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INTRODUZIONE AI

SISTEMI PRODUTTIVI
Prof. Vincenzo Duraccio
Parte terza
1. Dal fordismo al postfordismo
Tesi di fondo (controversa): alcuni dei più
significativi mutamenti politici e sociali della nostra
epoca possono essere spiegati alla luce di una
trasformazione epocale dei processi di lavoro e di
organizzazione produttiva.
Questa trasformazione è solitamente descritta come
una transizione da un modello
Fordista--taylorista (Henry Ford e Frederick Taylor)
Fordista
A uno postfordista-
postfordista-toyotista (Toyota)
Così definita anche dai suoi critici (ovvero da coloro
che sottolineano la continuità tra i due modelli:
Masino, Salento)
2. Il fordismo
Eredita parte dei suoi caratteri dal secolo precedente
(XIX) ma si sviluppa nella sua forma “classica” in un
paese (gli Stati Uniti) e in un settore (l’automobile)
che rappresentano l’epitome del capitalismo
In questo senso, il fordismo è figlio della Seconda
Rivoluzione Industriale (petrolio, acciaio ed
elettricità), avvenuta nella seconda metà
dell’Ottocento, ma conosce il suo periodo d’oro nella
prima metà del Novecento (e arriva fino ai primi anni
Settanta)
3. Il fordismo
Il contesto storico: nascita della “questione sociale” e
rappresentanza politica organizzata dei lavoratori; conflitto
tra capitale e lavoro;
Sviluppo tecnologico, miglioramento delle condizioni di
vita, urbanesimo, la “rivoluzione alimentare” (seconda
metà del XIX secolo)
Partiti di massa, sindacati, estensione del suffragio; nascita
dei diritti sociali; diminuzione dell’orario di lavoro, divieto
del lavoro minorile, crisi del formalismo giuridico (limiti
alla libertà di contratto; 1905)
Passaggio dallo Stato liberale (minimo) allo Stato sociale
(figlio anche della crisi del 1929)
Un segno “giuridico” di questo passaggio: l’art. 3
Cost. (1948)
1. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzioni di
sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche,
di condizioni personali e sociali»
2. «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine economico e sociale che, limitando di
fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona
umana e l'effettiva partecipazione di tutti i
lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.»
Il fordismo e la società del lavoro
Non soltanto nuove tecniche produttive e neppure
soltanto nuovi modelli di organizzazione del lavoro in
fabbrica

Una “mutazione antropologica”: la “società del lavoro


totale” e delle macchine; i lavoratori delle grandi fabbriche
come epitome della “classe operaia” (a dispetto dei
numeri); l’obiettivo della piena occupazione;

la fabbrica come modello per la totalità delle relazioni


sociali: la razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro
come modello per la razionalizzazione delle relazioni
sociali
Highland Park (Michigan), 1914
Produzione in serie del modello
T
Catena di montaggio: linea di
assemblaggio motorizzata che
metteva in serie tutte le varie
fasi e organizzazioni del
processo
Standardizzazione e ripetitività
dei compiti
Riduzione delle incertezze e
cause di disturbo
Aumento della produttività
(output per unità di tempo)
Economie di scala
Henry Ford
“Gli americani possono scegliere una Ford
del colore che vogliono, purché sia nero”

“Gli uomini lavorano per due


ragioni: una è la paga, l’altra è
la paura di perdere il posto di lavoro”
“Tutto ciò che si produce si vende”
“Se i prezzi sono abbastanza bassi, si troveranno sempre compratori.
Questa è una delle verità elementari del mondo economico”
“Lo scopo della politica dei 5 dollari per 8 ore al giorno non è solo
assicurarsi un atteggiamento cooperativo dei lavoratori relativamente
alla disciplina necessaria per l’efficacia del sistema delle linee continue
di assemblaggio, ma è anche fornire ai lavoratori un reddito e un tempo
libero sufficiente per consumare i prodotti realizzati dalle grandi
imprese in quantità crescenti”
Frederick Taylor e lo scientific management
(1911)
Analisi e misurazioni oggettive dei
tempi di lavoro (time and motion
studies) in cerca dell’ one best way
Selezione scientifica degli operatori
Eliminazione di ogni “deviazione”
da parte degli operatori rispetto ai
compiti prescritti (esclusione dai
processi decisionali)
Separazione tra pianificazione,
analisi, decisione ed esecuzione
(segue) Taylor e il “gorilla
ammaestrato”
“ben difficilmente si trova in uno
stabilimento un solo operaio, sia
egli impiegato a giornata, a
cottimo, a contratto, oppure in
base a qualunque altro criterio,
che non dedichi gran parte del
proprio tempo a studiare fino a
qual punto egli può rallentare il
ritmo di lavoro, dando pur sempre
l'impressione di lavorare a un
ritmo soddisfacente”
Gli operai sono “pigri per natura”
Il “fordismo-taylorismo” e la fabbrica
Una radicale riorganizzazione del lavoro in fabbrica fondata sulla
produzione di beni di consumo di massa (the first industrial divide)
Lo scientific management (analisi e pianificazione dei processi di lavoro)
consentiva di accrescere la produttività individuale dei lavoratori (Taylor);
la linea di assemblaggio continua consentiva di incrementare le economie
di scala e l’efficienza complessiva del processo (Ford) – Enorme aumento di
produttività
Impresa a forte integrazione verticale (=controllo diretto da monte a valle
della più ampia porzione possibile del processo produttivo) per evitare
disturbi esterni (costo elevato)
Produzione di massa (economie di scala, uso esteso della supervisione
diretta, aumento dei livelli intermedi – es. Fiat, anni ’50: 14 livelli
gerarchici)
Deprofessionalizzazione del lavoro operaio
Controllo capillare anche delle vite private dei lavoratori (lotta alla
“depravazione alcolica e sessuale”; creazione di corpi ispettivi aziendali)
Il fordismo e la società
Rigida separazione tra tempo di vita e tempo di lavoro (nel
secondo dopoguerra, in Europa: 8/8/8); finalizzazione del primo
al secondo (cfr. Gramsci e il proibizionismo negli USA)

“Totale integrazione del proletariato nel rapporto salariale”


(Alain Bihr), ovvero la mercantilizzazione della società
Scomparsa della produzione domestica (la famiglia come unità di
consumo mercantile)
Imposizione di uno standard medio di consumo (diffusione
universale di alcuni beni di consumo)
Riclassificazione di alcuni fattori strategici dell’esistenza come
“salario indiretto” garantito dallo Stato (sicurezza, assistenza, ecc.)
Il fordismo e i cicli economici
Il passaggio tra Ottocento e Novecento segna anche il passaggio dal
“secolo britannico” al “nuovo secolo americano”: il paese-guida del
capitalismo cessa di essere la Gran Bretagna
L’Europa viene divorata da due conflitti mondiali mentre gli Stati
Uniti conoscono un tasso di crescita annua senza paragoni e si
trasformano nel giro di due generazioni da un paese di frontiera a
un’economia industriale dinamica;
Gramsci e i “pensionati della storia economica” (clero, esercito,
proprietari terrieri, dipendenti statali, intellettuali, capitalisti di
ventura): essi sono tanto più numerosi quanto più antica è la storia
di un paese; in America esistevano invece le condizioni
demografiche e sociali ideali per la razionalizzazione della
produzione attraverso la coazione (debolezza dei sindacati) e il
consenso (salari e propaganda morale e politica)
5. I caratteri del fordismo
La filosofia (ossessione) della CRESCITA:

1. Carattere illimitato del mercato e primato della


produzione;

2. ricorso sistematico all'economia di scala;

3. concezione dualistica (conflittuale), della fabbrica e


della produzione;

4. Territorializzazione del capitale in una dimensione


nazionale;
1. Il mercato “infinito”
Nella diffusione di beni di consumo
durevoli e nuovi, gli unici limiti sono
dettati dalle capacità produttive (tra cui
la forza lavoro);
L’unico altro limite è dato dal potere
d'acquisto (la domanda), ossia è
possibile uno squilibrio tra produzione
crescente e salari stagnanti (crisi di
sovrapproduzione: il grande crollo del
1929) ma è un limite esterno, artificiale,
rimuovibile con la diminuzione dei
prezzi (grazie alla standardizzazione del
prodotto, o alla razionalizzazione del
processo produttivo), aumento dei
salari, o politiche pubbliche di sostegno
della domanda (Keynes);
1. (segue) Il mercato infinito
In questa situazione “ideale” (periodo d’oro del fordismo), la
produzione produceva il mercato, ovvero:
«tutto ciò che si produce si vende», (Ford). Da qui deriva che:
è la fabbrica che decide quali beni saranno prodotti e venduti
fase fondamentale è la progettazione del prodotto (che sarà
venduto magari per dieci anni)
la fabbrica è un elemento centrale della società: la sua
razionalità tecnica e pianificatrice deve essere estesa al sociale,
ovvero l’organizzazione della fabbrica può essere estesa e
replicata in quell’unità sociale più ampia che è la società: questa
può essere progettata, e il suo disordine ridotto, estendendo ad
essa la razionalità tecnica della fabbrica (a destra come a sinistra:
la politica si riduce così a organizzazione efficiente)
2. L’economia di scala
(ovvero, neutralizzare i costi, dilatando i volumi)
Se la quantità è infinita, i costi
sono pari a zero!
Di qui: il gigantismo degli
impianti, la centralizzazione
delle operazioni
le vaste aree improduttive:
scorte e tempi di attesa
enormi
fino al 20-30% di lavoratori
non direttamente impegnati FIAT - Mirafiori
nella produzione (ma nella
pianificazione-
comunicazione-controllo
delle operazioni produttive)
2. Economia di scala (segue)
1. tempi lunghi dalla progettazione del prodotto alla sua realizzazione
(e corrispondenti cicli lunghi di vita del prodotto)
anche per questo gli interventi di processo erano in parte sottratti
al controllo di produttività
2. Il principio organizzativo della fabbrica fordista era di tipo
burocratico-militare:
gerarchie aziendali e gerarchie militari erano del tutto simili:
strutture rigide e piani immodificabili nel breve periodo,
programmazione precisa e insensibile ai disturbi; modello di
decisione autoritario (top-down)
3. Concezione dualistica
(conflittuale) della produzione
Nella fabbrica si confrontano due entità
portatrici di interessi naturalmente
contrapposti ("spremere" vs. "resistere")
Gli uomini lavorano per due ragioni… (Ford)
Rivelare le potenzialità produttive
“consapevolmente occultate dall’operaio”
(pigro per natura: Taylor)
L’atto produttivo è l’esito di una lotta (tra il
potere di direzione dell’imprenditore e la
legittima resistenza del lavoratore)
3. Concezione dualistica della produzione
L’analisi di Gramsci in Americanismo e fordismo (22°
quaderno dal carcere, 1934)
La stessa volontà di creare un “gorilla ammaestrato”
(Taylor) può indurre a un corso di pensieri poco
conformisti
Il fordismo non è solo un modo di produzione di merci, ma
il tentativo di creare “un tipo nuovo di lavoratore e di
uomo” (vedi il proibizionismo, l’incoraggiamento alla
monogamia, il controllo pervasivo di ogni aspetto della
vita, incoraggiato da Ford)
Fascismo e fordismo come due diverse reazioni (una
regressiva, la seconda razionale) delle classi dominanti alla
“crisi organica” del capitalismo nel Novecento
4. La territorializzazione del capitale
Il grande stabilimento è vincolato allo spazio, (e dunque il
capitale al territorio) >>> Nazionalismo economico
Il presidente della GM, Wilson (e Valletta per la Fiat): “Ciò che è
bene per la GM, è bene per gli Usa”
I mercati stranieri vanno conquistati, ma conservando la
centralità strategica della nazione di riferimento: gli elevati
consumi delle masse in patria permettono il successo delle
industrie nazionali (a loro volta “strategiche”
lo spazio dell'economia e lo spazio della politica coincidono
Di qui l'importanza delle politiche economiche, la dimensione
immediatamente politica del conflitto tra capitale e lavoro
(mediato dallo Stato, attraverso la c.d. concertazione): il capitale
chiede sostegno allo Stato (infrastrutture, cassa integrazione), il
lavoro chiede allo Stato di appoggiare le sue richieste (maggiori
salari e maggiori diritti)
Un passaggio di paradigma?
Dalla metà degli anni Settanta, alla filosofia della
crescita viene contrapposta la consapevolezza del
limite (evento simbolo: la crisi petrolifera del 1973)
Netta separazione tra sviluppo e crescita: il capitale
deve imparare a svilupparsi SENZA crescere
Dal 5% annuo di crescita mondiale (50-70) si è passati
all'inizio degli anni '90 allo 0,9% (anni ’80: 3,4%),
nonostante la produttività abbia continuato a
crescere al 4% (e alcune realtà – la Cina – crescono
attualmente ad un tasso dell’8-10%)
Dagli anni ’80: aumento della competizione
internazionale: libera circolazione delle merci e dei
capitali (globalizzazione commerciale, produttiva,
finanziaria)
Il postfordismo (toyotismo)
I quattro punti del paradigma fordista vengono
esattamente rovesciati:

1. Saturazione dei mercati

2. Produzione snella (o flessibile)

3. Concezione monistica (egemonica) della produzione

4. Deterritorializzazione del capitale


1. Saturazione dei mercati
In Italia, 1.500 telefonini, oltre 600 auto per 1000 abitanti
Qual è il tetto fisico?
Mercato di sostituzione dei principali beni di consumo
Forte spinta all’innovazione (rapida obsolescenza)
Esaurimento delle risorse fisiche, energetiche
Ma il modello occidentale non è universalizzabile, anzi
esso si mantiene CONTRO il resto del mondo (produttori
ma non consumatori)
Competizione globale tra i produttori ma mercati limitati
(in espansione solo in aree limitate)
LIMITE INTERNO (non rimuovibile)
1. Il mercato dell’auto
4.000 auto prodotte nel 1900; 20 milioni di auto circolanti prima della
Seconda Guerra; (incremento medio annuo del 10%; raddoppio ogni
decennio)
53 mln nel 1950; 98 mln nel 1960; 195 mln nel 1970; MA SOLO 400 nel 1990
(non 800) (di cui l'81% in Europa, Usa, Canada e Giappone: mercato "saturo",
di sostituzione)
Oltre l’80% dell’umanità è appiedato (un terzo dell’umanità non ha accesso
all’elettricità, due terzi non hanno mai fatto una telefonata)
Oggi, la produzione “potenziale” di automobili è di oltre 90 milioni all’anno,
ma si vendono poco più di 60 milioni di auto (sovracapacità produttiva,
concentrata in Europa e negli Stati Uniti);
(segue) La produzione mondiale di
auto
Auto+VC 1999 2007 2008 2009 2010
(in migliaia)
Usa 13.024 10.780 8.693 5.731 7.761

Giappone 9.895 11.596 11.575 7.934 9.625

Germania 5.687 6.213 6.045 5.209 5.905

Cina 1.829 8.882 9.299 13.790 18.264

ITALIA 1.701 1.284 1.023 843 857


1. La saturazione dei mercati
(occidentali)
Il limite alla produzione è oggi INTERNO per
ragioni sia sociali (l’iniqua distribuzione della
ricchezza a livello planetario) sia “tecniche”
(l’estensione dei livelli di consumo all’interno
pianeta provocherebbe il crac)
La produzione si muove in un ambiente
anelastico (non produce più il mercato)
Il mercato è ora la vera VARIABILE
INDIPENDENTE colla quale la produzione deve
misurarsi (non è più vero che tutto ciò che si
produce prima o poi si vende)
1. La saturazione dei mercati
La produzione non può dunque più essere
pianificata sul lungo periodo
Deve invece procedere per prove ed errori
(razionalità processuale), ovvero rispondere in
maniera elastica ai rapidi aumenti e cadute della
domanda
Dimensione temporale ridotta
L’ipercompetizione richiede imprevedibilità,
irrazionalità (logica della guerriglia anziché guerra di
posizione; anche chi sta vincendo deve saper
cambiare le regole)
2. La produzione snella (lean production)
o “doing more with less”
Taiichi OHNO, Lo spirito Toyota, 1988, e il Toyota production
system (dagli anni Cinquanta)
Una rivoluzione organizzativa per “sopravvivere un'epoca di
crescita lenta”, in cui «un sistema produttivo basato sulla
quantità [...] non è più funzionale» (soprattutto in Giappone)
L'unica soluzione è una feroce riduzione degli sprechi: tempi
morti, semilavorati fermi, sfasature tra commissione e
produzione, tra produzione e consegna
Produzione snella, accorciata, sincronizzata
Senza scorte, i pezzi arrivano solo dove e quando servono
(JUST IN TIME)
Passaggio da mansioni esecutive a controllo + risoluz.
problemi
8 tipi di sprechi (muda)
sovra-lavorazione, compiere più lavorazioni di quelle richieste dal
cliente
sovra-produzione, produrre più unita' di quelle richieste dal cliente
ri-lavorazione, compiere più volte un processo o parte di esso per
eliminare errori a monte
giacenza, in generale lo stock puo' essere definito come spreco
intelletto, non utilizzare/esprimere idee migliorative/capacita' degli
operatori
trasporto, spostamento di materiale inutile
movimento, spostamento/movimento inutile compiuto dall'
operatore
attesa (tempi morti)
2. La produzione snella
(segue)
Revelli: Il sistema Toyota sottopone l'organizzazione
aziendale, il corpo dell'impresa allo stesso
trattamento cui Taylor aveva sottoposto il corpo del
singolo operaio: la razionalizzazione del tempo di
lavoro è estesa a tutta la fabbrica (un “tubo di
cristallo”)
Mettendo la fabbrica “in trazione” vengono a galla
le “sacche di grasso” (aree improduttive)
Estremizza il concetto di INTEGRAZIONE tra le varie
fasi, effettuato non attraverso un controllo esterno
(il cronometrista) ma attraverso lo stesso
funzionamento produttivo (è nella “forza delle
cose”)
2. Le conseguenze della produzione
snella sull’occupazione
Una parte considerevole dell’antico apparato burocratico
diventa inutile (magazzinieri, controllori, gestori del personale);
Si rompe definitivamente il rapporto (già prima non
direttamente proporzionale, grazie alla continua crescità della
produttività) tra produzione e occupazione; nel nuovo modello
produzione e disoccupazione crescono insieme! (vedi la c.d.
“jobless recovery”)
La qualità totale adottata dalla Fiat nel 1989, provocò il
licenziamento di quadri e funzionari, accorciando la catena
gerarchica, assottigliando la “tecnostruttura burocratica”,
incaricata della programmazione logistica
2. La produzione snella come
potenziamento e allo stesso tempo
rovesciamento del modello fordista
Pensare all’inverso (rovesciare il punto di osservazione)
La comunicazione da valle a monte: il flusso informativo va
controcorrente rispetto a quello produttivo, permettendo di
adeguare quest’ultimo alla domanda
Di qui il KANBAN (cartellino con cui una squadra ordina al
reparto a monte i pezzi che le saranno necessari nelle ore
successive): la produzione si autoregola, non si pianifica
La comunicazione non è più sovrapposta al processo di lavoro
(nella fabbrica fordista o si lavorava in silenzio o si comunicava
sospendendo la produzione) ma è parte integrante di essa
Decisioni diluite, decentrate e prese in tempo reale (contro la
separazione taylorista tra pianificazione ed esecuzione)
La sovrapposizione tra
comunicazione e produzione
La produzione richiede la comunicazione, lì dove il modello
fordista tendeva ad eliminare qualsiasi rumore di fondo,
considerato un disturbo;

La comunicazione del lavoratore deve essere qui trasformata in


una risorsa

La comunicazione da valle a monte non è limitata alla fabbrica;


include anche la distribuzione dei prodotti.

Un esempio estremo: i lettori ottici nei supermercati (permettono


di conoscere – ora per ora! – i beni richiesti dal mercato)
Segue: produzione e comunicazione (in
generale)
La produzione non produce più il mercato; è viceversa l’offerta a
inseguire la domanda, ad adattarsi ad essa, a rispondere in tempo
reale alle sue oscillazioni; la tempestività sostituisce le economie di
scala

Questo sposta anche il peso dalla produzione alla distribuzione


(che decide cosa e quanto produrre)

Questo impone di strutturare il processo produttivo nel modo più


flessibile possibile, evitando qualsiasi rigidità (dai macchinari alla
forza lavoro)

Questo richiede anche però non più “gorilla ammaestrati” ma una


forza lavoro che sappia leggere il flusso di informazioni, adattarsi ai
cambiamenti e alle mansioni più diverse, che sappia lavorare
comunicando
3. Concezione monistica (egemonica)
della produzione
La produzione non è più vista come l’esito di un conflitto ma come il
risultato di un processo organico ed unitario
Il principio dell’autoattivazione (l’iniziativa del lavoratore non è un
disturbo ma una risorsa)
Non c'è più il dogma della continuità assoluta del ciclo lavorativo; i
lavoratori hanno margini di decisione e possibilità di intervento:
non solo possono arrestare la catena di montaggio. ma anche
segnalare eventuali innovazioni. La soggettività è incorporata al
processo di lavoro, per ridurre al minimo i difetti
“Decentramento del controllo”; “avvicinare la discrezionalità al
luogo dell’incertezza” (termini ambigui)
3. Concezione monistica
Disponibilità alla mobilitazione totale, senza schemi rigidi e
ripetitivi (rotazione e ampliamento delle mansioni)
La forza lavoro deve interpretare i segnali provenienti
dall'esterno e sapersi adattare ad essi
Le linee a U della Toyota,
Le Unità tecnologiche elementari (Ute), strutture polimorfe
(guidate da un “capo”) che possono mutare le mansioni in base
alle esigenze (dall’individuo al team!)
Un punto essenziale della filosofia produttiva postfordista;
domina l’informalità, ma tutto questo richiede un alto grado di
adesione spontanea del lavoratore nell'impresa come comunità
Es. Le UMI alla Olivetti (1971)
Es. Le UMI alla Olivetti (1971)
La retorica dell’autonomia
Possiamo considerare questa nuova condizione come una risorsa
(come ha ritenuto anche il sindacato italiano)? per realizzare la
democrazia nei luoghi di lavoro? per riportare "la persona" al
centro delle rivendicazioni?
A mio avviso, NO perché la persona di questo nuovo modello è
l'esatto contrario della persona autonoma ed indipendente, il suo
orizzonte si riduce a quello della fabbrica, si definisce entro il
sistema di fini e di valori dell'impresa (istituzione totale)
solo rimuovendo l'idea del conflitto e di una oggettiva
contrapposizione di interessi è possibile integrare la soggettività del
lavoratore nel funzionamento della fabbrica
Una personalizzazione del rapporto pre-capitalistica, incentrata
sulla fedeltà
Le decisioni “delegate” sono solo quelle NON strategiche; la
struttura può permettersi di essere democratica soltanto perché (e
finché) i fini sono ampiamente condivisi
La visione “critica” del
postfordismo

Dal controllo esercitato al controllo esercitabile (Foucault e


l’analisi del Panopticon)
Management by stress (vedi il metodo andon – fabbrica GM-
Toyota in Usa, e la velocizzazione progressiva della linea)
Il cronometro passa nelle mani del lavoratore
La peer-pressure (pressione sociale tra pari): vedi la scelta di
non sostituire i lavoratori assenti
Il metodo andon
Un tabellone luminoso e facilmente visibile indica (su
segnalazione degli operai) eventuali ritardi di lavorazione;
Se il segnale resta acceso per più di un determinato periodo
(es. un minuto) tutta la linea si ferma
N.B. l’ideale NON è la completa assenza di segnalazioni (perché
ciò indicherebbe un ritmo inferiore a quello possibile)
Consente aggiustamenti continui e una progressiva
velocizzazione della linea MA anche una precisa taratura dei
compiti (SENZA cronometrista)
Si basa anche su una notevole PRESSIONE TRA PARI (e sul
caposquadra, che ha il compito di rimediare)
Alcune contraddizioni del nuovo modello / La
soggettività
Perché la nuova "fabbrica integrata" ha un inedito
bisogno della soggettività della forza lavoro: la vecchia
logica burocratica in fondo serviva proprio a escluderla
la nuova fabbrica invece ne dipende drammaticamente
perché l'ha elevata a sua funzione produttiva: cosa fare di
fronte ad un'infedeltà, ad una caduta di motivazione?
se al potere legale si sostituisce quello carismatico, ne
segue una maggiore instabilità, aggravata dal fatto che un
sistema così perfettamente sincronizzato è particolarmente
vulnerabile
Ma è difficile “capitalizzare” questo potere, data la
frammentazione della forza lavoro
Alcune contraddizioni del nuovo modello

Aumenta la forbice tra aspettative sollecitate (autonomia,


creatività) e aspettative soddisfatte (controllo concreto e
impersonale)
Aumenta la distanza tra le sedi delle decisioni strategiche e
quelle della produzione (vedi dopo): più autonome ma sempre
“in ultima analisi” dipendenti dalla società-madre
Aumenta il divario tra esigenze produttive e occupazionali
(tutta la competitività acquistata dal capitale va a spese del
lavoro) – basterà il terziario a recuperare? Da qui i mutamenti
nella sfera del mercato del lavoro
4. Deterritorializzazione del capitale
Globalizzazione commerciale (aumenta l’importanza
dei mercati esteri rispetto a quello nazionale)
Globalizzazione produttiva (aumentano le parti del
ciclo produttivo dislocate all’estero)
Globalizzazione finanziaria (aumenta la circolazione
dei capitali con i quali le imprese finanziano i propri
investimenti) – in un altra prospettiva, aumenta la
quantità di capitale finanziario rispetto al capitale
produttivo
4. Deterritorializzazione
5 fasi nell’integrazione globale dell’impresa (OHMAE
1990)
1. Export attraverso commercianti o distributori locali
2. Distribuzione in proprio all’estero
3. Produzione, marketing e vendite in alcuni mercati
esteri
4. Trasferimento all’estero dei settori chiave (R&D)
5. Scioglimento orizzontale dell’impresa-network
(non un arcipelago di imprese simili ma una rete di
attività sparse per il mondo, e coordinate
organicamente)
Un esempio di “merce globale”
(Robert Reich, ministro Lavoro Clinton)
“Il cittadino americano che, ad esempio, compera dalla
General Motors una Pontiac Le Mans si impegna
inconsapevolmente in una transazione internazionale.
Dei 10.000 dollari pagati alla GM, circa 3000 vanno alla
Corea del Sud per montaggi e lavori eseguiti da operai
generici, 1750 dollari vanno al Giappone per componenti
avanzati (motori, alberi di trasmissione ed elettronica),
750 dollari alla Germania occidentale per la
progettazione stilistica e tecnica, 400 dollari a Taiwan, a
Singapore e ancora al Giappone per l'acquisto di piccoli
componenti, 250 dollari alla Gran Bretagna per servizi
pubblicitari e di marketing e circa 50 dollari all'Irlanda e
alle Barbados per l'elaborazione dati”
4. Deterritorializzazione
Allentare il legame tra capitale e territorio
Make or buy? (buy)
Race to the bottom e dumping fiscale
Ovvero delocalizzazione alla ricerca delle condizioni
migliori – non necessariamente all’estero (Melfi)
Non più economie nazionali più o meno integrate ma
“a single world-wide capitalist system”
Una svolta epocale?
Si rompe un nesso storico tra economia capitalista e stato
nazionale: fino alla seconda metà del XX secolo: lo stato
favoriva la formazione di un mercato nazionale, svolgeva i
compiti non redditizi (costruiva le strade, uniformava le leggi,
assicurava l’ordine), redistribuiva la ricchezza attraverso la leva
fiscale (di qui il suo potere di mediazione nel conflitto tra
capitale e lavoro)
La burocrazia dell’impresa era modellata su quella statale
Il potere economico detta ora le regole all’antico sovrano
I vecchi “campioni nazionali”, allevati e coccolati dal potere
politico, non hanno più bisogno di un mercato di riferimento;
mentre la politica resta ineluttabilmente legata “al territorio”
(alle regole della rappresentanza)
Scelte politiche soggette al “voto” dei mercati
Effetti “visibili” del
postfordismo
Segmentazione, precarizzazione, deregolazione del
mercato del lavoro (anche qui in contrasto con la
logica “universalista” del modello fordista)

Scomparsa del confine interno/esterno (all’impresa)

Crisi (irreversibile?) del modello tradizionale di


relazioni industriali (la c.d. concertazione triangolare,
Stato-imprese-sindacati)

Crisi fiscale dello “Stato del benessere”: gli Stati


nazionali non riescono più a tassare la ricchezza lì
dove questa viene prodotta.
Una lettura alternativa
La finanziarizzazione delle imprese come chiave di
lettura delle trasformazioni organizzative avvenute
negli ultimi trent’anni
Spostamento dell’attenzione dalla sfera della
produzione alla sfera dell’accumulazione: D-M-D / D-
D
TESI: la grande impresa non risponde più allo schema
classico della separazione tra proprietà e controllo
(Berle e Means 1932), che prevedeva il “dominio dei
manager”; al contrario i mercati finanziari hanno
imposto un prepotente “protagonismo degli azionisti”
(o dei mercati)
Un altro postfordismo?
Non una risposta “razionale” ed “efficiente” alla globalizzazione e alla
saturazione dei mercati; l’impresa da soggetto produttore di merci a
portafoglio di investimenti
Effetti “collaterali” delle trasformazioni in corso: accentramento del
coordinamento e del controllo (altro che decentramento), dismissione
di risorse produttive, declino della capacità di innovazione
Le trasformazioni organizzative sono state provocate dall’esigenza di
sostenere il valore dell’impresa e delle sue unità di business sul
mercato finanziario;
Cause storiche: il declino dei profitti nei paesi occidentali a partire dagli
anni 70 ha spostato masse crescenti di capitale dalla produzione
all’investimento finanziario (che pretende una resa del 15% a fronte di
una crescita “reale” del PIL del 2%)
Il “finance-based model”
Il modello dei paesi anglosassoni e delle grandi imprese
transnazionali (va adattato all’Italia)

Finanziarizzazione: dell’economia e dell’impresa

Dalla “rivoluzione tecnocratica” di Berle e Means (1932), fondata


sulla separazione tra proprietà e controllo, al “capitalismo degli
investitori” (Useem 1996) anche attraverso il nuovo ruolo dei CDA

L’impresa da oggetto di proprietà privata a nesso di contratti per la


gestione di fattori della produzione: i manager come “agenti” degli
azionisti

Il profitto non come differenza tra ricavi e costi ma come


differenza di valore azionario nel tempo
I dilemmi delle imprese finanziarizzate
Breve/lungo periodo

Creazione di valore/produttività

La necessità di “rispondere” ai mercati influenza i metodi


di gestione della contabilità, la scelta del management,
ma soprattutto le scelte strategiche: la segmentazione del
processo produttivo funzionale all’accentramento del
controllo / l’abbattimento delle dimensioni occupazionali
/ la focalizzazione sul core business (in realtà, sulle
attività ritenute attraenti dagli investitori)
Gli effetti sulle “risorse umane”
Contro la retorica dell’appartenenza “organica” dei lavoratori al
contesto produttivo, la tendenza è quella a rendere evanescente il
rapporto di lavoro, ovvero ad aggiustare continuamente le “risorse
umane” in funzione dei bisogni, allo scopo di aumentare la
redditività dell’investimento

Trasformare i costi fissi in variabili: il lavoratore deve essere


“indefinitamente sostituibile”; le unità di impresa non
indispensabili devono essere dismesse per generare liquidità
investibile sui mercati

L’esternalizzazione finisce per estendere alle imprese medie e


piccole il processo di finanziarizzazione (attraverso il controllo
inter-imprenditoriale, più efficace di quello gerarchico “interno”)

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