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Ma chi l’ha detto che i conflitti sono negativi? I dissidi, oltre che inevitabili,
rappresentano infatti una preziosa occasione di miglioramento personale. Purché
vengano gestiti in modo costruttivo.
«Oddio, anche stamattina sono in ritardo» pensi catapultandoti giù per le scale
di casa, mentre vai al lavoro, prendendotela con i figli che, come al solito,
hanno piantato la loro quotidiana razione di grane mattutine. «Eh no… ci
mancava anche questa!» commenti ad alta voce mentre osservi sconsolata la
tua macchina bloccata dal solito rompiscatole che ha parcheggiato male. Dopo
un bel po’ di manovre riesci finalmente a partire, ma, al primo semaforo, ti
attacchi furiosa al clacson, perché il conducente del veicolo che ti precede non
parte a razzo allo scattare del verde. Arrivi al lavoro: un quarto d’ora per
cercare parcheggio (altri improperi impronunciabili, che ti eri ripromessa di
evitare). Sali le scale e, nell’ordine, te la prendi con: il collega che non ti ha
salutato, l’altro collega che cerca di fare conversazione mentre tu sei sulle
spine pensando che dovresti essere già da un pezzo dietro la scrivania, la
segretaria del capo che ti raggela dicendoti che “lui” è mezz’ora che ti cerca…
Non è una distinzione di poco conto. Perché aiuta a comprendere che in ogni
relazione l’elemento conflittuale è imprescindibile. Anzi, il conflitto è
un’occasione per garantire all’interno della relazione tra due persone la
necessaria propensione al cambiamento, al rinnovamento. Per accettarlo,
quindi, non bisogna aver paura della relazione, ma essere disposti a mettersi in
gioco nel rapporto con l’altro. Ma allora, perché è così difficile riconoscere e
accettare un conflitto?
foto: IMAGEZOO/GETTYIMAGES
Stare nel conflitto non è semplice, a prescindere dalle capacità personali che
rendono un individuo più o meno in grado di fronteggiare bene le situazioni di
crisi. Esistono però anche alcune «tecniche» che si possono sviluppare o
coltivare per imparare a gestire positivamente le situazioni conflittuali.
Anche dialogare con le proprie emozioni può essere molto utile, per esempio, a
gestire emozioni negative come la rabbia che, se lasciate defluire liberamente,
possono ferire in modo profondo gli altri. «Non solo – insiste Daniele Novara –.
Per poter comunicare senza soffocare l’altro né esserne soffocati, con reciproco
rispetto e libertà, è bene imparare a mantenere la giusta distanza anche dalle
persone oltre che dalle proprie emozioni. A riguardo c’è una storiellina
illuminante che utilizzo spesso nel corso dei miei seminari: “In una fredda
serata due porcospini decidono di scaldarsi stringendosi il più possibile uno
contro l’altro, ma si accorgono ben presto di pungersi con gli aculei. Allora si
allontanano tornando però a sentire freddo. Dopo tante faticose prove, i due
porcospini riescono a trovare la posizione che permette loro di scaldarsi senza
pungersi troppo”. La giusta distanza, o vicinanza, aiuta a evitare frasi del tipo:
“Sei sempre il solito!”, “Con te si perde tempo!”, “Sei fatto male”, e a
sostituirle con comunicazioni centrate sulla lettura specifica della situazione,
che permette di vedere le cose per quello che realmente sono, spesso salvando
la relazione».
Purtroppo anche nel campo della mediazione l’Italia è fanalino di coda. Negli
Stati Uniti, per esempio, che pure le cronache dipingono come un Paese molto
violento, esiste tutta una tradizione di coach conflict, persone con una specifica
professionalità che si occupano di accompagnare gli individui nella gestione dei conflitti. Sono
molto utilizzate soprattutto da dirigenti, allenatori, responsabili di associazioni, soggetti che vivono
in contesti particolarmente conflittuali. «Il mediatore è una persona che a una preparazione
specifica, che può essere di tipo psicologico, umanistico, pedagogico, giuridico, associa una serie di
altre competenze: deve saper leggere le emozioni, essere capace di negoziare, saper interpretare i
contesti sociali e organizzativi ed essere in grado di comunicare in modo efficace».
Una professione nuova, quindi, che dovrebbe uscire dalla semi-clandestinità per vedersi
riconosciuta. Al momento, invece, molto è lasciato alla buona volontà delle persone o delle
amministrazioni. Ma bisognerebbe, come spesso accade, fare di più: perché, come afferma anche
Fulvio Scaparro, uno dei precursori della mediazione familiare in Italia, la mediazione aiuta a
trasmettere una cultura positiva del conflitto. Ne valorizza le potenzialità, controlla gli aspetti più
distruttivi, sostiene lo sforzo di trovare soluzioni pacificatorie nel rispetto delle differenze. Delinea,
insomma, una situazione nella quale è possibile recuperare potenziali energie e costruire nuove e
più equilibrate relazioni.
Mediazione condominiale
Mediazione condominiale.
«Il mio coinquilino ama i film horror a tutto volume in piena notte». Oppure:
«Il mio dirimpettaio adora parcheggiare il suo camion nel mio posto auto
condominiale». Sono solo alcuni esempi di conflitti di vicinato, che trovano
ricomposizione alla «Casa dei conflitti» di Torino, espressione del Gruppo
Abele, attiva da dieci anni nel quartiere di San Salvario. «Ci occupiamo di
mediazione sociale in senso più ampio – spiega la coordinatrice delle attività,
Anna Sironi – ma le diatribe condominiali e di vicinato sono comunque tra le
più rappresentate, fin dall’apertura del centro».
Sironi. La «Casa dei conflitti» si è inserita in più ampie politiche integrate sulla
sicurezza. Crediamo nell’importanza di intervenire sui micro-conflitti quotidiani,
perché la qualità della vita dipende anche dalla capacità di riuscire a
stemperare le tensioni con il proprio vicino, col gestore del negozio sotto casa,
col dirimpettaio. È un’area d’intervento scoperta, che non rientra in pieno nelle
pertinenze delle forze dell’ordine, ma nemmeno dei servizi sociali.
Alberto Friso
per saperne di più
www.gruppoabele.org
www.cppp.it
www.associazionegea.it
Di Fulvio Scaparro*
Gli alti costi psicologici ed economici di una separazione bellicosa sono anche
dovuti a un contesto, non solo istituzionale, che anziché ridurre o almeno
controllare gli effetti negativi del conflitto oggettivamente può aggravarlo.
Sono molto spesso le procedure burocratiche, gli interventi dei servizi,
l’ingerenza di altre persone che inaspriscono ulteriormente il conflitto. Andare
in mediazione familiare vuol dire per i genitori recuperare uno spazio tutto loro,
senza interventi esterni, autonomo rispetto all’iter legale giudiziario. Nella
stanza di mediazione, alla presenza di una persona che garantisce imparzialità
e formazione qualificata, i genitori possono costruire insieme una separazione
soddisfacente per entrambi che tutela la crescita equilibrata dei figli affinché
possano sempre contare sul sostegno, la guida e l’affetto gratuito di entrambi i
genitori. La mediazione familiare tutela i genitori perché li mantiene
protagonisti della loro separazione, evitando deleghe e pseudo accordi che, nel
migliore dei casi, diventano occasioni di nuova conflittualità.
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