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Opera scritta in Latino.


L’unica portata a compimento è divisa in 3 libri.
In essa Dante afferma che di fronte alla decadenza dei suoi tempi determinata dalla crisi e dalle
rivalità tra il potere imperiale e il potere della chiesa (PAPA) la soluzione va ricercata nella
restaurazione dell’autorità imperiale attraverso una monarchia universale.

Nel primo libro Danta afferma la necessità di una monarchia universale in quanto solo un
imperatore al di sopra di tutti i regnanti in qualità di arbitro supremo può garantire la giustizia e la
pace

Nel secondo libro si afferma che l’autorità imperiale è stata concessa da Dio al popolo romano con
il compito di unificare e pacificare il mondo per renderlo adatto ad accogliere Cristo.

Nel terzo libro viene affrontato il tema del rapporto tra impero e chiesa. I due poteri derivano
direttamente da Dio e sono autonomi. L’impero ha come fine la felicità dell’uomo nella vita terrena
mentre la chiesa deve condurre l’uomo alla beatitudine eterna. L’ azione di queste due guide (impero e
papa) è però complementare poiché solo nella pace e nella concordia l’umanità può seguire la guida
del papa e giungere alla salvezza. L’opera della chiesa richiede quindi l’azione dell’imperatore. Poiché
il fine della chiesa è più alto di quello dell’impero, l’imperatore deve sempre mostrare rispetto e
devozione al papa. Questa visione prende il nome di teoria dei due soli, vale a dire che imperatore e
papa sono due guide luminose: due soli. Dante riprende e modifica la teoria di papa Innocenzo III che
aveva affermato che il papa è il sole mentre l’imperatore è la luna in quanto vive della luce riflessa del
sole.

Dante scrive l’opera nel momento di crisi massima del Duecento quando i rapporti tra Chiesa e Impero
erano ormai logori, il papato era stato trasferito ad Avignone e il sovrano di Francia stava aumentando
il proprio potere dopo la costituzione della monarchia Feudale di Francia a discapito dell’Inghilterra
dove Giovanni Plantageneto avendo perso molti possedimenti nella terra di Francia aveva visto
ridimensionato il suo potere ed era stato costretto a fare ampie concessioni con l’approvazione della
Magna Charta Libertatum.
APPROFONDIMENTO STORICO

Enrico VII di Lussemburgo Figlio di Enrico III, conte di Lussemburgo Scese in Italia
(1311) per restaurare il potere imperiale e porre fine alle rivalità tra guelfi e ghibellini
ed essere incoronato imperatore (1312), ma incontrò l'ostilità di papa Clemente V,
Filippo IV di Francia e Roberto d'Angiò, re di Napoli, marciando contro il quale morì.

DETTAGLIO: nelle lotte tra Filippo il Bello di Francia e Edoardo I d'Inghilterra, Enrico
prese le parti del re di Francia, che quindi appoggiò la sua elezione a re di Germania (27
novembre 1308). Incoronato ad Aquisgrana ottenne il consenso del pontefice Clemente
V, residente ad Avignone, alla sua successiva discesa in Italia dalla quale il papa si
attendeva la cessazione delle lotte tra guelfi e ghibellini, premessa di una nuova
crociata. Prima di muovere verso l'Italia, Enrico aumentò la sua potenza in Germania e
nell'Europa centrale. La sua venuta, che dapprima in realtà parve costituire un fatto di
pacificazione, determinò ben presto l'acuirsi delle lotte tra guelfi (sostenitori del papa)
e ghibellini. Fallito così il tentativo di elevarsi ad arbitro tra le parti in contesa e di
restaurare il potere imperiale nella penisola, Enrico VII fu coinvolto nel gioco dei partiti
italiani, divenne il capo dei ghibellini e si trovò pertanto in aperto contrasto con i guelfi,
e in particolare con Roberto d'Angiò, con il papa e con il re di Francia. Poté pertanto
cingere a Roma la corona imperiale il 29 giugno 1312 solamente grazie a un'azione
violenta del popolo romano. Mentre marciava contro i possedimenti del regno di Napoli
di Roberto d’Angiò morì all'improvviso, a torto si disse di veleno. La sua spedizione che
era stata accolta con entusiasmo da alcuni (Dante in particolare) nella speranza di una
restaurazione imperiale che ridesse pace e unità al mondo fallì in ragione dei diversi
interessi delle forze in campo che difficilmente potevano riconoscersi in un tale
progetto universalistico.

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