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ROMANO LEZIONE 1

AUTONOMIA DEL TESTATORE E TUTELA DEI LEGITTIMARI


Il diritto delle successioni vive di una doppia anima: approfondiremo il tema dell’autonomia del
testatore ma il diritto delle successioni vive anche della necessità di tutelare quelle che sono delle
posizioni riservate. Cioè la tutela dei più stretti congiunti, che trova espressione nelle norme in
materia di legittimari e il riconoscimento di un’autonomia del testatore nel dettare una disciplina
per il tempo successivo alla propria morte.
TUTELA DEI LEGITTIMARI
Le disposizioni in materia di legittimari presuppongono un modello familiare cui il legislatore
guarda per andare a tutelare delle posizioni ritenute rilevanti. Tale modello familiare ha subito
delle modifiche negli ultimi anni, il pensiero va alla legge n. 219/2012 in materia di stato unico
della filiazione e alla legge n. 76/2016 in materia di unioni civili e convivenze di fatto, che sono
provvedimenti legislativi, che in parte non hanno neppure soddisfatto le attese, soprattutto per le
convivenze di fatto, che vanno a rimodulare il modello di famiglia.
Nel codice del 1942 il modello di famiglia era quello della famiglia basata su vincoli di sangue, che
presupponeva una devoluzione del patrimonio ereditario, in linea retta a beneficio dei discendenti
e in linea collaterale a beneficio di fratelli e sorelle, tanto è vero che la posizione del coniuge era
una posizione del tutto peculiare perché, per evitare che la proprietà familiare andasse a famiglie
diverse, al coniuge veniva riconosciuto un diritto reale di godimento, l’usufrutto uxorio, in maniera
tale da consentirgli la fruizione della ricchezza prodotta dalla famiglia ma evitare una titolarità
(perché il concetto era quello per il quale se poi il coniuge superstite fosse deceduto senza figli,
questa proprietà sarebbe andata ai familiari del coniuge superstite e avrebbe inquinato la
connotazione familiare originaria della ricchezza relitta dal defunto). Quindi nel codice del ‘42 al
coniuge superstite viene riconosciuto il solo usufrutto uxorio mentre la proprietà va a figli, fratelli,
sorelle o altri familiari del defunto.
Questo approccio cambia con la rivoluzione copernicana con la legge n. 151/1975, laddove il
modello familiare di riferimento diventa quello della famiglia nucleare (coniuge e figli), c’è un
trattamento successorio del coniuge particolarmente forte, il coniuge ha delle quote maggiori
rispetto a quelle dei figli; ha i diritti di uso e abitazione sulla casa adibita a residenza familiare; il
diritto successorio del coniuge non cessa con la separazione (la separazione è una patologia del
matrimonio ma non la cessazione del matrimonio), al coniuge separato spettano tutti i diritti
successori del coniuge non separato; addirittura ci sono diritti successori relativamente al coniuge
separato con addebito e addirittura ci sono diritti successori per il divorziato, nel caso di
cessazione degli effetti civili del matrimonio (è una vocazione anomala perché si riconoscono diritti
successori rispetto a chi non ha più un legame di coniugio con il soggetto della cui successione si
tratta).
Relativamente alla riforma del ‘75 la famiglia nucleare diviene termine di riferimento del
legislatore, c’è però un problema serio che è quello dei figli nati fuori dal matrimonio, problema
sempre più rilevante poiché progressivamente si diffondono nel tessuto sociale delle forme
familiari diverse, il pensiero va alle famiglie di fatto, cioè quelle che non si formano per effetto del
matrimonio come titolo originario del legame familiare, famiglie di fatto che pongono il problema
della tutela dei membri; il pensiero va alle famiglie ricomposte, che sono le famiglie di secondo
grado, che nascono per effetto del dissolvimento del primo nucleo familiare (negli anni ’50 la
ricomposizione familiare era quella post vedovile, poi entra in vigore la legge sul divorzio, quindi la
ricomposizione familiare può sorgere anche per effetto della cessazione degli effetti civili del
matrimonio). Tutto questo pone delle problematiche nuove, in quanto c’è la possibilità di relazioni
familiari eterogenee, non è più il modello familiare statico (vale a dire apertura della successione
di un soggetto che lascia coniuge e figli), le famiglie diventano forme liquide che si scompongono e
si ricompongono, per cui c’è la necessità di gestire vicende successorie che coinvolgono membri
della prima famiglia e membri della famiglia sorta per effetto del secondo matrimonio. Questo era
il punctum dolens della riforma del ‘75, ci possiamo trovare di fronte al tema della morte di uno
dei figli nati da queste famiglie e quindi della titolarità del diritto a succedere dei fratelli nati da
diverso matrimonio, i fratelli unilaterali. La riforma del ‘75 aveva fatto un grosso passo avanti,
perché aveva riconosciuto il diritto a succedere nei rapporti in linea retta, anche dei figli naturali,
che venivano equiparati sotto molti profili rispetto ai figli legittimi, il problema era quello dei
rapporti in linea collaterale, cioè come gestire la successione di un fratello rispetto al proprio
fratello naturale, a cui la legge del ‘75 non dava risposte.
Si arriva alla legge del 2012, la quale riconosce lo stato unico di filiazione, cioè riconosce la
filiazione senza aggettivi, il diritto delle successioni riconosce piena tutela sia al figlio nato nel
matrimonio sia al figlio nato fuori dal matrimonio, le circostanze del concepimento non possono
qualificare lo status di figlio, che diventa stato unico di filiazione, con il riconoscimento di pieni
diritti. Questa riforma determina il superamento della distinzione filiazione legittima-filiazione
naturale, adesso c’è soltanto la filiazione, e determina questo superamento anche sulla base di
una riscrittura di un principio, che diventa principio cardine, ed è il principio relativo alla nozione di
parentela ex art. 74 del codice civile “la parentela è il vincolo tra persone che discendono da uno
stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in
cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo” . Prima del 2012 c’era un
sottile distinguo tra parentela e consanguineità: la parentela determinava il sorgere di diritti
successori pieni, la consanguineità determinava il sorgere di diritti successori di secondo grado.
Poiché la parentela presupponeva il vincolo matrimoniale, i figli nati fuori dal vincolo
matrimoniale, non potevano essere ritenuti parenti bensì solo consanguinei e ad essi potevano
essere riconosciuti solo diritti minori dal punto di vista del diritto delle successioni. La riscrittura
dell’art. 74 con il superamento del discrimen tra parentela e consanguineità porta all’applicazione
piena delle norme in materia di vocatio ab intestato, anche a quanti fossero nati fuori dal
matrimonio. Aver inciso sul tenore dell’art. 74 porta anche ad una diversa lettura delle norme sulla
rappresentazione, nonostante la mancanza di una qualsivoglia riscrittura di tali norme.
Poi nel 2016 c’è un altro passo avanti rilevante, che è la legge 76/2016 sulle unioni civili e sulle
convivenze di fatto. L’Italia addiviene ad una disciplina delle coppie omoaffettive e la soluzione
legislativa è stata quella di una “matrimonializzazione” delle unioni civili, non sul rito ma sulle
conseguenze personali e patrimoniali dell’unione civile stessa. Si applicano agli uniti civilmente le
disposizioni di carattere patrimoniale che si applicano ai coniugi, ad esempio il regime
patrimoniale dell’unione civile tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione
patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni, che è il regime legale, analogamente a quanto
avviene per le coppie unite in matrimonio. Oppure alle norme relative al diritto delle successioni,
perché c’è una piena equiparazione degli uniti civilmente rispetto ai coniugi e quindi oggi gli uniti
civilmente hanno titolo alla quota di legittima, hanno titolo ai diritti di uso e abitazione sulla casa
adibita a residenza familiare. Ancora in tema di patto di famiglia, che può essere stipulato anche
tra soggetti uniti civilmente.
La piena equiparazione tra uniti civilmente e coniugi è un’equiparazione in senso orizzontale,
perché poi rispetto alla step child adoption, cioè alla possibilità di adozione dei figli naturali di uno
degli uniti civilmente ma ad oggi abbiamo delle sempre più frequenti fughe in avanti
giurisprudenziali ma il legislatore del 2016 non ha disciplinato anche la possibilità di adozione.
L’equiparazione rispetto alle famiglie nate da unioni eterosessuali è piena in senso orizzontale,
rispetto ai reciproci diritti successori degli uniti civilmente, non è un’equiparazione piena rispetto
ai diritti verticali, potremmo non avere piena tutela successoria per chi non è figlio biologico di uno
degli uniti civilmente, il che significa di andare a creare in via convenzionale, testamentaria
soprattutto, delle attribuzioni nei limiti della disponibile a beneficio di questi soggetti.
La seconda parte della 76/2016 affronta il tema della famiglia di fatto, sia eterosessuale che
omosessuale, non consacrata da un vincolo originario, che si trovava priva di qualsivoglia tutela.
C’era chi riteneva necessario comunque applicare un quadro minimo di tutele ai componenti delle
famiglie di fatto e c’era chi riteneva di dover rispettare questa scelta di libertà, sulla base di una
considerazione preliminare, che è quella per la quale in realtà i componenti della famiglia di fatto
se ritengono di instaurare un rapporto senza formalizzazione è anche perché non vogliono regole
da applicare a questo rapporto, quindi si riteneva non dovesse esserci alcuna disciplina. Il
legislatore nel 2016 detta un quadro minimo di tutele per i componenti della famiglia di fatto,
probabilmente con l’entrata in vigore della 76/2016 si è scontata una crescente attenzione sociale
sul tema delle unioni omoaffettive, mentre la legge non ha risposto alle aspettative per quanto
riguarda i conviventi di fatto.
Il legislatore ha optato per un quadro minimo di tutele, riconoscendo alle parti la possibilità di
implementare queste tutele su un piano pattizio con il contratto di convivenza, è rimasto invece
sguarnito il versante successorio, dove ovviamente gli accordi di convivenza e quindi il quadro
pattizio si scontrano con il divieto dei patti successori, e quindi i conviventi non possono
contrattualizzare i principi tesi a disciplinare le proprie successioni. Sul piano successorio abbiamo
il diritto di uso e abitazione sulla casa adibita a residenza di fatto, temporalmente limitato (2 anni o
3 anni in presenza di figli, fino ad un massimo di 5 anni) e quindi un diritto temporalmente minore
rispetto al diritto vitalizio che viene riconosciuto al coniuge o all’unito civilmente con la
disposizione dell’art. 540 co. 2. Si è previsto il subingresso nel rapporto di locazione, già previsto
dalla legge sulle locazioni; si sono previste tutele sul lavoro nell’ambito di imprese organizzate in
forma di imprese familiari. Quindi l’autonomia del testatore è chiamata ad intervenire laddove il
legislatore non ha coperto le esigenze di tutela con un quadro disciplinare completo. Ecco che
bisogna sforzarsi di dare delle tutele attraverso lo strumento testamentario, ad esempio la
possibilità di un vincolo di destinazione rispetto alla casa adibita a residenza familiare (se si supera
la pregiudiziale dell’idoneità del testamento a costituire titolo per un vincolo di destinazione)
oppure prevedere dei legati obbligatori di mantenimento a beneficio del convivente. Quindi
prevedere degli strumenti che vadano a replicare sul piano della disposizione testamentaria le
tutele riconosciute a coniuge e unito civilmente, con l’aggravante che tutte queste disposizioni
testamentarie devono essere contenute nei limiti della quota disponibile, perché ci sono dei diritti
riservati che non possono essere neutralizzati.
Permangono comunque dei disallineamenti, ad esempio il caso del soggetto separato, che per
qualsiasi motivo non vuole addivenire al divorzio, e instaura un nuovo vincolo affettivo con il
convivente di fatto, ebbene alla morte di questo soggetto, egli non è libero di attribuire l’intero
patrimonio al convivente di fatto, perché deve rispettare la quota di legittima del coniuge
separato, con il quale non c’è più alcuna forma di affectio. Si può avere il caso della convivenza di
fatto che non può tradursi in un nuovo matrimonio, perché non c’è stato il divorzio, e non riesce a
tradursi neanche in una convivenza registrata, perché la pregiudiziale della registrazione della
convivenza è lo stato libero dei soggetti, ecco che in questo caso la quota di legittima compete al
primo coniuge separato e che il convivente ha semplicemente una quota disponibile.
La 76/2016 rispetto a quelle che sono le convivenze fa riferimento alle convivenze registrate, per
cui i modelli familiari si arricchiscono di un’ulteriore sottocategoria, perché c’è la summa divisio tra
convivenze registrate e convivenze non registrate. L’orientamento di gran lunga prevalente ritiene
che possano essere registrate solo le convivenze tra soggetti che siano di stato libero, perché non
si possono sovrapporre gli stati civili (se sono separato non posso registrare una convivenza). E
allora ecco che la proliferazione di modelli familiari impone di diversificare l’attenzione rispetto
alle convivenze registrate e alle convivenze non registrate, perché le poche tutele riconosciute dal
legislatore alle convivenze registrate non ci sono affatto per le convivenze non registrate.
AUTONOMIA DEL TESTATORE
A partire dagli anni ‘90 il dato dell’autonomia del testatore ha avuto un’evidente e sensibile
evoluzione, perché i margini di operatività del voluto testamentario sono oggi molto più ampi. Gli
artt. 587 e 588 cc vanno a testimoniare il cambiamento dell’approccio dello studioso del diritto
delle successioni rispetto al tema dei possibili contenuti del testamento in senso sostanziale. Tali
regole sono emblematiche di un diverso modo di collocare l’autonomia del testatore e di un
diverso riconoscimento di ciò che il testatore può fare e non può fare nell’andare a regolare i
propri interessi, di una diversa collocazione dei limiti entro i quali l’autonomia del testatore può
spingersi nell’andare a definire gli assetti successori. L’art. 587, norma definitoria del testamento,
definisce “il testamento come l’atto con cui il testatore dispone delle proprie sostanze per il tempo
in cui avrà cessato di vivere” e l’art. 588 ci dice che questa disposizione va fatta attraverso
istituzione di erede e legato.
Nella dottrina tradizionale fino agli anni ’90 il combinato disposto degli artt. 587 e 588 veniva
interpretato nel senso che l’art. 587 andasse a tracciare un profilo funzionale generico del
testamento, cioè l’attribuzione delle sostanze (quindi una funzione esclusivamente attributiva
delle sostanze ereditarie) e l’art. 588 andasse a specificare gli strumenti attraverso i quali
l’attribuzione di sostanze si sarebbe potuta realizzare, cioè l’istituzione di erede, con attribuzione
di sostanze a titolo universale o il legato, con attribuzione di sostanze a titolo particolare. Ebbene
questa visione risultava una visione del testamento fortemente riduttiva dei suoi contenuti, per cui
il testamento ha una funzione attributiva e la funzione attributiva si realizza attraverso una
tipicità di disposizioni, che sono istituzione di erede e legato, la conclusione è che tutte le altre
disposizioni sono disposizioni ancillari e secondarie, che non colgono la causa del testamento ma
possono semplicemente arricchire un programma testamentario, che ha il suo nucleo
fondamentale nell’attribuzione di sostanze. Tale interpretazione trova riscontro anche in un’altra
norma, che è l’art. 457 comma 2, per cui “non si dà luogo alla successione legittima se non quando
manchi, in tutto o in parte, quella testamentaria”. Ed è una norma che per molti anni è stata
intesa come una scelta precisa del legislatore sul piano valoriale, cioè ritenere che la successione
legittima, tutelando la famiglia, sia un valore primario dell’ordinamento, la successione
testamentaria, andando a disattendere questo valore, debba avere dei contenuti e dei
riconoscimenti piuttosto limitati, una sorta di eccezione a questa regola, che si può esprimere solo
attraverso gli strumenti dell’istituzione di erede e del legato.
Un’ esempio è la diseredazione, la possibilità di una disposizione negativa era agli antipodi rispetto
all’attribuzione di sostanze, perché l’attribuzione di sostanze è una volontà positiva attributiva
mentre la diseredazione è una volontà negativa di non attribuzione di sostanze di un successibile
ex lege. E allora la conclusione era escludere la legittimità della diseredazione, a meno che in
quella disposizione testamentaria non si possa evincere che in realtà attraverso quella
diseredazione il testatore avesse inteso attribuire delle sostanze ad altri. In una disposizione di
questo genere poteva essere recuperata una volontà attributiva, perché dicendo di voler escludere
il terzo nipote, il testatore in realtà intendeva istituire il primo ed il secondo. La Cassazione del
2012 ammette la diseredazione come disposizione puramente negativa, cioè la condicio sine qua
non per andare a riconoscere la legittimità di una disposizione diseredativa non è più leggere nella
diseredazione la istituzione di erede ma il testatore può anche dire “escludo dalla mia successione
mio nipote Tizio” senza che la validità di questa disposizione si subordinata alla interpretazione del
voluto testamentario nel senso di voler istituire qualche altro erede.
Ancora, le cd. teorie moniste nell’ambito della divisione testamentaria, per cui quando istituisco
erede più soggetti e divido tra gli stessi il mio patrimonio, non faccio due cose diverse ma faccio la
stessa cosa, perché la disposizione va letta nell’ambito dell’ istituzione di erede. Con la
conseguenza di andare a limitare fortemente gli ambiti operativi della divisione testamentaria,
poiché la causa di questa disposizione distributiva sarebbe sempre l’istituzione di erede.
Poi c’erano altre disposizioni cui veniva riconosciuta la portata unicamente accessoria rispetto alle
disposizioni attributive, ad esempio le dispense da collazione e imputazione, le norme sulla
ripartizione dei debiti, la disposizione modale.
A partire dalla fine degli anni ’80, inizi ’90 la dottrina mette in discussione la ricostruzione del
testamento come attribuzione di sostanze, attribuzione di sostanze da andare a realizzare
attraverso l’istituzione di erede ed il legato. Già soffermandoci sui legati, lo stesso legislatore non
parla solo dei legati di specie, non disciplina tra i legati tipici soltanto i legati con cui si realizza
un’attribuzione di sostanze, disciplina anche i legati obbligatori, in cui non c’è alcuna attribuzione
di sostanze, in cui sorgono dei nuovi rapporti di carattere obbligatorio per effetto della
disposizione testamentaria. Anche le norme sulla divisione testamentaria, la quale può avere gli
stessi contenuti che può avere la divisione contrattuale, ivi inclusi i conguagli, e ciò perché la
disposizione distributiva ha una causa autonoma rispetto alla causa dell’attribuzione di sostanze,
ha una causa distributiva. La stessa norma dell’art. 457 co. 2, vale a dire successione legittima
regola, successione testamentaria eccezione, viene ribaltata nei suoi significati.
La dottrina sottolinea alcune considerazioni, innanzitutto la famiglia viene tutelata non dalle regole
sulla successione ab intestato ma dalle regole in materia di legittimari, dove il legislatore
effettivamente pone dei limiti all’autonomia, poiché contempla una parte del patrimonio (relictum
+ donatum) da destinare ai più stretti congiunti, e che sono delle disposizioni che hanno una loro
inderogabilità, poiché se disattese preludono al rimedio dell’azione di riduzione. Mentre la vocatio
ab intestato non tutela la famiglia ma mira a individuare i successibili per il caso in cui non lo abbia
fatto il testatore, onde evitare che i beni del patrimonio del testatore diventino res derelictae. Per
cui la successione legittima è un sistema residuale, le norme sulla vocatio ab intestato non
tutelano la famiglia come valore primario, tanto è vero che c’è un’ampia derogabilità da parte del
testatore. Per cui il 457 co. 2 viene ribaltato nei suoi significati, va letto nel senso che c’è un’ampia
libertà del testatore di disciplinare attraverso lo strumento testamentario i propri interessi nel
modo che ritiene più opportuno, fermo restando che allorquando il testatore non lo faccia,
l’ordinamento detta un sistema di chiusura, di regole, per andare ad individuare i possibili
successori rispetto al patrimonio di un defunto che non abbia disciplinato, in tutto o in parte, quelli
che sono i propri assetti successori.
Quindi di riconosce al testamento la possibilità di aprirsi a contenuti diversi rispetto all’attribuzione
di sostanze. Ecco che si addiviene ad una lettura profondamente diversa dei possibili contenuti
della scheda testamentaria, che è una lettura in termini di funzione regolamentare del testamento
e non più semplicemente attributiva, il testamento è lo strumento con cui il testatore regola i
propri interessi in vista dell’apertura della successione, ci possono essere interessi attributivi che
vengono ad essere realizzati attraverso l’istituzione di erede e i legati di specie ma ci possono
essere anche interessi diversi, che possono essere realizzati attraverso legati obbligatori,
disposizioni divisionali, disposizioni obbligatorie riconducibili al modus, attraverso sanzioni
testamentarie. Al contenuto del testamento si aprono nuovi scenari regolamentari, come il
rapporto tra testamento e regolamenti contrattuali, cioè la possibilità che il testamento si inserisca
nell’ambito della genesi dei contratti, facendo sorgere l’obbligo di contrarre (legati di contratto); la
possibilità che il testamento si inserisca nella disciplina della circolazione dei beni (divieti di
alienare nei limiti riconosciuti dall’ordinamento, clausole di prelazione, legati di prelazione);
l’incidenza della regola testamentaria sui rapporti obbligatori in essere, attraverso la traccia
normativa degli gli artt. 658 e 659 il legislatore riconosce l’idoneità del testamento a definire i
rapporti obbligatori in essere, attraverso disposizioni solutorie (datio in solutum testamentaria,
novazione testamentaria) o attraverso delle disposizioni modificative dei rapporti obbligatori
(delegazione, espromissione e accollo per testamento); la possibilità del testatore di andare a
dettare delle sanzioni, delle disposizioni coercitive per indurre gli eredi o i legatari ad adempiere a
degli obblighi o a rispettare dei divieti di fonte testamentaria (clausole di decadenza, clausole di
risoluzione, penale testamentaria).
TERZO AMBITO: GLI ISITUTI ALTERNATIVI AL TESTAMENTO
La disciplina sul patto di famiglia è stata la prima deroga forte al principio di unità della
successione, perché ha creato un sistema disciplinare alternativo per i beni produttivi e quindi ha
creato un doppio binario dal punto di vista della devoluzione delle sostanze. Ancora il trust inter
vivos con funzione successoria e il trust testamentario; il vincolo di destinazione; le clausole
statutarie in maniera successoria; le contrattazioni a favore di terzi con prestazioni da eseguire
dopo la morte dello stipulante. Quindi andremo ad analizzare una possibile applicazione degli
istituti alternativi al testamento, tenendo in considerazione la regola del divieto dei patti
successori.

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