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14a Stazione: Gesù viene deposto nel sepolcro

“Giuseppe lo mise in un sepolcro scavato nella pietra, dove nessuno ancora era stato messo”
(Lc 23,53).

Spesso si dice che il seme deve morire per dare frutto. Spesso si pensa al seme morto e si
pensa al frutto. Quasi mai si pensa al tempo che trascorre tra l’una e l’altra forma della stessa
vita.
Eppure tra la morte e il frutto c’è un tempo di attesa, di sepoltura, dove tutto accade senza che
nessuno veda né possa intervenire. È un cammino di preparazione necessario.
In tempi passati, lontani dal controllo universale a cui l’uomo anela oggi, i contadini dicevano
che il loro compito era quello di piantare i semi ma era Dio a fare il resto. Lo stesso Gesù ci
dice “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di
notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce
spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga” (Matteo 4, 26-28).
Cosa resta a noi, da questo seme, da questa attesa? Due prospettive.
La prima è che l’Uomo gode dei frutti della Terra senza far altro che seminare. Seguire Cristo,
con tutto ciò che esso comporta, ci farà godere della sua vittoria anche senza che noi la
comprendiamo a pieno. Ovviamente senza dimenticarci che essa è sì Grazia, ma Grazia a caro
prezzo (cfr. Sequela, D. Bonhoeffer)
La seconda è che da buoni semi, dovremmo capire che non serve a nulla la mortificazione se
non siamo con il cuore aperto, malleabile, consci che non vedremo subito i frutti, ma che sarà
solo un alzarsi da Terra per dover poi imparare a seguire il Sole per vivere.

Signore, rendici leggeri e saldi nell’attesa, con la Speranza nel cuore e gli occhi pronti a vedere
le occasioni che Dio ci dona per germogliare.

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