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Tullio De Mauro

e gli studi linguistici


e linguistico-educativi in Italia
Massimo Vedovelli
Università per Stranieri di Siena

Abstract: La scomparsa di Tullio De Mauro invita a domandarsi se i problemi


linguistici e culturali della società italiana ai quali ha cercato di dare risposta
con la sua opera siano stati risolti o se le proposte demauriane siano rimaste
in realtà inascoltate. In De Mauro convergono le dimensioni della ricerca
scientifica, quelle dell'impegno didattico, quelle dell'impegno civile.

Keywords: De Mauro, semiotica, linguistica teorica, linguistica educativa.

Tullio Annunziata
Annunziata De Mauro,(Napoli)
(Napoli) natoilil 3131a marzo
marzoTorre
1932, è morto a Roma il 5 gennaio 2017.
Chi scrive non riesce a iniziare in altro
modo questo ricordo di Tullio De Mauro:
è troppo forte la commozione per la
perdita di una persona che per moltissimi
è stato, più e prima di un maestro, un
padre, un amico prodigo di consigli e
pronto a condividere le imprese della
ricerca scientifica e la quotidianità della
vita. La freddezza delle date ha però la
Tullio De Mauro dura consistenza della base di una analisi
di quello che De Mauro è stato e ancora
continua ad essere per tutti coloro che si misurano con le questioni
del linguaggio, dei processi di espressione verbale e non verbale, delle
lingue nella vita individuale e sociale, della funzione della scuola nello
sviluppo delle capacità linguistiche: De Mauro rimane un punto di
riferimento ineludibile per chiunque voglia confrontarsi con i modelli
generali dell'attività simbolica o con le concrete vicende culturali e
linguistiche italiane, e ancor più con le storie linguistiche delle italiane
e degli italiani. Anche se volessimo passare in rapida rassegna gli
ambiti sui quali De Mauro ha concentrato le sue riflessioni - sempre
geniali, profonde, anticipatrici - si sarebbe presi da stupore fino allo

ITALICA • Volume 94 • No. 1 • Spring 201 7


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Massimo Vedovelli

stordimento: indoeuropeista, linguista generale, storico della lingua,


semiologo, linguista educativo, lessicologo e lessicografo; e ancora:
uomo impegnato nell'amministrazione della cosa pubblica, prima
come consigliere e assessore della Regione Lazio e poi, nel 2000-2001,
come Ministro della Pubblica Istruzione. Ma anche persona impegnata
nei processi editoriali, collaboratore, direttore e anima di alcune fra
le case editrici e le imprese editoriali di maggiore portata storica per
l'Italia degli ultimi decenni. Si rimane smarriti nel voler ripercorrere
la sua opera, nel voler cogliere la molteplicità sempre rinnovata dei
suoi interessi e la forza del suo impegno civile. De Mauro non ha
bisogno di qualcuno che ricordi quello che ha fatto, visto quanto la
sua opera è profondamente collocata nell'orizzonte di lavoro di tutti
coloro che, facendo ricerca scientifica, insegnando, impegnandosi
nella gestione della cosa pubblica, si imbattono nelle questioni poste
dalle lingue e dai linguaggi. Qui, allora, ci vogliamo porre solo alcune
domande molto semplici: che italiano era questo De Mauro, dai così
vasti interessi? Quale essenza promuoveva la sua poliedrica identità,
le sue molte vie di ricerca, il suo impegno civile, la sua umanità? E
con chi dialogava questo uomo mite, arguto, profondo, mai banale,
sempre attento ad ascoltare chiunque, sempre pronto a mettersi con
indomito coraggio al servizio degli altri: dagli studenti a tutti coloro
che oggi, nelle università, nelle scuole e nella società civile, possono
dirsi suoi allievi?

Ci poniamo queste domande perché, passato il turbamento dei primi


momenti dopo la sua scomparsa, diventa forte in noi la questione se
davvero De Mauro sia stato capito dagli studiosi, dal mondo della scuola,
dalla nostra società, dalla classe dirigente e dalle istituzioni italiane, dal
nostro Paese. Apparentemente, sì, e le persone che sono sfilate davanti a
lui per l'omaggio finale ne sono la più solida testimonianza: il Presidente
della Repubblica, il Presidente del Consiglio, il Presidente della Banca
d'Italia, almeno tre Ministri, e poi Rettori e ex Rettori di Università,
professori, giovani, persone comunque che lo avevano ascoltato e
letto con attenzione. Eppure, proprio la sua eccezionale personalità,
la sua immensa sapienza e intelligenza ci fanno nascere un dubbio, se
le confrontiamo con lo stato attuale anche solo del sistema formativo
italiano: è stato mai davvero capito? Le sue proposte si sono effettivament
diffuse nella scuola e nell'università? Quale molo ha interpretato nel
vicende sociali e culturali italiane? Era un vero italiano nelle accezioni
più positive della tipologia - intelligente, creativo, umano, solidale -
o, in realtà, è stato una eccezione, un isolato nel mondo della cultura
della ricerca scientifica di linguistica e di semiotica, nella scuola, nel
nostra vita sociale e istituzionale? Dall'un modo o dall'altro di risponde

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Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

dipende il senso che l'azione di De Mauro potrà avere nelle vicende del
nostro Paese, e il peso di quanto potrà dare al mondo.
Ci poniamo queste domande anche perché nel giro di pochi mesi
alcune figure di grande spicco nel panorama culturale nazionale e
internazionale sono venute meno: De Mauro, appunto, il 5 gennaio
2017; per le altre basti citare Umberto Eco, scomparso il 19 febbraio
2016. Nati nello stesso anno e legati da amicizia e stima profonda,
Tullio e Umberto hanno rappresentato le punte più avanzate della
riflessione semiotico-filosofico-linguistica degli ultimi decenni in
Italia, influenzando in misura notevole gli assetti culturali e della
ricerca scientifica in tali ambiti con una risonanza che ha superato i
confini nazionali. Proprio la connotazione internazionale della loro
azione apre una ulteriore prospettiva alla questione: De Mauro è stato
un intellettuale solo italiano, cioè calato solo entro i confini della
riflessione linguistica, culturale e sociale italiana, o quanto ha fatto
suscita un interesse di portata internazionale?
Non è facile rispondere in modo compiuto a tali questioni, che
riguardano sì una singola personalità, ma che in realtà rimandano
a più generali questioni nazionali, come la formazione della classe
dirigente, la diffusione della cultura e le questioni della democrazia.
In questa sede cerchiamo di ricostruire alcuni temi del pensiero di De
Mauro facendo innanzitutto parlare proprio lui, esaminando, cioè, la sua
autoconsapevolezza sui processi che ha attraversato, vissuto, animato
nella sua vita. Questo percorso è stato raccontato proprio da lui stesso:
infatti, nei suoi ultimi anni ha pubblicato almeno tre volumi che,
apparentemente aventi una funzione autobiografica, ripercorrono le
vicende sociali e culturali italiane viste dalla prospettiva di un linguista, di
Tullio che era sì linguista, ma anche molto di più: si tratta di P rima persona
singolare passato prossimo indicativo (Roma: Bulzoni, 1998), Parole di giorni
lontani (Bologna: Il Mulino, 2006), Parole di giorni un po' meno lontani
(Bologna: Il Mulino, 2012). A questi si aggiunge Album glottofotografico
(curato insieme a Silvana Ferreri. Roma: Omnia Artis, 2002), dove
iconicamente si può ripercorrere la vita culturale e accademica italiana,
non solo quella di De Mauro, dagli anni Trenta al 2002.
Tullio si scusa ripetutamente per il carattere autobiografico di
queste opere rimarcando la sua ritrosia verso tale genere: il non
mettersi mai in mostra se non per assumersi una responsabilità diretta
è stato sempre un suo tratto caratteristico. Questo suo modo di essere
- schivo e sempre responsabile - lo ha trasmesso ai suoi allievi: non
ha fatto mai mancare un consiglio ai tanti giovani che gli chiedevano
un aiuto nei loro lavori di tesi, di dottorato, nelle loro ricerche; a
tutti ha dato ascolto; ma ai tanti entusiasti nel pubblicare i loro lavori

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Massimo Vedovelli

si è sempre permesso di effettuare una correzione: evitare la prima


persona singolare nello scrivere, nel rendicontare studi e ricerche.
Perché, allora, De Mauro scrive questi volumi? La risposta è perché
non sono testi autobiografici, in realtà: l'autobiografia è solo il pretesto
per una ricostruzione delle vicende linguistiche italiane, delle vicende
delle ricerche linguistiche e degli assetti universitari italiani in tale campo.
In qualche modo sono volumi che integrano, completano, arricchiscono
quella che può essere considerata la sua prima grande opera, scritta a
poco più di trent'anni, pubblicata nel 1963, ovvero la Storia linguistica
dell'Italia unita (. SLID '): opera mai davvero conclusa, sempre aperta a nuovi
apporti, a ulteriori analisi. Non si tratta di una storia della lingua, ma
di una storia linguistica , cioè della storia di persone, gruppi sociali, ceti,
classi, luoghi, avvenimenti, più e prima ancora che storia di una lingua
astrattamente delineata nelle sue regole, nella sua identità fuori della vita
reale dei suoi utenti: i cittadini del nuovo Stato italiano unitario. A più
di cinquant'anni di distanza la SLIU è ancora citata, presa come punto
di riferimento o anche come testo da rifiutare in tutto o in parte, se non
addirittura da schernire. Proprio queste ultime posizioni testimoniano
della sua importanza. E allora, ricostruiamo la vicenda umana, culturale,
scientifica e politica di Tullio De Mauro seguendo la pista della storia delle
parole, delle sue parole.

Le vie di una autobiografia linguistica nazionale


Parole di giorni lontani va con il ricordo alle prime parole usate,
apprese, non capite; parole che sono pretesto per gettare luce su un
periodo italiano che va dal fascismo visto con gli occhi di un bambino
(che affascina il bambino De Mauro) e dell'adolescente fino all'Italia
linguistica quasi a noi contemporanea. Parole di giorni lontani è il racconto
di un'Italia che non c'è più, e che pure ha vissuto con intensità e passione
grandi momenti storici che si sono riverberati sulla vita delle famiglie,
dei cittadini e dei bambini, del bambino Tullio De Mauro innanzitutto.
Si tratta non solo della prospettiva di un bambino che incontra le parole
in una Italia precisamente determinata in un suo momento storico quale
quello del fascismo: è infatti, ancor più, la prospettiva di un ceto che
guarda alle vicende generali del Paese. Questo ceto è la borghesia, quella
classe media, colta, cresciuta in un sistema scolastico il cui accesso non era
di fatto consentito all'universalità della società, ma solo agli appartenenti
a quel ceto. De Mauro nasce appartenendo a quel ceto: è figlio di un
farmacista e di una quasi laureata in matematica; nasce in una casa dove
ci sono libri, che rimangono a sua disposizione nonostante che le traversie
economico-finanziarie vissute dalla famiglia costringano a momenti se
non di povertà, sicuramente di ristrettezze non facili da gestire. I libri,
però, rimangono, non vengono venduti per poter racimolare il denaro.

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Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

Parole di giorni lontani


Ricordando le sue lezioni degli anni 80 nelle aule dell'Università
di Roma La Sapienza, egli dice: "da allora la riflessione su questo
tema, sulle memorie linguistiche soprattutto infantili, non mi ha più
abbandonato e nella mente sono venuto raccogliendo una bibliografia
discontinua".

Già in questa dichiarazione iniziale si manifesta la grande


coerenza che c'è fra il De Mauro studioso, scienziato, e il De Mauro
persona, cittadino. Questa coerenza fra la dimensione professionale-
scientifica e quella umana e civile si manifesta nei modelli di teoria
linguistica, così come nelle posizioni che prende sulle questioni
linguistico-educative più proprie dell'ambito scolastico: la centralità
del plurilinguismo, l'attenzione alla diversità dei fatti linguistici, la
consapevolezza della irriducibilità dei processi di gestione del senso
al piano della pura formalizzazione delle procedure, la centralità
della creatività e dell'indeterminatezza del senso, bilanciata dal ruolo
della metalinguisticità non sono solo tratti del suo modello teorico di
semiosi, ma rilevano dalla sua personalità sempre attenta alla pluralità
imprevedibile della vita, delle relazioni sociali, dello sviluppo degli
eventi che deriva dal farsi della negoziazione dialettica della relazione
sociale.

È difficile non cogliere in questi volumi autobiografici la chiave del


suo lavoro. Se possiamo forzatamente sintetizzare Tullio De Mauro, ne
vediamo un profilo fatto da tre lati: il primo è quello dello scienziato,
del linguista, del filosofo del linguaggio, del semiologo che scandaglia
i processi di costruzione e gestione del senso. Accanto al teorico
c'è il De Mauro che guarda al mondo della scuola, cioè al luogo in
cui nel nostro assetto sociale, nella nostra civiltà, gli strumenti per
la costruzione e gestione del senso vengono formati nelle persone
tramite la delega che la società attribuisce all'istituzione formativa.
Infine, c'è il De Mauro impegnato civilmente, politicamente, su
posizioni che danno luogo a conflitti che ancora perdurano dopo la
sua scomparsa. Queste tre diverse identità sono coerenti fra di loro, si
sorreggono e si intrecciano in modo inestricabile, ma ancor più sono
coerenti con la vita che lui stesso ci racconta.

I ricordi familiari sono i primi a configurare una "memoria rivestit


di parole": la spinta a confrontarsi razionalmente con le materi
scientifiche di studio e di analisi rimarrà sempre con un marchi
intimamente familiare:

Le pignole norme igieniche con cui mio padre, chimico e farmacista e di


famiglia di medici, ci obbligava ad attenerci, non ressero (p. 14).

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Massimo Vedovelli

In questa famiglia si parla e vi si manifestano le tensioni fra


l'italiano e i dialetti che hanno attraversato le scelte linguistiche
delle famiglie appartenenti ai ceti colti, a quelli che avevano avuto la
possibilità di studiare:
per un bambino di due anni di una famiglia apulo-napoletana in cui i
genitori, presenti i figli, parlavano sempre italiano (che tra loro, come in
segreto, parlassero invece in dialetto napoletano fu per ciascuno dei figli
una scoperta tardiva) (p. 9).
Il bambinetto De Mauro entra in contatto con parole che
appartengono a questa sfera linguistica e accentua "l'esclusivismo
linguistico familio-centrico (di un tempo pretelevisivo?)" (p. 10).
La prima parola nei ricordi infantili è cromatina, la scatoletta del
lucido da scarpe:
Col suo sentore acre questo era la cromatina per quel bambino alle prese
con l'italiano più o meno intaccato di regionalismi [...] per quel bambino
imparare che meglio di cromatina si dice lucido da scarpe sarebbe stato un
pensum linguistico di parecchi anni dopo, così come imparare che non si
dice tengo fame o Tizio tiene una matita, ma ho fame e Tizio ha una matita
(p. 10).
Sin dai primi ricordi è chiaro come il bambino De Mauro viva il
suo contesto linguistico familiare fatto da sollecitazioni diverse, ma
con al centro il ruolo degli adulti, in particolare della madre che
spiegando mostra in modo implicitamente metalinguistico come
addentrarsi per le vie del linguaggio:
è probabile che mia madre abbia allora cominciato a spiegarmi che cosa
era un mago e che cosa un'immagine pubblicitaria, una reclame dicevamo
(con tanto di e finale) (p. 11).
Si cresce nella competenza linguistica facendo esperienze dirette
delle cose, di quelle amare e soprattutto di quelle dolci:
[...] 'lo vuoi nu babbà ?' Annuii, presi il dolce, dolce e tenero già dal nome
per me nuovo, lo addentai. E sprofondai in quella dolcezza con pochi
eguali nel nostro Pianeta (p. 19).
Il bambino fa esperienza delle parole attraverso la sua esperienza
diretta con il corpo, con le sensazioni, e da subito si manifesta
l'attenzione al cibo. La buona alimentazione costituirà un punto di
riferimento per tutta la proposta linguistico-educativa di De Mauro,
formalizzata anche nelle Dieci Tesi Giscel per l'educazione linguistica
democratica ; nei suoi ricordi la ritroviamo solo come la forza della
dolcezza di una sensazione che imprime una nuova parola nella mente
del bambino; poi, saranno i ricordi delle ristrettezze economiche e
delle difficoltà di alimentazione causate dalla guerra.

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Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

De Mauro è profondamente meridionale nelle sue prime esperienze


di vita e nella sua successiva personalità: il legame identitario è
fortissimo e si manifesta anche nelle forme di vita più materiali. I suoi
ricordi infantili rimandano a un'Italia che è cambiata profondamente
negli ultimi 70 anni:
[...] quel luogo era inaccessibile. In casa alle abluzioni si provvedeva tra un
cessetto, il camerino, i bacili portatili su treppiedi nelle stanze e il grande
lavandino della cucina. Era, come qualcuno ancora sa, la condizione
della stragrande maggioranza della popolazione italiana, anche nelle città
e anche per gente relativamente benestante. Sicché per me bagno aveva
altro senso: non un locale, ma un atto e fatto (p. 321).
L'Italia che non c'è più è esattamente questa, un'Italia di cui oggi
fatichiamo a avere un qualche grado di consapevolezza, ma che ancora
rimane nella memoria degli anziani, anche fra le nostre comunità
emigrate. Di queste memorie De Mauro è un interprete che coglie la forte
coerenza storica fra il cambiamento dei modi di vita, anche dei modi
di lavarsi, anche dei consumi di saponi e detersivi, e il cambiamento
dei modi espressivi, il cambiamento delle strutture linguistiche della
nostra società. Proprio in un suo saggio del 1980 contenuto nel
volume collettivo Dal '68 a oggi. Come siamo e come eravamo, De Mauro,
analizzando i nuovi assetti linguistici emersi in quei dieci anni di
trasformazione generale del Paese, prende in esame un indicatore del
tutto apparentemente distante dai fatti linguistici e culturali, ovvero
il consumo dei detersivi, individuando in tale indicatore il segno di
un cambiamento profondo dei modi di essere, di vivere degli italiani:
non più nelle campagne, con le case spesso senza acqua corrente, ma
negli appartamenti cittadini, con acqua corrente, televisione, lavatrici,
e con la pubblicità che tramite la televisione proponeva nuovi modi
di comportamento, fra i quali proprio l'uso dei detersivi commerciali,
non più il sapone spesso autoprodotto da chi viveva nelle campagne.
L'infanzia di De Mauro è fatta di ricordi di filastrocche ("giro giro
tondo..." p. 25), ma anche delle citazioni colte che in casa circolano,
prodotte innanzitutto dai genitori che avevano studiato:
se si trattava di attraversare un andito buio e mi vedeva esitare, scherzava,
«per me si va nella città dolente», dice Dante, ma tu ora non ti preoccupare,
andiamo, le parole che Dante legge al sommo della porta qui non ci sono
scritte (p. 31).

Di nuovo il ruolo della madre, colta, che condivide con il figlio


nuove letture, e il bambino De Mauro che gioca con le citazioni, se
le fa ripetere, anche a costo di inciampare nella incomprensione: il
bambino De Mauro si imbatte nell'esperienza della non comprensione,
capisce che non capisce:

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dunque Dante sapeva che poteva non essere capito, meno male per me
che come Cavalcanti padre spesso non lo capivo bene (ivi).
Il tema della incomprensione, del perché non ci si capisca
nonostante la lingua appaia innanzitutto come un sistema di regole
deputato intrinsecamente a far funzionare bene la comunicazione,
ebbene questo processo di cui il bambino De Mauro ha costante diretta
esperienza, accompagnerà sempre lo studioso De Mauro nelle sue
riflessioni e nelle sue modellizzazioni sui processi di comprensione.
«Ora fammi vedere che hai capito», diceva mia madre ogni tanto a un
alunno. Quello diceva alcune cose incomprensibili per me, invece mia
madre diceva: «Ora sì, vedo che hai capito». Capire le parole non è un
rettilineo eguale per tutti, è una strada tortuosa, piena di false deviazioni
e con tangenti, e non tutti sanno procedere fino al punto giusto (p. 43).

È in questa frase il senso della visione che De Mauro ha dei


fatti, dei processi e dei sistemi linguistici: strumenti che sono a
nostra disposizione, ma per un percorso tortuoso, complesso, non
facilmente riducibile ad un freddo algoritmo. Senza la certezza
che ci può derivare dall'algida razionalità, a chi voglia capire non
rimane che l'assunzione della responsabilità etica di imboccare quel
tortuoso percorso dove l'incomprensione non è un fatto marginale,
ma intrinseco al farsi del cammino verso una comprensione
progressivamente più ricca, forse mai compiutamente realizzata. I
lavori di Tullio De Mauro con il gruppo di "Due Parole", la fondazione
dell'omonimo giornale destinato inizialmente a coloro che hanno
deficit intellettivi, ma sempre più diventato strumento nelle mani
di insegnanti di scuola elementare e media, di docenti di italiano a
immigrati stranieri; ebbene, i suoi lavori soprattutto con gli studenti
dei suoi corsi universitari romani e con M. Emanuela Piemontese sui
processi di non comprensione sono costantemente al centro delle sue
riflessioni teoriche di semiologo e di linguista generale. Il non capirs
nonostante il regolare funzionamento del sistema linguistico, vien
assunto a tratto non eludibile di ogni modello di funzionamento d
linguaggio e delle lingue.
Le sue interpretazioni sono geniali, le sue analisi lo portano
a vedere prima e più lontano degli altri proprio perché è attento
ciò che non è lineare e apparentemente privo di inciampl. Prender
altre vie, spesso ancora non esplorate; usare altri strumenti rispetto
quelli abituali: questo era il suo habitus di ricerca e di vita, collegato
a un atteggiamento generale più cauto verso le apparentemente
semplici vie regolari che verso le inaspettate deviazioni e apertur
Così, la sua attenzione alla centralità dei processi di comprension
e alla inevitabilità del rischio della non comprensione lo porta a

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Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

lavorare sul concetto di 'semplice'. Riprendendo la lezione di uno


dei suoi punti di riferimento, insieme a Saussure e Croce e Gramsci
il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche, la riflessione sul semplice e
sul complesso nel linguaggio lo porta a riscoprire la complessità del
semplice, la tortuosa, aspra, mai banale via per arrivare a produrre
testi che abbiano l'obiettivo di riuscire a farsi capire.
Da qui la sua attenzione agli studi, di ambito comportamentistico,
sulla leggibilità dei testi (ha diffuso in Italia la formula di Flesch, per
il calcolo dell'indice di leggibilità dei testi scritti), e la sua vicinanza
a operazioni giornalistiche e poi l'impegno in imprese editoriali che
facevano del tentativo di scrivere per farsi capire l'essenza della propria
identità. Guardò positivamente all'esperienza del quotidiano L'Occhio,
diretto da Maurizio Costanzo; fondò e diresse per gli Editori Riuniti la
collana dei Libri di Base. Entrambe le iniziative furono osteggiate da
tanti intellettuali: accusate di banalizzare i contenuti culturali, derise,
portate a esempio del presunto disegno di De Mauro di abbassare i
livelli culturali e linguistici italiani. Nessuno di tali attacchi fu sfiorato
dalla consapevolezza di quanto fosse necessario allargare le basi sociali
della cultura, alzare i livelli di competenza linguistica in italiano di
una società che allora - stiamo parlando della seconda metà degli
anni 70 e degli anni 80 - vedeva ancora la stragrande maggioranza
della popolazione con non più dei cinque anni di scolarità della
scuola elementare, e con il numero dei laureati inferiore a quello
degli analfabeti dichiarati. Pensare che questa maggioranza della
popolazione potesse accedere naturaliter ai contenuti della cultura e
della lingua 'alta' era solo il tentativo ipocrita di mantenere le distanze
sociali, culturali e linguistiche fra i ceti, e di impedire l'attuazione
della Costituzione democratica. Il tentativo di De Mauro era, invece,
di agire proprio sugli strumenti linguistici, da curare con attenzione
e competenza tecnica, per consentire che i contenuti culturali 'alti'
potessero diffondersi estesamente nella società.
Il successo dei Libri di Base fu pari agli attacchi rivolti a De Mauro:
il caso del primo Vocabolario di Base della lingua italiana (contenuto
nel Libro di Base Guida all'uso delle parole, 1980) è esemplare. La lista
delle sue parole, costruita con i rigorosi metodi della lessicologia
e lessicografia, divenne l'oggetto del gioco 'c'è questa parola,
manca quest'altra', senza alcuna consapevolezza che il sentimento
linguistico, lessicale individuale non coincide con quello collettivo, e
che questo è l'unico che un'opera lessicografica può pertinentizzare,
con i rigorosi metodi che portano a individuare fonti rappresentative,
corpora di testi rappresentativi degli usi linguistici più diffusi e delle
unità lessicali più profondamente conosciute. La collana dei Libri di

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Massimo Vedovelli

Base fu chiusa dal segretario del nuovo partito che gestiva la casa
editrice: questo per dire quanto De Mauro fosse un intellettuale libero,
non asservito a alcun partito, tanto meno a quello che una volta era il
Partito Comunista più grande dell'Occidente.
Tullio De Mauro, la politica, la scuola
«[...] nel 1940», dissi con tono dell'ovvio. E lei: «Sì, ma tu non fai il
filologo? Come mai sai queste cose e conosci Franco Ciarlantini?». Mentire
spudoratamente dicendo la verità: «Era una personalità di rilievo nel fascismo
degli anni 30. Impossibile per me dimenticarlo». Non ho più rivisto quella
amica di una sera e a quarantanni di distanza sento ancora vergogna per
quella mia (dicevano i casuisti gesuiti) soppressici veri etsuggestio falsi (p. 51).

Il fascismo è un'esperienza che ha segnato l'infanzia di De Mauro e


che con le sue ambiguità porta a condizionare anche il senso di verità
e di falsità nel De Mauro che ormai - siamo a metà degli anni 60 -
ha scelto chiaramente la sua strada: la filologia, la linguistica. Proprio
in quegli anni avviene in lui il passaggio verso una consapevolezza
democratica che contrassegnerà tutta la sua vita civile. A un articolo
del 1996, pubblicato nella "Nuova Antologia" in risposta al profilo
politico-culturale che di lui dà la rivista ("[...] culturalmente si colloca
tra i laici di ispirazione marxista", Nuova Antologia, 1996, aprile-
giugno, p. 13), dà il titolo "Come non nacque e ( diis adiuvantibus) non
morì un marxista teorico in Italia". Tutto il testo è mirato a rendere
chiara la scelta politica di De Mauro: liberale, democratica, prima che
di sinistra, e comunque non marxista anche se molti di coloro che
con lui condivisero l'impegno civile per un progetto di sviluppo delle
competenze linguistiche e culturali innanzitutto tramite il sistema
scolastico di qualità gravitavano intorno ai partiti della sinistra italiana.
In diverse riviste di tale area politica ha scritto alcuni fra i suoi più
coinvolgenti e illuminanti contributi di tipo linguistico-educativo: da
Riforma della Scuola a II comune democratico ai quotidiani come Paese
Sera. Indubbiamente, De Mauro appariva come impegnato a sinistra:
Tullio cerca di smontare questa collocazione nell'articolo della Nuova
Antologia, innanzitutto ricordando le radici del suo impegno civile,
ovvero le riviste Giornale crítico della filosofìa italiana, Critica liberale,
Il Mondo, Il Ponte, Comunità, Nord e Sud, ovvero sedi i cui riferimenti
politico-filosofici non erano marxisti. L'amicizia con Marco Pannella
vede un momento di impegno nel Partito Liberale.
Anche sul piano filosofico un suo riferimento è stato Benedetto
Croce, che si è accompagnato a Antonio Gramsci; ma è difficile
sciogliere il nodo che, dai suoi maestri degli studi liceali, lo portano
a Vico, Leibniz, Hegel, Cassirer, Salvemini, Carlo Antoni, Scaravelli,
Zanotti Bianco, Calogero fino a Wittgenstein. Il contatto di questa base

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Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi In Italia

di riflessione filosofica con i problemi sociali, innanzitutto sperimentati


nel suo lavoro presso la rivista Architettura. Cronache e storie e all'Istituto
Nazionale di Urbanistica con Bruno Zevi, con Riccardo Musatti, sono la
trama dell'approccio al legame fra le vicende linguistiche e le questioni
storiche e sociali nazionali che sono catalizzate dalla situazione
del sistema scolastico. L'incontro con le esperienze di don L
Milano, Bmno Ciari, Mario Lodi, Giuseppe Lombardo Radi
all'editore fiorentino Luciano Manzuoli alimentano una pro
di democratizzazione della società italiana che passa innanzitut
una revisione degli assetti e dei progetti del sistema formativ
la proposta linguistico-educativa di De Mauro, che sin dall
degli anni 60 è fatta di rigore, impegno, qualità, superame
trombonismo retorico, conquista effettiva della cultura intell
più alta, ampliamento delle competenze linguistiche, trasv
di tali competenze fra tutte le aree disciplinari, riconoscim
plurilinguismo storico italiano e effettiva apertura al plurilingu
mondo che si stava delineando dopo gli anni 50; ebbene, questa
proposta educativa aveva una altrettanto forte base filosofica e
che è stata trascurata dai detrattori di De Mauro, i quali hann
nel suo impegno solo la traccia di una sua scelta politica di
De Mauro era, prima che di sinistra, un democratico, semmai
liberale. Ci si dovrebbe chiedere il motivo per cui temi e prop
schietto carattere democratico siano stati assimilati a una posi
parte: è la questione irrisolta della incompiuta democrazia itali
ha visto una parte del ceto dirigente, appunto quella più stori
liberale e democratica, subire un attacco demonizzatore e una sis
opera di ostacolo se non addirittura di distruzione. In Prima p
singolare... De Mauro racconta un colloquio con una collega ital
full professor a Uppsala: liberale in Svezia, ma accusata di com
in Italia, dove anche Robert Hall jr. "linguista nordameric
inclinazioni maccartiste fu accusato di filocomunismo per avere
di «sociologia del linguaggio»" (ivi, p. 145).
De Mauro riconosce che grande parte degli intellettuali itali
quei decenni che sentivano di riconoscersi nelle idealità democ
necessariamente dovevano gravitare nell'area dei partiti di sin
[...] concludendo un memorando elzeviro nella Stampa (il 'giornale
della Fiat'), Leonardo Sciascia esprimeva bene l'animo di tanti che pr
o poi, non comunisti e, se di professioni intellettuali, non marxist
mano a mano giungevano vicino ai comunisti italiani fino a confond
con essi. Diceva Sciascia: io non sono comunista; io vorrei solo una
scuola che funzionasse e educasse davvero, vorrei ospedali efficienti,
servizi funzionanti, una società più libera e colta. In Europa, sarei un
socialdemocratico, forse perfino un conservatore (ivi, p. 147).

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C
Massimo Vedovelli

In Italia era considerato comunista.

De Mauro fu prima consigliere regionale e assessore regionale


all'istruzione del Lazio, dal 1975 al 1980; poi, durante il secondo
governo Amato, fu Ministro della Pubblica Istruzione negli anni
2000 - 2001. Non a caso due dei principali assi della breve azione
del Ministro della Pubblica Istruzione Tullio De Mauro sono stati la
costituzione e i lavori della Commissione ministeriale per il riordin
dei programmi dei cicli superiori da un lato, e il rafforzamento de
rete dei centri di educazione per gli adulti e la loro apertura non solo
questioni dell'insegnamento dell'italiano per gli immigrati stranier
ma verso una identità che li vedesse strumenti per rispondere
molte esigenze e emergenze formative di tutti i cittadini, dall'altr
Compose una Commissione fatta da non meno di 200 persone
rappresentanza di tutte le componenti professionali, sociali e an
ideologiche del mondo della scuola; chi scrive ne faceva parte e rico
bene gli attacchi che il Ministro riceveva - democraticamente -
questi incontri da chi aveva ideologie totalmente difformi dalle sue
Il Ministro che gli succedette chiuse tale democratica Commissione
ne istituì una di cinque componenti: davvero, i numeri sono simbo
Il Ministro De Mauro, giunto al termine del suo incarico, trop
breve e faticosissimo, disse che lasciava con la soddisfazione di
avere raggiunto un risultato: avere promosso la costituzione di circa
500 centri di educazione degli adulti nel nostro Paese; un piccolo
nucleo, che doveva allargarsi. La realtà politica degli anni successivi,
lo sappiamo, è andata in tutt'altra direzione, con tagli miliardari
alla scuola elementare (8 miliardi di euro tagliati al ciclo scolastico
che nelle indagini comparative internazionali era il migliore della
scuola italiana), alla scuola media, all'università, e naturalmente
all'istruzione e formazione degli adulti. E i disastrosi risultati oggi si
vedono tutti!

De Mauro e il plurilinguismo
Da dove viene a De Mauro l'attenzione costante e intensa per il
plurilinguismo, da lui posto a fondamento dei modelli teorici dei fatti
di lingua, a fondamento dei suoi modelli teorici dei fatti di lingua,
nonché delle sue proposte linguistico-educative? Anche su questo
tema è possibile ritrovare una radice personale nelle sue esperienze
dell'infanzia.

« [...] è latino. Vuol dire il più grande di tutti gli dei» (p. 61).

Così il padre spiega le parole latine di un titolo di libro al


bambinetto Tullio, che stava impegnandosi a decifrare i segni scritti.

16
Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

Il latino era un elemento strutturale dell'identità culturale della


famiglia colta della borghesia italiana. La centralità del latino rimar
un filo conduttore di tutti gli studi e le proposte di De Mauro in tem
di politica linguistica e di linguistica educativa.
Mia zia mescolava italiano, espressioni dialettali e francese. Imparammo
subito a capire e a ripetere con gusto il vitvit che diceva di continuo ai
figli (p. 67).

Il contatto con il plurilinguismo avviene all'interno della


famiglia, si lega a un'esperienza di affetti, e rimarrà per sempre uno
dei punti cardini delle sue teorie. Si tratta di una visione ampia del
plurilinguismo, che non riguarda solo le lingue degli altri Stati, ma
ancor più profondamente i rapporti fra gli idiomi entro il sistema di
usi quotidiani della società italiana:
in casa, come ho detto, l'impegno era parlare italiano. Ma il dialetto
mareggiava da ogni lato e in certi casi penetrava a forza (è il caso di
dirlo) nel nostro lessico familiare, specie là dove il lessico italiano, come
accadeva e ancora in piccola parte accade, presentava qualche vacuum
lessicale (p. 71).
È l'esperienza di una variabilità che configura tutta l'esperienza
degli usi linguistici:
e non sono sicuro che, nello scrivere no, ma nel parlare, non mi scappi
detto cristiano, cristiana per «essere umano» come per tanto tempo ho
sentito dire nella mia pur italianizzante famiglia a sud del Garigliano.
Laica sì, anticlericale, magari, ma napoletana (p. 81).
L'attenzione al plurilinguismo deriva dalla diretta esperienza
familiare, di una famiglia colta dove, nonostante l'orientamento
verso lo standard, vivevano usi di idiomi diversi, necessariamente
inseriti in un contesto sociale generale che vedeva primeggiare gli usi
informali dell'italiano e quelli dialettali. L'attenzione al plurilinguismo
è diventata uno dei tratti fondativi della proposta linguistico-
educativa di De Mauro, ma anche delle sue teorizzazioni generali,
dove il plurilinguismo si lega alla variabilità e all'apertura del sistema,
all'imprevedibilità e alla non calcolabilità del senso mediante puri
algoritmi formali. Si tratta di una visione profondamente saussuriana,
e non a caso proprio il commento di De Mauro al Corso di linguistica
generale (Bari: Laterza, 1967) sottolinea come nel ginevrino le
dimensioni della società e della storia (la massa parlante e il tempo)
non si situino accanto alla lingua, accanto al sistema formale, ma siano
interne al sistema rappresentando quelle condizioni che lo 'aprono'
rendendolo vago, incerto, indefinito, ma potentissimo nel permettere
di dare forma al senso. Il plurilinguismo è la manifestazione - una
delle tante - della condizione generale dei processi simbolici: l'essere

17
Massimo Vedovelli

umano 'lotta contro l'inesprimibile' (Tullio riprende spesso la citazione


da Kierkegaard) e crea la relazione con gli altri e con la natura facendo
riferimento a tutti i possibili strumenti simbolici. Ognuno di questi
viene usato nei modi più aperti per raggiungere l'obiettivo principale
della costruzione del senso, dell'adeguata conformazione della oscura
materia presimbolica. In tale processo generale il plurilinguismo
delle lingue storico-naturali è una delle manifestazioni dell'apertura,
dell'indeterminatezza del sistema. Usare le regole, seguirle, e insieme
tenderle al limite fino a violarle e a riformularle e a inventarne di
nuove, in un processo di creatività continua, permanente: almen
questo è il senso del plurilinguismo nell'esperienza personale di
Mauro e nelle sue teorizzazioni.

È nella proposta linguistico-educativa di De Mauro che si delin


nettamente la centralità della prospettiva plurilingue.
Tullio De Mauro e la linguistica educativa
De Mauro è stato il fondatore della linguistica educativa italiana;
anche è possibile ritrovare altri studiosi impegnati nell'elaborazio
di tale materia, il suo peso nell'elaborare una proposta rigorosament
fondata sul piano scientifico e capace di entrare in immediata
sintonia con le esigenze della scuola è da attribuire a Tullio De Maur
Nel discorso di apertura al convegno della Società di Linguistic
Italiana di Viterbo del 2010 ( Linguistica educativa: ragioni e prospetti
in Silvana Ferreri (a cura di), Linguistica educativa, Atti del XLI
congresso internazionale di sudi della Società di Linguistica Italia
(SLI), Viterbo, 27-29 settembre 2010. Roma: Bulzoni, 2012, pp. 3-
De Mauro traccia un percorso storico della disciplina, ritrovando
le presenze in tutte le grandi scuole e momenti della storia de
riflessione linguistica, e ne definisce esemplarmente l'identità: è
scienza dell'educazione linguistica,
studia i processi formativi (e non solo quelli di insegnamento di una
lingua o più, e non solo in fase di prima acquisizione), i processi di crescita
e sviluppo delle capacità langagières e semiotiche" in rapporto agli usi
delle lingue, ai modi in cui "tali lingue interagiscono con i complessivi
apprendimenti", e in funzione di tutto ciò, concorre alla descrizione,
selezione e interpretazione teorica di fatti linguistici (p. 21).

Nel Novecento i suoi punti di riferimento su questo tema sono sta


pedagogisti come Giuseppe Lombardo Radice (che all'inizio del sec
introdusse il termine di educazione linguistica entro un modello
pedagogia della creatività linguistica), ma anche docenti come Bruno
Ciari, Mario Lodi, o intellettuali che hanno rivolto la propria attenzio
creativa alla scuola come Gianni Rodari e don Lorenzo Milani.

18
Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

La proposta di De Mauro si può concretizzare nella formula della


'educazione linguistica democratica', che significa una scuola capace
di dare al maggior numero possibile di cittadine/-i le competenze
culturali e linguistiche adeguate per partecipare a una società
democratica nel mondo contemporaneo, dove le sollecitazioni
alle competenze culturali e comunicative sono forti quanto forse
mai nel passato. Questa educazione linguistica significa conquista
di più parole ("conta di più chi sa più parole", diceva don Milani),
in senso quantitativo e qualitativo; maggiore capacità di lettura e
scrittura; apertura ai linguaggi formali e formalizzati delle scienze in
una visione trasversale del ruolo del linguaggio verbale. "Tutti gli usi
della parola a tutti", diceva Gianni Rodari, e De Mauro fa proprio
questo motto: la buona competenza linguistica, quella cui la scuola
deve mirare, non è il possesso esclusivo di una sola varietà linguistica,
ma la capacità di muoversi entro una spazio linguistico e culturale
adeguatamente ampio; scegliere gli strumenti espressivi più adeguati
per gestire il senso, per esprimersi, capire e farsi capire, per lottare
contro l'inesprimibile.
Tra queste posizioni e quelle di una scuola tradizionalmente legata
a una visione di pura trasmissione di una unica fascia di sapere c'è
una distanza incolmabile, e questa distanza non è tanto sulle tecniche
didattiche o sugli obiettivi generali della formazione, ma sul senso
politico delle due visioni. Quella di De Mauro si fonda sull'analisi
del ruolo che le condizioni sociali (demografiche, professionali ecc.)
e culturali hanno sullo sviluppo delle competenze linguistiche, e
di conseguenza del ruolo che l'istituzione scolastica deve avere in
rapporto alle sollecitazioni e ai bisogni della società e degli individui.
De Mauro è lucidamente consapevole della pluralità di piani che
convergono sulle scelte di educazione linguistica:
vent'anni dopo mi capitò di scrivere la Storia linguistica dell'Italia unita,
e con dovizia di dati vi spiegavo la saldatura, che regnava in Italia
tra redditi, scolarità, capacità di usare la lingua italiana. Il libro, l'ho
raccontato altrove, se posizioni ideologiche supponeva, supponeva quelle
di Nord e Sud, del Mondo, dei liberali di sinistra. Ma qualcuno che lo lesse
come giudice di un concorso disse: Opera più che di studioso, di agitatore
comunista. Comunista io? Mai sia! Ma già Leonardo Sciascia aveva scritto
nelle Parrocchie di Regalpietra su quanto poco bastava - bastava? - in Italia
per essere ritenuto un pericoloso sovversivo. Altri quaranťanni o quasi,
e mi è stato affidato il compito di aprire il congresso della Società di
Linguistica Italiana a Firenze, congresso solenne sull'italiano nel nuovo
millennio. Ma intanto, tra affidamento e svolgimento del congresso, mi
era successo di diventare ministro dell'Istruzione. Ho dovuto fare i salti
mortali per preparare un discorsetto decente. Non si parla - non parlo

19
Massimo Vedovelli

io, almeno - senza emozione nel Salone dei Cinquecento in Palazzo


Vecchio. Volevo cercare di spiegare che cosa è successo nel profondo di
questo paese: la dissaldatura fra redditi, buona scolarità, buona cultura
intellettuale e linguistica. Ce ne accorgemmo con Maria Corda Costa,
indagando nelle scuole, nei secondi anni sessanta, quando la dissaldatura
cominciò a verificarsi (p. 115).

De Mauro colloca la sua proposta linguistico-educativa sul piano


degli assetti culturali e sociali, ovvero su quelli politici. E non ha
paura di dirlo chiaramente:
Quanti capiscono il compito terribile che ha una scuola che non sia
notaia di diseguaglianze culturali, ma promotrice di eguaglianze? Per un
Mario Lodi, per un Vertecchi, per una Pontecorvo che capiscono quelle
ragioni, che sanno e studiano il peso enorme dell'ambiente familiare nel
crescere intellettuale e scolastico, quanti stolidi opinionisti si aggirano
nei giornali a fare strage e strame di ogni seria politica scolastica e
civile con le stupidaggini che scrivono in libertà su - come tra loro si
definiscono -fogli autorevoli? E quanta terrificante influenza hanno su
politici e funzionari e notabili, magari, come dicono, «di sinistra», ma
staccati dalla realtà, disinformati di ciò che la scuola fa, può fare e deve
fare? (p. 90).

De Mauro è stato Ministro della Pubblica Istruzione, e non si limita


alla teorizzazione astratta o alla disputa giornalistica:
e ancora oggi molti non capiscono che voler portare a 18 anni il livello
minimo di istruzione e formazione non ha senso comune senza prefigurare
una sostanziale unificazione, magari a tappe, nel segmento scolastico
mediosuperiore, come al paese servirebbe per stare in Europa non solo
in senso geografico o politico-istituzionale. [...] Nella media unificata di
Bottai, il latino era per tutti, ma non tutti lo sapevano (p. 127).

Per il De Mauro linguista teorico, linguista educativo, Ministro, la


scuola è la sede primaria di un progetto di democrazia linguistica che
sia anche un banco di prova per le teorie generali sul linguaggio e sulle
lingue: posizione, questa, totalmente contraria a quelle di N. Chomsky,
che De Mauro scelse come suo antagonista naturale su tali temi. De Mauro
raccoglie la sfida della varietà, della centralità del piano della parole , del
legame lingua-società-storia-natura, delle vicende dei concreti parlanti
nello sviluppo delle lingue identificando nella scuola il luogo dove poter
gestire e orientare tali processi riportando la competenza nella totalità
dell'essere umano individuo e componente del gruppo sociale. Chomsky
esclude società e storia dalla sua teoria linguistica, limitando la lingua
alla natura e alla formalizzazione dei meccanismi, e perciò esclude la cura
della competenza dalla possibilità degli interventi formativi. Questi, però,
altro non sono che il portato delle dinamiche sociali: non ci poteva essere
distanza maggiore tra lui e De Mauro!

20
Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

De Mauro riporta, dunque, nella scuola il destino espressivo degli


umani: le aule sono il luogo dove si svolge la dialettica sociale che, fra
le ragioni della norma e quelle degli usi, fra tradizione conservatrice
e apertura creativa, fra spirito di campanile e forza di interscambio,
porta alla costruzione dell'identità linguistica e perciò culturale degli
individui e degli assetti sociali.
La scuola è frutto della società e su questa fa ricadere i suoi frutti:
da tale tensione derivano i progetti di politica linguistica, cioè i
disegni che consentono alla scuola di individuare i luoghi di criticità
espressiva a livello sociale e di tentare di porvi rimedio attraverso
la cura delle competenze e la proposta di un modello di buona
competenza linguistica. In questo quadro, l'attenzione di De Mauro
è stata sempre posta alle questioni delle abilità alfabetiche primarie,
alle capacità di leggere e scrivere.
In Parole di giorni un po' meno lontani afferma:
La vignetta aveva un titolo: «analfabeti». Mi fu spiegato dai miei che
si chiamano così quelli che non sanno leggere e scrivere. La parola
riaffiorava in pubblico dopo una dozzina d'anni. Dal censimento del 1936
il governo fascista aveva fatto sopprimere le tradizionali domande dei
regi censimenti sulla capacità di leggere e scrivere. Per l'onore del paese
gli analfabeti non dovevano esistere, almeno sulla carta delle statistiche.
La realtà era assai diversa (p. 39).

Le pagine della SLIU sulla consistenza dell'analfabetismo


nell'Italia appena unita manifestano esemplarmente l'interpretazione
demauriana del rapporto fra italofonia e dialettofonia nello sviluppo
del Paese, e la rigorosità del suo metodo di ricerca: volendo considerare
la dimensione sociale dei fatti linguistici, vuole appoggiare le sue
analisi e interpretazioni a dati di fatto di uguale portata, ben distanti
dalle sporadiche, occasionali, singole testimonianze. Gli attacchi
alla proposta demauriana partivano da posizioni puristiche e si
accompagnavano a una idea di scuola che di fatto escludeva chi
non aveva sufficienti mezzi linguistici a disposizione, dal momento
che rivolgeva la propria proposta formativa a chi già possedeva una
adeguata competenza in italiano. A De Mauro è stato rimproverato di
avere troppo ristretto il numero degli italofoni al momento dell'Unità
nazionale (secondo De Mauro, meno del 3%). De Mauro, da posizioni
più plurilinguistiche e variazionistiche, non si inventa il dato, ma lo
appoggia sui risultati degli studi statistici esistenti sulla materia e a sua
disposizione: materia intrinsecamente considerata estranea al terreno
linguistico dai primi. Ancor più che sul contenuto della materia (se
gli italofoni fossero il 3% o il 10% o il 25% dei cittadini al momento
dell'Unità nazionale) la posizione demauriana è nettamente separata

21
Massimo Vedovelli

da quella dei suoi oppositori a livello epistemologico, dei modelli di


procedere scientifico anche nelle scienze linguistiche. Si è trattato,
infatti, di attacchi portati a De Mauro da posizioni che hanno
segnato epistemologicamente la distanza di tanta cultura linguistica
italiana dai paradigmi scientifici internazionali, come effetto di un
crocianesimo poco riflesso e comunque tale da spingere a irridere la
rigorosa elaborazione di assunti scientificamente validi. In questo
modo l'attacco alimentava l'irrisione alla demauriana apertura delle
scienze del linguaggio alle altre. Il De Mauro variazionista, amante
dell'indeterminatezza semantica e del rifiuto delle formalizzazioni,
era proprio colui che in realtà si appoggiava alle procedure delle
scienze esatte per proporre le sue analisi e interpretazioni.
De Mauro in decine e decine di scritti ripropone il dato di fatto
degli enormi e inaccettabili livelli di bassa o nulla scolarità di ampie
fasce della popolazione, e del legame fra questa condizione e la
dialettofonia pressoché esclusiva:
lo si scoprì a metà degli anni 50, quando furono pubblicati i dati del
censimento del 1951: il 60% degli adulti era privo di ogni titolo di studio,
licenza elementare compresa, e buona parte di questi si dichiarava
spontaneamente incapace di leggere e scrivere (p. 40).
L'italiano diventa un idioma da conquistare per garantire l'effettiva
uguaglianza dei cittadini, delle loro opportunità, della possibilità
di esercitare in pari modo diritti e doveri, di partecipare alla vita di
un Paese democratico. Stravolgendo quanto con lucidità, chiarezza,
precisione, conforto di dati De Mauro ha sempre affermato, ovvero
che alla scuola italiana si presentava un compito di immane portata
(sviluppare l'italofonia e il possesso degli strumenti culturali basati
sulla scrittura in una enorme massa di popolazione), coloro che
lo hanno osteggiato (e continuano ancora oggi a farlo) lo hanno
accusato di avere voluto una scuola facilona e senza regole. Niente
di più distante da quanto De Mauro ha teorizzato in scritti di
denso rigore scientifico e in altri di più ampia funzione divulgativa:
l'immane compito che si presenta alla scuola deve essere assolto con
un impegno ancor più rigoroso, ampio e profondo di quello cui si
limitava la scuola tradizionale. L'educazione linguistica democratica
vuole reali competenze linguistiche, solide e forti, per tutti, e non
incerte capacità per tutti. Come testimonianza della posizione
demauriana ricordiamo solo due argomenti: la questione del tema di
italiano e il rapporto fra capacità linguistiche e altre dimensioni della
vita degli allievi.
De Mauro è stato uno dei massimi accusatori della vuotezza e
inutilità di una pedagogia linguistica tradizionale che faceva dei

22
Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

(e dei 'pensierini' nei primi anni delle scuole elementari) le due attività
principali. De Mauro, riprendendo innanzitutto le posizioni di inizio
Novecento di Giuseppe Lombardo Radice, rifiutava del tema la sua
esaltazione della verbosità, dell'inutile ampollosità e di conseguenza
della lunghezza del testo considerata dalla scuola comunque
parametro positivo; rifiutava soprattutto il fatto che il tema non era
oggetto di istruzione e formazione scolastica: l'abilità di scriverlo era
considerata già presupposta dalla scuola, che pertanto abdicava al suo
compito di strumento di formazione per confermare il suo ruolo di
discriminatore fra chi entrava a scuola con competenze in italiano già
formate e chi, non possedendole a causa della collocazione sociale,
trovava nella prassi scolastica solo lo strumento della sua esclusione
sociale.
De Mauro alimenta la sua critica al tema scolastico con un ricordo
personale, lui che era davvero una persona che sapeva scrivere, si
di scienza, sia di altro. A scuola gli viene assegnato un tema; pens
di svolgerlo in modo originale, e comunque, come era solito, di no
farlo molto lungo:
mi era venuta un'idea, partire con periodi brevi all'inizio, poi sempre
più ampl. Ne ero fiero, una cosa da mandare in brodo di giuggiole quei
miei colleghi di oggi che si sforzano di mostrare le tracce iconiche nel
linguaggio: il mio tema era tutto iconico almeno nella sintassi (p . 46).
Il tema scritto da Tullio viene valutato, invece, negativamente:
la scuola non solo non insegnava a scrivere temi, ma presupponev
che li si sapesse già scrivere secondo un modello che, non esplicitato,
apparteneva al sistema di riferimenti di ideologia linguistica e cultura
che alimentavano la prassi scolastica al di là dei programmi formali.
La critica al tema, anche basata su una negativa esperienza personale,
diventa la critica a tutte le prassi didattiche non esplicitate nell
regole, non rese oggetto di formazione, considerate già possedute dagl
allievi, demotivate e demotivanti, prive di ricadute effettivament
misurabili sulle competenze degli allievi, prive di utilizzabilità ne
contesti comunicativi extrascolastici:

C'era tra noi questa polemica: io gli consegnavo temi di mezza pagina,
una pagina, e in uno avevo autorizzato il diritto-dovere alla concisione.
Mi disse allora: "Guardi, io sono d'accordo con Lei [•••] Ma badi, nessun
altro collega lo farebbe. Stia attento, scrivere a lungo magari a vuoto è un
principio sacro nella nostra scuola." Qualche tempo dopo Calogero scrisse
nel Mondo alcuni articoli assai belli sulla vuotaggine e perfino immoralità
degli sproloqui cui l'uso del tema invita. Poi, negli anni, ho scoperto un
vero almanacco di Gotha della nostra cultura che ha espresso le stesse
condanne: Croce, Gentile, Giuseppe Lombardo Radice, padre Pistelli,

23
Massimo Vedovelli

Gramsci. Ma la cancrena non è ancora guarita del tutto. E anche qualche


mio collega immagina che lo scrivere, l'educazione allo scrivere, sia tutta
nel fare temi (Parole di giorni un po' meno lontani, p. 162).

Tullio De Mauro maestro

Le posizioni di De Mauro sull'educazione linguistica sono il naturale


frutto delle sue posizioni teoretiche sul funzionamento dei linguaggi
delle lingue, e delle sue analisi sulla specifica evoluzione e condizione
linguistico-culturale italiana. Ma come professore, come maestro, De
Mauro metteva concretamente in pratica le sue proposte teoriche?
Chi scrive può e intende parlare solo sulla base della propria
esperienza personale. Dal 1974 De Mauro ritornò alla Sapienza di
Roma a insegnare Filosofia del linguaggio. La notizia si sparse fra gli
studenti e l'attesa fu un misto di curiosità per il nome noto a tutt
e di impazienza per cominciare a frequentare le sue lezioni. L'aul
1 della Facoltà era sempre strapiena. De Mauro passeggiava in aula
scriveva sistematicamente alla lavagna con il gessetto nomi date
titoli, interrogava soprattutto chi si trovava nelle prime file: domande
sempre non banali, che mettevano in crisi perché sollecitavano l
conoscenze, ma anche l'autonomia e la creatività. Chi scrive provò
a mettersi in fondo all'aula per evitare lo stress della scelta del
rispondente. Quel giorno De Mauro passeggiò fino in fondo al
grande aula e... fece una domanda a chi scrive.
Come studenti dei suoi corsi si scoprivano Saussure e Wittgenstein
ci si sentiva invitati a confrontarsi con le analisi di Emilio Garroni o
con quelle dei logici matematici; le lezioni erano veri e propri momenti
di crescita, di conquista di autonomia culturale e intellettuale. Arrivò
il momento dell'esame; lo avevamo preparato insieme - eravamo un
gruppo di amici: Gennaro Chierchia, Enrico Magrelli, Raffaella Petrilli,
Gilda Piersanti, Salvatore Speranza, Teresa Zonno - e aspettavamo di
essere chiamati singolarmente. Ci vide che parlavamo tra di noi, ci
chiamò tutti e ci fece un esame di gruppo: un dialogo fra di noi, e di
tutti e ognuno con lui.
Ci coinvolgeva nelle commissioni di esame, dopo esserci laureati.
Un giorno, nei tempi bui dei terrorismi, entrò dentro l'aula un
gruppo di manifestanti urlanti a interrompere lezioni e esami: Tullio
non volle uscire; "non siete la polizia", disse, ribattendo ai facinorosi
che non avevano alcun potere di interrompere gli esami. Coraggioso,
come sempre nella sua vita: in quanto intellettuale democratico
molto esposto agli attacchi dei terroristi negli anni di piombo italiani,
ma anche nella vita personale, in quanto fratello di Mauro De Mauro,
coraggioso giornalista rapito e ucciso dalla mafia in Sicilia.

24

A
Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

Di quei tempi complicati, peraltro senza grandi prospettive per i


giovani che si affacciavano al mondo della ricerca linguistica - allora
come oggi, in Italia - si ha il ricordo di una persona che innanzitutto
faceva vivere dal di dentro il farsi della ricerca scientifica di linguistica:
ciò significava saper rispondere a una esigenza che emergeva dai fatti
sociali e linguistici, sapere individuare tale esigenza come segnale di
un problema; saper definire il problema e mettere in atto una risposta
conoscitiva; e saper essere rigorosi e creativi anche nel predisporre i
quadri teorici e gli strumenti metodologici.
Entro questa comice sono nate imprese come quelle dei Libri di
Base degli Editori Riuniti; come i progetti sperimentali con le scuole
dell'infanzia di Scandicci, da cui è nato il Giotto-kit, che fu una delle
proposte più innovative degli anni 80; come i progetti di alfabetizzazione
della popolazione adulta, sempre iniziati a Scandicci; come il giornalino
di facile lettura "Due Parole"; come il rifacimento della bolletta Enel dei
consumi di elettricità, per renderla comprensibile ai milioni di utenti
italiani, abituati a pagare il conto senza sapere perché; come il primo
Lessico di frequenza dell'italiano parlato - il LIP ; come il primo Vocabolario di
Base dell'italiano ; come l'impresa lessicografica che ha portato al GRADU
- Grande Dizionario dell'Italiano dell'uso. Grandi imprese, appunto, tutte
caratterizzate dal coinvolgimento di più persone, dall'essere imprese di
gruppo, lavori di squadra. Si è trattato di un grande insegnamento che ha
visto alcuni di noi coinvolti: Stefano Gensini, Emilia Passaponti, Emanuela
Piemontese, Miriam Voghera, Raffaella Petrilli, Anna Thornton, Claudio
Jacobini, Federica Casadei, e tantissimi altri meno giovani e giovanissimi.
De Mauro era il punto di riferimento, il promotore e il direttore di tali
imprese; noi crescevamo al suo insegnamento nel coinvolgimento
diretto e pieno in tutte le fasi, in tutte le operazioni che erano richieste
per il raggiungimento degli obiettivi. Una scuola unica, dove De Mauro
prendeva per mano e accompagnava, ma non solo entro lo sviluppo di
un progetto scientifico, ma ben di più nel corso della vita. Era un maestro,
e ancor più un padre.
Era un modo di fare che gli veniva dai suoi maestri:
lui però, da gran professore, ci teneva d'occhio nel complesso del nostro
divenire e crescere osservandoci anche ben oltre il nostro studio di greco
e latino (p. 149).
Ancor più, però, era la cifra della sua personalità, il suo modo di
essere e di vedere il rapporto con gli altri: gli allievi e i collaboratori
non erano i suoi portaborse; esigeva da loro qualcosa di più, ovvero
intelligenza, studio, creatività, responsabilità, rigore; condivideva
con tutti la crescita del sapere, aperto alla curiosità di scoprire insieme
perché insieme si scopre di più e meglio:

25
Massimo Vedovelli

mi rendo conto ora che allora, e così anche poi, ho concepito le imprese
editoriali come frutto di un lavoro collettivo (p. 102).

Questo atteggiamento valeva per lui non solo per le imprese


editoriali, ma per tutte: lo stare insieme non copriva la responsabilità
personale, ma la alimentava.
In questa prospettiva di lavoro, che esigeva l'impegno e la
responsabilità individuale da un lato, e la condivisione collettiva
dall'altro, sicuramente influiva la personale vicenda accademica di
De Mauro, che era stato radiato dai ruoli di assistente universitario
nei primi anni Sessanta proprio per non avere voluto adeguarsi a
una modalità che, nel suo verticismo, rifiutava il dialogo, l'apertura,
il coinvolgimento di tutti, compresi gli studenti, nel farsi della
conoscenza. Il senso del rispetto dovuto ai Maestri - quelli autentici
- gli derivava non solo dall'ammirazione che aveva avuto per i suoi,
ma anche per il ruolo che forse il massimo fra i suoi maestri, ovvero
Antonino Pagliaro, ebbe per recuperarlo all'Università: iniziò un
percorso di contratti di insegnamento presso diversi atenei (Chieti,
Palermo, Salerno) fino al rientro alla Sapienza di Roma nel 1974 a
insegnare Filosofia del linguaggio, nella cattedra che fu appunto di
Pagliaro, e a diventare poi il primo professore di Linguistica generale
della Sapienza, nel 1996. Oggi i suoi allievi insegnano o hanno
insegnato in moltissime università italiane e straniere.
Un bilancio

Ci siano permesse alcune considerazioni finali. Il De Mauro Ministro


della Pubblica Istruzione è stato per molti di noi il sogno, la speranza,
l'utopia di vedere finalmente realizzati quegli auspici tante volte
espressi nella sua attività scientifica e diffusi nella scuola. Diventato
Ministro, il primo ad attaccarlo sulle sue scelte fu il sindacato che
rappresentava maggioritariamente gli insegnanti di sinistra.
E ancora, gli fu rimproverato pubblicamente di essere stato la
causa, soprattutto con le Tesi Giscel, della rovina della scuola italiana.
Chi scrive, insieme ad altri, è stato testimone diretto, nel congresso
della Società di Linguistica Italiana del settembre 2016 a Milano, di
quello che si spera sia l'epilogo della vicenda, esemplare del modo di
essere di Tullio.

De Mauro ascoltava tutti, era la persona dell'ascolto. Ascoltò


anche le critiche feroci, anche personalmente violente, che gli erano
state rivolte. E si pose davvero il problema se lui e le sue Tesi Giscel
fossero stati la causa del disastro della scuola italiana. Promosse perciò
entro il Giscel una indagine su quanto fossero davvero conosciute le
Tesi dagli insegnanti. I dati raccolti sono stati una amara sorpresa:

26
Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

praticamente una esigua minoranza di insegnanti affermava di sapere


della loro esistenza e di averle lette. Così, durante il congresso SLI De
Mauro si avvicinò al suo accusatore rappresentandogli come, entro
un paradigma scientifico di azione, né lui né le Tesi potevano essere
considerati la causa del disastro della scuola italiana. Non sto a dire
dell'impappinata reazione dell'interessato.
Questo episodio ci spinge a chiederci se davvero De Mauro si
stato un condottiero, un capopopolo di ricercatori e di insegnanti c
ha fatto una rivoluzione. Riteniamo di no; riteniamo, anzi, che sia
stato sempre un isolato, e che forse abbia scelto lui questa posizione,
anche consapevole della distanza fra la sua profondità e ampiezza di
analisi e, ad esempio, il mondo della politica che avrebbe dovuto dare
concretezza alle sue proposte.
I Libri di base, che tanto diedero all'idea di una cultura rigorosa e
accessibile, e che tanto diedero agli Editori Riuniti, furono chiusi dal
segretario del loro partito di riferimento.
La sua esperienza come consigliere e assessore regionale prima,
ministro poi, lo vide impegnato in iniziative di cui la storia, non la
cronachetta politica corrente, darà ragione.
Rimase, però, anche in quello, isolato.
De Mauro è stato definito uomo di un'epoca ormai chiusa per
l'Italia, volendo in qualche modo addossare anche a De Mauro
la responsabilità per i disastri le cui conseguenze gravano oggi
sull'Italia. Noi riteniamo, invece, che il suo disegno scientifico
e politico sia ancora determinante per elaborare un progetto di
sviluppo del nostro Paese. I molti valorosi allievi nelle Università
italiane e straniere sono la testimonianza più rilevante della vitalità
della sua 'scuola', certo non istituita formalmente, ma capace di
produrre frutti sempre nuovi, critici e originali, proprio ciò che
Tullio voleva dai suoi allievi.

Le sue proposte sono ancora capaci di spiegarci i limiti e i potenzia


punti di forza del sistema formativo italiano: nonostante l'acredi
tutta ideologica (e con pizzichi non limitati di invidia personale)
cui è stato oggetto, De Mauro rimane ancora un punto di riferimen
per chi voglia lavorare nella e per la scuola italiana.
L'attenzione alla diffusione dell'italiano in Italia si è accompagnata
in lui sistematicamente a quella per la presenza dell'italiano nel
mondo: a tale tema dedicò uno dei primi congressi della Società
di Linguistica Italiana (1970), da poco da lui co-fondata; diresse
grande indagine Italiano 2000, che ancora oggi rimane un riferimen
in termini di modelli teorici e strumentazione metodologica; fe

27
Massimo Vedovelli

inizialmente parte della Commissione nazionale per la promozione


della lingua e cultura italiana nel mondo, istituita presso il Ministero
degli Affari Esteri.
Fu sempre attento alle ragioni del plurilinguismo, a quelle della
lingua italiana come condizione di possibilità per la partecipazione
democratica, e a quelle delle lingue degli altri: le vecchie e le nuove
minoranze linguistiche.
Negli ultimissimi mesi di vita ha pubblicato il Nuovo Vocabolario
di Base dell'italiano (http://dizionario.internazionale.it/) e ha dato
avvio a una nuova indagine sulla condizione dell'italiano nel mondo:
infaticabile e tenace, ha voluto sempre portare a compimento le
iniziative intraprese e ha sempre voluto promuoverne di nuove.
Rimane forte e viva in noi la sua lezione. Amava i suoi studenti,
anche per questo era un grande professore; il suo amore verso di noi
studenti, prima ancora della sua sapienza, durante le sue lezioni - vere
passeggiate nelle ampie aule dove insegnava - ci riempiva del timore
e del senso di colpa di non riuscire a ricambiarlo in uguale misura.
Oggi, ancor più forte è il suo richiamo ad assumerci la responsabilità
di guidare la nostra scuola, la nostra università e la nostra società
verso una reale democrazia che non è tale se non è linguistica.*

*(N.d.r.) La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha intitolato a Tullio De


Mauro la sala linguistica il giorno 29 maggio 2017. De Mauro nel 1969 lavorò
alla costituzione della Sala linguistica. La famiglia ha donato alla Biblioteca parte
del fondo bibliotecario di De Mauro, soprattutto relativo agli scrittori italiani
contemporanei e alle tesi di laurea. L'Università della Calabria ha istituito un
fondo con gli studi saussuriani di De Mauro. Il Ministero dei Beni Culturali sta
lavorando a un portale digitale unico per accedere alla ricca biblioteca demauriana.

Bibliografia di riferimento di Tullio De Mauro

La bibliografia di Tullio De Mauro è vastissima: è riportata nel sito


www.tulliodemauro.com

Qui di seguito indichiamo solo alcune opere che hanno dato


segno indelebile ai vari settori di studio cui si riferiscono.
Storia linguistica dell'Italia unita. Bari: Laterza, 1963, 1998" 200215, 201120 (rus
parziale: Moskva: Progress, 1971). Print.
Introduzione alla semantica. Bari: Laterza, 1965, 19989. (francese [Paris: Payot, 19
giapponese [Asahi Tokio: Shupphausa, 1967], rumeno [Bucurestì: Editu
Stintifica si Enciclopedica, 1978], Tedesco [Tübingen: Niemeyer, 1981]). Prin

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Tullio De Mauro e gli studi linguistici e linguistico-educativi in Italia

Ludwig Wittgenstein: his Place in the Development of Semantics. Dordrecht:


Reidei, 1966. Print.
Corso di linguistica generale. Introduzione e commento a F. de Saussure. Bari:
Laterza, 1967, 200822 (francese [Paris: Payot, 1972], giapponese [Tokio:
Jiritu Shabo, 1976, 1994 2], spagnolo [Madrid: Alianza Editorial, 1983],
cinese [Pechino: "Guoway yuyanxue", 1983], ceco [Praha: Odeon, 1989]),
russo [Ekaterinburg:Università degli Urali, 1999], rumeno [Lasi: Polirom,
2000]). Print.
Senso e significato. Bari: Adriatica Editrice, 1970. Print.
Le parole e i fatti. Roma: Editori Riuniti, 1977, 19782. Print.
Scuola e linguaggio. Roma: Editori Riuniti, 1977, 19812. Print.
L'Italia delle Italie. Firenze: Nuova Guaraldi, 1979, ried. Roma: Editori Riuniti,
1987, 19923 (premio Nonino 1993, trad, parziale in inglese). Print.
Guida all'uso delle parole. Roma: Editori Riuniti, 1980, 199912, 200313 (spagnolo
[Barcelona: Ediciones del Serbai, 1982]). Print.
Minisemantica dei linguaggi non verbali e delle lingue. Bari: Laterza, 1982, 19974,
20017, 20148 (spagnolo [Madrid: Editorial Gredos, 1986]; neogreco [Nesos
Paradoseis, 2003). Print.
Ai margini del linguaggio. Roma: Editori Riuniti, 1986, 19872. Print.
Guida alla scelta della facoltà universitaria. Bologna: Il Mulino, 1988, 200215.
Print.
Lessico di frequenza dell'italiano parlato-LIP (con F. Mancini, M. Voghera, M.
Vedovelli). Milano: Etas-Libri, 1993, 19942. Print.
Le lauree brevi (con F. De Renzo). Bologna: Il Mulino, 1994, 20007. Print.
Capire le parole. Bari-Roma: Laterza, 1994, 19992. Print.
Idee per il governo: La scuola. Bari-Roma: Laterza, 1995. Print.
DIBē Dizionario di base della lingua italiana (con G.G.Moroni). Torino: Paravia,
1996, 19982. Print.
Guida alla scelta della scuola media superiore (con F. De Renzo). Bari-Roma:
Laterza, 1996, 19982. Print.
DAIC. Dizionario avanzato dell'italiano corrente. Torino: Paravia, 1997. Print.
Prime parole. Dizionario illustrato di base della lingua italiana (con Gisella Moroni
e E. D' Aniello). Torino: Paravia, 1997. Print.
Prima persona singolare passato prossimo indicativo. Roma: Bulzoni, 1998. Print.
Linguistica elementare. Roma: Laterza, 1998, 19982, 19993"4, 200167, 20028, 20158
(trad, portoghese, Lisbona: Editorial Estampa, 2000). Print.
Grande dizionario italiano dell' uso-GRADIT, 6 voli. Torino: UTET, 1999 (con
CD), 2a ed., 8 voll., 2007. (con docking station). Print.
Dizionario della lingua italiana. Torino: Paravia, 2000 (con CD). Print.
Dizionario etimologico (coautore Marco Mancini). Milano: Garzanti, 2000.
Print.
Minima scholaria. Bari: Laterza 20011-2. Print.

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Massimo Vedovelli

Dizionario delle parole straniere nella lingua italiana (coautore Marco Mancini).
Milano: Garzanti, 2001. Print.
Orientarsi nella nuova università (con Franco De Renzo). Bologna: Il Mulino,
2001, 20044. Print.
Prima lezione sul linguaggio. Bari: Laterza, 2002. Print.
Contare e raccontare (con Carlo Bernardini). Bari: Laterza, 2003 1,2 20053. Print.
La fabbrica delle parole. Torino: UTET libreria, 2005. Print.
Dizionarietto di parole del futuro. Bari-Roma: Laterza, 2006. Print.
Primo Tesoro della Lingua Letteraria Italiana del Novecento. Torino: UTET-
Fondazione Bellonci, 2007 (DVD, Introduzione anche su carta). Print.
Lezioni di linguistica teorica. Roma-Bari: Laterza, 2008. Print.
Il linguaggio tra natura e storia. Milano-Roma: Mondadori Education-Sapienza,
2008. Print.
Grande dizionario italiano dei sinonimi e dei contrari. 2 voli. Torino: UTET, 2010.
Print.

La lingua batte (con Andrea Camilleri). Bari-Roma: Laterza, 2013 l, 2014 3. Print.
Storia linguistica dell'Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni. Bari-Roma:
Laterza, 2014, 2a ed. 2015. Print.
In Europa son già 103. Troppe lingue per una democrazia? Bari-Roma: Laterza,
2014. Print.

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