Corrado Stefanachi
Corrado Stefanachi, Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici
e Storico-Politici, via Conservatorio 7, 20122 Milano, corrado.stefanachi@unimi.it.
storia del pensiero politico 2/2013, 283-310 ISSN 2279-9818 © Società editrice il Mulino
Corrado Stefanachi
1
Sul canone realista si veda, per esempio, M. Smith, Realism Thought from Weber
to Kissinger, Baton Rouge, Louisiana State UP, 1986. Sul neorealismo, K.N. Waltz,
Teoria della politica internazionale (1979), Bologna, Il Mulino, 1987.
2
B.W. Blouet parla di «mania americana» per la Geopolitica nei primi anni
Quaranta; si veda Halford Mackinder. A Biografy, College Station, Texas A&M UP,
1987, p. 191.
3
Sull’alternanza tra interesse e disinteresse per la Geopolitica cfr. W. Hepple, The
revival of geopolitics, in «Political Geography Quarterly», 5, Supplement (1986), n. 4,
in particolare pp. S22-S24.
6
N.J. Spykman, The Social Theory of Georg Simmel, New Brunswick and London,
Transaction Publishers, 2009.
7
K.W. Thompson, Master of International Thought, cit.; F. Kaplan, The Wizards of
Armageddon, New York, Touchstone Books, 1983; F. Teggart, In memoriam: Nicholas
John Spykman, 1893-1943, in «American Journal of Sociology», 49 (1943), n. 1, p.
60; E.S. Furniss, The Contribution of Nicholas Spykman to the Study of International
Politics, in «World Politics», 4 (1952), n. 3, pp. 382-401; G. Ó Tuathail, “It’s Smart to
be Geopolitical”: Narrating German Geopolitics in U.S. Political Discourse, 1939-1943,
in Id., Critical Geopolitics. The Politics of Writing Global Space, London, Routledge,
1996, pp. 50-53; e B.W. Blouet, Geopolitics and Globalization in the Twentieth Century,
London, Reaktion Books, 2001, pp. 119-121.
8
K.W. Thompson, Master of International Thought, cit.
9
N.J. Spykman, America’s Strategy in World Politics. The United States and the
Balance of Power, New Brunswick and London, Transaction Publishers, 2008, p. 12;
cfr. anche Id., The Social Theory, cit., pp. 112-127.
10
N.J. Spykman, America’s Strategy, cit. p. 12.
11
Ivi, p. 16.
12
Ivi, pp. 14-15.
13
Ivi, p. 17.
14
Ivi, p. 18.
15
Ivi, p. 25.
16
J.H. Hertz, Idealist Internationalism and the Security Dilemma, in «World Poli-
tics», 2 (1950), 2, pp. 171-201.
17
N.J. Spykman, America’s Strategy, cit., p. 24.
18
Ivi, p. 25.
3. Realismo e geopolitica
N.J. Spykman, The Geography of the Peace, New York, Harcourt, Brace and
19
Company, 1944, p. 4.
23
Ivi, p. 29.
24
Ivi, p. 31.
25
Ivi, p. 32.
26
Ivi, pp. 38-39.
27
Ivi, p. 30.
28
Ivi, pp. 31 e 41.
29
N.J. Spykman, The Geography of the Peace, cit., pp. 22 e 28.
30
N.J. Spykman, Geography and Foreign Policy, I, cit., p. 41.
31
Ivi, pp. 41-42.
32
Ivi, p. 40; ma si veda anche N.J. Spykman, A. A. Rollins, Geographic Objectives in
Foreign Policy, II, in «American Political Science Review», 33 (1939), n. 4, pp. 591-614.
33
N. J. Spykman, Geography and Foreign Policy, I, cit., p. 43
34
N.J. Spykman, The Geography of the Peace, cit., pp. 22- 23.
35
N.J. Spykman, Geography and Foreign Policy, II, in «American Political Science
Review», 32 (1938), n. 2, pp. 213- 236; la citazione è a p. 213.
36
Ivi, pp. 214-225.
37
Ivi pp. 217-224.
38
Ivi, p. 214.
39
Ivi, p. 226.
40
Ivi, p. 229.
41
N.J. Spykman, A.A. Rollins, Geographic Objectives in Foreign Policy, I, in «Ameri-
can Political Science Review», 33 (1939), n. 3, pp. 391-410. La citazione è a p. 399.
42
Sulle diverse tradizioni geopolitiche, G. Parker, Western Geopolitical Thought
in the Twentieth Century, London and Sydney, Croom Helm, 1985.
[U]no studio dei mutamenti delle frontiere negli ultimi cinquemila anni
– scrive Spykman – deve condurre alla conclusione che la natura non è stata
molto chiara su dove l’uomo debba tracciare i suoi confini politici oppure
che l’uomo non le ha dato ascolto. L’abitudine molto umana di chiamare
naturale ciò che è desiderabile e di vedere come innaturale ciò che è indeside-
rabile caratterizza ancora molti studiosi di geografia politica. Inoltre, i profeti
che guidano i loro popoli nella ricerca della «frontiera naturale» sono inclini
a dimenticare che la maggior parte delle frontiere ha due lati, e che quanto
43
N.J. Spykman, Geography and Foreign Policy, I, cit., p. 30.
44
Ibidem.
45
N.J. Spykman, The Geography of Peace, cit., p. 7.
46
N.J. Spykman, A.A. Rollins, Geographic Objectives in Foreign Policy, I, cit., a
p. 396. Il corsivo è mio.
più naturale una frontiera appare da un lato tanto più innaturale essa appare,
molto probabilmente, dall’altro47.
47
Ivi, p. 399.
48
N.J. Spykman, Geography and Foreign Policy, I, cit., p. 30.
49
G. Parker, Ratzel, the French School and the Birth of Alternative Geopolitics, in
«Political Geography», 19 (2000), n. 8, pp. 957-969.
50
L. Febvre, La terra e l’evoluzione umana. Introduzione geografica alla storia
(1922), Torino, Einaudi, 1980, pp. 421-22.
51
Ivi, p. 194.
52
Ivi, p. 277.
53
Ivi, p. 408.
54
N.J. Spykman, Geography and Foreign Policy, I, cit., p. 30.
55
Ivi, p. 28
56
Ibidem.
57
N.J. Spykman, A.A. Rollins, Geographic Objectives in Foreign Policy, I, cit., p. 398.
58
N.J. Spykman, Geography and Foreign Policy, I, cit., p. 40.
59
Ivi, p. 43.
L’uccello d’argento che spicca il volo nel cielo azzurro – obietta Spykman
– può essere il simbolo della libertà, della conquista dello spazio; può sug-
gerire che l’uomo non è più vincolato alla terra; ma tutto ciò, per quanto
poeticamente bello, non è la realtà. L’aeroplano che manifesta il nostro pote-
re aereo è legato da lacci invisibili alle sue basi operative e, al di là di quelle
basi, alle torri di trivellazione nei campi petroliferi in Texas, alle montagne di
cemento delle nostre centrali elettriche; ai depositi di bauxite lungo i fiumi
fangosi della Guiana. La libertà di questi uccelli che spiccano il volo è ingan-
nevole. Essi possono decollare perché la benzina, i lubrificanti e le munizioni
sono stati trasportati a bordo dei camion dai depositi ferroviari, dai porti e
dai magazzini. Il potere aereo americano in Europa e Asia diviene tale alla
fine di una linea di comunicazione marittima alimentata da navi e treni e l’ar-
ma tedesca più efficace contro la nostra aviazione non è il rapido Messersch-
mitt o il potente Junkers ma il lento sottomarino che affonda le nostre navi
da trasporto lungo le loro rotte dai porti del Golfo [del Messico] ai distanti
campi di battaglia67.
65
N.J. Spykman, The Geography of the Peace, cit., p. 46.
66
Ivi, p. 47.
67
Ivi, p. 47.
68
N.J. Spykman, Frontiers, Security, cit. p. 441; cfr. anche Id., Geography and
Foreign Policy, I, cit., p. 32.
69
Ibidem.
70
C. Gray, The Geopolitics of the Nuclear Era: Heartland, Rimlands, and the
Technological Revolution, New York, Crane, Russak & Company, Inc., 1977, p. 2.
71
N.J. Spykman, Geography and Foreign Policy, I, cit., p. 39.
73
Ivi, p. 422.
74
Ivi, p. 431.
alla fine quella dotata della base territoriale più grande, appunto l’im-
pero eurasiatico75.
Questa era l’inedita sfida che l’Impero britannico doveva rico-
noscere quanto prima, e in vista della quale doveva ridefinire la sua
politica e strategia globale; ed essa si rivelava all’occhio addestrato
del geografo, a dimostrazione del fatto che la politica internazionale
necessitava ora più che mai di una chiave di lettura geografica per
cogliere il complesso intreccio di continuità e discontinuità. Da un
lato, la logica di funzionamento del sistema internazionale restava in
misura cospicua inscritta nel dato geografico (l’abbondanza di risor-
se naturali o la centralità dell’heartland, ad esempio, erano altrettanti
elementi geografici che decretavano la temibilità dell’unificazione del
cuore di Eurasia); sennonché quelle «eterne» strutture geografiche
stavano in un rapporto dinamico con la tecnologia e, più in genera-
le, con l’attività organizzata dell’uomo, che ne alterava il significato
politico (era, per esempio, l’insediamento di uno Stato moderno, la
Russia, al posto dei fragili imperi del lontano passato, a dare un nuovo
significato all’unificazione dell’heartland; ed era la costruzione delle
ferrovie che, conferendo un inedito vantaggio alla mobilità terrestre
su quella marittima, generava nuove opportunità di integrazione ed
espansione continentale).
Accusata dai loro (spesso frettolosi) critici di essere nata ana-
cronistica, di ostinarsi a dar peso e rilievo a fattori che gli sviluppi
tecnologici, culturali e sociali della globalizzazione avrebbero reso
presto trascurabili, la Geopolitica mackinderiana (ma invero tutte le
geopolitiche del Novecento, pur così diverse tra loro) era impegnata
invece a tracciare la nuova mappa delle sfide e delle opportunità in
un’arena internazionale resa irriconoscibile dalla ridefinizione, sotto
la spinta innanzitutto della tecnologia, del rapporto tra gli Stati e il
loro ambiente geografico76. Più in particolare, la Geopolitica è stata
uno dei «luoghi» teorici in cui è stata precocemente colta e tematizza-
75
Ivi, p. 443; cfr. anche H.J. Mackinder, Democratic Ideals and Reality. A Study
in the Politics of Reconstruction, London, Constable and Company, 1919, pp. 91-92.
76
S. Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, Il
Mulino, Bologna, 1995.
77
S.B. Jones, Global Strategic Views, in «Geographical Review», 45, 4, October
1955, pp. 492-508.
78
N.J. Spykman, The Geography of Peace, cit., p. 35.
79
Ibidem.
80
Ivi, pp. 40-41.
81
Ivi, p. 41.
ne, e l’Urss – invece di essere una minaccia per il rimland – era stata il
prezioso partner della coalizione tra le potenze anfibie e insulari che
si era opposta a quel tentativo imperiale82. D’altra parte, come scrive
il politologo Colin Gray, le divergenze sul potere relativo di heartland
e rimland (o su altri aspetti specifici) non devono oscurare la robusta
continuità nell’impostazione generale del ragionamento geopolitico di
Mackinder e Spykman: «le ovvie differenze tra Mackinder e Spykman
– osserva Gray – non significano molto. Che la forza di Eurasia risieda
più nell’heartland o rimland non è questione da risolvere con la logica
ma semmai empiricamente, poiché la risposta varierà da periodo a pe-
riodo. [...] Mackinder e Spykman, nonostante le differenze, offrivano
essenzialmente la stessa analisi, e la stessa prescrizione, circa la princi-
pale minaccia alla civiltà occidentale. Entrambi indicavano il pericolo
che avrebbe posto una potenza o una coalizione che fosse riuscita a
dominare la massa continentale eurasiatica»83.
82
Ivi, p. 43.
83
C. Gray, In Defense of the Heartland: Sir Halford Mackinder and His Critics a
Hundred Years On, in «Comparative Strategy», 23 (2004), 1, pp. 9-25. La citazione
è a pp. 20-21.
84
N.J. Spykman, The Geography of Peace, cit. p. 58.
85
A.K. Henrikson, America’s Changing Place in the World: From “Periphery” to
“Centre”?, in J. Gottmann (ed.), Center and Periphery: Spatial Variation in Politics,
Beverly Hills, Sage Publications, 1980, pp. 73-100.
86
N.J. Spykman, The Geography of Peace, cit. p. 34.
87
N.J. Spykman, America’s Strategy, cit., p. 407; cfr. anche pp. 434 -445.
88
Ivi, pp. 406-407 e pp. 434-437.
89
Mutuo il termine da C. Gray, The Geopolitics, cit., p. 29.
90
Ivi, p. 57.
91
M.P. Leffler, The American Conception of National Security and the Beginnings
of the Cold War, 1945-48, in «American Historical Review», 89 (1984), in particolare
p. 356.