dittatura che si era instaurata rompendo pezzo per pezzo lo Statuto Albertino (flessibile).
La Costituzione italiana è: votata, scritta, lunga, programmatica e rigida, con un controllo di costituzionalità
accentrato.
Costituzione lunga -> disciplina in maniera dettagliata i rapporti tra lo Stato e la società civile, tra i poteri
legislativo, esecutivo e giudiziario e contiene, oltre alle norme di principio, anche norme direttamente
applicabili. Ci sono norme nella C. Italiana che non richiedono l’intervento di una fonte subordinata per essere
applicate, come per esempio l’Articolo 13 che sancisce i diritti della libertà personale.
Costituzione breve -> disciplina SOLO i principi fondamentali dell’organizzazione dello Stato, ovvero affida a
poche norme la regolamentazione di diritti e doveri, rimettendo tutto il resto alla legislazione ordinaria. Non è
la numerosità degli articoli che determina la costituzione come breve.
Costituzione programmatica -> contiene delle norme, che non sono soltanto quelle di procedura (ex: come si
fanno le leggi, rapporti tra poteri), che indirizzano l’azione di quei soggetti a cui è affidato il compito di dare
attuazione alla costituzione (Parlamento, Governo). Tipologia di costituzione che cerca di orientare l’azione
dei pubblici poteri prefigurando degli obiettivi generali.
Costituzione procedurale -> si limita a descrivere i rapporti tra i poteri e i modi di produzione del diritto.
Costituzione flessibile -> una costituzione che può essere modificata tramite fonti del diritto di rango inferiore,
come può essere la legge ordinaria, perchè non sono previsti dei meccanismi che ne assicurino la
supremazia rispetto ad altre leggi.
Costituzione rigida -> una costituzione che può essere modificata solo attraverso dei procedimenti speciali,
detti anche procedimenti aggravati di revisione costituzionale. Sono speciali rispetto al tradizionale
procedimento legislativo. Inoltre sono definite rigide quelle costituzioni che prevedono un meccanismo
giuridico che prevedono un controllo di legittimità costituzionale delle leggi.
➡ Per “legittimità costituzionale” si intende la conformità alla Costituzione delle leggi e degli atti, aventi forza
di legge, dello Stato e delle Regioni.
• DIFFUSO -> è un modello in cui non esiste un organo centrale che decide sulla costituzionalità delle
norme bensì sono i giudici comuni a sindacarne la costituzionalità. Il sistema diffuso per eccellenza è il
sistema statunitense nel quale ai giudici è riconosciuto il potere di disapplicare una norma in quanto
giudicata contraria ai principi costituzionali.
• ACCENTRATO -> prevede l'esistenza di un tribunale costituzionale centrale che decide della
costituzionalità delle norme, negando al giudice ordinario un qualsivoglia potere di decisione della
legittimità costituzionale sulla quale solo l'organo centrale è deputato a decidere. La declaratoria di
illegittimità costituzionale porterà all' annullamento della norma in questione che quindi non potrà più
essere applicata dal giudice comune.
La Costituzione italiana non è immutabile e anche i padri costituenti l’avevano scritta in modo tale da poterla
mantenere al passo con i tempi e con i cambiamenti della società. Per questo nella carta sono presenti sia
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Appunti di Asya Moro
norme precettive (divieti, comandi,…) sia norme programmatiche, le quali richiedono, per essere attuate,
l’azione dei poteri degli organi statali.
In Italia il procedimento legislativo adottato dal Parlamento della Repubblica può distinguersi a seconda del
tipo di legge cui si riferisce. Più precisamente si parla di
• Iter legis aggravato (da intendere come rafforzato), il procedimento relativo alla approvazione delle
leggi costituzionali.
Il parlamento italiano ha la caratteristica del Bicameralismo Perfetto, il che significa che il testo di legge, per
essere adottato, deve essere approvato sia dalla Camera dei Deputati che dal Senato con lo stesso
contenuto perchè entrambe le camere, in Italia, possiedono le stesse funzioni.
- Per l'approvazione da parte di una camera è sufficiente la maggioranza dei presenti votanti a favore,
eccezion fatta per taluni casi, sempre previsti dalla Costituzione, ove sono richiesta maggioranze speciali.
Qualora la maggioranza dei presenti in aula abbia votato favorevolmente il disegno di legge si intende
approvato e passa all'altra camera, la quale se vota favorevolmente al progetto senza apportarvi modifiche
fa sì che sia completata la fase deliberativa. Se invece vi apporta modifiche il disegno ripassa all'altra
camera che a sua volta se apporta modifiche deve ripassarlo ulteriormente e così via fino a che uno stesso
testo è approvato in entrambe le camere. Questo fenomeno viene definito con il termine traghetto.
Dopo che entrambe le camere adottano lo stesso testo di legge, questo viene inviato al Presidente della
Repubblica, al quale spetta una valutazione basilare di legittimità del testo costituzionale e, se legittimo, la
sua promulgazione.
- Non sempre il Presidente della Repubblica decide di promulgare la legge, in quanto essa potrebbe avere
dei difetti sostanziali (essere in contrasto con i dettati costituzionali) oppure vizi formali (difetti sul
procedimento legislativo); quindi spetta a lui porre il primo vero sindacato (preventivo) della legge. Se la
decisione di promulgare fosse negativa, la legge viene rinviata alle camere con un messaggio motivato del
Presidente della Repubblica (il cosiddetto "veto sospensivo"). Se il progetto di legge viene approvato
nuovamente il presidente è obbligato a promulgarlo.
Una volta che la legge approvata dal Parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica viene
pubblicata, questa non ha immediatamente forza di legge perchè prima deve intercorrere un periodo di
tempo variabile (15 giorni o prima, qualora la stessa legge non preveda un termine diverso), durante il quale
tutti i cittadini possono prendere coscienza della nuova legge. Questo periodo prende il nome di vacatio
legis.
Trascorsa la vacatio legis la legge pubblicata entra in vigore, cioè diventa obbligatoria.
Tale procedimento di revisione della Costituzione, che culmina nell’emanazione di una «legge costituzionale»,
non è affidato ad un organo ad hoc, bensì allo stesso Parlamento nelle forme e nei modi previsti dall’art. 138
Cost. (cd. procedura aggravata, cioè diversa da quella ordinaria).
La revisione costituzionale consente di aggiungere, abrogare e/o modificare il testo della costituzione per
adeguarne la portata alle mutate esigenze della società.
Il procedimento è realizzabile solo su costituzioni scritte e rigide MA possiede comunque una serie di limiti di
diversa natura.
- Art. 139 -> “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.”
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Appunti di Asya Moro
- Art. 2 -> meno esplicito del 139, “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo,
sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” Tutti questi diritti
sono da considerare intoccabili nel processo di revisione costituzionale.
• Limiti non scritti con i quali si ritiene che non possano essere modificati i principi supremi della
Costituzione, ovvero quei precetti che sono posti a fondamento del sistema costituzionale. Questi sono
stati individuati dalla Corte Costituzionale nel 1962 e si pongono, come importanza, accanto ai diritti
inviolabili dell’uomo. Alcuni esempi sono: il principio della separazione dei poteri, il principio democratico,
…
• Limiti logici: L’articolo 138 non può essere modificato con un procedimento di revisione costituzionale. Le
stesse modalità di revisione costituzionale sono immodificabili tramite revisione costituzionale.
“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con
due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta
dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione [cfr. art. 72 c.4].
Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare [cfr. art. 87 c.6] quando, entro tre mesi dalla loro
pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o
cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata [cfr. artt. 73 c.1, 87 c.5 ], se
non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.
Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere
a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”
- Si ha una prima votazione da parte della camera e del senato sullo stesso disegno di legge, dopodiché, ad
un intervallo non inferiore ai 3 mesi (pausa di riflessione), le camere si pronunciano ancora sullo stesso
testo di legge e soltanto dopo la seconda adozione da parte delle due camere il testo si intende approvato.
- Solo se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ambedue le Camere con una maggioranza
non inferiore ai due terzi dei componenti (non dei presenti), il Capo dello Stato provvede alla promulgazione
e quindi la legge viene pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e diventa legge dello Stato a tutti gli effetti; se,
invece, la legge è stata approvata nella seconda votazione, con la sola maggioranza assoluta, questa sarà
pubblicata in Gazzetta Ufficiale ed entro tre mesi potrà essere sottoposta a referendum (cd. referendum
costituzionale).
- Questo tipo di referendum ha lo scopo di consentire una verifica della rispondenza della legge alla effettiva
volontà del Paese e «rappresenta una sorta di veto che il corpo elettorale può esercitare, su sollecitazioni
delle minoranze, nel caso in cui la legge sia approvata da una maggioranza limitata, con tutta probabilità la
stessa maggioranza che è al governo. È questa un’arma a favore del popolo e della minoranza per
sconfessare le scelte della maggioranza, per paralizzare i tentativi di modificare le regole del gioco senza
ottenere anche il consenso di parte almeno delle forze di minoranza» (BIN-PITRUZZELLA).
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Atto avente forza di legge: Sono così definiti i decreti-legge, i decreti legislativi, le leggi regionali. Tali atti, pur
se dotati della forza di legge, cioè possiedono la stessa attitudine ad innovare l’ordine normativo vigente e la
medesima capacità di resistere alla abrogazione riconosciuta alla legge formale, subiscono particolari
limitazioni. Infatti, i decreti-legge necessitano della conversione, quelli legislativi devono sottostare ai limiti
della legge di delegazione, mentre le leggi regionali, nel caso di legislazione concorrente, devono anche
rispettare i limiti posti dalle leggi statali.
Art. 76 -> L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con
determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti.
➡ L’articolo 76 introduce nell’ordinamento l’istituto della legislazione delegata da parte del Parlamento al
Governo. Quest’ultimo, sulla base di una legge ordinaria che prende il nome di Legge Delega (o Legge di
Delegazione) e nel rispetto dei limiti previsti da essa, adotta una Legge Delegata, la quale prende nome e
forma di Decreto Legislativo.
➡ I limiti che assistono la funzione di delegazione servono a evitare l’abuso di questo potere normativo da
parte del Governo:
1. Limite di competenza: individua i soggetti coinvolti nel meccanismo della legislazione delegate e dice
che solo il Parlamento può delegare la funzione legislativa al Governo. Viceversa, il Governo può
essere delegato solo dal Parlamento.
2. Limite di contenuto: “oggetti definiti” sta a significare che deve esserci una determinazione chiara e
specifica, unica e non equivoca della delega legislativa. La legge delega deve indicare con esattezza
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Appunti di Asya Moro
qual è l’oggetto materiale della delega, cioè quale materia dovrà essere disciplinato dal decreto
legislativo.
3. Limite di tempo: la funzione legislativa non può essere delegata dal parlamento al governo se non per
un tempo definito. Il Governo non può esercitare la delega legislativa oltre ai termini indicati dal
Parlamento tramite la legge delega.
- La durata della delega comincia a decorrere dal giorno in cui la Legge Delega entra in vigore e quindi
solitamente dopo i classici 15 giorni successivi alla pubblicazione in Gazzetta.
- Il termine è perentorio e ciò significa che se il termine scade senza che la delega sia stata esercitata,
il potere legislativo del Governo decade e non può più esercitare la delega.
- Il termine può essere prorogato soltanto con una altra legge parlamentare e NON con altri decreti
legislativi.
5. Limite di forma: l’atto normativo adottato dal Governo prende il nome di Decreto legislativo, il quale
viene emanato dal presidente della Repubblica (Art. 87).
Esempio di decreto legislativo: è piuttosto abituale l’utilizzo del decreto legislativo per delegare il Governo
all’adozione di un atto normativo che abbia diversi oggetti come il decreto legislativo 42 del 2004 in Materia
di Beni Culturali e Paesaggio, i quali sono due oggetti diversi, ben definiti.
Decreto correttivo -> capita talvolta che il decreto legislativo preveda delle correzioni per via della
complessità della materia disciplinata dallo stesso. Per decreto correttivo si intende quindi un decreto
legislativo, o un decreto legge, successivo ad un primo atto avente forza di legge, con il quale si modifica,
attraverso l’abrogazione implicita o esplicita, una disposizione facente parte del primo corpo normativo.
➡ La delega legislativa originaria può essere anche frazionata, ovvero può essere esercitata attraverso
l’adozione di uno o più decreti normativi. Per esempio accade spesso, soprattutto quando gli oggetti
definiti dalla delega sono diversi, che nel termine dei 18 mesi indicato dalla legge delega, vengano adottati
uno o più decreti legislativi.
Il parlamento esercita un controllo sull’esercizio della Delega al Governo tramite delle consultazioni alle
commissioni parlamentari competenti nella materia indicata nella delega. La delega prevede infatti che entro il
termine dei 18 mesi il Governo si confronti con le commissioni parlamentari, le quali hanno il compito di
verificare se effettivamente il governo stia esercitando la delega nei limiti indicati dalla legge parlamentare.
Le Commissioni parlamentari sono degli organi permanenti facenti parte di entrambi i rami del parlamento
(Senato e Camera) e sono commissioni composte da un numero ristretto di senatori e deputati che sono
competenti in diverse materie.
- Se la delega è pari o superiore ai due anni, la legge impone al Governo di richiedere un parere proprio alle
commissioni parlamentari competenti in materia. Queste commissioni esprimono dei pareri che sono
obbligatori ma non vincolanti, di conseguenza il Governo non è tenuto ad uniformarsi al parere della
commissione.
- Se la delega eccede i due anni il parere è obbligatorio ma non vincolante, mentre se non supera i 24 mesi,
il parere è obbligatorio solo se espresso chiaramente nella delega.
➡ Nell’eventualità che il Governo effettui un esercizio scorretto della delega, ad esempio violando l’ambito
materiale o violando i principi e i criteri direttivi, sussiste la possibilità che il testo legislativo in questione
venga impugnato di fronte alla corte costituzionale e ne venga chiesta alla corte una pronuncia
d’illegittimità per violazione dell’art. 76, ovvero per eccesso di Delega.
Accade che talvolta il parlamento deleghi il governo all’adozione di un testo unico, il quale è un testo
normativo che raccoglie disposizioni di molteplici atti normativi succedutisi nel tempo, accomunati dal fatto di
disciplinare la stessa materia. Dipendentemente dalla natura normativa del testo unico è possibile distinguere
due tipologie:
Testo unico di coordinamento -> testo dotato della stessa forza e dello stesso valore delle disposizioni da
unificare e coordinare ed in grado di modificarle e abrogarle come qualunque altra fonte equiordinata. Non si
limita a trasferire in un unico testo tutte le norme adottate nel tempo sulla stessa materia ma opera un’attività
di armonizzazione tra le diverse norme, modificandole e abrogandone altre. Questo può essere adottato solo
su delega del Parlamento perchè è una fonte di produzione del diritto;
Testo unico compilativo -> testo che non presenta alcuna innovazione nelle norme giuridiche che ci
confluiscono. Le norme, che disciplinano la stessa materia, vengono sistemate per esigenze di ordine, di
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Appunti di Asya Moro
chiarezza e non vengono in alcun modo adattate; per questo motivo la delega dal Parlamento non è
necessaria. Questa è una fonte di cognizione del diritto.
Art. 78 -> (ipotesi di delega anomala) Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i
poteri necessari.
Art. 77 -> Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge
ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità,
provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere
che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro
pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti
non convertiti.
➡ In caso di necessità e/o urgenza, ove non è possibile aspettare l’adozione e l’approvazione di una legge
ordinaria, può succedere che il Governo adotti un atto normativo provvisorio chiamato decreto legge.
Questo è provvisorio perchè per essere efficace deve essere immediatamente (nello stesso giorno
dell’adozione) trasmesso alle camere per essere convertito entro 60 giorni in legge ordinaria.
➡ Le clausole di urgenza hanno natura soggettiva e relativa perchè è il Governo, nel momento stesso in cui
adotta il decreto legge, a dichiarare l’esistenza di una necessità tale da utilizzare questo strumento. Per
questo motivo, questo strumento, è stato vittima di molte critiche.
➡ Se il decreto legge non viene convertito entro i 60 giorni, decade e perde efficacia sin dall’origine. L’art.77
si occupa anche di “sistemare” la situazione di decadimento: nel caso in cui il decreto legge non viene
convertito in legge ordinaria, il Parlamento può farsi carico dell’adozione di una legge che regoli i rapporti
giuridici che sono sorti in ragione dell’adozione provvisoria del decreto legge (DDL).
Art. 72 -> Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento,
esaminato da una Commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con
votazione finale.
Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l'urgenza.
Può altresì stabilire in quali casi e forme l'esame e l'approvazione dei disegni di legge sono deferiti a
Commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari.
Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla
Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della Commissione richiedono
che sia discusso e votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con
sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle Commissioni.
La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i
disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione
a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi.
➡ Esistono dei casi, indicati nell’ultimo comma dell’Art.72, in cui i decreti legge e i decreti legislativi non
possono essere adottati e sono quei casi in cui è necessaria l’adozione di una legge parlamentare:
- Riserva di legge parlamentare
- Leggi di bilancio
- Leggi costituzionali e materia elettorale
- Delegazioni legislative (la delega al governo non può essere effettuata che con legge ordinaria)
- Legge di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali
Il decreto legge è tra gli atti aventi forza di legge quello che crea i maggiori problemi perchè, un testo
normativo che consente di adottare un atto avente forza di legge applicabile immediatamente, è stato e
continua ad essere molto abusato.
- Per molto tempo è stata diffusa la prassi di reiterare decreti legislativi a ridosso della scadenza, quando si
comprendeva che il Parlamento non l’avrebbe convertito in legge, ovvero di adottare un altro decreto legge
con lo stesso contenuto, prolungando nel tempo l’efficacia normativa di un testo teoricamente provvisorio.
Negli anni ’70, in una famosa sentenza, la Corte Costituzionale ha messo un taglio a questa prassi
dichiarandone l’illegittimità costituzionale.
- Il legislatore interviene nelle legge 400 dell’88 precisando e specificando i limiti all’utilizzo del decreto
legge; alcuni limiti sono già presenti nella Costituzione e altri sono stati aggiunti per evitare gli abusi di
questo strumento (esempio: il governo non può auto-delegarsi un decreto legislativo tramite un decreto
legge; se scaduti i 60 giorni il parlamento nega la conversione del decreto legge, il governo non può
adottare un altro decreto legge con lo stesso contenuto).
La condivisione del potere legislativo tra Parlamento e Governo si ha sia nel caso del Decreto legge che in
quello del Decreto legislativo, in maniera differente. Nel D. Legislativo si ha la legge delega del Parlamento e
quindi un controllo a priori mentre nel decreto legge si ha prima l’atto normativo del governo e il controllo/
approvazione del Parlamento dopo.
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Il nomen iuris ossia il termine “regolamento” rinvia ad una pluralità di atti molto diversi tra loro che possono
anche collocarsi nella stessa posizione delle fonti primarie: si pensi ai regolamenti parlamentari che
disciplinano l’organizzazione e il funzionamento di ciascuna delle due Camere del Parlamento italiano (art. 64
Costituzione), il cui rapporto con le fonti primarie è definito dal criterio di competenza oppure ai regolamenti
europei che, come vedremo meglio nella dispensa sulle fonti del diritto europeo, sono equiparati alle fonti
primarie.
La Costituzione contiene indicazioni sommarie e disorganiche sulle fonti regolamentari: gli unici riferimenti
sono quelli dell’art. 117, comma 6 (che disciplina la potestà regolamentare di regioni ed enti locali), dell’art.
64, comma 1 (che disciplina i regolamenti delle Camere) e dell’art. 87, comma 5 (che attribuisce al Presidente
della Repubblica il compito di emanare i regolamenti del Governo).
La disciplina sostanziale delle fonti regolamentari è quindi rimessa nel dettaglio alla legislazione primaria.
Mentre le fonti primarie sono un “sistema chiuso” e bene definito previsto dalla Costituzione e non
modificabile, se non con una procedura di revisione costituzionale, le fonti secondarie costituiscono un
“sistema aperto” nel senso che la legge può prevedere diverse tipologie di regolamenti e attribuire potestà
regolamentare anche a soggetti diversi (si pensi alla potestà regolamentare attribuita dalla legge alle autorità
portuali o alle autorità amministrative indipendenti, come il Garante della privacy).
Prima di passare all’analisi dei regolamenti statali resta da indagare un importante profilo in ordine al rapporto
fra fonti primarie e secondarie ossia lo spazio concesso nel nostro ordinamento costituzionale alla potestà
regolamentare sul quale, in realtà, ci siamo già soffermati nelle prime lezioni. I regolamenti statali sono fonti
secondarie e quindi, nel sistema gerarchico delle fonti del Diritto, sono subordinate alle fonti primarie (Leggi,
Decreti legge e decreti legislativi).
Sul piano del contenuto le norme secondarie non sono dissimili da quelle primarie in quanto possiedono le
medesime caratteristiche di generalità, astrattezza e innovatività. Resta però da chiedersi se la potestà
regolamentare, nel rispetto del principio di competenza, possa essere esercitata dall’Esecutivo in ogni
materia.
La risposta in linea di principio è affermativa, tutte le materie irrilevanti per la Costituzione possono essere
regolate indifferentemente da norme primarie come da norme secondarie che servano a completare o
integrare le prime, ma questa regola sconta un’importante eccezione: la c.d. riserva di legge ordinaria.
La riserva di legge ordinaria sta ad indicare che la Costituzione riserva determinate materie alle fonti
primarie, ossia al legislatore ordinario.
Questa riserva trova la propria origine negli albori del costituzionalismo inglese che come strumento per
limitare il potere regio nell’imposizione fiscale affermava no taxation without representation: nessuna imposta
fiscale può essere introdotta dal Governo senza l’esplicito consenso dei rappresentati del popolo che
siedono in Parlamento e quindi senza una legge.
• assoluta: quando la norma costituzionale impone che il legislatore ordinario regoli tutta la materia con
l’esclusione di ogni intervento secondario (es. art. 13, co. 3 Cost.; art. 40 Cost. sul diritto di sciopero; art.
42, 4 comma sull’esproprio della proprietà privata per finalità di interesse generale); la riserva di legge
assoluta si dice rinforzata quando la norma costituzionale introduce specifici limiti al legislatore ordinario
(come accade nell’art. 16, comma 1, Cost. nella parte in cui prevede che le limitazioni alla libera
circolazione della persone possono essere imposte solo per motivi di sanità o di sicurezza); la riserva di
legge assoluta diventa costituzionale quando la Costituzione precisa che quella materia può essere
disciplinata solo con legge costituzionale (es. art. 71 Cost., nella parte in cui prevede che l’iniziativa
legislativa spetta solo ad organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale);
• relativa: quando la noma costituzionale lascia intendere che il legislatore ordinario deve definire i capisaldi
della legislazione con la possibilità che le fonti secondarie intervengano completando la legislazione
ordinaria (es. art. 97, co. 2, Cost.).
La riserva di legge è ovviamente una garanzia per le minoranze che sono presenti in Parlamento e quindi
possono partecipare al procedimento legislativo mentre non lo sono nell’Esecutivo che emana le norme
secondarie senza il loro controllo.
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Appunti di Asya Moro
Si passa ora all’analisi dei regolamenti statali, espressione della potestà normativa del Governo, disciplinati
dall’art. 17 della l. 23 agosto 1988, n. 400, recante “Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri”.
L’art. 17 della l. n. 400/1988, in base al soggetto che li adotta/emana, distingue i regolamenti tra le seguenti
tipologie:
I. Regolamenti del Governo: deliberati dal Consiglio dei Ministri ed emanati dal Presidente della Repubblica
nella forma del d.P.R. (acronimo per decreto del Presidente della Repubblica). Esistono diverse tipologie
di regolamenti del Governo: alcuni, i regolamenti esecutivi, attuativi e organizzativi, sono fonti secondarie
in senso stretto in quanto coesistono con la fonte primaria a cui danno attuazione o esecuzione e sono ad
essa subordinati; una particolare tipologia di essi invece, i regolamenti indipendenti e i regolamenti di
delegificazione, sono fonti sub primarie nel senso che la legge consente loro a determinate condizioni di
sostituirsi alla fonte primaria;
II. Regolamenti Ministeriali: deliberati ed emanati dal singolo Ministro ed identificati con l’acronimo D.M. I
regolamenti ministeriali sono fonti terziarie in quanto sono subordinati ai regolamenti governativi e non
possono modificarli (art. 17, co. 3 l. 400/1988 e art. 4, co. 2, preleggi al codice civile).
III. Regolamenti Interministeriali: adottati di concerto, cioè d’accordo tra più ministri per diverse materie/
questioni che siano appunto di competenza di più ministeri. Anche i regolamenti interministeriali sono
fonti terziarie e di conseguenza non possono modificare i regolamenti governativi(art. 17, co. 3 l. 400/1988
e art. 4, co. 2, preleggi al codice civile).
Il procedimento di adozione dei regolamenti statali è descritto dall’art. 17, comma 1, della l. n. 400/1988.
I regolamenti statali sono proposti da uno o più Ministri e sono adottati con una delibera del Consiglio dei
ministri previa acquisizione del parere, obbligatorio ma non vincolante, del Consiglio di Stato; acquistato il
parere, i regolamenti vengono emanati dal Presidente della Repubblica con proprio decreto (d.P.R.) ed inviati
alla Corte dei conti per essere sottoposti ad un controllo preventivo di legittimità (questo procedimento li
rendi efficaci). Solo in caso di esito positivo del controllo i regolamenti possono essere pubblicati nella
Gazzetta ufficiale della Repubblica ed entrare in vigore dopo la vacatio legis di quindici giorni prevista anche
per le fonti primarie.
In merito al procedimento di adozione dei regolamenti ministeriali ed interministeriali, l’art. 17, co. 3, della l. n.
400/1988, precisa che essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della
loro emanazione.
L’art. 17 della legge 400/1988 distingue inoltre le tipologie dei regolamenti del governo in relazione al tipo
di norme in essi contenute tra:
1. regolamenti di esecuzione: gli esecutivi sono regolamenti che il Governo adotta quando avverte la
necessità di emanare nome specifiche che assicurino l’operatività della fonte primaria o la sua corretta
esecuzione. Di regola disciplinano le modalità per l’effettiva applicazione della legge e possono assolvere
anche all’importante funzione di spiegare le norme predisposte dalla fonte primaria (funzione
interpretativa). I regolamenti di esecuzione non integrano la norma primaria (diversamente dai regolamenti
di attuazione ed di integrazione) e per questo possono essere adottati anche nelle materie coperte da
riserva assoluta di legge. Per esempio: un regolamento di esecuzione della disciplina statale è quello
relativo al patrocinio elettorale all’esterno, cioè spiega come si svolge il procedimento elettorale per i
cittadini che si trovano al di fuori dei confini nazionali;
2. regolamenti di attuazione e integrazione: regolamenti emanati dal Governo per dare attuazione a leggi
o decreti legislativi che recano norme di principio. Questo tipo di regolamento favorisce una migliore
applicazione della legge, colmando eventuali incompletezze e avendo la capacità di integrare la fonte
primaria non può essere adottato nelle materie coperte da riserva di legge assoluta;
3. regolamenti organizzativi: si tratta di regolamenti ascrivibili alla categoria dei regolamenti di attuazione e
integrazione che disciplinano l’organizzazione interna dei pubblici uffici;
4. regolamenti indipendenti: regolamenti adottati dal Governo per regolamentare materie che non sono
disciplinate da una fonte primaria (legge o atto avente forza di legge). Non possono essere adottati nelle
materie coperte da riserva di legge assoluta o relativa. Si tratta a ben vedere di una categoria residuale se
considerate che sono poche le fattispecie non disciplinate con legge;
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Appunti di Asya Moro
Qual è la ratio del procedimento di delegificazione? Con questo strumento si cerca di ridurre il numero
delle fonti primarie nella convinzione che sostituendo una legge o un decreto legislativo con un regolamento
sia più agevole (cioè più rapido) adeguare la materia oggetto della norma regolamentare alle esigenze
concrete. Il regolamento, come abbiamo visto, viene adottato con un procedimento tutto interno al Governo
in tempi rapidi, molto più rapidi di quelli che sarebbe necessari per adottare o modificare una fonte primaria
(legge, anche di conversione di un decreto legge, o un decreto legislativo). La delegificazione intende quindi
“sfoltire” la normativa primaria “spostando” blocchi di materia (non coperte da riserva assoluta di legge) dal
livello delle fonti primarie al livello delle fonti secondarie.
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Il sistema della fonti del diritto si completa con le fonti dell’ordinamento comunitario; l’articolarità di
quest’ultime fonti riflette la complessità dell’intera struttura dell’Unione Europea.
Come ogni ordinamento giuridico anche quello europeo si fonda su un sistema di fonti di produzione del
diritto che danno vita al c.d. “diritto comunitario”.
All’interno di questo sistema è possibile distinguere:
1. Fonti di diritto primario: costituite dai Trattati istitutivi e modificativi dell’Unione europea e i dai principi
generali del diritto comunitario.
2. Fonti di diritto secondario o derivato: ossia gli atti che vengono adottati dalle istituzioni dell’UE
(Parlamento, Consiglio dell’Ue e Commissione Europea) in esecuzione delle disposizioni contenute nei
Trattati istituivi e che sono pertanto diretti a dare concreta attuazione agli obiettivi posti in essere dai
Trattati.
Il diritto primario definisce la ripartizione dei poteri e delle responsabilità tra l’Unione europea e gli Stati
membri ed il contesto nel quale le istituzioni formulano e attuano le politiche europee. Rientrano tra le fonti
del diritto primario:
II. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nota anche come Carta di Nizza (la quale racchiude
in una normativa dell’Unione europea una serie di diritti personali, civili, politici, economici e sociali dei
cittadini e dei residenti dell’Unione), che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è stata equiparata ai
Trattati istitutivi dell’Ue.
III. I principi generali del diritto comunitario, espressione che rinvia sia ai principi generali di diritto mutuati dai
singoli ordinamenti nazionali (come il principio di irretroattività della legge penale o il principio di certezza
del diritto) che ai principi ricavati dall’ordinamento comunitario, ossia quei principi che la giurisprudenza
della Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ritenuto di poter ricavare dai testi scritti dell’ordinamento
comunitario o dalla natura e dalle finalità dell’Ue (come il principio di leale collaborazione tra le istituzioni
comunitarie e il principio di solidarietà tra gli Stati membri).
I testi dei Trattati possono essere consultati su EUR-Lex, la banca dati del diritto dell’Unione europea.
Gli atti di diritto derivato (cfr. art. 288 TFUE) sono gli atti adottati dalle istituzioni comunitarie, secondo il
procedimento legislativo definito dal trattato. Nell’ambito di tale categoria può essere effettuata una
fondamentale distinzione tra atti “vincolanti” (fonti produttive di obblighi giuridici) e “non vincolanti” (fonti che
non producono degli obblighi giuridici) per i loro destinatari.
3) Decisione: atto obbligatorio e direttamente applicabile in tutti i sui elementi per i destinatari cui è rivolto
(Stato membro, persona fisica o giuridica).
➡ Ricapitolando: i regolamenti e le decisioni sono direttamene applicabili negli Stati membri perché non
necessitano di alcuna normativa di recepimento da parte degli Stati membri ed entrano a far parte delle
fonti interne degli ordinamenti nazionali dal momento della loro pubblicazione (regolamenti) o notificazione,
ovvero da altra data successiva se espressamene indicata (decisione). I pareri e le raccomandazioni non
sono giuridicamente vincolanti e sono quindi privi di efficacia diretta.
➡ Per quando riguarda il diritto primario, la Corte di giustizia, nella sentenza Van Gend en Loos del 1963, ha
precisato che una disposizione comunitaria perché possa produrre effetti diretti deve essere “precisa,
chiara e incondizionata” e “non richiedere misure complementari di carattere nazionale o europeo”.
Quelli descritti sono gli atti comunitari c.d. tipici, ovvero disciplinati dall’art. 288 del TFUE. L’ordinamento
comunitario conosce invero tutta una serie di atti adottati dalle istituzioni che non rientrano nelle categorie
degli atti giuridici previsti nel TFUE e che per questa ragione vengono indicati come “atti atipici”. Sono atti
molto diversi fra loro: alcuni sono previsti dai Trattati (come i regolamenti interni delle istituzioni o gli accordi
interistituzionali) altri si sono consolidati nella prassi (come le comunicazioni, i Libri Bianchi e i Libri Verdi della
Commissione europea).
Nel momento in cui uno Stato aderisce a far parte dell’Unione Europea si impegna all’applicazione, all’interno
del proprio ordinamento, del diritto comunitario. La Corte di Giustizia dell’Unione Europa nella nota sentenza
Costa vs Enel del 1964 ha sancito il principio del primato del diritto comunitario sul diritto interno tale per cui
se una norma nazionale è contraria ad una disposizione europea le autorità degli Stati membri sono tenute ad
applicare la disposizione europea. La Corte costituzionale italiana, più volte investita della questione relativa ai
rapporti fra diritto interno e diritto comunitario, nel 1984 con il noto caso Granital si è allineata alle posizioni
della Corte di Giustizia stabilendo che il giudice nazionale debba disapplicare la norma interna incompatibile
con quella comunitaria, riconoscendo a quest’ultima il primato sulla prima, senza che il giudice nazionale
debba sollevare un giudizio di legittimità costituzionale dinnanzi ad essa. Nell’ipotesi in cui il giudice
nazionale abbia un dubbio sull’interpretazione della norma comunitaria dovrà interrogare la Corte di Giustizia
proponendo un rinvio c.d. pregiudiziale secondo la procedura definita dall’art. 267 del TFUE. Il rinvio
pregiudiziale garantisce l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione europea negli Stati membri e quindi la
certezza del diritto europeo.
Nella sentenza 11 luglio 1989, n. 389, la Corte Costituzionale ha poi precisato che l’obbligo di disapplicazione
delle norme interne con i regolamenti o con norme comunitarie produttive di effetti diretti non sussiste solo
per gli organi giurisdizionali ma anche per gli organi amministrativi.
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LA MATERIA DEL TURISMO NEL QUADRO DELLE COMPETENZE LEGISLATIVE TRA STATO E REGIONI
(ART. 117 COST.)
Il turismo, sul piano giuridico, è una materia talmente poliedrica ed interconnessa con altri ambiti materiali
(ambiente, governo del territorio, beni culturali, salute pubblica, trasporti, commercio, ecc.) da risultare
sfuggente nei suoi elementi costitutivi, un “fenomeno complesso” la cui connotazione territoriale deve fare i
conti con una dimensione nazionale ed internazionale destinata a condizionarne non poco la disciplina e la
cui rilevanza giuridica si accompagna a quella sociale ed economica. Le leggi quadro della materia
disciplinano il turismo ma omettono di definirlo; un tentativo definitorio si trova invece nei decreti di
trasferimento delle funzioni amministrative dallo Stato alle regioni e agli enti locali (art.118 Cost.).
Non è un caso che, nella Costituzione del 1948, i padri costituenti, nel classificare le materie attribuite alla
potestà legislativa concorrente stato-regioni, abbiano associato la materia del turismo all’industria
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Appunti di Asya Moro
alberghiera. La lettura dei lavori dell’Assemblea Costituente racconta della scelta di lasciare alla potestà
regionale la materia del turismo e dell’industria, dettata più dalla scarsa consapevolezza dell’importanza che il
turismo avrebbe rivestito per lo sviluppo economico del Paese che dalla volontà di valorizzare il ruolo del
nascente sistema regionale nel cui confronti si nutrivano invero parecchi dubbi.
L’importanza strategica che la materia del turismo ha man mano assunto in ragione delle sue ricadute sui
canali occupazionali e sullo sviluppo economico ha alimentato ben presto un acceso dibattito, non ancora del
tutto sopito, in ordine all’individuazione dei soggetti cui affidare il compito di promuovere lo sviluppo turistico
del territorio, che ha visto fronteggiarsi sostenitori di una completa regionalizzazione del comparto turistico e
fautori di una politica di accentramento delle competenze.
Le due fazioni del conflitto hanno diverse ragioni: da un lato, i fautori dell’accentramento delle funzioni
amministrative ritengono che non si possa non riconoscere allo Stato un ruolo strategico in un settore che,
secondo le più recenti statistiche, genera circa il 12% del PIL nazionale e occupa quasi 3 milioni di unità di
lavoro; dall’altro, i sostenitori della regionalizzazione che pur riconoscendo l’opportunità di un ruolo di
coordinamento forte dello Stato ritengono necessario e opportuno valorizzare e puntare sulle specificità
territoriali in linea con un modello autonomistico che non solo “riconosce” ma “promuove” le autonomie
locali.
La bocciatura referendaria della riforma costituzionale del 2016, che cercava di sottrarre alla competenza
legislativa regionale la materia del turismo, ha lasciato immutato l’assetto delle competenze legislative ed
amministrative in materia confermando il ruolo essenziale delle regioni nella definizione delle politiche
turistiche dei propri territori.
Per analizzare l’attuale assetto delle competenze legislative ed amministrative nella materia del turismo
occorre partire dall’analisi degli artt. 117 e 118 della Costituzione come modificati dalla legge costituzionale
n. 3 del 18 ottobre 2001 recante “Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione” ovvero alle
disposizioni costituzionali dedicate a “Le Regioni, le Provincie, i Comuni”.
L’art. 117, che si trova nel titolo V della parte seconda della Costituzione, definisce il riparto della potestà
legislativa fra Stato e Regioni ma nella sua originaria formulazione limitava l’esercizio della potestà legislativa
regionale ad un elenco ristretto e tassativo di materie. Si trattava di una potestà non piena ma di tipo
concorrente in quanto le Regioni la esercitavano nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dallo Stato con
leggi quadro (o cornice), sempreché le norme regionali non fossero in contrasto con l’“interesse nazionale” e
con quello di altre Regioni. La clausola generale dell’“interesse nazionale” era usata nel vecchio sistema
costituzionale per ricondurre ad unità la legislazione regionale.
In tutte le materie diverse da quelle elencate nell’art. 117, co. 1, la potestà spettava allo Stato che poteva
demandare alle Regioni il potere di emanare norme per dare attuazione alla legislazione statale.
La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dello Stato, sempreché le norme stesse
non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni:
• circoscrizioni comunali;
• fiere e mercati;
• urbanistica;
• Cave e torbiere;
• caccia;
• agricoltura e foreste;
• artigianato;
Le leggi della Repubblica possono demandare alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione.
La riforma costituzionale del titolo V del 2001 ha capovolto completamente lo schema definito nella
Costituzione del 1948 ampliando notevolmente l’ambito della potestà legislativa regionale che, così come
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Appunti di Asya Moro
quella statale, incontra come unici limiti il rispetto della Costituzione ed i vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionale (art. 117, co. 1).
Nella sua attuale formulazione, l’ARTICOLO 117 prefigura un sistema tripartito di competenza, nel quale vi
sono materie di competenza esclusiva dello Stato (secondo comma), materia di competenza concorrete fra
Stato e Regioni (terzo comma) e materie di competenza residuale o generale delle Regioni (quarto comma).
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato [70 e segg.] e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l'Unione europea; diritto di asilo e
condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e
contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale;
n) norme generali sull'istruzione;
o) previdenza sociale;
p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati
dell'amministrazione statale, regionale e locale; opere dell'ingegno;
s) tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni;
commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con
esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno
all'innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile;
governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della
comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia; previdenza complementare e integrativa;
coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e
promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere
regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle
Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, riservata alla legislazione dello
Stato.
Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione
dello Stato.
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni
dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all'attuazione e all'esecuzione degli accordi
internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che
disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni.
La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione
e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.
Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale,
culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.
La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche
con individuazione di organi comuni.
Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro
Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato.”
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Appunti di Asya Moro
Procediamo con ordine:
1) Competenza esclusiva dello Stato: nelle materie elencate nel comma 2 dell’art. 117 la potestà legislativa è
riservata allo Stato.
- Tra queste materie in esclusiva dello Stato, la Corte costituzionale ha individuato una particolare
categoria di materie trasversali, ovvero quelle materie che possiedono dei confini incerti, come per
esempio la tutela dell’ambiente, la tutela della concorrenza e l’ordinamento civile. Queste non fanno
riferimento ad oggetti precisi ma a finalità che devono essere perseguite e che pertanto si intrecciano con
una pluralità di altri interessi, incidendo in tal modo su ambiti di competenza concorrente o residuale delle
regioni. Per questo motivo la Corte ha coniato a proposito di queste materie il termine materie-funzioni o
materie-valore che sono da intendersi come sinonimi.
2) Competenza concorrente fra Stato e Regioni: nelle materie elencate nel comma 3 dell’art. 117 lo Stato e
le Regioni concorrono all’esercizio della potestà legislativi; lo Stato concorre definendo i principi generali
della materie mentre le Regioni adottando la disciplina di dettaglio. In altri termini mentre lo Stato
prescrive i criteri e gli obiettivi in grado di orientare nel tempo la legislazione regionale, i legislatori regionali
individuano i mezzi che ritengono più adeguati per la realizzazione degli obiettivi prefigurati dal legislatore
statale.
- La natura di principio della legge statale nelle materie di potestà concorrente non significa che la norma
statale non possa essere dettagliata purché tale specificità sia necessaria e strumentale alla definizione
del principio generale.
- I principi generali possono inoltre mutare nel tempo perché nel tempo cambiano le materie stesse ed il
loro livello di definizione, si pensi alla materia tutela della salute o alla materia ricerca scientifica e
tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi e agli effetti che il progresso scientifico e
tecnologico possono avere sul loro contenuto. La Corte Costituzionale ha spiegato che l’ampiezza e
l’area di operatività dei principi fondamentali, non avendo carattere “di rigidità e di universalità” (Corte
Cost., 28 gennaio 2005, n. 50), non possono essere individuate in modo aprioristico e valido per ogni
possibile tipologia di disciplina normativa. Esse, infatti, devono necessariamente essere calate nelle
specifiche realtà normative cui afferiscono e devono tenere conto, in modo particolare, degli aspetti
peculiari con cui tali realtà si presentano (Corte Cost. 27 luglio 2005, n. 336). Cosa succede nell’ipotesi in
cui lo Stato non abbia definito, con una legge ad hoc, i principi generali della materia? Quali sono i limiti
che incontra in questo caso la legislazione regionale?
L’art. 1, co. 3, della legge 5 giugno 2003, n. 131, recante “Disposizioni per l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, prevede che il
legislatore regionale eserciti la propria della potestà legislativa concorrente nell’ambito dei principi
fondamentali “espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali
vigenti”. La norma riconosce dunque alle Regioni la possibilità di esercitare immediatamente la loro
potestà legislativa concorrente, pur in assenza di leggi statali recanti i principi fondamentali, desumendosi
tali principi dal complesso della legislazione statale vigente nelle relative materie. Per fare un esempio,
all’indomani della riforma del Titolo V della Costituzione non è stata emanata una legge recante i principi
generali in materia di governo del territorio, nondimeno le Regioni hanno legiferato in materia desumendo
i principi generali della materia dalle leggi statali vigenti, prima fra tutte la legge urbanistica fondamentale,
n. 1150 del 17 agosto 1942.
3) Competenza generale o residuale delle Regioni: tutte le materie che non compaiono nell’elenco dei
commi 2° e 3° dell’art. 117 della Costituzione (c.d. materie innominate) e che quindi non sono
espressamente attribuite alla potestà esclusiva dello Stato o a quella concorrente fra Stato e Regioni sono
da intendersi affidate alla competenza delle Regioni. Trattasi di una competenza piena che non incontra
altri limiti se non quelli del comma 1 dell’art. 117. Si chiama residuale perchè fa riferimento a tutte le
materie residue dalle altre due competenze.
Il sistema di riparto delle competenze normative è completato dal principio di attribuzione della potestà
regolamentare (art.117, co. 6) che ha visto, con la riforma del 2001, una riduzione della competenza statale,
ampliando quella delle Regioni e degli enti locali.
➡ Lo Stato emana i regolamenti nelle materie riservate alla sua competenza esclusiva, salva la possibilità di
delega alle Regioni, mentre alle Regioni spetta la potestà regolamentare in ogni altra materia, ovvero nelle
materie di potestà concorrente e in quelle ascritte alla potestà residuale o generale.
➡ Ai comuni, alle province, alle città metropolitane spetta la potestà regolamentare per la disciplina
riguardante l’organizzazione e il funzionamento delle competenze loro attribuite.
Per definire l’assetto delle competenze legislative in materia di turismo è importante ricordare dove si trova la
materia del turismo:
La materia turismo è una materia innominata, ovvero non presente nell’elenco delle materie di competenza
esclusiva statale e concorrente Stato-Regione, e come tale, ai sensi del comma 4° dell’art. 117, attribuita
alla potestà generale o residuale delle Regioni.
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Appunti di Asya Moro
Questo dato, almeno nella carta, avrebbe dovuto rafforzare il processo di regionalizzazione del turismo, già
incominciato negli anni ’90; invece, l’attribuzione della podestà legislativa alle regioni ha segnato l’avvio di un
aspro conflitto fra Stato e Regioni volto ridefinire l’ambito di intervento dello Stato in materia nel rispetto delle
prerogative riconosciute dalla Costituzione alle Regioni sul quale torneremo nelle prossime lezioni.
La Corte costituzionale non ha mai messo in dubbio che la podestà del turismo sia attribuita alle Regioni,
anche se in diverse sentenze, a partire del 2006, ne ha ridimensionato la portata piena ed esclusiva. Questo è
stato fatto in due modi senza violare l’art.117:
a) il primo modo è stato riducendo i confini della materia del turismo, ovvero la Corte costituzionale ha
consentito al legislatore statale di svuotare la materia del turismo legiferando in materie contigue
causando così un’invasione di campo.
b) la seconda maniera si esprime con l’esistenza di alcune circostanze nelle quali l’intervento dello Stato in
materia di turismo si rende necessario per valorizzare al meglio il settore turistico sul piano economico
(interno e internazionale), per ricondurre all’unità la varietà dell’offerta turistica nazionale.
L’argomentazione “b” ha reso possibile alla Corte costituzionale di salvare l’ENIT, l’agenzia nazionale del
turismo italiano. Esso è un ente nazionale di antica origine (ca.1920) che svolge funzione di promozione
turistica dell’Italia all’estero. In soli due casi le Regioni hanno impugnato la legge istitutiva dell’ENIT
dichiarandola incompatibile con l’attuale assetto delle funzioni amministrative in materia di Turismo; in
entrambi i casi la Corte ha però ribattuto che quel tipo di funzione amministrativa rivolta all’estero non può
che essere svolta da un ente statale.
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3. Il turismo culturale: dal ruolo dello Stato allo spazio per i privati.
Il turismo è materia tanto poliedrica e interconnessa con altri ambiti materiali (ambiente, governo del territorio,
beni culturali, salute pubblica, trasporti, commercio, ecc.) da risultare quasi sfuggente nei suoi elementi
costitutivi, una sorta di “fenomeno di fenomeno” la cui rilevanza giuridica si accompagna a quella sociale ed
economica e la cui connotazione territoriale deve fare i conti con una dimensione nazionale ed internazionale
destinata a condizionarne non poco la disciplina, a partire dall’assetto delle funzioni amministrative la cui
instabilità è esemplificativa del confronto, ancora in corso, tra sostenitori di una completa regionalizzazione
del comparto turistico e fautori di una politica di accentramento delle competenze.
Confronto che almeno in una prima fase (1948-1970) ha visto i primi dotati di armi “spuntate”.
Sebbene nella Costituzione del 1948 il “turismo” rientrasse tra le materie di potestà legislativa 3
concorrente , che le regioni esercitavano “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e
senza entrare in contrasto “con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni” (art. 117, comma 1) e gli
statuti regionali speciali prevedessero una potestà esclusiva in materia, fino all’istituzione delle regioni
ordinarie fu il Ministero del turismo, dello sport e dello spettacolo ad esercitare tutte le funzioni di
amministrazione diretta spettanti alle amministrazioni regionali. In aggiunta, chiaramente, ai compiti di
indirizzo, coordinamento e vigilanza previsti dalla propria
In altri termini occorrerà aspettare l’istituzione delle regioni ordinarie per avere una reale affermazione del
turismo come materia di rilevanza regionale: è infatti in questa seconda fase (1970-2001) che si registra il
primo massiccio conferimento di funzioni alle regioni e al sistema delle autonomie locali (d.p.r. 14 gennaio
1972, n. 6 e d.p.r. 24 luglio 1997, n. 616); che vengono riformate le strutture turistiche locali ad opera della
prima legge quadro sul turismo (l. 17 maggio 1983, n. 217)5 e che, per via referendaria, viene soppresso il
Ministero del Turismo.
Il conseguente riordino delle funzioni amministrative spettanti al centro operato prima dalla l. 30 maggio 1995,
n. 203 , poi dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 ed infine dal d.lgs. 30 luglio 1999, n.
300, per quanto ispirato ai principi di semplificazione e decentramento amministrativo, ad una più attenta
analisi ci restituisce l’immagine di uno Stato che, come efficacemente osservato, non ha inteso “abdicare del
tutto ai propri compiti non soltanto di indirizzo e di coordinamento delle varie politiche turistiche, ma pure di
regolamentazione della materia” .
Si pensi alle rilevanti funzioni attribuite allo Stato dal d.lgs. n. 112/1998, tra le quali spiccano la “definizione, in
accordo con le regioni, dei principi e degli obiettivi per la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico” ed
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Appunti di Asya Moro
il “cofinanziamento, nell’interesse nazionale, di programmi regionali o interregionali per lo sviluppo del
turismo” (art. 44, comma 1, lett. a) e d)); all’ampiezza
delle funzioni attribuite dal d.lgs. n. 300/1999 all’(allora) Ministero delle attività produttive9;
all’ulteriore accentramento delle funzioni operate dalla legge quadro sul turismo, 29 marzo 2001, n. 135 ,
adottata a quadro costituzionale invariato nell’esercizio della potestà legislativa
concorrente ed ancora alla controversa vicenda del suo decreto attuativo, il d.p.c.m. 13 settembre 2002,
adottato dal governo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 281/1997 in una materia in cui lo Stato non era (però) più
titolare della potestà di definire i principi fondamentali alla luce della riforma costituzionale medio tempore
intervenuta.
L’attribuzione della materia del turismo alla potestà legislativa generale delle regioni a seguito della riforma
del Titolo V, che almeno sulla carta avrebbe dovuto rafforzare il processo di regionalizzazione in corso, ha
invece segnato l’avvio di una fase caratterizzata da una sostanziale riallocazione di parte consistente della
materia del turismo a livello statale per effetto, anzitutto, dell’interpretazione che la Corte costituzionale ha
dato del titolo competenziale delle regioni in materia.
Per quanto la Corte formalmente non abbia mai messo in dubbio la competenza legislativa
esclusiva delle regioni , la giurisprudenza successiva al 2006 ha delimitato a tal punto i confini di
Il riferimento è alle numerose sentenze con le quali il giudice delle leggi ha circoscritto l’ambito materiale del
turismo giustificando l’intervento legislativo statale attraverso il riferimento ad ambiti diversi dal turismo e
soprattutto a quelle in cui ha ravvisato la necessità, ai fini di garantire l’esercizio unitario delle funzioni
amministrative nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, di attrarre in capo allo
Stato la relativa disciplina normativa finanche l’esercizio della potestà regolamentare.
In quest’ultime, in particolare, è molto ricorrente l’affermazione “della necessità di un intervento unitario del
legislatore in materia di turismo al fine di valorizzare al meglio il settore turistico sul piano economico interno
e internazionale, attraverso misure di varia e complessa natura” e “della necessità di ricondurre ad unità la
grande varietà dell’offerta turistica italiana” (di qui l’istituzione del Comitato nazionale per il turismo ed il
rafforzamento dell’E.n.i.t. da parte dell’art. 12 della l. n. 80/200516).
Il criterio dell’“attrazione in sussidiarietà” è stato utilizzato dal legislatore statale anche nell’adozione del
Codice del turismo, d.lgs. 23 maggio 2011, n. 79, senza però che l’esercizio da parte dello Stato di funzioni
amministrative e legislative attribuite alle Regioni fosse stata contemplata nella legge delega che aveva
invece circoscritto l’intervento del legislatore nazionale ad un mero “coordinamento formale ed alla
ricomposizione logico-sistematica di settori omogenei di legislazione statale”, con la sola “facoltà di
introdurre le integrazioni e le correzioni necessarie ad un coerente riassetto normativo delle singole materie”.
Come precisato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 80 del 5 aprile 2012, che ha dichiarato
l’illegittimità di molte delle sue disposizioni: “Esula dall’ambito della delega...il riassetto generale dei rapporti
tra Stato e Regioni in materie non di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma,
Cost., in quanto la disciplina necessaria per operare tale riassetto non può rimanere ristretta alla sfera
legislativa di competenza dello Stato, ma coinvolge quella delle Regioni, sia nel rapporto tra principi
fondamentali e legislazione di dettaglio, nelle materie di competenza concorrente, sia, a fortiori, nell’esercizio
del potere di avocazione da parte dello Stato di funzioni amministrative, e conseguentemente legislative, sulla
base dell’art. 118, primo comma, Cost., nelle materie di competenza regionale residuale...In definitiva, il
legislatore delegato ben poteva raggruppare e riordinare le norme statali incidenti sulla materia del turismo,
negli ambiti di sua competenza esclusiva e per la tutela di interessi di sicuro rilievo nazionale, come precisato,
in più pronunce, da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 76 del 2009, n. 369 del 2008, n. 88 del 2007, n.
214 del 2006). Ciò che invece la delega non consentiva era la disciplina ex novo dei rapporti tra Stato e
Regioni nella medesima materia, peraltro con il ripetuto ricorso al metodo della cosiddetta “attrazione in
sussidiarietà”, che, qualificandosi – ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. e secondo la giurisprudenza di
questa Corte – come forma non ordinaria di esercizio, da parte dello Stato, di funzioni amministrative e
legislative attribuite alle Regioni da norme costituzionali, richiede in tal senso una precisa manifestazione di
volontà legislativa del Parlamento, con indicazione, tra l’altro, di adeguate forme collaborative, del tutto
assente nella
L’articolo 55 individua nel “Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo”18 la struttura di
supporto delle politiche di governo per l’esercizio delle competenze riconosciute allo Stato in materia.
Nella scorsa legislatura il Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo è stato però soppresso
e le sue funzioni trasferite all’“Ufficio per le politiche del turismo” presso il “Dipartimento per gli Affari
regionali, il turismo e lo sport” (d.p.c.m. 21 giugno 2012), a sua volta articolato in quattro servizi: servizio per
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Appunti di Asya Moro
la promozione, la programmazione ed il coordinamento delle politiche turistiche nazionali; servizio per i
rapporti con le regioni ed i progetti di sviluppo del settore turistico; servizio per le relazioni comunitarie ed
internazionali in materia di turismo e per i rapporti con le associazioni di categoria e le imprese turistiche;
servizio per la vigilanza sugli enti, per l’assistenza alla domanda turistica e al turismo sociale (d.p.c.m. 10
agosto 2012).
Con d.p.c.m. 4 giugno 2013 il Ministro dei beni culturali era stato delegato ad esercitare tutte le funzioni
statali di promozione, programmazione, indirizzo e coordinamento di tutte le attività e iniziative, anche
normative, in materia di turismo nonché ogni altra competenza attribuita dalla legge al Presidente del
Consiglio in materia
Ma è con il d.p.c.m. del 21 ottobre 2013, che l’Ufficio per le politiche del turismo è passato dalla Presidenza
del Consiglio dei Ministri al Mibac (ora “Ministero dei beni delle attività culturali e del turismo”, Mibact) al
quale l’art. 1, comma 2, l. 24 giugno 2013, n. 71, ha trasferito tutte le funzioni spettanti alla Presidenza del
Consiglio in materia di turismo, ossia le competenze in materia di sviluppo, sostegno e valorizzazione del
turismo; la gestione dei rapporti e delle relazioni istituzionali con l’Unione Europea, le Organizzazioni
internazionali e gli altri Stati; la gestione del Fondo per il prestito e il risparmio turistico e del Fondo nazionale
di garanzia; l’attività di vigilanza su Agenzia nazionale del turismo, ACI e CAI
Il d.m. 18 novembre 201320 ha affidato alla neo istituita “Direzione generale per il turismo” le funzioni di
coordinamento, promozione e programmazione (attraverso l’elaborazione dei Piani di sviluppo ed
integrazione delle politiche turistiche nazionali, comunitarie ed internazionali, di approvazione ministeriale)
delle politiche turistiche nazionali ed internazionali.
L’organizzazione pubblica centrale del turismo è completata dalla Conferenza nazionale del 21
turismo, dall’Agenzia nazionale del turismo (ex E.n.i.t. ) e dal Comitato permanente di promozione del turismo
in Italia (rispettivamente artt. 56, 57 e 58 del Codice del Turismo).
La Conferenza nazionale del turismo, già prevista dall’art. 3 della l. n. 135/2001, è un organo consultivo cui
spetta esprimere “orientamenti per la definizione e gli aggiornamenti del documento contenente le linee guida
del piano strategico nazionale”, verificare “l’attuazione delle linee guida, con particolare riferimento alle
politiche turistiche e a quelle intersettoriali riferite al turismo”, favorendo “il confronto tra le istituzioni e le
rappresentanze del settore” (commi 3-4, art. 56); il Comitato permanente di promozione del turismo in Italia
svolge funzioni di coordinamento ed orientamento delle politiche turistiche nazionali22 mentre all’Agenzia
nazione del turismo è attribuita la funzione di promozione all’estero dell’immagine unitaria dell'offerta turistica
nazionale al fine di renderla competitiva sui mercati internazionali.
Attività che l’Agenzia ha fin’ora esercitato attraverso la sua società in house providing, Promuovi Italia S.p.a.,
messa in liquidazione dall’art. 16 della l. n. 106/2014 la quale ha riconosciuto al Comitato, che opera presso
la neonata Direzione Generale del turismo, natura di organo consultivo del Ministro.
Per quanto dall’analisi sin’ora compiuta dell’assetto istituzionale e della governance di settore emerga
chiaramente come le competenze statali in materia siano tutt’altro che marginali, nel progetto di riforma del
titolo V della Costituzione (cfr. art. 26, comma 2, lett. i) del d.d.l. “Disposizioni per il superamento del
bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento
delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione”24) la
materia del turismo è stata sfilata alle regioni e attribuita alla potestà statale esclusiva (legislativa e
regolamentare).
Al di là dei dubbi in ordine alla scelta di confermare il riparto della potestà legislativa fondato sul criterio delle
competenze materiali, quasi a voler ricondurre semplicisticamente le ragioni del
l’obiettivo (era ed) è quello di consentire allo Stato di intervenire al fine di coordinare e rendere unitaria
l’offerta turistica nazionale sembra che l’attuale architettura istituzionale sia già in grado di soddisfarlo.
Sul piano normativo, in ragione dell’attrazione verso l’alto che la potestà legislativa regionale ha subito per
effetto della connessione della materia del turismo con altre materie di potestà legislativa statale e per effetto
della “chiamata in sussidiarietà” (che come abbiamo visto la Corte Costituzionale, discostandosi dai propri
precedenti, ha ammesso in materia di turismo anche per le funzioni regolamentari).
Sul piano amministrativo in ragione delle importanti prerogative che, come si è visto, permangono in capo
all’amministrazione statale.
In un assetto istituzionale già fortemente accentrato, nel quale l’autonomia costituzionalmente riconosciuta
alle autonomie locali in assenza di adeguate risorse rischia di rimanere “lettera morta”, la strada da percorrere
anche per il rilancio dell’offerta turistica complessiva del paese non può essere quindi quella dell’ulteriore
trasferimento di competenze al centro bensì quella della cooperazione interistituzionale, del coordinamento
fra i diversi livelli di governo, a partire dalle intese e dagli accordi da adottarsi in Conferenza Stato-regioni e
nella Conferenza Unificata Stato-regioni e autonomie locali, magari concertate nell’ambito del Comitato
Permanente per il turismo che il Piano strategico26 presentato dall’ex Ministro Gnudi individuava come sede
privilegiata di definizione delle politiche di settore e nell’ambito del quale è auspicabile che a regioni e
province autonome sia consentito di recuperare un margine di intervento in materie nelle quali non hanno
competenza diretta e alle autonomie locali di incidere nei processi decisionali concernenti materie in cui
hanno le competenze ma risorse insufficienti. Il ruolo “apparentemente” centrale delle Regioni nella
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Appunti di Asya Moro
governance del sistema turistico27 deve peraltro fare i conti con l’attrazione verso il basso che la potestà
amministrativa regionale subisce, per espressa previsione costituzionale, in favore delle autonomie locali cui
spetta in concreto l’esercizio delle attività amministrative connesse al comparto turistico pur nel rispetto dei
modelli e degli strumenti individuati a livello regionale.
Ciò detto non si può certo negare che l’eccessiva differenziazione amministrativa nel settore del turismo
abbia elevati costi di impatto, in quanto rischia di tradursi in una differenziazione delle normative che
rappresenta un ostacolo per gli operatori del settore (i quali agiscono su base nazionale se non
internazionale) nella programmazione dei propri investimenti.
Ciò però suppone non solo o non tanto un accentramento delle competenze amministrative quanto il
rafforzamento del coordinamento regionale, magari tra regioni limitrofe (o macro- regioni) che condividano
scenari e percorsi turistici affini, e più in generale della cooperazione tra gli enti territoriali interessati dalla
gestione dei flussi turistici, residuando al centro solo funzioni di indirizzo, coordinamento e di impulso.
Proprio in questa direzione sembrano indirizzarsi le competenze attribuite alla Direzione generale
del turismo dal d.p.c.m. di riorganizzazione del Mibact (art. 19, comma 2).
Al Direttore generale compete infatti l’elaborazione, in raccordo con l’E.n.i.t., di programmi e la promozione, in
raccordo con le Direzioni generali competenti ed i Segretariati regionali, di iniziative finalizzate all’incremento
dell’offerta turistica destinata alla fruizione del patrimonio culturale, con particolare riferimento ai siti e agli
elementi dichiarati dall’Unesco patrimonio culturale materiale o immateriale dell’umanità; l’attivazione, in
raccordo con i Segretariati regionali e con gli enti territoriali, di reti e percorsi di valorizzazione del patrimonio
culturale e la
definizione, in raccordo con la Direzione generale Belle arti e paesaggio e la Direzione generale
Musei, degli indirizzi strategici dei progetti relativi alla promozione turistica degli itinerari culturali
culturali dedicati, nell’ambito del Piano Strategico Nazionale per lo sviluppo del turismo in Italia,
elaborati a cura delle Regioni e degli enti locali, singoli o associati e la convocazione, quale
realizzazione di circuiti nazionali di eccellenza a sostegno dell’offerta turistica e del sistema Italia .
Per quanto la scelta di fondo del d.p.c.m. sia quella della collaborazione e del coordinamento
interistituzionale tra apparati centrali (direzioni generali competenti) e tra centro e periferia (direzioni generali –
segretariati regionali – enti locali) , tale modello si troverà inevitabilmente a
fare i conti con i limiti di una organizzazione ministeriale che anche dopo tale riforma rimane verticale,
settoriale e fortemente accentrata .
Basti considerare i compiti, di amministrazione attiva, oltre che di indirizzo e coordinamento, attribuiti al
Segretario generale proprio in materia di turismo.
L’art. 11, comma 2, lett. p), del d.p.c.m. affida infatti al Segretario generale l’elaborazione, sulla base delle
proposte e delle istruttorie curate dalle direzioni generali centrali competenti e dalle altre direzioni periferiche
e dai segretariati regionali, del Piano strategico “Grandi Progetti Beni culturali” di cui all’art. 7, comma 1, della
l n. 106/2014, mediante “l’individuazione dei beni e dei siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza
nazionale per i quali sia necessario e urgente realizzare interventi organici di tutela, riqualificazione,
valorizzazione e promozione culturale, anche a fini turistici”.
3. Il turismo culturale, dal ruolo dello Stato allo spazio per i privati
L’attenzione al settore del turismo culturale34 si inserisce in un contesto di rinnovato interesse, anche in sede
europea, per il ruolo della cultura che “con i suoi inerenti elementi di creatività e di innovazione” contribuisce
alla realizzazione di quella “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”
sostenibilità, le Conclusioni del Consiglio europeo sulla governance culturale del 26 novembre 2012
(2012/C 393/03) ascrivono la valorizzazione del patrimonio culturale tra i principali strumenti di
delle politiche di sviluppo locale e regionale, a integrare i settori culturale e creativo nelle proprie
strategie di specializzazione intelligente36 e a istituire a tal fine un partenariato efficace tra società civile,
ambienti economici e autorità pubbliche” e “le imprese comuni di soggetti pubblici e privati ad
apportare sostenibilità agli investimenti nei settori culturale e creativo, favorendo un migliore dosaggio di
investimenti pesanti (infrastrutture) e leggeri (capitale umano)”
Del resto è la stessa complessità del riparto delle competenze e quindi la pluralità dei soggetti, pubblici e
privati, coinvolti a vario titolo nella promozione del settore turistico, nella tutela e valorizzazione dei beni
culturali e nella promozione delle attività culturali, così come l’incidenza che la disciplina in materia di beni
culturali ha sulla definizione e sulla realizzazione di iniziative finalizzate alla promozione turistica di un territorio
(si pensi ad esempio alla possibilità riconosciuta al sindaco, sentito il soprintendente, di individuare aree
pubbliche aventi valore archeologico, artistico, storico e paesaggistico, nelle quali vietare o limitare l’esercizio
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Appunti di Asya Moro
delle attività commerciali ex art. 52, comma, 1 del Codice dei beni culturali oppure all’impatto che le scelte in
ordine alle modalità di gestione di un bene culturale possono avere sull’economia locale) ad esigere l’utilizzo
di strumenti di cooperazione e di partenariato.
Alla promozione di iniziative di valorizzazione a fini turistici del patrimonio culturale è espressamente dedicato
l’art. 25 del Codice del turismo che nell’ambito dei “circuiti nazionali di eccellenza a sostegno dell’offerta
turistica e del sistema Italia”38 rimette agli strumenti di programmazione negoziale previsti all'articolo due,
comma 203, della l. n. 662/1996, l’adozione di misure finalizzate a: “a) promuovere, in chiave turistica,
iniziative di valorizzazione del patrimonio storico-artistico, archeologico, architettonico e paesaggistico
presente sul territorio italiano, con particolare attenzione ai borghi, ai piccoli comuni ed a tutte le realtà minori
che ancora non hanno conosciuto una adeguata valorizzazione del proprio patrimonio a fini turistici; b)
garantire, ai fini dell'incremento dei flussi turistici, in particolare dall’estero, che il predetto patrimonio sia
completamente accessibile al pubblico dei visitatori anche al fine di incrementare gli introiti e di destinare
maggiori risorse al finanziamento degli interventi di recupero e di restauro dello stesso; c) assicurare la
effettiva fruibilità, da parte del pubblico dei visitatori, in particolare di quelli stranieri, del predetto patrimonio
attraverso la predisposizione di materiale informativo redatto obbligatoriamente nelle lingue inglese, francese
e tedesco, e, preferibilmente, in lingua cinese” (art. 25, comma 2) .
Il ricorso agli strumenti della programmazione negoziata in materia di beni culturali non rappresenta certo una
novità.
Le premesse per il suo utilizzo, nell’ambito della valorizzazione, sono infatti già presenti nel Codice dei beni
culturali: all’art. 112, commi 4-8, secondo il quale Stato, regioni ed enti pubblici territoriali possono
concludere accordi, su base regionale o sub-regionale in relazione ad ambiti territoriali definiti, per definire
strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione ed elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale,
promuovendo "altresì l'integrazione, nel processo di valorizzazione il concordato, delle infrastrutture e dei
settori produttivi collegati”; e all’art. 121 che coinvolge anche le fondazioni di diritto bancario nella
realizzazione di interventi di valorizzazione del patrimonio culturale.
Nulla di nuovo verrebbe da dire, se non fosse per le finalità più restrittive rispetto a quelle codicistiche,
attribuite agli strumenti di programmazione negoziata dalle lett. a) e b) del comma 2 dell’art. 25: la prima,
infatti, privilegia le iniziative di valorizzazione finalizzate alla promozione del patrimonio culturale di realtà
sconosciute ai percorsi turistici tradizionali; la seconda invece prevede che l’incremento degli introiti dovuti
alle iniziative di valorizzazione sia destinata al “solo” finanziamento degli interventi di recupero e restauro del
patrimonio così valorizzato. Quanto alla lettera c) e alle misure in essa indicate per migliorare la fruizione del
patrimonio culturale (“predisposizione di materiale informativo redatto obbligatoriamente nelle lingue inglese,
francese e tedesco, e, preferibilmente, in lingua cinese”) è appena sufficiente ricordare la vicenda degli
standard minimi museali per avere contezza del quadro generale in cui opera la disposizione: il d.m. 10
maggio 2001, Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei
musei, ossia la normativa tecnica di riferimento per la gestione dei musei non è mai stato aggiornato43 e al
momento in cui si scrive solo 11 Regioni, di cui una a statuto speciale e solo due del Mezzogiorno d’Italia,
hanno definito standard minimi per il riconoscimento dei musei (Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana,
Veneto, Piemonte, Liguria, Lazio, Marche, Umbria, Campania e Sardegna); senza dimenticare poi che solo di
recente, con d.m. del 18 aprile 2012, sono state adottate Le linee guida per la costituzione e la valorizzazione
dei parchi archeologici.
Nessuna obiezione quindi sulla predisposizione di un adeguato materiale informativo in lingua straniera,
purché non di perdano di vista le (vere) debolezze strutturali del sistema che certo non dovevano, ne
potevano, essere affrontate dal Codice del turismo ma che il legislatore ed il Ministero di settore, ciascuno
per quanto di propria spettanza, prima o poi dovranno affrontare. In tal senso un passo in avanti nella giusta
direzione lo si trova certamente nel regolamento di riforma del Mibact, nella parte in cui affida al direttore del
polo museale regionale il compito di promuovere progetti di sensibilizzazione e specifiche campagne di
raccolta fondi (anche attraverso le modalità di finanziamento collettivo) coadiuvando la Direzione Generale
Bilancio e la Direzione Generale Musei nel favorire l’erogazione di elargizioni liberali da parte dei privati a
sostegno della cultura o ancora nella parte in cui attribuisce autonomia contabile ai musei statali elevati al
rango di uffici di livello dirigenziale, consentendo loro di ricevere e gestire direttamente le erogazioni liberali
ricevute , e soprattutto in quella che attribuisce ai poli museali regionali un
ruolo fondamentale in ordine all’iniziativa e al sostegno dei piani strategici di sviluppo culturale che svolgono
un ruolo centrale nella promozione turistica del patrimonio culturale.
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L’analisi delle scelte compiute dai legislatori regionali nell’esercizio della potestà legislativa loro attribuita; in
altri termini, quale livello di governo – regionale, provinciale o comunale – i legislatori regionali hanno allocato
(ossia assegnato) l’esercizio delle funzioni amministrative in materia di turismo.
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Appunti di Asya Moro
Il termine “funzione amministrativa” è “l’attività materiale finalizzata alla cura in concreto degli interessi
pubblici* posta in essere dalla pubblica amministrazione”. Per esempio, con riferimento ovviamente alla
materia che qui ci interessa, sono “funzioni amministrative” l’attività di raccolta, elaborazione e
comunicazione dei dati statistici relativi alla domanda e all’offerta turistica, la classificazione delle strutture
ricettive, la promozione dell’immagine turistica della regione o dell’Italia, lo svolgimento delle procedure di
abilitazione per le professioni turistiche, la valorizzazione delle attività turistiche del territorio e così via: tutte
attività poste in essere dagli apparati amministrativi per la cura di un interesse pubblico generale, ossia la
promozione dell’attività turistica.
Quella di “pubblica amministrazione” è una nozione complessa che si riferisce sia ai soggetti che esercitano
compiti di interesse pubblico (amministrazione in senso soggettivo) che all’attività svolta da questi soggetti
per il soddisfacimento in concreto dell’interesse pubblico individuato dagli apparati politici (amministrazione
in senso oggettivo o come funzione amministrativa). Oggigiorno la presenza di p.a. è massiccia e incrocia e
condiziona fortemente i comportamenti, anche quelli più consueti, di ciascun individuo.
Inoltre, la p.a. si riferisce da un lato ai soggetti che esercitano compiti di interessi pubblici (amministrazione in
senso soggettivo) e dall’altro si riferisce all’attività materiale svolte da quegli apparati amministrativi
(amministrazione in senso oggettivo o come funzione amministrativa). Questi due profili, pubblica
amministrazione in senso oggettivo e soggettivo, devono essere considerati due facce della stessa medaglia
conseguentemente vengono analizzati congiuntamente nella ricostruzione dell’ordinamento turistico perché
ogni volta che si parla di una specifica “funzione” amministrativa verrà indicato anche a quale “soggetto” la
legge regionale ha assegnato quella attività ovvero a quale livello di governo è stata allocata la relativa
funzione amministrativa.
Libro -> Il concetto di pubblica amministrazione presenta varie definizioni dettate da una o dall'altra
disposizione ad una serie di scopi. Ad esempio, al fine di individuare l'ambito di applicazione della disciplina
sul lavoro alle dipendenze delle p.a., il d.lgs. 30 marzo 2001, n.165, in tema di lavoro alle dipendenze delle
medesime, prescrive: per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi
compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi e
associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria,
artigianato e agricoltura e le loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali,
le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, l'agenzia per la rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) E le agenzie di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300 (quali le
agenzie fiscali). Come si evince da tale disposizione, ma anche da altre che provvedono a definire il concetto
di p.a. ai fini di delimitare il suo ambito applicativo, sussiste un pluralismo di amministrazioni pubbliche: ad
esempio, gli enti pubblici e i ministeri.
*Interesse pubblico -> è un interesse dotato di una generalità tale da richiedere/sollecitare l’intervento dei
pubblici poteri per garantirne il soddisfacimento. Ad esempio, è un interesse pubblico l’interesse alla tutela
della salute perché la salute è un interesse generale della collettività, riconosciuto e garantito come tale dalla
Costituzione e dalla legge. Un altro esempio è l’istruzione.
- Non esiste un catalogo chiuso e predefinito di interessi pubblici perché questi sono frutto di valutazioni
mutevoli nel tempo. Per esempio, l’interesse alla tutela della privacy è di recente occupazione da parte del
Governo italiano, così come l’interesse alle politiche ambientali.
1) il principio di sussidiarietà che può essere declinato in senso verticale con riferimento alla distribuzione
delle competenze tra i diversi livelli di governo territoriale ed in senso orizzontale con riferimento al
rapporto tra pubblici poteri e privati.
- Il principio di sussidiarietà verticale postula l’allocazione dell’esercizio delle funzioni amministrative al
livello di governo più vicino ai cittadini sul presupposto della maggior idoneità dello stesso a soddisfare le
esigenze della comunità di riferimento e l’intervento degli enti di livelli superiore solo nei casi in cui
l’esercizio delle funzioni da parte del livello inferiore risulti inadeguato per il raggiungimento degli obiettivi
connessi alla funzione.
- Il principio di sussidiarietà orizzontale implica, invece, che le istituzioni pubbliche devono favorire e
sostenere le iniziativa spontanee dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse
generale che non possono intendersi riservate in via esclusiva alle amministrazioni pubbliche. Ne
consegue che in presenza di un’iniziativa autonoma dei privati le istituzioni non possono sostituirsi ad essi
nello svolgimento di quella determinata attività di interesse generale ma devono anzi favorirla,
intervenendo in funzione “sussidiaria”, di programmazione e di coordinamento.
2) il principio di adeguatezza, secondo il quale nell’allocazione delle funzioni occorre guardare alla capacità e
all’idoneità organizzativa dell’amministrazione titolare della funzione a garantirne, anche in forma
associata con altri enti, l’esercizio;
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Appunti di Asya Moro
3) il principio di differenziazione, secondo il quale nell’allocazione delle funzioni occorre considerare le
diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti interessati.
I principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sono stati costituzionalizzati con la riforma del 2001
che ha riformulato l’art. 118 della Costituzione, come segue:
“Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a
Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.
I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con
legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.
La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo
comma dell'articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali.
Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati,
per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.”
• Ai sensi dell’art. 118, co. 1 Cost., le funzioni amministrative sono di regola attribuite ai Comuni salvo che
per assicurarne l’esercizio unitario siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato (secondo
un moto sempre ascendente) in base ai principi di sussidiarietà verticale, differenziazione ed adeguatezza.
• L’art. 118 individua nel Comune, ente a competenza amministrativa generali (ex art.13, d.lgs. n. 18 agosto
2000, n. 267, recante T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), il livello cui spetta l’esercizio di ogni
funzione amministrativa in quanto si tratta del livello territoriale più vicino ai cittadini e quindi, almeno in
linea teorica, quello in grado di soddisfare meglio i bisogni della collettività. I livelli di governo superiori,
quindi, intervengono laddove quello inferiore non sia in grado di svolgere la funzione in maniera adeguata
ed efficiente.
➡ Con riferimento a questo detto precedentemente, è nella sentenza n. 303 del 1° ottobre 2003 che la Corte
costituzionale specifica che l’allocazione delle funzioni amministrative si riflette anche sulla distribuzione
delle competenze legislative in quanto l’art. 97 Cost. impone che le funzioni amministrative siano
organizzate e regolate dalla legge (principio di legalità).
Ne consegue che nel momento in cui lo Stato sta avocando a sé (prendendo a sé), in attuazione del
principio di sussidiarietà, l’esercizio di una funzione che non può essere adeguatamente ed efficacemente
esercitata ad un altro livello di governo, può ed anzi deve, in ossequio al principio di legalità, disciplinare
tale funzione con legge statale.
Il meccanismo della c.d. “chiamata” o “attrazione in sussidiarietà” opera anche nelle materie di
competenza concorrente Stato-regioni e residuale delle Regioni e ha trovato applicazione in materia di
infrastrutture, energia, ordinamento della comunicazione e anche in materia di turismo. Il cenno a questo
principio si trova anche nelle precedenti pagine quando si fa riferimento a degli spazi che il legislatore
statale si è ritagliato in materia di turismo, abbiamo fatto riferimento alla pronuncia con la quale la Corte
costituzionale ha ritenuto “necessario l’intervento legislativo dello Stato per valorizzare al meglio il settore
turistico sul piano economico interno ed internazionale e per ricondurre ad unità la varietà dell'offerta
turistica presente in Italia” (cfr. Corte Cost., 1° giugno 2006, n. 214, in termini analoghi anche Corte cost., 9
luglio 2015, n. 140).
In questa sentenza la Corte ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale, per violazione
della competenza legislativa regionale in materia di turismo, della legge di riforma dell’ENIT -Agenzia
nazionale del turismo che provvede, tra le altre funzioni, alla “promozione all'estero dell'immagine turistica
italiana e delle varie tipologie dell'offerta turistica nazionale” e alla “promozione del marchio Italia nel
settore del turismo”. L’intervento del legislatore statale, anche se la materia è regionale, è in questo caso
giustificato dal fatto che la funzione di “promozione all’estero dell’immagine unitaria dell’offerta turistica
nazionale” non può che essere svolta al centro, da un’amministrazione statale e nel momento in cui tale
funzione è allocata a livello statale non può che essere lo Stato a disciplinarne l’esercizio (definendo
pertanto, con una propria legge, la composizione e le caratteristiche organizzative dell’ENIT).
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Appunti di Asya Moro
Scelte dei legislatori regionali nel settore turistico
Le Regioni si sono “mosse” in ordine sparso seguendo un percorso disomogeneo che si può dividere in tre
fasi per comprendere meglio:
i primi interventi in materia turistica si registrano infatti alla fine degli anni ’70 ma è solo nella seconda metà
degli anni ’80, con l’entrata in vigore della legge 17 maggio 1983, n. 217 “Legge quadro per il turismo e
interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica” recante i principi fondamentali in
materia di “turismo e industria alberghiera” (ex art. 117, co. 1, Costituzione del 1948), che sono aumentati gli
interventi regionali.
A partire dalla seconda metà degli anni ’90 le Regioni hanno poi rafforzato la produzione legislativa al fine di
adeguare l’assetto delle funzioni amministrative nel settore del turismo ai principi del federalismo
amministrativo (principi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza) introdotti dalla legge 15 marzo
1997, n. 59, recante “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per
la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”.
Con il termine federalismo amministrativo si evoca, in termini generali, quella stagione di riforme avviata dalla
l. n. 59/1997 finalizzate alla valorizzazione del ruolo delle autonomie territoriali attraverso l’incremento
dell’ambito delle loro funzioni amministrative in linea con i principi autonomistici espressi dalla Costituzione
che nel riconoscere e promuovere il “pluralismo territoriale” della Repubblica italiana (art. 5 Cost.) affidava alle
leggi della Repubblica il compito di regolare, per ogni ramo della pubblica amministrazione, il passaggio delle
funzioni statali alle Regioni (così l’VIII Disposizione transitoria e finale della Costituzione).
I più importanti trasferimenti di funzioni amministrative statali alle Regioni sono avvenuti in tre momenti,
sempre con decreti legislativi in attuazione di leggi delega del Parlamento:
1) la prima regionalizzazione è avvenuta subito dopo la prima elezione dei Consigli regionali con i d.P.R. 14
gennaio 1972, nn. 1-6 e d.P.R. 15 gennaio 1972, nn. 7-11;
2) la seconda regionalizzazione è avvenuta cinque anni dopo con i d.P.R. 24 luglio 1977, nn. 616, 617, 618;
3) la terza regionalizzazione è stata realizzata negli anni 1997-1998 per effetto proprio della l. n. 59/1997 e
dei decreti legislativi che ne hanno dato attuazione (d.lgs. 4 giugno 1997, n. 143; d.lgs. 19 novembre
1997, n. 422 s.m.i.; d.lgs. 23 dicembre 1997, n. 469; d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 s.m.i.).
Legislazione regionale successiva alla riforma costituzionale del titolo V del 2001
Anche nella terza fase si registrano scelte diverse da parte dei legislatori regionali: alcuni hanno
semplicemente aggiornato la legislazione previgente, che già aveva dato ampia attuazione ai principi del
federalismo amministrativo, altre invece hanno colto l’occasione per adottare nuove leggi di settore. Negli
ultimi anni sono inoltre aumentate le Regioni che hanno adottato dei Testi Unici di riordino della materia
(come Toscana, Veneto, Umbria, Marche).
Ricostruendo in modo molto sintetico il quadro delle competenze amministrative delle Regioni e degli enti
locali nella legislazione successiva alla riforma del Titolo V è possibile trovare alcuni elementi comuni a tutte
le regioni.
Un primo elemento che accomuna tutti i sistemi amministrativi regionali è la natura delle funzioni
amministrative mantenute in capo alle Regioni, che possono essere così schematizzate:
• programmazione, svolta di norma attraverso l’adozione di piani triennali di sviluppo turistico e dei relativi
programmi annuali di attuazione di tutte le iniziative e coordinamento delle attività dei diversi soggetti
operanti nel territorio;
• selezione e finanziamento dei progetti di sviluppo del territorio (ad es. riconoscimento dei sistemi turistici
locali)
Per lo svolgimento di queste competenze le Regioni si avvalgono oltre che della loro amministrazione diretta
(ovvero degli assessorati al turismo) anche di strutture rientranti nella c.d. “amministrazione regionale
indiretta”.
- società per azioni, controllate in tutto o in parte dalle Regione che conserva il capitale di
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Appunti di Asya Moro
Una seconda costante di tutte le leggi regionali è rappresentata dal riconoscimento del ruolo centrale/
essenziale dei comuni; questi svolgono infatti un ruolo fondamentale nella realizzazione di progetti di sviluppo
turistico locale, nella promozione dei sistemi integrati di offerta turistica e nella creazione di reti di
cooperazione pubblico-privata.
Si tratta di una scelta perfettamente in linea con il potenziamento delle competenze dei comuni che, titolari
primari della valorizzazione dell’economia turistica del proprio territorio, diventano parte attiva nella
realizzazione di sistemi territoriali finalizzati alla qualificazione del sistema dell’offerta locale e dei servizi
turistici di base relativi all’informazione, all’accoglienza turistica, all’intrattenimento degli ospiti, agli eventi ed
iniziative promozionali.
Le funzioni comunali appena elencate acquistano ulteriore importanza se lette congiuntamente alle rilevanti
competenze amministrative comunali in materia di pianificazione urbanistica ed edilizia, che comprendono
anche l’autorizzazione alla realizzazione e all’esercizio di strutture ricettive; alle competenze in materia di
gestione del demanio marittimo e fluviale; alle competenze in materia di valorizzazione dei beni culturali e di
promozione ed organizzazione di attività culturali. Questi sono tutti compiti che, unitamente considerati,
denotano il ruolo fondamentale svolto dal livello comunale in materia di turismo.
Le competenze delle Province sono invece molto diversificate: alcune leggi regionali hanno sin dall’inizio
attribuito alle Province solo funzioni di vigilanza e controllo sugli operatori turistici, altre leggi regionali hanno
invece attribuito loro non solo compiti di vigilanza e di amministrazione attiva ma anche funzioni di
coordinamento delle attività di promozione (attraverso le aziende di promozione turistica previste dalla legge
quadro n. 217/1983, nel tempo trasformate in agenzie) e l’elaborazione di atti di programmazione di concerto
con le regioni.
In alcuni modelli regionali le Province hanno assunto un peso assai rilevante, tanto da essere individuate
come enti ai quali spetta, in via residuale, l’esercizio di tutte le funzioni non conferite/allocate espressamente
ad altri livelli di governo.
➡ Il quadro disomogeneo delle competenze amministrative delle Province si è ulteriormente complicato con
l’entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province,
sulle unioni e fusioni di comuni” (c.d. Legge Del Rio) che ha reso operative le Città metropolitane a distanza
di vent’anni dalla loro istituzione con la legge di riforma dell’ordinamento degli enti locali (l. 8 giugno 1990,
n. 142) e a più di dieci anni dalla loro costituzionalizzazione per effetto del richiamo operato dagli artt. 114
e 118 Cost. L’introduzione di questo ulteriore livello di governo intermedio, coincidente con quello
provinciale, ha comportato la necessità di un riordino, da parte delle singole Regioni, delle funzioni
provinciali alla luce dei principi indicati nella l. n. 56/2014.
➡ L’art. 1, co. 85-86, della l. n. 56/2014 individua un elenco di funzioni fondamentali che la Provincia dovrà
continuare a svolgere, mentre tutte le funzioni diverse da quelle fondamentali sono destinate a essere
riallocate fra i diversi livelli di governo, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed
adeguatezza, secondo le rispettive competenze legislative. Ciò significa che la legge statale è chiamata ad
occuparsi solo delle funzioni che rientrano nelle materie di propria competenza esclusiva ai sensi
dell’art.117, co. 2, Cost. mentre alle Regioni spetta di provvedere al riordino delle funzioni provinciali in
tutte le altre materie, concorrenti e residuali.
➡ Tra le funzioni fondamentali non rientrano quelle in materia di turismo che quindi, nel processo regionale di
riordino delle competenze provinciali, sono state variamente riallocate in capo alle Città metropolitane o ai
Comuni quanto non accentrate a livello regionale o confermate di competenza provinciale, perché ritenute
assimilabili alle funzioni fondamentali o perché si è individuato in quello provinciale il livello adeguato
all’esercizio della funzione.
Si tratta di scelte molto disomogenee fra loro, difficilmente schematizzabili, che riflettono anche la maggiore o
minore sensibilità degli ordinamenti regionali per il ruolo delle autonomie locali e per le loro forme associative
(come le Unioni di Comuni).
Ci sono state pertanto Regioni, come Toscana e Emilia Romagna, da sempre molto attente
all’associazionismo fra Comuni che hanno valorizzato il ruolo delle Unioni anche nella materia del turismo,
altre invece che hanno optato per un accentramento delle funzioni in capo alle Regioni (Piemonte, Marche),
altre ancora che hanno confermato le funzioni provinciali (come Lombardia, Molise).
Ulteriore elemento comune alle leggi di settore è il riconoscimento del ruolo svolto dalle Pro loco,
associazioni di diritto privato che, in ambito locale, promuovono il turismo e forniscono assistenza ai turisti.
Diverse leggi regionali prevedono l’istituzione di Albi regionali delle Pro loco funzionali al riconoscimento di
contributi (anche economici) a sostegno dell’attività di valorizzazione delle potenzialità turistiche,
naturalistiche, culturali, storiche, sociali ed enogastronomiche dei luoghi in cui operano.
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Appunti di Asya Moro
LE POLITICHE EUROPEE NEL SETTORE TURISTICO
Precedentemente si è visto come il sistema delle fonti che regola l’ordinamento turistico sia piuttosto
complesso: esso è costituito da fonti normative di diverso grado (primario e secondario) prodotte da
ordinamenti diversi, statale (nei limiti precisati), regionale ed anche europeo. Senza dimenticare il ruolo svolto,
in un contesto globale, dall’Organizzazione Mondiale del Turismo per la promozione di un turismo
responsabile, sostenibile e universalmente accessibile.
L’ordinamento europeo, con il Trattato di Maastricht del 1992, inerisce il turismo tra gli obiettivi generali
dell’Unione europea anche se è con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009) che la materia del
turismo viene ascritta tra le competenze c.d. di sostegno dell’UE (art. 6, lett. d) del Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea, di seguito TFUE) trovando una specifica disciplina (art. 195 TFUE).
L’art. 352 del TFUE introduce però un elemento di flessibilità che attenua la rigidità del principio di
attribuzione stabilendo che “se un’azione dell’Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai
Trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai Trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di
azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione e previa
approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate”.
Questo elemento, la clausola di salvaguardia (prevista dall’art. 352 TFUE), consente all’Unione di adottare le
misure ritenute indispensabili per lo sviluppo del processo di integrazione in assenza di una precisa base
giuridica specifica, ovvero qualora i Trattati non abbiano previsto norme che attribuiscano alle istituzioni i
poteri necessari per il perseguimento degli obiettivi.
La norma, presente già nel Trattato CEE del 1957, ha consentito alle istituzioni comunitarie, oggi europee, di
intervenire in diversi ambiti (sconfinando un po’ dalle nome previste dai trattati), come il diritto dell’ambiente e
della tutela dei consumatori, oltre che nella materia del turismo.
Il Trattato di Maastricht ne ha tuttavia circoscritto l’ambito di applicazione:
1) precisando che le misure adottate dalle istituzioni ex art. 352 TFUE devono essere necessarie per il
perseguimento degli obiettivi del Trattato ed inserirsi nel quadro generale delle competenze europee;
2) prevedendo una procedura molto rigorosa per la sua applicazione, il consiglio deve deliberare con
unanimità (l’unanimità è richiesta dai Trattati in pochi casi, significa quindi che è molto importante);
3) escludendo che vi si possa ricorrere per il conseguimento di obiettivi riguardanti la politica estera e di
sicurezza comune o al fine di comportare un’armonizzazione della legislazione degli Stati membri nei casi in
cui i Trattati la escludono (perché ciò consentirebbe di bypassare il criterio del riparto di competenze).
La Corte di Giustizia ha inoltre precisato che se esistono altre competenze sulla base delle quali le istituzioni
possono perseguire tale azione viene meno la necessità di ricorrere alla clausola di salvaguardia essendo
questa una misura eccezionale alla quale ricorrere come extrema ratio.
Il Trattato di Lisbona ha ridefinito il riparto delle competenze tra Unione Europea e Stati membri distinguendo
tra:
I. competenze esclusive dell’Ue (art. 3 TFUE), ovvero le materie in cui solo l’Unione può legiferare ed
adottare atti vincolanti. Ne consegue che gli Stati membri possono intervenire solo se autorizzati
dall’Unione ad adottare atti che diano esecuzione alla normativa europea.
Rientrano tra le competenze esclusive gli ambiti materiali che sono stati funzionali alla realizzazione del
mercato comune e dell’unione doganale europea ossia: la materia doganale; la definizione delle regole
della concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno; la politica monetaria; la politica
commerciale comune; la conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune
della pesca e la conclusione di accordi internazionali quando tale conclusione sia prevista in un atto
legislativo dell’Unione o sia necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o
nella misura in cui può incidere su norme comuni o modificarne la portata;
II. competenze concorrenti fra Ue e Stati membri (art. 4 TFUE), ovvero materie in cui sia l’Unione che gli Stati
membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. I queste materie gli Stati membri
esercitano la propria competenza laddove l’Unione non la eserciti o abbia deciso di non esercitarla.
Rientrano tra le materie di competenza concorrente, tra le altre, l’ambiente, i trasporti, l’energia, la ricerca,
le politiche sociali.
III. competenze di sostegno dell’Ue (art. 6 TFUE), ovvero ambiti materiali in cui l’Unione può solamente
sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri. Ne consegue che qualora l’Unione adotti
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Appunti di Asya Moro
in queste materia atti giuridicamente vincolanti questi non devono richiedere l’armonizzazione della
legislazione dei Paesi membri, perché si tratta di interventi a sostegno. Rientrano tra le competenze di
sostegno, a titolo esemplificativo, l’istruzione, la cultura, l’industria, la salute e il turismo.
In tutte le materie in cui ha titolo per intervenire - siano esse di competenza esclusiva, concorrente o di
sostegno - l’Unione Europea deve agire nel rispetto del principio di proporzionalità, ovvero il contenuto e
l’ambito di applicazione dell’azione europea non deve superare quanto è strettamente necessario per il
conseguimento degli obiettivi dei Trattati.
Nelle materie in cui l’Ue non ha competenze esclusive, ovvero in quelle concorrenti e di sostegno, l’Unione
può agire solo se, e nella misura in cui, l’obiettivo di un’azione proposta non può essere raggiunto in maniera
soddisfacente da parte dei paesi dell’Ue, ma potrebbe essere realizzato in modo migliore a livello
comunitario, ovvero nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale (art. 5 Trattato dell’Unione europea,
TUE).
Grazie all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona la materia del turismo, ascritta alle competenze di sostegno
(art. 6, lettera ’d’ TFUE), viene dotata di una propria base giuridica ossia di una norma di diritto primario che
definisce l’estensione e la portata dell’azione dell’Unione e le procedure da seguire per il perseguimento degli
obiettivi previsti dal Trattato.
La norma in questione è:
1. L’Unione completa l’azione degli Stati membri nel settore del turismo, in particolare promuovendo la competitività
delle imprese dell’Unione in tale settore.
A tal fine l’azione dell’Unione è intesa a:
a) incoraggiare la creazione di un ambiente propizio allo sviluppo delle imprese in detto settore;
b) favorire la cooperazione tra Stati membri, in particolare attraverso lo scambio delle buone pratiche.
2. Il Parlamento europeo e il consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure
specifiche destinate a completare le azioni svolte negli stati membri al fine di realizzare gli obiettivi di cui al presente
articolo, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentare degli Stati membri.
Questo articolo, scarno, chiarisce che l’UE può intervenire in materia di turismo per completare l’azione degli
Stati membri con l’adozione di atti che, se vincolanti, non debbono richiedere l’armonizzazione delle
legislazioni nazionali. Trattandosi di una competenza non esclusiva, l’Unione interviene solo se l’azione degli
Stati membri non è idonea a perseguire gli obiettivi previsti dal Trattato (leggasi sussidiarietà) e nella misura
strettamente necessaria per la loro realizzazione (leggasi proporzionalità).
L’azione europea è finalizzata, come indicato nel primo paragrafo dell’articolo, alla promozione della
competitività delle imprese che operano nell’Unione nel settore del turismo, incoraggiando la creazione di un
ambiente favorevole allo sviluppo del settore e lo scambio di best practice, in linea con il principio generale di
leale collaborazione tra gli Stati membri.
➡ L’art. 195 TFUE assegna all’azione europea un obiettivo sostanzialmente economico occupandosi quindi
solo di alcuni aspetti del fenomeno del turismo che incrocia invece diversi ambiti materiali (come i trasporti,
la salute, la cultura, la tutela dei consumatori, politica commerciale, la concorrenza ecc.) e ha importanti
ricadute politiche e socio-culturali e non estranee agli obiettivi generali dell’Unione. Per la sua capacità di
favorire l’incontro fra popoli e, declinato nella sua accezione culturale, di promuovere la conoscenza del
vastissimo patrimonio culturale europeo, il turismo può infatti certamente concorrere al processo di
integrazione europea rafforzando l’idea di un Europa dei Popoli e non solo degli Stati.
Per quanto sia stato il Trattato di Maastricht del 1992 ad inserire il turismo fra gli ambiti materiali di interesse
della nascente Unione Europea, senza peraltro introdurre una norma che consentisse l’esercizio della nuova
competenza, i primi interventi normativi, vincolanti e non, in materia di turismo si registrano sin dalla fine degli
anni ’60: fra i primissimi atti vincolanti si ricordano la Direttiva 1968/368/CEE sull’attività dei ristoranti e gli
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Appunti di Asya Moro
spacci di bevande e la Direttiva 1975/368/CEE sull’attività di accompagnatore turistico e di interprete recanti
misure volte a realizzare il mercato comune eliminando ogni restrizione alla libera circolazione di servizi; tra
gli atti di soft law invece si segnalano la Comunicazione della Commissione al Consiglio del 30 novembre
1982 ‘‘Primi orientamenti per una politica comunitaria del turismo’’ COM (1982)385def. e la risoluzione del
Parlamento europeo del 16 dicembre 1983 sulla politica comunitaria nel settore del turismo.
Si tratta di interventi adottati nell’esercizio di competenze diverse da quella del turismo ma in grado di
incidere anche nel settore turistico (ad esempio nel settore dei trasporti come il regolamento n. 1991/295/CEE
sull’overbooking o nel settore della tutela dei consumatori come la Direttiva 1990/314/CEE sui c.d. pacchetti
vacanze “tutto incluso”) oppure di interventi legittimati dall’attivazione della clausola di salvaguardia prevista
dall’art. 352 TFUE.
Con il consolidamento delle competenze e l’introduzione di una base giuridica gli interventi europei si sono
consolidati grazie anche all’azione del Consiglio e della Commissione Europea impegnati nella definizione di
un quadro di interventi volti a stimolare l’industria turistica europea per favorire l’occupazione (v.
Comunicazione della Commissione “Un approccio di cooperazione per il futuro del turismo europeo” cit.)
Dal 2001 la Commissione ha pubblicato diverse comunicazioni per orientare, trattandosi di atti non vincolanti,
lo sviluppo del settore turistico. Tra queste:
• la Comunicazione del 19 ottobre 2007 “Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo” COM/
2007/0621 che introduce il tema dello sviluppo sostenibile del turismo europeo. Importante perché la
commissione europea si propone con forza di creare un maggior numero di posti di lavoro grazie alla
crescita del turismo sostenibile in Europa. La commissione in questo documento individua una serie di
principi che invita tutti gli Stati Membri a rispettare per far si che il turismo sia sia competitivo che
sostenibile tramite anche una programmazione a lungo termine;
• la Comunicazione del 30 giugno 2010 “L’Europa, prima destinazione turistica mondiale. Un nuovo quadro
politico per il turismo europeo” (COM/2010/0352) che analizza i fattori e gli ostacoli per la competitività del
turismo e il suo sviluppo sostenibile. Si invitano gli Stati membri ad adottare delle misure per valutare e
programmare nel tempo gli impatti del turismo nel territorio;
• la Comunicazione del 7 novembre 2012 “Attuazione e sviluppo della politica comune in materia di visti per
stimolare la crescita nell'UE” (COM/2012/0649) che mira a aumentare i flussi dei turisti dei paesi terzi
attraverso la politica comune dei visti;
• la Comunicazione del 20 febbraio 2014 “Strategia europea per una maggiore crescita e occupazione nel
turismo costiero e marittimo” (COM/2014/0086) volta a promuovere la crescita sostenibile e la competitività
nel turismo costiero e marittimo.
Tra i profili presi in analisi dalla Commissione certamente quello del turismo sostenibile rappresenta uno dei
più significativi sul quale si concentrano da tempo anche le politiche nazionali. Il Piano strategico del turismo
2017-2020 del Mibact individua proprio nella sostenibilità uno dei principi trasversali (insieme ad innovazione
e accessibilità) della strategia per lo sviluppo turistico del Paese.
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LE PROFESSIONI TURISTICHE
La realtà delle professioni turistiche è molto composita, come viene confermato nella definizione presente nel
d.lgs. 79/2011, ovvero nel codice del turismo.
Il codice provvede ad individuare una prima definizione di esse nell’art.6, ovvero “sono professioni turistiche
quelle attività, aventi ad oggetto la prestazione di servizi di promozione dell’attività turistica, nonché servizi di
ospitalità, assistenza, accompagnamento e guida, diretti a consentire ai turisti la migliore fruizione del viaggio
e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza dei luoghi visitati”; questa definizione si differenzia
dalla legge quadro 135 del 2001 solo per l’attenzione dimostrata al possesso di un’adeguata formazione per
lo svolgimento delle attività professionali, salvo poi non precisare nulla riguardando ai requisiti e alle modalità.
Dal punto di vista civilistico invece, le professione turistiche sono delle attività svolte a titolo di lavoro
autonomo e in forma individuale, differenziandosi per questo dall’impresa turistica, la quale è un’attività che
viene svolta attraverso un’organizzazione stabile di mezzi.
La seconda definizione è quella presentata nell’art.7, la quale si occupa altresì del mercato del lavoro in tale
settore disciplinando dei percorsi formativi, anche se in maniera piuttosto scarna. Precisamente stabilisce
che, allo scopo di realizzare percorsi formativi finalizzati all'inserimento lavorativo nel settore del mercato
turistico dei Giovani laureati o diplomati, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato (ora il
MIBACT), di concerto con i ministri dell'istruzione, dell'Università e della ricerca, dal lavoro e delle politiche
sociali e della gioventù, di intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le
province autonomi di Trento e di Bolzano, è autorizzato, nell'ambito delle risorse allo scopo disponibili a
legislazione vigente, a stipulare accordi o convenzioni con istituti di istruzione, anche universitaria, con altri
enti di formazione e con gli ordini professionali per lo svolgimento di corsi di formazione orientati alla
preparazione dei giovani operatori.
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Appunti di Asya Moro
L’art. 7 richiama il ruolo della conferenza Stato-Regioni, un organo collegiale molto importante che è chiamato
a favorire la cooperazione tra stato e regioni e funge anche da sede di confronto tutte quelle volte in cui il
governo deve definire politiche generali in settori e in ambiti che interessano le competenze delle regioni e
delle provincie autonome.
➡ Qualora il MIBACT debba stipulare degli accordi per definire i corsi di formazione per giovani, interviene in
un ambito regionale e quindi adotta questa decreto previa stipulazione d’intesa in sede di conferenza
Stato-Regioni.
Numerose sono le tipologie di professioni turistiche, basti pensare alla guida turistica, alla guida ambientale
ed escursionistica, all'accompagnatore turistico, al direttore d’albergo e all’organizzatore di congressi, solo
per citarne alcune, ed è per questo motivo che l’art.6 rinuncia ad elencarle.
Facendo un passo indietro sulla storia della disciplina delle professioni turistiche si vede l’evoluzione
avvenuta prima della riforma del titolo V della Costituzione e prima dell’adozione del codice del turismo; alle
origini infatti, con l’assetto delle competenze definite nella Costituzione nel 1948, la materia del turismo era di
podestà concorrente Stato-Regioni e per questo lo Stato adottò nel 1983 la prima legge quadro in materia di
turismo, la legge 217, la quale conteneva la regolamentazione organica delle professioni turistiche. L’elenco di
queste professioni non sarà più presente in nessun altro successivo intervento statale. La legge 217 è
importante ai fine della ricostruzione della disciplina in materia perché su di essa si è di fatto sviluppata tutta
la legislazione regionale di settore.
➡ L’art.11 della legge 217 del 1983 elencava una serie di professioni turistiche e soprattutto rinviava alle
leggi regionali l’adozione della disciplina relativa all’accertamento dei requisiti per l’esercizio delle
professioni turistiche elencate nella legge quadro e di ogni altra professione relativa al settore del turismo. Il
legislatore mostrò anche particolare attenzione per la disciplina delle professioni turistiche di carattere
sportivo, così che, durante gli anni ’80, adottò anche due leggi relative alla disciplina professione turistica di
guida alpina e una disciplina relativa alla professione del maestro di sci.
➡ Nel 2001 viene adottata la seconda legge quadro in materia di turismo, la legge 135, la quale abroga la
l.217. Differentemente dal legislatore precedente, questo non inserisce nella 135 l’elenco delle professioni
turistiche ma si limita a dare una definizione molto generica, simile appunto a quella che oggi si trova nel
Codice del turismo. La legge quadro 135 del 2001 rinviava quindi alla legislazione regionale per l’adozione
della disciplina di dettaglio regionale; in realtà questa legge rinviava anche ad un regolamento del governo
l’individuazione delle modalità d’esercizio su tutto il territorio regionale delle professioni turistiche per le
quali si ravvisava la necessità di avere criteri uniformi ed omogenei, con particolare attenzione alle nuove
professioni.
- Il regolamento di governo di cui si fa riferimento viene effettivamente adottato ma nel 2012, ma
ANNULLATO poco dopo poiché, essendo entrato in vigore dopo la riforma costituzionale del 2001, si
innestava nella materia del turismo ormai di podestà legislativa residuale delle regione.
Dopo la riforma del titolo V sono sorti DUE tesi, contrarie tra di loro, su dove collocare la disciplina delle
professioni turistiche:
2. Se questa disciplina dovesse essere ricondotta alla materie della professioni, materia che si trova
nell’elenco delle materie di podestà legislativa concorrente Stato-Regioni.
La Corte costituzionale con una prima sentenza 222/2008 ha optato per la seconda delle due tesi, ovvero ha
condotto la materia delle professioni turistiche alla materia delle professioni di podestà legislativa concorrente
Stato-Regioni, censurando di conseguenza una serie di leggi Regionali. La Corte ha spiegato, in particolare
nella sentenza 271/2009, che spetta al legislatore statale individuare le professioni turistiche oltre che
definirne i requisiti, i titoli abilitanti, i profili professionali e l’iscrizione in albi o registri; quello che possono fare
le regioni è adottare una disciplina limitata agli aspetti che riguardano la realtà regionale.
➡ Le professione turistiche non sono a numero chiuso, ma il compito di introdurne di nuove spetta SOLO al
legislatore statale, l’unica figura autorizzata; il legislatore regionale non può introdurre nuove professioni
turistiche, ne direttamente ne indirettamente, ovvero differenziando i requisiti professionali previsti per una
professione turistica al fine di crearne una nuova.
Un esempio con riferimento ad una legge della regione Puglia che è stata dichiarata incostituzionale dalla
Corte perché differenziando i requisiti della guida turistica, introduceva indirettamente la figura della guida
turistica sportiva.
L’intervento della Corte costituzionale ha quindi ristretto sostanzialmente l’ambito legislativo delle regioni, le
quali possono legiferare in materia di turismo solo rispettando i principi generali definiti dallo Stato.
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Appunti di Asya Moro
L’art.6 del codice del turismo non si esprime sui requisiti, sui principi relativi all’esercizio delle professioni
turistiche, per cui è prassi che le regioni abbiano difficoltà ad aggiornare la loro legislazione della materia;
fatta eccezione per la materia della guida alpina e del maestro di sci per cui esiste una legge statale.
La figura della guida turistica è stata al centro, oltre che di una serie di disposizioni normative, di numerose
sentenze.
La disciplina della guida turistica ha posto problemi di adeguamento dell'ordinamento italiano ai principi
comunitari del trattato dell’Unione Europea in materia di libera circolazione dei servizi, delle persone, delle
merci e dei capitali. A questo disguido ha cercato di porvi rimedio la legge comunitaria* n. 97 del 2013, la
quale nell’art.3 ha introdotto tre principi fondamentali:
I. “L'abilitazione alla professione di guida turistica è valida su tutto il territorio nazionale”, questa
norma riguarda, prima ancora che a quelle europee, le guide turistiche italiane. Nel 2009 la Corte
costituzionale si era già espressa su questo argomento quando aveva censurato un articolo della legge
regionale dell’Emilia-Romagna che prevedeva la limitazione l’esercizio di guida turistica ad un determinato
territorio, poiché questo poneva un ostacolo alla libera concorrenza.
II. “Ai fini dell'esercizio stabile in Italia dell'attività di guida turistica, il riconoscimento ai sensi del decreto
legislativo 9 novembre 2007, n.206, della qualifica professionale conseguita da un cittadino dell'unione
europea in un altro Stato membro a efficacia su tutto il territorio nazionale” fermo restando che “i cittadini
dell'Unione Europea abilitati allo svolgimento dell'attività di guida turistica nell'ambito
dell'ordinamento giuridico di un altro Stato membro operano in regime di libera prestazione dei
servizi senza necessità di autorizzazione né abilitazione, sia essa generale o specifica”, ovvero
qualsiasi cittadino europeo con qualifica professionale di guida turistica può operare su tutto il territorio
italiano.
III. In terzo luogo, viene prevista però un’eccezione per determinati siti: “Con decreto del ministero dei beni
e delle attività culturali e del turismo, sentita la conferenza unificata… sono individuati i siti di
particolare interesse storico, artistico o archeologico per i quali occorre una specifica abilitazione,
nonché, previa intesa in sede di conferenza unificata, i requisiti necessari ad ottenere tale
abilitazione e la disciplina del procedimento di rilascio” .
Alla luce di tale disposizione, il regime giuridico vigente in Italia sulle abilitazioni all'esercizio della professione
di guida turistica risulta quindi articolato su una sorta di "doppio binario" i titoli abilitanti (e delle relative
competenze):
a) da un lato, un regime nazionale generale, ossia un'applicazione generale, unica e valida su tutto il territorio
nazionale (cui è parificato, per le regole su libertà di stabilimento e prestazione di lavoro, il cittadino UE
abilitato in altro Stato membro);
b) Dall'altro lato, un regime specialistico per siti determinati: ossia un'abilitazione specifica, occorrente per
operare in sito di particolare interesse storico, artistico o archeologico, la cui individuazione è fissata con
decreto ministeriale, sentita la conferenza unificata.
*La legge comunitaria è un intervento normativo che viene effettuato in Italia annualmente al fine di garantire
l’adeguamento all’ordinamento comunitario e a quello nazionale; l'adeguamento avviene disponendo la
modifica di norme nazionali precedentemente censurate dalla corte di giustizia.
Un problema che si venne a creare in esecuzione di tali norme si riferisce al d.m. 7 aprile 2015, nel quale il
MIBACT elenca 3000 siti di “di particolare interesse storico, artistico o archeologico per i quali occorre una
specifica abilitazione”. Successivamente, nel dicembre 2015, il Ministero adotta un secondo decreto per
definire le modalità di rilascio delle abilitazioni speciali per fare da guida turistica in questi siti; il decreto in
questione viene però impugnato dal giudice amministrativo per poi annullarlo nel 2017 perché anche se il
potere del ministero di porre dei limiti alla libertà di concorrenza in alcuni siti è legittimo, rimane comunque
un’eccezione che va interpretata in maniera rigorosa e stringente, come tutte le norme eccezionali di stretta
interpretazione. Inoltre si aggiunge che questa potestà è utilizzabile solo ove vi siano esigenze imperative di
interesse generale e che lo stesso risultato non sia realizzabile con provvedimenti meno incisivi.
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Appunti di Asya Moro
I SISTEMI TURISTICI LOCALI
I “sistemi turistico locali” possono essere definite forme di cooperazione fra soggetti pubblici e privati che
collaborano per lo sviluppo della filiera economica turistica nell’ambito di contesti turistici che presentano
caratteristiche omogenee.
I sistemi turistici locali rappresentano uno degli istituti più interessanti della legislazione regionale in materia di
turismo, per almeno due ordini di ragioni:
1. per le caratteristiche proprie dell’istituto, le quali riflettono l’assetto delle funzioni amministrative nel
settore del turismo con riferimento al ruolo essenziale svolto dai comuni nella promozione e
nell’organizzazione dell’offerta turistica locale, e quindi del ruolo fondamentale delle comunità locali nella
progettazione integrata dell’offerta turistica.
La disciplina dei sistemi turistici è stata introdotta nell’art.5 della legge quadro 135/2001, la quale ha
confermato il ruolo prioritario dei comuni nell’organizzazione dell’offerta turistica locale. Sebbene qualche
mese dopo la riforma costituzionale del titolo V della Costituzione abbia completamente stravolto l’assetto
delle competenze legislative in materia, privando la legge quadro del 2001 della sua forza cogente nei
confronti della legislazione regionale e dando podestà residuale alla regioni in maniera di turismo, il legislatore
regionale ha ritenuto di accogliere l’istituto del sistemi turistici locali nella disciplina di settore.
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Appunti di Asya Moro
Come si evince dal COMMA 1 questo articolo, il sistema turistico locale viene configurato come un ambito
territoriale che possiede determinate ambizioni di sviluppo economico e che è caratterizzato da un
complesso sinergico di elementi (beni culturali, ambientali, paesaggistici, attrazioni turistiche,…) tali da
contraddistinguerlo da altri territori.
Nel COMMA 2 si evince come i confini dei sistemi turistici locali non vengono determinati a priori facendoli
coincidere con i confini geografici delle tradizionali circoscrizioni amministrative, MA sono invece rimessi
all’individuazione da parte dei soggetti proponenti (singoli cittadini, enti locali), in base alla presenza o meno
di quelli elementi sinergici citati precedentemente. I confini dei sistemi turistici locali possono anche
trascendere quelli regionali e non sono nemmeno legati a pre-determinati parametri di ampiezza e di
consistenza dell’offerta turistica.
L’organizzazione dell’offerta turistica locale si realizza a partire “dal basso”, ovvero tramite iniziativa delle
comunità locali, e attraverso delle forme di cooperazione tra gli enti locali che l’hanno proposto, gli enti
funzionali presenti nel territorio e tutti i soggetti privati che in un modo o nell’altro sono interessati e che
concorrono alla promozione dell’offerta turistica (ex. associazioni Proloco, le camere di commercio).
—> La legge statale non delimita la forma dei STL, ne se questa debba essere pubblica o privata, lasciando
quindi la libertà al legislatore regionale di indicare la forma giuridica a cui affidare la realizzazione di questa
cooperazione pubblico-privata.
L’aggettivo LOCALE possiede una triplice accezione, ovvero rinvia sia alla natura dei soggetti che realizzano il
STL e quindi al ruolo degli enti locali nella promozione e nella valorizzazione dell’offerta turistica sia alla
dimensione dell’offerta turistica che attiene alla dimensione dell’economia di sviluppo locale che il STL vuole
soddisfare. In terzo luogo l’aggettivo rinvia all’attività del STL e quindi alla valorizzazione e rivitalizzazione del
territorio tramite un progetto di sviluppo locale che metta in connessione tutti i soggetti pubblici e privati e
metta a sistema tutte le attrattività presenti.
COMMA 3 e 4 -> Il ruolo svolto dalle regioni nella costituzione dei STL rispecchia le funzioni generali svolte
da esse nel settore del turismo, ovvero funzioni di programmazione dell’offerta turistica regionale, di sintesi
delle politiche turistiche, di sviluppo economico e di governo del territorio. L’ente regionale ha quindi il
compito di selezionare, sulla base di requisiti previsti dalla legge, i progetti di sviluppo locale del territorio
presentate da soggetti (pubblici e privati).
- Il compito di individuare le procedure amministrative per il riconoscimento dei STL è lasciato quindi ai
legislatori regionali.
- Alle Regioni spetta anche il compito di decidere le modalità e le misure dei finanziamenti dei STL
riconosciuti.
Nel COMMA 5, per incentivare questi finanziamenti, la legge quadro del 2001 aveva anche previsto la
costituzione di un “fondo statale di co-finanziamento dei STL" interamente devoluto alle Regioni e alle
provincie autonome secondo delle modalità definite da un decreto dell’allora ministero dell’industria (poi
scomparso e sostituito dal ministero dello sviluppo economico) previo parere della conferenza Stato-Regioni.
E non pare affatto azzardato sostenere che molte Regioni abbiano accolto il modello de qua proprio per
accedere al fondo statale previsto in questo comma per accedere alle ulteriori provvidenze ed agevolazioni
allo sviluppo dei STL previste dal comma successivo;
Nel COMMA 6 infatti la legge prevedeva la possibilità per i sistemi turistici locali di accedere a meccanismi di
agevolazioni fiscali e altre provvidenze al fine di realizzare progetti di sviluppo locale con particolare
attenzione per quei STL comprendenti dei comuni caratterizzati da un’offerta turistica tale da rafforzare
quantitativamente, in un periodo dell'anno non inferiore ai tre mesi, il numero dei residenti.
Adottata la legge quadro, i legislatori regionali, pur non essendovi obbligati, cominciarono ad introdurre
l’istituto o negli stessi tempi.
Rimane comunque possibile osservare degli elementi comuni alle singole scelte regionali: i legislatori si
trovarono di fronte alla scelta se adottare un disciplina dettagliata/analitica dei STL a partire dalla forma
giuridica che deve rivestire l’aggregazione pubblico-privata oppure se adottare una disciplina generale/
essenziale che rimettesse ai soggetti proponenti l’autonomia della scelta del modello organizzativo ritenuto
più idoneo.
Dall’analisi della legislazione regionale emerge che i legislatori regionali optarono per la seconda opzione,
ovvero hanno lasciando la scelta della forma organizzativa ai soggetti proponenti. Alcune leggi regionali
prevedono come forma giuridica quella del consorzio pubblico, anche se si tratta di una scelta minoritaria,
mentre la maggior parte delle Regioni non prefigurano il modello organizzativo per la situazione del sistema
turistico locale.
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Appunti di Asya Moro
Questo significa che i soggetti interessati alla costituzione di un STL, ovvero i soggetti proponenti, possono
accedere ad una delle forme di Partenariato Pubblico Privato (PPP) previste dall’ordinamento, scegliendo tra
forme di collaborazione che si fondano sulla conclusione di accordi o di convenzioni fra i soggetti coinvolti
(c.d. PPP contrattuale) o costituendo un soggetto ad hoc, una società a partecipazione mista pubblico-
privata o una fondazione (cd. PPP istituzionalizzato), cui affidare come mission istituzionale la realizzazione
del progetto di sviluppo locale.
Quanto alla modalità di costituzione dei STL la normativa regionale è piuttosto generica e spesso rimette
alla disciplina regolamentare la definizione di ulteriori requisiti: ad esempio l’art. 10, della l.r. Lazio, n.13/2007,
individua tra i requisiti per il riconoscimento dei STL la “consistenza della ricettività alberghiera ed
extralberghiera” ed il regolamento n. 19 del 1 agosto 2011 di attuazione della l.r. Puglia, n. 1/2002 rinvia alla
“presenza diffusa di imprese turistiche, singole o associate”.
Con riferimento ai soggetti partecipanti, le leggi regionali prevedono, oltre ai comuni ricadenti nell’ambito
territoriale considerato, la presenza in forma volontaria delle imprese turistico-ricettive (singole o associate)
con sede operativa nell’ambito territoriale di riferimento; è importante precisare che per quanto le imprese
turistiche presenti nel territorio non siano sufficiente a delineare i confini geografici del STL i quali dipendono
ovviamente dalla presenza nell’ambito territoriale di quel complesso sinergico di attrazioni turistiche e risorse
culturali che lo differenziano dal resto del territorio, la loro presenza è da considerarsi imprescindibile per la
costituzione di un modello organizzativo destinato in via prioritaria allo sviluppo turistico del territorio.
Quanto invece alle Province, la loro partecipazione al STL è talvolta necessaria e a volte facoltativa
(dipendentemente dalle leggi regionali), mentre possono sempre aderirvi le associazioni rappresentative delle
imprese turistiche, gli enti e le associazioni, di natura pubblica o privata, che agiscono direttamente o
indirettamente per lo sviluppo turistico dell’area interessata.
Alcune regioni nell’ultimo periodo, pur valorizzando il principio della cooperazione pubblico privata
nell’organizzazione e promozione dell’offerta turistica, hanno optato per modelli diversi dal sistema turistico
locale: ad esempio, ai poli turistici locali (PTL) previsti dagli art. 8 ss., l.r. Campania 8 agosto 2014, n. 18
“Organizzazione del sistema turistico in Campania” definiti come “forme associative di soggetti pubblici e
privati che operano per il turismo all’interno degli ambiti turistici territoriali omogenei” cioè in “aree delimitate
nelle quali, per storia turistica o per chiara potenzialità, sono organizzate ed ottimizzate le offerte dei servizi
pubblici e privati per il turismo e dove sono integrati il patrimonio umano, ambientale, produttivo e culturale
del territorio”; ai sistemi turistici tematici previsti dall’art. 11, l.r. Veneto, 14 giugno 2013, n. 11 “Sviluppo e
sostenibilità del turismo veneto”, ai distretti turistici previsti dall’art. 6, della l. r. Sicilia, 15 settembre 2005,
“Norme per lo sviluppo turistico della Sicilia e norme finanziaria urgenti”, ai distretti dell’attrattività del
territorio previsti dall’art. 10 della l.r. Lombardia, 1 ottobre 2015, n. 27 “Politiche regionali in materia di turismo
e attrattività del territorio lombardo”, quali “accordi della Regione con i Comuni e con altri soggetti per la
realizzazione di interventi e iniziative integrate per l’attrattività territoriale, turistica e commerciale” realizzate
dai comuni attraverso partenariati con soggetti pubblici e privati. Anche la Regione Umbria, tra le prime a
recepire i modelli dei STL, nella l.r. 10 luglio 2017, n. 8 “Legislazione turistica regionale” ha definitivamente
superato tale modello.
Il Codice del turismo, d.lgs. n.79/2011, nell’abrogare la legge quadro n.135/2001 ha recuperato la definizione
di Sistemi turistici locali dell’art. 5, adottando la seguente disposizione:
➡ I primi due commi dell’art. 23 sono stati però dichiarati incostituzionali per eccesso di delega, ossia per
violazione dell’art. 76 Cost., dalla sentenza 5 aprile 2012, n. 80. Ad avviso della Corte costituzionale
esulerebbe dall’ambito della delega ricevuta dal Parlamento “il riassetto generale dei rapporti tra Stato e
Regioni in materie non di competenza esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, Cost., in
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Appunti di Asya Moro
quanto la disciplina necessaria per operare tale riassetto non può rimanere ristretta alla sfera legislativa di
competenza dello Stato, ma coinvolge quella delle Regioni, sia nel rapporto tra principi fondamentali e
legislazione di dettaglio, nelle materie di competenza concorrente, sia, a fortiori, nell’esercizio del potere di
avocazione da parte dello Stato di funzioni amministrative, e conseguentemente legislative, sulla base
dell’art. 118, primo comma, Cost., nelle materie di competenza regionale residuale. In definitiva, il
legislatore delegato ben poteva raggruppare e riordinare le norme statali incidenti sulla materia del turismo,
negli ambiti di sua competenza esclusiva e per la tutela di interessi di sicuro rilievo nazionale ma ciò che
invece la delega non consentiva era la disciplina ex novo dei rapporti tra Stato e Regioni nella medesima
materia, peraltro con il ripetuto ricorso al metodo della cosiddetta “attrazione in sussidiarietà”, che,
qualificandosi – ai sensi dell’art. 118, primo comma, Cost. e secondo la giurisprudenza di questa Corte –
come forma non ordinaria di esercizio, da parte dello Stato, di funzioni amministrative e legislative attribuite
alle Regioni da norme costituzionali, richiede in tal senso una precisa manifestazione di volontà legislativa
del Parlamento, con indicazione, tra l’altro, di adeguate forme collaborative, del tutto assente nella legge di
delegazione n. 246 del 2005” (punto 5.6. in diritto).
Il Codice del turismo, all’art. 22, disciplina un altro importante strumento finalizzato alla gestione integrata
dell’offerta turistica a livello, in questo caso, nazionale: i circuiti nazionali di eccellenza a sostegno dell’offerta
turistica e del sistema Italia.
Art.22 del Codice del Turismo (circuiti nazionali di eccellenza a sostegno dell’offerta turistica e del sistema Italia)
“1. Al fine di superare la frammentazione della promozione e della strutturazione dell'offerta per promuovere i circuiti
virtuosi, in grado di collegare tutta l'Italia e di contribuire strategicamente a creare un'offerta tematica idonea a
soddisfare le molteplici esigenze dei turisti nazionali e internazionali, sono realizzati i circuiti nazionali di eccellenza a
sostegno dell'offerta e dell'immagine turistica dell'Italia, corrispondenti ai contesti turistici omogenei o rappresentanti
realtà analoghe e costituenti eccellenze italiane, nonché veri e propri itinerari tematici lungo tutti il territorio nazionale.
2. Con decreto del presidente del consiglio dei ministri o del Ministro delegato, di concerto con i ministri degli affari
esteri, dell'ambiente e della tutela del territorio del mare, dello sviluppo economico, per i beni e le attività culturali, delle
politiche agricole alimentari e forestali, della gioventù e per le politiche europee, di intesa con la conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonomi di Trento e di Bolzano, si definiscono i circuiti nazionali di
eccellenza, i percorsi, i prodotti e gli itinerari tematici omogenei che collegano regioni diverse lungo tutto il territorio
nazionale, anche tenendo conto della capacità ricettiva dei luoghi interessati ed è la promozione di forme di turismo
accessibile, mediante accordi con le principali imprese turistiche operanti nei territori interessati attraverso pacchetti a
condizioni vantaggiose per i giovani, gli anziani e le persone con disabilità, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica.
Essi sono individuati come segue:
a) turismo della montagna;
b) turismo del mare;
c) turismo dei laghi e dei fiumi;
d) turismo della cultura;
e) turismo religioso;
f) turismo della natura e faunistico;
g) turismo dell’enogastronomia;
h) turismo termale e del benessere;
i) turismo dello sport e del golf;
j) turismo congressuale;
k) turismo giovanile;
l) turismo del Made in Italy e della relativa attività industriale ed artigianale;
m) turismo delle arti e dello spettacolo.
3. Il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato promuove i circuiti nazionali di eccellenza nel contesto
nazionale ed internazionale, anche con la partecipazione degli enti locali, delle regioni, delle associazioni di categoria e
dei soggetti pubblici e privati interessati che concorrono alla formazione dell’offerta.”
L’obiettivo perseguito del legislatore è quello di superare la frammentazione della promozione della
strutturazione dell’offerta turistica promuovendo circuiti virtuosi – sotto forma di itinerari-turistici, cammini,
percorsi, prodotti turistici - che sono in grado di sintetizzare un’offerta tematica omogenea che possa
soddisfare le esigenze dei turisti nazionali ed internazionali, tenendo sempre conto della capacità ricettiva dei
luoghi interessati e della promozione di forme di turismo accessibile.
Sebbene i circuiti nazionali di eccellenza debbano essere costituiti all’interno degli ambiti tematici individuati
nel secondo comma dell’articolo, si tratta a ben vedere di ambiti dai confini labili che possono variamente
intrecciarsi nella strutturazione dell’offerta turistica: si guardi solo alle possibili interconnessioni fra “turismo
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Appunti di Asya Moro
culturale” e “turismo religioso” o ancora fra “turismo culturale” e “turismo del Made in Italy e della relativa
attività industriale ed artigianale” e “turismo dell’enogastronomia”. In ciò i circuiti nazionali di eccellenza si
distinguono dai sistemi turistici locali che non sono “ingabbiati” dal legislatore all’interno di ambiti tematici
specifici.
Quanto alle modalità di costituzione dei circuiti nazionali di eccellenza la norma è molto scarna, esprime solo
che si tratta di forme di cooperazione tra soggetti pubblici e privati promosse “dal centro” (diversamente da
quanto accade per i STL che sono promossi su iniziativa degli enti locali, dal basso) e adottate con decreto
interministeriale su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il
Ministro dell’ambiente, il Ministro dello sviluppo economico, il ministero delle politiche agricole e forestali e di
intesa con la conferenza Stato-regioni, con la partecipazione degli enti locali, delle regioni, delle associazioni
di categoria e di tutti soggetti pubblici e privati interessati che concorrono alla formazione dell’offerta.
L’art. 22 del Codice ci indica anche con quale provvedimento sono adottati i circuiti nazionali di eccellenza
(decreto), su iniziativa di chi (Mibact, di concerto con altri ministeri), quali soggetti possono essere coinvolti
(ovvero tutti i soggetti pubblici e privati interessati che concorrono alla formazione dell’offerta) e quanto alla
loro veste giuridica rinvia agli strumenti della programmazione negoziata, un complesso di strumenti introdotti
nell’ordinamento all’inizio degli anni ’90 per promuovere e valorizzare i processi di sviluppo economico del
Paese.
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Nei secoli il concetto si estese: dalla fine del Seicento si diffuse tra la classe abbiente, specie nel nord
Europa, l’uso di effettuare i "grand tours" che partivano alla scoperta dei luoghi e delle città d’arte, in Francia
ed in Italia soprattutto. Tale abitudine, nel corso dell’Ottocento, cominciò a includere la visita delle vedute e
delle bellezze naturali.
Solo nel secondo dopoguerra del Novecento si diffuse il turismo di massa, orientato sia a luoghi
paesaggisticamente interessanti, sia verso musei e città d’arte ed eventi culturali. È in questo periodo che si
deve collocare la nascita di una vera e propria forma di offerta turistica, in grado non solo di rispondere a una
domanda di fruizione di taluni beni, ma anche di generare lo sviluppo economico e occupazionale dei territori
cui essa era rivolta.
Dovendo tentare una definizione, dobbiamo dunque intendere quali “itinerari culturali” quei percorsi a tappe
(detti anche nodi) collegate tra loro e caratterizzate da uno o più temi culturali unificanti, che danno il senso
all’intero itinerario, interessando comunque un territorio più o meno vasto.
Gli elementi strutturali dell’itinerario culturale sono dunque da rinvenire nell’esistenza di un territorio di
riferimento e nel collegamento funzionale delle tappe al tema conduttore.
Esistono molti tipi di itinerari, connotati in relazione al tipo di attività culturale posta al centro dell’itinerario
medesimo e che risentono di una nozione molto ampia di cultura, debitrice della definizione della
Commissione Franceschini di bene culturale quale testimonianza avente valore di civiltà.
Gli itinerari religiosi sono, infatti, solo una tipologia di itinerario, che si intreccia in molti casi con gli itinerari
storico-artistici. Accanto ad essi troviamo anche itinerari storico-letterari, itinerari naturalistici, itinerari
enogastronomici (comprensivi delle così dette "strade del vino").
Gli itinerari culturali religiosi costituiscono dunque una particolare forma di turismo religioso, intendendo con
tale termine le relazioni giuridiche afferenti al fenomeno socio-economico caratterizzato dal viaggio e dalla
permanenza in luoghi diversi da quello di normale residenza motivate da un fine religioso (turismo religioso
oggettivo o in senso stretto) o quando, pur mancando una motivazione religiosa, riguardino espressamente
soggetti religiosi (turismo religioso soggettivo o in senso lato).
L’aspetto del viaggio e del percorso si intrecciano, poi, con gli interventi di promozione e valorizzazione di
beni ed eventi ad essi correlati, sia di carattere culturale che religioso.
Gli itinerari costituiscono oggi, quale oggetto di studio, uno degli strumenti più interessanti dell’economia
della cultura.
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Appunti di Asya Moro
La loro particolarità risiede nell’essere una forma di connessione in sistema e di rappresentazione, come
insieme, di una serie di nodi e di segmenti, in funzione di un tema culturale unificante che fa riferimento ad un
gruppo di località, di interesse religioso, storico-artistico, paesistico o culturale nel senso più lato.
In termini di "new economy" gli itinerari sono identificati come delle reti immateriali, ordinate allo sviluppo del
turismo culturale e dell’occupazione.
Dovendo trattare l’itinerario turistico sotto il profilo giuridico, tenteremo ora di ricostruire la disciplina cui esso
è soggetto e che si colloca nell’ambito della normativa in materia di turismo.
Numerosi sono gli aspetti coinvolti: occorre però considerare che non esiste una puntuale disciplina dedicata
espressamente all’argomento e che, pertanto, essa deve essere ricostruita attraverso le diverse fonti
normative che regolamentano i differenti aspetti che influiscono sugli itinerari culturali religiosi.
Salvo alcuni aspetti espressamente previsti, all’itinerario culturale religioso si applicheranno dunque
innanzitutto le norme generali in materia di turismo.
Sicuramente, in ogni caso, un impulso allo sviluppo della disciplina dedicata al tema specifico degli itinerari si
rinviene nel quadro normativo italiano solo a partire dagli anni Ottanta, in quanto solo dopo la legge n.
217/1983, Legge quadro sul turismo, si è diffuso il concetto di turismo destinato al perseguimento di finalità
ricreative, culturali e religiose.
Successivamente si è diffusa una sempre maggiore consapevolezza da parte del legislatore italiano
dell'importanza del fenomeno turistico-religioso, fino a quando, con il verificarsi di eventi come il Giubileo, il
legislatore si è reso conto di come gli itinerari culturali religiosi, opportunamente programmati e organizzati,
possono significare quali occasioni di sviluppo culturale, economico ed occupazionale.
Lo stesso Giubileo, in una certa qual misura, può essere qualificato come itinerario religioso e per le ragioni
già ricordate anche itinerario turistico.
Non a caso il primo complesso di norme dedicate all’argomento, primarie e secondarie, è contenuto proprio
in una delle due leggi speciali per il Giubileo del 2000, quella del 7 luglio 1997, n. 270, riguardante il "Piano
degli interventi di interesse nazionale relativi a percorsi giubilari e pellegrinaggi in località al di fuori del Lazio".
Si tratta di una c.d. legge di investimento, dedicata ad allocare le risorse finanziarie da destinare
all’organizzazione dell’evento sulla base di un piano nazionale degli interventi relativi a mete storiche di
percorsi giubilari e di pellegrinaggi. Gli interventi individuati nel piano concernevano, oltre ai settori
dell’accoglienza e della ricettività dei turisti, anche i beni culturali e religiosi: le proposte d’intervento
riguardanti beni culturali dovevano sempre essere sottoposte alla valutazione della sovraintendenza, organo
decentrato del ministero per i Beni e le Attività culturali per ottenerne il parere che, tuttavia, decorsi venti
giorni si intendeva reso in senso favorevole. Il piano degli interventi è stato approvato con un altro decreto
ministeriale, successivamente più volte modificato ed integrato.
La natura di “legge di finanziamento” di questa disciplina, tuttavia, evidenzia che all’epoca il settore del
turismo culturale religioso non era ancora considerato appieno come un ambito specifico meritevole di una
disciplina apposita di lunga durata, che fissasse principi destinati ad improntare un settore da sviluppare.
Tuttavia, nella legislazione regionale di attuazione che ne è seguita si può osservare una fioritura di norme
specifiche, nelle quali è emersa l'esigenza di individuare situazioni particolari nelle quali la presenza
dell'elemento religioso richiedeva una regolamentazione distinta, non solo dalle generiche attività turistiche,
ma anche da quelle - già disciplinate in forma speciale - svolte dai soggetti attivi del turismo sociale. Basti ad
esempio ricordare l'assenza di richiesta di autorizzazione, prevista da alcune regioni, per l'organizzazione di
pellegrinaggi ad opera delle parrocchie o la gestione di attività ricettiva in case per esercizi spirituali ad opera
di enti ecclesiastici.
In un primo momento le legislazioni regionali specifiche che furono emanate facevano riferimento ancora
all’evento giubilare.
Si possono ricordare, ad esempio, la legge regionale delle Marche 30 luglio 1997, n. 46, Interventi della
regione per il grande Giubileo del 2000, nella quale la regione dichiara di voler promuovere un piano di
intervento per la valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e religioso della regione e al fine di favorire
contemporaneamente l'afflusso di pellegrini a Loreto.
La norma, che tiene separate le due finalità, riconosce implicitamente la doppia valenza dell'evento giubilare.
Allo stesso tempo, però, sottolinea la strumentalità della prima rispetto alla seconda: si promuovono flussi
turistici-religiosi attraverso la valorizzazione del patrimonio culturale di interesse religioso della regione.
La disciplina attribuiva la predisposizione del programma di iniziative da porre in essere per il raggiungimento
di tali finalità alla competenza della giunta regionale, la quale ai sensi dell'art. 3 si sarebbe dovuta comunque
avvalere del Comitato regionale istituito con il protocollo d'intesa tra Regione Marche e Regione Ecclesiastica
Marchigiana, siglato il 4 giugno 1996. Veniva così individuato il metodo dell’accordo quale strumento di
operatività. Si tornerà sul tema in seguito.
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Appunti di Asya Moro
Altro esempio interessante è costituito dalla legge regionale della Liguria 11 settembre 1997, n. 39, Interventi
della Regione Liguria in occasione del giubileo dell'anno 2000. Essa, infatti, accanto alla valorizzazione
culturale e turistica, indicava quale scopo principale da affiancare agli interventi in favore del Giubileo quello
di "consolidare nel tempo flussi di turismo religioso" con la promozione di iniziative che permettessero
l'inserimento del territorio regionale "nei circuiti nazionali ed internazionali del turismo culturale e religioso".
Tale disposizione è dunque rilevante in quanto dimostra il cambio di prospettiva nell'approccio al fenomeno
del turismo religioso, ora affrontato in forma dinamica e propositiva e non più come settore residuale protetto,
senza peraltro tralasciarne le implicazioni culturali. Questa nuova impostazione ha improntato anche
l'articolazione della commissione paritetica istituita tra regione Liguria e Conferenza episcopale ligure con
l’obbiettivo di creare un centro propulsivo sia per l'elaborazione, sia per l'attuazione delle iniziative comuni da
intraprendere.
Tra queste ultime, alcune si ponevano su un orizzonte di lungo periodo in quanto destinate a durare oltre
l'evento giubilare allo scopo di consolidare i flussi di turismo religioso avviati proprio dal Giubileo: la
realizzazione di itinerari religiosi sul territorio regionale (art. 8, comma 1, lett.b)) e la formazione di operatori
specializzati per il turismo religioso (lett. c)).
L'impegno previsto dalla legge regionale della Liguria n. 39/1997 è sintomatico di una crescente
consapevolezza della rilevanza del settore turistico-religioso e della necessità di un approccio specialistico e
professionale al settore.
Sempre a partire dalla fine degli anni Novanta, poi, alcune regioni hanno emanato alcune leggi dedicate non
al Giubileo ma, comunque, a specifici tipi di itinerari: ad esempio il Molise, con legge regionale 11 aprile 1997,
n. 9, ha previsto la salvaguardia dei "tratturi", i percorsi utilizzati nei secoli per la transumanza delle greggi
ovine dai monti al mare; la Basilicata, con legge regionale 7 gennaio 1998, n. 2, ha istituito l’ente di gestione
del parco archeologico storico naturale delle chiese rupestri del materano; l’Emilia- Romagna, con legge
regionale 7 aprile 2000, n. 23, ha disciplinato gli itinerari enogastronomici, proposti da un comitato promotore
e riconosciuti dalla regione, definiti come "percorsi ad elevata potenzialità turistica contraddistinti da
produzioni agricole ed enogastronomiche tipiche e tradizionali, inserite in una cornice di attrattive
paesaggistiche, storiche ed artistiche che si fondono in una originale unità estetica e culturale”.
Il fenomeno è proseguito negli anni. In tempi più recenti, si ricordino, tra le altre, la Toscana, che con legge
regionale 20 dicembre 2016, n. 86, “Testo unico del sistema turistico regionale”, prende in considerazione il
centro storico, il borgo rurale o il nucleo insediativo in ambito costiero dotati di emergenze di rilievo storico,
culturale, paesaggistico o di tipo ambientale naturale, o inerenti alla vocazione turistica, all'artigianato tipico,
a itinerari culturali, religiosi o percorsi enologico-gastronomici in zone di produzione con prodotti a
denominazione di origine protetta (DOP), ad indicazione geografica protetta (IGP) e a specialità tradizionale
garantita (STG); la Campania, intervenuta con legge regionale 20 gennaio 2017, n. 2, contenente “Norme per
la valorizzazione della sentieristica e della viabilità minore”, pone particolare attenzione alla presenza di
particolari attrazioni naturalistiche, storico-culturali, architettoniche e religiose allo scopo di segnalare la
specificità dell’itinerario e descrivere habitat, paesaggi e singole emergenze; il Veneto, la cui legge regionale
30 gennaio 2020, n. 4, reca “Disposizioni per il riconoscimento, la valorizzazione e la promozione dei cammini
veneti” e istituisce la rete dei cammini veneti, costituita da itinerari, da percorrere a piedi, che collegano fra
loro luoghi accomunati da significativi e documentati fatti storici o da tradizioni storicamente consolidate, di
interesse storico, culturale, religioso, naturalistico, ambientale, paesaggistico, enogastronomico,
evidenziando il legame fra i luoghi interessati nel cammino. Gli interventi di ricognizione ed individuazione, di
segnalazione e manutenzione, ivi compresi quelli di ripristino e la realizzazione dei tracciati di collegamento
Occorre poi considerare che a tali norme se ne devono sommare altre dedicate al turismo religioso ma
collocate all’interno di fonti normative non propriamente dedicate al settore turistico.
Ad esempio, nel Codice del Terzo settore il turismo trova spazio, essendo – tra l’altro – stabilito che tra le
attività di interesse generale esercitate dagli enti del Terzo settore, diversi dalle imprese sociali incluse le
cooperative sociali, per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità
sociale, rientrano quelle relative alla “organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale,
culturale o religioso”.
Sono inoltre considerati enti del Terzo settore anche le imprese sociali, le quali pure – stando al d.lgs.
3.7.2017, n. 112, che ne ha revisionato la disciplina – presentano implicazioni con il turismo: l’art. 2, co. 1,
lett. k) contempla, infatti, nell’elenco delle “attività d’impresa di interesse generale” esercitate dalle imprese
sociali, anche l’organizzazione e la gestione di attività turistiche di interesse sociale culturale o religioso.
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Appunti di Asya Moro
La diversità di fonti giuridiche e l’eterogeneità di obbiettivi, perseguendo i quali ciascuna di esse detta norme
che toccano anche il tema degli itinerari culturali religiosi, deve comunque far riflettere sull’utilità di prevedere
un iter organizzativo e giuridico stabilito dallo Stato o, su scala più ridotta, dalle singole regioni, allo scopo di
facilitare e velocizzare le procedure amministrative per realizzare gli itinerari in oggetto, contribuendo ad
un’organizzazione omogenea dei vari attori che operano nell’ambito degli itinerari turistico culturali,
sviluppando la valorizzazione, migliorando la tutela dei luoghi e allargando la fruizione di qualità a un ambito
sempre maggiore di persone.
Tale necessità, comunque, dovrebbe essere perseguita senza perdere, nei moduli formali proposti, la
necessaria flessibilità organizzativa, al fine di poter agilmente adattare quanto previsto alle diverse realtà
territoriali senza ingessarle in schemi preconfezionati qualora scarsamente attinenti ai casi specifici.
Prima ancora che nell’ambito normativo sopra ricordato, la nozione di itinerario turistico-culturale, in realtà, si
ritrova all’inizio degli anni Ottanta in sede amministrativa, nell’accordo tra i ministri dei Beni culturali e degli
Interventi straordinari nel Mezzogiorno.
In questa sede essa raggiunse anche uno stadio di definizione giuridica molto avanzato: il Comitato
interministeriale per la programmazione economica (Cipe) con delibera del 13 maggio 1982 inserì, infatti, il
progetto degli itinerari turistico-culturali per la valorizzazione delle regioni del sud tra i progetti speciali del
programma quinquennale di interventi per il Mezzogiorno. Il progetto non andò poi a buon fine a causa della
crisi di quel sistema dell’intervento straordinario e della liquidazione della Cassa per il Mezzogiorno, che
indussero nel 1984 ad abbandonarlo.
Il ricorso allo strumento dell’accordo, nelle sue varie declinazioni giuridiche, costituisce ancor oggi il modus
operandi più diffuso in questo ambito.
Alla scarsità di norme primarie, infatti, si contrappongono molte iniziative di soggetti pubblici e privati che
disciplinano i rispettivi impegni attraverso accordi che stabiliscano di volta in volta la regolamentazione dei
rapporti che manca per legge. In assenza di un forte sistema di norme primarie, infatti, la configurazione
dell’itinerario culturale religioso deriva il più delle volte da provvedimenti o da moduli pattizi (accordi, intese di
progetto, convenzioni organizzative, convenzioni di finanziamento) tra i soggetti interessati.
L’ambito dell’itinerario turistico culturale e religioso è dunque un terreno d’elezione per esperienze che
esprimano tanto la sussidiarietà verticale tra poteri regionali e locali rispetto allo Stato, quanto la sussidiarietà
orizzontale tra privati e poteri amministrativi.
Nell’attuale assetto politico-amministrativo, gli attori istituzionali principali sono le regioni e gli enti locali.
Allo Stato spetta principalmente un ruolo di "promotore della promozione" di queste iniziative da parte delle
autonomie regionali e locali, sia agevolando l’accesso ai fondi dell’Unione europea, sia cofinanziando i
progetti mediante le proprie società per lo sviluppo dell’occupazione, sia assicurando una decisione rapida,
da parte delle soprintendenze competenti, sulla compatibilità degli usi previsti nei progetti di itinerari con la
tutela rigorosa dei beni storico-artistici ed architettonici o delle aree di interesse paesistico. Sotto
quest’ultimo profilo, infatti, non bisogna dimenticare che lo Stato è titolare di forti poteri in materia di tutela e
valorizzazione dei beni paesistici e storico-artistici, ruolo che ben si collega alle iniziative che sovente
vengono poste in essere per organizzare gli itinerari in oggetto.
Tuttavia, il ruolo di progettazione degli itinerari è quasi sempre assunto da soggetti privati, siano essi
fondazioni, associazioni culturali o di promozione del turismo o del territorio o, ancora, realtà ecclesiali più o
meno istituzionalizzate, cui si aggregano gli enti locali dell’area interessata.
La peculiarità dei progetti di itinerari, sotto il profilo del loro contenuto giuridico, rende dunque necessaria la
collaborazione ed interazione di pubblico e privato: una collaborazione necessaria in quanto l’itinerario è, in
sé, immateriale, ma il progetto per realizzarlo prevede necessariamente una serie di attività - amministrative e
materiali - sia del soggetto promotore, e poi attuatore, che delle numerose amministrazioni interessate: dalle
soprintendenze ai beni storico-artistici ed architettonici alle società dello Stato per lo sviluppo
dell’occupazione, alle società di natura pubblica o privata che erogano servizi, agli assessorati regionali alla
programmazione, ai lavori pubblici, al turismo ed all’agricoltura, agli assessorati comunali all’urbanistica e via
dicendo.
La partecipazione di più soggetti agli itinerari culturali pone sotto il profilo giuridico tre ordini di problemi:
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Appunti di Asya Moro
a) la definizione dei ruoli amministrativi dei diversi attori, in vista dell’istituzione dell’itinerario e nella fase
attuativa: la puntualizzazione di compiti e responsabilità amministrative dei diversi attori è fondamentale
perché l’istituzione di un itinerario non forma oggetto di uno specifico procedimento amministrativo, e
neanche di un procedimento dalla sequenza tradizionale.
Questo implica che di volta in volta ci si può trovare di fronte a situazioni differenti a seconda del contesto in
cui si avvia un progetto di itinerario culturale: situazioni che possono variare a seconda del percorso, dei beni
presenti sul territorio, dell’economia del territorio, del diverso impegno che intendono assumersi gli enti
coinvolti.
Tale circostanza implica il fatto che la proposta di dar vita ad un itinerario non è monocentrica, né è rivolta ad
una specifica autorità decidente, né prevede una progressione lineare. La proposta ed il progetto che la
sostanzia vengono invece di norma presentati a tutte le amministrazioni potenzialmente interessate,
procedendo con un tipico meccanismo a rete, alternativo a quello tradizionale.
Il soggetto propulsore può essere lo stesso proponente, ad esempio una realtà associativa del territorio, ma
tale ruolo può essere assunto anche, subito dopo la proposta, da un ente locale, dalla regione o da una
società dello Stato per lo sviluppo dell’occupazione. È la stessa realtà proponente che può rivolgersi all’ente
territoriale per chiedergli di assumersi la guida di un’operazione che, proprio perché richiede la collaborazione
di molteplici soggetti, può essere meglio condotta da un ente istituzionale.
A seconda dei casi, il coinvolgimento delle amministrazioni e degli organismi pubblici che hanno potestà di
valutazione su uno o più interventi od azioni costitutive del progetto può essere effettuata dal soggetto
promotore o dall’ente pubblico da esso richiesto di realizzare l’itinerario.
Tali soggetti variano, ovviamente, a seconda del tipo di itinerario che si intende realizzare, anche se esistono
alcuni attori presenti nella gran parte delle fasi istitutive degli itinerari, come le amministrazioni statali, gli
assessorati regionali, gli enti locali.
Non si devono dimenticare, inoltre, gli attori che appartengono al mondo ecclesiastico, e che possono
variare, a seconda dei casi: diocesi, parrocchie, confraternite, ordini monastici e via dicendo.
b) la varietà di tipologia di atti amministrativi utilizzati dalle singole amministrazioni interessate alla rete dal
progetto: si tratta di atti di carattere soprattutto procedimentale, ad esempio atti di programmazione, quali
sono i programmi triennali delle opere pubbliche, degli enti locali e della regione, oppure di provvedimenti
puntuali (di erogazione di finanziamenti alle imprese che costituiscono la rete di riferimento dell’itinerario,
pareri di conformità urbanistica o nulla osta paesistici, o provvedimenti di qualificazione di prodotti o aziende
come inerenti all’itinerario, attraverso l’attribuzione di un logo che in qualche modo certifichi l’inerenza
all’itinerario).
I più importanti atti sono tuttavia da individuare nelle convenzioni di finanziamento, spesso ormai sostitutive
dei tradizionali provvedimenti concessori di ausili finanziari che però hanno essenzialmente funzione
organizzatoria, in quanto definiscono il quadro delle obbligazioni assunte dal beneficiario ai fini dell’integrale
realizzazione del progetto.
Data la pluralità di atti amministrativi utilizzabili è necessario considerare eventuali problemi di efficacia del
coordinamento, vale a dire i poteri del coordinatore nell’indurre tutti i soggetti ad adottare i comportamenti
operativi ai quali si sono vincolati con l’accordo.
c) l’individuazione dei moduli della collaborazione: come già i provvedimenti, anche gli istituti della
collaborazione sono i più vari, a seconda delle necessità da affrontare e degli aspetti da disciplinare.
Nelle diverse situazioni si potrà dunque fare ricorso a patti politici, ad accordi di programma, ad accordi di
progetto, ad accordi concernenti singole opere pubbliche o specifici interventi, a convenzioni ad oggetto
patrimoniale, con soggetti pubblici ma anche con le società erogatrici di servizi pubblici; ai contratti di
sponsorizzazione.
Il profilo significativo e qualificante è che l’insieme di tutti questi strumenti convenzionali, che ineriscono
all’itinerario, costituisce il tessuto amministrativo connettivo dell’itinerario, il sistema organizzativo che tiene
insieme e fa operare (e co-operare) tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nella realizzazione del progetto.
In assenza di un’autorità decidente unica, la rete degli attori è coordinata in sistema dal complesso dei moduli
convenzionali, i quali costituiscono il presupposto dell’adozione, da parte dei singoli attori, degli atti e
provvedimenti di rispettiva competenza.
Ora, il sistema a rete appare funzionale nella fase di elaborazione e di decisione concertata dal progetto,
mentre nella fase di attuazione occorre un centro unitario di coordinamento dell’effettiva realizzazione di tutte
le eterogenee azioni previste per la creazione dell’itinerario. Tale centro dovrà essere individuato nell’accordo
di approvazione e avrà un ruolo determinante.
Ancora diverse sono le valutazioni che dovranno essere fatte per quanto attiene alla gestione dell’itinerario e
per la quale appare indispensabile un unico soggetto gestore, il quale deve assicurare il funzionamento di un
percorso unificato da un tema dominante.
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Appunti di Asya Moro
Anche sotto questo profilo le formule organizzative possono esser disparate: dall’affidamento della gestione
al soggetto promotore, alla creazione di un consorzio o di una società di gestione, a partecipazione mista
pubblica-privata.
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L’IMPRESA TURISTICA
DEFINIZIONE E DISCIPLINA GIURIDICA TRA LEGISLAZIONE STATALE E REGIONALE
La definizione di “impresa turistica” è stata inserita nella legislazione di settore con la legge quadro del 17
maggio 1983, n. 217, la quale ha inoltre riformato in maniera organica la materia turistico e ricettiva. Questa
legge assegna un’assoluta centralità all’attività di gestione delle strutture ricettive e ai servizi turistici ad essa
connessi da un rapporto di normale strumentalità e complementarietà.
L’art. 5, comma 1, qualificava infatti come “imprese turistiche” quelle che svolgevano “attività di gestione di
strutture ricettive ed annesse servizi turistici”.
Tale nozione, come ebbero modo di osservare i primi commentatore della legge quadro, esclude dal campo
di applicazione della norma altre attività e servizi operanti o astrattamente configurabili nel settore turistico.
La legge quadro del 29 marzo 2001, n.135 accoglie tali obiezioni e ridisegna la nozione di “impresa turistica”
ampliandone i confini fino ad includervi tutte le imprese che concorrono con la loro attività alla formazione
dell’offerta turistica o a soddisfare i bisogni del turista.
Nozione confermata, in ultimo, dall’ART.4 del d.lgs. n. 79/2011 del Codice del turismo:
“1. Ai fini del presente decreto legislativo sono imprese turistiche quelle che esercitano attività economiche, organizzate
per la produzione, la commercializzazione, l’intermediazione e la gestione di prodotti, di servizi, tra cui gli stabilimenti
balneari, di infrastrutture e di esercizi, compresi quelli di somministrazione facenti parte dei sistemi turistici
locali ,concorrenti alla formazione dell’offerta turistica.
2. L’iscrizione al registro delle imprese, di cui la legge 29 dicembre 1993, n.580, e successive modificazioni, e con le
modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n.581, e successive modificazioni, ovvero al
repertorio delle notizie economiche e amministrative laddove previsto, costituiscono condizione per usufruire delle
agevolazioni, dei contributi, delle sovvenzioni, degli incentivi e dei benefici di qualsiasi genere ed a qualsiasi titolo
riservate all’impresa turistica.
3. Fermi restando i limiti previsti dall'Unione Europea in materia di Stato alle imprese, alle imprese turistiche sono estesi
i contributi, le agevolazioni, le sovvenzioni, gli incentivi e i benefici di qualsiasi genere previsti dalle norme vigenti per
l'industria, così come definita dall'articolo 17 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, nei limiti delle risorse
finanziarie a tal fine disponibili ed in conformità ai criteri definiti dalla normativa vigente.
4. Le imprese turistiche non costituite conformemente alla legislazione di uno Stato membro dell'Unione Europea o di
uno Stato AELS (EFTA) possono essere autorizzate a stabilirsi e ad esercitare le loro attività in Italia, secondo il
principio di reciprocità, previa iscrizione nel registro di cui al comma due, ed a condizione che posseggono i requisiti
richiesti dalle leggi statali e regionali, nonché dalle linee guida di cui l'articolo 44 del decreto legislativo 31 marzo 1998,
n. 112.”
Nella nozione di “impresa turistica” accolta dal codice del turismo rientrano quindi oltre alle imprese ricettive,
alle agenzie di viaggio e turismo e ai tour operator, tutte quelle imprese che producono, commercializzano,
intermedia noi e gestiscono prodotti, servizi, infrastrutture ed esercizi per soddisfare le esigenze del turista
compresi, a titolo meramente esemplificativo, gli stabilimenti balneari, le imprese di ristorazione che
assumono caratteristiche tali da promuovere e incentivare in maniera significativa l'offerta turistica, le imprese
di gestione di strutture convegnistiche e congressuali solo per riferirsi ad alcuni cluster importanti del turismo
come quello marittimo, enogastronomico o MICE (Tourism of Meetings, Incentives, Conferences and
Exhibitions).
La definizione pubblicistica di impresa turistica non interferisce ovviamente con lo stato giuridico
dell'imprenditore turistico delineato dal codice civile e segnatamente dall’art. 2082 c.c. che nel definire
“imprenditore colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione
o lo scambio di beni e servizi” identifica quali requisiti dell'attività di impresa:
b) L'organizzazione, ovvero la stabile predisposizione di mezzi, beni e risorse sia economiche che umane;
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Appunti di Asya Moro
c) La produttività, cioè lo svolgimento di un'attività volta alla produzione e allo scambio di beni e servizi;
La disciplina di “impresa turistica” contenuta nel codice del turismo è differente e più ampia rispetto alla
definizione contenuta nel Codice civile.
Il Codice del turismo, così come le leggi quadro che l'hanno preceduto, si occupa dell'impresa turistica al
solo fine di salvaguardare interessi pubblici di natura economica e non economica, come l'igiene e la
sicurezza pubblica, presenti nel settore e ritenuti meritevoli di apprezzamento dall'ordinamento al fine di
garantire l'esercizio di controlli amministrativi o consentire l’accesso a sovvenzioni e benefici fiscali.
➡ A tale proposito il comma 2 dell’art. 4 del Codice del turismo precisa che l’iscrizione al Registro delle
imprese gestite dalle Camere di commercio e al Repertorio delle notizie economiche amministrative (banca
dati integrativa al registro delle imprese), costituiscono "condizione per usufruire delle agevolazioni, dei
contributi, delle sovvenzioni, degli incentivi e dei benefici di qualsiasi genere ed a qualsiasi titolo riservate
all’impresa turistica”, nel rispetto ovviamente della disciplina europea sugli aiuti di Stato.
Il successivo art. 5 si occupa invece delle “imprese turistiche senza scopo di lucro” ovvero di quelle imprese
che svolgono la propria attività nel settore del turismo giovanile operando per finalità ricreative, culturali,
religiose, assistenziali o sociali.
ART.5 del Codice del turismo (Imprese turistiche senza scopo di lucro)
“1. Le associazioni che operano nel settore del turismo giovanile e per finalità ricreative, culturali, religiose, assistenziali
o sociali, sono autorizzate ad esercitare le attività di cui all'articolo 4, nel rispetto delle medesime regole e condizioni,
esclusivamente per gli associati, anche se appartenenti ad associazioni straniere aventi finalità analoghe e legate fra di
loro da accordi di collaborazione.
2. Le associazioni di cui al comma 1 assicurano il rispetto dei diritti del turista tutelati dall'ordinamento internazionale e
dell'Unione Europea.”
Nel confermare che le imprese suddette sono autorizzate a svolgere l'attività di impresa di cui all’art. 4 del
Codice del turismo nel rispetto delle medesime regole e condizioni, il legislatore si assicura che le
associazioni senza scopo di lucro che operano nel settore turistico garantiscano, al pari di ogni altra impresa
turistica, i diritti del turista tutelati dall’ordinamento europeo e dal diritto internazionale.
Gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 79/2011 rientrano tra le poche norme del Codice del turismo sopravvissute alla
censura di legittimità costituzionale operata dalla sentenza n.80 del 5 aprile 2012 che ha travolto quasi tutti il
Titolo III “Mercato del turismo” (artt. 8-17) dedicato alla classificazione delle strutture ricettive e delle altre
forme di ricettività ed il successivo Titolo IV “Agenzie di viaggio e turismo” (art. 18-21).
➡ Nella sentenza n.80/2012 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità delle norme sulla
classificazione delle strutture ricettive e sulle agenzie di viaggio e del turismo per violazione della delega
conferita con la legge n. 246/2005. Questa legge delega, come abbiamo già visto nelle lezioni precedenti,
autorizzava il governo "a raggruppare e riordinare le norme statali incidenti sulla materia del turismo, negli
ambiti di sua competenza esclusiva e per la tutela di interessi di rilevanza nazionale…ciò che invece…non
consentiva era la disciplina ex novo dei rapporti tra Stato e Regioni”.
Il legislatore statale classificando le strutture ricettive e disciplinando le agenzie di viaggio e invece operato
un sostanziale "accentramento di funzioni spettanti in via ordinaria alle regioni, in forza della loro
competenza legislativa residuale in materia di turismo. Tale variazione del riparto delle competenze e sulla
pertanto dal riordino della legislazione statale e incide sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni,
superando così i limiti della delega contenuta nella legge n.246 del 2005”. Di qui l'incostituzionalità per
violazione degli artt.76 e 77, 1° comma, in relazione agli articoli 117, 4° comma, e 118, 1° comma, della
Costituzione.
La classificazione sistematica delle strutture ricettive disciplinata dalle norme del Codice del turismo
dichiarate incostituzionali è da tempo presente nella legislazione regionale adottata sulla base della legge
quadro del 1983 e del 2001 che solita distinguere tra le seguenti tipologie: strutture ricettive alberghiere e
para alberghiere, strutture ricettive extralberghiere, strutture ricettive all'aperto e strutture ricettive di mero
supporto, disciplinando nel dettaglio caratteristiche e requisiti di ciascuna di esse.
Al legislatore regionale, per effetto della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 15 del Codice del turismo, è
anche rimessa la disciplina degli standard qualitativi delle strutture ricettive.
In conclusione: nella disciplina dell’attività di impresa turistica il margine di intervento accordato al legislatore
statale è molto esiguo e si limita alla definizione dell’impresa turistica perché si mantiene nell’ambito della
materia “ordinamento civile”, di competenza esclusiva dello Stato ai sensi della lett. l), comma 2 dell’art. 117,
non viola le competenze legislative regionali. Compete, invece, al legislatore regionale la disciplina giuridica
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Appunti di Asya Moro
delle imprese turistiche e quindi l'individuazione e classificazione delle tipologie ricettive, la distinzione
all'interno delle categorie generali tra le diverse strutture; la definizione degli standard qualitativi minimi, la
disciplina della comunicazione dei prezzi, la definizione dei servizi turistici, gli adempimenti amministrativi per
l'esercizio dell'attività d’impresa ecc.
1. Condhotels:
La figura del condhotel, introdotta per la prima volta dell’art. 10, comma 5, del d.l. 31.5.2014, n.83 (recante
“Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”,
c.d. Decreto Art Bonus) conv. in legge 29.7.2014, n.106, è stata compiutamente disciplinata dall’art. 31,
comma 1, legge 1.11.2014 n.164, di conversione del d.l. 12.9. 2014, n. 133 (recante “Misure urgenti per
l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione
burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”, c.d. Decreto
sblocca Italia) in termini di “esercizio alberghiero aperto al pubblico, a gestione unitaria, composto da una o
più unità immobiliari ubicate nello stesso comune o da parti di esse, che forniscono alloggio, servizi accessori
ed eventualmente vitto, in camere destinate alla ricettività e, in forma integrata e complementare, in unità
abitative a destinazione residenziale, dotate di servizio autonomo di cucina, la cui superficie non può superare
il quaranta per cento della superficie complessiva dei compendi immobiliari interessati”.
Si tratta, semplificando, di una tipologia innovativa di esercizi alberghieri, a gestione unitaria, che forniscono
servizi sia nelle tradizionali camere destinate alla ricettività, sia in unità abitative a destinazione residenziale.
Il comma 1 dell’art. 31, al fine di “diversificare l’offerta turistica” e “favorire gli investimenti volti alla
riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti” rimette ad un “decreto del Presidente del Consiglio dei
Ministri su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo di concerto con il Ministro dello
sviluppo economico, da adottare previa intesa tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano
in sede di Conferenza Unificata”, la definizione delle condizioni di esercizio di tali strutture.
Le Province autonome di Trento e Bolzano nel gennaio 2015 hanno impugnato l’art. 31 della. l. 164/2014,
ritenendo che pregiudicasse, tra le altre, le rispettive competenze legislative primarie e amministrative in
materia di “turismo” e “commercio”.
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 1 del 14 gennaio 2016 ha ritenuto infondato tale ricorso osservando
che la disciplina dei condhotel pur attenendo alla materia del turismo, di competenza delle Regioni e delle
Province autonome, come emerge anche dall’incipit della norma finalizzata espressamente a “diversificare
l’offerta turistica” e a “favorire gli investimenti volti alla riqualificazione degli esercizi alberghieri esistenti” (art.
31, co. 1), non riguarda “in via esclusiva la suddetta materia, presentando altresì profili che interferiscono con
la materia dell’urbanistica, del governo del territorio, nonché con l’ordinamento civile”.
Ad avvio della Corte, “nella peculiare disciplina in questione, per come essa è formulata, vengono in rilievo
competenze eterogenee, alcune delle quali di stretta spettanza esclusiva statale (ordinamento civile), altre a
vario titolo attribuite alle Regioni e alle Province autonome (governo del territorio, turismo). Inoltre, tali
molteplici competenze sono legate in un inestricabile intreccio, senza che sia possibile identificarne una
prevalente sulle altre dal punto di vista qualitativo o quantitativo. Di conseguenza, deve trovare applicazione il
principio generale, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 140
del 2015), secondo il quale in ambiti caratterizzati da una pluralità di competenze - come nel caso in esame -
in cui le norme impugnate si pongono all’incrocio di varie materie (turismo, urbanistica, ordinamento civile) -
e, qualora risulti impossibile comporre il concorso di competenze statali e regionali, tramite un criterio di
prevalenza, non è costituzionalmente illegittimo l’intervento del legislatore statale, purché agisca nel rispetto
del principio di leale collaborazione che deve in ogni caso permeare si sé i rapporti tra lo Stato e il sistema
della autonomia (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n.237 del 2009, n.168 e n.50 del 2008) che può
ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell’intesa”.
In altri termini, la circostanza che la norma impugnata preveda che le condizioni di esercizio dei condhotels
siano definite in un decreto del Presidente del Consiglio adottato “previa intesa” in seno alla Conferenza
Unificata garantisce il rispetto del principio di leale collaborazione e quindi, in ultimo, la compatibilità con
l’assetto delle competenze legislative definite dalla riforma costituzionale del 2001.
Per completezza si segnala che con d.p.c.m. 22 gennaio 2018, n. 13 è stato adottato il “Regolamento recante
la definizione delle condizioni di esercizio dei condhotel, nonché dei criteri e delle modalità per la rimozione
del vincolo di destinazione alberghiera in caso di interventi edilizi sugli esercizi alberghieri esistenti e
limitatamente alla realizzazione della quota delle unità abitative a destinazione residenziale, ai sensi
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Appunti di Asya Moro
dell'articolo 31 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11
novembre 2014, n. 164. (18G00036)”.
2. Marina resorts:
Una vicenda analoga, anche se con esiti opposti, ha riguardato la disciplina statale dei marina resorts.
Nel gennaio 2015 regione Campania ha promosso questione di legittimità costituzionale di svariate
disposizioni del citato d.l. 133/2014 (cd. Decreto Sblocca Italia) ed in particolare dell’art. 32, comma 1, in cui
dice che i “Marina resorts e implementazione sistema telematico centrale nautica da diporto”, nella parte in
cui dispone che “al fine di rilanciare le imprese della filiera nautica” i cosiddetti Marina resorts, ovvero quelle
strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all’interno delle proprie unità da diporto
ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, rientrano “secondo i requisiti stabiliti dalla
ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo”
fra le “strutture ricettive all'aria aperta”.
La regione Campania denunciava, tramite l’impugnazione di questa norma, la lesione delle proprie
competenze in materia di turismo, al quale andrebbe ricondotta la disciplina dei marina resorts e la mancata
previsione di adeguate procedure concertativo e di coordinamento tra Stato e regioni in violazione del
principio di leale collaborazione.
La Corte, nella sentenza 11 febbraio 2016, n.21, ha accolto il ricorso della regione Campania, riconoscendo
anzitutto che la materia in questione incrocia diversi ambiti materiali: la materia del “turismo” di competenza
residuale delle regioni ex art. 117, comma 4, Cost., la materia “sistema tributario dello Stato” di competenza
statale esclusiva ai sensi dell’art. 1117, comma 2, lett. e), dell’art.117 Cost. (“posto che una delle principali
conseguenze della configurazione dei marina resorts come strutture ricettive all'aperto in vista dell'obiettivo
del rilancio delle imprese della filiera nautica è quella di consentire l'applicazione dell'IVA agevolata al 10%”);
la materia dei “porti” di podestà concorrente ai sensi del comma 3 dell’art. 117, Cost.; la materia della “tutela
dell’ambiente” di competenza statale esclusiva ai sensi del comma 2 dell’art. 117, lett. s), Cost. (posto che
“nell'identificazione dei requisiti necessari alla qualificazione delle strutture marina resorts…rilevano anche
esigenze di garanzia del rispetto di livelli omogenei di tutela della sicurezza e dell’ambiente”).
La corte, riprendendo il principio già richiamato nella sentenza sui condhotels, ha ricordato che quando una
norma impugnata per presunta lezione dell’assetto delle competenze legislative designate dal Titolo V della
Costituzione, si pone “all’incrocio” di varie materie, alcune di spettanza delle Regioni a titolo residuale o
concorrente ed altre dello Stato in via esclusiva o concorrente e “tali competenze sono legate in un nodo
inestricabile che non consente di identificare la prevalenza di una sulle altre, dal punto di vista sia qualitativo,
sia quantitativo”, non è costituzionalmente illegittimo l’intervento del legislatore statale, “purché agisca nel
rispetto del principio di leale collaborazione che deve in ogni caso permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il
sistema delle autonomie (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2014, n. 237 del 2009, n. 168 e n. 50 del 2008) e che
può ritenersi congruamente attuato mediante la previsione dell’intesa”.
Nel caso di specie, il decreto cui l’art. 32, comma 2, rimetteva la definizione dei criteri identificativi dei marina
resorts non prevedeva il coinvolgimento del sistema delle autonomie locali nella forma della previa intesa in
seno alla Conferenza Unificata che la Corte Costituzionale nella sua giurisprudenza qualifica come “luogo di
espressione e insieme di sintesi degli interessi regionali e statali coinvolti”.
Di qui la parziale declaratoria di incostituzionalità della norma “nella parte in cui non prevedere che la
configurazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie
unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato come strutture ricettive all'aria
aperta debba avvenire nel rispetto dei requisiti stabiliti dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito
il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, previa intesa nella Conferenza unificata permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano”.
3. Case Vacanze:
Con riferimento alla disciplina degli alloggi locati per finalità turistiche che la l.r. Lombardia 1° ottobre 2015, n.
27 (politiche regionali in materia di turismo e attrattività del territorio lombardo) ha inteso equiparate alle case
vacanze, tipiche strutture ricettive extralberghiere, istituendo un codice identificativo (cosiddetto CIR) di
riferimento da assegnare a tali alloggi ed imponendone l’utilizzo nella promozione pubblicitaria, la Corte
Costituzionale nella sentenza 11 aprile 2019, n. 84, ha respinto la censura di legittimità proposta dal Governo
che riteneva l’intervento regionale lesivo della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di
“ordinamento civile” (art. 117, co. 2, lett. l), Cost.).
Il ricorso del Governo sosteneva che la disciplina delle case vacanze dovrebbe ascriversi in tutto e per tutto
alla competenza residuale in materia di “turismo” trattandosi di vere e proprie strutture ricettive
extralberghiere che presuppongono un’organizzazione a carattere imprenditoriale, mentre la disciplina delle
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Appunti di Asya Moro
locazioni turistiche senza servizi aggiuntivi deve essere ricondotta alla materia dell’“ordinamento civile”, che è
di competenza legislativa esclusiva dello Stato.
La Corte costituzionale ha contestato questo assunto del governo ri-prendendo in mano la precedente
giurisprudenza, nella quale aveva già avuto modo di evidenziare come gli aspetti turistici delle locazioni non
alberghiere ricadono nella competenza residuale delle regioni (cfr. sentenza n.80/2012), mentre appartiene
all’ordinamento civile la regolamentazione dell’attività negoziale e dei suoi effetti (tra le tante, v. sentenze
n.176/2018, n.283/2016, n.245/2015, n.290/2013).
Per la Corte, nel momento in cui il legislatore regionale lombardo ha previsto che i locatori turistici e i relativi
intermediari debbano munirsi di un apposito codice identificativo di riferimento per ogni singola unità
ricettiva, imponendone l’utilizzo nella pubblicità, nella promozione e nella commercializzazione dell’offerta
turistica, intende mappare un fenomeno di estrema rilevanza per il settore turistico: la concessione di
godimento a turisti di immobili di proprietà a prescindere dallo svolgimento di un’attività imprenditoriale.
L’obiettivo del legislatore regionale è quello di esercitare al meglio le proprie funzioni di promozione, vigilanza
e controllo sull’esercizio delle attività turistiche.
I casi giurisprudenziali riportati evidenziano, ancora una volta, la complessità del turismo come fenomeno
giuridico e l’importante ruolo svolto dalla Corte costituzionale nella definizione dei sui confini materiali.
Il profilo dell’attività di impresa è sottratto al legislatore statale (che se ne era impropriamente occupato negli
abrogati artt.16 e 21 del Codice del turismo) e riservato al legislatore regionale che assoggetta l’avvio e
l’esercizio delle strutture turistico ricettive e l’apertura delle agenzie di viaggio a segnalazione certificata di
inizio attività (c.d. S.C.I.A.), un istituto di liberalizzazione dell’attività amministrativa disciplinato dall’art. 19
della legge generale sul procedimento amministrativo, l.7 agosto 1990, n.241 s.m.i. (=successivmente
modificata).
“1. Ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato,
comprese le domande per le iscrizioni in albi o ruoli richieste per l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale o
artigianale il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da
atti amministrativi a contenuto generale, e non sia previsto alcun limite o contingente complessivo o specifici strumenti di
programmazione settoriale per il rilascio degli atti stessi, è sostituito da una segnalazione dell’interessato, con la sola
esclusione dei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali e degli atti rilasciati dalle
amministrazioni preposte alla difesa nazionale, alla pubblica sicurezza, all’immigrazione, all’asilo, alla cittadinanza,
all’amministrazione della giustizia, all’amministrazione delle finanze, ivi compresi gli atti concernenti le reti di
acquisizione del gettito, anche derivante dal gioco, nonché di quelli previsti dalla normativa per le costruzioni in zone
sismiche e di quelli imposti dalla normativa comunitaria. La segnalazione è corredata dalle dichiarazioni sostitutive di
certificazioni e dell’atto di notorietà per quanto riguarda tutti gli stati, le qualità personali e i fatti previsti negli articoli
46 e 47 del testo unico di cui al d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445, nonché, ove espressamente previsto dalla normativa
vigente, dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati, ovvero dalle dichiarazioni di conformità da parte
dell’Agenzia delle imprese di cui all’art. 38, comma 4, del decreto-legge 2 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, relative alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti di cui al primo
periodo; tali attestazioni e asseverazioni sono corredate dagli elaborati tecnici necessari per consentire le verifiche di
competenza dell’amministrazione. Nei casi in cui la normativa vigente prevede l'acquisizione di atti o pareri di organi o
enti appositi, ovvero l'esecuzione di verifiche preventive, essi sono comunque sostituiti dalle autocertificazioni,
attestazioni e asseverazioni o certificazioni di cui al presente comma, salve le verifiche successive degli organi e delle
amministrazioni competenti. La segnalazione, corredata delle dichiarazioni, attestazioni e asseverazioni nonché dei
relativi elaborati tecnici, può essere presentata a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ad eccezione
dei procedimenti per cui è previsto l’utilizzo esclusivo della modalità telematica; in tal caso la segnalazione si considera
presentata al momento della ricezione da parte dell'amministrazione.
2. L’attività oggetto della segnalazione può essere iniziata, anche nei casi di cui all' art. 19-bis, comma 2, dalla data
della presentazione della segnalazione all’amministrazione competente.
3. L'amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti di cui al comma 1, nel
termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione di cui al medesimo comma, adotta motivati provvedimenti
di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa. Qualora sia possibile
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Appunti di Asya Moro
conformare l'attività intrapresa e i suoi effetti alla normativa vigente, l'amministrazione competente, con atto motivato,
invita il privato a provvedere prescrivendo le misure necessarie con la fissazione di un termine non inferiore a trenta
giorni per l'adozione di queste ultime. In difetto di adozione delle misure da parte del privato, decorso il suddetto
termine, l'attività si intende vietata. Con lo stesso atto motivato, in presenza di attestazioni non veritiere o di pericolo per
la tutela dell'interesse pubblico in materia di ambiente, paesaggio, beni culturali, salute, sicurezza pubblica o difesa
nazionale, l'amministrazione dispone la sospensione dell'attività intrapresa. L'atto motivato interrompe il termine di cui
al primo periodo, che ricomincia a decorrere dalla data in cui il privato comunica l'adozione delle suddette misure. In
assenza di ulteriori provvedimenti, decorso lo stesso termine, cessano gli effetti della sospensione eventualmente
adottata.
4. Decorso il termine per l'adozione dei provvedimenti di cui al comma 2, primo periodo, ovvero di cui al comma 6-bis,
l'amministrazione competente adotta comunque i provvedimenti previsti dal medesimo comma tre in presenza delle
condizioni previste dall'articolo 21-nonies.
4-bis. Il presente articolo non si applica alle attività economiche a prevalente carattere finanziario, ivi comprese quelle
regolate dal testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385,
e dal testo unico in materia di intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n.58.
5. comma abrogato
6. Ove il fatto non costituisca più grave reato, chiunque, nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che corredano
la segnalazione di inizio attività, dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti di cui al comma
1 è punito con la reclusione da uno a tre anni.
6-bis. Nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni di cui al primo periodo del comma 3 è ridotto a
trenta giorni. Fatta salva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 4 e al comma 6, restano altresì ferme le
disposizioni relative alla vigilanza sull'attività urbanistico-edilizia, alle responsabilità e alle sanzioni previste dal d.p.r. 6
giungo 2001, n. 380, e dalle leggi regionali.
6-ter. La segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione di inizio attività non costituiscono
provvedimenti taciti direttamente impugnabili. Gli interessati possono sollecitare l'esercizio delle verifiche spettanti
all'amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l'azione di cui all' 31, commi 1, 2, 3 e del d.lgs. 2 luglio
2010, n. 104. “
L’istituto della S.C.I.A consente al privato di iniziare l’attività imprenditoriale, artigianale o commerciale
subordinata ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nullaosta, permesso o ad altro atto di consenso
comunque denominato il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale e non sia soggetto ad alcun limite o
contingentamento*, possa essere intrapresa dalla data della presentazione all'amministrazione competente
(ossia lo sportello unico delle attività produttive del Comune in cui è ubicata la struttura) dalla segnalazione
certificata di inizio attività (art. 19 comma 1).
Tale segnalazione va corredata dalle dichiarazioni sostitutive dei certificati, dagli atti di notorietà previsti dalla
legge (d.p.r. 28 dicembre 2000, n. 445), dalle attestazioni, asseverazioni, dichiarazioni di conformità relative
alla sussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dall’art. 19. co. 1, della l. 240/1990 (in questo senso si
parla di segnalazione certificata).
Presentata la segnalazione certificata di inizio attività ed avviata contestualmente l’attività, si apre una finestra
temporale di 60 giorni entro i quali l’amministrazione verifica la sussistenza dei presupposti di legge ed il
rispetto della normativa urbanistica, edilizia, ambientale, igienico-sanitaria, di sicurezza pubblica e di tutela
paesaggistico-culturale esercitando, eventualmente, un potere inibitorio adottando cioè, a seconda dei casi
(carenza dei presupposti e requisiti di legge oppure attestazioni non veritiere e pericolo per interessi sensibili),
provvedimenti motivati di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi
invitando, se possibile, il privato a conformare la sua attività e i suoi effetti alla normativa vigente, e
provvedimenti di sospensione dell’attività (art. 19, co. 3).
Quella sommariamente descritta è la disciplina generale dell’istituto della S.C.I.A. il cui regime è richiamato
dalle leggi regionali in materia di turismo per la disciplina, in concreto, degli adempimenti richiesti per
l’apertura e l’esercizio delle strutture ricettive e delle agenzie di viaggio: vedasi, ad esempio, l’art. 38 e 58
della l.r. Lombardia, 1 ottobre 2015, n. 27 recante “Politiche regionali in materia di turismo e attrattività del
territorio lombardo”; l’art. 53, l.r. Liguria, 12 novembre 2014, n. 32 recante “Testo unico in materia di strutture
turistico ricettive e norme in materia di imprese turistiche”; artt. 32, 50, 60, 66, 76, 89 della l.r. Toscana, 20
dicembre 2016, n. 86 “Testo unico del sistema turistico regionale”; art. 33 e 38 l.r. Veneto, 14 giugno 2013, n.
11 “Sviluppo e sostenibilità del turismo veneto”.
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Appunti di Asya Moro
*L’art. 19, co. 1, della l. 241/1990, esclude comunque dal campo di applicazione della S.C.I.A. i casi in cui sussistono vincoli
ambientali, paesaggistici o culturali e gli atti delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi sensibili come la difesa nazionale, la
pubblica sicurezza, l’immigrazione, l’asilo, la cittadinanza, l’amministrazione della giustizia e delle finanze, compresi gli atti
concernenti le reti di acquisizione del reddito anche derivante dal gioco, nonché gli atti previsti dalla normativa per le costruzioni in
zone sismiche e gli atti imposti dalla normativa comunitaria.
_________________________________________________________________________________________
L’ORGANIZZAZIONE DEL TURISMO
Profili introduttivi ( I parte )
Lo studio della disciplina turistica è stato finora condotto da un punto di vista dinamico analizzando le
funzioni amministrative, ovvero le attività materiali (che i soggetti fanno) poste in essere dagli apparati
amministrativi per la cura in concreto dell’interesse pubblico alla promozione e sviluppo del turismo.
L’analisi dell’organizzazione amministrativa si occupa invece dei soggetti a cui sono attribuite le funzioni
amministrative (di programmazione, coordinamento, controllo, autorizzazione, promozione dell’attività
turistica), della loro articolazione e rapporti reciproci; si tratta quindi di un approccio dal punto di vista statico.
La pubblica amministrazione, nella sua eccezione soggettiva, rinvia all’insieme dei soggetti a cui è affidato il
ruolo di esercitare compiti di interesse pubblico; per questo motivo sarebbe quindi più corretto parlare di
pubbliche amministrazioni al plurale stante la complessità di un sistema amministrativo, quello italiano, nel cui
perimetro rientrano più tipologie di pubbliche amministrazioni.
Libro -> “Ci sono varie definizioni di pubbliche amministrazioni, dettate da una o dall'altra disposizione ad una serie di
scopi. Ad esempio al fine di individuare l'ambito di applicazione della disciplina sul lavoro alle dipendenze delle p.a., il
decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, in tema di lavoro alle dipendenze delle medesime prescrive: per
amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni
ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad orientamento autonomo, le regioni,
le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi e associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali,
regioni e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale, l'agenzia per la rappresentanza
negoziale delle pubbliche amministrazioni e le agenzie di cui al d.lgs. 30 luglio 1999, n.300 (quali le agenzie fiscali).”
Sul piano meramente descrittivo possiamo individuare tre grandi aree dell’amministrazione pubblica:
l’amministrazione statale, l’amministrazione locale e l’amministrazione per enti pubblici.
1. Amministrazione statale
L'amministrazione dello Stato è organizzata in Ministeri, ossia apparati amministrativi complessi che operano
stabilmente su specifiche aree o macroaree materiali o funzionali organizzati in forma piramidale ed affidati ad
un titolare di estrazione politica, il Ministro, il quale siede nel Consiglio dei Ministri.
➡ Il Consiglio dei Ministri, organo collegiale composto dai Ministri e presieduto dal Presidente del Consiglio
dei Ministri (ex artt. 92, co. 1, Cost.), determina la politica generale del Governo e, ai fini della sua
attuazione, delinea l’indirizzo generale dell’azione amministrativa traducendo le scelte politiche espresse
dalla maggioranza parlamentare.
➡ Il Presidente del Consiglio, che lo presiede, dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile;
mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo promuovendo e coordinando l’attività dei singoli
Ministri (art. 95, co. 1 Cost.).
➡ Al singolo Ministro, quale organo politico e al contempo organo amministrativo di vertice del dicastero*,
compete l’esercizio della funzione di indirizzo politico-amministrativo, ovvero la definizione degli obiettivi e
dei programmi da attuare ed il controllo sulla rispondenza dei risultati della gestione amministrativa alle
direttive generali impartite ai vertici degli apparati burocratici.
La gestione finanziaria, tecnica e amministrativa spetta ai dirigenti cui compete l'adozione di tutti gli atti
che impegnano il Ministro verso l’esterno (principio separazione tra politica e amministrazione**). I Ministri
oltre ad essere “responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri” sono quindi responsabili
“individualmente degli atti dei loro dicasteri” (art. 95, co. 2, Cost.).
*Dicastero = Complesso burocratico che governa un settore della pubblica amministrazione; ministero.
**Nel sistema ministeriale sussiste un rapporto di separazione tra la sfera politica e quella amministrativa: al
Ministro (sfera politica) compete l’attività di definizione delle direttive generali nell’azione amministrativa
(=risponde alla domanda “come fare qualcosa”), mentre l’attività concreta di gestione della stessa attività
amministrativa è affidata ai vertici degli apparati amministrativi (=devono fare, e devono farlo in modo
vincolato). —> rapporto non gerarchico ma di direzione.
Il Ministro sceglie come fare e i vertici amministrativi attuano.
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Appunti di Asya Moro
Libro -> “Lo Stato è un ente pubblico che, dal punto di vista dell'organizzazione amministrativa, è articolato in una serie
di Ministeri, nella Presidenza del Consiglio dei Ministri ed in una serie di strutture quali alcune agenzie e aziende.
È rilevante notare che ogni ministero e la presidenza del consiglio costituiscono un’autonoma figura organizzativa (o
branca di amministrazione) con le proprie attribuzioni e sono articolati in organi.
Ai sensi dell’art. 95 Cost., il presidente del consiglio dei ministri dirige la politica generale del governo e ne è
responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri.
I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei Ministri, e individualmente degli atti dei loro
dicasteri. La legge provvede all'ordinamento della presidenza del consiglio e determina il numero, le attribuzioni e
l'organizzazione dei ministeri: tutti questi aspetti, dunque, non sono fissati a priori dalla costituzione, ma rientrano nelle
scelte del legislatore ordinario.”
➡ Il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei Ministeri sono determinati per legge, ai sensi dell’art. 95, co.
3, Cost.,
➡ Nel 1999, per cercare di ridurre il numero dei Ministeri, il legislatore fissò a 12 il numero massimo. Oggi Per
effetto delle modifiche apportate dal d.l. 9 gennaio 2020, n. 1, conv. in l.5 marzo 2020, che ha scorporato il
vecchio Miur istituendo il Ministero dell’Istruzione ed il Ministero dell’Università e della Ricerca, il numero
dei Ministeri fissato a 12 dall’art. 2, co. 1, del d.lgs. 30 luglio 1999, n. 300, è passato a 14.
➡ Ai Ministri titolari dei dicasteri previsti dalla legge si aggiungono i cosiddetti Ministri senza portafoglio, così
chiamati perché privi di un corrispondente Ministero. Si tratta quindi di Ministri che svolgono le funzioni
loro delegate dal Presidente del Consiglio dei Ministri sentito il Consiglio dei Ministri (art. 9, l. 23 agosto
1988, n. 400, recante “Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei
Ministri”). Il loro numero è variabile nel tempo, perché varia l’area di competenza delegata loro dal
Consiglio dei Ministri.
Sotto il profilo organizzativo i Ministeri sono strutturati in maniera differente in ragione della specificità delle
politiche e dei compiti che sono chiamati a svolgere ma sono individuabili alcuni elementi comuni
all’organizzazione ministeriale.
Partendo dal vertice politico ed amministrativo del Ministero, ricordiamo che il Ministro può essere
coadiuvato (=affiancato) da uno o più sottosegretari, ad alcuni dei quali può essere assegnato l’incarico di
Vice Ministro (art. 10, l. n. 400/1988). I sottosegretari coadiuvano il Ministro ed esercitano i compiti che sono a
loro delegati (non hanno competenze proprie, solo quelle delegate).
Il sottosegretario può diventare Vice-Ministro nell’ipotesi in cui viene incaricato di dirigere un’intera aree
ministeriale, che corrisponde ad uno o più dipartimenti (=direzioni generali); al contrario di un “normale”
sottosegretario, il Vice può partecipare al Consiglio dei Ministri anche se non dispone di diritto di voto.
Il Ministro inoltre si avvale dei c.d. uffici di diretta collaborazione articolati, di regola, nell’Ufficio di Gabinetto,
nell’Ufficio legale(consulenza legale), nell’Ufficio Stampa (comunicazione interna ed esterna del Ministero),
nella Segreteria del Ministro (gestire l’agenda politica del ministro) e dei Sottosegretari (se nominati), nella
Segreteria tecnica (funzione di supporto tecnico-scientifico). I componenti degli uffici di diretta collaborazione
che supportano il Ministro nello svolgimento dei suoi compiti, fungono da raccordo con l'amministrazione,
collaborando alla definizione degli obiettivi e all’elaborazione delle politiche pubbliche, sono legati allo stesso
da un rapporto fiduciario (il loro mandato termina quando termina il mandato del Ministro a cui sono legati).
L’Ufficio di Gabinetto è quello che svolge un ruolo più strategico, delicato e importante tra tutti gli uffici di
collaborazione; il capo ufficio di Gabinetto potrebbe essere considerato il “braccio destro” del Ministro poiché
è colui che lo aiuta nell’elaborazione delle strategie politiche.
L’organizzazione amministrativa del Ministero si articola in una struttura centrale e in una struttura periferica:
• la prima, che può essere organizzata secondo un modello per dipartimenti o per direzioni generali
coordinate da un segretario generale e talora prevede anche un consiglio di amministrazione, esplica le
proprie competenze su tutto il territorio nazionale. Il modello dipartimentale si opta quando le funzioni del
ministero possono essere divise in aree omogenee e delimitabili al loro interno, distinguibili da altre aree
(esempio il vecchio ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca - MIUR- il quale divideva in
dipartimenti la scuola, l’università e la ricerca). Qualora non sia possibile distinguere aree omogenee, il
Ministero è organizzato per direzioni generali, come accade per il Ministero dei beni e delle attività culturali,
le quali sono coordinate da un organo chiamato Segretario generale del ministero (v. organigramma del
ministero a pag. 53).
• la seconda si articola in uffici periferici dislocali nel territorio che svolgono la loro attività in un ambito
territoriale delimitato (come le soprintendenze organi periferici del Ministero dei beni, delle attività culturali e
del turismo, le prefetture organi periferici del Ministero dell’Interno, gli uffici scolastici regionali organi
periferici dell’ex Miur oggi Ministero dell’Istruzione).
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Appunti di Asya Moro
➡ I Ministeri, per un migliore esercizio dei propri compiti, si avvalgono spesso di organi consultivi, ovvero di
organi collegiali permanenti chiamati a fornire elementi conoscitivi e valutativi utili all’assunzione delle
decisioni spettanti al vertice, politico o amministrativo, ministeriale (funzione consultiva) e talora anche a
orientarne o sollecitarne l’attività (funzioni propositive). Per esempio, presso il MIBACT operano come
organi consultivi centrali il Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici, i Comitati tecnico
scientifici, il Consiglio superiore dello spettacolo, il Consiglio superiore del cinema e dell’audiovisivo, il
Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore ed il Comitato permanente di promozione del
turismo in Italia.
Il primo tratto della loro “indipendenza” è senz’altro organizzativo in quanto le leggi istitutive riconoscono alle
Autorità la facoltà di disciplinare in piena autonomia la propria organizzazione ed il relativo funzionamento; il
secondo tratto di tale autonomia è invece funzionale in quanto esse non sono destinatarie degli atti di
indirizzo degli apparati politici di Governo se non, nei casi previsti dalle leggi istitutive, in via eccezionale, ma
solo degli indirizzi politici derivanti dalla legge e dalla Costituzione ed operano in “piena autonomia di giudizio
e di valutazione” rispetto al Governo, la quale è assicurata dai requisiti e dai sistemi di nomina, dalla durata
del mandato dei loro componenti (che non coincide con quella dell’esecutivo, non è rinnovabile né revocabile)
e dalla disciplina delle incompatibilità dei loro componenti.
I componenti delle Autorità sono scelti dal Parlamento (in alcuni casi dai Presidenti delle Camere, in altri dalle
Camere e, talora, dal Governo previo parere favorevole delle commissioni parlamentari) al quale devono
riferire annualmente sui risultati della loro attività, fra persone di notoria indipendenza che abbiano ricoperto
ruoli istituzionali di grande responsabilità o che siano dotati di alta e riconosciuta professionalità e
competenza nel settore.
Le Autorità sono titolari di funzioni di regolazione del settore in cui operano, di amministrazione attiva, di
controllo, sanzionatori e persino di risoluzione delle controversie.
2. Amministrazione locale
Con il termine amministrazione locale (o governo locale) si rinvia all’area delle amministrazioni territoriali così
chiamate perché il territorio ne rappresenta l’elemento costitutivo necessario: Comuni, Province, Città
metropolitane e Regioni che l’art. 114, co. 2 Cost., definisce “enti autonomi con propri statuti, poteri e
funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”.
Ulteriori elementi identificativi delle autonomie locali, oltre alla territorialità, sono l’autonomia, la
rappresentanza politica (indiretta per Province e Città metropolitane dopo la l. 7 aprile 2014, n. 56 recante
“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni”; non si eleggono più i
componenti della giunta) e la competenza generale.
Il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, qualifica come enti
locali anche le Unioni di comuni, le Comunità montane e i Consorzi, anche se si tratta di enti privi di organi
politici direttamente investiti dal voto popolare e caratterizzati quindi da una rappresentatività politica indiretta
(come vale, del resto anche per Province e Città metropolitane).
Il sistema delle autonomie locali è stato investito negli anni di profonde modifiche, come per esempio quella
provinciale e quella dell’introduzione delle città Metropolitane.
Il perseguimento degli interessi pubblici, che l’ordinamento affida alla cura dello Stato o delle autonomie
locali, può realizzarsi anche attraverso gli enti pubblici, organismi dotati di personalità giuridica propria cui
sono affidati specifici compiti e che hanno un diverso grado di autonomia organizzativa e funzionale rispetto
allo Stato e agli enti territoriali.
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Appunti di Asya Moro
La dottrina ha classificato variamente gli enti pubblici.
Con riferimento all’estensione territoriale delle loro competenze e alla dimensione degli interessi curati dagli
enti pubblici è possibile distinguere tra enti nazionali (esempio Enit, Inps, Inail) e enti locali (esempio Camere
di commercio, Azienda sanitaria locale); il territorio non è l’elemento costitutivo di tali enti (come accade per
le autonomie locali) ma è un mero criterio di delimitazione spaziale della propria competenza.
Con riferimento alle modalità di costituzione è possibile invece distinguere tra enti strumentali per nascono
per distacco dalle amministrazioni statali o territoriali al fine di tutelare un certo assetto di interessi ed
essendo strumentali alla tutela di interessi propri di un altro ente, statale o regionale, sono sottoposti ad un
potere di indirizzo e vigilanza screen della loro autonomia limitata (per esempio, a livello nazione l’Enit, Istat,
l’inali o il Cnr e a livello regionale le Aziende sanitarie locali); enti ausiliari che nascono per effetto del
riconoscimento della natura pubblica di preesistenti organizzazioni ascrivibili all’autonomia privata o sociale e
sul piano funzionale completano, integrano e aiutano l’azione dello Stato perseguendo fini che pur non
essendo esclusivi dello Stato sono considerati dallo stesso meritevoli di apprezzamento (per esempio, le
Ipad-Istituti pubblici di assistenza e beneficenza, gli ordini professionali, la Croce Rossa Italiana); alcuni enti
infine, sono espressioni di consolidate autonomie funzionali (Università, Camera di commercio).
_________________________________________________________________________________________
L’ORGANIZZAZIONE DEL TURISMO
L’amministrazione centrale ( II parte )
La ricostruzione delle pubbliche amministrazioni che si occupano di turismo non è compito agevole per via
della pluralità dei livelli di governo titolari di funzioni amministrative nella materia del turismo e per via della
stretta correlazione tra turismo ed altre materie, correlazioni che incide sulla riparto della potestà legislativa
ma si riflette anche sull'esercizio delle funzioni amministrative.
Il ruolo svolto in materia dalle amministrazioni territoriali - Comune, Province, Città metropolitane e Regioni -
è spiegato nel capito “le scelte dei legislatori regionali in ordine all’assetto delle funzioni amministrative nella
materia del turismo” a pag. 22 e quindi in questo capitolo si parlerà dei soggetti amministrazione statale a cui
sono affidate le funzioni spettanti allo Stato in materia di turismo.
Questi soggetti sono: Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo - MIBACT ; l’agenzia nazionale
del turismo - ENIT - ed il comitato permanente di promozione del turismo in Italia.
Dopo la soppressione del 1993, per via referendaria, del ministero del turismo e dello spettacolo (istituito con
la l. 31 luglio 1959, n.617) le funzioni statali in materia di turismo vennero prima affidate alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri, con l'istituzione di un dipartimento ad hoc, poi al Ministero delle attività produttive (art.
27, co. 2, d.lgs. 30 luglio 1999, n.300) per poi essere nuovamente allocate nel 2006 alla Presidenza del
Consiglio dei Ministri.
È solo nel 2013, con la legge del 24 giugno, n.71, che le competenze statali in materia di turismo sono state
assegnate al ministero per i beni e le attività culturali, rinominato di fatto Ministero per i beni, le attività
culturali e per il turismo, con la costituzione di una direzione generale dedicata (art. 21, d.p.c.m. 29 agosto
2014, n.71).
Dopo essere state trasferite, con d.l. 12 luglio 2018, n.86, conv. in l. 9 agosto 2018, n. 97, al Ministero delle
politiche agricole, alimentari e forestali, le funzioni statali in materia di turismo sono state nuovamente
riassegnate al Ministero per i beni e le attività culturali dal d.l. 21 settembre 2019, n. 104, conv. in l. 18
novembre 2019, n. 132.
Ministero per i beni e le attività culturali, rinominato Ministero per i beni, le per effetto del trasferimento delle
competenze in materia al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, è stata ricostituita dall’art. 24
del d.p.c.m. 2 dicembre 2019, n. 169 che ha riorganizzato in ultimo la struttura ministeriale.
“1. La direzione generale turismo svolge funzioni e compiti in materia di turismo e, a tal fine, cura la programmazione, il
coordinamento e la promozione delle politiche turistiche nazionali, i rapporti con le regioni e i progetti di sviluppo del
settore turistico, le relazioni con l'unione europea e relazioni internazionali in materia di turismo e i rapporti con le
associazioni di categoria e le imprese turistiche.
2. Il Direttore generale, in particolare:
a) elabora e sottopone all'approvazione del Ministro i piani di sviluppo e integrazione delle politiche
turistiche nazionali, nonché di quelle europee e internazionali e ne cura l’attuazione;
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Appunti di Asya Moro
b) definisce le strategie per rilanciare la competitività dell'Italia sullo scenario internazionale e per la
promozione del Made in Italy; a tal fine si raccorda con il Segretariato generale e con le direzioni
generali competenti per materia, nonché con gli altri ministri competenti;
c) promuove iniziative, raccordandosi con le altre direzioni generali e con l'Agenzia nazionale del
turismo (ENIT), per il sostegno alla realizzazione di progetti strategici per la qualità e lo sviluppo
dell'offerta turistica e per il miglioramento della qualità dei servizi turistici e per una migliore offerta
turistica dei territori;
d) promuove, in raccordo con l’ENIT, azioni dirette alla valorizzazione della ricchezza e della varietà
delle destinazioni turistiche italiane, attraverso l'attuazione di interventi in favore del settore turistico,
sia su fondi nazionali sia in riferimento a programmi cofinanziati dall'Unione Europea;
e) cura, fermo restando il coordinamento del Segretariato generale, le attività di rilievo internazionale
concernenti il settore del turismo;
f) elabora, in raccordo con l’ENIT, programmi e promuove iniziative, in raccordo con le direzioni
generali competenti e i Segretariati ragionali, finalizzate all’incremento dell’offerta turistica destinata
alla fruizione del patrimonio culturale, con particolare riferimento ai siti e agli elementi dichiarati
dall’UNESCO patrimonio culturale materiale o immateriale dell’umanità;
g) attiva, in raccordo con i Segretariati regionali e con gli enti territoriali, reti e percorsi di valorizzazione
del patrimonio culturale e cura la definizione, in raccordo con la Direzione generale Archeologica, belle arti e
paesaggio e la Direzione generale Musei, degli indirizzi strategici dei progetti relativi alla
promozione turistica degli itinerari culturali e di eccellenza paesaggistica e delle iniziative di
promozione turistica finalizzate a valorizzare le identità territoriali e le radici culturali delle comunità
locali;
h) elabora programmi e promuove iniziative finalizzati a sensibilizzare le giovani generazioni al turismo
sostenibile e rispettoso del patrimonio culturale, dell'ambiente e dell'ecosistema;
i) provvede alla diffusione del Codice di Etica del Turismo;
l) attua iniziative di assistenza e tutela dei turisti, garantendo il consumatore di pacchetto turistico;
m) esercita le funzioni di indirizzo e, d'intesa con la Direzione generale Bilancio, di vigilanza, su ogni
soggetto giuridico costituito con la partecipazione del Ministero per finalità attinenti agli ambiti di
competenza della Direzione generale, ivi inclusi l’ENIT e il Club Alpino Italiano (CAI);
n) cura le attività di regolazione delle imprese turistiche e di interazione con il sistema delle autonomie
locali e le realtà imprenditoriali;
o) provvede alla programmazione e gestione di fondi strutturali e promuove gli investimenti di
competenza all'estero e in Italia;
p) predispone gli atti necessari all'attuazione delle misure a sostegno delle imprese di settore, ivi
compresa la concessione di crediti di imposta;
q) predispone gli atti necessari al monitoraggio dell’applicazione a alla revisione periodica degli
standard minimi e uniformi su tutto il territorio nazionale dei servizi e delle dotazioni per la
classificazione delle strutture ricettive e delle imprese turistiche, tenendo conto delle specifiche
esigenze connesse alle capacità ricettiva e di fruizione dei contesti territoriali, e dei sistemi di
classificazione alberghiera adottati a livello europeo ed internazionale;
r) convoca, in qualità di amministrazione procedente, apposite conferenze di servizi ai sensi degli
articoli 14 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, al fine di promuovere la realizzazione di circuiti
nazionali di eccellenza a sostegno dell'offerta turistica e del sistema Italia e accelerare il rilascio da
parte delle amministrazioni competenti dei relativi permessi, nulla osta, autorizzazioni, licenze e atti di
assenso comunque denominati;
s) promuove la realizzazione di progetti di valorizzazione del paesaggio, anche tramite l'ideazione e la
realizzazione di itinerari turistico-culturali dedicati, nell'ambito del piano strategico nazionale per lo
sviluppo del turismo in Italia, predisposti a cura delle regioni e degli enti locali, singoli o associati;
t) cura le attività inerenti all'esercizio di ogni altra competenza statale in materia di turismo.
3. Presso la Direzione generale Turismo, che ne supporta le attività, hanno sede e operano il Centro per la promozione
del Codice mondiale di etica del turismo, costituito nell’ambito dell'Organizzazione Mondiale del Turismo, Agenzia
specializzata dell'ONU, e il Comitato permanente di promozione del turismo in Italia di cui all’articolo 31.
4. La Direzione generale Turismo costituisce centro di responsabilità amministrativa ai sensi dell'articolo 21, comma 2,
della legge 31 dicembre 2009, n. 196, ed e' responsabile per l'attuazione dei piani gestionali di competenza della stessa.
5. La Direzione generale Turismo si articola in tre uffici dirigenziali di livello non generale centrali, individuati ai sensi
dell'articolo 17, comma 4-bis, lettera e), della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dell'articolo 4, commi 4 e 4- bis, del
decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. [d.m. 28 gennaio 2020]”
➡ Una importante funzione assegnata al Direttore Generale (comma 2) è quella di elaborare e di sottoporre
all’attenzione del ministro i piani di sviluppo e di integrazione delle politiche turistiche nazionali ed
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Appunti di Asya Moro
internazionali, curandone l’attuazione. A tal proposito, nel 2017, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri
il “Piano strategico nazionale del Turismo 2017/2022”, elaborato dal Comitato Permanente di Promozione
del Turismo, con il coordinamento della Direzione Generale Turismo del Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali e del Turismo - MiBACT.
Il PST ha il compito di delineare le strategie della politica turistica nazionale nel medio periodo e per
questo invidia una serie di obiettivi articolati in linee di intervento e in azioni specifiche nel rispetto dei
principi generali trasversali del piano: sostenibilità, accessibilità e innovazione.
➡ La Direzione generale del Turismo, dal gennaio 2018, si compone di 3 uffici dirigenziali di livello non
generale centrali che sono il “Organizzazione rapporti con le Regioni”; “Attuazione piano strategico
nazionale del Turismo” e il terzo “Promozione turistica”.
➡ Presso la direzione generale del Turismo opera il Comitato permanente di promozione del turismo in Italia
che è l’organo consultivo del MIBACT, le cui funzioni sono disciplinate dal Codice del turismo (art. 58).
Al Comitato, organo a composizione mista in rappresentanza di tutti i soggetti pubblici e privati operanti nel
settore del turismo, spetta il compito di strutturare la strategia di promozione e programmazione nazionale del
settore promuovendo un’azione di coordinamento tra turismo e politica.
Il comitato ha svolto un ruolo importante nella stesura del testo del “piano strategico nazionale del turismo”
2017-2022.
Ad esso è attribuita anche la funzione di promozione dell’immagine dell’Italia nel settore turistico all’interno
dei confini nazionali, rivolgendo particolare attenzione ai sistemi turistici d’eccellenza.
“1. Al fine di promuovere un'azione coordinata dei diversi soggetti, che operano nel settore del turismo, con la politica e
la programmazione nazionale, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro delegato, da adottarsi,
d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e' istituito il Comitato permanente di
promozione del turismo in Italia, di seguito denominata Comitato. Con il medesimo decreto sono regolati il
funzionamento e l'organizzazione del Comitato.
2. Il Comitato e' presieduto, dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Ministro delegato, che può all'uopo delegare
un suo rappresentante. Il decreto di istituzione del Comitato assicura la rappresentanza di tutti i soggetti pubblici e
privati operanti nel settore turistico.
3. Il Comitato promuove le azioni relative ai seguenti ambiti:
a) identificazione omogenea delle strutture pubbliche dedicate a garantire i servizi del turista;
b) accordi di programma con le regioni e sviluppo della strutturazione turistica sul territorio progetti di
formazione nazionale al fine di promuovere lo sviluppo turistico;
c) sostegno ed assistenza alle imprese che concorrono a riqualificare l'offerta turistica nazionale;
d) promozione dell'immagine dell'Italia, nel settore turistico, all'interno confini nazionali, con
particolare riguardo ai sistemi turistici di eccellenza, garantendo sul territorio pari opportunità di
propaganda e una comunicazione unitaria;
e) organizzazione dei momenti e degli eventi di carattere nazionale, ad impulso turistico che
coinvolgano territori, soggetti pubblici e privati;
f) raccordo e cooperazione tra regioni, province e comuni e le istituzioni di governo;
g) promozione a fini turistici del marchio Italia.
4. L'istituzione ed il funzionamento del Comitato non comportano oneri aggiuntivi per la finanza pubblica e la relativa
partecipazione e' a titolo gratuito.”
L’ENIT è stato interessato negli anni da diversi interventi di riforma che ne hanno modificato la natura
giuridica e la struttura organizzativa mantenendo sostanzialmente invariate le sue competenze: il primo
intervento è avvenuto nel 2005 quando venne trasformato in Agenzia nazionale del turismo, sottoposta alla
vigilanza del Ministero per i beni e le attività culturali dall’art. 12, co. 1, d.l. 14 marzo 2005, n. 35 recante
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Appunti di Asya Moro
“Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano d’azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale”, conv. in
l. 14 maggio 2005, n. 80;
è stato infine trasformato in ente pubblico economico, sottoposto alla vigilanza del Ministero per i beni, le
attività culturali e per il turismo, dall’art. 16, del d.l. 31 maggio 2014, n. 83, recante “Disposizioni urgenti per la
tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”, conv. in l. 29 luglio 2014, n.
106.
L’ENIT - Agenzia nazionale del turismo, come precisato dall’art. 57, co. 2, del d.lgs. n. 79 (Codice del
turismo), svolge tutte “le funzioni di promozione all’estero dell'immagine unitaria dell'offerta turistica
nazionale e ne favorisce la commercializzazione anche al fine di renderla competitiva sui mercati
internazionali”. L’art. 16, co. 2, del d.l. 83/2014, che ha riformato l’ENIT alle soglie dell’EXPO 2015 per
rafforzare le politiche di promozione all’estero dell’immagine del nostro Paese, ha precisato che nell’esercizio
della funzione di promozione l’agenzia “interviene per individuare, organizzare, promuovere e
commercializzare i servizi turistici, culturali ed i prodotti enogastronomici, tipici e artigianali in Italia e
all’estero, con particolare riferimento agli investimenti nei mezzi digitali”.
➡ Presso l’ENIT opera l’Osservatorio Nazionale del turismo, organismo tecnico di supporto all’attività
dell’Agenzia che svolge indagini e analisi degli scenari di medio e lungo termine del settore turistico e più in
generale attività di studio e ricerca in cooperazione con istituti di ricerca italiani ed esteri.
Le regioni hanno più volte contestato la presenza nell’ordinamento di un ente pubblico statale titolare di
funzioni in una materia di competenza regionale.
In occasione dei due interventi di riforma dell’ENIT, quello del 2005 e del 2014, le Regioni hanno infatti
sollevato una questione di legittimità costituzionale respinta dalla Corte costituzionale la quale ha sottolineato
come l’intervento del legislatore statale appaia “giustificato in virtù del rilievo del turismo nell’ambito
dell’economia italiana e dell’estrema varietà dell’offerta turistica italiana, la cui valorizzazione presuppone
un’attività promozionale unitaria, perché essa scaturisce solamente dalla combinazione delle offerte turistiche
delle varie Regioni” (Corte Cost., 1 giugno 2006, n. 214 e Corte Cost. 9 luglio 2015, n. 140) precisando altresì
che non essendo contestabile “l’esigenza promozionale unitaria del turismo, interventi di riassetto ed
organizzativi del tipo di quello prefigurato – incidendo profondamente in un settore dominato da soggetti che
realizzano finalità dello Stato – devono essere ascritti alla materia ‘ordinamento e organizzazione
amministrativa [...] degli enti pubblici nazionali’, di competenza esclusiva statale ex art. 117, co. 2, lett. g),
Cost.” (Corte Cost. 9 luglio 2015, n. 140).
Poiché la materia del Turismo è altamente complessa è possibile che altre p.a. possano svolgono attività che
rilevanti per il settore turistico; ma non si andranno a vedere in questo corso.
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Appunti di Asya Moro
TURISMO E BENI
Attività attinenti al turismo che si svolgono su determinati beni, pubblici e privati
Libro -> La Costituzione stabilisce alcuni principi da tenere presenti a proposito della proprietà pubblica o
privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e
garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la
funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla
legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale (art.42 Cost.). Ai fini di utilità generale
la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad
enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si
riferiscono a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di
preminente interesse generale (art.43).
Il termine giuridico bene privato è "condizionato" dalla vocazione turistica e quindi dalla zona del territorio in
cui insiste e lo è nella misura in cui è tenuto a rispettare delle previsioni degli strumenti urbanistici che nel
regolare l'ordinato assetto del territorio comunale prescrivono determinati usi del territorio. I beni privati
(immobili ex art. 822 cc.) debbono rispettare le prescrizioni previste per quella zona/ambito territoriale dal
relativo strumento urbanistico, per cui se ricadono in una zona territoriale omogenea* con destinazione d’uso
compatibile con attività turistico-ricettive dovranno rispettare i limiti ed i vincoli prescritti dalle pertinenti
norme tecniche di attuazione del piano urbanistico.
Le strutture ricettive possiedono invece un ulteriore limite che potrebbe derivare dall’esistenza di un vincolo di
destinazione d’uso “turistico - alberghiero”** che, pur non essendo più contemplato dalla disciplina di settore
dall’abrogazione della legge quadro del 1983, è considerato dalla maggiore giurisprudenza legittimo nella
misura in cui, essendo funzionale ad una corretta pianificazione del territorio, non sia destinato a perpetuarsi
in maniera indefinita nel tempo (Tar Firenze, 11 giugno 2015, n. 893; Tar Liguria, 8 maggio 2015, n. 489; Cons.
St., 12 febbraio 2014, n. 671). Questo vincolo impone che gli edifici destinati ad uso di albergo, pensione o
locanda, non possono essere né venduti ne locati per uso diverso da quello alberghiero.
* Una zona territoriale omogenea è un parte ben delimitata del territorio comunale che presenta al proprio
interno specifiche caratteristiche insediative e propri vincoli diversi da altre zone; sono individuate dal
sistema urbanistico comunale nell’ambito della cosiddetta zonizzazione.
** L’istituto del vincolo di destinazione d'uso turistico-alberghiero nasce con un regio decreto legge del 1936,
ed imponeva il mantenimento, nella contrattazione, della destinazione ad albergo dagli immobili che,
anteriormente alla data del 3 marzo 1936 avessero avuto una destinazione alberghiera. In sostanza
significava che l'immobile destinato ad essere un albergo dovesse mantenere la propria destinazione per un
determinato periodo di tempo. Nel 1981 la Corte costituzionale è intervenuta ritenendo incostituzionale solo
la discriminazione tra alberghi costruiti anteriormente il 1940 (assoggettati appunto a vincolo temporale) e
alberghi costruiti successivamente (non assoggettati al vincolo).
Anche i beni pubblici, ovvero i beni che appartengono ad enti pubblici, possono essere interessati dallo
svolgimento di attività turistiche perché oggetto di uso, generale o individuale, per fini di fruizione turistica:
pensiamo alla fruizione dei beni culturali di proprietà pubblica oppure all’accesso per finalità turistica ai beni
del demanio marittimo.
Disciplina generale dei beni pubblici contenuta negli artt. 822-831 codice civile
I beni pubblici hanno una disciplina giuridica particolare, diversa da quella dei beni privati, perché sono
destinati a soddisfare un interesse generale della collettività. Alcuni di questi beni, ad esempio quelli
demaniali, sono destinati stabilmente in maniera diretta e immediata al soddisfacimento di una pubblica utilità
e questo giustifica l'utilizzo di una disciplina molto rigorosa.
I beni pubblici possono essere distinti tra: i beni demaniali e i beni del patrimonio indisponibile dello Stato (o
degli altri enti pubblici territoriali).
La distinzione fra beni del demanio e beni patrimoniali risiede nel fatto che i primi, elencati in via
esemplificativa dall’art. 822 c.c., sono destinati a soddisfare una pubblica utilità in modo immediato e diretto,
mentre i secondi (art. 826 c.c.) sono quelli sottoposti ad un uso pubblico mediato o semplicemente
strumentale, in connessione con le stesse esigenze del pubblico servizio a cui sono destinati.
I beni patrimoniali di enti pubblici (Stato, Regioni, Province, Comuni o altri enti non territoriali) sono
implicitamente distinti dall’art. 828 c.c. in disponibili e indisponibili.
I beni del patrimonio indisponibile sono beni soggetti ad un uso pubblico strumentale, ovvero connessi alle
esigenze specifiche del servizio pubblico a cui sono designati; per questa ragione per questi beni è previsto
un regime giuridico meno rigido di quello dettato dal Codice Civile per i beni demaniali.
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Appunti di Asya Moro
ART. 812 cc. - Distinzione dei beni
“Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d’acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al
suolo a scopo transitorio, e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo.
Sono reputati immobili i mulini, i bagni e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla rive o
all’alveo o sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione.
Sono beni mobili tutti gli altri beni.”
ART. 816 cc. - Universalità di mobili
“È considerata universalità di mobili la pluralità di cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione
unitaria.
Le singole cose componenti l'universalità possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici.”
➡ Un esempio di universalità di mobili è una collezione, un archivio, …
ART. 824 cc. - Beni delle province e dei comuni soggetti al regime dei beni demaniali
“I beni della specie di quelli indicati dal secondo comma dell'articolo 822, se appartengono alle province o ai comuni,
sono soggetti al regime del demanio pubblico.
Allo stesso regime sono soggetti i cimiteri e i mercati comunali.”
ART. 826 cc. - Patrimonio dello Stato, delle province e dei comuni
“I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli
precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni.
Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il
demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del
fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque
modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della presidenza della Repubblica, le caserme, gli
armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra.
Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro
appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico
servizio.”
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Appunti di Asya Moro
ART. 829 cc. - Passaggio di beni dal demanio al patrimonio
“Il passaggio dei beni dal demanio pubblico al patrimonio dello Stato dev'essere dichiarato dall'autorità amministrativa.
Dell'atto deve essere dato annunzio nella Gazzetta ufficiale della Repubblica.
Per quanto riguarda i beni delle province e dei comuni, il provvedimento che dichiara il passaggio al patrimonio deve
essere pubblicato nei modi stabiliti per i regolamenti comunali e provinciali.”
Le diverse categorie di beni demaniali individuati nel primo comma dell’art.822 fanno parte del demanio
necessario dello Stato, ovvero che questi beni appartengono solo allo Stato. Sono inoltre tutti beni di tipo
immobile, come espresso nell’art. 812.
Al demanio necessario si contrappone il cosiddetto demanio eventuale, ovvero l’insieme dei beni indicati nel
secondo comma dell’art.822; la differenza è che si tratta di beni non necessariamente immobili e possono
appartenere anche a privati e a enti pubblici diversi da quelli territoriali, ma sono comunque soggetti ad un
soddisfacimento di una pubblica utilità. Un esempio è per esempio la strada privata o un immobile di
importante storico-artistica che appartiene ad un privato.
Altre distinzioni tra i beni demaniali possono essere fatte per i beni appartenenti al demanio naturale , ovvero i
beni del demanio marittimo, del demanio idrico e che sono tali per loro ontologica conformazione.
I beni del demanio artificiale invece sono i beni ferroviari, militari, stradali, aeronautici e storico-artistici, e
vengono definiti così perché diventano demaniali nel momento in cui vengono realizzati dall’uomo e nel
momento in cui la legge li destina a quella specifica funzione pubblica. Questa tipologia di beni del demanio
artificiale possono possedere un doppio titolo, un doppio regime giuridico.
Nell’art. 823 si presentano alcune caratteristiche dei beni demaniali, essi infatti "sono inalienabili e non
possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non è nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li
riguardano”. Questo è il connotato della incommerciabilità, che significa:
- inalienabilità, ossia insuscettibilità di tali beni ad essere venduti, salvo specifiche disposizioni di legge;
- sempre salvo specifiche disposizioni di legge, impossibilità di costituire diritti a favore di terzi, sia diritti reali
(come l'usufrutto), sia personali di godimento (come la locazione);
- imprescrittibilità, cioè impossibilità che il bene, in conseguenza del decorso del tempo, si è acquisito da
parte di terzi: ad esempio, usucapito.
Un'altra caratteristica dei beni demaniali e la suscettibilità anche di autotutela esecutiva: il codice civile
prevede che "spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico, essa
ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del
possesso regolati dal presente codice”. Pertanto alla pubblica amministrazione, a fronte di un atto che lede
l'integrità del bene, come l'occupazione di un edificio pubblico da parte di un privato, può ordinare la
rimozione o il ripristino entro un termine, decorso il quale procede all'esecuzione in danno a spese del
privato. Per esempio qualora siano abusivamente occupata e zone di demanio marittimo il capo del
compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro un termine stabilito e, in caso
di mancata esecuzione dell'ordine da parte del contravventore, provvede all'ufficio alla ripristino a spese
dell'interessato.
Passaggio di categoria
Il codice civile prevede, per le due categorie di beni pubblici, i beni del demanio pubblico e i beni ascrivibili al
patrimonio indisponibile dello Stato, il passaggio di categoria tra gli uni e gli altri; le ragioni che possono
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Appunti di Asya Moro
determinare la cessazione della natura demaniale del bene sono diverse, una prima è la distruzione del bene
stesso, una seconda è che vengano meno i requisiti della demanialità del bene (fiume che si prosciuga), una
terza ipotesi della cessazione demaniale del bene consegue alla cessazione della destinazione espressa di
quel bene al soddisfacimento della pubblica attività che viene dichiarata dalla p.a.
La sdemanializzazione tacita, ovvero che non avviene tramite un provvedimento espresso, viene
considerata dalla Giurisprudenza possibile solo quando sia conseguente ad un comportamento attivo e NON
equivocabile della p.a. con il quale la stessa palesi la volontà di sottrarre il bene a quella specifica
destinazione pubblica. La sdemanializzazione non può essere solo conseguente ad un “non uso prolungato
nel tempo” del bene, ma vi deve essere anche una rinuncia implicita della p.a. al ripristino della funzionalità
pubblica del bene. Per esempio, per una fortezza militare non è sufficiente non utilizzarla per qualche anno
per un uso militare per maturare una sdemanializzazione tacita del bene, ma deve anche essere attrezzata
per un uso diverso, magari deposito o garage.
Beni del patrimonio disponibile dello Stato (o degli altri enti pubblici territoriali)
I beni patrimoniali disponibili sono, diversamente da quelli indisponibili, commerciabili a tutti gli effetti e sono
sottoposti alla stessa normativa dei patrimoni di enti privati: in particolare essi possono essere alienati,
usucapiti e usati come garanzia dei creditori.
Si può anche dire che il patrimonio disponibile è costituito da beni che permettono all’ente a cui
appartengono di conseguire un reddito.
Fanno parte di questa tipologia anche i beni immobili vacanti, ovvero che non spettano a nessuno, come per
esempio case date in locazione, boschi e terreni dati in affitto, capitali fruttiferi, valori, titoli e denaro.
I beni ascritti al demanio o al patrimonio indisponibile dello Stato possono essere oggetto di un uso, di un
godimento. Esistono diverse forme di uso:
• Uso diretto -> beni utilizzati dalla pubblica amministrazione esclusivamente per il perseguimento delle
proprie funzioni pubbliche, con l'esclusione dell'uso di questo bene da parte della collettività. Esempio del
demanio militare, che è oggetto di un uso diretto esclusivo dell’ente pubblico.
• Uso promiscuo -> uso da parte del proprietario pubblico e da parte di soggetti privati, ad esempio una
strada militare che viene utilizzata da entrambi i soggetti.
• Uso generale -> beni destinati ad un uso ed un godimento da parte della collettività. Questo è l’esempio dei
beni dei demanio storico-artistico, i quali sono destinati alla fruizione del pubblico, e del demanio stradale e
idrico.
• Uso particolare -> uso che viene concesso in via esclusiva dalla p.a. ad un soggetto privato su richiesta.
L'uso del bene è concesso per un determinato periodo di tempo, con determinate condizioni, e nel rispetto
di procedure comparative per l’individuazione del soggetto privato a cui viene concesso, per lo svolgimento
di un’attività che può anche essere di tipo economico. Questo è il caso della concessione di beni del
demanio marittimo per lo svolgimento di attività turistiche-ricettive.
Su questo questo regime giuridico generale si innestano poi altri regimi giuridici speciali, quelli declinati dal
Codice civile della Navigazione con riferimento ai beni del demanio marittimo e quelli del Codice dei Beni
culturali con riferimento al demanio storico-artistico.
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TURISMO E BENI
Le concessioni demaniali marittime
Le concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricettive sono un tema di estrema rilevanza per il
diritto amministrativo perché riguarda all’uso esclusivo di un bene pubblico demaniale per lo svolgimento di
un’attività economica e per il diritto pubblico del turismo perché interessa un cluster importante del settore,
quello del turismo marittimo.
Avendo già analizzato la natura giuridica del demanio marittimo (art. 822, co.1 e 823 c.c.) ora ci si sofferma
sull’analisi del procedimento di concessione dell’uso del demanio marittimo da parte della p.a. disciplinato dal
Codice della navigazione, regio decreto 30 marzo 1942, n. 327 s.m.i. (art. 35-40).
La concessione amministrativa
I provvedimenti amministrativi sono manifestazioni di volontà aventi rilevanza esterna, provenienti da un p.a.
nell’esercizio di un’attività amministrativa (discrezionale e non), indirizzate a soggetti determinati o
determinabili in grado di apportare una modificazione unilaterale nella sfera giuridica degli stessi.
I provvedimenti ampliativi attribuiscono diritti e facoltà giuridiche (effetti favorevoli) alla sfera soggettiva del
provato. Inoltre il loro effetto può anche portare alla rimozione di ostacoli e di impedimenti al libero esercizio
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Appunti di Asya Moro
di poteri o facoltà da parte dei privati (v. Autorizzazioni) oppure all'inserimento del soggetto in una
determinata struttura organizzativa, in virtù del quale egli può godere di vantaggi ed utilità di vario genere (v.
ammissioni) o ancora all’attribuzione di nuove situazioni soggettive create ex novo dall'amministrazione in
capo al destinatario (v. concessione) o, infine, all’esenzione o all’esonero del soggetto dal compimento di
attività o dall’osservanza di obblighi (esempio dispense, esenzioni, …). Questi provvedimenti variano tra
diverse tipologie: concessione, delega di poteri, ammissioni, autorizzazioni (espresse, tacite, modali, non
modali, personali o reali), abilitazione, approvazione, dispensa, nullaosta, licenza e registrazione.
Non sempre vi è una unanimità di vedute sul significato di queste tipologie, ma è possibile distinguere tra due
macro-categorie.
La categoria dei provvedimenti autorizzatori -> l'autorizzazione è un atto giuridico con il quale la p.a.
conferisce poteri o facoltà oppure rimuove limiti posti all’esercizio di un diritto, previa verifica della
compatibilità di tale esercizio con l'interesse pubblico, ovvero, quando una norma di legge prevede
un’autorizzazione, richiede un assenso preventivo da parte dell’amministrazione allo svolgimento di una certa
attività che di per sé il diritto consente di svolgere. Un atto che rientra in questa categoria è il permesso di
costruire: il proprietario di un terreno ha il diritto di utilizzare la sua proprietà nei modi conformi alle
prescrizioni dello strumento urbanistico comunale, ma necessita prima di un’autorizzazione per rimuovere il
limite che la legge ha posto.
La verifica che la p.a. è tenuta a svolgere per il rilascio dell’autorizzazione può comportare due risultati, uno
certo (es. passaporto) o uno gravato da incertezza, ovvero atti il cui rilascio è subordinato all'accertamento
dell'idoneità tecnica di soggetti a svolgere una certa attività (ad esempio l'iscrizione ad un albo previa il
superamento di un esame-abilitazione).
- la concessione di esercizio di servizi pubblici, ovvero quei provvedimenti attraverso i quali l’amministrazione
concede/trasla ad un terzo l'uso esclusivo di un bene pubblico, ovvero l'esercizio di un servizio di rilevanza
pubblica (tipo TRASLATIVO);
La concessione è detta traslativa quando il diritto preesiste in capo all'amministrazione (si pensi alla
concessione di servizi pubblici) e quindi esso è "trasmesso" al privato, mentre è costitutiva nei casi in cui il
diritto attribuito è totalmente nuovo, nel senso che l'amministrazione non poteva averne la titolarità (sarebbe
tale la concessione di cittadinanza o di onorificenze).
“L'amministrazione marittima, compatibilmente con le esigenze del pubblico uso, può concedere l'occupazione e l'uso,
anche esclusivo, di beni demaniali e di zone di mare territoriale ad un terzo per un determinato periodo di tempo.
Le concessioni di durata superiore a 15 anni sono di competenza del Ministro per la marina mercantile. Le concessioni di
durata superiore a quattro, ma non a 15 anni, e quelle di durata non superiore al quadriennio che importino impianti di
difficile sgombero sono di competenza del direttore marittimo. Le concessioni di durata non superiore al quadriennio,
quando non importino impianti difficile sgombero, sono di competenza del capo di compartimento marittimo*.”
*L’art. 105, co. 2, lett. l), del d.lgs. 31 marzo 1998, n, 112 recante “Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato a regioni ed enti locali in attuazione della capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59” ha trasferito le competenze
inerenti al rilascio delle concessioni in uso dei beni del demanio marittimo alle regioni e le relative funzioni sono di regola
svolte dai comuni per effetto dell’art. 42, d.lgs. 30 marzo 1999, n. 96 recante “Intervento sostituivo del Governo per la
ripartizione di funzioni amministrative tra regioni ed enti locai a noma dell’art. 4, co. 5, della l. 15 marzo 19997, n. 59
s.m.i.” sui quali le regioni esercitano un potere di indirizzo.
Anche la titolarità dei beni demaniali è stata trasferita alle regioni dall’art. 3, co. 1, lett. a) e art. 5, co. 1, lett. a) del d.lgs.
28 maggio 2010, n. 85 recante “Attribuzione a comuni, province, città metropolitane e regioni di un proprio patrimonio, in
attuazione dell’articolo 19 della l. 5 maggio 2009, n. 42” sebbene tale trasferimento sia subordinato all’adozione di
specifici decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri che individui i singoli beni che non risultano ancora adottati.
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Appunti di Asya Moro
ART. 37 - Concorso di più domande di concessione
“Nel caso di più domande di concessione, è preferito il richiedente che offra maggiori garanzie di proficua utilizzazione
della concessione e si proponga di avvalersi di questa per un uso che, a giudizio dell'amministrazione, risponda ad un più
rilevante interesse pubblico.
Al fine della tutela dell'ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-
ricreative e' data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili [In sede di
rinnovo altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, rispetto alle nuove istanze].
Qualora non ricorrano le ragioni di preferenza di cui ai precedenti commi, si procede a licitazione privata.”
“La misura del canone e' determinata dall'atto di concessione. Nelle concessioni a enti pubblici o privati, per fini di
beneficenza o per altri fini di pubblico interesse, sono fissati canoni di mero riconoscimento del carattere demaniale dei
beni.”
➡ L'inciso posto tra le parentesi quadre dell’art.37 è stato abrogato nel 2009 perché si trattava di una
disposizione ritenuta incompatibile con l’ordinamento comunitario, più precisamente con l’art. 12 comma 2
della direttiva servizi del 2006 dell’UE, la quale vieta ogni forma di proroga automatica in favore del vecchio
concessionario.
➡ Il rilascio delle concessioni in uso dei beni demaniali per lo svolgimento di attività turistico- ricreative e
ricettive è espressamente contemplato dall’art. 01 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 400 inserito in sede di
conversione in l. 4 dicembre 1993, n. 494, il quale prevede che “La concessione dei beni demaniali
marittimi può essere rilasciata, oltre che per servizi pubblici e per servizi e attività portuali e produttive, per
l'esercizio delle seguenti attività: a) gestione di stabilimenti balneari; b) esercizi di ristorazione e
somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio; c) noleggio di imbarcazioni e natanti in
genere; d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive; e) esercizi commerciali; f) servizi di
altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di
cui alle precedenti categorie di utilizzazione”.
Il codice della navigazione disciplina anche la revoca delle concessioni demaniali derogando in parte alla
disciplina generale della revoca dei provvedimenti amministrativi (art. 21-quinquies, l. 7 agosto 1990, n. 241
s.m.i.).
➡ La revoca appartiene alla categoria dei provvedimenti amministrativi cosiddetti di secondo grado o di
riesame (annullamento, sospensione, convalida), con i quali l’amministrazione rimuove, modifica, sospende
o conferma atti adottati in precedenza, al fine di curare l’interesse pubblico e verificare che sia soddisfatto
in via concreta e attuale. La revoca può essere adottata per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, per
mutamento della situazione di fatto, nonché per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario.
La revoca non ha efficacia retroattiva; il provvedimento revocato, quindi, non produce più effetti dal
momento in cui è disposta la revoca.
➡ La differenza tra la disciplina della revoca dei provvedimenti amministrativi e quella della disciplina della
revoca delle concessioni demaniali è che la prima permette ai soggetti privati che abbiano subito un danno
in conseguenza della revoca di un provvedimento, di avere corrisposto un indennizzo (monetario).
“Le concessioni di durata non superiore al quadriennio e che non importino impianti di difficile sgombero sono
revocabili in tutto o in parte a giudizio discrezionale dell'amministrazione marittima.
Le concessioni di durata superiore al ((quadriennio)) o che comunque importino impianti di difficile sgombero sono
revocabili per specifici motivi inerenti al pubblico uso del mare o per altre ragioni di pubblico interesse, a giudizio
discrezionale dell'amministrazione marittima.
La revoca non da' diritto a indennizzo. Nel caso di revoca parziale si fa luogo ad un'adeguata riduzione del canone, salva
la facoltà prevista dal primo comma dell'articolo 44.
Nelle concessioni che hanno dato luogo a costruzione di opere stabili l'amministrazione marittima, salvo che non sia
diversamente stabilito, e' tenuta a corrispondere un indennizzo pari al rimborso di tante quote parti del costo delle opere
quanti sono gli anni mancanti al termine di scadenza fissato.
In ogni caso l'indennizzo non può essere superiore al valore delle opere al momento della revoca, detratto l'ammontare
degli effettuati ammortamenti.”
“La revoca e la decadenza della concessione sono dichiarate, con le formalità stabilite dal regolamento, dall’autorità
che ha fatto la concessione”
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Appunti di Asya Moro
Il codice della navigazione si occupa altresì di altre vicende che possono investire il rapporto concessorio,
ovvero la modifica o l’estinzione della concessione per cause naturali (art. 45), la sub-concessione (artt. 45-
bis), il sub ingresso (art. 46) e la decadenza (art. 47).
“Quando, per cause naturali, i beni del demanio marittimo concessi subiscono modificazioni tali da restringere
l’utilizzazione della concessione, il concessionario ha diritto ad una adeguata riduzione del canone.
Qualora le cause predette cagionino modificazioni tali della consistenza dei beni da rendere impossibile l’ulteriore
utilizzazione della concessione, questa si estingue.”
ART. 45-bis - Affidamento ad altri soggetti delle attività oggetto della concessione
“Il concessionario […] previa autorizzazione dell'autorità competente, può affidare ad altri soggetti la gestione delle
attività oggetto della concessione. Previa autorizzazione dell'autorità competente, può essere altresì affidata ad altri
soggetti la gestione di attività secondarie nell'ambito della concessione.”
“Quando il concessionario intende sostituire altri nel godimento della concessione deve chiedere l'autorizzazione
dell'autorità concedente.
In caso di vendita o di esecuzione forzata, l'acquirente o l'aggiudicatario di opere o impianti costruiti dal concessionario
su beni demaniali non può subentrare nella concessione senza l'autorizzazione dell'autorità concedente.
In caso di morte del concessionario gli eredi subentrano nel godimento della concessione, ma devono chiederne la
conferma entro sei mesi, sotto pena di decadenza. Se, per ragioni attinenti all'idoneità tecnica od economica degli eredi,
l'amministrazione non ritiene opportuno confermare la concessione, si applicano le norme relative alla revoca.”
Regime di proroga
Uno dei maggiori problemi che hanno riguardato la disciplina delle concessione demaniali marittime è il
regime di proroga ex lege della data di scadenza delle concessioni disposta con diversi interventi normativi.
È stato l’art. 1, co. 18, d.l. 20 dicembre 2009, n. 194, conv. in l. 26 febbraio 2010, n. 25, contestualmente alla
soppressione del diritto di insistenza previsto dall’art. 37, co. 2, del Codice della Navigazione a disporre che
“nelle more di un procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di
beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalità turistico-ricreative” da realizzarsi “quanto ai criteri e alle
modalità di affidamento delle concessioni” sulla base di un intesa in seno alla Conferenza Stato-regioni, nel
rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della
valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, il termine di durata delle concessioni
in essere alla data di entrata in vigore del decreto legge ed in scadenza entro il 31.12.2012 sarebbe stato
prorogato fino a tale data. -> Con questo provvedimento normativo il legislatore ha disposto una proroga per
legge di tutte le concessioni demaniali marittime in essere al momento dell’adozione del decreto legge,
stabilendo come termine di durata il 31 dicembre 2012.
Per effetto della modifica apportata all’art. 1, co. 18, d.l. 20 dicembre 2009, n. 194, conv. in l. 26 febbraio
2010, n. 25, dall’art. 34-duodecies della l. 18 ottobre 2012, n. 179, la durata delle concessioni è stata poi
prorogata al 31.12.2020.
In ultimo, l’art.1, co. 683, l. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario
2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) ha disposto una proroga legislativa automatica delle
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Appunti di Asya Moro
concessioni demaniali in essere fino al 2009 o rilasciate successivamente con procedura comparativa fino al
2033. -> per effetto di queste proroghe successive, la situazione odierna è quella della persistenza nel
sistema amministrativo di concessioni demaniali dal 2009 e destinate, se prorogate in tempo utile, a “finire”
nel 2033.
Tale regime di prorogatio ex lege si pone chiaramente in contrasto con la giurisprudenza della Corte di
Giustizia, la quale ha più volte sottolineato l’incompatibilità con la disciplina comunitaria di una normativa che
disponga una proroga ex lege della data di scadenza delle concessioni la quale equivarrebbe ad un rinnovo
automatico del provvedimento, contrario ai principi della tutela della concorrenza e della libera circolazione
dei servizi nel mercato comune (in ultimo v. sent. 14 luglio 2016, cause riunite C-458/14 e C-67/15) e della
stessa Corte Costituzionale che nella sentenza 24 febbraio 2017, n. 40, nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale di alcune previsioni della l.r. Puglia 10 aprile 2015, n. 17 recante “Disciplina della tutela e
dell’uso della costa”, ha ricordato come “il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e
trasparente tra gli operatori economici interessati determina...un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel
mercato, non solo risultando invasa la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza, in
violazione dell’art. 117, co. 2, lett. e), Cost., ma conseguendone altresì il contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost.,
per lesione dei principi di derivazione europea nella medesima materia”.
Al regime di prorogatio ha posto fine (anche se ancora non si può sapere se cambierà qualcosa) la
sentenza del Consiglio di Stato del 18.11. 2019, n. 7874 che rinviando alla citata giurisprudenza dell’Unione
Europea e ai propri precedenti in materia ha stabilito che le leggi italiane che prevedono proroghe
automatiche delle concessioni demaniali marittime, poiché illegittime, vanno disapplicate dai Comuni.
Il consiglio di Stato ricorda che, in seguito all'abrogazione del diritto di insistenza contenuto nel comma 2
dell’art. 37 del Codice della Navigazione, qualora l’amministrazione intenda procedere ad una nuova
concessione del bene demaniale marittimo con finalità turistico-ricettiva, nel rispetto dei principi
dell’ordinamento comunitario, è tenuta ad effettuare una procedura selettiva che consente di selezionare
l’operatore che offre maggiori garanzie di proficua utilizzazione della concessione. -> questo significa che
il vecchio concessionario non può vantare alcun diritto sul rilascio della nuova concessione.
Ne consegue che qualsiasi disposizione nazionale che consente una proroga automatica sulle concessioni
demaniali non può aver cittadinanza nell’ordinamento italiano ed europeo perché incompatibile con i principi
generali.
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La complessità della disciplina del turismo è data dall'ampia varietà di offerta turistica: è già scuro dei tipi di
turismo esige infatti una propria disciplina, in parte, differenziata e specifica.
Queste tipologie si possono classificare in base all'oggetto, ovvero a seconda di quale è l'attrattiva che
induce il turista a muoversi:
- Se il turismo avviene in relazione alle cose, esso potrà attenere al patrimonio artistico, agli animali, a
peculiari attività che saranno svolte dal turista.
- In base a chi organizza determinate attività turistiche, si potranno distinguere altre specie di turismo, ad
esempio quello religioso.
Il problema sorge quando la normativa settoriale per le varie tipologie va coordinata con la normativa
riguardante il turismo in genere, poiché queste si rivolgono a diverse discipline le quali posseggono la loro
tipologia di competenza (residuale, statale o di concorrenza con le regioni.
Il turismo culturale
Il turismo culturale è quello che ha ad oggetto il patrimonio culturale, ossia storico-artistico. Difatti la
principale motivazione del turista consiste nella visita di beni culturali in senso ampio; pertanto il diritto del
turismo e il diritto dei Beni Culturali sono profondamente connessi.
Per via di questa stretta interconnessione, data anche dall’esperienza, quando ci si trova a perimetrare i
confini del “turismo culturale” ci si scontra con l'indeterminatezza giuridica dei due poli concettuali.
• Da un lato la materia del turismo, la quale è strettamente interconnessa con altri ambiti materiali [ alcuni di
competenza legislativa concorrente (governo del territorio, valorizzazione dei beni culturali, organizzazione e
promozione delle attività culturali), alcuni ascritti alla competenza esclusiva dello Stato (tutela dell’ambiente,
tutela della concorrenza) e altri di competenza residuale delle Regioni (turismo, commercio, servizi pubblici
privi di rilevanza economica)] tale da rendere alcuni suoi confini sfuggenti e tale da caratterizzare il turismo
come un fenomeno complesso economico e sociologico, prima ancora che giuridico, intimamente
connesso al territorio locale e al contempo globale.
• Dall’altro lato, la nozione di cultura, concetto poliedrico che rinvia al complesso delle espressioni culturali,
materiali ed immateriali che concorrono alla formazione dell'identità della comunità nazionale, e che nella
sua più ampia (e dinamica) accezione, quale strumento destinato in via prioritaria alla crescita degli individui
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Appunti di Asya Moro
e della società, costituisce non solo campo di intervento dei pubblici poteri ma oggetto di un insieme di
diritti fondamentali dell'individuo e delle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità, ovvero il diritto
di accesso al sistema della produzione culturale e il diritto alla più ampia fruizione del patrimonio storico-
artistico e delle produzioni culturali e creative ad esso collegate.
Il turismo legato alla fruizione culturale, come fenomeno giuridico, è inevitabilmente chiamato a confrontarsi
con le complesse dinamiche che negli ultimi decenni hanno travolto i suoi due denominatori, cultura e
territorio, vale a dire con l'ampliamento del novero delle espressioni culturali riconducibili alla nozione di
cultura; è chiamato anche a confrontarsi con gli effetti prodotti dalla globalizzazione e dall'uso delle nuove
tecnologie sulla percezione del territorio e sulle modalità di fruizione delle sue ricchezze.
Fenomeno giuridico
Per comprendere quindi la complessità del fenomeno giuridico del turismo-culturale per come si è evoluto e
la complessità delle politiche pubbliche elaborate a sostegno di un settore che, recenti dati dimostrano
impattare sul PIL italiana per un valore pari al 13%, occorre soffermarsi sul polo concettuale della cultura. Ed
è proprio l'inscindibilità delle componenti materiali ed immateriali del cultural heritage e la pluralità dei livelli di
governo coinvolti a vario titolo nell'esercizio delle funzioni di tutela, valorizzazione e promozione a costituire la
prima sfida per la definizione di politiche integrate di promozione dell'offerta turistica in grado di soddisfare le
esigenze di una domanda turistica in continua evoluzione e sempre più orientata verso prodotti complessi e
non standardizzati.
L’art. 9 Cost. rappresenta la base della disciplina relativa alla cultura e viene anche definito uno degli articoli
più belli presenti nella Carta costituzionale.
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34].
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Il termine nazione è utilizzato, in questo contesto, con un’accezione spirituale poiché evocativo di tutti quei
beni culturali e paesaggistici che concorrono, con le loro caratteristiche a fondare, o a rafforzare, il comune
sentimento nazionale. Di fatto il termine rinvia a tutti quei beni che per il loro valore culturale contribuiscono
alla formazione e alla crescita culturale della comunità, ponendo così in stretta correlazione il 1 comma e il 2
comma dell’art.9.
➡ Nel corso del dibatto costituzionale che portò all’adozione di questo articolo, in molti dubitarono del valore
normativo e dell’utilità di esso, poiché esistevano già leggi che disciplinavano e si occupavano della tutela
del patrimonio storico-artistico e paesaggistico dell’epoca (l.1089 e l.1497 del 1939 - leggi Bottai, epoca
fascista).
➡ La dottrina “scopre” il valoro normativo soltanto negli anni ’70, grazie all’aggancio dell’obbligo di
preservare il patrimonio storico-artistico della nazione indicato nel secondo comma con il fine generale di
promozione della cultura (indicato nel 1 comma).
L’art.9, nella sua semplicità, individua quindi le espressioni della cultura tutelate dall’ordinamento e si limita a
prefigurare quali sono i compiti della Repubblica. L’utilizzo del termine Repubblica, scelta interessante da
parte dei padri costituenti, ha consentito di rimettere al legislatore ordinario ogni decisione in ordine
all’individuazione dei compiti da affidare al nascente ordinamento regionale.
Il Codice dei Beni Culturali del paesaggio viene pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nel 2004.
definizione di Beni paesaggistici si trova nell’artt.2 e 134 mentre quella di Paesaggio si trova nell’art.131.
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Appunti di Asya Moro
Questo suddivisioni esistono perché nell’ordinamento italiano è maturata una separazione concettuale tra
paesaggio e beni paesaggistici.
Il Paesaggio è inteso come l’intero territorio espressivo di un’identità culturale, ovvero rappresentazione
materiale e visibile, i cui elementi costitutivi derivano dall’azione di fattori umani e naturali e dalla
interrelazione di essi. Il valore estetico, seppur importante, si combina con il valore identitario e testimoniale
di tutto il territorio, anche di quello urbano o degradato.
- La tutela del paesaggio viene affidata ad uno strumento generale di programmazione che è il Piano
Paesaggistico Regionale.
I Beni paesaggistici sono invece quei punti di immersione del valore identitario dei luoghi, ovvero beni che
rappresentano un elemento caratteristico e/o caratterizzante di un contesto territoriale, che lo rendono
riconoscibile e che lo collegano alla tradizione storico-artistica dell’area.
- La tutela dei beni paesaggistici è affidata ad un provvedimento individuale (vincolo paesaggistico) con il
quale viene identificato il singolo bene e se ne descrivono anche le condizioni d’uso.
➡ L’insieme dei Beni Paesaggistici e dei Beni Culturali costituisce il PATRIMONIO CULTURALE, definito
appunto dall’art. 2 del Codice.
“1. Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici.
2. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico,
archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge
quali testimonianze aventi valore di civiltà.
3. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all'articolo 134, costituenti espressione dei valori storici,
culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge.
4. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività,
compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela.”
“1. Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali,
nonche' ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, che presentano interesse
artistico, storico, archeologico o etnoantropologico.
2. Sono inoltre beni culturali:
a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici
territoriali, nonche' di ogni altro ente ed istituto pubblico;
b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonche' di ogni altro ente
ed istituto pubblico;
c) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonche' di ogni altro
ente e istituto pubblico.
3. Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'articolo 13:
a) le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente
importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1;
b) gli archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono interesse storico particolarmente importante;
c) le raccolte librarie, appartenenti a privati, di eccezionale interesse culturale;
d) le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del
loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, ovvero quali
testimonianze dell'identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose;
e) le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche
ambientali, rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico.
4. Sono comprese tra le cose indicate al comma 1 e al comma 3, lettera a):
a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà;
b) le cose di interesse numismatico;
c) i manoscritti, gli autografi, i carteggi, gli incunaboli, nonche' i libri, le stampe e le incisioni, con relative matrici,
aventi carattere di rarità e di pregio;
d) le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio;
e) le fotografie, con relativi negativi e matrici, le pellicole cinematografiche ed i supporti audiovisivi in genere, aventi
carattere di rarità e di pregio;
f) le ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico;
g) le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico;
h) i siti minerari di interesse storico od etnoantropologico;
i) le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico;
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Appunti di Asya Moro
l) le tipologie di architettura rurale aventi interesse storico od etnoantropologico quali testimonianze dell’economia
rurale tradizionale.
5. Salvo quanto disposto dagli articoli 64 e 178, non sono soggette alla disciplina del presente Titolo le cose indicate al
comma 1 e al comma 3, lettere a) ed e), che siano opera di autore vivente o la cui esecuzione non risalga ad oltre
cinquanta anni.”
Bene Culturale
La nozione di bene culturale è stata introdotta nel linguaggio giuridico italiano solamente nel 1958 a seguito
della spinta del diritto internazionale che, con la convenzione dell’Aja per la protezione dei beni culturali del
1954 aveva messo fine a dei conflitti preesistenti.
L’ingresso ufficiale del temine nell’ordinamento Italiano avviene però solo a metà degli anni ’60 con la
pubblicazione dei lavori della commissione parlamentare Franceschini, istituita per la revisione della
legislazione, allora vigente, in materia di tutela delle cose d’arte e delle bellezze paesaggistiche.
Questa pubblicazione, che permette l'ingresso ufficiale del termine bene culturale, sostituisce i termini “cose
d’arte”, “antichità e belle arti” che erano stati usati fino ad allora.
La definizione giuridica del termine, che si trova nel comma due dell’art. 2 del Codice, descrive i requisiti
fondamentali dei Beni.
La prima caratteristica dei Beni Culturali è la materialità, ovvero sono beni culturali tutte quelle cose che
possono essere toccate con mano.
La seconda caratteristica è la pluralità, non esiste nell'ordinamento una sola tipologia di bene culturale, ma ne
esistono diverse: beni archivistici, bibliografici, archeologici,…
La terza caratteristica è l’elemento della tipicità; dal punto di vista giuridico dire che un bene culturale è tale
“in quanto testimonianza avente valore di civiltà”, non è sufficiente poiché il bene, per essere considerato
come bene culturale, e quindi trattato come tale, richiede una preventiva qualificazione/identificazione da
parte del legislatore oppure da parte dell’amministrazione di settore sulla base delle indicazioni legislative
identificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (del MIBACT).
- Questo elemento è essenziale per i beni culturali privati, perché essi non possono essere assoggettati alla
disciplina di tutela se non sono individuati come beni culturali da parte dell’amministrazione di settore sulla
base del procedimento disciplinato nel Codice.
- Con riferimento ai beni culturali pubblici sussiste una presunzione di “culturalità” dei beni pubblici perciò
che essi vengano trattati come beni culturali fino a prova contraria (=assenza di interesse storico-culturale).
Alla luce della definizione di bene culturale, non vengono considerate nel codice dei beni culturali e
paesaggistici tutte quelle:
- espressioni della cultura che sono prive di un sub-strato materiale, come le opere dell’ingegno, della
letteratura, della musica. Queste trovano tutela in altre discipline: disciplina sul diritto d’autore, disciplina su
marche e sui brevetti.
- espressioni della cultura che l’antropologia culturale considera rappresentative della cultura popolare,
ovvero le danze, i dialetti, le tradizioni popolari, i proverbi, i costumi. Tutelate nelle convenzioni UNESCO
del 2003 e del 2005 sulla salvaguardia del patrimonio immateriale e sulla protezione e la promozione delle
diversità culturali.
-> Nell’art.7 del codice dei Beni Culturali e paesaggistici viene rilevato il valore di queste espressioni
culturali immateriali esprimendo la loro rappresentanza di una identità culturale collettiva e quindi, nel
rinviare alla tutela e alla protezione loro accordata dall’UNESCO, precisa che queste espressioni sono
assoggettabili al Codice qualora posseggano i requisiti. Un esempio è un costume tradizionale.
- attività riconducibili alla elaborazione e alla diffusione della cultura, ovvero le attività dello spettacolo dal
vivo, teatro, danza, attività circensi, rievocazioni storiche e attività dello spettacolo registrate. Tutte quelle
che nell’ordinamento italiano vengono classificate come attività culturali.
- opere d’arte contemporanee. Nell’ultimo comma dell’art.10 si legge infatti che sono escluse dal campo di
applicazione del codice tutti quei beni identificati nello stesso articolo che sono realizzati da un autore
vivente. Questa tipologia di opere è esclusa dal codice perché, in primo luogo, si ritiene che la loro
realizzazione sia troppo recente nel tempo da consentire la maturazione di un giudizio critico sul valore
storico-artistico di quel bene, e in secondo luogo vi è l’esigenza economica di non pregiudicare lo sviluppo
del fiorente mercato dell’arte contemporanea.
- espressioni della creatività contemporanea, ovvero la moda, il design, che possiedono già l’attenzione
particolare dell’Ordinamento italiano. Nella riforma del MIBACT del 2019 è stata istituita una nuova
direzione generale chiamata proprio Direzione Generale della Creatività contemporanea, la quale svolge
compiti rivolti alla promozione e al sostegno dell’arte (fotografia, video-arte, arti applicate) e
dell’architettura contemporanea.
L’evoluzione quindi della nozione di turismo culturale, in un sistema multi livello di Governo come quello
Italiano, rende difficile l’elaborazione di politiche integrate di promozione dell’offerta turistica che siano in
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Appunti di Asya Moro
grado di soddisfare le esigenze di una domanda turistica che è in continua evoluzione e sempre più orientata
verso prodotti complessi e tailor-made.
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TURISMO CULTURALE:
le politiche pubbliche a sostegno dell’offerta turistica
In un mercato globale, lo sviluppo del turismo culturale, dipende in primo luogo dalla elaborazione di politiche
pubbliche che siano in grado di innovare e di diversificare l’offerta turistica, valorizzando la ricchezza e
l’estrema varietà del patrimonio culturale italiano.
Negli ultimi anni non sono mancati interventi e misure che hanno contribuito a rafforzare questo segmento
dell’offerta turistica; misure di carattere organizzativo, finanziario e anche misure che si sono soffermate più
sulla funzione di valorizzazione del patrimonio culturale.
La riforma organizzativa del Ministero introdotta dal d.p.c.m. 29 agosto 2014, n. 171, ha giovato all’offerta
turistica culturale perché, oltre che la trasformazione profonda della struttura ministeriale, ha comportato il
mutamento dell’organizzazione museale. Ci si riferisce al riconoscimento dell'autonomia tecnico-scientifica
di tutti i musei statali e all'autonomia speciale riconosciuta ai musei "di rilevante interesse nazionale” , i quali
sono stati individuati come tali per la consistenza delle collezioni, l'ampiezza della superficie espositiva oltre
che per la capacità di attrarre flussi turistici in grado di contribuire, nell'ottica dell'impresa museale, alla
propria autosufficienza economica. Inoltre si fa riferimento anche all'istituzione della direzione generale musei
che, per effetto della riforma introdotta nel 2014, coordina l'organizzazione museale periferica sgravando di
tale compito le soprintendenze di settore e le corrispondenti direzioni generali e sovrintende al sistema
museale nazionale ed infine all'introduzione di un sistema di agevolazioni fiscali a sostegno degli istituti e dei
luoghi di cultura di appartenenza pubblica che ha indubbiamente concorso a migliorarne la fruizione.
Il sistema museale nazionale è importante anche nell'ottica di un miglioramento della fruizione turistica del
patrimonio culturale perché rappresenta un’opportunità di crescita per tutti i musei e i luoghi della cultura
nazionali, indipendentemente dalla loro natura, pubblica o privata, indipendentemente della loro proprietà
(statale, regionale, locale, ente non territoriale, privata) e dalla loro collocazione geografica. Il modello si
propone quindi:
- di realizzare una rete di istituti e luoghi della cultura nazionale anche al fine di rafforzare la competitività
dell’offerta turistica culturale italiana nel mondo;
- di potenziare e migliorare la qualità della fruizione del patrimonio museale, compresi i musei più piccoli e
meno noti;
- di migliorare la qualità della gestione dei singoli musei, i quali devono rispettare gli standard minimi definiti
dal decreto del 2018 e conseguire determinati obiettivi che lo stesso decreto individua.
- di realizzare delle economie di scala tra i musei coinvolti nella rete nazionale, condividendo servizi ed
esperienza professionale tra le diverse strutture.
Introdotte con il d.l. 83/2014, queste misure finanziarie, inizialmente delimitate nel tempo poi stabilizzate nel
2016, hanno portato all’adozione di un sistema di agevolazioni fiscali a sostegno di istituti e di luoghi di
cultura all’interno dell’ordinamento italiano, definite con il cosiddetto Art Bonus (art. 1 del d.l. 31 maggio
2014, n. 83, conv. in legge 29 luglio 2014, n. 106).
Le agevolazioni fiscali introdotte sono a favore di coloro (persone fisiche, enti no-profit, imprese) che
effettuano delle erogazioni di denaro nel settore della cultura, come il riconoscimento di un credito d’imposta
pari al 65% dell’importo donato.
Inutile precisare che tutti questi fondi sono stati essenziali nel miglioramento della fruizione complessiva del
sistema dei luoghi di cultura a favore del turismo culturale.
Una misura importante, introdotta con l’art.11, co.3, del d.l. n.83/2014, al fine di realizzare e promuovere
circuiti nazionali di eccellenza a sostegno dell’offerta turistica e per realizzare e promuovere percorsi turistici
non solo pedonali, ha previsto la possibilità di affidare in concessione in uso gratuito case cantoniere, caselli
e stazioni ferroviarie o marittime, fortificazioni, fari e più in generale di immobili pubblici non utilizzati o
utilizzabili a scopi istituzionali. L’affidamento in concessione gratuita di questi beni è disposto su base di
procedure pubbliche che tengano conto delle prospettive di valorizzazione turistica dei beni, degli elementi di
sostenibilità ambientale ed efficenza energetica, in favore di imprese operative o di associazioni costituite in
prevalenza da soggetti di età inferiore ai 40 anni; si tratta di concessioni della durata di 9 anni, eventualmente
rinnovabili per altri 9 anni; oneri di manutenzione straordinaria sono a capo del concessionario.
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Appunti di Asya Moro
Nel 2017, sulla base delle misure introdotte con l’Art Bonus, è stato adottato un primo bando “Cammini e
percorsi” , con il quale l’agenzia del demanio, insieme al ministero delle finanze, ha disposto circa una 40ina
di immobili pubblici in concessione gratuita per 9 anni in favore ci cooperative, associazioni e di imprese
costituite da giovani imprenditori.
Un'altra iniziativa interessante attivata dal MIBACT nel 2016 è la cosiddetta direttiva “Cammini”; il fine era
quello di valorizzare il patrimonio culturale e ambientale costituito dagli itinerari escursionistici, pedonali e
ciclabili, sia a livello statale che regionale. Il Ministero ha affidato alla direzione generale turismo il compito di
definire delle linee guida per la pre-condizione nel territorio nazionale di itinerari culturali. Inoltre è stato
istituito anche un comitato di coordinamento costituito dal ministero, regioni, province autonome e
associazione nazionale dei comuni italiani per l’inserimento di tutti di tutti gli itinerari individuati in un grande
atlante digitale dei cammini italiani.
Con la legge 6 ottobre 2017, n. 158, recante "Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni,
nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni" (detta legge
“salva borghi”) viene istituito un "Fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni" di
100 milioni di euro destinato al finanziamento, tra gli altri, di investimenti diretti al recupero dei beni culturali,
al recupero e riuso di aree e beni immobili inutilizzati anche al fine di sostenere l'imprenditoria giovanile per
l'avvio di nuove attività turistiche e commerciali, alla salvaguardia e alla riqualificazione urbana dei centri
storici (per la realizzazione ad esempio di alberghi diffusi) attivando forme di cooperazione pubblico-privata.
-> borghi come elemento attrattivo per il turismo nazionale e internazionale.
Cooperazione pubblico-privata
Sempre alla cooperazione pubblico-privata rinviano le norme 24 e 25 del Codice del turismo, le quali si
occupano del turismo culturale.
ART. 24 - incentivazione di iniziative di promozione turistica finalizzate alla valorizzazione del patrimonio
storico-artistico, archeologico, architettonico e paesaggistico italiano
“1. Nel rispetto dell'articolo 9 della Costituzione e del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il Presidente del Consiglio dei Ministri o il Ministro delegato, di concerto con il
Ministro per i beni e le attività culturali, promuove la realizzazione di iniziative turistiche finalizzate ad incentivare la
valorizzazione del patrimonio storico - artistico, archeologico, architettonico e paesaggistico presente sul territorio
italiano, utilizzando le risorse umane e strumentali disponibili, senza nuovi ed ulteriori oneri per la finanza pubblica.”
➡ La norma sancisce l’esistenza, nell’ordinamento italiano, di un principio generale di valorizzazione e di
promozione dei beni culturali con finalità turistiche. Permette di affermare che lo scopo perseguito dallo
Stato e dalle Regioni, ciascuno nel proprio ambito di competenza, è quello di incrementare la qualità
dell’offerta turistica con l’adozione di iniziative nell’ambito del patrimonio culturale.
➡ Le competenze qua espresse, dopo la riforma del ministero del 2019, sono affidate alla Direzione Generale
turismo, di concerto con le altre direzioni regionali e con l'agenzia nazionale di turismo italiano, in
collaborazione con le autonomie locali e territoriali.
“1. Ai fini del perseguimento degli obiettivi di cui all’articolo 22, le amministrazioni interessate, statali, regionali e
locali, promuovono ed utilizzano gli strumenti di programmazione negoziale di cui all’articolo 2, comma 203, della legge
23 dicembre 1996, n. 662. In sede di Conferenza Stato-regioni vengono stabiliti i tempi per la conclusione degli accordi,
che devono comunque essere stipulati entro i successivi sessanta giorni.
2. Gli strumenti di programmazione negoziale di cui al comma 1 prevedono misure finalizzate a:
a) promuovere, in chiave turistica, iniziative di valorizzazione del patrimonio storico – artistico, archeologico,
architettonico e paesaggistico presente sul territorio italiano, con particolare attenzione ai borghi, ai piccoli comuni ed a
tutte le realtà minori che ancora non hanno conosciuto una adeguata valorizzazione del proprio patrimonio a fini
turistici;
b) garantire, ai fini dell’incremento dei flussi turistici, in particolare dall’estero, che il predetto patrimonio sia
completamente accessibile al pubblico dei visitatori anche al fine di incrementare gli introiti e di destinare maggiori
risorse al finanziamento degli interventi di recupero e di restauro dello stesso;
c) assicurare la effettiva fruibilità, da parte del pubblico dei visitatori, in particolare di quelli stranieri, del predetto
patrimonio attraverso la predisposizione di materiale informativo redatto obbligatoriamente nelle lingue inglese,
francese e tedesco, e, preferibilmente, in lingua cinese.”
Il ricorso alle forme di cooperazione pubblico-private è un elemento cardine nell’ordinamento dei beni
culturali ed è espresso in uno dei principi fondamentali del Codice dei beni culturali e del paesaggio (art.6),
nel quale si sottolinea che la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione di soggetti privati alla
valorizzazione del patrimonio culturale.
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Appunti di Asya Moro
Questo principio è ripreso anche:
“1. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali assicurano la valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei
luoghi indicati all'articolo 101, nel rispetto dei principi fondamentali fissati dal presente codice.
2. Nel rispetto dei principi richiamati al comma 1, la legislazione regionale disciplina le funzioni e le attività di
valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato o dei quali lo Stato
abbia trasferito la disponibilità sulla base della normativa vigente.
3. La valorizzazione dei beni culturali pubblici al di fuori degli istituti e dei luoghi di cui all'articolo 101 è assicurata,
secondo le disposizioni del presente Titolo, compatibilmente con lo svolgimento degli scopi istituzionali cui detti beni
sono destinati.
4. Lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali stipulano accordi per definire strategie ed obiettivi comuni di
valorizzazione, nonché per elaborare i conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e i programmi, relativamente ai
beni culturali di pertinenza pubblica. Gli accordi possono essere conclusi su base regionale o subregionale, in rapporto
ad ambiti territoriali definiti, e promuovono altresì l'integrazione, nel processo di valorizzazione concordato, delle
infrastrutture e dei settori produttivi collegati. Gli accordi medesimi possono riguardare anche beni di proprietà privata,
previo consenso degli interessati. Lo Stato stipula gli accordi per il tramite del Ministero, che opera direttamente ovvero
d'intesa con le altre amministrazioni statali eventualmente competenti.
5. Lo Stato, per il tramite del Ministero e delle altre amministrazioni statali eventualmente competenti, le regioni e gli
altri enti pubblici territoriali possono costituire, nel rispetto delle vigenti disposizioni, appositi soggetti giuridici cui
affidare l'elaborazione e lo sviluppo dei piani di cui al comma 4.”
➡ La previsione che si trova al comma 4, assume un significato del tutto nuovo perché rinvia ad una
valorizzazione del patrimonio culturale anche in chiave di promozione turistica; suggerisce difatti che la
collaborazione tra stato, regioni ed enti locali sia una collaborazione che guardi oltre alla semplice
integrazione delle competenze dei diversi livelli di governo, e quindi che si rivolga ad un sistema volto
anche alla valorizzazione economica delle aree interessate dalla presenza di beni culturali.
I sistemi turistici locali e i modelli ad essi assimilabili (visti nelle lezioni precedenti) sono finalizzati in via
principale alla promozione turistica del territorio, il quale comprende anche le attrazioni turistiche e le risorse
culturali presenti in quell’ambito. Per questo non sono finalizzati alla valorizzazione del patrimonio culturale,
ma lo utilizzano per la promozione turistica del territorio.
Necessario quindi distinguere i sistemi turistici locali da altri sistemi territoriali complessi presenti in alcune
regioni che invece pongono al centro della loro azione la valorizzazione del patrimonio culturale, come per
esempio:
Essi mettono a sistema, integrano tutte le realtà culturali presenti nel territorio - dai musei ai teatri, dagli
archivi ai beni monumentali, dai complessi archeologici alle biblioteche - per valorizzare e gestire in forma
integrata e sostenibile il patrimonio storico-culturale, architettonico e artistico (e, nel caso dei SAC, anche
naturale) regionale.
Non che in questi modelli sia trascurabile o irrilevante la presenza di attività economiche legate al processo di
valorizzazione del patrimonio culturale o assente una finalità di promozione turistica. Tutt'altro. Come è stato
correttamente osservato , infatti, l'attività culturale nasce dagli stimoli creativi ed intellettuali che essa è in
grado di trasmettere ai fruitori e al contesto di riferimento, favorendo un generale orientamento
all'innovazione, per cui l'interesse della base imprenditoriale a scommettere sull'innovazione e sui benefici
dell'investimento in cultura è un fattore decisivo per il successo di un progetto di valorizzazione territoriale.
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Appunti di Asya Moro
Questo ci porta all'importante ruolo che la promozione delle attività dello spettacolo, dal vivo e registrato,
imputata al sistema delle autonomie locali secondo il criterio della “dimensione" dell’interesse, possono
svolgere ed in parte già svolgono nella promozione turistica del territorio.
Si fa riferimento al caso del cineturismo e all'attività oramai trentennale delle film commission al servizio dello
sviluppo turistico locale.
Attive sin dalla prima metà degli anni '90 nell'erogazione di servizi in favore delle produzioni nazionali ed
internazionali al fine di attrarre nel territorio investimenti del comparto cinematografico ed audiovisivo, le film
commission concorrono a pieno titolo alla valorizzazione del patrimonio artistico, culturale e ambientale locale
con particolare attenzione alle location estranee ai circuiti turistico-culturali tradizionali
- Esempio la fama dei luoghi dove è stato girato Montalbano e Don Matteo
La stessa legge di riforma del cinema e dell'audiovisivo, legge 14 novembre 2016, n. 220, ne ha riconosciuto
il ruolo nella promozione del territorio (art. 4, co. 4) costituendo presso la direzione generale turismo un tavolo
"tecnico" di coordinamento nazionale titolare di funzioni di studio, analisi e proposta "con l'obiettivo di
armonizzare e rendere più efficaci gli interventi statali e regionali a favore del settore cinematografico e
audiovisivo, di monitorare l'esito delle politiche territoriali, nonché di proporre azioni coordinate di promozione
della produzione italiana all'estero". In linea con le finalità assegnate dal decreto attuativo, il coordinamento
nazionale potrebbe proporre alle film commission l'implementazione di misure volte ad indirizzare le
produzione cinematografiche ed audiovisive verso mete meno note, sgravando così le mete più inflazione
nell'ottica di uno sviluppo turistico sostenibile. Misure che pur incidendo sulla curva dell'offerta potrebbero
influenzare indirettamente quella della domanda turistica.
Minore attenzione è stata finora riservata ad altri rilevanti segmenti del turismo culturale legati alle performing
arts, dal turismo connesso alle rievocazioni storiche e al patrimonio dei teatri antichi al "turismo musicale"
legato alle stagioni dei teatri lirici nazionali e all'organizzazione di eventi, festival, rassegne che peraltro sono
spesso inseriti in contesti di interesse storico-artistico che ne amplificano il potenziale attrattivo. Sono proprio
gli importanti flussi turistici generati e le opportunità in termini di place branding a rendere il fenomeno del
turismo musicale di grande interesse per la promozione del territorio, in quanto all'offerta "specifica" si
aggiunge quella dei luoghi in cui gli appuntamenti musicali sono inseriti, quali teatri storici, chiese, ville e
dimore, case museo legate a specifici periodi storici o a particolari personaggi, attorno ai quali possono
realizzarsi itinerari turistici anche transfrontalieri come testimoniano il progetto European Paganini Route
promosso nell'ambito dell'Anno Europeo del Patrimonio Culturale 2018 ed il progetto"tARTini. Turismo
culturale all'insegna di Giuseppe Tartini" co-finanziato nel 2017 dal Programma Interreg Italia-Slovenia
2014-2020.
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TURISMO CULTURALE:
le politiche pubbliche a sostegno della domanda turistica
Dalle politiche a sostegno dell’offerta turistica si distinguono politiche a sostegno della domanda turistica.
Sul fronte della domanda i margini per un intervento pubblico sono ridotti ma non del tutto assenti, a partire
dal settore della comunicazione istituzionale.
- La funzione di promozione all'estero dell'immagine turistica e delle varie tipologie dell'offerta turistica
nazionale e in più generale del brand Italia, sono da considerare in via esclusiva dell’ENIT - Agenzia
nazionale del turismo in collaborazione/raccordo, ove necessario, con la direzione generale del turismo.
Sotto questo versante un ruolo importante può essere svolto dalle nuove tecnologie e dall’ICT, le quali
possono fare molto per semplificare le scelte del consumatore, sia per il servizio delle imprese, per lo
sviluppo di start-Up innovative per il settore del turismo e per la digitalizzazione delle strutture ricettive, che
delle amministrazioni, mettendo in rete le destinazioni turistiche, migliorando i servizi on-line delle istituzioni
culturali a partire da quello di ticketing e supportando il processo di digitalizzazione del patrimonio
informativo relativo al settore culturale.
Per colmare il ritardo registrato in questo versante nell’ordinamento italiano, il recente regolamento (2019) di
riorganizzazione del MIBACT ha affidato all'Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale -
Digital Library , istituto centrale dotato di autonomia speciale, il coordinamento del programma di
digitalizzazione del patrimonio culturale sulla base del piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio
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Appunti di Asya Moro
culturale. L’obiettivo è quello di trasformare il patrimonio conoscitivo a disposizione del MIBACT in un
patrimonio cognitivo condiviso e accessibile a tutti, inclusi gli operatori della filiera turistica.
Il progetto è molto complesso a livello tecnologico poiché dovrà anche allinearsi alla nuova disciplina europea
(direttiva 790/2019) sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. Le direttive del ’96 e
del 2001, modificata dalla direttiva del 2019, già prevedevano dei limiti alla disciplina europea del Copyright
riconosciuta agli istituti di tutela del patrimonio culturale per la riproduzione di opere o altro materiale
presente in maniera permanente nelle proprie raccolte, al perseguimento di fini meramente conservativi e
nella misura ciò strettamente necessaria. Per cui, questo piano nazionale di digitalizzazione dovrà fare i conti
con questa disciplina europea, colmando le lacune che l’ordinamento italiano ha su questo versante.
➡ Si pensi che in Italia non è mai stata disciplinata la c.d. “libertà di panorama”, ovvero la libertà di scattare e
pubblicare liberamente delle foto relative ad opere come edifici o sculture che sono stabilmente collocate
in luoghi pubblici. Quasi tutti i paesi europei sono infatti intervenuti in materia, anche se in maniera
disorganica, mentre alcuni non sono intervenuti affatto (come l’Italia appunto).
Esiste un ulteriore elemento che potrebbe concorrere ad aumentare la fiducia dei "consumatori e culturali"
incidendo, almeno in linea teorica, sulla curva della domanda, ovvero la riqualificazione del capitale umano
necessario a garantire alti livelli di qualità dell'offerta turistica. Tema che riguarda la qualificazione e la
formazione continua delle professioni museali come degli operatori turistici per l’accesso alle relative
professioni.
Il dibattito sulle professioni museali, iniziato ormai dagli anni 2000 in sede ICOM (International Council of
Museum) con l’adozione della Carta Nazionale delle professioni (2005), volta ad individuare e definire quelle
che sono le professionalità utili e funzionali alla moderna realtà museale. Questo documento ha subito
un'accelerazione per effetto dell'entrata in vigore della l.22 luglio 2014, n.110, la quale modificail codice dei
beni culturali e del paesaggio in materia di professionisti dei beni culturali, che oltre ad avere introdotto
l'elenco dei "professionisti competenti ad eseguire interventi sui Beni Culturali”(introducendo l’art.9-bis), ha
previsto l'istituzione per ciascuna categoria professionale di appositi "eventi nazionali”, da redigersi secondo
modalità e requisiti definiti con un decreto ministeriale da adottarsi di concerto con il MIUR, le rispettive
associazioni professionali e le organizzazioni sindacali e imprenditoriali maggiormente rappresentative, previa
intesa in sede di conferenza Stato-regioni. Questa norma introdotta nel 2014, precisa che tali elenchi non
costituiscono alcuna forma di albo professionale e che la mancata iscrizione non preclude e non condiziona
"in alcun modo la possibilità di esercitare la professione" (art.2); pur tuttavia il d.l. 83 del 2014, in sede di
conversione, ha accordato ai professionisti iscritti in tali elenchi una preferenza per l'assunzione a tempo
determinato prevista dallo stesso decreto per rafforzare gli interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio
culturale negli istituti e luoghi di cultura pubblici, statali, regionali e locali.
L'intervento legislativo analizzato sopra non pare aver tenuto adeguatamente conto del dibattito avviato in
sede ICOM per la definizione delle competenze, funzioni e abilità richieste dalla moderna realtà museale che
ha portato nel 2017 all'aggiornamento della Carta delle professioni museali con l'approvazione del
documento sulle Professionalità e funzioni essenziali del Museo alla luce della Riforma dei Musei statali la
quale, avviata dal d.p.c.m. n. 171/2014, si è perfezionata con l'emanazione del d.m. 23 dicembre 2014,
recante "Organizzazione e funzionamento dei musei statali" che nel ridefinire l'amministrazione interna dei
musei statali ha rafforzato la struttura organizzativa prevedendo, oltre alla direzione, la presenza di ulteriori
aree funzionali dedicate alla cura e gestione delle collezioni, alle attività di studio, didattica e ricerca; al
marketing, al fundraising e ai servizi e rapporti con il pubblico e con le altre istituzioni; all'amministrazione e
gestione anche finanziaria delle risorse umane; alla gestione di strutture e allestimenti e alla sicurezza.
Ampliando di molto il catalogo delle professioni relative alla valorizzazione e fruizione dei beni culturali
previsto dal novellato art. 9-bis del Codice.
Alle professionalità individuate nel documento del 2017 fa implicito rinvio l'allegato al d.m. n. 113 del 21
febbraio 2018, recante "Adozione dei livelli minimi uniformi di qualità per i musei e i luoghi della cultura di
appartenenza pubblica e attivazione del Sistema Museale Nazionale" , nel quale sono elencate le figure
professionali e le funzioni che devono essere garantire da ogni istituto per ottenere l'accreditamento al
sistema museale nazionale prefigurando, come obiettivo di miglioramento, l'attivazione di un percorso di
formazione continua per un potenziamento delle competenze.
La qualificazione degli operatori che si occupano dell'assistenza culturale all'interno dei siti e dei luoghi di
cultura, come la guida turistica, non è meno importante.
La materia delle professioni turistiche dopo la riforma del Titolo V della Costituzione è stata come noto
ricondotta alla potestà legislativa concorrente ed il Codice del turismo, nel definire i principi generali della
materia, ha dedicato all'argomento due scarne disposizioni: l'art. 6 che propone una definizione di professioni
turistiche analoga a quella della legge quadro del 2001, salvo aggiungere che i servizi offerti devono
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Appunti di Asya Moro
consentire "ai turisti la migliore fruizione del viaggio e della vacanza, anche sotto il profilo della conoscenza
dei luoghi visitati", postulando con ciò il possesso di un'adeguata formazione senza però definire principi e
modalità di abilitazione per l'esercizio delle relative professioni; e l'art. 7 che, in merito ai percorsi formativi, si
sofferma sulla necessità di creare uno stretto collegamento tra i percorsi universitari o di istruzione superiore
e l'inserimento nel mondo del lavoro attraverso la stipula di accordi con istituti di istruzione, anche
universitaria, con enti di formazione e con gli ordini professionali per lo svolgimento di corsi orientati alla
preparazione degli operatori.
L'assenza di precise indicazioni nel Codice come nella disciplina statale vigente circa i requisiti e i titoli
necessari per l'esercizio delle professioni turistiche, riservata al legislatore statale in quanto principio
fondamentale della materia, ha nei fatti sostanzialmente impedito un adeguamento della disciplina regionale
in materia.
Se a ciò si aggiunge che non sono stati ancora definiti i requisiti necessari ad ottenere l'abilitazione richiesta
dall'art. 3, co. 3, della legge 6 agosto 2013, n. 97, "Legge europea 2013", per l'esercizio della professione di
guida turistica nei siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico individuati dal d.m. 7 aprile
2015, dopo l'annullamento da parte del giudice amministrativo del d.m. 11 dicembre 2015 che ne definiva le
procedure, pare evidente come l'incertezza regni sovrana in un ambito strategico per il settore turistico.
L'aumento costante dei flussi turistici che vede l'Europa mediterranea al primo posto tra le mete turistiche
mondiali ha posto da oltre un decennio al centro dell'agenda europea il tema di una crescita sostenibile del
turismo che possa "migliorare la concorrenzialità dell'industria europea... creare più posti di lavoro e di qualità
migliore... di pari passo con la promozione di obiettivi sociali e ambientali". Secondo la definizione proposta
dall'Organizzazione Mondiale del Turismo nel 1988, sulla base della nozione di sviluppo sostenibile elaborata
dalla World Commissione on Environment and Development nel Rapporto Brundtland del 1987, le attività
turistiche possono definirsi sostenibili "quando si sviluppano in modo tale da mantenersi vitali in un'area
turistica per un tempo illimitato, non alterano l'ambiente (naturale, sociale ed artistico) e non ostacolano o
inibiscono lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche".
Il raggiungimento di un equilibrio tra il benessere dei turisti, le esigenze del contesto naturale e culturale, lo
sviluppo e la concorrenzialità delle destinazioni e delle aziende turistiche presuppone un'attenta valutazione,
sulla base delle migliori conoscenze disponibili, dei potenziali impatti di un'attività turistica sul contesto
ambientale e socio-culturale, passa quindi attraverso una programmazione concertata e a lungo termine di
una strategia di sviluppo che salvaguardi le risorse ambientali e culturali tenendo altresì conto delle altre
attività (non solo economiche) che insistono sul territorio e richiede, in ultimo, un monitoraggio costante delle
azioni intraprese al fine di verificarne gli esiti applicativi ed apportare, se necessario, gli opportuni correttivi.
In questa prospettiva si inserisce la strategia elaborata dal Piano strategico del turismo 2017-2020 che
individua nella sostenibilità, nell'innovazione e nell'accessibilità (fisica e culturale) i principi trasversali per
l'individuazione delle linee di intervento e delle azioni che saranno poi sistematizzate nei programmi attuativi
annuali.
L'applicazione del principio di sostenibilità, in particolare, comporta l'adozione di strategie e azioni in grado di
differenziare i "carichi" turistici territoriali in base al livello di maturazione delle singole destinazioni integrando
e connettendo l'offerta turistica delle destinazioni "prevalenti" con l'offerta di territori e prodotti "emergenti" al
fine di valorizzare al meglio l'identità dei luoghi e le caratteristiche del paesaggio italiano a conferma, laddove
fosse necessario ribadirlo, dell'intima connessione fra le politiche pubbliche che incidono sul territorio. Di qui,
la valorizzazione dei sistemi territoriali integrati di gestione dell'offerta turistica, il sostegno allo sviluppo
turistico delle destinazioni c.d. emergenti, come le città d'arte e i piccoli borghi, al recupero e riutilizzo
sostenibile dei beni demaniali a uso turistico e la realizzazione di itinerari interregionali di offerta turistica
capaci di collegare le aree di maggior attrazione con quelle a minore densità turistica e di promuovere
differenti tematismi (turismo musicale, teatrale, letterario, cammini storici e così via) e nuove esperienze di
fruizione turistica (cfr. Linee di intervento A.1.1, A.2.1 e A.3.1). Nel contesto delineato dal Piano strategico i
musei statali sono certamente chiamati a svolgere un ruolo importante di "cerniera" con i territori
proponendosi come incubatori culturali, soggetti e non più oggetti statici di fruizione culturale: la conquistata
autonomia e la realizzazione in fieri di un sistema museale nazionale, aperto ai musei e agli istituti di cultura
delle autonomie locali e privati, rappresentano indubbiamente un passo deciso verso una governance
integrata, partecipata e quindi sostenibile del patrimonio culturale nazionale.
Alla "sostenibilità" economica, sociale ed ambientale dell'offerta turistica - declinata in termini di mobilità
dolce (attraverso cammini, percorsi ed itinerari turistico-culturali), accessibilità alle aree interne,
efficientemente energetico, integrazione delle filiere produttive, valorizzazione delle identità locali e del
patrimonio naturalistico, paesaggistico e culturale anche attraverso la promozione di marchi di qualità -
guardano anche tutti gli strumenti di programmazione regionale, alcuni dei quali, nell'ambito dei tradizionali
strumenti di monitoraggio, predispongono l'attivazione di cabine di regie o comitati di indirizzo finalizzati ad
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Appunti di Asya Moro
incrementare la qualità dell'offerta anche attraverso un'attività di coordinamento dei vari soggetti e
stakeholder coinvolti nell'attuazione del piano.
Nessuna delle politiche già avviate o auspicate di cui si è parlato in questa lezione sono chiaramente a costo
zero ed il tema dei fondi a disposizione del settore culturale e del turismo si pone oggi in termini
drammaticamente nuovi per l'impatto sull'economia mondiale della diffusione del Covid-19 che ha aperto
uno scenario nel quale alle incertezze di sistema, alle quali siano (purtroppo) abituati, si aggiungono
incertezze inattese e ancora difficilmente misurabili.
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Seminario - Valentina Sessa
TURISMO E INFRASTRUTTURE
1. Premessa: il deficit infrastrutturale italiano e i progetti di sviluppo
Pur essendo l’Italia un paese dallo straordinario patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale, ancora
troppo scarsa è l’affluenza turistica, se parametrata alle sue potenzialità. L’ingresso e la circolazione dei turisti
sono, troppo spesso, resi difficoltosi, tra l’altro, da una carenza infrastrutturale.
Le infrastrutture sono infatti un elemento strategico per lo sviluppo del turismo: pensiamo all’importanza che
rivestono, in particolare, le vie di comunicazione (autostrade, aereoporti, porti, etc..) e le infrastrutture
dedicate alla comunicazione, soprattutto quelle digitali.
Tale carenza è sottolineata anche dal Piano Strategico di sviluppo del Turismo 2017-2022 elaborato dal
Comitato Permanente di Promozione del Turismo con il coordinamento della Direzione Generale Turismo del
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
Proprio allo scopo di incentivare il turismo, dunque, nel gennaio di quest’anno è stato approvato, con Decreto
del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo,
dopo l’intesa in Conferenza Stato-Regioni, il nuovo Piano straordinario della mobilità turistica 2017-2022.
Il Piano fa parte della strategia complessiva di programmazione dello sviluppo infrastrutturale e dei trasporti
“Connettere l’Italia”, contenuto nell’Allegato al DEF 2016-2017, e identifica gli asset strategici per lo sviluppo
del Paese, le città e i poli turistici, al pari dei poli manifatturieri industriali.
Il documento disegna un modello basato sulle Porte di Accesso del turismo in Italia: porti, aeroporti e stazioni
ferroviarie, particolarmente rilevanti per il turismo internazionale, ed interconnesse alle reti locali e nazionali,
sovrapponendo le reti di mobilità ai principali siti turistici(UNESCO, EDEN,...). Grande rilevanza viene data
anche all’infrastruttura digitale, considerata un elemento strutturale determinante per garantire la qualità
dell’offerta di mobilità turistica.
In tale contesto, si è pensato di sviluppare un turismo più accessibile, riducendo i tempi di connessione tra le
porte d’accesso e i siti turistici ed adeguando infrastrutture e mobilità nei distretti turistici in un’ottica di
intermodalità e integrazione tra servizi. Di questo obiettivo fanno parte il progetto Easy Station, con
investimenti di circa 2 miliardi di euro, per il miglioramento di 620 stazioni in termini di accessibilità (ascensori
e rampe, segnaletica percorsi tattili, illuminazione), funzionalità, decoro e sicurezza, informazioni al pubblico.
A questo si aggiunge circa 1 miliardo di euro per il miglioramento della rete ferroviaria di collegamento con le
porte di accesso per via aerea (Milano, Bergamo, Roma Fiumicino, Catania, Genova) e oltre 2,6 miliardi di
euro per il completamento e l’avvio di nuovi interventi nel settore dei sistemi di trasporto rapido di massa
nelle aree urbane e metropolitane.
Possiamo dire che le iniziative sono intraprese in una duplice direzione: da una parte, un turismo che
valorizza le infrastrutture, promuovendo il recupero delle infrastrutture di trasporto dismesse e valorizzando il
potenziale turistico e culturale dei sistemi di trasporto, in un’ottica che vede le infrastrutture come luoghi di
scambio sociale e culturale.
È previsto, ad esempio, il recupero a fini turistici di 28 Case Cantoniere pilota, posizionate in prossimità di
circuiti culturali e turistici, di cammini e di ciclovie e la valorizzazione delle stazioni senza presidio mediante
comodato gratuito ad associazioni no-profit. A questo si affianca l’istituzione di ferrovie turistiche mediante il
reimpiego di linee in disuso o in corso di dismissione situate in aree di particolare pregio naturalistico o
archeologico.
Dall’altra si incentiva il turismo digitale che promuova lo sviluppo di piattaforme big e open data per la
raccolta di dati sulla mobilità turistica e l’upgrading tecnologico delle infrastrutture di trasporto con soluzioni
per l’offerta di servizi digitali integrati lungo tutta l’esperienza di viaggio del turista.
Questo potrà garantire anche una maggiore sicurezza dei viaggiatori e delle infrastrutture di trasporto. Open
trasporti, dunque, piattaforma nazionale di servizi open per raccogliere e offrire dati sulla mobilità nazionale,
Smart Station per abilitare servizi innovativi al viaggiatore all’interno delle stazioni e Smart Road con la
digitalizzazione, ad esempio, dell’Autostrada del Mediterraneo, prima Smart Road italiana, con hotspot wi-fi
ogni 300 metri, «isole» per fornire energia rinnovabile e droni per il monitoraggio del traffico.
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Appunti di Asya Moro
Particolare attenzione è riservata al concetto di turismo sicuro e sostenibile, sviluppando reti infrastrutturali
per la mobilità ciclo-pedonale (ad es. ciclovie) con finalità turistiche, integrate con il trasporto convenzionale
(ad es. bici in treno). Una mobilità in sicurezza per i viaggiatori che si spostano a
piedi e in bicicletta.
In questo obiettivo si inserisce la realizzazione del Sistema delle Ciclovie turistiche, 6.000 km complessivi con
investimenti per oltre 180 milioni di euro e il Progetto Valore Paese, Cammini e Percorsi che prevede la
riqualificazione ed il riuso a fini turistico-ricettivi di oltre 300 immobili pubblici situati lungo percorsi ciclo-
pedonali e itinerari storico-religiosi e 60 milioni di euro per la valorizzazione di cammini di rilevanza nazionale,
come la Via Francigena e l’Appia Regina Viarum.
Per far fronte al deficit infrastrutturale, nel 2001 il Parlamento la c.d. “legge obiettivo” n. 443, poi modificata
dalla legge n. 166 del 2002, secondo la quale doveva essere predisposto un Programma delle Infrastrutture
Strategiche (PIS) da inserire nel Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), contenente le
seguenti indicazioni:
e) il quadro delle risorse finanziarie già destinate e degli ulteriori finanziamenti necessari per il completamento
degli interventi.
Le funzioni di monitoraggio del PIS venivano affidate, ai sensi del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190
(confluito nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture, d’ora in avanti Codice) ad una Struttura tecnica di missione, istituita con D.M. del 10
febbraio 2003, che aveva fra le sue funzioni anche quella di provvedere alla “costituzione e gestione della
banca dati dei progetti inseriti nel Programma di cui alla legge n. 443 del 2001”, nonché “al monitoraggio
delle attività di realizzazione delle opere”.
Inoltre, in linea con l’evoluzione normativa tesa a incentivare un maggiore coinvolgimento delle piccole e
medie imprese (PMI) nella partecipazione agli appalti pubblici, in linea peraltro con quanto affermato nei più
recenti orientamenti europei, il medesimo decreto legge n. 201 del 2011, all’articolo 44, aggiungeva il comma
1-ter all’art. 2 del Codice dei contratti, prevedendo che la realizzazione delle grandi infrastrutture, comprese
le infrastrutture strategiche, nonché delle connesse opere integrative o compensative, dovesse garantire
modalità di coinvolgimento delle PMI.
La c.d. “legge obbiettivo” non ha però sortito gli effetti desiderati: non solo il completamento, ma anche
l’avvio di numerose opere fondamentali è risultato alquanto lento e difficoltoso.
Di conseguenza, con il nuovo Codice dei contratti pubblici, d.lgs. 50/2016, la cd. “legge obiettivo” è stata
abrogata ed è stata modificata la disciplina speciale riguardante la progettazione, l’approvazione dei progetti
e la realizzazione delle infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale (che era contenuta nel
capo IV del titolo III della parte II dell’abrogato decreto legislativo n. 163 del 2006).
L’allegato al Documento di economia e finanza (DEF) 2017 ha anticipato le linee di indirizzo e le strategie per
l’individuazione dei fabbisogni infrastrutturali al 2030 sulla base delle quali verrà definita la nuova
programmazione. Nel mese di maggio 2017 è stato pubblicato l’ultimo report predisposto nell’ambito
dell’attività di monitoraggio sull’attuazione del Programma delle infrastrutture strategiche svolta dal Servizio
Studi della Camera.
Nel corso della XVII legislatura, diversi interventi normativi hanno riguardato la realizzazione delle
infrastrutture strategiche, sia con riferimento all’iter procedurale, anche con finalità di accelerazione, sia con
riguardo al finanziamento.
Nell’ambito delle varie fonti di finanziamento, si segnala che una quota consistente delle risorse del Fondo
per assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese (istituito dall’articolo
1, comma 140, della legge di bilancio 2017) è destinata alle infrastrutture.
Il nuovo Codice provvede a definire una nuova disciplina per la programmazione e il finanziamento delle
infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese (artt. 200-203), che è stata modificata, in
particolare, dal d.lgs. 56/17, recante disposizioni integrative e correttive al Codice.
La nuova disciplina ha stabilito che le infrastrutture e gli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese siano
valutati e conseguentemente inseriti negli appositi strumenti di pianificazione e programmazione dal Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti.
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Appunti di Asya Moro
Tuttavia, in sede di prima individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti, il Ministro delle infrastrutture
e dei trasporti era tenuto ad effettuare una ricognizione di tutti gli interventi già compresi negli strumenti di
pianificazione e programmazione, comunque denominati, vigenti alla data di entrata in vigore del codice. Ciò
allo scopo di pervenire a una ricognizione che consentisse di completare prima gli interventi già avviati e, solo
in seguito, di intraprenderne altri.
I nuovi interventi devono essere individuati a mezzo di due strumenti per la pianificazione e la
programmazione: il piano generale dei trasporti e della logistica e i documenti pluriennali di pianificazione.
Il piano generale dei trasporti e della logistica (PGTL) contiene le linee strategiche delle politiche della mobilità
delle persone e delle merci nonché dello sviluppo infrastrutturale del Paese. Il Piano è adottato ogni tre anni,
su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con decreto del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del CIPE, acquisito il parere della Conferenza unificata e sentite le Commissioni
parlamentari competenti.
Il Documento Pluriennale di Pianificazione (DPP) di cui al decreto legislativo 29 dicembre 2011 n. 228, di
competenza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, contiene tra l’altro l’elenco delle infrastrutture e
degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese, compresi gli interventi relativi al settore dei trasporti e
della logistica la cui progettazione di fattibilità è valutata meritevole
Il DPP tiene conto dei piani operativi per ciascuna area tematica nazionale ed è approvato sentita la
Conferenza unificata e le Commissioni parlamentari competenti.
Le Regioni, le Province autonome, le Città Metropolitane e gli altri enti competenti trasmettono al Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti proposte di infrastrutture e insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese
ai fini dell’inserimento nel DPP, dando priorità al completamento delle opere incompiute, comprendenti il
progetto di fattibilità e corredate dalla documentazione indicata dalle linee guida.
Il Ministero, verificata la fondatezza della valutazione ex ante dell’intervento effettuata dal soggetto
proponente, la coerenza complessiva dell’intervento proposto nonché la sua funzionalità anche rispetto al
raggiungimento degli obiettivi indicati nel PGTL e, qualora lo ritenga prioritario, può procedere al suo
Annualmente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti predispone una dettagliata relazione sullo stato di
avanzamento degli interventi inclusi nel DPP; la relazione è allegata al Documento di economia e finanza. A
tal fine, l’ente aggiudicatore, nei trenta giorni successivi all’approvazione del progetto definitivo, trasmette al
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una scheda di sintesi conforme al modello approvato dallo stesso
Ministero con apposito decreto contenente i dati salienti del progetto e, in particolare, costi, tempi,
caratteristiche tecnico-prestazionali dell’opera, nonché tutte le eventuali variazioni intervenute rispetto al
progetto di fattibilità.
L’adozione del primo DPP era prevista entro un anno dall’entrata in vigore del nuovo Codice. Ai fini della
prima individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari, come già ricordato, era stabilito che si
effettuasse - da parte del Ministero delle infrastrutture - una ricognizione di tutti gli interventi già compresi
negli strumenti di pianificazione e programmazione, comunque denominati, vigenti alla data di entrata in
vigore del nuovo Codice.
Ai fini della redazione del Documento pluriennale di pianificazione, sono state approvate dal CIPE il 1°
dicembre 2016 le Linee guida per la valutazione degli investimenti in opere pubbliche nei settori di
competenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
L’articolo 15, comma 3, della legge n. 158/2017, recante misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli
comuni, prevede inoltre che, nell’ambito dei documenti pluriennali di pianificazione, siano individuate
apposite azioni destinate alle aree rurali e montane, con particolare riguardo al miglioramento delle reti
infrastrutturali.
Al finanziamento delle infrastrutture strategiche concorrono più fonti di finanziamento: negli ultimi anni sono
stati, infatti, istituiti nuovi fondi e sono state riprogrammate le risorse esistenti anche in conseguenza
dell’operatività di alcuni meccanismi di revoca delle risorse stanziate.
Per il finanziamento delle infrastrutture prioritarie, sono istituiti, nello stato di previsione del Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti, il Fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture prioritarie e la project
review delle opere già finanziate, nonché il Fondo da ripartire per la realizzazione delle infrastrutture prioritarie
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Appunti di Asya Moro
in cui, in sede di prima applicazione, confluiscono le risorse disponibili nei vari Fondi (tra i quali il Fondo
infrastrutture ferroviarie, stradali e relativo a opere di interesse strategico, il Fondo revoche, etc..).
Per quanto riguarda i provvedimenti attuativi del Codice, merita segnalare che è stato adottato il decreto 1°
dicembre 2017, n. 560, che definisce le modalità e i tempi di progressiva introduzione, da parte delle stazioni
appaltanti, delle amministrazioni concedenti e degli operatori economici, dell’obbligatorietà dei metodi e degli
strumenti elettronici specifici, quali quelli di modellazione per l’edilizia e le infrastrutture, nelle fasi di
progettazione, costruzione e gestione delle opere e relative verifiche.
In attuazione dell’articolo 22, comma 2, del Codice, è stato poi emanato il Decreto del presidente del
Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76, contenente il Regolamento recante modalità di svolgimento,
tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico, per la fissazione dei criteri per
l’individuazione delle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto
sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, distinte per tipologia e soglie dimensionali, per le quali è
obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico.
Specifiche disposizioni transitorie regolano le procedure per la valutazione di impatto ambientale delle grandi
opere, avviate alla data di entrata in vigore del Codice secondo la disciplina previgente, che devono essere
concluse in conformità a tale disciplina, e i progetti preliminari relativi alla realizzazione di lavori pubblici o di
lavori di pubblica utilità riguardanti proposte di concessione, nell’ambito delle procedure di finanza di
progetto, per le quali sia già intervenuta la dichiarazione di pubblico interesse, non ancora approvati alla data
di entrata in vigore del nuovo Codice, che sono oggetto di valutazione di fattibilità economica e finanziaria e
di approvazione da parte dell’amministrazione ai sensi delle nuove norme.
A partire dal 2004, il Servizio Studi della Camera, per conto della Commissione ambiente, svolge una
costante attività di monitoraggio sull’attuazione del Programma delle infrastrutture strategiche, che si traduce
nella presentazione di rapporti annuali alla medesima Commissione.
A partire dal 2010 è stata avviata una collaborazione con l’Autorità nazionale anticorruzione (a cui sono state
trasferite le funzioni dell’ Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici) con l’obiettivo di svolgere una
ricostruzione dello stato di attuazione delle opere rientranti nel Programma deliberate dal CIPE e di
monitorare nel tempo lo stato di avanzamento dei lavori.
Nel corso del 2017 sono stati pubblicati report riguardanti l’attuazione del Programma delle infrastrutture
strategiche e i contratti pubblici a seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50.
Il primo report contiene l’aggiornamento sullo stato di attuazione del Programma delle infrastrutture
strategiche, con dati al 31 dicembre 2016. Il costo del Programma, aggiornato al 31 dicembre 2016,
ammonta a 278,2 miliardi. Il 32% del costo del Programma, pari a 89,6 miliardi, è relativo alle 25 opere
prioritarie che, sulla base delle indicazioni dell’Allegato al DEF 2016, dovrebbero confluire nel primo
Documento pluriennale di pianificazione (DPP), mentre il restante 68%, pari a 188,6 miliardi, è riconducibile a
opere non prioritarie inserite nell’Allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento del DEF 2013, approvato
con la delibera CIPE 26/2014, la cui analisi è rilevante per la presenza di interventi deliberati dal CIPE e di
lavori in corso.
L’ultimo report analizza le risorse disponibili, alla data del 31 maggio 2017, per le infrastrutture strategiche,
che ammontano complessivamente a 151,5 miliardi di euro. L’aggiornamento delle disponibilità è
prevalentemente riconducibile all’attuazione del Piano operativo infrastrutture, di competenza del Ministero
delle infrastrutture e dei trasporti, che è stato adottato con la delibera CIPE 54/2016.
Rispetto al monitoraggio dei dati al 31 dicembre 2016, il costo complessivo del Programma si riduce di circa
400 milioni (da 278,2 miliardi a 277,8 miliardi), mentre le disponibilità aumentano di 5,6 miliardi (da 145,9
miliardi a 151,5 miliardi) determinando un incremento della copertura finanziaria (dal 52,5% al 54,5%).
L’articolazione dei dati per livello di priorità degli interventi evidenzia per la realizzazione delle opere prioritarie
disponibilità per un ammontare di 65,6 miliardi di euro, che consentono una copertura finanziaria pari al
72,8% (era il 71,5% nella rilevazione precedente) del relativo costo, che è pari a 90,2 miliardi.
A partire dal 2003, il Governo trasmette al Parlamento informazioni circa lo stato di attuazione della disciplina
sulle infrastrutture in un allegato ai documenti programmatici di economia e finanza (c.d. “Allegato
infrastrutture”).
In allegato al Documento di economia e finanza (DEF) 2015, è stato trasmesso l’ultimo aggiornamento del
PIS. L’allegato, partendo dall’analisi dei flussi di domanda riguardanti il trasporto dei passeggeri e delle merci
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Appunti di Asya Moro
e della dotazione infrastrutturale italiana, identifica le linee strategiche nazionali in materia di trasporti che
rappresentano il riferimento per le politiche del settore.
Alla luce di tali indirizzi, l’allegato riporta un elenco di venticinque opere prioritarie del Programma delle
infrastrutture strategiche del costo di 70.936 milioni di euro, di cui 47.999 disponibili. Tali opere, secondo
quanto precisa l’allegato, sono state selezionate sulla base di una valutazione di coerenza con l’integrazione
con le reti europee e territoriali, dello stato di avanzamento e della possibilità di prevalente finanziamento con
capitale privato.
L’allegato è stato aggiornato con un documento approvato dal Consiglio dei ministri il 13 novembre 2015.
L’allegato al DEF 2016 denominato “Strategie per le infrastrutture di trasporto e logistica” conferma il
predetto elenco delle opere prioritarie e riporta gli obiettivi programmatici e le misure adottate o in corso in
materia di infrastrutture e trasporti. Da ultimo, l’allegato al DEF 2017, denominato “Connettere l’Italia:
fabbisogni e progetti di infrastrutture”, anticipa le linee di indirizzo e le strategie per l’individuazione dei
fabbisogni infrastrutturali al 2030 sulla base delle quali verrà definita la nuova programmazione
infrastrutturale, che confluirà nel primo DPP. Nella prospettiva dell’adozione del primo DPP, l’allegato al DEF
2017 contiene già una prima elencazione dei programmi e degli interventi prioritari riguardanti ferrovie, strade
e autostrade, città metropolitane, porti e interporti, aeroporti, ciclovie, nell’ambito dei quali rientrano talune
infrastrutture strategiche.
Da ultimo, il comma 140 della legge di bilancio 2017 (legge 232/2016) prevede l’istituzione, nello stato di
previsione del Ministero dell’economia e delle finanze, di un Fondo con una dotazione di 1.900 milioni di euro
per l’anno 2017, 3.150 milioni per l’anno 2018, 3.500 milioni per l’anno 2019 e 3.000 milioni di euro per
ciascuno degli anni dal 2020 al 2032.
Il Fondo, oltre ad assicurare il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese, viene
istituito anche al fine di pervenire alla soluzione delle questioni oggetto di procedure di infrazione da parte
dell’Unione europea. Sulla base del riparto delle risorse disposto con il D.P.C.M. 21 luglio 2017, sono stati
destinati 19.351 milioni di euro a interventi nei settori riguardanti trasporti, viabilità e mobilità sostenibile,
sicurezza stradale, riqualificazione e accessibilità delle stazioni ferroviarie, nonché 2.645 milioni di euro a
infrastrutture, anche relative alla rete idrica e alle opere di collettamento, fognatura e depurazione. In tale
ambito, si prevede: il finanziamento del Fondo per la progettazione di fattibilità delle infrastrutture e degli
insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese (di cui all’art. 202 del Codice dei contratti pubblici), nonché di
interventi relativi alla rete ferroviaria inseriti nel contratto di programma RFI, parte investimenti,
all’ammodernamento della rete viaria nazionale, relativamente a interventi di competenza di ANAS, al
sostegno del trasporto pubblico locale e al completamento del sistema Mo.S.E.
Il Fondo è stato rifinanziato dalla legge di bilancio 2018 (legge 205/2017) di complessivi 36,115 miliardi di
euro per gli anni dal 2018 al 2033: 800 milioni di euro per l’anno 2018, 1.615 milioni di euro per l’anno 2019,
2.180 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2023, 2.480 milioni per il 2024 e 2.500 milioni per
ciascuno degli anni dal 2025 al 2033.
Al fine di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture, si deve ricordare che negli ultimi anni si è tentato di
semplificare i procedimenti amministrativi necessari: tra di essi, merita di essere menzionato il D.P.R. 12
settembre 2016, n. 194, il quale ha stabilito procedure di semplificazione e accelerazione di procedimenti
amministrativi riguardanti rilevanti insediamenti produttivi, opere di rilevante impatto sul territorio o l’avvio di
attività imprenditoriali suscettibili di avere positivi effetti sull’economia o sull’occupazione.
La semplificazione ed accelerazione è attuata attraverso due strumenti: la riduzione dei termini dei
procedimenti e l’esercizio di un potere sostitutivo da parte del Presidente del Consiglio in caso di mancato
rispetto dei termini.
I procedimenti interessati sono quelli che hanno ad oggetto autorizzazioni, licenze, concessioni non
costitutive, permessi o nulla osta comunque denominati necessari per la localizzazione, la progettazione e la
realizzazione delle opere, lo stabilimento degli impianti produttivi e l’esercizio delle attività compresi quelli di
competenza delle amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio
storico-artistico, alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
Per l’individuazione dei progetti cui applicare le disposizioni di accelerazione, si procede in una prima fase
alla segnalazione alla Presidenza del Consiglio di una serie di progetti, che spetta agli enti territoriali entro il
31 gennaio di ciascun anno. La Presidenza del Consiglio può comunque, entro il 28 febbraio, segnalare
ulteriori progetti.
In una seconda fase, entro il 31 marzo, si procede, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri,
previa delibera del Consiglio dei ministri, all’individuazione “in concreto” dei singoli progetti cui si applicano le
disposizioni di semplificazione ed accelerazione.
Con i medesimi decreti del Presidente del Consiglio possono essere ridotti i termini di conclusione dei
procedimenti necessari per la localizzazione, la progettazione e la realizzazione dell’opera, lo stabilimento
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Appunti di Asya Moro
dell’impianto produttivo e l’esercizio dell’attività, in misura non superiore al 50 per cento rispetto ai termini
ordinari.
In caso di inutile decorso del termine, eventualmente ridotto, il Presidente del Consiglio può sostituirsi
direttamente all’amministrazione inadempiente, adottando i relativi atti, oppure, previa delibera del Consiglio
dei ministri, può delegare il potere sostitutivo ad un diverso soggetto, fissando un nuovo termine per la
conclusione del procedimento.
Viene poi disciplinato l’esercizio del potere sostitutivo nei casi in cui l’intervento coinvolga le competenze
delle regioni e degli enti locali.
Il coinvolgimento degli enti territoriali è comunque escluso nel caso in cui “sussista un preminente interesse
nazionale alla realizzazione dell’opera”.
Quando non sussiste un preminente interesse nazionale e l’intervento coinvolga esclusivamente o in misura
prevalente il territorio di una regione o di un comune o città metropolitana, il Presidente del Consiglio di
regola delega all’esercizio del potere sostitutivo il Presidente della regione o il sindaco.
Negli altri casi, quando l’intervento coinvolge le competenze delle regioni e degli enti locali la determinazione
delle modalità di esercizio del potere sostitutivo è rimessa a una previa intesa in sede di Conferenza unificata
(ferma restando l’esclusione nei casi di sussistenza di un preminente interesse nazionale).
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