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COSE NOSTRE
l’associazionepecciarte
si interessa di arte contemporanea e dei campi culturali a essa correlati nel presente e nel passato,
svolge attività di assistenza volontaria alle mostre del Centro Pecci, organizza gite, corsi di studio e pubblica la rivista aparte.
Chi vuol partecipare o soltanto saperne di più, è invitato all’assemblea che si svolge ogni mese,
presso l’auditorium del Centro Pecci a Prato, o ci può contattare all’indirizzo: info@aparte.prato.it

attività fatte da agosto 2010


BELGIO * SVIZZERA : Gita Estiva 19-26 Agosto - Bruxelles-Anversa-Gant-Bruges-Basilea

Cento: “Guercino-Bacon” .
PIEVE di CENTO: Museo Magi’900 “III Biennale di Malindi.
PISA: Mostra “JOAN MIRO’ I Miti del Mediterraneo”.
MILANO: Fodazione Arnaldo Pomodoro “ La scultura Italiana del XXI Secolo”
MILANO: Palazzo Reale - SALVADOR DALI’ - “Il sogno si avvicina”.
PRATO: Museo Pecci - Massimo Mori - Michael Lin - Mostre ed Incontri

attività da fare
PERUGIA: Teatro del Sogno - da Chagall a Fellini
BOLOGNA: MAMBO - Dino Gavina”Lampi di Design” + Fondazione Lercaro
ROVERETO-TRENTO: MART - Modigliani
FERRARA: Chardin. Il pittore del silenzio

eventi in corso

• SPAZIO di VIA GENOVA. E’ in corso il progetto fra tutti gli spazi espositivi (Magazzino 1b -Vault -Studio mdt -Stu-
dio corte 17 -Interno 8) con la mostra LAWN ON MARS. Il tema è : Arte e Natura su cui si determina la volontà di identificare
il proprio giardino mentale ed emozionale. Quale giardino cercare o esprimere: l’hortus conclusus, il luogo ameno, il bosco
pietrificato, la selva maledetta, il giardino della libertà o della prigione, il luogo della intimità o della paura. Un luogo che ha
sempre a che fare con la vitalità e con la cura di una 'coltivazione'.

• DRYPHOTO. Oltre ad alcune immagini fotografiche, vi si trova la più completa rassegna bibliografica su Thomas Ruff,
curata con passione e competenza dalla storica curatrice della galleria.

• ARMANDA GORI ARTE. Le ironiche scritture dei Ben Vautier, le cancellature icastiche di Isgrò e le poesie visive di
Pignotti riempiono in Dicembre gli spazi della galleria. Tre artisti contemporanei legati da un comune filo di arte/scrittura ma
dai differenti modi interpretativi che fanno di loro altrettanti punti di riferimemto.

• GALLERIA GENTILI. Il panorama dell’arte si allarga al nord Europa con la mostra su Marius Engh, norvegese
trapiantato a Berlino. Un’occasione per riflettere tra visione e poesia.

• GALLERIA OPEN ART. Dopo la grande, importante mostra su Jenkins, prosegue l’attenzione verso l’astrattismo
europeo con la mostra su Silvano Bozzolini: un pezzo di Toscana rivissuta nella complessità contemporanea.

ringraziamenti
per le immagini delle mostre: il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci.
ed a tutti coloro che hanno collaborato a questo numero.

aparte la rivista - n° 10 - novembre 2010 www. aparteprato.it


Periodico trimestrale culturale e organizzativo (aut. n° 8/2006-Trib. Prato) dell’ASSOCIAZIONE PECCI ARTE - Sede operativa: Centro per l’Arte Contemporanea,
viale della Repubblica 277, Prato - Sede legale: c/o Studio Compagnini, via Tintori 31, Prato - CODICE FISCALE: 92028030481 -
e-mail: info@aparte.prato.it - Direttore responsabile: Fabio Barni - cAPO REDATTORE: Attilio Maltinti - Redazione: Roberto Badiani, Mattia Crisci, ,
Maria Cristina Mengozzi, Antonella Mezzadri, Anna Maria Maiello M., Ignazio Fresu, Giuliana Donzello - ART DIRECTOR: Alessandro Pierattini -
Foto: B. Amodeo Stampa: Tipografia La Marina, Calenzano - Novembre 2010
sommari
2
Attilio Maltinti
Tra colori di luce..Michael Lin

3
Mattia Crisci
Empatia Positiva

4
Maria Cristina Mengozzi
M1B, via Genova

5
Roberto Badiani
Industria e Arte
6 LoSqualo del Mercato Mario Maffii

8
Tito Regolo
Arte Concettuale?

10
Redactor+ Anna Maria Maiello
Ruff+ Made in Filandia

11
Antonella Mezzadri
Dino Gavina-Lampi di Design

12
Giuliana Donzello
Artiterapia

13
a cura di A. Maltinti
La Forza della Bellezza
in copertina ed in questa pagina : Michael Lin - Centro Pecci
foto di Baldassare Amodeo
in ultima di copertina: Florens 2010
L
a percezione visiva rimanda, nelle opere di Lin in mo-
stra al Pecci, ad una germinazione di freschezza. Le
forme e i colori che coprono pareti e pavimenti,

A
prono ad un gioioso, libero, senso della vita e riempiono
gli spazi del museo come una nuova grande abitazione,
un habitat naturale ed umano.

L
uogo al tempo stesso allusivo ad un vissuto quotidiano
possibile e indicativo di una condizione abitativa ideale.

E
’ la gioia che si cala nello spazio di ogni giorno, è la
libertà felice che si dilata nella pittura degli ambienti,
nel gioco dei rimandi, nella collocazione di tappeti e
divani colorati.

E
’ solo arredamento? O non piuttosto l’indicazione di una
prospettiva di umana felicità, di gioco direzionato ad una
semplice utopia di un (ben)“essere” familiare alla portata
di ognuno.

C
ambia qualcosa o no, per noi, camminare sopra un pa-
vimento dipinto di fiori bianchi e azzurri che ricordano le
suggestioni delle ninfee di Monet? Non muta forse la no-
stra sensazione dell’esistere, pur nel nostro privato? E le pa-
reti non sono più pareti (per dirla con Gino Paoli), ma fioritura di
immagini che mettono in contatto con un “oltre” che allarga il
cuore.

S
e lo spazio creato da noi, dipinto e strutturato, non è una
variabile indipendente, allora l’arte può continuare ogni
giorno ad entrare nella nostra vita. Anche con i ricami
disegnati a matita, in parete o dentro cornici. Ricordano, per
rimanere nella dimensione domestica, i ricami sui lenzuoli delle
nostre nonne. Forse un po’ stereotipati. Ma pieni di intimità.

A.M.
In un’intervista su Exibart il Direttore
del “Macro” L. Massimo Barbera,
sosteneva che “ non è un problema di
numero di sale o dello spazio occupato
dalle opere d’arte, ma di come le opere
dialogano con lo spazio circostante”.
Questo concetto lo vediamo
realizzato appieno nelle sale della
Tessilform – Patrizia Pepe- Firenze.
E’ lo stesso direttore artistico Ronaldo
Fiesoli a confermarci questa tesi.
Visitando la Maison, egli ci fa notare
come certe opere creino un’empatia
particolare con lo spettatore, il quale,
va sottolineato, non è il solito fruitore
d’arte, ma è l’impiegato, il dirigente o
il creativo che nel muoversi all’interno
dell’azienda è stimolato dai vari
messaggi cromatici, architettonici e
artistici.
Fiesoli ci sottolinea inoltre che
l’obiettivo principale è quello di

foto Andrea Fiesoli


creare un’armonia positiva fra le
opere esposte e l’ambiente che le
ospita. Questa sensazione può essere
vissuta sia da chi vive tutti i giorni in
azienda sia da chi come noi passa per
una breve visita.

Questa particolare atmosfera si


avverte già all’esterno ove si possono Proseguendo incontriamo l’opera spettacolare di
ammirare due grandi cervi in P. Masi “In Progress”, ove domina un rosso vivo su
filamenti d’argento dell'artista PAOLO strisce di plexiglass; le fotografie di C. Fei “Black Tight”;
GRASSINO che danno appunto la le opere dagli effetti cromatici suggestivi di L. Banci,
sensazione di entrare in un habitat G. Manganiello, F.Manzini e poi, L. Jochamowitz,
dominato da bellezze naturali. P.Grassino, J. Mullarney, A. Abati, E. Becheri, C. Dekker,
Entrando nella hall, veniamo subito T. M. Den Uyl, S. Tondo ed altri artisti, prevalentemente
colpiti dal movimento sinuoso di giovani e operanti in Toscana, che Ronaldo ci presenta
uno scalone con un particolare tono con molto trasporto e che meriterebbero ognuno un
di rosso. I colori primari ( con toni articolo personale. Si consiglia comunque una visita
particolari ), a detta del progettista che Fiesoli e il suo staff saranno ben lieti di permettere
sono un elemento fondamentale, solo su prenotazione.
tutti gli spazi ne prevedono un Un altro luogo dell’ Azienda che colpisce è la mensa
utilizzo ”terapeutico”, utile appunto con tavoli e sedie tutti di stile diversi, ove impiegati
a bilanciare l’eccessiva rigidità dei e creativi possono incontrarsi e consumare i pasti
volumi. Visitando poi i vari ambienti, in maniera autonoma, oppure la palestra molto
molto suggestiva è l’opera di F.Corneli attrezzata, altro luogo di relax aziendale.
dalla serie “ Sweet dreams are made of Insomma va riconosciuto che tra l’ambiente e le
this”: è un ritratto di Patrizia Bambi, persone che vivono in questa azienda si crea una vera
Direttore Creativo Patrizia Pepe, e propria empatia positiva e mi viene da aggiungere
ubicata su una parete dell’ufficio che per tutto il percorso fatto insieme a Ronaldo ho
di Claudio Orrea , Presidente respirato anch’io questa atmosfera particolare in
dell’azienda. Nel momento in cui vi cui arte moda e design si mescolano in un unicum
si accende, una luce diventa come davvero speciale.
d’incanto un volto di donna, creando
nello spettatore una forte emozione. Mattia Crisci
Altrettanto suggestiva è l’opera di L.
Pancrazzi “Temporondum” fatta da Altri artisti in collezione: A. Galtarossa, A.Mencarelli, F. Menicagli, P. Meoni,
una scala a pioli di vetro-ghiaccio D. Rivalta, A. Moretti, D. Pedrali, T. Luxardo, E.Warhol, F. Corneli, R. Grigorov,
appoggiata su una parete. Bertuzzi, Ceccherini, Cinzio, A. Marini, E. Iuliano, C. Annino, R. Fiesoli
Abbiamo frequentato lo stesso liceo classico, il Cicognini, stessa sezione, la C, anni settanta. Marina due anni indietro essendo io più grande,
aula contigua. Ci capitava talvolta di parlare nei corridoi durante gli intervalli come succede in tutte le scuole del mondo, ma non eravamo
amiche. Altri giri. Ricordo però che non erano mai conversazioni pettegole, piuttosto di scuola: gli insegnanti, qualche argomento spiegato
in fretta, il clima politico di quegli anni. Due studentesse serie, insomma. La ritrovo ora nello spazio espositivo M1b che Marina ha aperto
in via Genova accanto agli altri che stanno animando questo angolo di Prato, poco conosciuto fino a qualche tempo fa, ma promettente a
giudicare dalle numerose iniziative che vi germogliano: laboratori artistici, mostre, presentazione di riviste ecc. Qui a marzo ha ospitato una
prima interessante mostra di Dacia Manto (Bower) e a giugno due giovani artisti, Rovaldi e Hoepfner e qui, in un pomeriggio di metà ottobre
dal cielo grigio, comincia la nostra conversazione intorno ai temi dell’arte contemporanea, interesse che ci troviamo a condividere nonché
premessa di questo incontro.

La prima domanda non può dunque che essere relativa al sorgere di questa attenzione:

Cosa ti ha spinto verso l’arte contemporanea e come è nata questa passione?

A dire il vero si è trattato di una sorta di curiosità per qualcosa che non conoscevo. Mi sentivo respinta, non riuscivo a capirla e volevo capire. Venendo
da studi classici, rivolti al passato e solo ad esso, per quanto approfondito _ pensa che Svevo era il termine cui giungevano i nostri programmi e ci
veniva proposto come il massimo del contemporaneo _ mi sono accorta che la lacuna rispetto al presente artistico doveva essere colmata; all’univer-
sità ho studiato storia dell’arte e puoi immaginare come stavano, e stanno, le cose: del contemporaneo neanche a parlarne.

Anche il Pecci è stata una molla, mi ha portato in casa quello che non avevamo, uno stimolo.

Peraltro del contemporaneo mi attrae anche la letteratura. Da tempo ormai leggo quasi esclusivamente gli scrittori attuali.

Mi inviti a nozze, anche io amo la letteratura, e la contemporanea molto e non solo perché la insegno:qualche titolo?

Ho apprezzato M. Richler con la sua “Versione di Barney,” P. Auster la “Trilogia”, Ph. Roth e ultimamente A. Piperno,“Con le peggiori intenzioni”, bel-
lissimo, scritto bene, sintassi encomiabile.

Vedi, non vivo nel passato, mi chiedo che fine farà quel passato; ho fatto studi classici come te, una scuola che veramente apre la mente, pur non
parlando del presente ti porta a interrogarti…

Marina si ferma, sembra pensare dentro i suoi occhi celesti…

Vuoi dire che fa cercare il legame tra passato e presente, che il passato in fondo non può ritenersi così separato dal presente, che quell’aper-
tura mentale in qualche modo ti aiuta anche rispetto a quel che bolle in pentola oggi? (A proposito di Auster ho trovato Smoke, tratto dalla
trilogia, uno dei film più belli degli ultimi decenni).

Certo, sebbene nella nostra Italia, nume tutelare di una gloriosa antichità, le opere delle trascorse stagioni artistiche sono inevitabilmente più ingom-
branti che altrove, oltre che oggettivamente più numerose, scarso incentivo per la sperimentazione e/o l’innovazione.

Insomma, è stata una sfida, un po’ anche per me. E dello spazio di via Genova che ne pensi ?

E’ stato casuale, cercavamo uno spazio industriale ma non enorme, logisticamente appropriato in sostanza non troppo lontano, semicentrale. E poi
c’era la presenza della corte con tanti giovani motivati con cui cooperare, ad esempio con l’opening uno stesso giorno, pur con progetti indipendenti
gli uni dagli altri.

La prossima iniziativa è prevista per il 12 o il 20 novembre e sarà dedicata al gruppo Mars col titolo The neglected tropical fruit with promise. Parla
del rapporto tra orto e cultura …

Mi vengono in mente gli Orti Oricellari di memoria rinascimental- fiorentina.

Vi parteciperanno la galleria Vault, lo Studio corte 17, l’interno 0/8 e lo spazio MDT: ecco l’opening, è più facile partecipare se le occasioni sono con-
centrate in un’area e in un giorno.

Così dunque è cominciato il tuo percorso dentro il contemporaneo, non più solo curiosa spettatrice ma partecipe e promotrice di un mondo
in movimento

Dimenticavo, tra gli stimoli che mi hanno spinto in questa direzione anche l’esperienza di SpazioRazmataz, associazione culturale operante dal
2006, da un anno ospitata da noi.

Vorrei approfondire la questione della difficoltà con cui si misura il contemporaneo, in particolare in Toscana, dove sembra che solo volgen-
dosi indietro sia possibile trovare bellezza e dignità artistica.

Una grossa responsabilità è della scuola che non coltiva il presente, nessuna scuola non solo il classico; il panorama attuale lo snobbiamo o, peggio,
lo ignoriamo e non tanto perché è in fieri, piuttosto non gli attribuiamo valore, al massimo ci appare brutta copia di ciò che fu. Ancora il problema
del nostro grandioso ma pesante bagaglio. Bisogna aggiungere che l’Italia è cinica, sprezzante verso il nuovo che non possa ridurre ai canoni noti o
non sia redditizio.
Ancora una volta mi trovi concorde: siamo conservatori, gattopardeschi fino al midollo e faziosi verso tutto ciò che non possia-
mo manipolare, ovviamente non tutti ma l’imprinting dominante è proprio questo.

Guarda il caso Moccia, la superficialità diventata affare milionario e perciò degna di rispetto.

In questo quadro culturale il contemporaneo che non sempre rende perché è sperimentale e, bisogna dirlo, talvolta oscuro o brutto
…ci siamo capite.

Chi preferisci degli artisti attuali?

Mi piace molto De Dominicis e mi è piaciuto anche l’allestimento al Maxxi di Roma, la poesia, i colori, la complessità delle opere.
Appagante. Mi piacciono anche Isgrò, Twombly; Schnabel mi ha convinto sia come artista che come regista, ha fatto due film bellis-
simi: ‘Basquiat’ e’ Prima che sia notte’, sulla vita di Arenas; mi ha convinto meno ‘Lo scafandro e la farfalla’. E, naturalmente, Dacia
Manto, Antonio Rovaldi e Michael Hoepfner.

Quale ruolo e quale funzione può svolgere l’arte contemporanea a Prato e per Prato, città più di altre in crisi, questione cinese,
tessile ecc.?

Premesso che non è facile, che abbiamo sempre meno risorse, il MuseoPecci, e tutto il resto, può svolgere per Prato la funzione di
traino svolta ad es. dal Guggenheim di Bilbao: dare un’allure più culturale a una città ha un ritorno positivo su tutte le attività. L’im-
prenditore ignorante, un po’ rozzo seppur lavoratore non è più proponibile. Se va bene al Pecci va bene anche a noi più piccoli. Una
bella luce sulla città illumina tutti, ad es. una bella libreria dà lustro a una strada.

Se è vero che l’arte è pensiero sul mondo fatto immagine è vero che il contemporaneo essendo in atto sfugge a una definizio-
ne, è poco classificabile?

In parte sì, la bellezza del contemporaneo risiede nella pluralità delle espressioni artistiche e dei materiali utilizzati; si pensi alle instal-
lazioni, alle performances, alle fotografie manipolate

O alla poesia visiva

Pur non amando l’arte concettuale se l’artista mi fa capire cosa ha inteso dire e in particolare il processo, la progettazione del suo
lavoro allora l’oscurità viene meno. Mi spiego meglio: all’EX3 la tela bianca di Carone al primo impatto mi ha lasciato perplessa ma
la comunicazione sottostante mi ha fatto apprezzare l’opera.

Domanda banale per salutarci: cosa ti auguri per il tuo lavoro?

Una migliore programmazione culturale per Prato che porti un rinnovamento in tutta la città anche nel segno del contemporaneo.
E’ troppo?

Giudicate voi.

Auguri Marina, auguri Prato! Maria Cristina Mengozzi


Vale la pena la visita al campus-Vitra immerso nel verde, da parte dei supercuriosi
‘Apartini’, organizzata in una mattina tedesca di fine agosto.
Non ancora sazi di musei, palazzi e chiese di tutti i tipi, appena visitati nei quat-
tro precedenti giorni del tour belga, i” nostri” si concedono una pausa, si fa per
dire, per scoprire le proposte in materia di design e di arredamento nella nuova
Vitra-Haus.
Al suo interno si può vedere la collezione Home della casa tedesca e l’opportunità
di visitare l’esposizione di Vitra Design per scoprire le creazioni degli oggetti di uso
quotidiano interpretati dai geniali designers sia moderni che up-to-date e vedere
anche un gruppo di fabbricati creati da grandi architetti contemporanei (questa vi-
sita fa venire in mente una splendida mostra fatta a Palazzo Reale a Milano sull’Italia
degli anni ‘50, che presentava un’ampia selezione del nostro design).

Il campus è situato a Wheil am Rhein in Germania, un lembo di terra di confine fra


tre nazioni. Vicino infatti c’è un areoporto che serve tre città: una tedesca Fribur-
go, una svizzera Basel e una francese Molhouse, di conseguenza negli spostamenti
quotidiani, non sapevamo mai con esattezza in quale nazione ci trovassimo, il tutto
aggravato dallo stress doganale ed autostradale del nostro autista.
Il campus riflette l’aspetto commerciale e culturale dell’azienda Vitra con la fabbri-
cazione di mobili influenzati dell’importanza data al design e all’architettura nel
progetto di impresa. Gli architetti Herzog & De Meuron, per questo edificio, si sono
ispirati a forme delle case a tetti spioventi tipiche della regione, e hanno scelto di
disporre dodici case “incastrandole” l’una nell’altra per di presentare la collezione
Home in uno spazio, al contempo innovativo e caldo, come un ambiente familiare.

La Vitra-haus è completamente dedicata all’habitat e dentro gli interni della costru-


zione si scopre una collezione innovativa e divertente che può dare ispirazione per
l’arredamento degli “interiors” della propria casa. Si tratta di un percorso libero, ma
pur sempre commerciale: tutto ciò che è visibile, può essere acquistato al momento
oppure ordinato dal catalogo.

Il raffinato, disinvolto, creativo stile ideato da disegnatori europei, italiani (fra i quali
Alberto Meda e Antonio Citterio) e dal giapponese (uno non manca mai) Isamu
Naguchi emerge dagli oggetti di uso quotidiano esposti.
Segue il bellissimo laboratorio di colori, che offre tra l’altro anche una serie di pol-
trone sinuose, addossate a una parete stondata, in modo da formare sequenze cro-
matiche di grande effetto che creano un aspetto ludico della visita.

E per finire una biblioteca , un punto caffè e un bookshop all’altezza di tutto quello
che abbiamo visto, pieno di oggetti innovativi.
Una curiosità sul terreno dove sorge il Campus? Nel 1981 un incendio distrusse la
maggior parte degli edifici che erano stati costruiti in questo luogo negli anni ‘50,
così si creò lo spazio necessario affinché sorgesse questo progetto eterogeneo di
architettura contemporanea (Frank Gehry, Tadao Ando) che ora si integra armonio-
samente con i dintorni verdi.

Il critico di architettura Philip Johnson scrisse a proposito del Campus Vitra che non
c’è nessun altro posto in Occidente che abbia una tale concentrazione di edifici di
impresa firmati dai più grandi architetti. E’ facile capire come oggi, gli appassionati
di architettura siano attirati qui dalla qualità stilistica di questo insieme di edifici ri-
uniti su una medesima, limitata, superficie. Esempio significativo e unico in Europa
di come si possa far convivere industria e arte.
Roberto Badiani
N umerosi saggi critici sull’arte con-
temporanea trattano l’argomento
in chiave storica, filosofica, estetica
o sociologica, ma è abbastanza raro trovare
pubblicazioni dedicate all’aspetto puramente
In arabo “safari” indica spostamento,
andare da un luogo all’altro e dunque
nomadismo e non caccia grossa.- Così
esordisce, esponendo quei concetti a
lui cari su nomadismo e tribù dell’ar-
mercantile,economico e speculativo. te, Achille Bonito Oliva alla presenta-
zione della 3°Edizione della Biennale
La corposa opera di Donald Thompson, econo- di Malindi da lui curata. Gli artisti con-
mista inglese con la passione dell’arte, indaga temporanei – prosegue – hanno nel
sulle ragioni ed i meccanismi che portano al- XXI secolo confermato un’attitudine che
cune opere di arte contemporanea a raggiun- proviene dalle avanguardie storiche,
gere quotazioni inusitate rispetto a quelle di neo-avanguardie e transavanguardia
Raffaello, Renoir o Van Gogh, universalmente del XX secolo e consiste nell’assunzione
riconosciuti come maestri dell’arte “classica”. di un’ottica multiculturale, trans-nazio-
Partendo dalla storia dello squalo imbalsamato nale e multimediale.
in una teca di formaldeide, realizzato dall’arti- Con queste parole che ben tratteg-
sta britannico Damien Hirst, acquistato dal mi- giano lo spirito che hanno ispirato la
liardario americano Steve Cohen per la cifra di Biennale di Malindi arrivata alla terza
12 milioni di dollari, l’autore ci svela le modalità edizione, è stata inaugurata la “tem-
del percorso delle opere che passano dall’arti- porary exhibition italiana” mostra del-
sta ai galleristi, alle case d’asta, ai collezionisti la durata di un giorno che raccoglie il
ed ai musei, non sempre nell’ordine citato e meglio delle due passate edizioni e
come il valore spesso venga determinato dal una ricca anticipazione della prossima
brand, cioè da un sapiente intreccio di comu- e a cui ha partecipato un folto grup-
nicazione mediatica e marketing, applicato al po di “apartiani” in rappresentanza
mondo artistico, simile a quello che indirizza le dell’associazione del Pecci, in una tra-
scelte dei nostri acquisti quotidiani: sferta organizzata per l’evento.
Le strategie promozionali delle maggiori case La manifestazione è stata resa possi-
d’aste Christie’s e Sotheby’s hanno fatto dive- bile grazie alla Fondazione Sarenco
nire le sessioni d’asta eventi più mondani che ed a Giulio Bargellini impegnato da
culturali; parteciparvi è divenuto uno status sempre in Kenya oltre che per le nu-
symbol e acquistare un opera d’arte in queste merose attività filantropiche, anche
occasioni, sembra la massima consacrazione per l’arte e che in questi ultimi anni ha
del prestigio per l’acquirente, anche se il prez- reso possibili concretamente a Malin-
zo pagato è sempre più alto rispetto a quello di di come a Pieve di Cento. Qui, con il
un acquisto effettuato con discrezione in una Magi 900, ha aperto un museo unico
galleria. in Italia, dove l’arte e la cultura riacqui-
Le Fiere sono divenute centri commerciali stano un particolare rapporto tra col-
dell’arte, nelle quali le gallerie realizzano la lezionismo e pubblico, sull’esempio
maggiore percentuale di vendite ed hanno la delle grandi strutture europee nate
loro utilità per i collezionisti frettolosi, che non negli ultimi decenni come centri per-
disponendo del tempo necessario per visite manenti di produzione e promozione
alle gallerie nelle sedi originali, trovano nelle culturale.
Fiere una scelta più ampia Questa lodevole iniziativa si arric-
degli autori cui sono interessati ed un imme- chisce trasversalmente dal recupero
diato confronto delle quotazioni. di quei percorsi artistici meno noti e
che sono propri dell’arte in Italia, i cui
Il saggio di Thompson nelle sue 350 pagine de- aspetti non sono di solo contorno, ma
scrive episodi e curiosità relative ad artisti, ope- affiancano importanti svolte, accom-
re, mercato e quotazioni dell’arte contempora- pagnano i movimenti artistici deter-
nea in gran parte sconosciuti, dimostrando che minando analiticamente il percorso
il giudizio dei critici conta ben poco rispetto dell’arte italiana nel suo divenire.
alla potenza dei grandi galleristi, grandi colle-
zionisti e case d’asta prestigiose che influenza- L’arte – ci ricorda Achille Bonito Oliva
no e determinano il mercato . nel suo intervento – serve a massag-
giare i muscoli della fantasia atrofizzati
Mario Maffii
dalla telematica perché “L’arte – citan-
DONALD THOMPSON do Paul Klee – non riproduce ciò che
è visibile, ma rende visibile ciò che non
Lo squalo da 12 milioni di dollari sempre lo è.”

MONDADORI 2009
Ignazio Fresu
Nel panorama dell’arte contemporanea ci imbattiamo in molte definizioni di movimenti, correnti e
modalità di fare arte quali minimal art, arte povera, arte concettuale …

“Usiamo segni, immagini, suoni parole, oggetti, per esprimere i nostri pensieri,
emozioni, sentimenti, volontà, proposte, percezioni, idee e per comprendere quelle
degli altri.
Essi sono altrettante forme di linguaggio, altrettanti modi per esprimere e
comunicare, per fare e per parlare, e creare un mondo, una società…”

Si esprimeva così Giuseppe Panza di Biumo quando preparava la scelta delle opere e l’allestimento
della “sua” mostra sull’arte concettuale, per il Mart di Rovereto (ancora in esposizione).
E introduceva una particolare concezione e rappresentazione di questa modalità di fare arte che ci
consente di discuterne ancora oggi e di continuare a farlo ancora per molto tempo.
Partendo, appunto, da alcune sue osservazioni. In primo luogo prendendo atto che i linguaggi dell’arte
(delle arti) non consentono solo lo sviluppo della capacità comunicativa ed espressiva ma mantengono
tutta una loro portata generativa per trasformare il mondo delle cose e quello degli uomini. In tal senso,
nell’affermazione riportata, l’arte intende essere, con la sua funzione, forza che produce un cambiamen-
to possibile nella comunità umana, una nuova societas.
Questo la rende un elemento perennemente e creativamente rivoluzionario.
Occorre considerare che le opere d’arte costringono o invitano, per chi sappia leggerle, ad approfondi-
re conoscenza, a contemplare prospettive, a individuare senso e bellezza, e a scoprirne nuove dimen-
sioni . Esse influiscono sulla vita individuale.

”Esplorare un significato fra i molti possibili è una necessità


fondamentale per ogni opera d’arte: (ma) questa è l’essenza dell’arte concettuale -
dice Panza- e ha una rilevanza sostanziale per l’esistenza”.

Se la ricerca di senso e di significato lega arte e vita, come se appartenesse alla loro stessa natura, tale
indagine è organica all’arte concettuale. Ed ecco che nell’affermazione del nostro appassionato, intel-
ligente cultore d’arte lombardo, l’indagine per trovare verità e valore, autenticità e realtà, fra le molte
possibili che si presentano e si costruiscono in un’opera d’arte, è parte anzi funzione essenziale dell’arte
concettuale, è una sua necessità strutturale. Cosi come il rapportare arte ed esistenza ne è una costante.

“Dietro ogni grande opera d’arte si trovano delle idee, e attraverso le idee si può
ricostruire una filosofia (…) Scoprire cosa sono queste filosofie e queste idee porta
ad una esauriente comprensione dell’opera d’arte”.

Allora l’arte concettuale non è solo la definizione di una particolare corrente artistica che si manifesti al
di qua o al di là dell’Atlantico -e sarebbe anche interessante studiarne le specifiche forme- quanto piut-
tosto un modo acuto e profondo di parlare attraverso i linguaggi dell’arte (in questo senso l’arte è sem-
pre stata concettuale), un modo intriso di filosofia per rappresentare un pensiero e/o una emozione.
L’ Arte concettuale è apparsa quando la filosofia si è vestita di segni, suoni, parole, oggetti.., cioè quan-
do ha avuto una immagine; quando ha espresso e comunicato una particolare visione del mondo in
una figurazione. Filosofia,qui, non è intesa come sistema dottrinale ma come approccio alla meraviglia
del mondo, alla riflessione e intelligenza delle cose.
Rappresentare nel suo farsi arte l’avvento di un pensiero o di una percezione, sembra connotare l’arte
concettuale. Ogni pensiero –sostiene Pansa di Biumo- è cosa grande nell’evoluzione umana perché ha
permesso di “manifestare la bellezza dell’esistere”. E non gli si può dar torto.

Tito Regolo
Nella mente di ciascuno, ventano chiara rappre-
la fotografia è sinonimo sentazione meta-fisica
di immagine reale, di con uno sfondo di len-
stampa del vero. Tan- zuolo, quasi il velo di un
to che la percepiamo teatro davanti al quale
come rappresentazione stanno realistiche mac-
autentica e come do- chine industriali, con al-
cumentazione identita- lusivi rimandi a qualcosa
ria e quando vogliamo che era in realtà e che
esprimere un alto grado non è più così, come un
di veridicità e somiglian- passato trasformato in
za, diciamo: “sembra un presente. Una realtà
una fotografia”. che cambia pur rima-
nendo realtà. Un vero
E’ così, normalmente. sempre vero in un altro
Continua a essere così… modo. Il ‘vero’ di una
Ma qualcosa cambia foto può essere sempre
parimenti evocativo. Una antica filanda dismessa nel cuore del Valdarno, un’architet-
quando si passa ad esa-
tura industriale in mezzo al verde, ventotto artisti che si mettono
minare, non la foto (o Nelle immagini della se- insieme, senza curatori, per collaborare e decidere come riuti-
non solo la foto in sé) , rie “Substrat” prendono lizzare questa struttura pensando a lavorarci, inventando come
ma il modo di fare foto- corpo percezioni di co- collocarvi o ambientarvi le loro opere. Non è un fatto insolito?
grafia. lori in forme psichedeli-
che, morbide evoluzio- Si sa che gli artisti sono notoriamente degli individualisti ma il
E’ quanto sei costret-
ni di flussi cromatici, il fatto che qui si siano uniti per accordare ed elaborare le rispettive
to a fare nel percorso
realismo di una pittura vedute ed esigenze è, di per sé, una cosa decisamente interessan-
fotografico di Ruff che
astratta. E’ una contrad- te. Il risultato è godibile.
si snoda tra Biblioteca
Lazzeriniana, Palazzo dizione in termini? Pen-
Chi ha scelto le scale, chi una nicchia o lo spazio di una vecchia
della Provincia, Studio so di no: se fotografia è
burraia, chi il prato, chi una parete esterna o l’angolo di una corte
di Dryfoto. rappresentazione del
o di un ingresso… Naturalmente c’è chi ha scelto alcune stanze.
reale, questa realtà è an-
Devi guardare le imma- che quella della dissol- Ci sono video, installazioni, composizioni ma c’è, soprattutto, il
gini: per forza, non c’è venza, della sfumatura. cuore di ogni artista che ha fatto e messo, in quel luogo, un se-
altro da fare. Ma ti accor- Forse è una foto ‘anti- gno di sé, un punto del proprio percorso creativo. L’itinerario, fra
gi che non c’è solo l’im- foto’. il dentro e il fuori, fra il buio e la luce, fra i muri e il torrente è
patto tecnico, pur por- una scoperta continua. Si sta insieme a queste opere, ci si ferma
tato ad un alto grado E’ un modo di scendere
accanto a loro, in silenzio o colloquiando con altri visitatori, scam-
di perfezione . C’è una appunto nel substrato,
biando opinioni e sensazioni (magari assaggiando del formaggio
componente di iperre- nel profondo. Come nel
o bevendo del buon vino).
alismo, specialmente caso delle foto a pixel, di
nella serie “Ritratti” con drammatica evidenza. E’ E soprattutto accanto agli artisti che, volendo, ci accompagnano
la loro nitida, estrema, un discorso sul rapporto nella visita.
parossistica verità d’im- tra reale e irreale. Anco-
ra una volta: una meta- E vi par poco?
magine. Una manifesta
dichiarazione di ‘vera fotografia. Una fotogra-
foto’. Ma al tempo stes- fia concettuale. Scuola
so una esplicita ammis- di G. Richter. ***
sione di quello che è il E che dire dei cieli stel- Ti imbatti nelle delicate composizioni della Loehr, nel magico let-
filo conduttore dell’inte- lati, ripresi dall’occhio to velato bianco dalle reminiscenze orientali della El Asmar; nel
ra mostra delle opere di fotografico telescopico drammatico video della De Lorenzo e in quello delle dissolvenze
Ruff, vale a dire che una e indagati senza fine e di Tayu V.; nella trasparente forma con ruote di Cecchini, e nel-
foto non è mai solo se continuamente modifi- le sue sabbie disegnate; nella “II^ eclisse” di Carone, nei finissimi
stessa, ma sempre una cati? Come le foto delle pastelli di Bertolo e nei suoi “strilli”; nella stanza di Martegani e
meta-foto cioè una im- foto dei giornali, presen- dei suoi effetti, nelle ‘mani che lavorano’ di Montagnani, nei teli
magine che rimanda ad tate come tali senza ca- al vento di Ricci, nella mappa del cielo fuori registro di Pancra-
un altro concetto. Nel muffamenti, nel loro es- zi; nel “cuore” di Ozzola. E ancora: gli ironici animali/ombrello di
caso dei ritratti, riman- sere rappresentazione Cianciotta, il tavolo/shopping di Maccari, i frammenti sul pavi-
da alle leggi stesse della di foto. E’ la foto che si mento a scacchiera della Camoni, l’oracolo/furgone/cantastorie
tecnica fotografica, allo fa concetto di se stessa, di Sato-Piccolo e Fabiani, il pittore e sua moglie di Corsini, la teca
statuto epistemologico alla maniera dell’ultima illuminata di Marescalchi, le piccole intime foto di Pagano, il “ru-
del fotografare. immagine della mostra more possibile” di Consiglio, le “idee” di Pucci, i palloncini sospesi
Fare foto non è solo ‘clic- che, rappresentando di RizaPorta, il “between” di Giorgi , l’opera di FF Fusion Film, il
care’ma rappresentare, una architettura di Van “Roch” di Fusi e “made in Filandia” di Caporosso. E la performance
ribadendo, se necessa- des Rohe, diventa foto di Pozzi.
rio, l’immagine dentro meta-testuale.
Una giornata completa. Anna Maria Maiello
una cornice. Nella serie A.M. Redactor
“Maschine” le foto di-
“La produzione è il mezzo di comunicazione più efficace del nostro tempo, un mezzo che può essere usato come vei-
colo di stupidità o di civiltà.” (Dino Gavina)
Con queste parole inizia la mostra “Dino Gavina . Lampi di design“ che si articola al MAMBO di Bologna e nei bellissimi
e storici ambienti della Sala Borsa.
Ripercorrendone l’avventura intellettuale e imprenditoriale, viene illustrato il rapporto tra questo industriale-mecena-
te e gli artisti, architetti, designers con cui ha condiviso, dagli anni ’50 al 2007, un importante percorso produttivo nel
campo dell’arredamento, dell’illuminazione e dell’arredo urbano.
Nella mostra sono esposte foto di repertorio che lo ritraggono insieme a personaggi del calibro di Lucio Fontana,
Marcel Duchamp, Man Ray, Sebastian Matta, A.e P.G. Castiglioni, Marcel Breuer, Carlo e Tobia Scarpa, K. Takahama,
Enzo Mari, L. Caccia Dominioni.
In un percorso articolato per nuclei tematici, sono presentate le opere entrate a far parte della storia del design italia-
no, frutto di una collaborazione non solo produttiva, ma anche intellettuale e culturale.
Determinante è l’incontro con Lucio Fontana nel 1954 a Milano. Alla X Triennale conosce P.G. Castiglioni, e nasce un
sodalizio che porterà alla realizzazione di numerosi elementi per l’arredo e per l’illuminazione.
Convinto della necessità di un design moderno ma ricco di poesia, rivoluzionò il concetto di produzione e utilizzo
degli arredi introducendo l’idea di “serialità e scomponibilità”, dando vita a diverse realtà industriali: Gavina , Simon
International, Flos, Sirrah, Simongavina, Paradiso Terrestre.
Della sua produzione si può ricordare la lampada Arco, così chiamata per lo stelo d’acciaio che ne delinea la forma, e
primo esempio di lampada da terra con le caratteristiche illuminotecniche di una lampada a sospensione; la poltrona
Sanluca, un omaggio al portico che conduce al Santuario omonimo, entrambe opere dei fratelli Castiglioni.
Il bellissimo tavolo Doge è di Carlo Scarpa, che fu uno straordinario collaboratore e anche il progettista dell’ innova-
tivo e artistico negozio “Gavina “(1962) nel centro di Bologna. L’interno è uno spazio sfavillante di specchi, mosaici,
giochi d’acqua, frutto di una poetica ricerca artigianale dei materiali.
All’inizio degli anni Sessanta incontra a New York
Marcel Breuer, esponente del Bauhaus, e viene realiz-
zata la produzione in serie di due sedie ideate negli
anni ’20: Cesca ( in tubo d’acciaio curvato e paglia
di Vienna ) e Wassily (in tubo d’acciaio curvato e cuo-
io).
La sua curiosità per le novità e i giovani talenti lo por-
tarono a dar vita nel 1967, con la partecipazione di
Man Ray, al “Centro Duchamp”: un’associazione cul-
turale senza fine di lucro, finalizzata alla sperimenta-
zione per artisti e designers.
Nasce nel 1971 ULTRAMOBILE una linea di elementi
d’arredo che possono essere usati come mobili, ma
sono anche oggetti ironici , opere d’arte “funzionali”
all’arredamento. E così dalla fantasia di Man Ray, Meret Hoppenheim, Sebastian Matta nascono uno specchio, un
tavolino, una seduta stravagante . Anche il barattolo della Campbell diventa un originale sgabello.
C’è l’intenzione di spiazzare, in un periodo ancora dominato dal razionalismo, creando oggetti d’arredo surrealisti.
Dino Gavina sviluppa i suoi interessi anche nel campo della grafica e della comunicazione e fonda “Novalis” rivista di
cultura anticonformista .
Nel 2008 gli viene assegnato il prestigioso premio “Compasso d’oro” alla carriera.
La mostra si sviluppa anche all’Urban Center di SalaBorsa dove, oltre agli oggetti di arredo urbano progettati per la
città di Bologna e poi divenuti produzione di serie, sono illustrati alcuni importanti interventi urbani promossi da Ga-
vina come quello per la bellissima piazza S.Stefano , progetto dell’architetto Luigi Caccia Dominioni.
La mostra conclude:
“la terra che veramente non conosce la bellezza non è quella dove l’arte non è mai nata, ma quella che,colma di capo-
lavori, non sa né amarli né conservarli”
Antonella Mezzadri
“…Questa musica mi fa impazzire. Fatela smettere – urla Riccardo II nella scena V dell’opera shakespeariana , ma per ammettere:
Se pure ha condotto pazzi alla ragione, a me sembra la faccia perdere. Eppure sia benedetto chi me la propina perché è un segno
d’amore, e l’amore a Riccardo è un gioiello raro in questo mondo di vipere”.
Tutte le arti sono un atto d’amore quando diventano uno strumento di “cura”, ovvero per dirla con Aristotele, un’ “attenzione”
alla persona che si trova in condizione di bisogno, non certamente una terapia medica. Tutti gli interventi nel contempo posso-
no farsi carico di finalità preventive, riabilitative o psicoterapeute ed essere rivolti a utenze diverse: bambini, anziani, disabili e
dare risposte nell’ambito delle dipendenze, delle condotte trasgressive, dei disturbi alimentari, dell’area del benessere.
Il campo di azione delle artiterapie si è notevolmente allargato e ciò non può essere che fonte di soddisfazione, anche se tale
sovrabbondanza comporta delle difficoltà di coerenza nel discorso di condivisione tra i diversi operatori. Il modo più efficace
quindi per parlare delle artiterapie e dei diversi metodi è quello di individuare bene ogni situazione, il tipo di paziente, l’obiettivo
che si ritiene di dover conseguire ed il processo per arrivarci. Se non si contestualizza esattamente il problema cui ci si accosta, si
rischia di perdere il senso di quanto si fa, tanto più che ci si muove in due ambiti molto complessi dell’attività umana: l’arte della
cura e l’uso di modalità espressive privilegiate che sono date dalle arti.
Credo si debba rigorosamente parlare al plurale, cioè di “Artiterapie” e non solo di Arteterapia, perché non esiste una gerarchia
che determini la validità maggiore di un percorso fondato sull’arte, rispetto ad un altro condotto con la musicoterapia o l’uso
della parola “ad arte”, ovvero quella della poesiaterapia o della “scrittura creativa”. Spesso infatti sono le condizioni dell’utente, la
natura del suo disagio o un percorso che viene affrontato all’interno di una terapia di gruppo a suggerire l’uso contemporaneo
di più linguaggi artistici, specie nella fase di realizzazione del manufatto.
In particolare, nell’arteterapia dinamicamente orientata e che fa riferimento al modello dei segni, del colore, dei volumi plastici,
l’attenzione non è rivolta all’indicazione psicologica dei prodotti realizzati, né tanto meno ad una sorta di addestramento arti-
stico, il cui compito potrebbe essere frainteso con quello di fare del paziente un artista. Suo compito specifico è quello di deco-
dificare il linguaggio grafico-plastico o coloristico come specchio delle vicende umane. E’ di fatto la traduzione visiva e concreta
delle immagini a renderle condivisibili, grazie alla strategia di base del terapeuta, e a permettere agli utenti di riconoscere i loro
desideri, di prendere coscienza dei traumi, delle inquietudini, di incontrare le proprie aspirazioni che altrimenti rimarrebbero so-
piti e incompresi. All’interno di un ambiente relazionale protetto e sorretto da un percorso individualizzato e tutelato dai segni,
dalle forme, dalla materia in genere, si realizzano il rinforzo e la possibilità di esprimersi e quindi di gestire il proprio malessere.
Scopo dell’arteterapeuta non è servirsi di un prodotto artistico per scoprire talenti, ma realizzare possibilmente un rapporto
empatico con la persona ed avvicinarsi all’esperienza interiore che il prodotto veicola. Di fatto è il ricorso all’arte e ai suoi rituali,
da sempre prerogativa degli artisti, a essere suggerito come codice condiviso, in grado di offrire ai destinatari la possibilità di
intraprendere un lavoro introspettivo e cognitivo in una relazione transferale consapevole.
Non si corre forse il rischio di abusare di termini come “libertà d’espressione”, “evasione nella fantasia” o “affermazione di sé”
in contesti particolari dove tali locuzioni potrebbero risultare inappropriate e stridenti? Volendo liberare l’arte da una specie di
retaggio che la vuole condannata ad una protesta individualistica, solitaria e per questo grandiosa contro la società del males-
sere e delle ingiustizie, andrebbe esaltato quanto nell’arte c’è di costruzione, di organizzazione, di ricerca, di utilizzo di un codice
che ha proprie regole, ovvero quell’allineamento al fare che rende comprensibili anche agli altri i propri contenuti, diventando
veicolo e collegamento con la società e voce della sofferenza e del disagio.
La prima sfida è quella della conoscenza e della messa in pratica delle regole, dall’uso dei materiali, all’impiego dei colori e delle
tecniche pittoriche, dall’organizzazione dello spazio grafico allo sviluppo della tridimensionalità dei modellati, o di come altri nel
passato siano riusciti a fare propri e a misurarsi con i diversi codici espressivi.
Specialmente per soggetti con turbe psichiche tali regole sono ben più accettabili rispetto a quelle imposte da quella realtà
dalla quale si è scelto di porsi ai margini. Quando questo processo si innesca riesce a tenere a bada e a rimpiazzare la distruttività
con il piacere di creare e il paziente finisce con l’accettare le regole. E’ infatti il “processo di identificazione” dell’autore con l’og-
getto prodotto con l’aiuto della relazione terapeutica che consente l’evoluzione verso la gratificazione.
Ciò che interessa quindi le artiterapie sono le dinamiche che si pongono in atto quando il sensibile e il conoscibile che è di cia-
scuno traboccano e liberano l’energia, ma anche la sofferenza, per farsi palesi e percepibili al mondo esterno, all’altro da noi,
all’ambiente.
Giuliana Donzello
rivare a proiettare queste nuove narrazioni in modo coinvolgente ed empatico fuori dal ristretto ambito degli specialisti e del mondo
accademico.
Questo progetto è l’esito di una lavoro di ricerca durato due anni. Da tutto questo sono nate due pubblicazioni, due corposi testi
scritti assieme a Francesco Vossilla . Il primo si intitola L’altro David e riguarda la storia del capolavoro di Michelangelo prima e dopo
il 1501 ( data del suo contratto con l’Opera del Duomo), i significati riposti di quel prodigio artistico, gli indizi di un’arma segreta in
dotazione al giovane pastorello, il senso di quella nudità. Abbiamo anche riletto la vicenda del gigante scolpito da Agostino di Duccio,
cui fu commissionata una figura di profeta per gli sproni della cattedrale nel 1464-66. Su quella statua lavorata da Agostino quasi
completamente a figura intervenne Michelangelo nel 1501, secondo noi svestendola di indumenti e di simboli elaborati preceden-
temente da Agostino secondo logiche quattrocentesche. Quella spoliazione operata da Michelangelo fu necesaria per rivestire la
figura di David di una nudità adamitica, frutto delle meditazioni religiose e neo-platoniche del Buonarroti che volle anche coniugare
la venustà devota dell’antenato di Cristo a un’idea di bellezza classica ammirata a Roma.
E’ una storia avvincente. Tutta da rileggere e riscoprire. Noi abbiamo provato a capire dove fosse arrivato Agostino di Duccio. La cosa
non toglie nulla alla genialità di Michelangelo che appunto osò definire un nuovo canone di bellezza maschile nel nudo e nel colos-
sale.
Nel secondo volume intitolato Metamorfosi del David, sempre pubblicato da Accademia dell’Iris, ci siamo preoccupati del passaggio
cruciale del 1503-1504, quando Piero Soderini decise di sganciare la statua colossale di Michelangelo dal contesto religioso per ca-
ratterizzare di cotanta meraviglia e bellezza lo spazio urbano e simbolico di Piazza della Signoria, immaginando una agorà moderna.
Abbiamo riletto anche in questo caso le fonti e riorganizzato secondo certe nostre idee la narrazione di quegli eventi antichi, compre-
sa la celebre disputa del 25 gennaio 1504, quando artisti e politici si confrontarono per decidere della collocazione del David.
Attraverso il progetto elaborato da Culter per Florens 2010, il nostro scopo è coinvolgere la città, stupire i turisti, per dare loro modo
di vedere il capolavoro senza i pregiudizi e stereotipi, per dare modo di cogliere qualcosa d’inaudito e d’inaspettato in una storia che
appare comunicata con gli stessi concetti e termini da molti, troppi decenni.
La collocazione di una copia del David ( di pregevolissima fattura, realizzato dalle Cave d’Arte Michelangelo di Carrara) sulla Tribuna
nord della Cattedrale di Firenze sul sagrato e poi la rievocazione del faticoso trasporto del 1504 verso Piazza della Signoria, è un modo
per svincolare il bene artistico dai luoghi comuni e dalle semplificazioni di una commercializzazione del sapere sviluppatasi a uso e
consumo dell’industria del turismo di massa. Rifiutare la piatta esperienza del rendering scommettendo invece sulla forza arcana del-
la fabula e del teatro, interpretati secondo il linguaggio più tipico dell’avanguardia degli anni sessanta che osava performance urbane
per un coinvolgimento allargato alla polis.
La spettacolarizzazione produce un disorientamento con la copia, una meraviglia con l’epifania nei diversi luoghi di un’immgine
celebre come il David di Michelangelo, una maiuetica attraverso la divulgazione di fatti storici e di un succedersi di eventi che hanno
determinato una delle svolte della cultura artistica mondiale. Quella del passaggio della statua religiosa del David scolpito da Miche-
langelo per S.Maria del Fiore a primo monumento pubblico cittadino, secondo le decisoni prese dalla Repubblica e da Piero Soderini
in particolare. L’immagine del David difensore dei valori laici si è sovrapposta a quella della figura dell’antenato di Cristo vestito della
sola Grazia divina da cui deriva la sua forza e la sua possibilità di vittoria sul Male.
Forse molti turisti e fiorentini torneranno da domani a visitare la statua originale di Michelangelo all’Accademia e la guarderanno con
occhi diversi e maggiore consapevolezza.
Valorizzazione, protezione, difesa, e soprattutto fruizione dei beni culturali e ambientali: come potenziare e sostanziare queste fun-
zioni?
Attraverso la didattica, la sensibilizzazione, la divulgazione della conoscenza nei formati più svariati. Affiancando la serietà e disciplina
storica a una vitalità creativa che sfida il già detto e il consolidato. Sfuggire alla rendita non significa ‘rottamare’ la profondità per una
superficialità molto più glamour e efficace sul piano della comunicazione veloce. Una sana politica culturale (cosa diversa dalla poli-
tica della cultura come sosteneva Bobbio) dovrebbe fare molta più attenzione a questa associazione tra fuga in avanti generazionale
e distrazione storica di chi promette ricambio.
Il bene culturale e ambientale può dormire sonni tranquilli nel suo presente e nel suo futuro? Quali proposte avanzate (nel libro), o
vedete, a questo riguardo? O è bene “svegliarli” questi beni; e con quale prospettiva?
I beni culturali e ambientali per fortuna non dormono, ne’ vanno in letargo. È la nostra speranza, altrimenti non solo non saremo
competitivi ma non avremo la certezza di esserci ora, qui e di essere parte di una storia e di un’umanità che ha costruito la rampa di
lancio sulla quale ci troviamo per toccare il futuro.
A cura di A. Maltinti

Nella foto di copertina e nella pagina a fianco : DAVID LA FORZA DELLA BELLEZZA

PROGETTO DI POSIZIONAMENTO DI COPIA DEL DAVID (SCULTURA IN VETRORESINA) sullo SPRONE LATO PORTA DELLA MANDORLA (lato nord –ovest) e sul SAGRATO LATO PORTALE DI SINISTRA
(lato sud) DELLA CATTEDRALE DI SANTA MARIA DEL FIORE –FIRENZE
Un progetto di Culter per Florens 2010, Settimana Internazionale dei beni Culturali ed Ambientali
In collaborazione con : Opera di Santa Maria del Fiore; Studi d’Arte Cave Michelangelo, Carrara;Tradizioni Popolari Fiorentine, Palagio di Parte Guelfa
Scultura David in vetroresina: Studi d’Arte Cave Michelangelo di Franco Barattini - Carrara
Progetto architettonico e Direzione lavori : arch. Marco Meozzi. Progetto strutturale : Ing. Mario Ciatti
Coordinatore Sicurezza per progettazione ed esecuzione: Arch. Paola Falaschi
Per Culter hanno lavorato: Direzione: Enrica Maria Paoletti, Chiara Damiani. Produzione : Loredana Terminio, Massimo Carotti, Rossella De Luca, Argentina Giusti, Lucia Guida
Consulenza scientifica: Francesco Vossilla
La concezione di bene culturale e ambientale dilata oggi la definizione di sé e apre a nuove
consapevolezze. A chi “appartengono” i beni culturali/ambientali e quale il giusto approccio
ad essi?
Settimana dei beni culturali e am-
bientali con Florens 2010
Che noi ce ne accorgiamo o no, La spinta verso il futuro che sottende la relazione cultura-ambiente- pur essendo in realtà l’oriz-
il bene culturale entra nella no- zonte di senso che obbliga a una revisione dei progetti di politica culturale attuali- è evidente-
stra vita spesso in punta di piedi, mente un ritorno al passato, più o meno remoto. Ogni azione volta a valorizzare i beni culturali
talvolta invece come una folgo- e ambientali dilata la propria forza e durata solo quando pone a proprio fondamento quella
razione e agisce in noi nel breve cultura umanistica locale che dal Medioevo a tutto il Settecento contemplava il connubio vir-
come nel lungo periodo. Entra a tuoso di buon governo e di cura del paesaggio. Riappropriarsi della propria storia liberandosi
far parte di noi. Lo stesso vale per dalla veloce omologazione e da certa produzione di massa è possibile un futuro diverso.
un bene ambientale, un paesag-
In caso contrario ogni velleità futurista e ogni rivendicazione di originalità etnica acquisiscono
gio, uno spettacolo della natura.
arroganza e cinismo politico-economico, finendo inevitabilmente per essere pure imprese ef-
Questi beni influenzano il nostro
fimere, iniziative auto-referenziali.
‘essere qui e ora’ , influenzano
alcuni nostri comportamenti, Ma- questo ci sembra l’elemento più originale- la proiezione al futuro dipenderà sempre di
determinano talune nostre scel- più dalla soluzione delle emergenze energetiche che ci dovranno portare a riflettere su nuove
te. Implicano rapporti di valore, policies che coniughino il necessario con il bello e l’utile. Pochi sanno per esempio che sotto
richiamano identità , coscienze e Parigi è in funzione un termo-valorizzatore.
intelligenze individuali e collet-
tive. Toccano sfere profonde e Se si pensa che uno pseudo-ambientalismo odierno si attacca a ragioni estetiche e culturali
conducono a riflessioni, aprendo per frenare le infrastrutture necessarie si capisce perché di questi temi si debba parlare durante
nuovi orizzonti. Florens 2010.
Sono qualcosa che coinvolge e A “mens sana” e “corpore sano” dobbiamo sempre aggiungere la nozione di habitat sano. I
interpella la sensibilità e la re- beni culturali e ambientali appartengono alla società civile, sono l’elemento necessario per
sponsabilità di tutti. Ci riguarda- una crescita dignitosa, equa e solidale con al centro dell’interesse collettivo l’altro inteso sia
no da vicino. come genere umano che come natura. Ecco spiegato perché non si può più discutere di beni
culturali con una prospettiva micro o chiusa ai propri interessi e ambiti senza analizzare il con-
Dunque meritano un focus. Ne testo economico ed ambientale in cui viviamo che è fatto di locale e universale.
parliamo con i curatori di Flo-
rens 2010, Sergio Risaliti e Davide
Rampello, direttore artistico.

Porre il bene culturale e ambientale all’incrocio tra cultura, politica, economia, comporta o presuppone un problema di primaria-
to tra uno di questi ambiti o di pariteticità nella gestione dei beni?
Affermare il valore “culturale” di un bene impegna tutti: società civile, enti politici, istituzionali, referenti industriali e finanziari:
con quali specificità?
Certo la cultura è la dimensione in cui le altre azioni prendono corpo e si alimentano favorendo crescita e sviluppo in armonia
tra essere umano e ambiente naturale. Ognuno dei soggetti attivi in una società moderna deve agire nello specifico del proprio
campo con uno sguardo allargato a una concezione olistica, attraverso lo scambio virtuoso di esperienze eterogenee. Lanciare
sfide al futuro non può prescindere dalla conoscenza della propria storia, delle proprie tradizioni e memorie. Identità e senso oggi
passano attraverso anche una valorizzazione del genius loci attraverso la re-interpretazione, che avviene nella relazione con altri
soggetti e culture.
Dibattere, come in questi giorni, intorno a un tema così concreto e importante come quello sui beni culturali e ambientali, quali
processi virtuosi dovrebbe innescare? Ha qualche scopo educativo? A cosa mira?
Riflettere sulla cultura e sull’ambiente è quanto di più concreto esista. Con Florens 2010 si è cercato di miscelare la dimensione
scientifica, che esiste ed è argomento di attualità, con la novità di una applicazione più ampia e popolare in un territorio ricco di
sapere e di tradizioni, di beni culturali e ambientali come pochi altri al mondo. Sarà interessante vedere l’effetto che produce la
massa teorica sviluppata per l’occasione una volta che sarà messa in relazione con una ricchezza esistente e fortemente produt-
tiva su fronti di una inaudita varietà e complessità come nella tradizione umanistica. Quale sia l’energia disinnescata in città, a
diversi livelli e settori, come la compartecipazione e la messa in relazione produca energia in più, utile a vitalizzare un terriorio non
in termini di quantità ma di qualità.
Innalzare una icona dell’arte come il David di Michelangelo su uno sprone del Duomo -collocazione già ipotizzata in antico-, cosa
vuole essere oltre che una dichiarazione assertiva (per taluni anche provocatoria)? A quale intenzionalità simbolica risponde?

Lasciamo da parte ogni intenzione provocatoria, più adatta al mondo della moda o di un’avanguardia artistica ormai stanca e
superata che sempre cerca spot comunicativi forti per bucare in termini di comunicazione onde ottenere un immeditato ritorno
commerciale.
Il nostro scopo è quello di partire da una rilettura storica di documenti di varia natura e dopo una serie d’ipotesi ermeneutiche ar-
aparte
la rivista

cci arte
ltu rale e or gani zz at ivo dell’associazione pe e 2010
periodico cu n° 10 - novembr

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