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Il Ministro dell’Istruzione

di concerto con
il Ministro dell’Economia e delle Finanze

Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida,
nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità,
ai sensi dell’articolo 7, comma 2-ter del decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66.

VISTI gli articoli 3, 30, 31, 32, 33, 34, 76, 87 e 117 della Costituzione;
VISTO il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66 recante «Norme per la promozione dell'inclusione
scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell'articolo 1, commi 180 e 181, lettera c), della legge
13 luglio 2015, n. 107»;
VISTO in particolare, l’articolo 7, comma 2-ter del DLgs 13 aprile 2017, n. 66 concernente la
definizione delle modalità, anche tenuto conto dell'accertamento di cui all'articolo 4 della
legge 5 febbraio 1992, n. 104, per l'assegnazione delle misure di sostegno di cui
all’articolo 7 dello stesso DLgs 66/2017 e il modello di PEI, da adottare da parte delle
istituzioni scolastiche;
VISTO l’articolo 1 della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità (CRPD), ratificata
con legge n. 18/2009, il cui scopo è quello di promuovere, proteggere e assicurare il
pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da
parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità;
VISTO l’articolo 1, comma 2 della stessa Convenzione (CRPD) concernente la definizione di
persone con disabilità, ossia «quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a
lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva
partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri»;
VISTA la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF)
dell'Organizzazione mondiale della sanità, approvata con risoluzione dell'Assemblea
mondiale della sanità il 22 maggio 2001;
VISTA la legge 5 ottobre 1990, n. 295, recante «Modifiche ed integrazioni all'articolo 3 del decreto-legge
30 maggio 1988, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 luglio 1988, n. 291, e successive
modificazioni, in materia di revisione delle categorie delle minorazioni e malattie invalidanti» ed in
particolare l'articolo 1;
VISTA la legge 5 febbraio 1992, n. 104, recante «Legge quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i
diritti delle persone handicappate»;
VISTO il decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, recante «Approvazione del testo unico delle
disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, e successive modificazioni»;

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VISTO il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 recante «Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo
1997, n. 59», ed in particolare gli articoli 139 e seguenti;
VISTA la legge 10 marzo 2000, n. 62, recante «Norme per la parità scolastica e disposizioni sul diritto
allo studio e all'istruzione»;
VISTA la legge 8 novembre 2000, n. 328, recante «Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali»;
VISTA la legge 9 gennaio 2004, n. 4, recante: «Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli
strumenti informatici»;
VISTO il decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, recante «Norme generali e livelli essenziali delle
prestazioni sul secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione»;
VISTO il decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, recante «Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di
termini», convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ed in particolare
l'articolo 20;
VISTA la legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante «Norme in materia di disturbi specifici di apprendimento
in ambito scolastico»;
VISTO il decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica», convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio
2010, n. 122, ed in particolare l'articolo 10;
VISTO il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, recante «Disposizioni urgenti per la stabilizzazione
finanziaria» convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111», ed in particolare
l'articolo 19;
VISTO il decreto-legge 12 settembre 2013, n. 104, recante «Misure urgenti in materia di istruzione,
università e ricerca» convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2013, n. 128;
VISTA la legge 7 aprile 2014, n. 56, recante «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle
unioni e fusioni di comuni»;
VISTA la legge 13 luglio 2015, n.107, recante «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione
e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti», ed in particolare i commi 180 e 181,
lettera c);
VISTA la legge 22 giugno 2016, n. 112, recante: «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle
persone con disabilità grave prive del sostegno familiare»;
VISTO il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 62 recante «Norme in materia di valutazione e
certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell'articolo 1, commi 180 e
181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107»;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, recante «Attuazione della
delega di cui all'articolo 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382»;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, concernente Regolamento
recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, recante «Norme per la
riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai
sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni,
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89, recante «Revisione
dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell'infanzia e del primo ciclo di
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istruzione ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 87, che adotta il
«Regolamento recante norme concernenti il riordino degli istituti professionali, ai sensi dell'articolo 64,
comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto
2008, n. 133»;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 88, di adozione del
Regolamento recante «Norme per il riordino degli istituti tecnici a norma dell'articolo 64, comma 4,
del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, che adotta il «Regolamento
recante revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei licei a norma dell'articolo 64,
comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto
2008, n. 133»;
VISTO il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249;
VISTO il decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 28 luglio 2016, n. 162;
SENTITO l’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica, riunitosi il 31 agosto 2020;
ACQUISITO il parere del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, approvato nella seduta
plenaria del 7 settembre 2020;
RITENUTO di accogliere le richieste formulate dal CSPI che non appaiono in contrasto con le
norme regolanti la procedura e che non limitano le prerogative dell’Amministrazione
nella definizione dei criteri generali e, in particolare, di accogliere quanto indicato nel
suddetto parere, con particolare riguardo a: considerazioni sugli organi collegiali;
definizione di GLI; superamento della definizione di atto amministrativo; espressione
del diritto di voto nel GLO; modalità di convocazione del GLO; redazione del verbale
delle riunioni; riferimento alla contitolarità per l’alunno con disabilità; declinazione
specifica di forme di comunicazione non verbali, artistiche e musicali; riferimento al
percorso didattico differenziato per i soli studenti della scuola secondaria di secondo
grado; riferimento specifico alle assenze continuative; precisazioni sul PEI provvisorio;
RITENUTO di non accogliere, in riferimento al richiamato parere del CSPI, l’indicazione che «il
nuovo modello di PEI sia vincolante solo dopo l’adeguamento dei Profili di
Funzionamento, secondo il modello ICF » in quanto il DLgs 66/2017 dispone,
all’articolo 5, che «entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del […] decreto, sono
definite le Linee guida da parte del Ministero della Salute», mentre all’articolo 7 è
specificato che «Con decreto del Ministro dell'istruzione, […], da adottare entro sessanta
giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sono definite le
modalità […] e il modello di PEI», e pertanto il decreto di cui all’articolo 7, comma 2-ter
è, per disposizione di legge, antecedente alle Linee guida per il Profilo di funzionamento;
RITENUTO di non accogliere l’indicazione del CSPI secondo cui il «Decreto interministeriale del
ministero della Salute applicativo dell’articolo 5 del decreto legislativo 66/2017 novellato
[e l’] Accordo della Conferenza Unificata Stato-Regioni, come precisato dall’articolo 3
comma 5-bis del decreto legislativo 66/2017 novellato […] sono determinanti per la
stesura del PEI, nella nuova logica funzionale dell’approccio bio-psico-sociale, così
come indicato all’articolo 7 del decreto legislativo 66/2017 novellato», in quanto il
Profilo di Funzionamento, ai sensi dell’articolo 5 DLgs 66/2017, è «predisposto
secondo i criteri del modello bio-psico-sociale della Classificazione internazionale del
funzionamento, della disabilità e della salute (ICF) dell'Organizzazione mondiale della
sanità (OMS)» e tiene conto della “classificazione” e non già della prospettiva ICF;
3
inoltre, per quanto concerne l’Accordo di cui all’articolo 3 comma 5-bis del decreto
legislativo 66/2017 novellato, non sono presenti anticipazioni rispetto a ciò che deve
essere disciplinato dallo stesso ma, ove necessario, vi è stato fatto esplicito rinvio;
RITENUTO di non accogliere l’indicazione del CSPI secondo cui «andrebbe comunque citato
l’articolo 5 del decreto legislativo 66/2017 novellato» in riferimento alle emanande Linee
guida del Ministero della Salute, in quanto la citazione compare all’articolo 21 del
presente decreto;
RITENUTO di non accogliere la modifica dell’articolo 4, comma 6, in quanto non è possibile stabilire
preventivamente il calendario delle riunioni del GLO, in ragione dell’oggetto e della
tempistica delle verifiche;
RITENUTO di non accogliere la proposta di modifica dell’articolo 10, comma 2, lettera d) in quanto
non coerente con la previsione di cui all’articolo 20, comma 5 del DLgs 62/2017;
RITENUTO di non accogliere la proposta di modifica relativa alla sostituzione, nei testi de qua,
dell’espressione “personalizzare” con “individualizzare”, in quanto l’accezione del
termine “individualizzazione”, pur collocando la propria radice storica nel contesto
normativo delineato dalla legge 104/1992, è stata affiancata e meglio definita dal
concetto di “personalizzazione” sin dalla legge 53/2003 e dal DLgs 59/2004, fino a
trovare una più compiuta collocazione scientifica nella letteratura pedagogica nazionale e
internazionale, oltreché una definizione regolativa all’interno del DM 5669 del 12 luglio
2011, ove è riportata un’analitica distinzione tra “individualizzazione” e
“personalizzazione”, di fatto coerenti con la proposta recata dal presente decreto;
RITENUTO di non accogliere la proposta di chiarimento in ordine alla redazione del PEI provvisorio
da parte della scuola di provenienza, in quanto apposita indicazione è contenuta nelle
Linee guida;
RITENUTO infine di non poter accogliere le richieste formulate dal CSPI, laddove incompatibili con
le prerogative dell’Amministrazione o in contrasto con la normativa vigente nonché
tutte le richieste confliggenti con le finalità esplicative che caratterizzano il presente
decreto;
ACQUISITO il concerto del Ministero dell’economia e delle finanze con nota prot. 20507 del 10
dicembre 2020;

DECRETANO

Articolo 1
Oggetto e definizioni
1. Il presente decreto adotta il modello nazionale di piano educativo individualizzato e le correlate
linee guida e stabilisce le modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con
disabilità.
2. Al presente decreto sono allegati i seguenti documenti, che ne costituiscono parte integrante:
a. Modello di PEI per la scuola dell’infanzia – Allegato A1;
b. Modello di PEI per la scuola primaria – Allegato A2;
c. Modello di PEI per la scuola secondaria di I grado – Allegato A3;
d. Modello di PEI per la scuola secondaria di II grado – Allegato A4;

4
e. Linee Guida concernenti la definizione delle modalità, anche tenuto conto
dell'accertamento di cui all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per
l'assegnazione delle misure di sostegno di cui all’articolo 7 del DLgs 66/2017 e il
modello di PEI, da adottare da parte delle istituzioni scolastiche – Allegato B;
f. Scheda per l’individuazione del debito di funzionamento – Allegato C;
g. Tabella per l’individuazione dei fabbisogni di risorse professionali per il sostegno e
l’assistenza – Allegato C1.
3. Ai fini del presente decreto sono adottate le seguenti definizioni:
a. alunni con disabilità: le bambine e i bambini della scuola dell'infanzia, le alunne e gli
alunni della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado, le studentesse e gli
studenti della scuola secondaria di secondo grado certificati ai sensi dell'articolo 3 della
legge 5 febbraio 1992, n. 104;
b. legge 104/1992: la legge 5 febbraio 1992, n. 104;
c. DLgs 66/2017: il decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66;
d. PEI: il Piano educativo individualizzato di cui all'articolo 12, comma 5 della legge
104/1992;
e. GIT: i gruppi per l'inclusione territoriale;
f. GLO: il gruppo di lavoro operativo per l’inclusione di cui all’articolo 9, comma 10 del
DLgs 66/2017;
g. GLI: il Gruppo di lavoro per l'inclusione, di cui all’articolo 9, comma 8 del DLgs
66/2017;
h. OMS: organizzazione mondiale della sanità;
i. ICF: international classification of functioning;
j. ASL: Azienda sanitaria locale;
k. UMV: Unità multidisciplinare di valutazione.

Articolo 2
Formulazione del Piano Educativo Individualizzato
1. Il PEI:
a. è elaborato e approvato dal GLO ai sensi del successivo articolo 3, comma 9;
b. tiene conto dell'accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini
dell'inclusione scolastica, di cui all'articolo 12, comma 5, della legge 104/1992 e del
Profilo di Funzionamento, avendo particolare riguardo all'indicazione dei facilitatori e
delle barriere, secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF
dell'OMS;
c. attua le indicazioni di cui all’articolo 7 del DLgs 66/2017;
d. è redatto a partire dalla scuola dell'infanzia ed è aggiornato in presenza di nuove e
sopravvenute condizioni di funzionamento della persona;
e. è strumento di progettazione educativa e didattica e ha durata annuale con riferimento
agli obiettivi educativi e didattici, a strumenti e strategie da adottare al fine di realizzare
un ambiente di apprendimento che promuova lo sviluppo delle facoltà degli alunni con
disabilità e il soddisfacimento dei bisogni educativi individuati;
5
f. nel passaggio tra i gradi di istruzione e in caso di trasferimento, è accompagnato
dall’interlocuzione tra i docenti dell’istituzione scolastica di provenienza e i docenti della
scuola di destinazione e, nel caso di trasferimento, è ridefinito sulla base delle diverse
condizioni contestuali e dell’ambiente di apprendimento dell’istituzione scolastica di
destinazione;
g. garantisce il rispetto e l’adempimento delle norme relative al diritto allo studio degli
alunni con disabilità ed esplicita le modalità di sostegno didattico, compresa la proposta
del numero di ore di sostegno alla classe, le modalità di verifica, i criteri di valutazione,
gli interventi di inclusione svolti dal personale docente nell'ambito della classe e in
progetti specifici, la valutazione in relazione alla programmazione individualizzata, nonché
gli interventi di assistenza igienica e di base, svolti dal personale ausiliario nell'ambito del
plesso scolastico e la proposta delle risorse professionali da destinare all'assistenza,
all'autonomia e alla comunicazione, secondo le modalità attuative e gli standard qualitativi
previsti dall'Accordo di cui all’articolo 3, comma 5-bis, del DLgs 66/2017.

Articolo 3
Composizione del Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione
1. Il GLO è composto dal team dei docenti contitolari o dal consiglio di classe e presieduto dal
dirigente scolastico o da un suo delegato. I docenti di sostegno, in quanto contitolari, fanno
parte del Consiglio di classe o del team dei docenti.
2. Partecipano al GLO i genitori dell’alunno con disabilità o chi ne esercita la responsabilità
genitoriale, le figure professionali specifiche, interne ed esterne all’istituzione scolastica, che
interagiscono con la classe e con l’alunno con disabilità nonché, ai fini del necessario supporto,
l’unità di valutazione multidisciplinare.
3. L'UMV dell'ASL di residenza dell'alunno o dell'ASL nel cui distretto si trova la scuola, partecipa
a pieno titolo ai lavori del GLO tramite un rappresentante designato dal Direttore sanitario della
stessa. Nel caso in cui l’ASL non coincida con quella di residenza dell’alunno, la nuova unità
multidisciplinare prende in carico l'alunno dal momento della visita medica nei suoi confronti,
acquisendo la copia del fascicolo sanitario dello stesso dall'ASL di residenza.
4. È assicurata la partecipazione attiva degli studenti e delle studentesse con accertata condizione
di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica nel rispetto del principio di
autodeterminazione.
5. Si intende per figura professionale esterna alla scuola, che interagisce con la classe o con
l’alunno, l’assistente all’autonomia ed alla comunicazione ovvero un rappresentante del GIT
territoriale; quale figura professionale interna, ove esistente, lo psicopedagogista ovvero docenti
referenti per le attività di inclusione o docenti con incarico nel GLI per il supporto alla classe
nell'attuazione del PEI.
6. Il Dirigente scolastico può autorizzare, ove richiesto, la partecipazione di non più di un esperto
indicato dalla famiglia. La suddetta partecipazione ha valore consultivo e non decisionale.
7. Possono essere chiamati a partecipare alle riunioni del GLO anche altri specialisti che operano
in modo continuativo nella scuola con compiti medico, psico-pedagogici e di orientamento,
oltre che i collaboratori scolastici che coadiuvano nell’assistenza di base.
8. Il Dirigente scolastico, a inizio dell’anno scolastico, sulla base della documentazione presente
agli atti, definisce, con proprio decreto, la configurazione del GLO.

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9. Il GLO elabora e approva il PEI tenendo in massima considerazione ogni apporto fornito da
coloro che, in base al presente articolo, sono ammessi alla partecipazione ai suoi lavori,
motivando le decisioni adottate in particolare quando esse si discostano dalle proposte
formulate dai soggetti partecipanti.
10. Ai componenti del Gruppo di Lavoro Operativo per l’inclusione non spetta alcun compenso,
indennità, gettone di presenza, rimborso spese e qualsivoglia altro emolumento.

Articolo 4
Funzionamento del Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione
1. Il GLO si riunisce entro il 30 di giugno per la redazione del PEI provvisorio di cui all’articolo
16 e – di norma - entro il 31 di ottobre per l’approvazione e la sottoscrizione del PEI definitivo.
2. Il PEI è soggetto a verifiche periodiche nel corso dell'anno scolastico al fine di accertare il
raggiungimento degli obiettivi e apportare eventuali modifiche ed integrazioni. Il GLO si
riunisce almeno una volta, da novembre ad aprile, per annotare le revisioni ed effettuare le
relative verifiche intermedie.
3. Il GLO si riunisce ogni anno, entro il 30 di giugno, per la verifica finale e per formulare le
proposte relative al fabbisogno di risorse professionali e per l’assistenza per l’anno successivo.
4. Il GLO è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso
la propria rappresentanza.
5. Le riunioni del GLO si svolgono, salvo motivata necessità, in orario scolastico, in ore non
coincidenti con l’orario di lezione.
6. Le riunioni del GLO possono svolgersi anche a distanza, in modalità telematica sincrona.
7. Il GLO, nella composizione di cui all’articolo3, comma 8 del presente Decreto è convocato dal
Dirigente scolastico o da suo delegato, con un congruo preavviso al fine di favorire la più ampia
partecipazione.
8. Nel corso di ciascuna riunione è redatto apposito verbale, firmato da chi la presiede e da un
segretario verbalizzante, di volta in volta individuato tra i presenti.
9. I membri del GLO hanno accesso al PEI discusso e approvato, nonché ai verbali.
10. I componenti del GLO di cui all'articolo3, comma 1 del presente Decreto, nell’ambito delle
procedure finalizzate all’individuazione del fabbisogno di risorse professionali per il sostegno
didattico e l’assistenza, possono accedere alla partizione del sistema SIDI – Anagrafe degli
alunni con disabilità, per consultare la documentazione necessaria.
11. Le procedure di accesso e di compilazione del PEI nonché di accesso per la consultazione della
documentazione di cui al comma 11, riguardante l’alunno con disabilità, sono attuate nel
rigoroso rispetto del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (RGPD, Regolamento
UE n. 2016/679).

Articolo 5
Raccordo del PEI con il Profilo di Funzionamento
1. Ai sensi dell’articolo 5, comma 4, lettera a) del DLgs 66/2017, il Profilo di Funzionamento è il
documento propedeutico e necessario alla redazione del PEI. Pertanto, è opportuno che il
GLO, oltre a prendere visione del Profilo di Funzionamento, ne fornisca una sintesi che metta
7
in evidenza le informazioni relative alle dimensioni rispetto alle quali è necessaria un’analisi
puntuale, seguita dalla progettazione di interventi specifici.
2. Nel PEI sono riportati, attraverso una sintetica descrizione, gli elementi generali desunti dal
Profilo di Funzionamento.
3. Qualora, nella fase transitoria di attuazione delle norme, non fosse disponibile il Profilo di
funzionamento, le informazioni necessarie alla redazione del PEI sono desunte dalla Diagnosi
Funzionale e dal Profilo Dinamico Funzionale.

Articolo 6
Raccordo del PEI con il Progetto Individuale
1. Nel PEI sono esplicitate indicazioni relative al raccordo tra il PEI e il Progetto Individuale di
cui all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000, n. 328, al fine di realizzare una progettazione
inclusiva che recepisca anche azioni esterne al contesto scolastico, coordinate dall’Ente locale,
rivolte allo sviluppo della persona e alla sua piena partecipazione alla vita sociale.
2. Nel caso in cui il Progetto Individuale sia stato già redatto, al momento della predisposizione del
PEI, è necessario riportare una sintesi dei contenuti e aggiungere informazioni sulle modalità di
coordinamento e interazione con il PEI, tenendo conto delle considerazioni della famiglia.
3. Nel caso in cui il Progetto Individuale sia stato richiesto e non ancora redatto, è opportuno
raccogliere indicazioni utili per la redazione del Progetto.

Articolo 7
Quadro informativo
1. Il modello di PEI prevede un “Quadro informativo” redatto a cura dei genitori o esercenti la
responsabilità genitoriale ovvero di altri componenti del GLO esterni all’istituzione scolastica,
relativo alla situazione familiare e alla descrizione dell’alunno con disabilità.
2. Nella scuola secondaria di secondo grado, uno specifico spazio è dedicato alla descrizione di sé
dello studente, attraverso interviste o colloqui.

Articolo 8
Attività di osservazione sistematica e progettazione degli interventi di sostegno didattico
1. Al fine di individuare i punti di forza sui quali costruire gli interventi educativi e didattici, la
progettazione è preceduta da attività di osservazione sistematica sull’alunno.
2. L’osservazione sistematica - compito affidato a tutti i docenti della sezione e della classe - e la
conseguente elaborazione degli interventi per l’alunno tengono conto e si articolano nelle
seguenti dimensioni:
a. la dimensione della relazione, della interazione e della socializzazione, che fa riferimento alla
sfera affettivo relazionale, considerando l’area del sé, il rapporto con gli altri, la
motivazione verso la relazione consapevole, anche con il gruppo dei pari, le interazioni
con gli adulti di riferimento nel contesto scolastico, la motivazione all’apprendimento;
b. la dimensione della comunicazione e del linguaggio, che fa riferimento alla competenza
linguistica, intesa come comprensione del linguaggio orale, alla produzione verbale e al
relativo uso comunicativo del linguaggio verbale o di linguaggi alternativi o integrativi,
comprese tutte le forme di comunicazione non verbale, artistica e musicale; considera

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anche la dimensione comunicazionale, intesa come modalità di interazione, presenza e
tipologia di contenuti prevalenti, utilizzo di mezzi privilegiati;
c. la dimensione dell’autonomia e dell’orientamento, che fa riferimento all’autonomia della
persona e all’autonomia sociale, alle dimensioni motorio-prassica (motricità globale,
motricità fine, prassie semplici e complesse) e sensoriale (funzionalità visiva, uditiva,
tattile);
d. la dimensione cognitiva, neuropsicologica e dell’apprendimento, che fa riferimento alle capacità
mnesiche, intellettive e all’organizzazione spazio-temporale; al livello di sviluppo raggiunto
in ordine alle strategie utilizzate per la risoluzione di compiti propri per la fascia d’età, agli
stili cognitivi, alla capacità di integrare competenze diverse per la risoluzione di compiti, alle
competenze di lettura, scrittura, calcolo, decodifica di testi o messaggi.
3. Per ciascuna delle dimensioni di cui al comma 2 sono da individuare:
a. obiettivi ed esiti attesi;
b. interventi didattici e metodologici, articolati in:
i. attività;
ii. strategie e strumenti.

Articolo 9
Ambiente di apprendimento inclusivo
1. Ai sensi dell’articolo 7, comma 2 del DLgs 66/2017, nella progettazione educativo-didattica si
pone particolare riguardo all’indicazione dei facilitatori e delle barriere, secondo la prospettiva
bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF dell’OMS.
2. Al fine di realizzare quanto indicato all’articolo 7, comma 2 del DLgs 66/2017, sono condotte
dai docenti osservazioni nel contesto scolastico con indicazione delle barriere e dei facilitatori a
seguito dell’osservazione sistematica dell’alunno con disabilità e della classe, avendo cura, nella
scuola secondaria di secondo grado, di tener conto delle indicazioni fornite dallo studente.
3. A seguito dell’osservazione del contesto scolastico, sono conseguentemente indicati obiettivi
didattici, strumenti, strategie e modalità per realizzare un ambiente di apprendimento inclusivo,
anche sulla base degli interventi di corresponsabilità educativa intrapresi dall’intera comunità
scolastica per il soddisfacimento dei bisogni educativi individuati e di indicazioni dello studente
con disabilità. Particolare cura è rivolta allo sviluppo di “processi decisionali supportati”, ai sensi
della Convenzione ONU (CRPD).

Articolo 10
Curricolo dell’alunno
1. Al fine di un ampio coinvolgimento di tutta la componente docente, la progettazione didattica
deve tener conto di ulteriori interventi di inclusione attuati sul percorso curricolare della classe e
dell’alunno con disabilità, indicando modalità di sostegno didattico, obiettivi, strategie e
strumenti nelle diverse aree disciplinari o discipline, a partire dalla scuola primaria. Nella scuola
dell’infanzia tale attività di progettazione, con il concorso di tutti gli insegnanti della sezione,
riguarderà interventi educativi nei diversi campi di esperienza, con l’esplicitazione di strategie e
strumenti utilizzati.
2. Con riguardo alla progettazione disciplinare, è indicato:
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a. se l’alunno con disabilità segue la progettazione didattica della classe, nel qual caso si
applicano gli stessi criteri di valutazione;
b. se rispetto alla progettazione didattica della classe sono applicate personalizzazioni in
relazione agli obiettivi specifici di apprendimento e ai criteri di valutazione e, in tal caso,
se l’alunno con disabilità è valutato con verifiche identiche o equipollenti;
c. se l’alunno con disabilità segue un percorso didattico differenziato, essendo iscritto alla
scuola secondaria di secondo grado, con verifiche non equipollenti;
d. se l’alunno con disabilità è esonerato da alcune discipline di studio.
3. Nel PEI è indicato il tipo di percorso didattico seguito dallo studente, specificando se trattasi di:
a. percorso ordinario;
b. percorso personalizzato (con prove equipollenti);
c. percorso differenziato.
4. Nel PEI sono altresì indicati i criteri di valutazione del comportamento ed eventuali obiettivi
specifici, ossia se il comportamento è valutato in base agli stessi criteri adottati per la classe
ovvero se è valutato in base a criteri personalizzati, finalizzati al raggiungimento di specifici
obiettivi.
5. La valutazione degli apprendimenti è di esclusiva competenza dei docenti del consiglio di classe
nella scuola secondaria, ovvero del team dei docenti nella scuola dell’infanzia e primaria e si
svolge ai sensi della normativa vigente.

Articolo 11
Percorsi per le competenze trasversali e per l'orientamento
1. Il PEI definisce gli strumenti per l'effettivo svolgimento dei percorsi per le competenze
trasversali e per l'orientamento, assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto
di inclusione. A tal fine, nel modello di PEI è dedicato un apposito spazio alla progettazione dei
suddetti percorsi, che dovrà prevedere la loro tipologia (aziendale, scolastico o altro), gli
obiettivi del progetto formativo e l’indicazione delle barriere e dei facilitatori nello specifico
contesto ove si realizza il percorso.

Articolo 12
Interventi necessari per garantire il diritto allo studio e la frequenza
1. Relativamente agli interventi di assistenza necessari per garantire il diritto allo studio di alunni
con disabilità, nel PEI sono indicati distintamente e specificamente gli interventi di Assistenza
di base (per azioni di mera assistenza materiale, non riconducibili ad interventi educativi) e gli
interventi di Assistenza specialistica per l’autonomia e/o la comunicazione (per azioni
riconducibili ad interventi educativi).
2. Per quanto concerne gli interventi di Assistenza specialistica per l’autonomia e/o la
comunicazione, sono specificamente indicate le necessità relative all’educazione e sviluppo
dell'autonomia (cura di sé, mensa e altro) nonché le necessità di assistenza per la comunicazione
agli alunni privi della vista, privi dell’udito e con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo.

Articolo 13
Organizzazione generale del progetto di inclusione e utilizzo delle risorse
10
1. Il PEI prevede un prospetto riepilogativo ove sia possibile desumere l’organizzazione generale
del progetto di inclusione e l’utilizzo delle risorse, con indicazione delle presenze,
rispettivamente: dell’alunno a scuola, delle risorse professionali impegnate nelle attività di
sostegno didattico, dell’assistente all’autonomia e/o alla comunicazione, nonché delle
collaboratrici o dei collaboratori scolastici impegnati nell’assistenza igienica di base
2. Nello stesso prospetto sono altresì indicate le seguenti specifiche:
a. se l’alunno è presente a scuola per l’intero orario o se si assenta in modo continuativo su richiesta
della famiglia o degli specialisti sanitari, in accordo con la scuola, indicando le motivazioni;
b. la presenza dell’insegnante per le attività di sostegno, specificando le ore settimanali;
c. le risorse destinate agli interventi di assistenza igienica e di base;
d. le risorse professionali destinate all’assistenza per l’autonomia e/o per la comunicazione;
e. eventuali altre risorse professionali presenti nella scuola o nella classe;
f. gli interventi previsti per consentire all’alunno di partecipare alle uscite didattiche, visite
guidate e viaggi di istruzione organizzati per la classe;
g. le strategie per la prevenzione e l’eventuale gestione di comportamenti problematici;
h. le attività o i progetti per l’inclusione rivolti alla classe;
i. le modalità di svolgimento del servizio di trasporto scolastico;
j. eventuali interventi e attività extrascolastiche attive, anche di tipo informale, con la specifica
degli obiettivi perseguiti e gli eventuali raccordi con il PEI.

Articolo 14
Certificazione delle competenze
1. Per quanto concerne la Certificazione delle competenze il PEI prevede una sezione dedicata a
note esplicative che rapportino il significato degli enunciati relativi alle Competenze di base e ai
livelli raggiunti da ciascun alunno con disabilità agli obiettivi specifici del PEI, anche in funzione
orientativa – nel secondo grado di istruzione – per il proseguimento degli studi di ordine
superiore ovvero per l'inserimento nel mondo del lavoro.

Articolo 15
Verifica finale e proposta di assegnazione delle risorse
1. In sede di verifica finale del PEI, si procede alla valutazione globale dei risultati raggiunti, tenuto
conto – nella scuola secondaria di secondo grado – del principio di autodeterminazione degli
studenti e delle studentesse. Contestualmente si procede all’aggiornamento delle condizioni di
contesto e progettazione per l’anno scolastico successivo.
2. Partendo dall'organizzazione delle attività di sostegno didattico e dalle osservazioni sistematiche
svolte, tenuto conto del Profilo di Funzionamento e del suo eventuale aggiornamento, oltre che dei
risultati raggiunti, nonché di eventuali difficoltà emerse durante l'anno, il GLO propone, nell’ambito
di quanto previsto dal presente decreto, il fabbisogno di ore di sostegno per l’anno scolastico
successivo, avendo cura di motivare adeguatamente la richiesta.
3. Ai sensi di quanto previsto all’articolo 7, comma 1, lettera d) del DLgs 66/2017, il GLO
procede a definire la proposta delle risorse da destinare agli interventi di assistenza igienica e di
base e delle risorse professionali da destinare all'assistenza, all'autonomia e alla comunicazione,
per l'anno successivo. In particolare, si indica il fabbisogno di risorse da destinare agli interventi
di assistenza igienica e di base e il fabbisogno di risorse professionali da destinare all'assistenza,

11
all'autonomia e alla comunicazione, nell’ambito di quanto previsto dall’Accordo di cui
all’articolo 3, comma 5-bis del DLgs 66/2017 da sancire in sede di Conferenza Unificata, per
l'anno scolastico successivo, specificando la tipologia di assistenza / figura professionale e il
numero delle ore ritenuto necessario, al fine di permettere al Dirigente scolastico di formulare la
richiesta complessiva d’Istituto delle misure di sostegno ulteriori rispetto a quelle didattiche, da
proporre e condividere con l’Ente Territoriale.
4. Sono previste eventuali esigenze correlate al trasporto dell’alunno con disabilità da e verso la scuola.

Articolo 16
PEI redatto in via provvisoria per l'anno scolastico successivo
1. Il PEI provvisorio è redatto entro il 30 giugno per gli alunni che hanno ricevuto certificazione
della condizione di disabilità ai fini dell’inclusione scolastica, allo scopo di definire le proposte di
sostegno didattico o di altri supporti necessari per sviluppare il progetto di inclusione relativo
all'anno scolastico successivo.
2. Il PEI provvisorio è redatto da un GLO, nominato seguendo le stesse procedure indicate
all’articolo 3. Rispetto alla componente docenti, in caso di nuova certificazione di un alunno già
iscritto e frequentante, sono membri di diritto i docenti del team o del consiglio di classe. Se si
tratta di nuova iscrizione e non è stata ancora assegnata una classe, il dirigente individua i
docenti che possono far parte del GLO.
3. Per la redazione del PEI provvisorio, è prescrittiva la compilazione delle seguenti sezioni del
modello di PEI allegato al presente decreto:
a. Intestazione e composizione del GLO;
b. Sezione 1 - Quadro informativo, con il supporto dei genitori;
c. Sezione 2 - Elementi generali desunti dal Profilo di Funzionamento;
d. Sezione 12 - PEI provvisorio per l'a. s. successivo;
e. Sezione 4 - Osservazioni sull’alunno per progettare gli interventi di sostegno didattico;
f. Sezione 6 - Osservazioni sul contesto: barriere e facilitatori.
4. Ai sensi di quanto previsto all’articolo 7, lettera d) del DLgs 66/2017, il PEI provvisorio riporta
la proposta del numero di ore di sostegno alla classe per l'anno successivo, nonché la proposta
delle risorse da destinare agli interventi di assistenza igienica e di base e delle risorse
professionali da destinare all'assistenza, all'autonomia e alla comunicazione, per l'anno
successivo, con modalità analoghe a quanto disposto al precedente articolo 15.

Articolo 17
Esame della documentazione
1. In caso di controversie sull’interpretazione dei contenuti della certificazione, il Dirigente
scolastico o chi presiede la seduta può chiedere al rappresentante dell’Unità di Valutazione
Multidisciplinare della ASL un’interpretazione del contenuto della stessa.
2. In caso di indicazioni di norme non corrispondenti alla tipologia di disabilità indicati nella
documentazione clinica, qualora non si raggiunga un accordo in seno al GLO, chi presiede la
riunione trasmette i documenti oggetto di discussione al Dirigente scolastico che provvede a
chiedere chiarimenti al Presidente della Commissione INPS del territorio ove è stato rilasciato.
3. In ogni caso, qualora un componente del GLO ravvisi eventuali incongruenze circa il contenuto
della certificazione, chi presiede la riunione trasmette la documentazione al Dirigente scolastico

12
che provvede a contattare il competente ufficio dell’INPS preposto al controllo delle
Commissioni di valutazione.

Articolo 18
Definizione delle modalità per l'assegnazione delle misure di sostegno
1. Il GLO, sulla base del Profilo di Funzionamento, individua le principali dimensioni interessate
dal bisogno di supporto per l’alunno e le condizioni di contesto facilitanti, con la segnalazione
del relativo “debito di funzionamento”, secondo quanto descritto nell’Allegato C, parte integrante
del presente decreto.
2. Nella definizione del fabbisogno di risorse professionali per il sostegno didattico, l’assistenza
all’autonomia e alla comunicazione, il GLO tiene conto delle “capacità” dell’alunno indicate nel
Profilo di Funzionamento, secondo il seguente schema:
Entità delle difficoltà nello
svolgimento delle attività comprese in Assente Lieve Media Elevata Molto elevata
ciascun dominio/dimensione tenendo
conto dei fattori ambientali implicati

3. Il GLO formula una proposta relativa al fabbisogno di risorse professionali per il sostegno e
l’assistenza, con il fine di attuare gli interventi educativo-didattici, di assistenza igienica e di base,
nonché di assistenza specialistica, nell’ambito dei range e dell’entità delle difficoltà indicati nella
Tabella di cui all’Allegato C1.
4. La verifica finale, di cui all’Articolo 15, con la proposta del numero di ore di sostegno e delle
risorse da destinare agli interventi di assistenza igienica e di base, nonché delle tipologie di figure
professionali da destinare all'assistenza, all'autonomia e/o alla comunicazione, per l'anno
scolastico successivo, è approvata dal GLO, acquisita e valutata dal Dirigente scolastico al fine di:
a. formulare la richiesta complessiva d’istituto delle misure di sostegno da trasmettere al
competente Ufficio Scolastico Regionale entro il 30 di giugno;
b. formulare la richiesta complessiva d’Istituto delle misure di sostegno ulteriori rispetto a
quelle didattiche, da proporre e condividere con l’Ente Territoriale.
5. Le risorse professionali da destinare all'assistenza, all'autonomia e alla comunicazione sono
attribuite dagli Enti preposti, tenuto conto del principio di accomodamento ragionevole e sulla
base delle richieste complessive formulate dai Dirigenti scolastici, secondo le modalità attuative e
gli standard qualitativi previsti nell'accordo di cui all'articolo 3, comma 5-bis del DLgs 66/2017.

Articolo 19
Modello di Piano Educativo Individualizzato
1. I modelli di cui all’articolo 1, comma 2 sono adottati dalle Istituzioni scolastiche per la
redazione del PEI da parte dei GLO.
2. I modelli di PEI sono resi disponibili in versione digitale da compilarsi in modalità telematica, con
accesso tramite sistema SIDI da parte delle Istituzioni scolastiche e dei componenti dei rispettivi
GLO, i quali sono registrati e abilitati ad accedere al sito con il rilascio di apposite credenziali.

Articolo 20
Linee guida

13
1. È adottato il documento recante «Linee Guida concernenti la definizione delle modalità, anche tenuto conto
dell'accertamento di cui all'articolo 4 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per l'assegnazione delle misure di
sostegno di cui all’articolo 7 del DLgs 66/2017 e il modello di PEI, da adottare da parte delle istituzioni
scolastiche», di cui all’Allegato B, quale parte integrante del presente decreto.

Articolo 21
Norme transitorie
1. I modelli di PEI, di cui all’articolo 19, sono adottati, nelle more dell’emanazione delle Linee
Guida di cui all’articolo 5, comma 6, del DLgs 66/2017, al fine di consentire alle istituzioni
scolastiche di adeguare la progettazione educativo-didattica alle nuove norme sull’inclusione.
2. Al termine dell’anno scolastico 2020/2021, i modelli di PEI sono sottoposti a revisione e possono
essere integrati e/o modificati, sulla base delle indicazioni pervenute dalle istituzioni scolastiche.
3. I modelli di PEI sono sottoposti a verifica e aggiornati con cadenza almeno triennale.
4. Con l’entrata in vigore del presente decreto, cessano di produrre effetti le disposizioni
contenute nell’Ordinanza Ministeriale 21 maggio 2001, n.90.
5. Ai fini di cui ai commi 2 e 3 è costituito, senza ulteriori oneri per la finanza pubblica, con
decreto del Ministro dell’istruzione, un Comitato Tecnico con la partecipazione di
rappresentanti designati dal Ministro dell’economia e delle finanze.

Il Ministro dell’Istruzione Il Ministro dell’Economia e delle Finanze


Lucia Azzolina Roberto Gualtieri

14
Giuseppe Spadafora

Processi didattici
per una nuova scuola
democratica
.
Indice

Introduzione 7

Capitolo primo
La didattica come sintesi e applicazione
delle scienze dell’educazione 13
1. Verso una epistemologia della didattica 13
2. Il pluralismo delle “fonti” come matrice
epistemologica della didattica 22
3. La didattica come applicazione
delle scienze dell’educazione 30
4. Il processo didattico come sintesi applicativa
tra pedagogia e valutazione 36

Capitolo secondo
Processi didattici tra orientamento e recupero
delle diversità formative 47
1. La formazione come processo 47
2. La complessità del processo formativo 52
3. L’unicità della formazione della persona
tra particolare e universale 59
4. La didattica come gestione delle diversità
formative tra neuroscienze, comunicazione
digitale e questione dei diritti 68

5
Capitolo terzo
Processi didattici sistemici
per la scuola dell’autonomia 77
1. L’insegnante come trasmettitore di conoscenze
e il capo di istituto come controllore
della cultura e delle regole della scuola 78
2. Una nuova didattica dell’insegnante
e del capo di istituto 87
3. La didattica come problema sistemico
nella scuola dell’autonomia 98

Capitolo quarto
Processi didattici per una nuova scuola
democratica 113
1. La didattica per competenze.
La questione delle discipline 115
2. La progettazione per competenze 124
3. Processi didattici per una nuova scuola
democratica 135

Bibliografia 151

6
Introduzione

La riflessione epistemologica che si occupa delle varie


dimensioni della ricerca educativa è uno dei temi più si-
gnificativi degli ultimi decenni nel dibattito culturale pe-
dagogico e didattico contemporaneo. Probabilmente, que-
sta complessa tematica si è sviluppata nell’ambito della
ricerca educativa proprio perché ci si è resi conto che la
centralità e la pervasività dei processi educativi non cor-
rispondevano ad un definito statuto epistemologico che
potesse chiarire il senso della scientificità dell’educazione
e della sua relativa autonomia rispetto alle altre scienze.
In questa prospettiva la ricerca di una scientificità
dell’educazione, unitamente al tema dell’autonomia della
pedagogia rispetto alle altre scienze, continua ad essere
uno degli aspetti fondamentali della ricerca educativa
contemporanea.
Spesso non è stato individuato in modo chiaro il pe-
riodo storico-culturale e gli autori – almeno nella tradi-
zione occidentale – in cui il tema dell’autonomia della
pedagogia e della didattica si è legato a quello della scien-
tificità. Da Comenio a Rousseau, le questioni dell’auto-
nomia di una teoria dell’educazione si sono sovente in-

7
GIUSEPPE SPADAFORA

trecciate con riflessioni etico-politiche o con specifiche


questioni di metodo, o sono state considerate questioni
legate a pratiche diffuse e a specifiche ideologie del
tempo in cui sono maturate.
Nel Novecento, in particolare, che a giusta ragione è
stato considerato “il secolo della scuola”, il secolo che ha
chiarito la centralità dell’infanzia grazie, soprattutto, al-
l’opera di Maria Montessori e Jean Piaget, si è diffuso un
notevole interesse per la ricerca della scientificità del-
l’educazione connessa ai temi fondamentali della ricerca
educativa.
In effetti, la scientificità dell’educazione legata alla
definizione di una teoria della pedagogia, della didattica
e della scuola, da Herbart a Durkheim fino al positivismo
pedagogico italiano, da Gentile a Dewey, da Piaget a Bru-
ner, da Gardner a Goleman, dai Philosophers of Educa-
tion anglosassoni ai pedagogisti critici continentali e
italiani fino alle ultime ricerche sulla Evidence Based
Education, è stato un problema che non ha prospettato
soluzioni chiare e che non ha, a mio avviso, fatto espri-
mere fino in fondo le notevoli potenzialità della ricerca
educativa.
Proprio per questo, il costante interesse epistemolo-
gico della ricerca educativa si è sviluppato costantemente,
proprio perché una scienza dell’educazione non poteva
essere definita in modo chiaro come una serie di proce-
dure e di metodologie in grado di prevedere e controllare
i fenomeni educativi nel loro svolgimento, ma come un
complesso di procedure e di azioni pratiche che chiari-

8
Processi didattici per una nuova scuola democratica

scono la azione di interventi educativi per migliorare o


recuperare la formazione unica e irripetibile delle persone
nella loro specifica situazione esistenziale.
Dopo oltre vent’anni di riflessione sul problema mi
sono reso conto che, forse, era giunto il momento di ten-
tare una impostazione epistemologica differente rispetto
al passato cercando di ipotizzare un percorso che possa
legare organicamente la ricerca pedagogica alle sue ap-
plicazioni didattiche e valutative e che, soprattutto, fondi
nell’applicazione delle scienze dell’educazione alle varie
situazioni educative il senso di una pedagogia che, per
potersi definire, deve relazionarsi all’azione didattica e
valutativa1.
In questo contributo ho cercato di definire nel primo
capitolo la riflessione epistemologica in educazione come
un legame da costruire tra la pedagogia, la didattica e la
valutazione attraverso, soprattutto, la revisione del para-
digma delle scienze dell’educazione. Nel secondo capi-
tolo ho cercato di analizzare il processo formativo del
soggetto-persona legato a quelle che sono le specificità
dell’azione didattica. Nel terzo capitolo ho evidenziato
la complessità dei processi formativi e didattici all’in-
terno della scuola dell’autonomia italiana nell’azione cul-
turale e didattica dell’insegnante e del capo di istituto.
Nel quarto e ultimo capitolo, con alcuni riferimenti spe-
cifici alle questioni che la didattica per competenze sta

1
Il punto di partenza e di arrivo provvisorio della mia riflessione è stato
scandito dai due testi: G. Spadafora, L’identità negativa della pedagogia,
Unicopli, Milano 1992; Id., La pedagogia. Questioni epistemologiche, Ani-
cia, Roma 2015.

9
GIUSEPPE SPADAFORA

determinando nel dibattito contemporaneo, ho cercato di


ipotizzare la possibile applicazione dei processi didattici
alla costruzione di un nuovo modello di scuola democra-
tica che possa contemperare lo sviluppo delle potenzialità
inespresse di ogni studente, attraverso la definizione di-
dattica di un progetto di vita, con la valorizzazione del
talento e del merito all’interno delle relazioni educative
della classe.
La didattica, quindi, nella sua complessità sistemica
esprime un nodo fondamentale nelle prospettive della ri-
cerca educativa e diventa un ambito di ricerca per fondare
un possibile nuovo modello di scuola democratica.
Il mio punto di partenza concettuale, ovviamente,
forse per i troppi anni trascorsi a riflettere su questa di-
mensione pedagogica, è la teoria pedagogica di John
Dewey2, che contiene in sé una chiara didattica applicata
alla scuola democratica, non solo nel concetto di labo-
ratorio, così come è teorizzato in The School and Society
del 1899, ma soprattutto nella relazione democrazia-edu-
cazione teorizzata in Democracy and Education del 1916,
fino all’idea delle scienze dell’educazione sviluppata in
The Sources of a Science of Education del 1929. Inoltre,
ho considerato due testi che completano la struttura com-
plessiva di una teoria didattica nel pensiero di John
Dewey: The Reflex Arc Concept in Psychology del 1896,

2
Cfr. U. Margiotta, La formazione dei talenti. Tutti i bambini sono un dono,
il talento non è un dono, FrancoAngeli, Milano 2018; R. Abravanel, L.
D’Agnese, La ricreazione è finita. Scegliere la scuola, trovare il lavoro,
Rizzoli, Milano 2015; G. Tognon, La democrazia del merito, Salerno, Roma
2016.

1
0
Processi didattici per una nuova scuola democratica

che è, a mio avviso, alla base del concetto di competenza


e il testo Experience and Education del 1938 che rappre-
senta una specifica teoria dell’apprendimento legata al-
l’esperienza3.
L’architettura complessiva di una teoria didattica de-
weyana è stata legata in modo specifico a quelle che sono
alcune tendenze della didattica del nostro tempo, ma so-
prattutto alle specificità culturali e normative della scuola
italiana e contemporanea.
Ho potuto sviluppare questo testo grazie alle espe-
rienze che sin dal 1984 ho avuto la fortuna di condividere
con l’indimenticabile gruppo epistemologico, esperienza
molto significativa nella ricerca pedagogica italiana e, in
particolare, con Franco Cambi, Enza Colicchi, Rita Fadda,
Alberto Granese, Giuseppe Flores D’Arcais, Riccardo
Massa e con l’esperienza didattica che negli ultimi anni,
grazie anche ai suggerimenti di Achille Notti, ho potuto
maturare nell’ambito didattico-sperimentale della ricerca
educativa.

3
Cfr. G. Spadafora, L’educazione per la democrazia. Studi su John Dewey,
Anicia, Roma, 2015; T. Pezzano, Le radici dell’educazione. La teoria del-
l’esperienza in John Dewey, FrancoAngeli, Milano 2017.

1
1
Capitolo primo
La didattica come sintesi e applicazione
delle scienze dell’educazione

1. Verso una epistemologia della didattica

Negli ultimi decenni vari sono stati i tentativi di dare


forma e significato ad una specifica dimensione episte-
mologica del discorso pedagogico. Volendo schematiz-
zare, quattro sono stati gli approcci più significativi che,
in un modo o nell’altro, si sono occupati della questione
epistemologica della ricerca educativa. L’analisi di questi
approcci epistemologici alla ricerca educativa è prope-
deutica e, allo stesso tempo fondamentale, per compren-
dere la complessità di una fondazione scientifica e
epistemologica delle questioni educative. I percorsi epi-
stemologici della ricerca pedagogico-didattica che vorrei
prospettare sono espressione della tendenza complessiva
di come la ricerca in educazione ha sempre avuto una no-
tevole difficoltà nel definire la complessità del sapere pe-
dagogico e didattico.
Un primo approccio, che potremmo definire filoso-
fico, considera l’educazione un insieme di processi che

13
GIUSEPPE SPADAFORA

chiamano in causa la dimensione scientifica e quella pra-


tica all’interno della riflessione filosofica e li curvano
verso una specifica dimensione valoriale. È scontato che
alla pedagogia si riconosca un carattere prettamente filo-
sofico, perché essa si offre come sapere che pensa l’edu-
cazione per la persona, in vista di orizzonti valoriali per
ogni temporalità storicamente definita.
In tal senso la pedagogia deve teorizzare sulla persona
nella unitarietà, integralità delle sue dimensioni corporee,
intellettive e affettive. E il senso dell’unità del sapere ri-
ferito alla persona ha caratterizzato la fondazione filosofica
della pedagogia. “Pensare l’educazione” significa ripor-
tarsi all’unità di una dimensione, quella filosofica, che ha
il carattere della particolarità e dell’universalità, perché
fornisce un orizzonte di senso all’educazione umana delle
persone particolari e, inoltre, orienta e sviluppa la forma-
zione del soggetto-persona nella profonda connessione
con l’azione umana fondata sulla libertà di scelta.
Questo approccio assorbe all’interno della filosofia
una dimensione educativa senza distinguere con chia-
rezza i due ambiti, quello filosofico e quello pedagogico.
Nella cultura italiana diversi sono stati gli approcci di fi-
losofia dell’educazione che hanno analizzato filosofica-
mente la questione educativa.
Il razionalismo critico banfiano-bertiniano con la con-
seguente dimensione problematicista, i vari filoni perso-
nalistici, l’impostazione neo-aristotelica del pensare pe-
dagogicamente fondato, nonché la riflessione filosofica
di tradizione gentiliana e di filosofia della forma rappre-

14
Processi didattici per una nuova scuola democratica

sentano la prova più significativa della centralità filosofica


per costruire una specifica dimensione pedagogica4. In
questo approccio può essere inscritta la Philosophy of
Education anglosassone, ispirata dal movimento interna-
zionale della filosofia analitica anglosassone e, soprattutto,
dalla figura determinante del secondo Wittgenstein. Il
complesso e variegato movimento internazionale che ha
avuto, soprattutto, nella figura di Richard Stanley Peters
un caposcuola non superato, attraverso l’analisi analitica
cerca di chiarire il senso della teoria dell’educazione che
deve studiare i fenomeni educativi come “una famiglia
di processi”5. Questo movimento di pensiero è importante
per la ricerca educativa in ragione della sua diffusione
nella cultura pedagogica globale ma, a mio avviso, è tal-
mente vago nella definizione di uno specifico ambito
della ricerca educativa, tanto da poter essere considerato
una filosofia e non una specifica teoria dell’educazione.
Un altro tentativo di fondazione epistemologica della
pedagogia fa riferimento ad un approccio sistemico che
la considera un sapere in cui convergono, nella forma
epistemologica di un sistema, questioni filosofiche, poli-
tiche, scientifiche ed applicative. Questioni che non tro-
vano una sintesi nella pedagogia ma, che nel loro insieme
sistemico, determinano il senso della pedagogia. Le varie

4
Cfr., a tal proposito, M. Baldacci, Trattato di pedagogia generale, Laterza,
Roma-Bari 2012; M. Contini, M. Fabbri (a cura di), Il futuro ricordato. Im-
pegno etico e progettualità educativa, ETS, Pisa 2014.
5
N. Blake, P. Smeyers, R. D. Smith, P. Standish, The Blackwell Guide to
the Philosophy of Education, Wiley Blackwell, Hoboken-New Jersey 2002.
Cfr., in particolare, P. H. Hirst, Educational Theory and its Foundation Dis-
ciplines, Routledge & Kegan Paul, London 1983.

15
GIUSEPPE SPADAFORA

dimensioni culturali del problema fondano il tessuto ca-


tegoriale della pedagogia, la cui identità risiede nel suo
strutturarsi come organismo funzionante nell’insieme
delle dimensioni presenti. Il paradigma sistemico, ispirato
sicuramente dagli studi di Von Bertalanffy, è stato pro-
spettato efficacemente in pedagogia da Niklas Luhmann,
Wolfgang Brezinka e, in Italia, da Sergio De Giacinto.
In un certo senso questo paradigma ha rappresentato una
delle prime proposte teoriche di Franco Cambi, anche se
quest’ultimo ha sviluppato successivamente la sua teo-
rizzazione con il termine, forse troppo onnicomprensivo,
di “pedagogia critica”. Per questi autori la pedagogia è il
complesso di riflessioni incrociate con altri saperi che
trattano ugualmente i problemi della persona e della sua
formazione6.
Quest’ultima si configura come punto di intersezione
tra saperi diversi, per cui stabilisce e organizza un ap-
proccio sistemico delle diverse dimensioni, con la diretta
conseguenza che non può esservi riduzione del sapere pe-
dagogico negli altri saperi o pratiche. Il paradigma siste-
mico considera la pedagogia come un insieme di fattori
o di “vettori” che rimandano l’uno all’altro senza elidersi,
ma esprimono un tessuto categoriale e una rete complessa

6
L. von Bertalanffy, Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, ap-
plicazioni, Mondadori, Milano 2004; S. De Giacinto, Educazione come si-
stema, La Scuola, Brescia 1977; W. Brezinka, Metateoria dell’educazione:
introduzione ai fondamenti della scienza dell’educazione, della filosofia del-
l’educazione e della pedagogia pratica, Armando editore, Roma 1980; F.
Cambi, Il congegno del discorso pedagogico. Metateoria, ermeneutica, mo-
dernità, Clueb, Bologna 1986; N. Luhmann, K. Schorr Eberhard, Il sistema
educativo. Problemi di riflessività, Armando editore, Roma 1999

16
Processi didattici per una nuova scuola democratica

e dinamica di saperi che è caratterizzata dalla indipen-


denza dei nodi concettuali che si legano vicendevolmente
in una dimensione complessa e variegata.
Un altro approccio epistemologico di rilievo è quello,
per così dire, sintetico. Per Raffaele Laporta, ad esempio,
questa sintesi è determinata da una “scienza empirica
dell’educazione” denominata Paidetica, il cui “topos teo-
retico” è la libertà dell’educando interpretata attraverso
l’apprendimento e la formazione: un’espressione che ha
il merito di ridurre le ambiguità del termine “educazione”.
Si sta sempre dentro “una scienza empirica dell’educa-
zione”, ma con la novità di trovare le ragioni ultime della
pratica educativa nella libertà, che si presenta così come
l’Assoluto pedagogico, una condizione da cui non si può
prescindere. Una ipotesi interpretativa del complesso per-
corso di Laporta, dunque, è il concetto di Assoluto peda-
gogico sul quale la scienza e l’educazione devono poter
proiettare “le sorti della nostra specie”. In questa pro-
spettiva si muove l’impostazione di Enza Colicchi attra-
verso il concetto di “teoria empirica dell’educazione”
che sviluppa il senso complessivo della riflessione la-
portiana7. Anche in questo caso è necessario definire la
dimensione teorico-empirica dell’agire educativo. L’edu-
cazione è un oggetto dotato di una natura specifica, ma
è, al tempo stesso, un oggetto polimorfo ed articolato.
Parlare di educazione, dunque, significa impegnarsi sia

7
Cfr. R. Laporta, La difficile scommessa, La Nuova Italia, Firenze 1971;
Id., L’assoluto pedagogico. Saggio sulla libertà in educazione, La Nuova
Italia, Firenze 1999; E. Colicchi, Dell’intenzione in educazione. Materiale
per una teoria dell’agire educativo, Loffredo, Napoli 2011.

17
GIUSEPPE SPADAFORA

in una attività di riflessione teoretica, sia in una ricerca


empirica che si incrocia con discipline ausiliarie capaci
di illuminare l’oggetto pedagogico. L’approccio della
“clinica” applicata alla formazione, che è stato sviluppato
da Riccardo Massa e dalla sua scuola, si inserisce come
una teorizzazione che valorizza i vari dispositivi della ri-
cerca pedagogica “per poter cogliere quella strutturazione
latente dell’esperienza educativa”, che sola può porre in
luce la necessità e la processualità di una specifica me-
diazione pedagogica in qualunque possibile azione for-
mativa e culturale. Il metodo clinico, seppure non com-
pletamente sviluppato, ha rappresentato una novità
significativa della problematica epistemologica della ri-
cerca pedagogica contemporanea, in quanto con la me-
todologia clinica si è aperto un discorso teorico-speri-
mentale maggiormente adatto alle specificità del sapere
pedagogico8.
Un ulteriore approccio è quello della specificità del
sapere pedagogico all’interno delle categorie della cre-
scita, della cura e della coltivazione. Per Alberto Granese
tale specifico pedagogico si esprime in un congegno cri-
tico-radicale che orienta gli altri saperi e che intende di-
stricarsi attraverso “procedimenti ermeneutici” nel
“labirinto” della pedagogia e nella “porta stretta” del-
l’educazione. Secondo Granese la metafora del labirinto
vuole essere assunta come “metafora della conoscibilità

8
Cfr. R. Massa, Le tecniche e i corpi. Verso una scienza dell’educazione,
Unicopli, Milano 2004. In questa prospettiva cfr. il recente G. Bonetta, L’in-
visibile educativo. Pedagogia, inconscio e fisica quantistica, Armando edi-
tore, Roma 2017.

18
Processi didattici per una nuova scuola democratica

condizionata, con l’orgoglio e il sentimento di sfida


dell’Ulisse dantesco, con l’umiltà ambivalente e sde-
gnosa di un Lessing”. Si articola, in questa maniera, la
specificità del sapere pedagogico in un dinamismo vir-
tuoso, poiché le due metafore, quella del labirinto e quella
della porta stretta, sono complementari, anche se estre-
mamente diverse. Granese relaziona, dunque, lo specifico
pedagogico alla centralità dei processi di crescita, di cura
e di coltivazione, così come questi si sviluppano nelle
varie dimensioni della vita umana9. Dove c’è crescita e
sviluppo, allora è presente la dimensione pedagogica, sia
nelle questioni umanistiche, sia nelle questioni scientifi-
che. I “principia educationis”, in effetti, sono princìpi che
si basano sul processo di crescita e di trasformazione dei
fenomeni culturali e scientifici. In un certo senso, a mio
avviso, anche un aspetto della ricerca di Franca Pinto Mi-
nerva si inserisce in questo approccio, specialmente per
quanto concerne il concetto di “post-umano”, di “ibrida-
zione” tra la formazione umana e la dimensione tecnolo-
gica. È una intuizione che l’autrice ha solo ipotizzato e
non sviluppato complessivamente. È indubbio, però, che
l’idea di una ibridazione tra le possibilità formative
umane e la tecnologia rappresenta una nuova frontiera
delle neuroscienze e della tecnologia digitale in uno spe-
cifico rapporto con la pedagogia10.

9
Cfr. A. Granese, Il labirinto e la porta stretta. Saggio di pedagogia critica,
La Nuova Italia, Firenze 1993; Id, Istituzioni di pedagogia generale, Prin-
cipia educationis, CEDAM, Padova 2003.
10
F. Pinto Minerva, R. Gallelli, Pedagogia e post-umano. Ibridazioni iden-
titarie e frontiere del possibile, Carocci, Roma 2004.

19
GIUSEPPE SPADAFORA

In questi approcci è evidente la centralità della que-


stione scientifica della ricerca educativa, in quanto il pro-
blema complessivo della fondazione epistemologica della
pedagogia è quello di confrontarsi con la sua dimensione
empirica e applicativa. In particolare, alcuni modelli che
si definiscono da questi approcci, come ad esempio il
concetto di “scienza empirica dell’educazione” e “il me-
todo clinico” dimostrano in maniera evidente come la ri-
cerca di una specificità del sapere pedagogico è determi-
nata dalla possibilità applicativa dei modelli teorici della
ricerca pedagogica.
Il passaggio dalla teoria pedagogica all’applicazione, a
mio avviso, non ha mai chiarito fino in fondo sia il signifi-
cato scientifico della ricerca educativa, sia il rapporto che
la teoria pedagogica ha con la dimensione didattico-speri-
mentale ritenuta un elemento metodologico a volte non
conciliabile con le questioni valoriali di fondo che sareb-
bero l’aspetto più significativo della ricerca pedagogica.
Prendendo spunto da questi percorsi epistemologici,
il mio tentativo è quello di mostrare come il problema
fondamentale della ricerca educativa è espresso proprio
dal rapporto che sussiste tra la ricerca della scientificità
dell’educazione e le sue specifiche applicazioni per mi-
gliorare la formazione dei soggetti-persona.
In questa prospettiva l’approfondimento del concetto
di “scienze dell’educazione” dedotto dalla teorizzazione
di John Dewey sulle scienze dell’educazione, a mio av-
viso, ci aiuta a chiarire alcune questioni fondamentali ir-
risolte dell’epistemologia pedagogica contemporanea.

20
Processi didattici per una nuova scuola democratica

In particolare, la ricerca della scientificità dell’educa-


zione così come viene definita nella ipotesi deweyana, ci
aiuta a comprendere la complessità se non la impossibi-
lità di definire scientificamente l’educazione. La costru-
zione scientifica dell’educazione è legata all’ineludibile
assunto che l’educazione si può sviluppare scientifica-
mente solo nell’azione pratica. È, quindi, nell’azione pra-
tica sviluppata professionalmente dall’insegnante con
l’applicazione delle scienze dell’educazione per risolvere
i problemi dell’apprendimento che si può ipotizzare un
nuovo modo di intendere la questione epistemologica
nella ricerca educativa.
Una possibile nuova frontiera epistemologica della ri-
cerca educativa potrebbe svilupparsi nella connessione
organica tra la pedagogia, la didattica e la valutazione,
determinata dal concetto di applicazione dei princìpi pe-
dagogici, che sono finalizzati a migliorare le varie dimen-
sioni dell’agire formativo nei diversi luoghi, famiglia,
scuola, mondo sociale, in cui queste si sviluppano.
In questa prospettiva, il paradigma delle scienze del-
l’educazione è un luogo di ricerca e di approfondimento
per chiarire il problema epistemologico della ricerca edu-
cativa e la didattica è lo spazio di raccordo epistemolo-
gico tra la pedagogia e la valutazione dell’apprendimento
e della formazione della persona nella sua complessità e
varietà di comportamenti.

21
GIUSEPPE SPADAFORA

2. Il pluralismo delle “fonti” come matrice epistemo-


logica della didattica

L’approfondimento del concetto delle “fonti di una


scienza dell’educazione”, ispirato dall’opera The Sources
of a Science of Education del 1929 di John Dewey, può
aiutarci a definire una specifica dimensione della didat-
tica. Il testo, infatti, si dimostra atipico rispetto alla pre-
cedente trattazione pedagogica del filosofo americano.
Intanto si presenta insolitamente breve e, in apparenza,
non legato alla produzione precedente. Risulterà, com-
plessivamente, poco studiato nella ricerca educativa ame-
ricana e globale, pur racchiudendo caratteristiche che lo
hanno reso interessante per comprendere i processi scien-
tifici della pedagogia e della didattica. La focalizzazione
di questo contributo, a mio avviso, aiuta a chiarire uno
dei nodi cruciali della ricerca didattica e offre una possi-
bile chiave di lettura per comprendere il legame tra la pe-
dagogia, la didattica e la valutazione.
Non è chiaro perché Dewey proponga questo lavoro
in età matura (il 1929 è l’anno del suo pensionamento da
professore universitario alla Columbia University), dal
momento che è possibile riconoscere come l’impianto di
una teoria dell’educazione legata alla riflessione filoso-
fica e politica fosse già stato focalizzato in Democracy
and Education del 1916.
In quel testo il filosofo afferma che “la filosofia è una
teoria generale dell’educazione”, nel senso che una filo-
sofia astratta rispetto ai bisogni e alle sofferenze umane
non ha ragione di esistere. Secondo la visione strumen-

22
Processi didattici per una nuova scuola democratica

talistica deweyana, la filosofia, deve risolvere i problemi


umani e deve essere legata alla costruzione di valori con-
divisi attraverso l’educazione e l’uso democratico della
scienza. In altri termini, dopo The School and Society del
1899, frutto della sua idea della sperimentazione della
Scuola-laboratorio di Chicago dal 1896 al 1903, in modo
molto più chiaro il filosofo americano ritiene non solo
che la scuola sia “il laboratorio della democrazia”, ma
anche che la democrazia sia “a way of life”, un modo di
vivere verso cui ogni individuo deve naturalmente ten-
dere nella sua individualità e nella sua naturale tendenza
all’associazione11.
La necessità di riflettere sulla scientificità dell’educa-
zione è focalizzata in The Sources of a Science of Edu-
cation, che si propone anche come testo centrale per
comprendere il rapporto tra la pedagogia e le altre
scienze12. Un dato significativo è rappresentato altresì
dalla collocazione cronologica del testo, che fa seguito
alla teorizzazione politica del 1927 espressa in The Public
and Its Problems e si situa, in ogni caso, nel biennio
1929-1930, centrale per lo sviluppo dell’opera deweyana.
Si ricordi che nel 1929 il filosofo pubblica The Quest for
Certainty e l’edizione rivista di Experience and Nature
con un nuovo primo capitolo sul metodo scientifico, e

11
Cfr. J. Dewey, Democrazia e educazione, a cura di G. Spadafora, Anicia
Roma 2018.
12
J. Dewey, The Sources of a Science of Education (1929), in The Later
Works 1925-1953, vol. 5, 1929-1930, SIUP, Carbondale and Edwardsville
1984; trad. it., Le fonti di una scienza dell’educazione, a cura di M. Tioli Ga-
brieli e L. Borelli, La Nuova Italia, Firenze 19672; J. Dewey, Le fonti di una
scienza dell’educazione, a cura di A. Cosentino, Fridericiana, Napoli 2017.

23
GIUSEPPE SPADAFORA

l’anno seguente Individualism Old and New, opera nella


quale cerca di legare l’individualità alla socialità. Am-
pliando la visione d’assieme, in modo anche da conte-
stualizzare e collocare meglio questo breve testo, è bene
non sottovalutare la successiva riflessione di carattere
educativo, sviluppata in numerosi ma significativi scritti
e, in particolare, nel testo Experience and Education del
1938, nel quale le problematiche affrontate nella teoria
dell’esperienza trovano nell’educazione una specifica
chiave di lettura e di interpretazione.
Alla luce di ciò, si può affermare che l’intervento de-
weyano sulla scientificità dell’educazione si colloca
all’interno dello sforzo complessivo del pensatore di
comprendere il significato dell’atteggiamento scienti-
fico dell’individuo di fronte ai problemi sociali da ri-
solvere attraverso la scienza, ma nello stesso tempo di
porre la questione del rapporto tra la pedagogia e le altre
scienze.
Questa impostazione era evidente già nel concetto di
The Arc Reflex Concept in Psychology del 1896 e nella
sua produzione giovanile, in cui egli teorizzava “il me-
todo dell’intelligenza”13.
Nell’incipit dello scritto, quando si chiede se vi è e se
possa esistere una scienza dell’educazione, Dewey si in-
terroga sul significato della scienza. Il filosofo ritiene che
la scienza sia una serie di “metodi sistematici di inda-
gine” i quali, “applicati ad un complesso di fatti”, con-

13
Cfr. T. Pezzano, Le radici dell’educazione. La teoria dell’esperienza in
John Dewey, cit.

24
Processi didattici per una nuova scuola democratica

sentono all’individuo “una comprensione migliore ed un


controllo più intelligente” dei medesimi14.
Egli ritiene, dunque, che il problema della scientificità
dell’educazione sia connesso alla funzione della scienza
di “liberare gli individui”, dì permettere di “vedere nuovi
problemi”, e, soprattutto, di favorire la “diversificazione
più che la rigida uniformità”15.
Storicamente l’educazione è stata considerata un’arte.
Ragione per la quale essa non può essere analizzata in
maniera oppositiva, ma va piuttosto concepita in modo
distinto e, allo stesso tempo complementare con la
scienza. Un buon esempio in merito può essere l’inge-
gneria: l’azione pratico-professionale dell’ingegnere in-
corpora le competenze di carattere scientifico all’interno
della sua attività creativa di progettazione e calcolo per
realizzare i prodotti della sua attività. In questo senso, i
professionisti coinvolti nell’attività dell’ingegneria non
“volgono le spalle alla scienza”, ma “operano nuove in-
tegrazioni del materiale scientifico e le applicano ad usi
nuovi, insoliti ed imprevisti”16.
Il nodo teoretico della fondazione scientifica del pro-
blema educativo consiste nella contrapposizione teoria-
pratica. Affinché vi sia scienza deve esserci anche
astrazione; l’astrazione consente che le esperienze prati-
che e personali assurgano ad una dimensione riflessiva o
teoretica. L’ambito dell’educazione è, quindi, particolar-
mente complesso, poiché la realizzazione teorica della

14
J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione, cit., p. 2.
15
Ivi, pp. 3-6.
16
Ivi, p. 7.

25
GIUSEPPE SPADAFORA

pratica implica difficoltà evidenti dal punto di vista del-


l’analisi epistemologica. Basti pensare, nel caso delle pra-
tiche educative, a quanto sia difficile convertire una
scoperta scientifica in una immediata “regola di pratica
scolastica”; eppure è proprio attraverso la pratica scola-
stica che l’insegnante può mutare i suoi personali con-
vincimenti in base anche alle conoscenze scientifiche
acquisite.
Se, ad esempio, si dimostra, attraverso ricerche speri-
mentali, che la capacità di apprendimento tra l’età di
quattordici e di quindici anni è più rapida per le femmine
rispetto ai maschi, si potrebbe procedere ad una loro se-
parazione per favorire le possibilità concrete dello svi-
luppo differenziato degli apprendimenti. In effetti la pra-
tica educativa dimostra che questo assunto non è sempre
veritiero ed è variabile in base alle diverse situazioni.
Queste osservazioni, se confermate dagli esperimenti,
dimostrano che l’analisi scientifica di una situazione edu-
cativa può rendere la pratica dell’insegnante più intelli-
gente, flessibile e meglio adattabile a risolvere i problemi
dell’insegnamento rapportandoli alle diverse specifiche
situazioni che si presentano.
Il concetto di scienza, a cui Dewey fa riferimento, è
quello di un “sistema coerente” che deve unire nell’atti-
vità pratica gli aspetti separati della realtà. L’esemplifi-
cazione, a questo proposito, è tratta dalle “scienze
fisiche” che hanno una più consolidata tradizione rispetto
alle altre scienze e, in particolare, rispetto alla possibile
definizione di una scienza dell’educazione.

26
Processi didattici per una nuova scuola democratica

Il filosofo, riferendosi alle sperimentazioni di Galileo


sulla caduta dei gravi, mette in rilievo la caratteristica
della scienza di essere un sapere “astratto” e misurato “in
forma indiretta” e, cioè, attraverso calcoli astratti che
hanno un significato nel momento in cui si sperimenta e
si coinvolge lo sperimentatore in ciò che sta misurando.
In altri termini, facendo riferimento alla fisica, Dewey
spiega come la scienza debba essere studiata alla stregua
di un “modello teorico”, una serie di princìpi astratti che,
collegando insieme diversi fenomeni, costituiscono le
leggi. Nel contempo, tali modelli teorici diventano scien-
tifici nel momento in cui vengono sperimentati pratica-
mente17.
Un altro elemento di considerazione è che non esiste
una stretta connessione tra le leggi e le regole della pratica
educativa (laws vs. rules). Le leggi scientifiche servono
solamente a fornire “strumentalità intellettuali” che de-
vono essere utilizzate dall’educazione. Dewey vuole,
quindi, evidenziare la differenza tra il modello teorico e
quello pratico delle ipotesi scientifiche. La ricerca scien-
tifica non fornisce direttamente le regole di azione ma
solo “osservazioni e indagini”. L’efficacia delle leggi
scientifiche è verificata indirettamente da chi le utilizza,
se questi ottiene un miglioramento nei risultati specifici
a cui le applica. Nel caso dell’applicazione di leggi scien-
tifiche alle problematiche educative, per la complessità
dei fenomeni e delle variabili prese in considerazione,

17
Ivi, p. 14.

27
GIUSEPPE SPADAFORA

Dewey mette in rilievo l’importanza dell’azione pratica


dell’insegnante per migliorare i risultati educativi, in
quanto “il valore della istruzione definito rispetto alle si-
tuazioni educative consiste nel suo effetto sulla forma-
zione delle attitudini personali di osservare e di giudi-
care”18. La possibilità di una scienza dell’educazione,
dunque, si trova “nella mente di coloro che sono diretta-
mente impegnati in attività educative”.
A questo punto della trattazione, la riflessione dewe-
yana si sviluppa in modo problematico. Avendo affer-
mato, infatti, che la scienza trova la sua giustificazione
nel rapporto teoria-pratica, in quanto è la pratica nella sua
complessità che realizza l’ipotesi scientifica e, nello
stesso tempo, migliora la qualità della condotta umana, e
avendo sostenuto la difficoltà della scienza dell’educa-
zione di “prendere a prestito” le tecniche di misurazione
dalle altre scienze, il filosofo afferma che l’unico modo
di comprendere la scientificità dell’educazione è quello
di considerare una siffatta scienza come un corpus di co-
noscenze che deriva da “fonti” diverse e che si realizza
scientificamente solo nella pratica tramite il “medium
della mente dell’educatore per rendere le funzioni edu-
cative più intelligenti”.
In altri termini, le pratiche educative forniscono il ma-
teriale che pone i problemi di una possibile scienza del-
l’educazione, mentre “le scienze già sviluppate a un
chiaro stato di maturità sono le fonti da cui il materiale è

18
Ivi, p. 21.

18
Processi didattici per una nuova scuola democratica

derivato per trattare dal punto di vista intellettuale tali


problemi”19.
Di conseguenza, il filosofo definisce la scienza del-
l’educazione un sapere che non ha una sua autonomia, in
quanto contempla ed inserisce nel contenuto della scienza
educativa solo quei materiali, tratti da altre scienze, che
possono essere focalizzati sui problemi che riguardano
l’educazione.
Gli esempi che Dewey propone si rifanno all’attenta
analisi di alcuni problemi di apprendimento scolastico di
alunni in condizioni particolari, come ad esempio il rap-
porto tra i livelli di rendimento scolastico raggiunto e gli
indici di intelligenza, oppure il rapporto tra l’ambiente
fisico e l’apprendimento degli allievi. Sono problemi,
questi, posti dalla pratica educativa, ma esprimono la
realizzazione di fonti specifiche, quali ad esempio, la
psicologia sociale, la fisiologia, la chimica in relazione
all’azione educativa.
Gli elementi che emergono da questo tentativo si ba-
sano sulle difficoltà di definire una scientificità dell’edu-
cazione. Il che è dovuto al fatto che “l’arte dell’educa-
zione” si basa su scienze che sono state lontane da quei
settori della ricerca che avrebbero potuto “dirigerne” il
pensiero. Tale ritardo però, a parere di Dewey, può essere
considerato un vantaggio, in quanto la determinazione
di una scienza dell’educazione può essere attesa, proprio
perché le stesse pratiche educative devono essere consi-

19
Ivi, p. 22.

29
GIUSEPPE SPADAFORA

derate “una fonte dei problemi della scienza dell’educa-


zione piuttosto che del suo materiale vero e proprio [...]”20.
L’aspetto euristico fondamentale che l’idea matrice
della didattica risiede nelle “fonti di una scienza del-
l’educazione” nasce dall’assunto che la scientificità del-
l’educazione trova il suo fondamento in “un pluralismo”
di fonti, le quali acquistano il senso della loro scientificità
proprio nell’applicazione, tramite la figura dell’inse-
gnante, alle questioni scolastiche e, segnatamente, nella
loro capacità di risolvere i problemi dell’apprendimento
di ogni singolo studente. È, a mio avviso, in questa ap-
plicazione del pluralismo delle fonti alle specifiche si-
tuazioni educative nella scuola, che si può rinvenire la
matrice epistemologica del processo didattico.

3. La didattica come applicazione delle scienze del-


l’educazione

Le “fonti speciali”, a cui Dewey fa riferimento per de-


finire il “contenuto scientifico” dell’educazione, sono
principalmente: la psicologia, la sociologia e la filosofia.
Egli vuole focalizzare, preliminarmente, come vi sia
stretta connessione tra la ricerca scientifica e la riflessione
filosofica, in quanto, anche se la scienza “si orienta verso
il polo specifico e la filosofia verso il generale”, in effetti
“non sussiste nessuna linea che stabilisca dove una ter-
mini e l’altra cominci”. La connessione tra i due campi

20
Ivi, p. 31. Corsivo nel testo.

20
Processi didattici per una nuova scuola democratica

di indagine è determinata da alcuni concetti filosofici,


quali, ad esempio, quello di “evoluzione”, in relazione
alle tradizioni scientifiche specifiche della biologia. In
questo senso, la filosofia dell’educazione si definisce una
“fonte”, in quanto esprime la possibilità di costruire “ipo-
tesi di lavoro”, di “applicazione comprensiva” ed è fon-
damentale in quanto ogni indagine specifica non ha senso
se non viene riferita ad una visione più generale filosofica
che si esprime attraverso “working ideas”, idee all’opera,
che permettono di ampliare la dimensione della ricerca
scientifica.
È, quindi, abbastanza evidente che il concetto di
“fonte”, nell’accezione deweyana, significa la possibilità
di determinare idee traducibili in una specifica applica-
zione, o in un modello flessibile che possa ragionevol-
mente prevedere e controllare i fenomeni.
In questa prospettiva, il senso di una riflessione filo-
sofica sui problemi educativi si basa sul fatto che la filo-
sofia dell’educazione non origina né pone i fini. Essa
occupa “un posto intermedio e strumentale o regolativo”,
e può contribuire all’“ampiezza di orizzonte”, alla “ri-
cerca” e all’“invenzione costruttiva” dell’azione forma-
tiva e, quindi, deve proporsi come l’espressione della
possibilità per ogni individuo di sviluppare la sua “libe-
razione”, perché quando l’emancipazione umana “si li-
mita solo alla mente della coscienza interiore di ognuno,
provoca una intensa soddisfazione personale, ma è priva
di efficacia e diventa speciosa”21.

21
Ivi, pp. 44-46.

31
GIUSEPPE SPADAFORA

La riflessione filosofica sull’educazione è considerata


una disciplina che determina la trasformazione dei valori
rispetto alle metodologie e alle didattiche educative; il
che “non significa semplicemente nuovi modi per conse-
guire con maggiore rendimento fini già noti, ma mezzi
che faranno raggiungere conseguenze, mete che sono
qualitativamente differenti”.
La filosofia applicata all’educazione, dunque, deter-
mina la trasformazione qualitativa della realtà in cui i va-
lori, come egli chiarirà in seguito soprattutto in Theory
of Valuation del 1939, sono “fini in vista” di altri fini e
che, comunque, sono espressione del cambiamento con-
tinuo dell’individuo e del suo ambiente di riferimento.
Per quanto concerne la psicologia e la sociologia, il
pensatore americano sviluppa ulteriormente le proble-
matiche già analizzate, approfondendo ulteriormente il
nesso mezzi-fini. Il rapporto tra psicologia e sociologia
è espressione della connessione tra “come si apprende”
e “cosa si apprende”, problemi psicologici da una parte e
sociologici dall’altra.
L’interdipendenza mezzi-fini, che Dewey analizza sia
nell’ambito della filosofia dell’educazione che in quello
della psicologia e della sociologia, è centrale perché fa
riflettere sui limiti delle misurazioni quantitative applicate
al discorso educativo e sulla difficoltà di controllo delle
variabili inerenti alla complessità dei fenomeni. La filo-
sofia dell’educazione, la psicologia e la sociologia de-
terminano anche la definizione di altre fonti. In questa
prospettiva risultano centrali per la definizione di una

22
Processi didattici per una nuova scuola democratica

scienza dell’educazione anche la “psicologia della cre-


scita individuale”, la “psicologia biologica”, “la psico-
logia sociale” e “la psichiatria”.
Dewey, inoltre, considera la biologia come un approc-
cio da non trascurare rispetto alla matematica e alla stessa
fisica e fondamentale per legittimare la scientificità del-
l’educazione. In questa disamina delle “fonti speciali”,
infine, non mancano riferimenti anche alla psicologia
dello stimolo-risposta che, non lo si dimentichi, ha avuto
un ruolo fondamentale per definire alle origini la teoria
dell’arco riflesso, che rappresenta la matrice teorica fon-
damentale del pensiero deweyano. In particolare, analiz-
zando la psicologia dello stimolo-risposta, Dewey mette
in rilievo come questo approccio analizzi “sezioni trasver-
sali statiche” e, non invece, l’aspetto fondamentale del-
l’educazione che è quello “longitudinale” che è “il periodo
temporale di sviluppo e di trasformazione [the temporal
span of growth and change]”22. E, inoltre, il riferimento
alla psicologia sociale e alla psichiatria, i cui “risultati”
scientifici si rinforzano reciprocamente, fa cogliere al fi-
losofo l’importanza del rapporto dell’educazione con que-
ste discipline che, mentre sono determinate dai processi
educativi, al tempo stesso li determinano. Basti pensare
come vi sia una connessione tra il numero progressiva-
mente in crescita dei disturbi mentali e la necessità di con-
frontarsi con “i processi educativi” che li possono generare
e che, nel contempo, possono aiutare a risolverli.

22
Ivi, p. 54.

33
GIUSEPPE SPADAFORA

In tale ottica, il contributo della sociologia è tra i più


interessanti in quanto la scienza sociologica, riflettendo
sull’ambiente sociale considerato nella sua globalità,
mette in rilievo fondamentali aspetti della formazione di
una scienza dell’educazione. In questo senso le abilità
umane devono essere considerate “social tools”, stru-
menti sociali che permettono all’individuo di trasformare
se stesso nel sociale.
L’altro aspetto è che la sociologia determina i valori
all’interno dei quali si costruisce l’ambiente sociale per
cui “il genere di educazione che l’ambiente sociale for-
nisce inconsciamente ed in connessione con tutti i suoi
difetti, perversioni e distorsioni, costituisce appunto lo
stesso genere di educazione che le scuole dovrebbero
dare coscientemente”23.
La “varietà delle fonti” pone con chiarezza il significato
dei “valori educativi”. Dewey, alla fine della sua analisi,
è esplicito nel ribadire il concetto di autonomia dell’edu-
cazione e della sua capacità di essere produttrice di valori
all’interno del proprio processo di sviluppo e di crescita.
“L’educazione è autonoma e dovrebbe essere libera di
determinare i propri fini, i propri obiettivi. Sconfinare
dalla funzione dell’educazione e prendere in prestito obiet-
tivi da una fonte esterna equivale ad abbandonare la causa
dell’educazione [...]. L’educazione è di per sé stessa un
processo in cui si scoprono quali valori siano degni di es-
sere tenuti in conto e di essere perseguiti come obiettivi”24.

23
Ivi, p. 59.
24
Ivi, pp. 60-61.

24
Processi didattici per una nuova scuola democratica

E, proseguendo nella discussione sul contributo della


sociologia, Dewey focalizza due punti centrali per chiarire
il suo tentativo di fondazione scientifica dell’educazione.
Innanzitutto egli afferma che “il contenuto scientifico
dell’educazione è costituito da qualsiasi soggetto, scelto
in altri campi, che renda capace l’educatore, sia ammini-
stratore che insegnante, di vedere e riflettere più chiara-
mente e più a fondo su qualunque cosa egli faccia” e, in
secondo luogo, che “l’educazione è un modo di vita e di
azione. Come atto essa è più ampia della scienza”25. Que-
sto orientamento preannuncia la “conclusione generale”,
estremamente problematica che sicuramente pone note-
voli interrogativi. È indubbio che le “fonti di una scienza
dell’educazione” hanno un senso proprio quando vengono
utilizzate dagli educatori per rendere la loro azione “più
autenticamente educativa di quanto non fosse prima”. In
altri termini, Dewey fa affiorare il senso complessivo del
tentativo di fondazione scientifica dell’educazione chiu-
dendo la trattazione con una metafora e con una frase
complessa e che presenta una notevole ambiguità. “L’edu-
cazione è per sua natura un circolo o una spirale senza
fine, un’attività che include in sé la scienza”26.
Il problema delle “fonti”, quindi, è la chiara afferma-
zione che senza la convergenza nel processo didattico-
pedagogico delle varie prospettive di ricerca scientifica
nell’applicazione specifica per risolvere le questioni edu-
cative è difficile ipotizzare una scientificità dell’educa-
zione che, nella riflessione deweyana, non trova sbocchi

25
Ivi, p. 62.
26
Ivi, p. 63. Corsivo nel testo.

35
GIUSEPPE SPADAFORA

significativi, dal momento che, come si è visto, alla fine


della trattazione il discorso del pensatore americano chia-
risce l’impossibilità di definire una scienza dell’educa-
zione.

4. Il processo didattico come sintesi applicativa tra pe-


dagogia e valutazione

Proprio per la complessità del testo che andrebbe ana-


lizzato con acribia filologica mettendolo, soprattutto, in
relazione a quello che è il stato contesto teoretico e la let-
teratura secondaria del filosofo americano, in questa sede
la questione delle scienze dell’educazione sarà definita
per le specifiche conseguenze didattiche che la riflessione
deweyana sulle “fonti” di una scienza dell’educazione
può determinare.
Il particolare contributo deweyano ha avuto, come è
ben noto, un’influenza fondamentale nella pedagogia ita-
liana, fondando un vero e proprio “paradigma delle scienze
dell’educazione” che, dagli anni ‘50 in poi, ha determinato
le trasformazioni della politica scolastica e delle politiche
della formazione degli insegnanti in Italia.
Focalizzare meglio questa problematica, partendo
dalla interpretazione “storica” offerta alla cultura peda-
gogica italiana, in particolare da Francesco De Bartolo-
meis e da Aldo Visalberghi, offre la possibilità di riflettere
complessivamente su un ulteriore approfondimento della
questione interpretativa delle “fonti”.

36
Processi didattici per una nuova scuola democratica

Il testo del 1953, La pedagogia come scienza di Fran-


cesco De Bartolomeis, pur non ispirandosi direttamente
a quello deweyano ne ripropone l’architettura concettuale
specialmente nel chiarire il rapporto tra la pedagogia e le
altre scienze. De Bartolomeis sostiene, infatti, che “l’ele-
mento veramente nuovo della pedagogia contemporanea
è costituito non dai rapporti di questa con la psicologia
ma dall’adozione di una metodologia scientifica”; se-
nonché la “necessità di una pedagogia come scienza”
non può essere soddisfatta che da una “molteplicità di
specializzazioni” e le specializzazioni principali della pe-
dagogia scientifica sono la psicologia dell’educazione,
la sociologia dell’educazione e la pedagogia sperimentale.
Il problema che De Bartolomeis intende chiarire è la
“complicazione” della possibilità di fondare scientifica-
mente la pedagogia, in quanto questa particolare scienti-
ficità può essere raggiunta solo ammettendo la connatu-
rata “eterogeneità” del discorso pedagogico. La pedagogia
può ambire ad una fondazione scientifica solo proponen-
dosi come “centro di collaborazione di una molteplicità
di scienze” e il nucleo centrale di questa collaborazione
è la psicologia che mostra di poter compiere il proprio
lavoro a favore dell’educazione senza bisogno di ricorrere
per aiuto alla pedagogia filosofica. La scienza dell’edu-
cazione, quindi, è garantita da questa collaborazione di-
sciplinare, che fa definire la scientificità della pedagogia
una “attitudine scientifica”, che “dissolve l’accusa di em-
pirismo e di eclettismo”27.

27
F. De Bartolomeis, La pedagogia come scienza, La Nuova Italia, Firenze
1976, p. 9 (I ed. 1953).

37
GIUSEPPE SPADAFORA

Il disegno concettuale del lavoro è quello di legare il


tentativo di costruire la scientificità dell’educazione al
rinnovamento della didattica nella scuola, determinato in
quel periodo dell’attivismo nelle sue varie forme e alla
professionalità degli insegnanti. L’aspetto che crea le
connessioni tra la ricerca della pedagogia sperimentale e
il “paradigma delle scienze dell’educazione” è la connes-
sione tra il mondo della sperimentazione e quello della
scuola e degli insegnanti.
La sperimentazione in pedagogia è sviluppata nella
scuola soprattutto per formare gli insegnanti. Il problema
della sperimentazione è, secondo questa interpretazione,
quello di collegare la ricerca educativa al mondo della
scuola, esattamente quella che era l’intuizione deweyana
nella reinterpretazione di Aldo Visalberghi. Il concetto di
scienze dell’educazione, la cui mutuazione dal pensiero
deweyano è sempre più evidente, si lega alla sua appli-
cazione nell’ambito scolastico e alla sua possibilità di
sperimentazione.
Il riferimento è esplicito nel volume Problemi della
ricerca pedagogica, del 1965. Il concetto centrale che Vi-
salberghi vuole dimostrare è che “il campo dei fenomeni
educativi è estremamente vario e articolato” e la ricerca
pedagogica non “può venire aprioristicamente ristretta a
particolari settori di tale campo” e, anzi, deve essere am-
pliata e rivista. L’ampliamento delle prospettive della ri-
cerca educativa si lega al significato della scientificità
dell’educazione, che è strettamente connessa al concetto
di scienze dell’educazione. In particolare, Visalberghi
mette in rilievo come l’unità della scienza dell’educa-

38
Processi didattici per una nuova scuola democratica

zione debba essere considerata in modo funzionale e


pragmatico.
“La sua unità è funzionale e pragmatica, come quella
dell’ingegneria, o meglio della scienza delle costruzioni.
L’arte di costruire dispone di una dimensione scientifica
unitaria nella quale confluiscono varie scienze “pure”
(meccanica, fisica dei solidi, teoria dell’elasticità, ecc.)
ma che pure possiede princìpi e postulati propri, in fun-
zione del suo scopo. Non è scienza pura, ma scienza ap-
plicata, il che non significa che sia mera applicazione di
princìpi sviluppati da quelle altre scienze”28.
La scienza pedagogica è paragonata alla medicina e
all’ingegneria, o meglio alla scienza delle costruzioni. La
pedagogia, così come l’ingegneria e la medicina, è
espressione di una molteplicità di ricerche applicate a si-
tuazioni educative e scolastiche specifiche. Visalberghi,
nel riferirsi al testo deweyano delle “fonti”, afferma che
il “tratto saliente di questo scritto deweyano sta nella po-
lemica contro l’applicazione passiva di risultati scientifici
di questa o quella ‘scienza umana’ nel campo educativo”.
In particolare, egli si sofferma sulla eventualità posta dal
filosofo americano di consolidare i risultati scientifici,
‘un feticcio’, in quanto il problema dell’applicazione
delle teorie ai fatti educativi risulta un elemento estrema-
mente problematico29.

28
A. Visalberghi, Problemi della ricerca pedagogica, La Nuova Italia, Fi-
renze 1964, pp. 21-22.
29
Ivi, p. 15. Cfr. L. A. Hickman, G. Spadafora, John Dewey’s Educational
Philosophy in International Perspective. A New Democracy for the Twenty-
First Century, SIUP, Carbondale 2009.

39
GIUSEPPE SPADAFORA

L’interdisciplinarità legata ai problemi applicativi dei


fenomeni educativi è espressione di un’apertura verso
una concezione della pedagogia sperimentale che non si
chiude alla riflessione del modello teorico, ma che anzi
la integra e la completa. È in questa prospettiva che Vi-
salberghi pone la centralità del discorso della pedagogia
sperimentale come progetto per trasformare la scuola tra-
dizionale, mettendo in rilievo l’importanza dell’educa-
tional measurement e, in particolare, della oggettività
delle prove di profitto per comprendere il significato della
sperimentazione in pedagogia, collegandole alla dimen-
sione sociale della scienza a cui fa riferimento Dewey.
Il riferimento alle scienze dell’educazione, quindi, è
determinato dalla possibilità di costruire un modello di
pedagogia sperimentale da applicare nell’ambito dei pro-
cessi educativi e scolastici. L’elemento nuovo, in questa
prospettiva di ricerca, è lo stretto legame tra il cambia-
mento della pedagogia e quello della scuola. In effetti la
scientificità dell’educazione si lega alla riflessione cul-
turale sul cambiamento della scuola italiana.
Ma è nel testo Pedagogia e scienze dell’educazione
del 1978 che queste intuizioni si allargano in una prospet-
tiva che si fonda sul rapporto con la scuola e il cognitivi-
smo didattico del “dopo Dewey”. La scientificità della
pedagogia rappresenta l’insieme delle scienze che con-
corrono in modo “circolare e transazionale” alla forma-
zione del soggetto. In questa prospettiva, egli individua
nella enciclopedia pedagogica quattro settori – il settore
psicologico, quello sociologico, quello metodologico-di-
dattico e quello dei contenuti – ricollegando e distin-

40
Processi didattici per una nuova scuola democratica

guendo questa classificazione da quella operata da Mau-


rice Debesse e Gaston Mialaret nel Trattato di scienze pe-
dagogiche. Nell’ambito di tale interpretazione egli si
richiama ad alcuni processi scientifici che hanno un si-
gnificato determinante proprio nella loro applicazione
alla formazione degli insegnanti30.
In particolare, l’autore approfondisce la categoria della
complessità e della multiformità degli aspetti e dei pro-
cessi scientifici dell’educazione sottoposti al vaglio cri-
tico delle distinzioni tra i concetti di interdisciplinarità,
multidisciplinarità e transdisciplinarità, e ricondotti al-
l’atteggiamento biologico evolutivo che è espressione
dell’attività del soggetto in formazione.
Lo sforzo complessivo del volume è di legittimare, at-
traverso il concetto di scienze dell’educazione, una conce-
zione della pedagogia aperta ai “problemi dello sperimen-
talismo educativo” che si leghi alle trasformazioni che la
ricerca pedagogica deve promuovere nel sociale. In effetti,
l’idea di Visalberghi, che sarà sviluppata successivamente
in uno specifico filone di ricerca, è che l’unica possibilità

30
Cfr. A. Visalberghi, con la collaborazione di R. Maragliano, B. Vertecchi,
Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano 1978, e M. De-
besse, G. Mialaret, Trattato delle scienze pedagogiche, Armando editore,
Roma 1971. In effetti, in entrambe i testi, ci troviamo di fronte al tentativo
di costruire la pedagogia dinanzi alle scienze dell’educazione. In realtà si
tratta di un tentativo non chiaro, in quanto nella definizione visalberghiana
il paradigma delle scienze dell’educazione si sviluppa attraverso l’applica-
zione sperimentale della pedagogia ai processi di insegnamento-apprendi-
mento. Nell’impostazione francofona, con un chiaro riferimento a Piaget,
anziché Dewey, ci si trova dinanzi ad una definizione di scienza pedagogica
forse troppo onnicomprensiva e poco chiara nella distinzione con le altre
scienze. Cfr., inoltre, G. Mialaret (a cura di), Introduzione alle scienze del-
l’educazione, Laterza, Roma-Bari 1987.

41
GIUSEPPE SPADAFORA

della pedagogia di costruire una specifica scientificità è


quella di legarsi alle dimensioni della sperimentazione, che
è intesa come la capacità del ricercatore di applicare al fe-
nomeno educativo le varie scienze per sperimentare le va-
riabili del fenomeno educativo e per misurare i fenomeni
nelle sue varie dimensioni didattiche e valutative.
In effetti, la caratteristica fondamentale delle “fonti di
una scienza dell’educazione” non è tanto lo specifico rife-
rimento alla costruzione di un modello di pedagogia spe-
rimentale, in un periodo storico-culturale completamente
diverso in cui era fondamentale costruire una pedagogia
scientifica nel segno della discontinuità rispetto alla peda-
gogia di matrice filosofica gentiliana, ma è l’idea molto
chiaramente espressa nel testo che la scientificità dell’edu-
cazione è costituita da un pluralismo di scienze che si ap-
plica alla situazione educativa e scolastica specifica.
La scienza dell’educazione è determinata, quindi,
dall’applicazione della stessa da parte dell’insegnante che
Dewey definisce “investigator” e, cioè, ricercatore, fun-
zione che si sviluppa in un contesto educativo scolastico
per analizzare, orientare e recuperare i processi di appren-
dimento di ogni singolo studente nella sua singolarità e
irripetibilità. Le scienze dell’educazione, in altri termini,
esprimono un chiaro processo didattico, in quanto, si ap-
plicano tramite l’azione creativa dell’insegnante per ri-
solvere i problemi dell’apprendimento.
Partendo da questa considerazione, bisogna dire che
il processo didattico trova nelle scienze dell’educazione
e, non soltanto nell’applicazione della psicologia nelle

42
Processi didattici per una nuova scuola democratica

sue varie forme e tradizioni alle situazioni educative e


scolastiche, un punto di riferimento fondamentale per
comprendere il significato dell’azione didattica in rela-
zione alla costruzione di valori democratici.
I processi didattici, soprattutto nel contesto scolastico
formalizzato, si fondano, come più volte e in diversi con-
testi culturali è stato fatto notare, sulla relazione sistemica
di vari processi educativi: l’insegnante nelle sue varie di-
mensioni culturali e professionali, la organizzazione cur-
ricolare dei saperi gestita e definita con modalità e strut-
turazioni diversificate, il contesto scolastico influenzato
dalle varie tradizioni storico-culturali e lo studente con la
sua complessità formativa e la sua specificità e diversità31.
I processi didattici che sono fondati sull’applicazione
delle scienze dell’educazione si caratterizzano come una
sintesi tra la dimensione epistemologia della pedagogia,
della didattica e della valutazione e l’applicazione ai bi-
sogni di apprendimento e di formazione di ogni specifico
studente. La didattica si pone, quindi, come una sintesi
applicativa delle scienze dell’educazione tra le prospet-
tive della pedagogia e quelle della valutazione intesa
come possibilità di costruzione autentica e formativa del
soggetto-persona nella sua dimensione storico-culturale
di studente.
Questa è la ragione fondamentale per comprendere la
complessità dei processi didattici, misurarsi all’interno

31
Cfr. J. Mezirow, Apprendimento e trasformazione. Il significato dell’espe-
rienza e il valore della riflessione nell’apprendimento degli adulti, Raffaello
Cortina, Milano 2003. L. Fabbri, A. Romano, Metodi per l’apprendimento
trasformativo. Casi, modelli, teorie, Carocci, Roma 2018.

43
GIUSEPPE SPADAFORA

delle specifiche questioni epistemologiche legate ai pro-


cessi formativi delle persone particolari e, in particolare,
dell’insegnante e dello studente all’interno dell’organiz-
zazione scolastica di riferimento.
La didattica è da considerare un insieme di processi
educativi sistemici che determinano l’applicazione delle
scienze dell’educazione nei contesti educativi specifici,
soprattutto la scuola e i centri educativi extra-scolastici
(sulla famiglia il discorso è molto più complesso ed esula
dall’impostazione di questo testo), per determinare pro-
cessi valutativi della persona di orientamento e di recu-
pero, come cercherò di chiarire nel capitolo successivo.
Il fatto che le scienze dell’educazione determinino la
matrice epistemologica della didattica chiarisce il fatto
che la didattica esprime un processo complesso e non una
semplice costruzione metodologica avulsa dalla teoria pe-
dagogica e da specifiche dimensioni valoriali. Inoltre, la
didattica fondata sulle scienze dell’educazione può sfug-
gire al classico riduzionismo che storicamente l’ha rele-
gata ad una applicazione, soprattutto, di una specifica
teoria psicologica32.
In questa prospettiva, la didattica rappresenta una sin-
tesi significativa dell’applicazione dei processi pedagogici a
quelli valutativi e deve essere studiata e applicata non
separatamente dalla pedagogia e dalla valutazione, ma

32
Oltre ai classici H. Gardner, Educazione e sviluppo della mente. Intelli-
genze multiple e apprendimento, Erickson, Trento 2005 e D. Goleman, In-
telligenza emotiva, Bur, Milano 2011; cfr. M. Altet, É. Charlier, L. Paquay,
P. Perrenoud (a cura di), Formare gli insegnanti professionisti. Quali stra-
tegie? Quali competenze?, Armando editore, Roma 2006.

44
Processi didattici per una nuova scuola democratica

come un insieme di processi che favoriscono il possibile


sviluppo dell’orientamento dello studente alle scelte con-
sapevoli o il recupero di situazioni limitative o, addirittura,
di disagio dell’apprendimento di ogni singolo soggetto-
persona.
Per sviluppare meglio questa problematica è necessa-
rio, secondo una prospettiva pedagogico-didattica, appro-
fondire il problema formativo dell’apprendimento e dello
sviluppo umano in relazione, soprattutto, alle diversità
dei soggetti-persona nella loro singolarità e irripetibilità.

45
Capitolo terzo
Processi didattici sistemici
per la scuola dell’autonomia
Per comprendere la dimensione organica del processo
didattico per la progettazione e costruzione di una nuova
scuola democratica, soprattutto alla luce del rapporto pe-
dagogia-didattica-valutazione, è opportuno analizzare il
rapporto tra l’insegnante e il capo di istituto nella scuola, per
dimostrare attraverso un’analisi condotta per para- digmi
culturali, come il processo didattico nella sua ap-
plicazione alla realtà del sistema scolastico contempora-
neo si determini come una espressione di processi
didattici sistemici.
Volendo affrontare un discorso pedagogico sulle possi-
bilità di un ripensamento della scuola democratica ho rite-
nuto opportuno collocare nella specificità del sistema sco-
lastico italiano l’analisi complessiva del rapporto
governance-didattica-cultura. Questa scelta potrebbe essere
riduttiva, in quanto non riferibile ad un modello di scuola
che possa estendersi ad una dimensione più ampia, se non
universale. In effetti, ho ritenuto necessaria una specifica
contestualizzazione nell’ambito del sistema scolastico ita-

77
GIUSEPPE SPADAFORA

liano per due motivi specifici: innanzitutto, perché un’ana-


lisi teoretica epistemologica su base storica avrebbe chiarito
meglio il significato della didattica in relazione alla go-
vernance della scuola con riferimenti più precisi e verifi-
cabili e con riferimento ad una letteratura scientifica con-
solidata; in secondo luogo il tema della didattica, attraverso
le figure determinanti dell’insegnante e del capo d’istituto,
può essere considerato significativo per comprendere i
processi didattici sistemici che intrecciano le questioni
epistemologiche, quelle operative e quelle pratiche e testi-
moniano, in effetti, una dimensione universale del pro-
blema da applicare al modello di scuola contemporanea.
In questa prospettiva ho cercato di analizzare il rap-
porto tra didattica e governance all’interno dell’azione
dell’insegnante e del capo d’istituto nella scuola italiana
confrontandomi con tre paradigmi culturali fondamentali
che hanno caratterizzato il profilo della scuola italiana: il
paradigma della riforma gentiliana del 1923; il paradigma
della ricerca della scuola democratica dalla Costituzione
repubblicana fino agli anni ‘90; il modello della scuola
dell’autonomia fino alla contemporaneità.

1. L’insegnante come trasmettitore di conoscenze e il


capo di istituto come controllore della cultura e delle
regole della scuola

I vari studi che in questi ultimi anni si sono interessati


del ruolo della riforma Gentile del 1923 non hanno suf-
ficientemente focalizzato l’eredità che il modello scola-

78
Processi didattici per una nuova scuola democratica

stico gentiliano ha lasciato alla tradizione storico-cultu-


rale del nostro Paese.
È abbastanza evidente che il modello scolastico genti-
liano è stato caratterizzato da una concezione meritocra-
tico-selettiva della scuola, basata sull’asse centrale del li-
ceo classico e sulla non adeguata valorizzazione formativa
del lavoro pratico-professionale, considerato come “val-
vola di scarico” per gli studenti che non potevano accedere
al liceo classico per proseguire gli studi all’università e
che erano costretti ad intraprendere il percorso formativo
degli istituti tecnico-professionali per la formazione della
forza-lavoro, necessaria alla struttura economica e sociale
di quel modello di società nazionalistica e protezionistica,
gerarchicamente subordinata al sistema del partito unico
burocratico-professionale, che gestiva l’intera organizza-
zione sociale e politica e influenzava l’opinione pubblica.
A questo sistema a “canne d’organo”, organico nel
concepire la scuola come il luogo deputato alla selezione
della classe dirigente, si deve aggiungere la formazione
dei maestri caratterizzata dall’istituzione dell’Istituto Ma-
gistrale voluto da Gentile per formare la figura di educa-
tore per il popolo, il maestro appunto, che avrebbero
dovuto garantire il primo segmento popolare del sistema
scolastico italiano, una scuola di tutti basata sul leggere,
scrivere e far di conto, le tradizionali competenze di base
della scuola popolare non solo italiana ma europeo, sulla
base della tradizione culturale-religiosa protestante.
In effetti, la riforma Gentile consegna alla tradizione
storica e culturale italiana una scuola centralista, il cui

79
GIUSEPPE SPADAFORA

principio fondante è formare le classi dirigenti; il che san-


cisce – secondo un filone culturale che già si era definito
con la legge piemontese Casati del 1859 estesa al Regno
d’Italia –, il principio che l’istruzione dovesse essere
l’espressione della “teoria dei due popoli”, il centro di
formazione delle classi dirigenti, basato su una paterna-
listica apertura all’educazione del popolo55.
Il modello a cui guardava la scuola gentiliana presen-
tava, a mio avviso, non pochi difetti, ma sicuramente al-
cuni aspetti di tutto rilievo dal punto di vista segnatamente
culturale. Nella fattispecie, il pregio della riforma Gentile
è stato quello di esprimere un progetto organico, portato
diretto di una teoria filosofica che avrebbe trovato una
coerente applicazione in una scuola edificata su una cul-
tura umanistica e sulla centralità della filosofia, conside-
rata la finalità ultima del curricolo scolastico, “le cou-
rennement de l’édifice” su cui si basava il sistema
scolastico.
Consequenzialmente, la scuola era costruita su una fi-
gura di insegnante che trasmetteva la cultura (“chi sa, sa
anche insegnare”) e su una figura di “capo di istituto”, di
direttore didattico e di preside che controllava la didattica
e i contenuti culturali (le conoscenze) ed esercitava il po-
tere gerarchicamente sovraordinato sull’insegnante e
sull’organizzazione complessiva della scuola.
La teoria pedagogica gentiliana costituisce il progetto
organico su cui si fonda l’architettura complessiva del

Cfr. G. Spadafora (a cura di), Giovanni Gentile. La pedagogia, la scuola,


52

Armando editore, Roma 1997.

80
Processi didattici per una nuova scuola democratica

modello scolastico. Gentile afferma che la pedagogia “si


risolve” in quella “filosofia dello spirito”, che caratterizza
la filosofia dell’attività umana nel suo svolgimento con-
creto. L’affermazione del filosofo, che meriterebbe di es-
sere approfondita e contestualizzata nell’ambito della sua
specifica riflessione filosofica e pedagogica56, dimostra
che l’azione dell’insegnante si deve impostare fondamen-
talmente sulla conoscenza approfondita dei contenuti
della disciplina e sulla trasmissione di conoscenze e di
valori nella relazione educativa. Proprio come lo stesso
filosofo chiarisce in più luoghi della sua prima raccolta
di saggi di pedagogia, come aveva teorizzato nel testo
L’insegnamento della filosofia ne’ licei del 1900 e, suc-
cessivamente, nel saggio fondamentale pubblicato nel
1901, Il concetto scientifico della pedagogia.
Lo schema dell’insegnante-trasmettitore di conoscenze
è centrale nel modello di scuola gentiliano e lo dimostra il
progetto complessivo di scuola espresso nella sua riforma
scolastica del 1923. L’insegnante deve essere un modello
colto di riferimento per lo studente che, solo se si con-
forma alla personalità culturale ed etica dell’insegnante,
può realizzare in modo integrale la sua formazione. In
questo senso l’insegnante deve conoscere in modo appro-
fondito quello che è il suo ambito disciplinare di riferi-

53
I testi gentiliani in cui è presente la struttura della relazione educativa mae-
stro-allievi sono diversi. Vorrei citarli secondo le prime edizioni per mostrare
come il problema filosofico-pedagogico didattico era definito nel pensiero
del filosofo siciliano già nel primo quindicennio del secolo: G. Gentile, L’in-
segnamento della filosofia ne’ licei, Sandron, Palermo 1900; Scuola e filo-
sofia, Sandron, Palermo 1908; Sommario di pedagogia come scienza
filosofica, I: Pedagogia generale, II: Didattica, Laterza, Bari 1913, 1914.

81
GIUSEPPE SPADAFORA

mento, per immedesimarsi dal punto di vista spirituale e


culturale con lo studente, tanto da diventare con quest’ul-
timo una persona unica spiritualmente e culturalmente at-
traverso il concetto filosofico di “sintesi a priori”.
La relazione educativa è imperniata, secondo Gentile,
sul concetto che l’autentica libertà dello studente-allievo
è fondata sul riconoscimento dell’autorevolezza dell’in-
segnante-maestro. Ne consegue che questo tipo di rela-
zione educativa non sviluppa una autentica costruzione
dialogica di valori, una specifica comunicazione educa-
tiva a vari livelli e, inoltre, potrebbe risultare espressione
di un sistema educativo autoritario.
In tale contesto si muove la prospettiva del capo di
istituto di impostazione gentiliana che rappresenta l’isti-
tuzione e, in particolare, le direttive centralistiche del Mi-
nistero, di cui egli deve essere l’esecutore e il garante. Il
capo di istituto nel sistema scolastico gentiliano rappre-
senta, dunque, un controllore della preparazione culturale
dell’insegnante e della sua azione didattica, nonché della
applicazione delle leggi e dei regolamenti imposti dalla
burocrazia ministeriale.
Il Regio Decreto n. 965 del 1924 e il Regio Decreto
n. 1297 del 1928 dimostrano con chiarezza, nelle parti
che trattano gli aspetti specifici del ruolo del direttore
didattico, del preside come dell’ispettore scolastico, la
centralità del controllo didattico e burocratico, che è mag-
giormente accentuato nella cosiddetta “politica dei ritoc-
chi”, in cui ricadono i precedenti decreti e nell’organiz-
zazione complessiva della scuola del fascismo. Il ruolo

82
Processi didattici per una nuova scuola democratica

di garante delle leggi e dei regolamenti centralistici deriva


dall’idea che, se il capo di istituto deve essere un attuatore
della normativa generale e dei regolamenti, non può che
essere un controllore della didattica e dell’azione culturale
dell’insegnante e, quindi, deve necessariamente proporsi
come modello culturale che controlla il sapere trasmissivo
degli insegnanti.
In una siffatta cornice culturale, quindi, il capo d’isti-
tuto deve essere un ottimo conoscitore dei contenuti, una
persona colta e, preferibilmente, più colta degli inse-
gnanti. Ma l’aspetto più significativo dell’azione ammi-
nistrativa del capo di istituto, direttore didattico o preside,
con differenziate modalità di esercizio di funzione, è pre-
cipuamente quello di interpretare l’autorità dell’istitu-
zione che deve essere riconosciuta dagli studenti, dagli
insegnanti e dal personale della scuola. Il capo di istituto
è tenuto a controllare il rispetto delle normative e dei re-
golamenti e, eventualmente, sanzionare i comportamenti
non ritenuti in regola con le leggi e i regolamenti in rela-
zione al periodo storico preso in considerazione.
Le conseguenze del sistema scolastico gentiliano si
evidenziano nel fatto che solo una severa selezione basata
sull’esame di Stato per costruire una scuola della meri-
tocrazia, finalizzata alla formazione delle élites, può dare
un significato ad una scuola siffatta. Le élites che la
scuola era orientata a formare erano rappresentate in
modo preminente dalla classe burocratica e dalle profes-
sioni, chiamate a esercitare il controllo gerarchico, se-
condo le prospettive di uno stato centralista, sull’orga-
nizzazione scolastica periferica dello Stato.

83
GIUSEPPE SPADAFORA

Il sistema scolastico gentiliano era fondato sulla cen-


tralità della cultura classica in quanto il liceo classico,
dove il curricolo formativo centrale era rappresentato dal
latino, dal greco, dalla letteratura italiana e dalla storia
della filosofia, avrebbe consegnato alla cultura europea
uno schema molto preciso che ascrive all’insegnante, al-
meno della scuola superiore, il ruolo di un umanista colto
la cui azione ineludibile è la trasmissione di conoscenze.
Grazie alla sua cultura e alla conoscenza approfondita
della disciplina l’insegnante trasmette le sue conoscenze
allo studente, attendendosi che questi le memorizzi e
comprenda. Si tratta di un apprendimento non di rado
gestito autonomamente dalla rielaborazione critica dello
studente, eppure non si può sottovalutare che la specificità
della didassi di stampo gentiliano porta l’allievo a com-
misurarsi con un apprendimento che irrobustisce la resi-
stenza e il sacrificio per lo studio, condizioni essenziali e
imprescindibili per la complessiva formazione culturale
dello studente. La selezione scolastica si basava princi-
palmente, durante l’esame di Stato, sull’accertamento
delle conoscenze che, inevitabilmente, dava la possibilità
di valutare i diversi studenti con maggiore facilità.
È abbastanza evidente, quindi, che per realizzare una
tale valutazione era necessario un grande senso di respon-
sabilità dell’insegnante e di controllo da parte della strut-
tura amministrativa, che poteva, però, sfociare in arbitrio
e in un ingiustificato esercizio di potere sull’altro.
Il modello gentiliano, che ha uno sviluppo interessante
– ma non realizzato per il sopraggiungere della guerra –
nella Carta della Scuola di Bottai, che sancisce l’apertura

84
Processi didattici per una nuova scuola democratica

della scuola al mondo del lavoro e al mondo extrascola-


stico, costituisce il punto di riferimento su cui la scuola
della Costituzione repubblicana e la scuola del secondo
dopoguerra lavoreranno per costruire una possibile scuola
democratica.
In effetti il paradigma gentiliano può essere conside-
rato un esempio significativo del sistema didattico più
semplice e, ancora, in gran parte utilizzato soprattutto per
quanto concerne la scuola superiore e, soprattutto, l’uni-
versità. Quello che didatticamente può essere definita “le-
zione frontale” è il modo più agevole di comunicare da
parte dell’insegnante ed è, anche, il modo più semplice
di valutare accertando le conoscenze di base57.
Nel caso specifico del paradigma gentiliano, quello
che si può cogliere e che, a mio avviso, potrebbe avere
una valenza universale non solo confinata ad un passato
culturale scolastico e provinciale, come potrebbe essere
considerato il sistema scolastico italiano, è proprio la fa-
cilità del processo didattico e valutativo determinato dalla
trasmissione e dall’accertamento delle conoscenze e,
anche, l’inevitabile processo di selezione che determina
il concetto di merito scolastico, così come queste catego-
rie sono state proposte recentemente nel dibattito econo-
mico e pedagogico contemporaneo58.

54
Cfr. E. Damiano, La mediazione didattica. Per una teoria dell’insegna-
mento, FrancoAngeli, Milano 2013; A. Calvani, Come fare una lezione ef-
ficace, Carocci, Roma 2014.
55
G. Da Empoli, La guerra del talento. Meritocrazia e mobilità nella nuova
economia, Marsilio, Venezia 2000; R. Abravanel, Meritocrazia. Quattro pro-
poste concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco
e più giusto, Garzanti, Milano 2008.

85
GIUSEPPE SPADAFORA

Trasmettere e valutare le conoscenze è “naturale” e


più semplice, ma può produrre notevoli svantaggi nella
formazione delle varie soggettività della persona che con-
vivono all’interno della classe. Il problema centrale del-
l’insegnante è comunicare, ma la comunicazione diventa
significativa se è orientata verso specifiche soggettività
e non diventa, come spesso avviene, uniforme trasmis-
sione di conoscenze ad una comunità di studenti che,
inevitabilmente, non può essere seguita in modo perso-
nalizzato. È, inevitabile, in questo caso, che vi sia un di-
retto rapporto tra la trasmissione delle conoscenze e la
valutazione basata sull’accertamento delle conoscenze;
ed è quindi abbastanza evidente che il sistema di controllo
delle regole disciplinari, che può portare a chiari abusi di
potere, può legarsi al concetto tradizionale e espressione
di una lunga tradizione storico-culturale del “sorvegliare
e punire”, che rappresenta uno degli aspetti più complessi
del rapporto tra la formazione umana e le regole59.
Il problema, infatti, del paradigma gentiliano è dato
proprio dal rapporto che sussiste tra lo sviluppo formativo
dell’individualità e l’acquisizione consapevole delle re-
gole che, proprio in riferimento al suddetto paradigma,
diventa uno dei temi centrali del dibattito culturale e po-
litico sulla qualità nella scuola negli ultimi decenni e sul
valore del merito. Con la fine del secondo confitto mon-

56
Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi,
Torino 1993. Il testo, ovviamente riferito non al contesto scolastico, riporta
alla degenerazione del tema del controllo punitivo della persona e, quindi,
anche dello studente in classe. Il merito dell’analisi foucaultiana è quello di
dimostrare che questo tema, estremamente complesso, non può essere solo
definito da un semplice schema stimolo-risposta, premio-punizione.

86
Processi didattici per una nuova scuola democratica

diale e, soprattutto, con la caduta del fascismo, il tema


centrale è stato quello della spasmodica ricerca di un mo-
dello di scuola democratica, in cui le figure dell’inse-
gnante e del capo di istituto, in modo lento e graduale
sono state determinate da una profonda mutazione antro-
pologica (il termine non è, a mio avviso, eccessivo e fuor-
viante), culturale e politica dell’insegnante e del capo di
istituto. Questa trasformazione ci aiuta a comprendere
meglio la fondazione epistemologica di quella scuola de-
mocratica strettamente legata ad una nuova concezione
della didattica che si allontana sempre di più dalla sua di-
mensione di didattica al servizio di una lezione frontale.

2. Una nuova didattica dell’insegnante e del capo di


istituto

La storia della scuola e delle istituzioni scolastiche nel


nostro Paese ha avuto nel secondo dopoguerra e, in par-
ticolare, dall’entrata in vigore della Costituzione italiana
dal 1948 in poi un lungo periodo di ricostruzione morale
e civile del nostro paese, generato da un pluralismo cul-
turale costituto dalla fioritura del marxismo prevalente-
mente di matrice gramsciana, del personalismo cattolico
sostenuto dalla complessa politica della Chiesa cattolica
e dalla variegata dimensione laica e “terzaforzista”, ispi-
rata dal pensiero di John Dewey in pedagogia soprattutto
e da variegate forze laiche e radicali.
Di fatto, lo sforzo complessivo della cultura e della
politica scolastica è stato quello di fondare una scuola de-

87
GIUSEPPE SPADAFORA

mocratica che nella storia italiana rimaneva un aspetto


poco conosciuto e non definito rispetto al passato politico
fascista, alla cultura pedagogico-didattica neoidealista e,
soprattutto, alla dimensione della scuola centralizzata ge-
rarchizzata e verticistica.
Il punto di partenza, logicamente, doveva essere con-
siderato il progetto culturale contenuto nella Costituzione
Repubblicana. In realtà, però, il valore fondamentale
della Carta Costituzionale per quanto concerne le que-
stioni educative e scolastiche non è stato chiarito fino in
fondo. Spesso della Costituzione infatti, sono stati con-
siderati solamente alcuni articoli specifici e, in particolare,
gli articoli 33 e 34 come fondanti il nuovo paradigma
della scuola democratica contemporanea.
Invero, questi articoli sanciscono, soprattutto, i prin-
cìpi della scuola dell’obbligo, della libertà di insegna-
mento e della scuola che deve permettere ai “capaci e
meritevoli”, anche se privi di mezzi, di sviluppare il di-
ritto allo studio, e non possono essere separati da alcuni
princìpi fondamentali della Costituzione italiana.
In particolare, il secondo e il terzo articolo della Co-
stituzione italiana rappresentano due aspetti pedagogici
fondamentali, forse riconosciuti e analizzati solo in tempi
recenti dalla critica. Questi ultimi, infatti, esprimono la
vera architettura pedagogica su cui si potrebbe tentare
anche nella contemporaneità di costruire un modello di
scuola democratica.
Il diritto-dovere di solidarietà per ogni cittadino della
Repubblica che deve esprimere la sua attività attraverso

88
Processi didattici per una nuova scuola democratica

la dignità del lavoro e un’azione solidale di aiuto econo-


mico e civile nei confronti di altri cittadini più bisognosi
come indicato dagli artt. 1 e 2, e l’art. 3 in cui si chiarisce
che la Repubblica deve rimuovere gli ostacoli per per-
mettere ad ogni cittadino di sviluppare pienamente la sua
personalità, esprimono i fondamenti della formazione di
ogni studente in una scuola democratica60.
Partendo dall’architettura complessiva della questione
educativa presente nella Costituzione italiana, la ricerca
della scuola democratica, almeno fino agli anni ‘90, è
stata caratterizzata da due grandi momenti storici che len-
tamente hanno ridisegnato gli aspetti specifici del ruolo
culturale, della professione dell’insegnante e del capo di
istituto e, complessivamente, della concezione della di-
dattica nell’ambito del sistema scolastico italiano.
Il primo periodo si sviluppa fino agli anni ‘70 con le
tematiche dell’obbligo scolastico e con la critica della
scuola tradizionale, autoritaria e selettiva, che ha avuto
nel complesso fenomeno del ‘68 un momento di svolta
culturale e politica decisivo.
La questione dell’obbligo scolastico, che ha la sua
piena realizzazione nell’istituzione della scuola media
dell’obbligo nel 1963, è stata un momento fondamentale
di crescita democratica a cui hanno partecipato le varie
correnti culturali maturate all’indomani del secondo con-
flitto mondiale. In tal senso la cultura del 1967-68, esem-
plarmente definita proprio sui temi della selezione e del-

57
Cfr. C. De Luca, G. Spadafora, Per una pedagogia dei diritti, cit.

89
GIUSEPPE SPADAFORA

l’obbligo scolastico dalla Lettera a una professoressa, ispi-


rata da don Lorenzo Milani, è espressione dello sforzo
fondamentale di ripensare il significato della scuola de-
mocratica. La didattica della Lettera a una professoressa,
in particolare, è un momento estremamente significativo,
in quanto lega la questione della scuola democratica al su-
peramento della scuola che riproduce le differenze sociali.
Basti pensare all’assunto di differenziare l’insegna-
mento come uno dei cardini della scuola democratica
(“fare parti uguali tra disuguali”) e che costituirà uno dei
temi centrali della ricerca della scuola democratica, legata
alla didattica e al superamento della tradizionale idea di
un insegnante trasmettitore di conoscenze, depositario
della cultura e dell’autorità e di una scuola che continua
a selezionare61.
Un altro aspetto fondamentale caratterizzante la ricerca
della scuola democratica è stato prodotto dal grande
sforzo dei Decreti Delegati degli anni ‘70 con cui è stato
fondato il concetto di “comunità scolastica”, di ispirazione
laica, e di “comunità educante” di ispirazione cattolica.
Quello che è da considerare centrale nella normativa
degli anni ‘70 dei Decreti Delegati, nonché nella 517/77,
prima timida ma innovativa integrazione dei “portatori
di handicap”, è l’affermazione del concetto di collegialità
anche con le famiglie, di integrazione delle diversità e,
per la prima volta in modo organico, della disabilità, che
diventerà uno dei temi centrali dell’inclusione.

58
Cfr. Don Milani, AA.VV., Lettera a una professoressa edizione speciale
40 anni dopo, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 2007.

90
Processi didattici per una nuova scuola democratica

Questi processi culturali hanno influenzato in modo


decisivo la figura dell’insegnante e del capo di istituto.
In questo senso, l’insegnante della scuola democratica ha
i suoi riferimenti culturali e didattici fondamentali nel-
l’opera di Maria Montessori, John Dewey, Jean Piaget e
nelle trasformazioni della didattica contemporanea in-
fluenzate, in particolare, da Jerome Bruner e Howard
Gardner e dalle “galassie” culturali della metacognizione
e del costuttivismo62.
In modo particolare, il tema della didattica ha avuto
una influenza fondamentale nella esperienza deweyana
della scuola-laboratorio di Chicago, che si sviluppò dal
1896 al 1903 e che costituisce uno dei momenti più si-
gnificativi delle trasformazioni della pedagogia nel No-
vecento63.
In The School and Society del 1899, che è il report dei
primi due anni di attività della scuola-laboratorio di Chi-
cago, e in The Child and the Curriculum del 1902,
Dewey pone i tre princìpi fondamentali della sua teoria
didattica legata ad una specifica dimensione della scuola
democratica.
Innanzitutto, secondo Dewey, la scuola deve necessa-
riamente rielaborare dal punto di vista didattico e cultu-
rale ciò che avviene nella società. In altri termini, la

59
Cfr. T. M. Duffy, T. M. Jonassen, Constructivism and the Technology of
Instruction, A Conversation, Erlbaum, Hillsdale, N. J, 1992; A. Carletti, A.
Varani (a cura di), Didattica costruttivista. Dalle teorie alla pratica in classe,
Erickson, Trento 2005.
60
Cfr. R. B. Westbrook, John Dewey e la democrazia americana, tr. it e a
cura di T. Pezzano, Armando editore, Roma 2011 (ed. or.: John Dewey and
American Democracy, 1991).

91
GIUSEPPE SPADAFORA

scuola, nel progettare il suo curricolo e le sue attività di-


dattiche attraverso la figura dell’insegnante, deve consi-
derare la società per elaborare i contenuti e le specifiche
didattiche e metodologie. Il secondo principio si basa sul
fatto che al centro del rapporto educativo deve esserci lo
studente con i suoi bisogni educativi. L’idea del para-
digma della child centered school afferma che l’inse-
gnante deve costruire un ambiente di apprendimento tale
da fare sviluppare le potenzialità apprenditive del sog-
getto nelle situazioni educative. In questo senso l’appren-
dimento deve essere teorico-pratico (to learn by doing),
proprio perché deve mettere in condizione lo studente di
verificare costantemente e nelle situazioni concrete le sue
capacità di apprendimento.
Il terzo principio si basa sulla centralità dell’organiz-
zazione scolastica. Senza un’adeguata organizzazione
nella scuola non è possibile progettare un ambiente di
apprendimento adeguato a far sviluppare le potenzialità
formative di ogni studente. L’insegnante, in questa pro-
spettiva, non più solo trasmettitore di conoscenze e in-
tellettuale funzionale alla scuola selettiva delle élites,
non può che essere un ricercatore che costruisce o co-
costruisce un ambiente educativo di apprendimento, in
cui solo una didattica pratica e costruttiva può favorire e
attuare le potenzialità del soggetto nella sua unicità e ir-
ripetibilità, il cui sviluppo determina la possibile defini-
zione della democrazia, come chiarisce lo stesso John
Dewey in Democracy and Education del 1916.
Nel testo del 1929, The Sources of a Science of Edu-
cation, fondamentale per la definizione epistemologica

92
Processi didattici per una nuova scuola democratica

della didattica, l’insegnante è un “investigator”, che


deve necessariamente applicare le scienze dell’educa-
zione ad ogni singola situazione di apprendimento. Il
cambiamento sostanziale che si sviluppa proprio negli
anni ‘70 è la chiara definizione della nuova figura del-
l’insegnante che fonda la sua professionalità sull’appli-
cazione della didattica e delle scienze dell’educazione
alla specificità dell’apprendimento di ogni singolo stu-
dente, al fine di determinare i progressivi miglioramenti
dell’apprendimento.
In tale prospettiva l’insegnante, dovendosi preoccu-
pare dell’apprendimento di ogni singolo studente, deve
inevitabilmente orientare i contenuti del suo insegna-
mento al processo di costruzione dell’apprendimento di
ogni studente. La classe diventa “laboratorio” di una
scuola democratica solo se l’insegnante cura e orienta le
potenzialità di apprendimento e di formazione che ogni
studente può esprimere. È evidente che in una simile e
progressiva trasformazione della figura dell’insegnante,
questi ha bisogno della didattica per poter costruire una
scuola democratica di ciascuno e di tutti64.
In effetti, le varie trasformazioni, dalla didattica co-
gnitivista del primo Bruner fino a quelle della meta-co-
gnizione, dalle formae mentis e della creatività estetica
di Howard Gardner all’apprendimento trasformativo di
Mezirow, si fondano sul principio, influenzato dal con-
cetto di scienze dell’educazione, che l’insegnante deve

61
Cfr. J. Mezirow, E. W. Taylor, Transformative Learning in Practice: In-
sights from Community, Workplace, and Higher Education, Jossey-Bass,
Hoboken New Jersey 2009.

93
GIUSEPPE SPADAFORA

adattare il suo insegnamento alle possibilità di apprendi-


mento di ogni singolo allievo.
Questo principio culturale si fonda sull’idea che l’in-
segnante deve misurare la sua azione dal punto di vista
didattico e non solo contenutistico e culturale. La didattica,
che ha subìto diversi cambiamenti epistemologici, si ri-
progetta non solo nella trasformazione dei contenuti del-
l’insegnamento adattati alle specificità e diversità dell’ap-
prendimento di ogni studente, ma sulla complessiva
relazione tra l’insegnante, lo studente e l’organizzazione
del sistema curricolare e educativo in cui questa relazione
si radica e si sviluppa. E la didattica si confronta con i
processi della valutazione, che diventa sempre più centrale
nell’organizzazione scolastica dell’apprendimento. Lo
sforzo, infatti, della didattica contemporanea è quello di
costruire un nesso profondo tra la progettazione del cur-
ricolo, la gestione didattica dei contenuti e la valutazione
formativa e autentica di ogni singolo studente.
L’insegnante della scuola democratica, dunque, attra-
verso il paradigma delle scienze dell’educazione, avrebbe
dovuto sviluppare nella scuola una azione didattica tesa
a verificarne costantemente la ricaduta in quella realiz-
zazione pratica dell’insegnamento, che esprime qualcosa
di “più vasto” rispetto alla scienza per risolvere i pro-
blemi dell’apprendimento dello studente.
Accanto alla professionalità docente che si definisce
all’interno del concetto di scienze dell’educazione, la tra-
sformazione del ruolo culturale e professionale del diret-
tore didattico e del preside si comincia a delineare tramite

94
Processi didattici per una nuova scuola democratica

i Decreti Delegati. Basti pensare allo stato giuridico del


capo d’istituto, che è sancito nel D.P.R. n. 417 del
31/5/1974, in cui è chiaro il riferimento alla sua azione
di “promozione e coordinamento” delle attività all’interno
dell’istituzione scolastica. Ma la più significativa riforma
post-costituzionale relativa alla dirigenza pubblica italiana è
rappresentata dall’istituzione della dirigenza statale,
con il D.P.R. n. 748/1972. L’obiettivo era quello di attri-
buire competenze proprie e autonome ai funzionari dello
stato. I dirigenti avrebbero dovuto garantire “propulsione,
coordinamento, vigilanza e controllo” per assicurare la
legalità, l’imparzialità, la speditezza, l’economicità dei
processi amministrativi.
È vero che sussistevano ancora molte tracce del rap-
porto gerarchico, come si evince dall’inciso della legge
di delega; è indubbio che, comunque, una strada nuova
era stata tracciata.
Il vero problema del lungo paradigma culturale in
cui si tenta di definire la scuola democratica nel periodo
che va dall’entrata in vigore della Costituzione fino alla
fine della guerra fredda, dal 1948 al 1989-90, è la co-
struzione di un modello di scuola democratica attraverso
la definizione degli organi collegiali e del processo di
integrazione scolastica (la tematica dell’inclusione è suc-
cessiva) dei disabili e, soprattutto, attraverso i nuovi
programmi dei vari ordini e gradi di scuola (scuola media
inferiore del 1979, programmi Brocca per la scuola se-
condaria; scuola elementare, leggi del 1985 e del 1990;
scuola dell’infanzia con I nuovi orientamenti del 1991),
che di fatto determinarono una riforma complessiva si-

95
GIUSEPPE SPADAFORA

lenziosa, ma non organica, dell’intero sistema ordina-


mentale.
Sebbene si sia parlato e trattato esplicitamente del
“mito della grande riforma”, di fatto si cerca di trasfor-
mare complessivamente il sistema scolastico in una co-
munità democratica non sufficientemente chiarita nella
sua specifica organizzazione. In questo senso le figure
del direttore didattico e del preside sono definite sempre
più come espressione del leader educativo della scuola,
vieppiù inteso come il rappresentante di una istituzione
fondata sul principio dell’organizzazione, che diventa un
momento centrale della riflessione pedagogico-culturale
applicata alla scuola.
Infatti, la figura del capo di istituto come leader edu-
cativo è sviluppata dagli studi sui problemi della scuola
come organizzazione, secondo i criteri dell’efficienza e
dell’efficacia, che diventano il nucleo centrale di un
orientamento scientifico complessivo tra la fine degli
anni ‘80 e gli inizi degli anni ‘9065. I temi della valuta-
zione organizzativa del sistema-scuola determinano un
cambiamento significativo proprio nella direzione com-
plessiva della costruzione della scuola democratica, con-
siderata il fattore di sviluppo per il processo economico
e, quindi, bisognosa di un leader educativo.
Questa trasformazione della scuola democratica come
centro propulsore di sviluppo economico e di democra-

62
D. R. Schwandt, M. J. Marquardt, Organizational Learning, Boca Raton,
St. Lucie 2000; P. Smeyers, M. Depaepe, Educational Research: Discourses
of Change and Changes of Discourse, Springer-Verlag, Berlin 2016.

96
Processi didattici per una nuova scuola democratica

zia, inevitabilmente, ha bisogno di una dimensione isti-


tuzionale diversa rispetto al centralismo burocratico e, in
questo senso, le battaglie politiche per l’autonomia sco-
lastica diventano il progetto culturale per superare i tra-
dizionali steccati tra il mondo laico e quello cattolico e
la contrapposizione ideologica e politica tra scuola pub-
blica e scuola privata.
In questa prospettiva, bisogna rilevare come l’art. 1
del D.P.R. 416/1974, e ora art. 3, comma 1 del D.lgs. n.
297 del 1994, T.U. delle disposizioni legislative in mate-
ria di istruzione, definiscono la funzione dei capi d’isti-
tuto quali dirigenti che devono caratterizzare la scuola
come “una comunità che interagisce con la più vasta co-
munità sociale e civica”.
La scuola dei Decreti Delegati accentua, dunque, la
funzione “politica” del capo d’istituto che, alle preroga-
tive del burocrate, deve aggiungere le abilità relazionali
e la credibilità del leader educativo. Complessivamente,
quindi, fino agli anni ‘90 ci si trova di fronte alla costru-
zione di una scuola democratica basata soprattutto sul-
l’acquisizione del principio dell’obbligo scolastico, anche
se non è rispettato specialmente in vaste aree del Mezzo-
giorno d’Italia, del concetto di scuola come democrazia
partecipativa aperta alle famiglie e in stretta sinergia con
gli enti locali del territorio, dell’integrazione scolastica
della disabilità, della centralità dell’infanzia nel sistema
scolastico, in definitiva di una concezione della demo-
crazia fondata sul principio delle uguali opportunità di
partenza di ogni singolo studente.

97
GIUSEPPE SPADAFORA

Ma l’aspetto più significativo che emerge da questa


ricerca di una scuola democratica è espresso dalla cen-
tralità della didattica nella scuola nelle due figure con-
giunte del capo di istituto e dell’insegnante. L’insegnante
esprime la sua professionalità in un’impostazione didat-
tica che, in effetti, pur tra innumerevoli contraddizioni,
tenta di superare la concezione della tradizionale didattica
trasmissiva, proprio perché la lezione frontale non è
adatta alle specificità di ogni singolo studente. Parimenti,
il capo di istituto nelle sue differenti declinazioni del di-
rettore didattico e del preside si apre, inevitabilmente, ad
una didattica organizzativa e alla promozione della col-
legialità interdisciplinare dell’insegnamento e questo, a
mio avviso, sancisce la complessità del processo didattico
nella scuola che diventa sempre più legata alla costru-
zione di una scuola democratica e, nel contempo, all’im-
portanza della didattica che diventa uno dei nodi
fondamentali della ricerca educativa per la costruzione
di una scuola democratica.

3. La didattica come problema sistemico nella scuola


dell’autonomia

È opportuno osservare che la ricerca educativa con-


temporanea si basa sulla riflessione scientifico-pedago-
gico-didattica della categoria della formazione, conside-
rata sempre più come una dimensione complessa di una
soggettività della persona unica, irripetibile che agisce e
vive nelle situazioni educative specifiche, in cui gli eventi

98
Processi didattici per una nuova scuola democratica

inaspettati giocano un ruolo significativo nei processi


formativi. Un autore di riferimento che in modo diverso
ha esplorato queste dimensioni è Edgar Morin, con la
sua “riforma del pensiero” e, soprattutto, con la defini-
zione di un curricolo per la scuola del futuro66.
In questo senso, le trasformazioni della scuola demo-
cratica che si sviluppano cronologicamente dalla legge
sull’autonomia del 1997 fino alla “Buona Scuola” del
2015 e oltre, fino ai recenti decreti attuativi e alle grandi
questioni sulla scuola della contemporaneità, si basano
sull’idea che l’insegnante deve caratterizzarsi come un
progettista della formazione unica e irripetibile di ogni
studente, nonché ricercatore esperto nella didattica delle
competenze e nella valutazione autentica, che cerca di
costruire nella collegialità tra il dirigente scolastico e gli
altri insegnanti un equilibrio tra la governance e la didat-
tica per definire una nuova dimensione della scuola de-
mocratica.
Complessivamente, si può affermare che il significato
democratico della scuola che si sviluppa fino ai giorni
nostri individua un modello di scuola in cui l’azione del-
l’insegnante e del dirigente si caratterizza e si sviluppa
tra la governance e la didattica. L’insegnante nella sua at-
tività culturale, didattica e di ricerca, pertanto, deve rag-
giungere un equilibrio epistemologico tra la didattica e
la disciplina intese come saperi applicati alle dimensioni
scolastiche. La didattica, però, deve essere legata alla

Cfr. E. Morin, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione,


63

Raffaello Cortina, Milano 2015.

99
GIUSEPPE SPADAFORA

comprensione del processo di valutazione di ogni stu-


dente. Il processo di valutazione e, in particolare, quello
di “valutazione autentica”, deve essere collegato ai con-
tenuti disciplinari e alla didattica in modo tale da costruire
quel circuito virtuoso che è alla base del profilo culturale
dell’insegnante.
Qualunque stile di insegnamento e, di conseguenza,
di processo didattico deve rappresentare un equilibrio tra
la trasmissione delle conoscenze e l’azione metodolo-
gico-didattica espressa, in particolare, dalla didattica per
competenze e dall’insieme di metodologie che pongono
al centro la dimensione costruttivistica dell’apprendi-
mento, soprattutto attraverso le competenze digitali67.
Porre al centro della relazione educativa lo studente non
significa che ci si debba esimere dal trasmettere le cono-
scenze. Far sviluppare specifiche competenze, o dimen-
sioni laboratoriali, o aspetti propri delle competenze
digitali attraverso il “flipped classroom”, come già detto,
significa, invece, trasmettere contenuti didatticamente
trattati e, al tempo stesso, organizzare ambienti di appren-
dimento tali che l’insegnante innovi le pratiche educative
all’interno della sua specifica attività culturale68.
In questo senso è necessario trovare un adeguato equi-
librio tra l’apprendimento trasformativo di ogni individuo,
che si lega alla particolare situazione in cui egli vive e

64
D. A. Schön, Formare il professionista riflessivo. Per una nuova prospet-
tiva della formazione e dell’apprendimento nelle professioni, FrancoAngeli,
Milano 2016.
65
Cfr. R. Trinchero, Costruire, valutare, certificare competenze. Proposte
di attività per la scuola, FrancoAngeli, Milano 2016.

100
Processi didattici per una nuova scuola democratica

opera, e il contesto specifico della competenza come ca-


pacità di gestire la singolarità delle situazioni, risolvendo
di volta in volta i problemi. In effetti, non può esistere
organizzazione didattica dei contenuti interdisciplinari
senza una adeguata competenza culturale da parte del-
l’insegnante, il quale deve compiere una intensa opera
di auto-riflessione all’interno di quelle che sono le pro-
blematiche della sua interiorità in rapporto alla relazione
educativa con lo studente. Lo studente deve essere con-
siderato una “differenza” verso cui decentrarsi empati-
camente per favorire lo sviluppo delle sue potenzialità
inespresse.
Ispirandosi all’idea di Donald Schön, ma soprattutto
dell’ultimo Perrenoud69, è fondamentale che l’insegnante
si interroghi in modo riflessivo e profondo sulla sua atti-
vità, all’interno anche di un processo di monitoraggio che
la scuola può avviare in uno specifico processo di auto-
valutazione complessiva, per limitare qualsiasi forma di
esercizio di potere improprio sullo studente e, quindi, per
favorire tutte le possibili forme di empatia positiva all’in-
terno della relazione educativa.
Questa forma di auto-riflessione deve aprirsi all’alterità
dello studente in modo appropriato e, quindi, deve consi-
derare la formazione dello stesso nella sua complessità e
imprevedibilità. L’insegnante autoriflessivo-progettista
della formazione delle specificità e originalità di ogni stu-
dente, quindi, dovrebbe favorire l’inclusione educativa e

66
Ph. Perrenoud, Quando la scuola ritiene di preparare alla vita. Sviluppare
competenze o insegnare diversi saperi, Anicia, Roma 2017.

101
GIUSEPPE SPADAFORA

il progetto di vita di ognuno. In effetti, solo un simile in-


segnante, consapevole e critico della formazione del pro-
getto di vita di ciascuno e di tutti nella classe, può rifondare
un patto formativo per la scuola per una nuova concezione
del capitale umano come possibile generatore di sviluppo
psicologico, emotivo e culturale di ogni studente70.
Negli ultimi due decenni la scuola italiana, unitamente
al sistema universitario e nel contesto del disegno forma-
tivo europeo, è stata condizionata da numerose riforme
di sistema, da Berlinguer alla Moratti, da Fioroni fino alla
Gelmini – riforme complessive ispirate prevalentemente
dalle politiche dell’istruzione e della formazione europee
– fino ad arrivare alla recentissima riforma della “Buona
Scuola” (legge 107/2015) e alla conseguente normativa
attuativa, che intende affermare, sia pure con molti limiti
e approssimazioni, le caratteristiche peculiari di una
scuola dell’autonomia nel contesto, comunque, di una
comparazione europea e globale del sistema scuola.
È chiaro che le politiche dell’istruzione e della forma-
zione in Europa, dalla Strategia di Lisbona in poi, hanno
condizionato in modo decisivo la definizione e fondazione
di un modello di scuola democratica. In questa prospettiva
culturale e politica la legge n. 59 del 15 marzo 1997, “De-
lega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti
alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica
Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”

67
P. Mulè (a cura di), Il dirigente per le scuole. Manager e leader educativo,
PensaMultimedia, Lecce 2015; V. Tenore, A. Squillaci, Il procedimento di-
sciplinare nell’amministrazione scolastica per il personale amministrativo,
docente, dirigente, universitario, ATA, alunni, Anicia, Roma 2015.

102
Processi didattici per una nuova scuola democratica

(comunemente nota come “legge Bassanini 1”), segna la


tappa fondamentale di un percorso riformatore.
Essa conferisce alle regioni e agli enti locali, nell’os-
servanza del principio di sussidiarietà, tutte le funzioni e i
compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e
della promozione dello sviluppo delle rispettive comunità.
All’art. 21 la suddetta legge sancisce l’autonomia delle
istituzioni scolastiche, che si inserisce nel processo di rea-
lizzazione dell’autonomia e della riorganizzazione del-
l’intero sistema della Pubblica Amministrazione. In una
dimensione autonoma dell’istituzione scolastica l’inse-
gnante acquisisce una competenza complessa che favo-
risce la possibilità di ogni studente di potere esercitare il
diritto allo studio previsto dalla Costituzione, tenendo
conto della dimensione locale nel contesto nazionale.
Il tema dell’autonomia scolastica, in particolare, po-
trebbe sviluppare il concetto di insegnante come ricerca-
tore, in ossequio al principio della autonomia, della
ricerca e della sperimentazione che rappresentano i capi-
saldi del concetto di autonomia scolastica. In questo
senso l’aspetto che sembrerebbe svilupparsi all’interno
della questione didattica dell’insegnante è il suo approc-
cio progettuale in relazione alle dimensioni proprie della
individualizzazione e della personalizzazione che hanno
attraversato non senza polemiche il dibattito culturale
contemporaneo.
Contemporaneamente alle trasformazioni della figura
dell’insegnante, la figura del dirigente scolastico si deli-
nea e prende forma sullo sfondo delle normative di rife-

103
GIUSEPPE SPADAFORA

rimento, tra cui, particolarmente il D.P.R. n. 275/1999, il


D.lgs. 165/2001, la riforma del titolo V della Costituzione
e cioè la legge costituzionale n. 3 del 2001, il D.lgs. 150
del 2009 e, ovviamente, la legge 107/2015.
La qualifica dirigenziale viene sancita dal comma 16
dell’art. 21 della legge 59 del 1997, attuato con il D.lgs.
59/1998, integralmente ripreso dall’art. 25 del D.lgs.
165/2001, secondo una scelta non casuale: la norma, in-
fatti, è inserita in un contesto legislativo che ha introdotto
nel nostro ordinamento l’“autonomia didattica, organiz-
zativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo”71 ricono-
sciuta alle istituzioni scolastiche, insieme all’estensione
generalizzata della personalità giuridica alle scuole che
ne erano sprovviste.
Nel corso della XIII Legislatura, peraltro, si sviluppa
un’intensa produzione normativa, conclusasi con l’ap-
provazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.
3, che ha profondamente modificato il Titolo V, ed in
particolare l’art. 117 della Costituzione, divenuto efficace
a seguito del referendum popolare confermativo dell’ot-
tobre 2001.
In siffatto contesto, per il dirigente scolastico passare
da una carriera direttiva ad una qualifica dirigenziale im-
plica, di fatto e di diritto, passare da un sistema in cui la
scuola è un apparato caratterizzato dalla staticità e dalla
gerarchia istituzionale di tipo piramidale, che ripete sé
stessa nel tempo, ad un sistema in cui la scuola, oltre che

68
Cfr. D.P.R. n. 275/’99, artt. 4,5 e 6 e, per un inquadramento complessivo,
cfr. P. Boccia, Oltre la «buona scuola». I decreti attuativi della legge n.
107/2015, Anicia, Roma 2018.

104
Processi didattici per una nuova scuola democratica

istituzione è anche un servizio caratterizzato da una di-


namicità, tipica della “società liquida”.
Ciò significa che i contenuti e le caratteristiche della
dirigenza scolastica vanno ricercati all’interno di un pro-
filo strutturale unitario che in ogni azione assicura la
compresenza dei seguenti elementi costitutivi: principio
di separazione tra le funzioni di indirizzo politico-ammi-
nistrativo e la funzione di gestione; qualifica dirigenziale
come momento distinto rispetto all’incarico di funzione
dirigenziale; necessaria valutazione dei risultati, connessa
alla responsabilità della gestione.
Il principio di separazione tra la funzione di indirizzo
politico-amministrativo e la funzione di gestione, sostan-
zialmente ripreso da tutte le leggi successive applicate
alla scuola, in quanto P.A., conferisce al dirigente scola-
stico autonomi poteri nella gestione e in tutti i provvedi-
menti che egli adotta.
Per quanto riguarda il rapporto tra il dirigente scola-
stico e gli organi interni di indirizzo politico-amministra-
tivo, il VI comma dell’art. 25 del D.lgs. n. 165/2001
impone che il dirigente scolastico presenti periodica-
mente al consiglio di circolo/istituto motivata relazione
sulla direzione e sul coordinamento dell’attività forma-
tiva, organizzativa e amministrativa, ma solo al “fine di
garantire la più ampia informazione e un efficace rac-
cordo per l’esercizio delle competenze degli organi del-
l’istituzione scolastica”, mentre risponde del suo operato
all’amministrazione, rappresentata dal dirigente dell’Uf-
ficio Scolastico Regionale.

105
GIUSEPPE SPADAFORA

In relazione alla necessaria valutazione dei risultati


connessi alla responsabilità di gestione, si può affermare
che la valutazione del dirigente scolastico costituisce
l’elemento dinamico, ovvero il perno del sistema, com-
pletando un processo di natura circolare: fissazione del-
l’obiettivo, conferimento dell’incarico, valutazione del-
l’attività. Il dirigente scolastico è valutato, nel senso che
deve rispondere dei risultati (ex art. 21 del D.lgs. n.
165/2001, esplicitamente richiamato dal primo comma
del successivo art. 25), tenendo conto della specificità
della sua funzione e degli adempimenti richiesti dalla
specificità del suo profilo. Nell’azione e, quindi, nella
successiva valutazione del dirigente scolastico si riflette
la “doppia anima” delle istituzioni scolastiche.
In generale, un potere direttivo e di vigilanza sembra
ben sussistere laddove coinvolga la dimensione ordina-
mentale e curricolare, ovvero riguardi la gestione del per-
sonale, i momenti certificativi degli alunni, la gestione
finanziaria e contabile. Dall’altro lato, però, le istituzioni
scolastiche, quali enti dotati di poteri e compiti propri
nello svolgimento della loro autonomia “funzionale”, in-
dirizzano e vincolano il dirigente scolastico nell’esercizio
dei suoi poteri di gestione per quel principio del rispetto
delle competenze degli organi collegiali.
Spettano, così, al consiglio di circolo/istituto il po-
tere-dovere di impartire gli indirizzi generali per tutte le
attività della scuola nell’ambito della sua autonomia di-
dattica, organizzativa, finanziaria-contabile, di ricerca-
sperimentazione-sviluppo e il potere-dovere di definire
le scelte generali di gestione e di amministrazione (D.P.R.

106
Processi didattici per una nuova scuola democratica

n. 297/94). Oggetto di valutazione sono anche e soprat-


tutto le capacità organizzativo-promozionali che il diri-
gente scolastico riesce ad attivare all’esterno dell’istitu-
zione scolastica utilizzando tutti gli strumenti dell’auto-
nomia, in particolare l’autonomia negoziale (artt. 6, 7 e
9 del D.P.R. n. 275/99, artt. 31 ss. del D.I. n. 44/2001). Il
processo di riforma delle Pubbliche Amministrazioni,
ispirandosi ai princìpi costituzionali (di cui agli artt. 5,
97, e 117) ridisegna, così, il modello politico-istituzio-
nale-organizzativo.
Alla luce di queste puntualizzazioni credo di poter af-
fermare con la dovuta documentazione che in Italia la
legge sull’autonomia scolastica del 1997 è da considerare
il vero spartiacque tra il secolo scorso e le problematiche
attuali contemporanee sul senso e sul significato della
scuola nella contemporaneità alla ricerca di una sua spe-
cifica dimensione democratica. Il tema fondamentale del-
l’autonomia è il legame stretto con i processi del
territorio, per far sviluppare quella sussidiarietà dal basso,
in grado di determinare un processo di autentica demo-
cratizzazione del sistema scolastico.
Facendo riferimento al D.lgs. n. 59/1998 e alla legge
Brunetta (Legge 15/2009 e successivo D.lgs. 150 del
2009), la funzione del dirigente scolastico si caratterizza
fondamentalmente come leader educativo e manager
pubblico, ma soprattutto come promotore di processi de-
mocratici dal basso che cercano di determinare una inno-
vativa dimensione della scuola come centro di sviluppo
di una nuova democrazia. In effetti le funzioni del diri-
gente scolastico diventano centrali nell’ambito della co-

107
GIUSEPPE SPADAFORA

struzione di una ancor inedita scuola democratica che sia


nel contempo basata sulla valorizzazione del merito, ma
anche aperta alle possibilità di sviluppo formativo di ogni
cittadino, sulla base dell’individualizzazione e persona-
lizzazione dell’insegnamento a tutti i livelli.
La funzione fondamentale del dirigente scolastico di-
venta, quindi, quella di mediatore tra l’organizzazione
delle conoscenze e quella didattica, l’organizzazione ge-
stionale e burocratica della scuola e le varie istanze del
mondo esterno. Questa mediazione, organizzativa e pro-
gettuale al tempo stesso, è finalizzata ad un progetto di
scuola democratica che rivaluti il talento e il merito.
In questa prospettiva la figura del dirigente scolastico
svolge la funzione cruciale di rendere possibile la costru-
zione di una scuola di tutti e per ciascuno in cui l’orga-
nizzazione curricolare-didattica non può che armonizzarsi
alle politiche di influenza dei territori di pertinenza delle
scuole “autonome”. Il paradigma del dirigente scolastico
nella scuola dell’autonomia è quello di una figura culturale
che esprime il ruolo del leader e del manager educativo.
Non a caso tra le prescrizioni legate al profilo della fun-
zione troviamo l’obbligo di promuovere tutte le iniziative
formative in funzione della qualità e del successo. La
nuova proposta per una scuola democratica basata sul
merito, ma anche su una chiara equità sociale non può
che passare per l’azione di un dirigente scolastico leader
educativo e manager pubblico, un dirigente che possa
promuovere e coordinare l’azione dei docenti, del perso-
nale della scuola e dei soggetti istituzionali e politici coin-
volti, per determinare il progetto democratico dal basso.

108
Processi didattici per una nuova scuola democratica

La “Buona Scuola”, in questa prospettiva, aiuta a chia-


rire meglio il rapporto del dirigente scolastico tra gover-
nance e didattica. Qui mi limiterò ad affermare che la
“Buona Scuola” conferisce al dirigente scolastico un ruolo
e un impegno didattico più chiari rispetto al passato. Il
senso complessivo del primo comma è quello di tentare la
piena attuazione dell’autonomia scolastica che è da con-
siderare, quindi, come il momento fondamentale per “af-
fermare il ruolo centrale della scuola nella società della
conoscenza”. Ma il comma 5, con l’istituzione dell’orga-
nico dell’autonomia funzionale alle esigenze didattiche,
organizzative e progettuali delle istituzioni scolastiche,
come emergenti dal Piano Triennale dell’Offerta Formativa
definito nel comma 14, offre sicuramente la possibilità di
calibrare meglio il valore educativo e didattico dell’azione
del dirigente scolastico, così come è sviluppato nelle varie
funzioni espresse dalle istituzioni scolastiche nel comma
7. Nondimeno, il comma fondamentale che sembra chia-
ramente registrare la volontà del legislatore di definire
una funzione maggiormente didattico-gestionale da attri-
buire alla figura del dirigente scolastico è sicuramente il
14. In esso vi è una revisione dell’art. 3 del D.P.R. 275 del
1999, relativo alla elaborazione del PTOF. Quello su cui
vorrei porre l’attenzione è al punto 4. “Il Piano (Triennale
dell’Offerta Formativa) è elaborato dal collegio dei docenti
sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle
scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente
scolastico. Il piano è approvato dal consiglio di istituto”.
Dopo il RAV (Rapporto di Autovalutazione) e il PDM
(Piano di miglioramento) conseguente, dunque, è abba-

109
GIUSEPPE SPADAFORA

stanza evidente che nel PTOF (Piano Triennale dell’Of-


ferta Formativa), l’azione del dirigente scolastico, per lo
meno a livello di ipotesi culturale e di linee operative di
indirizzo, si muove con più chiarezza all’interno di un
equilibrio tra governance e didattica tutto da costruire e
definire. La didattica, intesa come gestione di una colle-
gialità degli insegnanti che devono progettare la forma-
zione di ogni studente trasformata in competenze, può
costituire un processo da costruire nell’ambito non solo
di un “apprendimento organizzativo” e, cioè, legato ai
processi multiformi della gestione organizzativa della
scuola, ma proprio ad una didattica da progettare e defi-
nire nella cornice delle linee di indirizzo fornite al colle-
gio dei docenti e approvate dal Consiglio di Istituto.
La funzione del dirigente scolastico come leader edu-
cativo sembrerebbe rivelarsi, anche se ancora non chia-
ramente, proprio da questa impostazione che emerge
dalla normativa. Si può pensare, quindi, ad un nuovo pro-
getto di scuola democratica e del merito nell’ambito della
migliore realizzazione dell’autonomia. Del resto, la pro-
blematica della valutazione è considerata un aspetto cen-
trale della politica recente dell’autonomia scolastica, così
come è dimostrato dal Decreto Legislativo 62 del 13
aprile 2017 sulla Valutazione e certificazione delle com-
petenze nel primo ciclo ed esami di Stato.
In questa prospettiva complessiva, una prima “messa
a punto” critica di una scuola democratica basata sulla
valorizzazione del talento e del merito dovrebbe focaliz-
zarsi principalmente su una nuova concezione della di-
dattica che applichi le scienze dell’educazione ai diversi

110
Processi didattici per una nuova scuola democratica

processi formativi della classe per orientare e recuperare


al tempo stesso i processi di apprendimento e della for-
mazione.
Non si può parlare di didattica al singolare, ma di pro-
cessi didattici sistemici, in quanto nell’azione didattica si
sviluppano azioni pratico-formative e organizzative dei
soggetti istituzionali, in particolare gli insegnanti e il di-
rigente scolastico che lavorano nella scuola. Proprio per
questo i processi didattici determinano una specifica forma
di “ibridazione” con la governance della scuola e, cioè,
con l’insieme di norme e di regole procedurali che devono
essere tenute in considerazione per organizzare e realizzare
i processi didattici e valutati del sistema scolastico.
Per ampliare il quadro dei processi didattici è neces-
sario confrontarsi con il tema più diffuso e influenzato
dalle politiche europee, che sta avendo l’impatto più si-
gnificativo nella scuola contemporanea e, cioè, con la
questione della didattica per competenze, per poi tentare
una riflessione complessiva sulla possibile progettazione
didattica e normativa di una nuova scuola democratica.

111
Processi didattici per una nuova scuola democratica

113
SPADAFORA

CAP. 1
L. 18 marzo 1968 n.444 Art.3 (scuola materna statale) per i bambini dai 3 ai 6 anni affetti da disturbi
dell’intelligenza o del carattere o del comportamento o portatori di menomazioni fisiche o sensoriali, lo Stato
istituisce sezioni speciali presso le scuole materne statali e, per i casi più gravi, scuole materne speciali

118/71 riconosceva agli allievi in situazione di disabilità il diritto all’educazione in classe comune, escludendo
però i soggetti affetti da grave deficienze intellettive o da menomazione fisiche di tale gravità da impedire e/o
rendere difficoltoso l’apprendimento e l’inserimento nelle classi normali.

Legge 517/77: ha reso obbligatoria la presenza di alunni in situazione di disabilità nella scuola comune con
la conseguente abolizione delle classi differenziali e delle scuole speciali.

L.104/1992 per l’assistenza, l’integrazione e i diritti delle persone con disabilità (dimensione sociale). Un
ruolo sempre più attivo veniva attribuito alle famiglie nella formulazione del PDF e del PEI, inoltre, la legge
ha introdotto il principio della programmazione coordinata tra i servizi scolastici, sanitari, socio-assistenziali,
culturali, ricreativi e sportivi. Un ulteriore elemento importante dell’evoluzione della normativa riguarda la
formazione degli insegnanti specializzati per il sostegno.
Art. 1. Finalità 1. La Repubblica: a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di
autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel
lavoro e nella società; b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della
persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona
handicappata alla vita della collettività, nonché' la realizzazione dei diritti civili, politici e patrimoniali; c)
persegue il recupero \funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali
e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonche' la
tutela giuridica ed economica della persona handicappata; d) predispone interventi volti a superare stati di
emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata.
Art. 2. Principi generali 1. La presente legge detta i principi dell'ordinamento in materia di diritti, integrazione
sociale e assistenza della persona handicappata. Essa costituisce inoltre riforma economico-sociale della
Repubblica, ai sensi dell'articolo 4 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5.
Art. 3. Soggetti aventi diritto 1. È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o
sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione
lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione. 2. La persona
handicappata ha diritto alle prestazioni stabilite in suo favore in relazione alla natura e alla consistenza della
minorazione, alla capacità complessiva individuale residua e alla efficacia delle terapie riabilitative. 3. Qualora
la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere
necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di
relazione, la situazione assume connotazione di gravità. Le situazioni riconosciute di gravità determinano
priorità nei programmi e negli interventi dei servizi pubblici. 4. La presente legge si applica anche agli stranieri
e agli apolidi, residenti, domiciliati o aventi stabile dimora nel territorio nazionale. Le relative prestazioni sono
corrisposte nei limiti ed alle condizioni previste dalla vigente legislazione o da accordi internazionali.
Art. 4. Accertamento dell'handicap 1. Gli accertamenti relativi alla minorazione, alle difficoltà, alla necessità
dell'intervento assistenziale permanente e alla capacità complessiva individuale residua, di cui all'articolo 3,
sono effettuati dalle unità sanitarie locali mediante le commissioni mediche di cui all'articolo 1 della legge 15
ottobre 1990, n. 295, che sono integrate da un operatore sociale e da un esperto nei casi da esaminare, in
servizio presso le unità sanitarie locali. (2) (16) (19) ((1-bis). Nel caso in cui gli accertamenti di cui al comma
1 riguardino persone in età evolutiva, le commissioni mediche di cui alla legge 15 ottobre 1990, n. 295, sono
composte da un medico legale, che assume le funzioni di presidente, e da due medici, di cui uno specialista in
pediatria o in neuropsichiatria infantile e l'altro specialista nella patologia che connota la condizione di salute
del soggetto. Tali commissioni sono integrate da un assistente specialistico o da un operatore sociale, o da uno
psicologo in servizio presso strutture pubbliche, di cui al comma 1, individuati dall'ente locale o dall'INPS
quando l'accertamento sia svolto dal medesimo Istituto ai sensi dell'articolo 18, comma 22, del decreto-legge
6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, nonché', negli altri casi,
da un medico INPS come previsto dall'articolo 19, comma 11, della stessa legge 15 luglio 2011, n. 111, fermo
restando quanto previsto dall'articolo 1, commi 3 e 4, della citata legge n. 295 del 1990.)
Art. 5. Principi generali per i diritti della persona handicappata 1. La rimozione delle cause invalidanti, la
promozione dell'autonomia e la realizzazione dell'integrazione sociale sono perseguite attraverso i seguenti
obiettivi: a) sviluppare la ricerca scientifica, genetica, biomedica, psicopedagogica, sociale e tecnologica
anche mediante programmi finalizzati concordati con istituzioni pubbliche e private, in particolare con le sedi
universitarie, con il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), con i servizi sanitari e sociali, considerando la
persona handicappata e la sua famiglia, se coinvolti, soggetti partecipi e consapevoli della ricerca; b) assicurare
la prevenzione, la diagnosi e la terapia prenatale e precoce delle minorazioni e la ricerca sistematica delle loro
cause; c) garantire l'intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi, che assicuri il recupero
consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle tecniche attualmente disponibili, il mantenimento della
persona handicappata nell'ambiente familiare e sociale, la sua integrazione e partecipazione alla vita sociale;
d) assicurare alla famiglia della persona handicappata un'informazione di carattere sanitario e sociale per
facilitare la comprensione dell'evento, anche in relazione alle possibilità di recupero e di integrazione della
persona handicappata nella società; e) assicurare nella scelta e nell'attuazione degli interventi socio- sanitari
la collaborazione della famiglia, della comunità e della persona handicappata, attivandone le potenziali
capacità; f) assicurare la prevenzione primaria e secondaria in tutte le fasi di maturazione e di sviluppo del
bambino e del soggetto minore per evitare o constatare tempestivamente l'insorgenza della minorazione o per
ridurre e superare i danni della minorazione sopraggiunta; g) attuare il decentramento territoriale dei servizi e
degli interventi rivolti alla prevenzione, al sostegno e al recupero della persona handicappata, assicurando il
coordinamento e l'integrazione con gli altri servizi territoriali sulla base degli accordi di programma di cui
all'articolo 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142; h) garantire alla persona handicappata e alla famiglia
adeguato sostegno psicologico e psicopedagogico, servizi di aiuto personale o familiare, strumenti e sussidi
tecnici, prevedendo, nei casi strettamente necessari e per il periodo indispensabile, interventi economici
integrativi per il raggiungimento degli obiettivi di cui al presente articolo; i) promuovere, anche attraverso
l'apporto di enti e di associazioni, iniziative permanenti di informazione e di partecipazione della popolazione,
per la prevenzione e per la cura degli handicap, la riabilitazione e l'inserimento sociale di chi ne e' colpito; l)
garantire il diritto alla scelta dei servizi ritenuti più idonei anche al di fuori della circoscrizione territoriale; m)
promuovere il superamento di ogni forma di emarginazione e di esclusione sociale anche mediante
l'attivazione dei servizi previsti dalla presente legge.

Qual è la caratteristica fondamentale della L. 104? La dimensione sociale.

La Dichiarazione di Salamanca, adottata nel 1994, rappresenta a livello internazionale un momento di


rottura con il passato. Si apre con un chiaro impegno nei confronti del principio dell’educazione per tutti e per
ciascuno, riconoscendo la necessità e l’urgenza che bambini, giovani adulti con BES frequentino percorsi di
formazione e istruzione all’interno dei comuni sistemi educativi. Principi di educazione di tutti e per ciascuno.

Carta di Lussemburgo del 1996 è un documento programmatico per le politiche europee, finalizzato a
costruire le condizioni per promuovere una scuola davvero per tutti e per ciascuno.

L.59/1997 le scuole acquisiscono autonomia in termini giuridici, finanziari, amministrativi didattici, di ricerca,
di sperimentazione e organizzazione. TITOLO III: “Norme comuni” Art. 10. “L'obbligo scolastico sancito
dalle vigenti disposizioni si adempie, per i fanciulli sordomuti, nelle apposite scuole speciali o nelle classi
ordinarie delle pubbliche scuole, elementari e medie, nelle quali siano assicurati la necessaria integrazione
specialistica e i servizi di sostegno secondo le rispettive competenze dello Stato e degli enti locali preposti, in
attuazione di un programma che deve essere predisposto dal consiglio scolastico distrettuale. Sono abrogati
l'articolo 175 del testo unico 5 febbraio 1928 n 577 e l'articolo 407, del regio decreto 26 aprile 1928 n. 1297,
nonché tutte le altre disposizioni in contrasto con l'attuazione del presente articolo. Sono estese, in quanto
applicabili, ai fanciulli sordomuti le norme sulla frequenza scolastica previste dagli articoli 28 e 29 della legge
20 marzo 1971, n. 118”.
DPR 275/1999 scuola dell’autonomia, all’interno del paradigma della scuola dell’autonomia troviamo la
riflessione di una scuola dell’inclusione. Nel decreto applicativo della legge sull’autonomia sono richiamati i
principi della legge 104/92: individualizzazione degli interventi didattici, flessibilità degli orari, ecc.
Convenzione 2006 (ONU). ratificata il 2009 in Italia che rappresenta uno spartiacque fondamentale perché
parla di UDL, di accomodamento ragionevole, e dice che ogni persona con disabilità ha diritti da far valere.
Problema posto dalla Direttiva ministeriale 2012 BES e il Decreto Legislativo 66/2017, novellato dal Decreto
Legislativo 96/2019.
Le Nazioni Unite hanno emanato la Convenzione sui diritti delle persone disabili che rappresenta sicuramente
la risoluzione più forte e importante per sancire il diritto alla piena inclusione in ogni contesto delle persone
con disabilità. La Convenzione vuole promuovere e garantire alle persone con disabilità il pieno e reale
godimento dei diritti in ogni ambito della vita: nella salute, nell’istruzione, nel lavoro, nella società e nella
politica. Articolo 1 Scopo. Scopo della presente Convenzione è promuovere, proteggere e assicurare il pieno
ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con
disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità. 2. Le persone con disabilità includono quanti
hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie
barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza
con gli altri. Articolo 2 Definizioni Ai fini della presente Convenzione: “Comunicazione” comprende lingue,
visualizzazioni di testi, Braille, comunicazione tattile, stampa a grandi caratteri, le fonti multimediali
accessibili così come scritti, audio, linguaggio semplice, il lettore umano, le modalità, i mezzi ed i formati
comunicativi alternativi e accrescitivi, comprese le tecnologie accessibili della comunicazione e
dell’informazione; “Il linguaggio” comprende le lingue parlate ed il linguaggio dei segni, come pure altre
forme di espressione non verbale; “Discriminazione sulla base della disabilità” indica qualsivoglia distinzione,
esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il
riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale, civile o in qualsiasi altro campo. Essa
include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole;
“Accomodamento ragionevole” indica le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non
impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle
persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e
libertà fondamentali; “Progettazione universale” indica la progettazione (e realizzazione) di prodotti, ambienti,
programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di
adattamenti o di progettazioni specializzate. “Progettazione universale” non esclude dispositivi di ausilio per
particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari.
Articolo 3 Principi generali I principi della presente Convenzione sono: (a) Il rispetto per la dignità
intrinseca, l’autonomia individuale - compresa la libertà di compiere le proprie scelte - e l’indipendenza delle
persone; (b) La non-discriminazione; (c) La piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della
società; (d) Il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità
umana e dell’umanità stessa; (e) La parità di opportunità; (f) L’accessibilità; (g) La parità tra uomini e donne;
(h) Il rispetto per lo sviluppo delle capacità dei bambini con disabilità e il rispetto per il diritto dei bambini
con disabilità a preservare la propria identità.

on la L.170/2010 viene esplicitato che gli studenti con DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti
dispensativi e compensativi di una didattica individualizzata e personalizzata che tenga conto delle peculiarità
degli allievi e di adeguare forme di verifica e di valutazione.

Indicazioni del 2012 decreto attuativo legge 170/2010 specifica come per strumenti compensativi debbano
intendersi dei dispositivi didattici e tecnologici in grado di sostituire o facilitare la prestazione richiesta
nell’abilità deficitaria.

La Direttiva Ministeriale 27/12/2012 e la C.M. n.8 del 6 marzo 2013 nell’area dei BES, oltre alla
sottocategoria degli allievi con disabilità, vengono compresi due ampie condizioni di difficoltà scolastiche
conseguenti a cause diverse: I disturbi evolutivi specifici (DSA , deficit del linguaggio, coordinazione motoria,
disprassia, disfunzioni non verbali, disturbo da deficit di attenzione con iperattività, funzionamento intellettivo
limite) e lo svantaggio socio-culturale e linguistico.
La L.107/2015 istituisce il ptof a sostituzione del POF.
Il POF comprende il curricolo didattico, include le questioni di organizzazione interna, di uso delle risorse, di
relazioni con il territorio.

Atto di indirizzo (scuola dell’autonomia): l’atto di indirizzo del dirigente scolastico è stato istituito dalla
legge 107/2015. Art.1 comma 14 come documento base per la formulazione del PTOF. Il piano è elaborato
dal collegio dei docenti sulla base degli in dirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di
amministrazione definiti dal dir. Scol.

D. Lgs. 66/2017 novellata con D.Lgs. 96/2019 prevede che, successivamente all’accertamento della
condizione di disabilità, venga redatto un Profilo di Funzionamento secondo i criteri del modello bio-
psicosociale dell’ICF adottata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o ONU????) ai fini della
formulazione del Progetto Individuale, nonché per la predisposizione del PEI. Il decreto riguarda l’inclusione
scolastica che si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità
di ciascuno. Si specifica che l’ambito di applicazione è riferito agli allievi con disabilità certificata ai sensi
della L.104, al fine di promuovere e garantire il diritto all’educazione, all’istruzione e alla formazione. La
novità già evidenziata nella Convenzione sulla Disabilità: il PEI su base ICF, nell’economia normativa del
problema, cosa da come stimolo alla scuola inclusiva? Parla del funzionamento umano, ogni azione del
soggetto con disabilità si caratterizza per una dimensione del funzionamento umano. Ciò significa che per
poter sviluppare le potenzialità bisogna considerare il soggetto nel suo contesto, quindi innanzitutto nella
classe, nella famiglia in cui vivo, nella situazione in cui mi esprimo. Rapporto tra una capacità ed una
performance, i facilitatori e le barriere mi fanno capire che posso sviluppare una mia potenzialità, aiuta la mia
possibilità di esprimere la potenzialità. Se l’inclusione se considero il Pei su base ICF come l’espressione del
rapporto che esiste tra la potenzialità dell’individuo all’interno del contesto in cui si sviluppa dovrei capire
meglio qual è la possibile potenzialità del disabile. Il Pei su base ICF aumenta la possibilità di inclusione.

Dlgs 96/2019 disposizione integrative e correttive al decreto legislativo 13 Aprile 2017 N.66 recante norme
per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’art.1 comma180/181,
lettera C della legge 13 Luglio del 2015

Profilo di funzionamento ricomprende la diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale è predisposto


dall’unità multidisciplinare di cui al dpr 24 Febbraio 94 con la collaborazione dei genitori della bambina/o
nonché con la partecipazione di un rappresentante dell’amministrazione scolastica individuato preferibilmente
tra i docenti della scuola frequentata.

Art. 3 comma 2: è evidenziato già il tema dell’inclusione. è compito della repubblica rimuovere gli ostacoli
di ordine sociale ed economico, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica,
economica e sociale del paese. La Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo
della persona, e questo è un po’ il significato della scuola democratica. La scuola democratica deve aiutare
tutti, valorizzando il talento dei più bravi, ma anche sviluppando il potenziale di tutti.

Art. 26 del CCNL 2006/2009: Funzione docente La funzione docente realizza il processo di
insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo degli alunni sulla base delle finalità e degli
obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell'istruzione. 2. La funzione
docente si fonda sull'autonomia culturale e professionale dei docenti; essa si esplica nelle attività individuali
e collegiali e nella partecipazione alle attività di aggiornamento e formazione in servizio. 3. In attuazione
dell'autonomia scolastica i docenti, nelle attività collegiali, attraverso processi di confronto e d'intesa ritenuti
piU utili e idonei, elaborano, attuano e verificano, per gli aspetti pedagogico - didattici, il piano dell'offerta
formativa, adattandone l'articolazione alle differenziate esigenze degli alunni e tenendo conto del contesto
socio - economico di riferimento, anche al fine del raggiungimento di condivisi obiettivi qualitativi di
apprendimento in ciascuna classe e nelle diverse discipline. Dei relativi risultati saranno informate le famiglie
con le modalità decise dal collegio dei docenti.
La funzione docente si fonda sull’autonomia culturale professionale dei docenti, e si esplica nelle attività
individuali e collegiali e nella partecipazione di corsi di aggiornamento e formazione. orario di lavoro flessibile
Art. 27 del CCNL 2006/2009: Profilo professionale docente
L’insegnante deve garantire il successo formativo e deve avere 4 competenze:
-Competenza disciplinare (Pedagogia didattica speciale, conoscenza della disabilità di cui si occupa)
-Competenza metodologica-didattica (gestione del gruppo, educazione all’emozione, educazione prosociale,
peer tutoring, cooperative learning)
-Competenza psicopedagogica (sistemi (ad esempio ABA), comprendere le reazioni psicologiche, empatia
(come si ci decentra per poter cogliere la complessità dei comportamenti dello studente).
-Competenza organizzativa-relazionale (il docente di sostegno deve legarsi al curricolo dell’inclusione
programmando congiuntamente). Decreto 96/2019 l’aspetto che caratterizza il discorso centrale è la
dimensione organizzativo relazionale: sia nel profilo di funzionamento, sia nel Pei, sia nella connessione
organizza che ci deve esse tra il pei e il progetto individuale è importante la dimensione organizzativo
relazionale. Organizzativa perché l’insegnante di sostegno deve legarsi al progetto curricolare (contitolare con
gli altri docenti), bisogna fare un curricolo per l’inclusione, non deve fare un curricolo diverso. Relazionale
perché deve avere rapporti con la famiglia, rete familiare. Le famiglie vanno studiate nella relazione che hanno
con la disabilità, è un aspetto che va curato e capito fino in fondo.

Art 26/27: profilo dei docenti, 4 competenze: 1) conoscenza: pedagogia e didattica; 2) competenze
metodologiche; 3) competenze personali; competenze sociali e manageriali (competenze disciplinare,
psicopedagogiche, metodologiche-didattiche, organizzative). Un altro aspetto fondamentale è il rapporto con
la famiglia dei bambini con disabilità.

Articolo 2 della Costituzione. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”
L’insegnante ha una dimensione professionale individuale e collegiale (art.33 primo comma),
L’insegnante deve garantire il successo formativo dello studente, limitando la dispersione e l’abbandono, e
dovrebbe sviluppare il proprio progetto di vita fondamentale per chiarire il tema dell’insegnante, che deve
definire il profilo del futuro cittadino.

● GLIR: gruppo per l’inclusione scolastica


● GIT: gruppo per l’inclusione territoriale
● GLI: gruppo per l’inclusione della singola scuola
● Qual è l’azione educativa con cui si migliora la qualità dell’apprendimento? Cercare i punti di contatto per
una programmazione inclusiva, programmare congiuntamente per ricercare obiettivi comuni.

● INDIVIDUALIZZAZIONE: obiettivo comune tenendo conto della differenziazione, percorsi


differenziati.

● PERSONALIZZAZIONE: intervento persona per persona, per fare emergere il talento e le potenzialità.

Qual è la novità del Pei su base ICF?


Il contesto sociale e il bambino viene visto in relazione all’ambiente (facilitatori e barriere). Mette in rilievo
il modello biopsicosociale che collega lo sviluppo potenziale e l’ambiente che lo circonda; garantisce la
tassonomia del disabile nel contesto dell’ambiente.

Quali sono i limiti dell’ICF? Dovrebbe sviluppare meglio la dimensione dell’individualità e il contesto
,curricolo dell’inclusione. Facilitatore- barriera Capacità-performance

CAP. 4

È possibile la scuola dell’inclusione?


La Repubblica rimuove gli ostacoli; la scuola tradizionale trasmetteva e selezionava in base alle singole
conoscenze; la scuola democratica valorizza il talento dei più bravi, compreso il talento degli alunni con BES.

Cos’è l’approccio UDL? l’espressione Universal Design for Learning (UDL) cioè progetto universale di
insegnamento, io posso dare un insegnamento per tutti che può essere appreso in modo diverso da ognuno.
Dov’è il luogo dell’inclusione tra il più bravo e il bambino con disabilità? Obiettivo comune, cercare punti di
contatto (il più bravo studia le cose nello specifico, il soggetto con disabilità i concetti più importanti),
approccio metacognitivo (capire che ci sono modi diversi di intendere la realtà).
Indica una modalità di progettazione e di gestione della pratica educativa volta ad incontrare le diverse
modalità di apprendimento e le diverse condizioni che possono presentarsi nei diversi contesti (principalmente
scolastici)”. L’orientamento UDL offre un supporto prezioso per promuovere un’organizzazione della
didattica aperta e flessibile, capace di considerare le caratteristiche diversificate degli allievi e di perseguire
per tutti e per ciascuno il successo formativo con il quale si definisce l’esito di un processo virtuoso di
insegnamento-apprendimento. Si può parlare di successo formativo di un allievo se egli è riuscito a valorizzare
in pieno le proprie potenzialità; se ha espresso il meglio di sé stesso. L’UDL deriva dal trasferimento dei
principi della programmazione universale ai temi educativi. L’obiettivo dell’Universal Design è stato riferito
allo studio della conformazione degli edifici e dei prodotti, comprese quelle con esigenze particolari e con
specifiche situazioni di disabilità.
Secondo Ronald Mace l’Universal Design è la progettazione di prodotti e ambienti utilizzabili da tutti, nella
maggior estensione possibile, senza necessità di adattamenti o ausili speciali. (Quindi può essere inteso come
spazio architettonico per sviluppare le potenzialità del disabile). Si fonda su 7 principi: equità, flessibilità,
semplicità, percettibilità, evitamento o tolleranza all’errore, contenimento dello sforzo fisico, misure e spazi
sufficienti. Principi cardine dell’UDL: – utilizzare molteplici modalità di presentazione e di rappresentazione
delle informazioni (differenti modalità comunicative); – utilizzare un linguaggio semplice (strutture
grammaticali semplici) e promuovere la comprensione incrociata attraverso i diversi linguaggi; – promuovere
in ogni alunno la capacità di trasformare le informazioni accessibili in conoscenza utilizzabile, la capacità di
processare le informazioni, integrare le nuove informazioni, ristrutturare il campo della conoscenza.

Lo scopo del DESIGN FOR ALL è quello di facilitare per tutti le pari opportunità di partecipazione in ogni
aspetto della società. Per realizzare lo scopo, l’ambiente costruito, gli oggetti quotidiani, i servizi, la cultura e
le informazioni.

CAP. 5

Cercare punti di contatto e di integrazione con la programmazione curricolare.


Trovare il punto di contatto fra programmazione curricolare e programmazione individualizzata rappresenta
uno degli obiettivi di fondo della didattica speciale.
Sono necessari:
-l’esigenza di una programmazione congiunta tra insegnanti curricolari e di sostegno;
-l’avvicinamento degli obiettivi;
-la partecipazione alla cultura del compito;
-lo svolgimento di attività personalizzate all’interno o all’esterno della classe.

Programmare congiuntamente per ricercare obiettivi comuni


La prospettiva inclusiva può trovare una reale possibilità di concretizzarsi soltanto se si fonda su processi di
programmazione integrata.
L’adattamento degli obiettivi non deve essere inteso come semplice adeguamento della programmazione
individualizzata per farla avvicinare a quella della classe. In alcune occasioni ci possono essere anche delle
attività appositamente pensate a favore dell’allievo in difficoltà, alle quali partecipano pure i compagni che ne
possono trarre dei consistenti vantaggi di tipo sia cognitivo che sociale.
Anche quando risulta impossibile determinare punti di contatto tra le due programmazioni, la presenza in
classe dell’alunno con BES, può essere facilitata avvicinando i suoi obiettivi a quelli della classe attraverso
un’azione sui contenuti didattici.

Cosa si intende per cultura del compito?


Bisogna distinguere tra apprendimento di un compito e partecipazione alla cultura di un compito, cioè quando
non è possibile creare adattamenti degli obiettivi e delle metodologie che consentano apprendimenti
significativi su compiti dello stesso tipo di quelli dei compagni; è comunque utile farlo partecipare alle attività
della sua classe, mettendolo nelle condizioni di cogliere almeno alcuni elementi per apprezzare l’argomento
di cui si sta trattando.

Quali sono i punti di forza dell’inclusione?


La tassonomia del disabile nel contesto ambientale (bio-psicosociale)

Come si può costruire un curricolo dell’inclusione?


Trovare il punto di contatto tra programmazione curricolare e programmazione individualizzata rappresenta
uno degli obiettivi di fondo della didattica speciale. Gli obiettivi del disabile devono essere comuni alla classe
ma con percorsi differenziati.
La presenza in classe dell’allievo con bisogni speciali può essere facilitata avvicinando i suoi obiettivi a quelli
della classe attraverso un’azione sui contenuti didattici. In altre parole si tratta di perseguire degli obiettivi
personalizzati con attività che hanno qualche somiglianza con quelle dei compagni.//
L’inclusione si gioca nell’intreccio delle diverse potenzialità. Il tema fondamentale della scuola
contemporanea è l’analisi dell’equilibrio tra una didattica individualizzata (da obiettivi comuni in modo
differenziato) e la didattica personalizzata in cui ogni docente deve comprendere il talento di ogni alunno (far
sviluppare le conoscenze e le competenze). Anche trovando strade diverse dobbiamo pensare alla gestione del
gruppo.
Progettare curricoli inclusivi non significa costruire programmi speciali, ma adattare il curricolo comune,
ampliandolo e diversificandolo così che possa accogliere le esigenze di tutti gli studenti. Si tratta di ricercare
i punti di contatto tra la programmazione individualizzata e quella curricolare, evitando di mettere in campo
percorsi totalmente separati.

CAP. 7
Cosa può dare il bambino disabile al più bravo della classe?
Il bambino più bravo svilupperà il pensiero creativo e cognitivo (meta cognizione) e soprattutto la sua
intelligenza emotiva (Goleman).

Che cos’è la zona di sviluppo prossimale?


La zona di sviluppo prossimale si riferisce all’area situata fra le competenze della persona (ciò che egli sa fare
senza aiuto) e il suo livello di prestazione potenziale (il livello che riesce a raggiungere con alcune forme di
aiuto). Rappresenta un punto di riferimento per molti studiosi della pedagogia speciale. La ZOPED testimonia
che ognuno di noi ha la possibilità di una potenzialità che dall’esterno si riversa al proprio interno per
caratterizzarsi come potenzialità da sviluppare, è la quantità di sostegno che noi possiamo dare (Convenzione
ONU → non bisogna organizzare un sostegno sproporzionato, il sostegno deve essere condiviso e verbalizzato
con i colleghi con dirigente e con famiglia). La ZOPED ci dice che ognuno può sviluppare questa potenzialità,
il disabile ha diritto di cittadinanza di sviluppare la potenzialità il PEI su base ICF si deve collocare sempre
più all’art 14 della 328 del 2000 dei servizi sociali integrati, al progetto individuale di vita. La legge 104
costruiva in un certo senso il discorso progettuale di vita, la vita del disabile non è solo a scuola ma anche
all’esterno.
Quindi si tratta della distanza che esiste fra il livello attuale di sviluppo del bambino e il livello di sviluppo
potenziale, possibili nel momento in cui è sostenuto da un adulto.
Vigostkji testimonia che ognuno di noi ha la possibilità che dall’esterno si riveste al proprio interno e la zona
di sviluppo prossimale è un aspetto centrale per riflettere.
Nella Convenzione dell’ONU, il sostegno va sempre condiviso con i colleghi, con il dirigente, con la famiglia
e va verbalizzato.

Ruolo dell’insegnante
L’insegnamento all’interno dell’area di sviluppo potenziale comporta per l’insegnante l’assunzione di tre
elementi metodologici chiave:
-l’educatore deve mediare e aiutare l’apprendimento del bambino
-il ruolo dell’educatore deve essere flessibile
- l’educatore deve concentrarsi sulla quantità di sostegno necessaria.

CAP.10
Il Peer Tutoring è una strategia che consiste nel coinvolgimento di allievi in funzione di tutor, per favorire
l’apprendimento di compagni i quali in questo modo vengono ad assumere il ruolo di tutees. Consiste nel
coinvolgimento di allievi in funzione di tutor, per favorire l’apprendimento di compagni, i quali, in questo
modo, vengono ad assumere il ruolo di tutees. Possiamo parlare di applicazione della strategia di peer tutoring
quando il passaggio di competenze tra tutor e tutees avviene all’interno di un piano didattico ben strutturato,
che prevede obiettivi, tempi, modi, ruoli e adeguati materiali. Volto ad attivare un passaggio "spontaneo" di
conoscenze, esperienze, emozioni da alcuni membri di un gruppo ad altri membri di pari status. dìDeriva dal
metodo di Casternbel(?) del mutuo insegnamento usato nelle scuole anglosassoni (molto in Australia). Il tema
della solidarietà e competizione. La solidarietà è un aspetto fondamentale che il tutor e il tutee devono
determinare perché l’aiuto che chi ha più potenzialità può dare la disabile è un aspetto fondamentale della
metodologia del gruppo, nella gestione del gruppo noi dobbiamo pensare che una caratteristica fondamentale
può essere quella di farsi affiancare nel lavoro di progettazione del miglioramento della disabilità da un
compagno che possa sostenere le dimensioni della relazionalità.

Il Cooperative Learning è una strategia che si fonda su 5 principi (interdipendenza positiva, responsabilità
individuale e di gruppo, uso di competenze sociali e valutazione del lavoro di gruppo) e prevede di far lavorare
gli studenti in gruppi eterogenei di 4/5 allievi, su compiti comuni e assegnando a ciascuno uno specifico ruolo.
Si fonda su due caratteri fondamentali dell’apprendimento. La prima è il riconoscimento che nel momento in
cui gli allievi collaborano e cooperano, questo determina un effetto sinergico in grado di produrre risultati
superiori alla somma degli sforzi individuali e delle capacità messe in causa dai singoli. La seconda
caratteristica si riferisce al riconoscimento di come gran parte della conoscenza sia costruita socialmente,
attraverso il contatto e l’interazione con l’ambiente di vita. fondato da Dewey di cui ci sono molte varianti ma
il concetto fondamentale è se noi nella didattica individualizzata riusciamo a rendere partecipe la classe per
modificare la progettazione curricolare per dare dei suggerimenti, la competizione può avere un elemento
importante, competitività sana. La democrazia è una forma naturale di vita. Se noi creiamo un sistema di
cooperazione la nostra professione ha un significato forte.

Accomodamento Ragionevole. La Legge 68/99, modificata dal Decreto Legislativo 151/2015, introduce
l’accomodamento ragionevole come una delle misure a cui destinare gli interventi del Fondo regionale. “Al
fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, i datori di
lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare accomodamenti ragionevoli, come definiti dalla Convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, nei luoghi di lavoro, per garantire alle persone con
disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. (…)”.

L’insegnante di sostegno deve favorire i punti di raccordo, accanto alla didattica individualizzata c’è la
didattica personalizzata. Un primo momento di didattica individualizzata che si sviluppa collegialmente, e una
di didattica personalizzata, il docente una volta che la progettazione curricolare è stata definita è costretto a
cercare di capire le possibilità di sviluppo, il talento di ogni studente. Il docente di sostegno è un docente che
deve lavorare molto sulla didattica personalizzata, come può realizzare la performance in base alle sue
capacità, non solo attraverso i facilitatori ma anche attraverso interventi metacognitivi, attraverso la didattica
personalizzata può trovare i punti di raccordo. L’importante è che le potenzialità che facciamo venire fuori
trovino un punto relazionale che possono aiutare sia il più bravo che il soggetto con disabilità. La didattica
personalizzata aiuta a costruire la didattica individualizzata, è dalla didattica personalizzata che si trovano i
punti di raccordo con il curricolo della classe, le competenze non sono solo cognitive ma anche di carattere
metacognitivo ed emozionale. Anche attraverso strade diverse dobbiamo pensare alla relazione che si crea nel
gruppo.
SPADAFORA (possibili argomenti) 
 
- L’atteggiamento scientifico dell’insegnante​: 
 
La  necessità  di  riflettere  sulla  scientificità  dell’educazione  è  focus  dell’opera di 
John  Dewey  “​ The  Sources  of  a  Science  of  Education”  ​.  Si  può  affermare  che 
l'intervento  deweyano  sulla  scientificità  dell’educazione  si  colloca  all’interno 
dello  sforzo  complessivo  del  pensatore  di  comprendere  il  significato 
dell’atteggiamento  scientifico  di  ogni  individuo  di  fronte  ai  problemi  sociali  da 
risolvere  attraverso  la  Scienza,  ma  allo  stesso  tempo  di  porre  la  questione  del 
rapporto tra la pedagogia e le altre scienze.  
Nel  caso  di  pratiche  educative  è  difficile  convertire  una  scoperta  scientifica  in 
una  immediata  “regola  di  pratica  scolastica”  ma  è  solo  attraverso  la  pratica 
scolastica  che  l’insegnante  può  cambiare  i  suoi  convincimenti  in  base  alle 
conoscenze scientifiche acquisite.  
Il  concetto  di  Scienza,  a  cui  Dewey  fa  riferimento,  è  quello  di  un  “sistema 
coerente” che deve unire nell’attività pratica gli aspetti separati della realtà. 
Le  leggi  scientifiche  risultano  efficaci  per  chi  le  applica,  se  e  quando  si  ottiene 
un  miglioramento  dei  risultati  dopo  l’applicazione  di  tali  leggi  a  situazioni 
specifiche. 
Nel  caso dell’uso delle leggi scientifiche per risolvere problematiche educative, a 
causa  della  complessità  dei  fenomeni  e  delle  variabili  prese  in  considerazione, 
Dewey  mette  in  rilievo  l’importanza  dell’azione  pratica  dell’insegnante  per 
migliorare  i  risultati  educativi,  in  quanto  “il  valore  della  istruzione  definito 
rispetto  alle  situazioni  educative  consiste  nel  suo  effetto  sulla formazione delle 
attitudini personali di osservare e di giudicare”. 
L’insegnante  quindi,  tramite  l’atteggiamento  scientifico,  applica  le  fonti 
scientifiche  dando  loro  un  senso  nelle  questioni  scolastiche  e  nella  capacità  di 
risolvere i problemi dell’apprendimento di ogni studente. 
La  conseguenza  dell’atteggiamento  scientifico  dell’insegnante  è  quella  di  creare 
una  scuola  ed  un  curricolo  inclusivo,  in  cui  l‘educatore  metta  in  campo 
competenze  disciplinari,  psico-pedagogiche, metodologico-didattiche e di ricerca 
organizzativa  e  relazionale.  Anche  Visalberghi,  infatti,  ritiene  che  “il  campo  dei 
fenomeni educativi è vario e articolato”.   
Dewey  definisce  l’insegnante  un  “​investigator​”,  cioè  un  ricercatore  che  deve 
analizzare,  orientare  e  recuperare  i  processi  di  apprendimento  di  ogni  singolo 
alunno nella sua singolarità e irripetibilità.  
 
- Governance e Didattica 
 
Il  tema  della  didattica,  attraverso  le  figure  determinanti  dell’insegnante  e  del 
Capo  d’Istituto,  può  essere  considerato  significativo per comprendere i processi 
didattici  sistemici  che  intrecciano  le  questioni  operative  e  quelle  pratiche  e 
testimoniano  una  dimensione  universale  del  problema  da  applicare  al  modello  di 
scuola contemporanea.  
Le  trasformazioni  della  scuola  democratica  che  si  sviluppano  cronologicamente 
dalla  legge  sull’autonomia  del  1997  fino  alla  “Buona  Scuola”  del  2015  e  ai  suoi 
decreti  attuativi,  si  basano  sull’idea  che  l’insegnante  deve  caratterizzarsi  come 
un  progettista  della  formazione  unica  e  irripetibile  di  ogni  studente,  nonché 
ricercatore  esperto  nella  didattica  delle  competenze  e  nella  valutazione 
autentica,  che  cerca  di  costruire  un  equilibrio  tra  la  governance  e  la  didattica 
grazie alla collegialità tra il dirigente scolastico e gli altri insegnanti per definire 
una nuova dimensione della scuola democratica. 
L’insegnante,  nella  sua  attività  culturale,  didattica  e  di  ricerca,  deve  mirare  a 
raggiungere  un  equilibrio  tra  la  didattica  e  la  disciplina  intesa  come  saperi 
applicati  alle  dimensioni  scolastiche.  La  didattica,  però  deve  essere  legata  alla 
comprensione  del  processo  di  valutazione  di  ogni  studente.  A  sua  volta,  il 
processo  di  valutazione  e,  in  particolare,  quello  di  “valutazione  autentica”,  deve 
essere  collegato  ai  contenuti  disciplinari  e  alla  didattica  in  modo  tale  da 
costruire  quel  circuito  virtuoso  che  è  alla  base  del  profilo  culturale 
dell’insegnante.  
L’azione  del  dirigente  scolastico,  per  lo  meno  a  livello  di  ipotesi  culturale  e  di 
linee  operative  di  indirizzo,  si  muove  con  più chiarezza all’interno di un equilibrio 
tra  governance  e  didattica  tutto  da  costruire  e  definire.  La  governance,  intesa 
come  gestione  di  una  collegialità  degli  insegnanti  che  devono  progettare  la 
formazione  di  ogni  studente  trasformandola  in  competenze,  può  costituire  una 
pratica  nell’ambito  di  un  “apprendimento  organizzativo”,  legato  sia  ai  processi 
della  gestione  della  scuola,  sia  ad  una  didattica  da  progettare  e  definire  nella 
cornice  delle  linee  di  indirizzo  fornite  dal  Collegio  dei  Docenti  e  approvate  dal 
Consiglio di Istituto. 
Non  si  può  parlare  di  didattica  al  singolare,  ma  di  processi didattici sistemici, in 
quanto nell’azione didattica si sviluppano azioni pratico-formative e organizzative 
dei soggetti istituzionali, in particolare gli insegnanti e il dirigente scolastico che 
lavorano  nella  scuola.  Proprio  per  questo,  i  processi  didattici  determinano  una 
specifica  forma  di  “ibridazione”  con  la  governance  della  scuola  e,  cioè,  con 
l’insieme  di  norme  e  di  regole  procedurali  che  devono  essere  tenute  in 
considerazione  per  organizzare  e  realizzare  i  processi  didattici  del  sistema 
scolastico.  
E’  importante  ricordare  che  per  realizzare  l’inclusione  e  costruire  una  scuola 
inclusiva  è  necessario  un  raccordo  tra  dirigente  scolastico,  insegnante  di 
sostegno,  insegnanti  curriculari  e  famiglie,  pertanto  governance  e  didattica 
rappresentano due facce della stessa medaglia. 
 
- Insegnante come progettista della formazione 
 
A  partire  dagli  anni  ‘70  la  professionalità  dell’insegnante  viene  fondata 
sull’applicazione  della  didattica  e  delle  scienze  dell’educazione  ad  ogni  singola 
situazione  di  apprendimento.  E’  per  questo  che  dovendosi  preoccupare 
dell’insegnamento  di  ogni  studente,  l’insegnante  deve  “costruire”  e  adattare  i 
contenuti in base alle caratteristiche di ciascun allievo.  
La  classe  diventa  “laboratorio”  di  una  scuola  democratica  solo  se  l’insegnante 
cura  e  orienta  le  potenzialità  di  apprendimento  e  di  formazione  che  ogni 
studente  può  esprimere.  È  evidente  che  in  una  simile  e  progressiva 
trasformazione  della  figura  dell’insegnante,  questi ha bisogno della didattica per 
poter costruire una scuola democratica di ciascuno e di tutti. 
L’insegnante  deve  necessariamente  interrogarsi  in  modo  riflessivo  e  profondo 
sulla  sua  attività,  all’interno  anche  di  un  processo  di  monitoraggio  che  la  scuola 
può  avviare  in  un  percorso  di  autovalutazione  complessiva,  per  limitare  qualsiasi 
forma  di  esercizio  di  potere  improprio  sullo  studente  e,  quindi,  per  favorire 
tutte le possibili forme di empatia positiva all’interno della relazione educativa.  
Questa  forma  di  auto-riflessione  deve  aprirsi  all’alterità  dello  studente in modo 
appropriato  e  deve  considerare  la  sua  formazione  nella  complessità  e 
imprevedibilità.  L’insegnante  autoriflessivo-progettista  della  formazione  delle 
specificità  e  originalità  di  ogni  studente,  quindi,  dovrebbe  favorire  l’inclusione 
educativa e il progetto di vita di ognuno.  
Ponendosi  con  un  atteggiamento  scientifico  in  cui  vengono  sfruttati  l’intuito  e  la 
creatività,  l’insegnante  deve  progettare  un  curricolo  inclusivo  (ed  in  questo 
senso  l’impiego  di  Unità  di  Apprendimento  risulta fondamentale) per plasmarsi in 
base  alla  specificità  di  ogni  singolo  alunno  in  modo  da  scoprire  le  potenzialità  di 
ciascuno.  
Il  processo  formativo  dello studente è influenzato da vari aspetti, tra cui  quello 
della  crescita,  della  vita  interiore,  dell’imprevedibilità  del  processo  stesso.  In 
questo  senso,  l’insegnante  diventa  un  progettista  della  formazione  e  non  più  un 
semplice  trasmettitore  di  conoscenza  ponendosi  con  fare  creativo  e 
trasformando l’azione adattiva in azione attiva.  
Se  la  scuola  gentiliana  era  basata  su  un  modello di tipo selettivo in cui il compito 
dell’insegnante  era  quello  di  trasmettere  e  accertare  le  conoscenze  degli allievi, 
oggi,  a  distanza  di  anni,  con  la  riforma  della  Buona  Scuola  si  è  cercato  di 
costruire  un  ambiente  di  apprendimento  che  mira  a  sviluppare  le  competenze  di 
tutti  gli  alunni,  anche  quelli  con  disabilità.  Questo  perché  all’indomani  del 
secondo  conflitto  mondiale  si  sono  sviluppate  tre  culture,  una  cattolica,  una 
marxista  (Gramsci  parlava  di  obbligatorietà  dello  studio)  e  una  laica  ovvero 
quella della scuola democratica di Dewey.  
La  selezione,  quindi,  non  può  appartenere  alla  scuola  dell’obbligo,  ma  l’istruzione 
deve  offrire  pari  opportunità a tutti. Solo in una scuola aperta a tutti è possibile 
costruire una realtà inclusiva, progettista e formativa. 
 
- Il funzionamento umano  
 
Il  concetto  di  funzionamento  umano  risale  ad  Aristotele  e  si  è  sviluppato  nel 
tempo  fino  ad  arrivare  al  c
​ apability  approach  di  Martha  Nussbaum.  Per 
Aristotele  il  funzionamento  umano  si  concretizza  nella  felicità,  per  la Nussbaum 
si  tratta  di  tendere  ad  una  società  in  cui  ogni persona è meritevole di rispetto e 
deve essere messa nelle condizioni di vivere realmente in modo umano.  
Un vero punto di svolta è dato quindi dall’ ICF.   
L’ICF  (International  Classification  of  Fuctioning,  Disability  and  Health)  serve  a 
classificare  non  le  persone  ma  le  caratteristiche  del  loro  “funzionamento” 
all’interno  di  un  contesto,  nelle  loro  condizioni  di  vita  individuali  ed  in  relazione 
all’ambiente.  Con  l’ICF  il  funzionamento  umano  viene  visto  in  un’ottica 
multidimensionale e multiprospettica (bio-psico-sociale).  
Per  l’ICF,  infatti, il termine ​funzionamento è
​  un termine generale che riguarda le 
funzioni  e  strutture  corporee,  la  capacità  di  svolgere  un  compito  o  un’azione 
(attività) e la capacità di coinvolgersi (partecipazione). 
Il  termine  f
​ unzionamento  umano  ​arriva  quindi  ad  assumere  un’accezione 
estremamente  positiva  e  si  può  applicare  quando  un  individuo,  in  un  ambiente 
privo  di  barriere  e  ricco  di  facilitatori,  riesce  ad  essere  partecipe  superando  la 
presenza  di  menomazioni  nelle  funzioni  e  strutture  corporee.  Il  significato della 
disabilità  opera  una  rivoluzione  culturale,  un  cambiamento  di  paradigma  che 
determina  il  passaggio  dal  modello  medico  a  quello  biopsicosociale.  In  questo 
modo  l’ICF  esprime  una  visione  nuova  che  coincide  con  quella  della  “Convenzione 
ONU  sui  diritti  delle  persone  con  disabilità”  del  2006.  A  mutare  è,  inoltre,  il 
concetto  di  salute,  visto  ora  come  uno  “stato  di  completo  benessere  fisico, 
mentale e sociale”. 
E’  quindi  necessaria  una  trasformazione  sociale,  culturale,  pedagogica  e 
curriculare  della  vita  a  scuola  in  termini  di  rimozione  degli  ostacoli 
all’apprendimento  e  di  introduzione  ed  implementazione  dei  facilitatori  con 
particolare  riferimento  a  favore  degli  allievi  con  disabilità  o  con  altri  bisogni 
educativi  speciali.  Il  legame culturale esistente tra funzionamento, capabilities e 
inclusione  scolastica  e  sociale  infatti,  sollecita  sempre  più la scuola ad impiegare 
una  personalizzazione  della  didattica  nell’ambito di una visione globale dell’allievo 
e delle sue potenzialità di apprendimento.  
 
- Il profilo di funzionamento  
 
Il  profilo  di  funzionamento comprende la diagnosi funzionale e il profilo dinamico 
funzionale  ed  è  redatto dall’Unità di Valutazione Multidisciplinare nell’ambito del 
SSN  composta  da  uno  specialista  in  neuropsichiatria  infantile  (o  uno  specialista 
esperto  nella  patologia  che  connota  lo  stato  di  salute  del  minore)  e  almeno  due 
figure  diverse  tra  le  seguenti:  psicologi  dell’età  evolutiva,  assistenti  sociali, 
pedagogisti, professionisti nell’area della riabilitazione.  
E’  il  documento  propedeutico  per  la  stesura  del  Piano  Educativo Individualizzato 
e  del  Progetto  Individuale  e  definisce  anche  le  competenze  professionali  e  la 
tipologia  delle  misure  di  sostegno  e  delle  risorse  strutturali  utili  per  l’inclusione 
scolastica.  Il  PdF  viene  redatto  con  la  collaborazione  della  famiglia,  con  la 
partecipazione  del  Dirigente  Scolastico  o  di  un  docente  specializzato  sul 
sostegno e di altre figure professionali.  
Il  sistema  dell’inclusione  in  Italia  ha  accolto  l’ICF  dal  punto  di  vista 
dell’innovazione  culturale  assumendo  i  significati  di  funzionamento  umano, 
disabilità, barriere e facilitatori. Nel D. Lgs. 96/2019 si afferma che il Profilo va 
redatto  dopo  l’accertamento  della  condizione  di  disabilità  in  età  evolutiva  ai  fini 
dell’inclusione  scolastica  e  secondo  i  criteri  dell’ICF.  In  questa  prospettiva 
innovativa,  il  modello  bio-psico-sociale sembra essere uno strumento operativo in 
grado  di  permettere  una  lettura  multidimensionale  del  funzionamento  umano: 
tale  lettura  necessita  di  un  lavoro  congiunto  all’interno  di  un’équipe 
“multi-competente” che possa disporre di strumenti condivisi e comuni.  
Anche  nel  Profilo,  i  fattori  ambientali  andrebbero  individuati  e  descritti  in 
termini  qualitativi  e  quantitativi,  fornendo  informazioni  su  quali  e  quante 
barriere  sono  presenti  nell’ambiente  e  su  come  influenzano  i  processi  di 
inclusione,  definendo  pertanto  come  queste  vanno  rimodulate  per  favorire  la 
partecipazione  di  ogni  studente.  L’ICF,  inoltre,  descrive  anche  i  facilitatori  che 
possono  essere  relazionali,  didattici,  strumentali  e  che  permettono  il 
raggiungimento dell’autonomia, della socializzazione, della relazione.  
 
 

 
 
 
 
- Le categorie dell’ICF 
 
Fin  dalla  prima  stesura  (2001),  l’ICF  fornisce  con  un  linguaggio  universale  la 
descrizione di salute e degli stati ad essa correlati. La sua struttura permette di 
raccogliere informazioni sulla persona suddividendole in domini. 
 

 
 
 
 
 
L’ICF  è  organizzato  in  due  parti:  la  prima  è  formata  dalle  categorie  ​b​,  ​s ​e  ​d​,  la 
seconda  dalla  categoria  ​e ​e  dai  fattori  personali  che  però ad oggi non sono stati 
classificati dall’OMS.  
Le  ​funzioni  corporee  ​sono  le  funzioni  fisiologiche  del  corpo,  incluse  quelle 
psicologiche. Le ​strutture corporee ​sono le parti anatomiche, come organi, arti e 
altri  componenti.  ​Attività ​rappresenta l’esecuzione di un compito o di un’azione a 
livello  individuale.  La  ​partecipazione  è  il  coinvolgimento  dell’individuo  in  una 
situazione  di  vita,  quindi  si  riferisce  all’aspetto  sociale.  I  ​fattori  ambientali 
sono  un  insieme di caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti 
che possono ripercuotersi sulle prestazioni in un determinato contesto. 
Tutte  queste  classificazioni  si  distinguono  in  sottoclassificazioni  dato  che  a 
livello di ogni capitolo ci sono categorie e livelli.  
Le  lettere  “b”,  “s”,  “d”  ed  “e”  sono  seguite  da  un  codice  numerico  che  comincia 
con  il  numero  del  capitolo  seguito  da  altri  numeri  che  individuano  ciascuna 
categoria.  
Esempio:  

 
Dato  che  l’ICF  è  una  classificazione  che  riguarda  tutte  le  persone  (quindi  non 
solo  quelle  con  disabilità),  ogni  codice richiede l’uso di ​qualificatori ​che vanno da 
0 a 4. 
 
 
L’ICF  non  richiede  di  indicare  le  cause  della  menomazione  o  della  disabilità  ma 
solo  di  specificare  gli  effetti:  si  parla,  pertanto,  di  “attività”  e  “partecipazione 
sociale” in modo da avere una visione completa.  
 
I  qualificatori  di  attività  e  partecipazione  sono  due:  il  primo  numero  indica  la 
performance  (quello  che  una  persona  fa  all’interno  di  un  contesto  sociale 
quotidianamente);  il secondo riguarda la ​capacità (ovvero l’abilità intrinseca di un 
individuo  di  eseguire  un’azione  o  un  compito,  misurata  in  un  ambiente uniforme o 
standard). I valori anche in questo caso vanno da 0 a 4.  
 

 
 
 
 

 
 
Per  quanto  riguarda  i  fattori  ambientali  si  fa  riferimento  ai  qualificatori  detti 
facilitatori    e  ​barriere  ​che  esercitano  un’influenza  positiva  o  negativa 
dell’ambiente  sulla  persona.  I  primi sono fattori che includono un ambiente fisico 
accessibile,  ausili,  tecnologie  di  assistenza  ma  anche  atteggiamenti  positivi, 
servizi,  politiche  sociali  che  vogliono  migliorare  il  coinvolgimento  di  tutte  le 
persone. Le barriere invece sono quelle che ostacolano quel coinvolgimento. 
E’  evidente quindi che il f
​ unzionamento e la ​disabilità ​rappresentano l’esito di una 
complessa  interazione  tra  la  salute  dell’individuo  e  i  fattori  ambientali,  in  una 
visione d’insieme dinamica. Per i facilitatori si utilizza un + prima del numero. 
 
- Il PEI su base ICF 
 
Il PEI è un documento in cui vengono descritti tutti gli interventi predisposti per 
l’alunno  con  disabilità,  con  il  fine  di  realizzare  il  diritto  all’educazione  e 
all’istruzione  (art.  12,  legge  104/1992).  Gli  interventi  riguardano  gli  aspetti 
didattico-educativi,  riabilitativi,  di  socializzazione  e  di  inclusione  posti in essere 
per  promuovere  la  piena  realizzazione  dell’alunno.  Viene  elaborato  ed  approvato 
dal  GLO  (Gruppo  di  Lavoro Operativo) e coinvolge tutta la comunità scolastica. E’ 
redatto  congiuntamente  dal  consiglio  di  classe,  i  genitori,  l’Unità  di  Valutazione 
Multidisciplinare,  le  figure  professionali  specifiche  interne  ed  esterne  alla 
scuola.  Prende  parte  in  alcuni  casi  anche  l’alunno  stesso,  secondo  il  principio  di 
autodeterminazione.  Dopo  un  periodo  di  osservazione  e di analisi della situazione 
di  partenza,  il  PEI  viene  redatto  entro  il mese di ottobre e si aggiorna in caso di 
nuove  condizioni  di  funzionamento  della  persona  e  nei  passaggi  di  grado  di 
istruzione.  Per  elaborare  un  PEI  efficace  bisogna  comprendere  cosa  l’alunno  sa 
fare, non sa fare e quali sono le sue potenzialità.  
Dopo  la  consultazione  del  Profilo  di  Funzionamento  (o  della  diagnosi funzionale e 
del  profilo  dinamico  funzionale),  il  PEI  si  costruisce  in  base  alla  ​conoscenza 
dell’alunno,  alle  analisi  delle  risorse,  alla  scelta  di  obiettivi,  contenuti,  metodi, 
materiali e tempi e alle modalità e strumenti per le verifiche.  
Nel  PEI  vanno  quindi  esplicitati  sia  gli  obiettivi  educativi,  trasversali  a  tutte  le 
discipline,  che  gli  obiettivi  didattici  specifici  per ogni disciplina che si traducono 
in  conoscenze,  competenze  ed  abilità.  La  programmazione  potrà  essere  per 
obiettivi  minimi  o  differenziata.  Gli  obiettivi  vanno  definiti  a  lungo,  medio  e 
breve  termine.  Gli  interventi  educativi  e  didattici  vengono  tracciati  su  percorsi 
volti  a  dare  sicurezza  e  creare  condizioni  affinché  l’alunno  acquisisca  stima  e 
fiducia in sé, nonché sviluppi un buon grado di autonomia ed integrazione sociale.  
La  sezione  numero  1  del  PEI riguarda il quadro informativo e fornisce indicazioni 
sulla situazione familiare e la descrizione dell’alunno.  
Si  passa  poi  agli  elementi  generali  desunti  dal  profilo  di  funzionamento,  per 
progettare  obiettivi  specifici.  Nella  sezione  3  è  possibile  esplicitare  indicazioni 
relative  al  raccordo  tra  il  PEI  e  il  Progetto  Individuale,  se  quest’ultimo  è  stato 
redatto.  La  sezione  4  riguarda  l’osservazione  dell’alunno  per  progettare  gli 
interventi  educativi  e  didattici,  sulla  base  delle  quattro  ​dimensioni  ​individuate 
dal  D.  Lgs.  66/2017  che  sono  quelle  della  s​ ocializzazione  e
​ d  ​interazione​, ​della 
comunicazione  e
​   del  ​linguaggio​,  dell’​autonomia  e
​   dell’​orientamento  ​e  quella 
cognitiva​,​ neuropsicologica​,​ ​e dell​’apprendimento​. 
Nella  sezione  5  si  passa  agli  interventi  sull’alunno  indicando  obiettivi,  sostegni 
didattici e metodologici, strategie e strumenti nonché verifica degli obiettivi. 
La  sezione  6  è  dedicata  alle  osservazioni  sul  contesto  al  fine  di  distinguervi 
barriere  e  facilitatori  (ICF):  in  questo  modo  è  possibile  adattare  la  didattica 
secondo  le  esigenze  di  ciascuno  all’interno  di  un  contesto  classe  vario.  Sempre 
nella  sezione  6  è  presente  una  sottosezione  che  riguarda  la  revisione  per 
riportare eventuali modifiche a seguito di una verifica intermedia del PEI. 
Nella  sezione  7  si  definiscono  gli  interventi  che  si  intendono  attivare  per 
realizzare  un  efficace  ambiente  di  apprendimento  inclusivo  e  anche  in  questo 
caso è prevista un’eventuale revisione nonché la verifica conclusiva degli esiti. 
La  sezione  8  riguarda  gli  interventi  sul  percorso  curriculare, considerando tutte 
le  diverse  componenti  del  processo  (contenuti,  metodi,  attori,  tempi,  luoghi): 
vanno  indicati  gli  interventi  attivati  per  tutte  le  discipline,  in  che  modo  viene 
utilizzata  la  risorsa  del  sostegno,  le  personalizzazioni  delle  verifiche,  gli 
obiettivi  per  ciascun  insegnamento. Nella scuola Secondaria di Secondo Grado, si 
pone  la  questione  sulla  validità  del  titolo  di  studio:  se  si  segue  una 
programmazione  differenziata,  infatti,  non  si  otterrà  il  diploma  ma un attestato 
dei  crediti  formativi.  Il  passaggio  da  una  programmazione  differenziata  a  una 
valida  per  il  conseguimento  del  titolo  è  comunque  possibile  se  il  Consiglio  di 
Classe lo decide. 
Nella  sezione  9  si  richiede  di  descrivere  come  vengono  organizzate  le  risorse 
assegnate o disponibili (insegnante di sostegno, assistenti alla persona, assistenti 
per la comunicazione, uscite didattiche, attività o progetti rivolti alla classe). 
La  sezione  10  riguarda  la  certificazione  delle  competenze,  la  11  viene  redatta 
durante  l’ultima  riunione  del  GLO  e  raccoglie  indicazioni  relative  alla  verifica 
finale  del  PEI  dell’anno  in  corso  e  agli  interventi  previsti  per  l’anno  scolastico 
successivo  (proposta  ore  di  sostegno, interventi di assistenza, problemi emersi e 
potenzialità). 
L’ultima  sezione,  la  12,  è  quella  del  PEI  provvisorio  e  riporta  gli  interventi 
necessari  per  garantire  il  diritto  allo  studio  e  la  frequenza  per  l’anno  scolastico 
successivo.   
 
 
 
 
TABELLA RIASSUNTIVA PEI IN BASE ALLE LINEE GUIDA MINISTERIALI  
 
 

SEZIONE 1  Quadro informativo 


(indicazioni situazioni familiari e descrizione alunno) 

SEZIONE 2  Elementi generali desunti dal profilo di funzionamento 

SEZIONE 3  Raccordo con il Progetto Individuale (se presente) 

  Osservazione  per  progettare  gli  interventi  di  sostegno 


  didattico 
  - dimensione della socializzazione e interazione 
SEZIONE 4  - dimensione della comunicazione e linguaggio 
- dimensione dell’autonomia e orientamento 
- dimensione  cognitiva,  neuropsicologica  e 
dell’apprendimento 

  Interventi sull’alunno: obiettivi educativi e didattici 


  -obiettivi 
SEZIONE 5  -interventi  didattici  e  metodologici,  strategie  e 
strumenti 
-verifica 

SEZIONE 6  Osservazioni sul contesto: barriere e facilitatori 

SEZIONE 7  Interventi  sul  contesto  per  realizzare  un  ambiente  di 


apprendimento inclusivo 

SEZIONE 8  Interventi  sul  percorso  curricolare  (modalità  di 


sostegno, di verifica, progettazione disciplinare) 

SEZIONE 9  Organizzazione  generale  del  progetto  di  inclusione  e 


utilizzo delle risorse 

SEZIONE 10  Certificazione delle competenze 

SEZIONE 11  Verifica finale/proposte per le risorse professionali 

SEZIONE 12  PEI redatto in via provvisoria 


 
 
 
 
 
IL PEI CON L' ICF "Ruolo e
influenza dei fattori
ambientali"
Pedagogia
Universita degli Studi Roma Tre
36 pag.

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IL PEI CON L’ICF
Ruolo e influenza dei fattori ambientali
Processi, strumenti e strategia per una didattica inclusiva

L’ICF NELLA SCUOLA INCLUSIVA


Intanto dobbiamo specificare cos’è il WHO ovvero “International classification of functioning
disability and health/ICF”. Si tratterà in particolare di rilevare come essa è in grado di realizzare
una proggettazione didattica in cui i concetti partecipazione; appartenenza; accessibilità
divengono le principali chiavi di lettura del processo di inclusione. Secondo la prospettiva culturale
dell’ICF: la partecipazione attiva degli allievi alla vita scolastica è un aspetto fondamentale
dell’inclusione. Infatti, la presenza di barriere può limitare tale partecipazione, rendendo le
esperienze di apprendimento non pienamente accessibili. I fattori propri di ciascun ambiente
possono influenzare l’attività e la partecipazione degli allievi, incidendo sulla loro “performance”.
Questi fattori che agiscono da barriere (es. inaccessibilità, emarginazione, atteggiamenti portatori
di pregiudizi ecc.) vengono trasformate, nell’ICF in fattori ambientali che agiscono da
“facilitatori” per migliorare la performance e determinare la piena attività e partecipazione di
ciascuno; in quanto viviamo in continua interazione con gli altri. Al fine di consentire, agli allievi
con disabilità di partecipare a tutti gli aspetti della vita scolastica, è quindi necessario agire in
modo appropriato per assicurare loro (su base di eguaglianza con gli altri) l’accesso ai diversi
ambienti fisici; alle proposte didattiche interne e esterne alla scuola; ai servizi; ai trasporti casa-
scuola; all’informazione e comunicazione. Come sottolinea la convenzione ONU per i diritti delle
persone con disabilità: queste azioni devono garantire l’eliminazione di ostacoli e barriere per
favorire l’ACCESSIBILITA’ vero e proprio PRINCIPIO per la promozione dei diritti umani.
Ciò è possibile solo in una dimensione culturale e di politica sociale che ponga al centro la persona
e il suo diritto a disporre di condizioni ambientali ideali per la propria autodeterminazione. Gli
elementi cardine di questo modello culturale (come espresso nel titolo stesso) sono:
 Functioning funzionamento umano;
 Disability disabilità;
 Health salute.
Questi elementi risentono anche di un quadro teorico “pedagogico-didattico” riferito all’impego
dell’ICF nella scuola inclusiva.

ACCESSIBILITA’: nella prospettiva del “funzionamento umano” questo concetto, diventa la chiave
di lettura, dell’intero processo di inclusione. L’esercizio del diritto di accessibilità è sancito dalal
convenzione ONU in quanto consente di vivere in maniera indipendente e di partecipare
pienamente a tutti gli aspetti della vita. La convenzione ONU dedica al concetto di accessibilità
tutto “l’articolo 9”, sottolineando che: gli stati Parti devono prendere misure appropriate per
assicurare alle persone con disabilità, su base di euguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente
fisco, ai trasporti, all’informazione, servizi offerti al pubblico ecc.

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LA CONVENZIONE ONU SUI DIRITTI DELLE PERSONE CON DISABILITA’ E LE POSSIBILITA’
D’ISTRUZIONE: il suo scopo è stato quello di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed
eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone
con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità. In particolare, in relazione alla
possibilità d’istruzione, la convenzione ha posto l’accento sull’esigenza che queste vengano
finalizzate al pieno sviluppo del potenziale umano; senso di dignità e autostima e rafforzamento
dei diritti umani; allo sviluppo dei disabili, alle proprie capacità, personalità e abilità fisiche e
mentali. Mettere quindi in grado le persone con disabilità a vivere e partecipare
effettivamente a una società libera.

L’ICF nel quadro teorico pedagogico-didattico di riferimento


La prospettiva pedagogico-didattica e culturale aperta all’ICF risulta particolarmente pregnante in
ottica inclusiva. L’ICF mette in evidenza l’importanza di agire, responsabilmente, sulle condizioni
di apprendimento per favorire il successo formativo di tutti gli allievi. Infatti il modello ICF si
fonda sul rispetto dei diritti umani e sull’impegno a garantirli e si correla strettamente con il
concetto di “Zona Prossimale” di Vjgotskij quindi con l’attenzione alla dimensione sociale del
processo di apprendimento e al ruolo dell’ambiente. La convinzione è che il livello di sviluppo
effettivo degli allievi possa essere potenziato grazie ad un intervento efficace
sull’organizzazione della didattica e sulle politiche scolastiche in relazione a dati e informazioni
affidabili e confrontabili sulla qualità dei sistemi educativi. La probabilità di garantire, mediante
l’azione facilitante dei fattori ambientali il funzionamento umano della persona con disabilità, la
sua libertà di vivere in maniera soddisfacente la sua vita, fanno emergere il legame con
l’impostazione concettuale dell’ICF e l’etica della capacità teorizzata da SEN e NUSSBAUM. Inoltre,
la determinazione nel modificare l’ambiente in senso inclusivo, mediante la rimozione degli
ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione, mette in luce la convergenza concettuale e di
valoriale tra l’ICF e l’INDEX per l’inclusione. Su questa convergenza, si propongono una serie di
riflessioni e di proposte operative finalizzate a valorizzare le opportunità che esse stesse offrono
per il miglioramento del sistema formativo italiano.
Il sistema formativo italiano presenta elementi di criticità rispetto ai quali, in particolare l’ICF, si
offre come “ordinatore concettuale” in grado di orientare le prassi di comunicazione e
collaborazione, all’interno della scuola e tra questa e le risorse del territorio, in vista del PEI
“Piano Educativo Individualizzato”. Quindi viene messa in luce la flessibilità dell’ICF e il supporto
che apporta all’interno delle scuole.

Dal significato di funzionamento a quello di “Funzionamento Umano”


 Il punto di vista etimologico, pragmatico e medico sul funzionamento  secondo il significato
linguistico-etimologico, il termine “funzionamento” deriva dal termine “fuction” ovvero
funzione e significa “adempiere la propria funzione” ovvero “l’atto e l’effetto di funzionare, di
svolgere una funzione”.
 Dal punto di vista pragmatico, il termine può riferirsi al significato di “efficacia” in riferimento
ai risultati positivi di tipo pratico ovvero ci si riferisce alla modalità attraverso la quale una
cosa funziona.
 Dal punto di vista medico, il termine “funzione” richiama “cellula, organo o formazione
patologica” dotati di una particolare attività funzionale. Si fa riferimento in medicina al

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funzionamento del sistema nervoso, o del cervello umano, al funzionamento cardiaco,
funzionamento delle facoltà psichiche ecc.

 Nell’ambito della disabilità, in particolare il “Manuale diagnostico dei disturbi mentali-DSM-


5”: utilizza il termine “funzionamento” in relazione al funzionamento della mente e precisa
in merito al disturbo mentale, che esso è una sindrome caratterizzata da un’ “alterazione
clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o dal
comportamento di un individuo”, che riflette una  disfunzione nei processi psicologici,
biologici o evolutivi che sottendono il “funzionamento mentale”. Il DSM-5, nella descrizione
dei diversi disturbi mentali di cui tratta, fa riferimento anche al “funzionamento sociale” in
quanto i disturbi mentali, sono definiti, in relazione alle norme e ai valori culturali, sociali e
famigliari. La cultura di appartenenza, modellano l’esperienza e la manifestazione di sintomi,
segni e comportamenti che costituiscono i criteri per la diagnosi.

Tali punti di vista sono utili per re-interpretare il concetto di “funzionamento umano”.

Breve exursus sul “funzionamento umano”: da “Aristotele al Capability Approach”


L’uso del termine funzionamento umano, risale ad Aristotele. Si è sviluppato nel tempo fino a
rinnovarsi con il costrutto del Capability Approach (Neussbaum; Sen 1993) e con quello proposto
dalla World Health Organization con L’ ICF (2001).

Per Aristotele (384-322 a.C) il funzionamento umano si concretizza nella “felicità” cui deve
tendere qualsiasi persona. Consiste nella perfezione individuale di attuare le proprie capacità, il cui
culmine si raggiunge, in particolar modo, nell’esercizio dell’attività razionale. Egli coniuga
l’espressione “Eudaimonia” per identificare la realizzazione completa di sé: resa con l’immagine di
una vita fiorente, che fiorisce in tutte le sue potenzialità  per il raggiungimento di una piena
“forma umana” che è ciò che contraddistingue l’uomo e che si concretizza nella “razionalità”.
Questa fioritura umana è il “bene supremo” rappresentato dall’attività della persona (le azioni, gli
sforzi, le intenzioni) e dalla “partecipazione” attraverso la quale svolge tale attività (lo scopo, la
motivazione verso l’attività).

Amartya Sen il filosofo economista indiano, concepisce l’eudaimonia aristotelica, secondo


uno sviluppo pluralistico, per cui “esiste una pluralità di fini e di obiettivi che gli uomini possono
perseguire”. Il concetto di funzionamento seniano è uno stato di essere e uno stato di fare che
qualificano lo star bene in termini di nutrizione, salute e rispetto di sé, di felicità. Non si tratta
di semplici abilità, quanto piuttosto della combinazione tra queste e l’ambiente sociale, politico
ed economico. Per rendere più chiaro il concetto, Sen crea il termine “capabilities”, con il quale
indica l’insieme delle combinazioni di “funzionamento” che ogni persona può essere in grado di
realizzare. Con l’espressione “capabilities” intende la  capacità di acquisire funzionamenti di
rilievo relativi alla libertà di scegliere la vita da vivere: nella misura in cui i funzionamenti
costituiscono lo star bene, le capacità rappresentano la libertà individuale di acquisire lo star
bene”.

In tal quado teorico relativo alla Capability Approach un contributo interessante è


quello di Nussbaum che con la “lista delle 10 capacità fondamentali del funzionamento umano”
riscrive in termini di capacità la carta dei diritti dell’uomo. Questo approccio ha lo scopo di
vedere una società in cui la persona sia trattata come degna di rispetto e messa nelle

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condizioni di poter vivere realmente in modo umano. Proprio a questo punto, entra in gioco
l’idea della
SOGLIA: possiamo dire che, al di sotto di un certo livello di capacità, una persona non è stata
messa nella condizione di vivere una vita meramente umana. In questo senso, possiamo
riformulare il nostro principio di trattare ogni persona come un “fine”, articolandolo come un
“principio di fornire a ciascuna persona le capacità fondamentali”.

CONCETTO DI LIBERTA’: si è passati da una concezione che faceva corrispondere la felicità al


“Sommo Bene” (Aristotele) a quella che la identificava con l’appagamento del desiderio della
persona. Dunque, si è fatta coincidere con l’etica e la morale, con la giustizia e il raggiungimento
del Bene più alto. Dall’epoca moderna, la felicità ha gradualmente perso tale connotazione
morale assumendone una relativa ai desideri personali. Ad esempio, Russell vede la felicità, non
come soluzione ai problemi dell’esistenza dell’uomo, ma come il tentativo di conquistare una
consapevole serenità interiore (sotto quindi un profilo sociologico e antropologico, quale
condizione, per la quale vengono assicurate pari opportunità per tutti.

Le 10 capacità fondamentali del “funzionamento umano”: il contributo di Martha


Nussbaum
Le 10 capacità fondamentali del “funzionamento umano” individuate dalla studiosa Americana
Nussbaum sono:
1. Vita (essere in grado di vivere fino alla fine una vita umana di normale durata);
2. Salute fisica (essere in grado di vivere una buona salute, inclusa quella riproduttiva);
3. Integrità fisica (essere in grado di muoversi liberamente da un luogo all’altro);
4. Seni, immaginazione, pensiero (essere in grado di usare pienamente i sensi, di
immaginare, pensare e ragionare e di far ciò in modo “propriamente umano”: ovvero in
modo informato e coltivato da adeguata istruzione, che includa alfabetizzazione e
conoscenze matematiche) ed essere in grado di avere esperienze piacevoli e di evitare
dolori non necessari);
5. Emozioni (essere in grado di avere legami con persone e cose al di fuori di noi stessi)
6. Ragion pratica (essere in grado di formarsi una concezione del bene e di impegnarsi nella
riflessione critica sul modo in cui pianificare una propria forma di vita);
7. Unione (essere in grado di vivere con gli altri e rispetto agli altri);
8. Altre specie (essere in grado di prendersi cura anche delle altre specie, come gli animali);
9. Gioco (essere capaci di ridere, giocare e godere di attività ricreative);
10. Avere controllo sul proprio ambiente (ad es. politico: essere in grado di partecipare
effettivamente alle scelte politiche che regolano la vita).
Nussbaum approfondisce la struttura concettuale del Capability Approach, individuando 2 tipi di
“Capabilities”:
1. Le capacità interne;
2. Le opportunità esterne (un insieme di risorse, beni e diritti che devono essere disponibili
alla persona).

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Quindi il funzionamento viene visto come la capacità di utilizzare beni, risorse e diritti per i
propri progetti di vita e per accrescere la propria libertà di scelta e di affermazione personale.

Il processo di sviluppo dell’allievo tra capacità e opportunità: le capabilities il complesso delle


capacità acquisite rappresenta l’insieme dei “funzionamenti conseguiti” e questo percorso, nel suo
complesso, contribuisce a determinare il benessere e la qualità della vita delle persone. Le
capabilities sono in stretta relazione con la libertà di gestire la propria vita. Sia le capacità di
apprendere che il funzionamento umano hanno di base degli elementi fondamentali:
 Le caratteristiche della persona (corporee, attitudinali, attegiamenti);
 Il processo di crescita;
 L’ambiente di vita.
Assumendo il capability approach è possibile riferirsi alla persona-allievo in termini di:
caratteristiche personali (ossia di risorse interne che egli mobilita, durante il processo di crescita,
sviluppo e apprendimento, per soddisfare la realizzazione di sé e i traguardi che si prefigge nella
vita scolastica, sociale e familiare). L’ambiente di vita scolastica si modifica in relazione alla
facilitazione offerta all’allievo, nel processo di apprendimento in questa logica, le capabilities,
scaturiscono nell’incontro tra capacità e opportunità e che permette alle 1° di essere agite
grazie alla combinazione della libertà personale e dall’ambiente facilitante (ovvero ricco di
opportunità per l’attività e la partecipazione).

Il funzionamento umano nell’ ICF: Un approccio multidimensionale e multi-


prospettico
Un vero punto di svolta, nella concezione del “funzionamento umano”, si deve all’ICF che
sottolinea, grazie ad una visione multidimensionale e multi-prospettica, l’importanza
dell’interazione della persona con l’ambiente, in una prospettiva bio-psico-sociale. Per l’ICF il
funzionamento umano riguarda questi fattori, in presenza di uno specifico problema di salute
dell’individuo:
 le funzioni e le strutture corporee;
 le capacità di svolgere un compito o un’azione (attività);
 le capacità di coinvolgersi (partecipazione);
 I fattori ambientali e personali (nell’insieme fattori contestuali).
Esso viene identificato come il “risultato dell’interazione positiva tra le caratteristiche individuali
ed i fattori contestuali, ambientali e personali” nonché con la conseguente capacità di
“funzionare” e “apprendere”. Di qui, si rende evidente la consonanza dei principi dell’ICF con
quelli di Sen e Nussbaum del capability approach con quelli degli autori citati. Sulla base di tali
principi deriva l’educabilità della dimensione intersoggettiva dei singoli allievi, dei gruppi-classe,
nonché dell’organizzazione didattica, che promuove il cambiamento auto-evolutivo verso il
funzionamento dell’allievo. Ciò implica ovviamente una trasformazione sociale, culturale,
pedagogica e curricolare della vita a scuola, così come della sua organizzazione in termini di
rimozione degli ostacoli all’apprendimento e di introduzione ed implementazione dei
facilitatori con particolare riferimento a favore degli allievi con disabilità o con altri bisogni
educativi speciali. Il legame culturale esiste tra i costrutti di “funzionamento umano”;
“capabilities” e “inclusione scolastica e sociale”: ciò sollecita sempre più la scuola all’impiego di

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una personalizzazione della didattica nell’ambito di una visione olistica dell’allievo e delle sue
potenzialità di apprendimento.

Il significato di disabilità nell’ottica del funzionamento umano


Quindi per l’ICF il termine funzionamento umano: ha un’accezione estremamente positiva e si
può applicare quando un individuo, trovando l’ambiente privo di barriere e ricco di facilitatori
(quindi accessibile) riesce ad agire e partecipare nonostante la presenza di menomazioni nelle
proprie funzioni e strutture corporee. Quindi tali aspetti positivi sono dovuti  all’assenza di
problemi dell’interazione tra persona e ambiente (a livello di funzioni del corpo; delle strutture
anatomiche; delle attività e partecipazione).

Il termine disabilità nell’ICF indica invece, gli aspetti negativi dell’interazione tra un individuo
(con una specifica condizione di salute) e l’ambiente. È quindi un termine generale riferibile a
menomazioni, limitazioni dell’attività o restrizioni della partecipazione.
Nell’ICF quindi, il significato della disabilità opera una vera e propria rivoluzione culturale, un
cambiamento di paradigma che determina il passaggio dal modello medico della disabilità al più
ampio modello bio-psico-sociale.
Infatti e proprio l’evoluzione del concetto di disabilità vista nelle sue molteplici dimensioni che
porterà la WHO a superare la classificazione ICDH e a specificare nell’ICF la necessità di
considerare le limitazioni significative delle funzioni e strutture corporee, dell’attività e della
partecipazione; non in modo separato bensì in stretta interazione con i fattori presenti
nell’ambiente.
L’ICF esprime un’evoluzione del concetto di disabilità che coincide con quella citata dalla
convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, secondo la quale:
“La disabilità è il risultato dell’interazione tra persone con minorazioni e barriere attitudinali ed
ambientali, che impedisce la loro piena ed efficace partecipazione nella società su una base di
parità con gli altri.

Un famoso precursore, nel rivendicare un sistema di educazione per tutti, anche per quelli
ritenuti ineducabili è Seguin. Egli era infatti un acceso sostenitore della possibilità di valorizzare le
potenzialità residue dei bambini con disabilità e sosteneva che dedurre un’incapacità da
un’impossibilità è un ragionamento sbagliato. Da Seguin in poi si avvia un lungo percorso di
cambiamento che arriverà ad affrontare i bisogni della persona con disabilità attraverso un 
progetto educativo in grado di produrre un’adeguata organizzazione dell’ambienteè quindi
mediante un sistema di mediatori ed organizzatori, che permettono alla persona stessa, la
possibilità di svilupparsi al suo massimo grado.

Il significato di salute nell’ottica del funzionamento umano


Il concetto di salute assunto nell’ICF rispecchia il cambiamento epistemologico che la World Health
Organization ha descritto nel suo atto costitutivo approvato nel 1946 ed entrato in vigore nel 1948:

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WHO 1948 “La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, che non consiste
solo in un’assenza di malattia o d’infermità, ma in un diritto fondamentale di ogni essere umano;
sena distinzione di razza, religione, opinioni politiche, condizione economica o sociale.

Dunque, la salute non è considerata un obiettivo finale e definitivo, ma un incremento a


carattere progressivo e processuale. La salute diventa un potenziale che può svilupparsi se il
fare personale s’intreccia positivamente con la collettività per la costruzione di ambienti
favorevoli in grado di offrire SOSTEGNO a tutte le persone con disabilità. In una prospettiva di
pace, giustizia e sostenibilità ed inclusività lo scopo è quello di promuovere una vera e propria
cultura della salute, garantendo una vita sana e promuovendo il benessere per tutti e per tutte le
età.
“Assicurare la salute e il benessere per utti e per tutte le età” rappresenta un obiettivo prioritario
(il 3°) dei 17 Susteinable Development Goals dell’Agenda ONU 2030: in modo tale che tutti gli
esseri umani possano realizzare il proprio potenziale con dignità e uguaglianza in un’ambiente
sano. La promozione della salute è quindi la promozione della persona, dei gruppi e delle
comunità dove trova fondamento nel modello bio-psico-sociale in cui la salute “Non è un sentirsi,
ma un esserci; un essere nel mondo; un essere insieme ad altri uomini ed essere occupati
attivamente e positivamente dai compiti della vita”.

CAPITOLO 2: L’ICF nel processo di revisione della WHO e


nell’applicazione in ambito educativo secondo il Manuale d’uso.

Dal modello medico al modello sociale al modello bio-psico-sociale


L’interpretazione innovativa dei concetti di funzionamento, disabilità e salute che si trova nell’ICF è
frutto di un percorso nato negli anni ’70 quando fu percepito il cambiamento epistemologico,
conseguente alla rivoluzione sanitaria, verificatasi nei paesi occidentali industrializzati e in seguito
al cambiamento degli stili di vita e all’uso di nuove armi terapeutiche (antibiotici, vaccini). Per
potersi occupare adeguatamente della salute delle persone, diventa importante integrare le
informazioni sulla patologia della persona con le conseguenze sulle sue condizioni di vita. La WHO
ritenne quindi necessario, affiancare un’ulteriore classificazione all’International Classification
Of Diseases ICD: riporta una descrizione delle principali caratteristiche cliniche dei disturbi, li
ordina in gruppi e fornisce le indicazioni per l’elaborazione della diagnosi clinica. Inoltre permette
di comparare, i dati, per le statistiche ma NON consente di evidenziare le conseguenze delle
malattie.
La nuova classificazione da elaborare e affiancare all’ICD avrebbe quindi dovuto tener conto di
utilizzare un linguaggio standard (ovvero condiviso tra i diversi settori interessati alle tematiche
sulla disabilità) e dovrebbe tener conto del confronto tra il modello medico e il modello sociale
della disabilità in quanto costituiscono i 2 modelli di inquadramento della disabilità stessa.
Questi 2 modelli forniscono una chiave interpretativa della disabilità e presenta delle soluzioni
operative, ma tuttavia, nessuno dei 2 risulta esaustivo in tali compiti.

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 Modello medico della disabilità: la disabilità è inquadrata nella presenza di una
menomazione e nel rapporto lineare e consequenziale di quest’ultima sull’attività e sulla
partecipazione della persona. Quindi la menomazione diventa il punto di origine dell’intero
processo e diventa l’elemento da identificare e correggere uniche azioni possibili di agire
anche sul grado di disabilità. Questo modello considera la disabilità come un problema
esclusivo della persona, direttamente causato dalle malattie, dai deficit ecc. E’ un modello
lineare e unidirezionale.
 Modello sociale: nasce dalle rivendicazioni delle persone con disabilità, secondo le quali
quest’ultima è creata dall’ambiente di vita piuttosto che dai loro problemi di salute. Sostiene
che gli interventi medico-riabilitativi non siano sufficienti a rispondere ai bisogni delle
persone con disabilità in quanto è necessaria un’azione sociale collettiva e politica di
modifica dell’ambiente. Quindi la disabilità è inquadrata come esito dell’inadeguatezza
dell’ambiente rispetto ai bisogni della persona con disabilità.
La nuova classificazione che ne deriva, l’International Classification of Impairments, Disabilities
and Handicaps (ICIDH) redatta nel 1980 non ha subito reso chiaro come essa stessa si ponesse
rispetto al modello medico o sociale della disabilità. Pur enfatizzando l’elemento peculiare del
modello sociale (ovvero il ruolo primario dell’ambiente nel determinare il passaggio dalla disabilità
all’handicap) adotta poi un modello lineare che va dalla malattia, alla menomazione, alla
disabilità e all’handicap enfatizzando quindi l’elemento caratterizzante del modello medico, che
fa derivare tutti gli aspetti della disabilità, da una condizione patologica.
Dunque, la disabilità si situa ad un livello intermedio tra quello delle menomazioni e quello degli
handicap. Infatti, proprio in sede della revisione, la WHO ha maturato che la sequenza tipica del
modello medico della disabilità:

Eziologia Patologia Manifestazione clinica


non risulta però esaustiva, in quanto la persona, oltre a subire le manifestazioni della malattia è
anche impossibilitata a svolgere il proprio ruolo sociale e a mantenere le normali relazioni con gli
altri.
L’ICIDH infatti si fonda su un’interpretazione che, inizialmente, è sembrata in grado di delineare
la complessità di tale situazione tenendo conto anche dei risvolti sociali della malattia, così come
indicato nella seguente sequenza.

Malattia

Infortunio Menomazione Disabilità  Handicap


Malformazione

Tale sequenza rende evidente come tutte le operazioni di diagnosi  devono essere contestuali a
una forte attenzione alle menomazioni, alle disabilità e agli handicap ovvero alle conseguenze
personali e sociali che possono ricoprire un ruolo rilevante nel determinare le condizioni di vita
della persona. L’ICIDH, in definitiva, NON E’ STATA MAI APPROVATA COME STRUMENTO
UFFICIALE DELLA WHO e nel tempo ne sono state evidenziate le contraddizioni: situando in
posizione intermedia tra il modello sociale e quello medico, ha reso il termine handicap un

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termine con connotazione negativa che le persone con disabilità hanno vissuto con disagio. Il suo
limite: risiede proprio nella sequenzialità: chi ha una malattia o un disturbo ha un danno organico
(menomazione) di conseguenza ha una perdita di capacità operative (disabilità) e quindi  uno
svantaggio sociale (handicap). Questi 3 termini vengono utilizzati con un’accezione negativa, con
riferimento a situazioni di deficit.

La decima revisione dell’ICIDH avviata dall’OMS nel 1993 ha superato questa visione, con
la stesura di una nuova classificazione internazionale: L’ICF in cui il problema della salute e della
disabilità vengono affrontati secondo una nuova impostazione concettuale e come 2 aspetti
interrelati dello stesso fenomeno.
L’ICF  si configura come una sintesi tra i due modelli della disabilità, sia dal punto di vista
metodologico che concettuale. Si presenta come un modello universale ed inclusivo che riguarda
il “funzionamento umano” di tutti, tutte le età e in tutto il mondo; considera la molteplicità delle
interazioni tra le persone e il loro specifico contesto di vita.
Si passa da un modello sequenziale ad uno RETICOLARE e SITEMICO in qui per la 1° volta viene
effettuata una CATALOGAZIONE dei fattori AMBIENTALI, in cui la disabilità assume il valore di una
condizione di salute in un ambiente sfavorevole.
Anche da un punto di vista linguistico, non vengono più utilizzati termini come menomazione o
handicap (ritenuti lesivi per la dignità della persona a causa di una loro connotazione negativa) ma
termini più corretti e condivisibili. Si tratta così, di una sollecitazione, ad accompagnare la persona
con disabilità, in un processo di autodeterminazione: in qui essa stessa si pone, quale soggetto
attivo, che prende posizione di fronte alla realtà e che esprime i suoi desideri, aspettative,
intenzioni personali e ambientali. E questo lo si può fare solo se società e scuola raggiungono
questo scopo, attraverso l’ascolto, la conoscenza della storia individuale e il dialogo con la persona
con disabilità.

La famiglia delle classificazioni della WHO


L’ICF è uno strumento innovativo in quanto è lo standard internazionale per misurare e classificare
sia la condizione di salute sia la condizione di disabilità. Non è una classificazione della persona
ma delle sue condizioni di salute. È stata condivisa da 191 paesi, tra cui l’Italia: che proprio nel
1998 ad Udine, si è inaugurata la 1° “census conference” per l’attività di revisione e validazione
dell’ICF, richiesta dalla WHO. L’ICF entra così nella famiglia delle classificazioni internazionali
della WHO e rappresenta un modello di riferimento per codificare un’ampia gamma di
informazioni relative alla salute (diagnosi, funzionamento, disabilità) da fornire, quando
necessario, ai servizi sanitari.
Insieme all’ICF, viene utilizzato l’ “International Statistical Classification Of Diseas and Related
Health Problems-ICD” (oggi giunta alla versione 11) mediante la quale vengono classificate le
condizioni di salute in quanto tali (malattie, disturbi, lesioni). Le info che si ricavano, forniscono la
diagnosi delle malattie, disturbi ed altri stati di salute. Queste info vengono arricchite da quelle
dell’ICF relative al funzionamento umano. Quindi l’ICF non è più la classificazione delle
conseguenze delle malattie, bensì una classificazione delle conseguenze della salute.

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Il contributo dell’ICF al processo di inclusione degli allievi con disabilità è una classifica non
delle persone, ma delle caratteristiche della salute delle persone (all’interno del loro contesto di
vita personale e all’impatto ambientale, che ne esce). Anche la scuola è chiamata a confrontarsi,
con prudenza, con questo nuovo strumento; anche rispetto al contributo che può offrire in fase
progettuale per l’elaborazione del “portfolio” delle competenze individuali dell’allievo con
disabilità. Infatti, le 2 parti in cui si articola l’ICF:
1. Funzionamento e disabilità
2. Fattori contestuali
Possono rappresentare il quadro generale, entro cui organizzare, la struttura del porfolio; tenendo
conto delle:
 Funzioni e strutture corporee
 Attività e partecipazione
 Fattori contestuali
Così da poter costruire un quadro iniziale del porfolio relativo hai dati e alle informazioni
sulla “situazione” complessiva dell’allievo disabile (rilevando anche il livello determinato dalla
menomazione, una limitazione delle sue capacità e funzioni, con massima PRIVACY.
L’uso congiunto di ICD-11 e ICF  permette di avere a disposizione un quadro più completo ed
organico della salute della persona; pertanto sono complementari. Gli scopi dell’ICF, così
sintetizzati dalla WHO, sono:
 Fornire una base scientifica per la comprensione e lo studio della salute;
 Stabilire un linguaggio comune per la descrizione della salute e delle condizioni ad esse
correlate (per migliorare la comunicazione fra i diversi operatori sanitari, ricercatori, politici
ecc);
 Rendere possibile il confronto tra dati raccolti -in paesi, discipline sanitarie, servizi, periodi-
diversi.
 Fornire uno schema di codifica sistematico per i sistemi informativi sanitari.
Sono state fatte 3 versioni dell’ICF attualmente a disposizione. Descrivono la salute e gli stati ad
essa correlati con un linguaggio standard consentendo sia di comprendere lo stato di salute nella
sua interazione con l’ambiente, sia di raccogliere dati su base scientifica, affidabili e confrontabili
 da utilizzare nei sistemi informativi sanitari e nei vari contesti interessati all’inclusione, tra cui la
scuola. Vale precisare che la WHO ne vuole utilizzare solo una di classificazione, ma per
questioni di completezza e chiarezza, verranno presentate tutte 3 le versioni: in quanto ciascuna è
stata in qualche modo propedeutica all’altra.

I concetti contenuti nell’ICF (2001) sono stati poi aggiornati nella 2° versione (2007) ICF-CY
“Children and Youth”: che ha permesso un’analisi puntuale riferita allo stato di salute dei bambini
e degli adolescenti. Dopo di che, abbiamo la versione unificata dell’ICF del 2017.

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La 1° versione dell’ICF
La 1° versione, avuta nel 2001 l’ICF fornisce un linguaggio standard e unificato, per descrivere
la salute e gli stati ad essa correlati. La sua struttura concettuale permette di raccogliere le info
sulla persona, suddividendole in “domini della salute” (apprendimento, memoria, vista, udito
ecc.) e “domini ad essa correlati” (istruzione, interazioni sociali). I domini vengono descritti
attraverso 3 livelli di osservazione:
 Livello del corpo (menomazioni di funzioni o strutture corporee);
 Livello della persona (attività= ovvero livello personale e partecipazione= ovvero livello
sociale);
 Livello dell’ambiente (fattori che agiscono come barriere o come facilitatori).
Le info raccolte sono suddivise in 2 parti:
1. Funzionamento e disabilità: funzioni corporee e strutture corporee; attività e
partecipazione.
2. Fattori contestuali: fattori ambientali e fattori personali.
I fattori ambientali esercitano una forte influenza su tutte le componenti del funzionamento
umano e della disabilità. Essi sono organizzati secondo un ordine che va dall’ambiente più
ristretto e vicino alla persona (famiglia) a quello più ampio (ambiente scolastico, ambiente
riabilitativo, ricreativo ecc.). I fattori personali invece non sono classificati dall’ICF a causa della
variabilità sociale e culturale ad essi associata (ibid). Essi comprendono infatti: sesso,
provenienza culturale, forma fisica, stile di vita, abitudini, educazione ricevuta, capacità di
adattamento, istruzione, gli eventi della vita passata e attuale (esperienza) ecc. PAG 40 TABELLA.
Ciascuna delle 4 componenti è contrassegnata da una lettera dell’alfabeto:
 B= body (CORPO);
 S= structure (STRUTTURA);
 D= domain (DOMINIO);
 E= environment (AMBIENTE).
Ed è descritta in appositi capitoli nei quali sono elencate le categorie con codici alfanumerici. Le
categorie (sono in tot. 1400) elencate nei vari capitoli. Descrivono aspetti che concorrono al
funzionamento umano, con un linguaggio comune e standardizzato, universalmente valido che
caratterizza la nuova impostazione concettuale finalizzata ad un approccio globale della persona.
Alcune categorie si prestano ad osservare e valutare il funzionamento dell’allievo con disabilità
a scuola.

I qualificatori gli stati di salute e gli stati ad essa correlati di un individuo, possono essere
rilevati e registrati, selezionando il codice o i codici di categoria appropriati, completato dai
qualificatori ovvero dei codici numerici che specificano l’estensione o la gravità del

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funzionamento o della disabilità in una determinata categoria, o il grado in cui un fattore
ambientale rappresenta un facilitatore o una barriera. Senza i qualificatori, i codici non hanno
alcun significato. I qualificatori sono organizzati in una scala di misura che va dal 0 a 4 che spiega
l’estensione o la gravità del problema che l’allievo presenta nella componente di riferimento.
TABELLA PAG 43.
In riferimento all’uso dei qualificatori per la componente attività e partecipazione,vutilizza
qualificatori quale:
1. Capacità: consente di descrivere l’abilità della persona in età evolutiva nell’eseguire un
compito o un’azione in seguito ad una valutazione effettuata in un ambiente standard,
presso cui operano gli specialisti socio-sanitari. In sostanza, non riguarda l’ambiente
scolastico.
2. Performance: permette di descrivere ciò che fa una persona nel suo ambiente abituale
(scuola, casa ecc.) nella quale vive l’influenza dei fattori ambientali, che incidono sulla
qualità della performance stessa. Tabella pag 44 (matrice default).

Per quanto riguarda i fattori ambientali si fa riferimento ai qualificatori denominati


“facilitatori” e “barriere” che esercitano un’influenza positiva o negativa dell’ambiente sulla
persona, incidono sulla qualità del suo funzionamento. I facilitatori sono dei fattori che
includono aspetti come un ambiente fisico accessibile; la disponibilità di una tecnologia
d’assistenza; atteggiamenti positivi delle persone verso la disabilità e includono anche servizi,
sistemi e politiche che sono rivolti a incrementare il coinvolgimento di tutte le persone, con una
certa condizione di salute, in tutte le aree della vita. Le barriere sono dei fattori nell’ambiente di
una persona che includono aspetti come un ambiente fisico inaccessibile, la mancanza di
tecnologia d’assistenza e glia atteggiamenti negativi delle persone verso la disabilità e anche
servizi e sistemi inesistenti; ostacolano il coinvolgimento delle persone, con una certa condizione
di salute, in tutte le aree della vita.
Il funzionamento umano e la disabilità, dunque, sono intese come l’esito di una complessa
interazione tra il problema di salute dell’individuo e i fattori ambientali e personali, in un’ottica
dinamica.

La 2° versione dell’ICF: ICF-CY anno 2007


Ovvero “International classification of functioning, disability and health, children and youth-INF-
CY”. Una versione derivate dall’ICF 2001 ma con l’aggiunta della descrizione del funzionamento
umano, della disabilità e della salute di bambini e adolescente.
Dunque l’esigenza di redigere una classificazione della disabilità in età infantile e adolescenziale:
per dare risposte concrete ai diritti d’infanzia e adolescenza, in merito all’accesso ai servizi di
assistenza sanitaria, di istituzione e sociali attraverso un sistema classificatorio che tenesse
conto esclusivamente delle caratteristiche individuali (fisiche, socio-relazionali, emotive) dei
bambini e degli adolescenti. In particolare, è stato considerato che nei bambini e negli adolescenti
le manifestazioni di disabilità e le condizioni di salute, sono diverse per natura, intensità e impatto

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da quelle degli adulti e che i loro ambienti di vita subiscono modificazioni nel corso della loro
crescita. Quindi questa classificazione segue in maniera dettagliata, i cambiamenti associati allo
sviluppo e le diverse età. Diventa uno strumento in grado di riferirsi al funzionamento umano del
bambino e dell’adolescente, integrandone i diversi aspetti della crescita. Inoltre, sono state
aggiunte specifiche categorie con codici alfanumerici relativi alla cognizione e al linguaggio; al
gioco e al comportamento del bambino. In particolare, vengono messi in luce: aspetti relativi al
contesto della famiglia e delle figure adulte di riferimento; al ritardo evolutivo; alla
partecipazione in prospettiva sociale del funzionamento umano; ai contesti ambientali. Il
funzionamento del bambino, c’è da dire che, non può essere compreso se lo si osserva lontano
dal contesto familiare in quanto il funzionamento del bambino dipende infatti, dalle continue
interazioni con la famiglia e dalle influenze di quest’ultima sul bambino stesso. Anche il ritardo
evolutivo assume caratteristiche specifiche dell’età e subisce gli effetti fisici e psicologici
dell’ambiente. In riferimento alla partecipazione, il bambino a differenza dell’adulto, passa dal
gioco solitario al gioco sociale; alle relazioni con i coetanei a quelli più grandi per questo il ruolo
dell’ambiente familiare e delle altre persone che fanno parte dell’ambiente immediato è centrale
per capire la partecipazione, in particolare per la 1° infanzia. Sono determinanti, la natura della
complessità degli ambienti, per questa fascia di età. (guarda le categorie dell’ icf-cy in più; tab pag
47).
Importante è sottolineare il ruolo fondamentale del gioco : la classificazione del 2007 contribuisce
a mettere in luce come il gioco possa veicolare lo sviluppo dell’apprendimento e della
partecipazione degli allievi con disabilità, favorendo la cooperazione, comunicazione e interazione;
l’aiuto reciproco e riducendo il rischio dell’emarginazione e dell’esclusione.

La 3° versione dell’ICF: anno 2017


La WHO redige nel 2017 una nuova versione l’“Inetrnational Classification of Functioning,
Disabily Health” (ICF 2017). Una versione unificata e destinata tanto alla descrizione del
“funzionamento umano” degli adulti e quella dei bambini e degli adolescenti. L’Update and
revision comittee-URC ha provveduto all’aggiornamento stesso anche grazie all’apporto del
Reference Group (coautore della nuova versione dell’ICF). Il processo di aggiornamento dell’ICF si
è svolto lungo 2 diverse linee di attività:
 La realizzazione della “ICF foundation” ovvero la riunificazione con l’ICF-CY.
 Redazione di aggiornamenti annuali, approvati fino al 2016.
Permettendo così la collaborazione di tutti gli esperti nel mondo, rendendo il processo più
trasparente, attraverso l’accesso ad una piattaforma dedicata, sulla quale potersi confrontare
“PATTAFORMA WHO DI AGGIORNAMENTO INERNAZIONALE ICF”.
Questa versione, in alcuni casi riduce e/o accorpa le categorie (e anche sottocategorie) mentre in
altri casi le elimina o ne aggiunge alcune. Alcune di queste riguardano l’ambiente di vita della
scuola. Tra le categorie aggiunte, di interesse della scuola ci sono: produrre suoni significativi e
vita dell’istruzione.

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Il gioco e il multilinguismo nell’ICF 2017 viene descritto in una sola categoria “apprendere
attraverso l’interazione simbolica con gli oggetti” mentre nell’ICF-CY ci stava apprendere
attraverso il gioco simbolico e apprendere attraverso il gioco di finzione. Questo perché appare
importante considerare l’attività ludica, nel suo complesso per cogliere l’interazione simbolica
tra il bambino e gli oggetti con cui gioca, nella sua globalità. Un’altra categoria importante risulta
essere quella dell’“apprendere un’altra lingua” in cui la competenza multilinguistica, in quanto
consente di comprendere messaggi orali, iniziare, sostenere e concludere conversazioni e leggere,
comprendere e redigere testi, a livelli diversi di padronanza in diverse lingue, a seconda delle
esigenze individuali.

Il manuale d’uso dell’ICF e i suggerimenti specifici per il mondo educativo


Sono state chiarite le modalità d’uso dell’ICF nei vari contesti di applicazione. Si tratta di un
manuale in grado di precisare le relazioni tra i dati e stabilisce un’interpretazione più condivisa
possibile. Viene precisato che, l’ICF consente di:
- Considerare la salute e il funzionamento umano nell’ambito di una interazione complessa con i
fattori ambientali e personali; analizzando le relazioni causali tra di essi;
- Definire gli obiettivi di apprendimento e sviluppo per un miglior funzionamento umano;
- Valutare gli esiti dei trattamenti abilitativi e riabilitativi;
- Attivare la comunicazione tra gli operatori coinvolti 8educatori, insegnanti, personale
sociosanitario);
- Pianificare i servizi (abilitativi, riabilitativi, educativi, scolastici).
Relativamente al settore scolastico, nel Manuale d’uso, l’educazione è considerata un’area di vita
composta da molte situazioni quotidiane: stare in classe, interagire con inseganti ecc. quindi
momenti di vita scolastica che implicano lo svolgimento della routine: sequenze specifiche di
compiti, attività individuali e collettivi. L’integrazione delle info sulle caratteristiche individuali e
sull’ambiente piò così fornire il fondamento per la definizione degli obiettivi di sviluppo e
apprendimento. è in questa prospettiva che l’ICF può essere impiegato nei contesti formativi
anche al fine di  ottenere informazioni sul rendimento e sui progressi acquisiti
nell’apprendimento dell’allievo con disabilità. Inoltre, permette di comprendere se i bisogni
dell’allievo richiedono cambiamenti nell’ambiente, per implementare la sua attività o la sua
partecipazione scolastica e sociale. Infine, l’ICF è modello utile per sviluppare indicatori in grado
di misurare la partecipazione dell’allievo ai vari processi in cui è coinvolto. È importante capire se
egli è attivamente impegnato in compiti, azioni e routine tipiche di una determinata età. E occorre
misurare anche la performance dell’allievo in relazione alle condizioni ambientali. Il manuale
sottolinea poi che la valutazione da parte dell’allievo circa il suo livello di partecipazione, può
differire notevolmente da quella degli insegnanti.

CAPITOLO 3: L’ICF NEL SISTEMA SCOLASTICO ITALIANO E NEI PROGETTI


DEL MIUR

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La normativa nazionale ha segnato fondamentali momenti di passaggio e trasformazione del
sistema di istruzione e formazione: in particolare, in tema di inclusione degli allievi con disabilità:
L.118/1971 a quella più recente, come ad esempio il D/lgs. 66/2017 e 96/2019. La scelta della
scuola italiana, deltronde è quella della “full inclusation” dove si ha un’elevata concezione
dell’istruzione ed elevata concezione della persona umana che ha trovato nell’educazione, il
fulcro dello sviluppo e della maturazione di tutti e di ciascun allievo. È proprio tenendo conto del
ruolo centrale ricoperto dalla scuola che si è fortemente sviluppato, nell’ambito di un percorso
normativo, il principio del DIRITTO ALLO STUDIO per gli allievi con DISABILITA’ e con bisogni
educativi speciali. Per la tutela del quale, la scuola stessa, è impegnata a promuovere e realizzare
il successo formativo. In tutti gli stati Parti, dovrebbero preoccuparsi per il fatto che, le persone con
disabilità, continuano a incontrare ostacoli nella loro partecipazione alla società ed essere oggetto
di violazioni dei loro diritti umani, in ogni parte del mondo. Devono impegnarsi a garantire il diritto
all’istruzione e all’apprendimento, lungo tutto l’arco della loro vita, e il pieno sviluppo di
autostima, dignità e potenziale individuale. Agendo sulla base di questi principi,
internazionalmente conosciuti, che si contribuisce allo sviluppo della personalità e della creatività
delle persone con disabilità.
Viene così, ulteriormente affermata, la nuova concezione della disabilità non è una
caratteristica della persona, ma piuttosto una complessa interazione di condizioni, molte delle
quali sono create dall’ambiente sociale, influenzando il funzionamento umano: che mette in luce
l’importanza dell’interazione fra le caratteristiche della persona, in una determinata condizione di
salute, e l’ambiente circostante. La disabilità viene definita, così “condizione di salute in un
ambiente sfavorevole”. Per questo l’ICF integra i 2 modelli (medico e sociale) utilizzando
l’approccio biopsicosociale che fornisce una “prospettiva coerente delle diverse dimensioni della
salute a livello biologico, individuale e sociale”. Secondo questo approccio: la partecipazione alle
attività sociali di una persona con disabilità è determinata dalla sua condizione di salute in
relazione alle condizioni ambientali, sociali, culturali e personali in cui vive.
In Italia, è stato recepito l’approccio dell’ICF: e sono state redatte diverse indicazioni ministeriali e
normative che contemplano questo approccio; alcuni esempi:
 2008 “Intesa Stato-Regioni del 2008 per l’accoglienza scolastica e la presa in carico degli
alunni con disabilità”. Si stabiliscono le modalità e criteri per il coordinamento di tutti gli
interventi delle pubbliche istituzioni coinvolte nel processo di integrazione che si impegnano a
realizzare gli interventi, anche attraverso modalità di valutazione e monitoraggio.
 2009 MIUR “Linee di guida per l’integrazione scolastica degli allievi con disabilità”. Le linee
guida hanno l’idea, sempre più, di prendere in considerazione, nelle prassi scolastiche, i
molteplici aspetti che contraddistinguono ciascun allievo con disabilità, correlandoli
all’ambiente scolastico, attraverso l’impiego dell’ICF che permette di focalizzare l’attenzione
su quei fattori ambientali che possono essere qualificati come “barriere” (se ostacolano
l’attività e la partecipazione dell’allievo” o come “facilitatori” se favoriscono quest’ultime.
Sulla base dell’ICF si elabora la diagnosi funzionale; così che le linee guida, nel 2009, colto
la necessità di far conoscere al personale scolastico (insegnanti, dirigenti) il modello
biopsicosociale che prevedere appunto, la disabilità degli allievi interconnessa ai fattori
ambientali. ICF: la capacità di questo classificatore sta proprio nel descrivere tanto le
“capacità” possedute quanto le “performances” possibili, intervenendo sui fattori contestuali.

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In questo quadro, le linee guida, hanno messo in luce anche l’importanza di rilevare,
monitorare e valutare il grado di inclusività della scuola: che è dato dalla realizzazione di un
sistema che mette in relazione enti locali (es. comuni, regione, uffici scolastici) servizi (es.
cooperative, associazioni) e istituzioni scolastiche favorendo così la costruzione di un
curricolo inclusivo per la piena attività e partecipazione di tutti e di ciascuno. Si parla di
“governance inclusiva” che si pone come un processo sempre aperto che non deve solo
applicare la norma, ma coordinarsi, mettere insieme consapevolmente le risorse, per
sviluppare e migliorare l’offerta formativa, di tipo inclusiva in vista della life learning education.
 2011 MIUR Decreto ministeriale 30/09 “Criteri e modalità per lo svolgimento dei corsi di
formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno”. Ha
disciplinato la specializzazione per il sostegno didattico agli allievi con disabilità e ha delineato
il profilo del docente specializzato per il sostegno. Quest’ultimo, che è assegnato alla classe
frequentata da un allievo con disabilità, partecipa alla programmazione educativa e didattica e
alla elaborazione della verifica delle attività di competenza dei consigli di interclasse, consigli di
classe e collegi dei docenti. Deve avere competenze di osservazione e valutazione del
funzionamento umano secondo l’approccio dell’ICF e dell’OMS ed un profilo “specializzato”:
PROFILO DELL’INSEGNANTE SPECIALIZZATO: deve avere competenze teoriche e pratiche nel
campo della pedagogia speciale e nel campo della didattica speciale; conoscenze psico-
pedagogiche sulle tipologie di disabilità; competenze nell’ambito della pedagogia della relazione
d’aiuto e interazione e relazione educativa con gli alunni della classe promuovendo relazioni pro-
sociali fra gli stessi e fra questi e la comunità scolastica; competenze educative nella cooperazione
con la famiglia, conoscenze in ambito giuridico-normativo sull’integrazione scolastica e sui diritti
umani; competenze di comunicazione e collaborazione con colleghi ecc.
 2015 MIUR “La formazione in servizio dei docenti specializzati sul sostegno sui temi della
disabilità, per la promozione di figure di coordinamento. Realizzazione di specifici percorsi
formativi a livello territoriale”. Con questa nota, è stata introdotta una nuova figura quella
del “referente/coordinatore per l’inclusione” che ha come compito il coordinamento delle
attività progettuali di istituto, con il fine di promuovere la piena integrazione dell’allievo nel
contesto della classe e della scuola. Tale figura ha reso opportuno prevedere lo sviluppo di
competenze didattiche ed organizzative in grado di garantire la realizzazione dei PI “Piani del
l’Inclusione (già PAI: “piano annuale per l’inclusione) si riferisce alla comunità degli allievi e
viene redatto al termine di ogni anno scolastico (entro il mese di Giugno) dal Collegio dei
docenti su proposta del GLI (ovvero il gruppo di lavoro per l’inclusione che si occupa delle
problematiche relative a tutti gli allievi con BES). Questo referente/coordinatore viene scelto
dal dirigente scolastico tra i docenti specializzati per il sostegno in servizio nella scuola, che ha
lo scopo di favorire l’inclusione a scuola; deve avere competenze su 4 aree specifiche: del
contesto e comunicazione, metodologico-didattica, documentale (ICF) e specialistica.
 2016 MIUR Decreto ministeriale n.95 del 23/02 “Prove di esami e programmi del concorso
per titoli ed esami per l’accesso ai ruoli del personale docente della scuola dell’infanzia,
primaria, secondaria di 1° e 2° grado, nonché del personale docente per il sostegno agli
alunni con disabilità”. Questo decreto esige che il candidato dia prova di conoscere il modello
ICF dell’OMS e di saper osservare e valutare il funzionamento umano secondo tale approccio.
Questo decreto non fa dunque, unicamente accenno, all’impiego dell’ICF per l’elaborazione dei
“Piani Educativi Individualizzati” ovvero Pei (rivolti agli allievi con disabilità; ma anche la

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redazione dei Piani Didattici Personalizzati ovvero PDP rivolti agli allievi con bisogni
educativi speciali (es. allievi con svantaggi economici, linguistici e culturali; disturbi evolutivi
specifici).
 2017 Decreto legislativo 13 Aprile n.66 “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica
degli studenti con disabilità, a norma dell’articolo 1”. Legifera sull’inclusione come garanzia
della “migliore qualità della vita” per la quale s’impegnano “tutte le componenti della
comunità scolastica che concorrono ad assicurare il successo formativo”. All’articolo 5 comma
2b  il decreto disciplina la redazione, dopo l’accertamento della disabilità, di un “PROFILO DI
FUNZIONAMENTO” secondo i criteri del modello bio-psico-sociale adottato dall’OMS, ai fini
della formulazione del progetto individuale, nonché per la predisposizione del PEI.
 2019 Decreto Legislativo 707/08 2019, n.96 “Disposizioni integrative e correttive al decreto
legislativo 13 aprile 2017, n.66 “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli
studenti con disabilità”. Il riferimento all’ICF è presente in riferimento alla composizione delle
commissioni mediche di cui è compito l’accertamento della condizione di disabilità in età
evolutiva per l’inclusione scolastica, al profilo di funzionamento, al PEI e all’emanazione di
Linee guida per la redazione della certificazione di disabilità in età evolutiva, ai fini
dell’inclusione scolastica e del profilo di funzionamento.
Il profilo di funzionamento è il documento propedeutico e necessario alla predisposizione del
piano educativo individualizzato (PEI) e del progetto individuale e definisce le competenze
professionali e il tipo di misure di sostegno utili per l’inclusione scolastica; è inoltre redatto con la
collaborazione dei genitori o di chi esercita la responsabilità genitoriale con la partecipazione di un
docente specializzato sul sostegno didattico dell’istituzione scolastica.

Il PEI “Piano Educativo Individualizzato” è elaborato e approvato dal Gruppo di Lavoro


Operativo per l’inclusione; tiene conto dell’accertamento della condizione di disabilità in età
evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica e del profilo di funzionamento, avendo riguardo
specialmente delle barriere e facilitatori, secondo la prospettiva biopsicosociale alla base della
classificazione ICF dell’OMS.

Capitolo 4: IL PROFILO DI FUNZIONAMENTO SU BASE ICF


Le innovazioni dei decreti 66/2017 e 96/2019: la diagnosi funzionale e il profilo dinamico
funzionale si evolvono nel profilo di funzionamento il passaggio dalla Diagnosi Funzionale (DF)
al profilo dinamico funzionale (PDF) al Piano Educativo Individualizzato (PEI) avrebbero dovuto
consentire una reale attuazione del processo di inclusione, mediante la suddivisione dei compiti e
delle diverse responsabilità e la scelta unitaria delle linee generali dell’intervento educativo e
l’individuazione di strategie metodologiche-didattiche, efficaci. Nella realtà, invece, è accaduto che
si sono sostituite logiche burocratiche che hanno avviato un trend sfavorevole all’inclusione e
hanno fatto sorgere diverse perplessità tra gli operatori stessi, sulla capacità di utilizzare in modo
realmente proficuo tali strumenti. Come noto, il DF e il PDF seguono un’impostazione “lineare”
da cui deriva un’inadeguatezza della capacità di riflessione sull’interazione tra le caratteristiche
dell’allievo e l’ambiente in cui si trova ad agire e vivere quindi, le carenze e le capacità

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individuali e sociali non venivano poste in relazione alcuna con i fattori ambientali presenti nel
contesto di vita. Per gli inseganti, inoltre, non erano previste sollecitazioni nei confronti dei fattori
ambientali in grado di facilitare al massimo la partecipazione e l’apprendimento dell’allievo.
DF e PDF strumenti che danno una visione “individualistica della disabilità”: intesa come un
“tragico problema” solo personale (che coinvolge solo il diretto interessato). Una visione che non
ha fornito le necessarie indicazioni sulle iniziative da avviare, le priorità da affrontare per ridurre
gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione degli allievi alle esperienze di apprendimento.
A seguito dell’emanazione del decreto legislativo 66 del 2017 “Norme per la promozione
dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità”  l’espressione “profilo di funzionamento”,
che ricomprende la DF e il PDF si è diffusa in ambito scolastico in un clima di attesa anche di
incertezza rispetto alla messa in pratica, delle nuove procedure di certificazione e di
documentazione per migliorare i livelli di inclusione scolastica, e in particolare per redigere, il PEI.
Lo stesso clima permane con l’emanazione del successivo decreto legislativo 96/2019. Dunque,
appare ovvio, come l’ICF è potenziale nel contribuire a radicare nelle comunità educative non solo
il senso di rispetto nei confronti di tutte le diversità, ma anche di offrire elementi utili alal
conoscenza e comprensione della reale situazione della persona in relazione ai suoi ambiti di vita,
in un dialogo costruttivo “tra i soggetti coinvolti nel processo di integrazione”. L’ICF pone grande
attenzione alla disabilità dell’allievo non come un attributo individuale ma da concepire in una
dimensione processuale, dinamica e interattiva con i fattori ambientali. Il questo quadro, la
costruzione del Profilo di funzionamento non poteva che essere pensata secondo una visione
poliedrica, multifattoriale e proattiva che permette di offrire alla scuola indicazioni utili per una
programmazione didattica flessibile, individualizzata, competente e realmente inclusiva.
Il profilo di funzionamento come sintesi significativa di DF e PDF il modello biopsicosociale
diviene il riferimento per la promozione dell’inclusione scolastica per l’elaborazione del Profilo di
funzionamento: quale nucleo portante del PEI. Il decreto legislativo 66/2017 con la successiva
integrazione del 96/2019 ha affrontato il ripensamento di 2 strumenti (DF e PDF) che vanno
ricompresi nel profilo di funzionamento. Quindi vengono rintegrati nel Profilo di funzionamento.
Più precisamente afferma che il PROFILO DI FUNZIONAMENTO: è da redigere successivamente
all’accertamento della condizione di disabilità in età evolutiva ai fini dell’inclusione scolastica e
secondo i criteri del modello biopsicosociale (ICF) adottata dall’OMS. L’ICF diventa il modello base
per la redazione del profilo di funzionamento. Sono presenti nei citati decreto legge le apposite
linee guida contenenti i criteri, i contenuti e le modalità di redazione del profilo stesso. Queste
linee vengono elaborare da un Gruppo di Lavoro (GLI) a cui partecipano rappresentanti del
ministero della salute, del M. dell’istruzione e università e ricerca. Ovviamente il profilo di
funzionamento non è la semplice sommatoria di DF e PDF ma viene messo in luce il cambiamento
di prospettiva quando si parla di “funzionamento umano, disabilità e salute” (già spiegati prima).
Quindi non s’intende “incorporare” i 2 strumenti ma inserire i 2 strumenti in un nuovo sistema
interpretativo quale quello del “Funzionamento Umano”.
Come la scuola partecipa all’elaborazione del profilo di funzionamento secondo i 2 decreti, il
profilo di funzionamento è redatto da un’unità di valutazione multidisciplinare composta da: uno
specialista in neuropsichiatria infantile o un medico specialista; almeno 2 delle seguenti Figure: un
esercente di professione sanitaria nell’area della riabilitazione; uno psicologo dell’età evolutiva; un

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assistente sociale o un pedagogista. Il profilo è inoltre, redatto con la collaborazione dei genitori
o di chi esercita la responsabilità genitoriale della bambina/o con la partecipazione del docente
specializzato sul sostegno didattico. Il profilo di funzionamento è prevista anche la collaborazione
dei genitori dell’allievo con disabilità e la partecipazione della scuola. Si arriva così ad una
valutazione cooperativa capace di far emergere una lettura multifattoriale del “funzionamento
umano” anche attraverso l’incidenza dei fattori ambientali che, in relazione a ciascun allievo, sono
quantificabili e qualificabili, come veri e propri “modulatori della disabilità”. Quindi nel profilo, i
fattori ambientali vengono individuati e descritti in modo qualitativo e quantitativo:
- Sia rispetto a “quali” barriere sono presenti nell’ambiente;
- Sia rispetto a “quanto” esse ostacolano il processo di inclusione della persona; fornendo nello
stesso tempo, l’indicazione delle barriere che hanno una maggiore incidenza negativa su tale
processo.

L’ ICF oltre alle barriere, focalizza l’attenzione sui fattori ambientali che agiscono da facilitatori
(relazionali, strutturali, di comunicazione ecc.) e che, solo un impegno collettivo, può contribuire a
consolidare e crearne di nuovi da utilizzare nell’ambito della “zona di sviluppo prossimale”
dell’allievo zona entro cui promuovere esperienze di apprendimento e di partecipazione tali da
poter accrescere l’autonomia, la socializzazione, relazione e comunicazione.

Di seguito, si ragiona sulle risorse professionali e culturali che consentono alla scuola di “lavorare
bene” in vista dell’elaborazione del Profilo di funzionamento. Un profilo di funzionamento su base
ICF e il correlato piano educativo individualizzato (PEI) sono importanti quanto la partecipazione
autorevole e qualificata della scuola; indubbiamente fondamentale, in quanto contribuisce alla
valutazione complessiva delle potenzialità dell’allievo considerate nell’interazione con
l’ambiente scolastico. Questa intesa di cose promuove la crescita della persona riducendo gli
effetti della disabilità, mediante la rimozione delle barriere, materiali e immateriali, presenti
nell’ambiente circostante ed innalzando la qualità di vita con l’impiego di opportuni facilitatori.
È fondamentale, inoltre che, il docente specializzato, deve avere una conoscenza adeguata dell’ICF
acquisita attraverso apposita formazione, che gli consentirà di assumere il ruolo nell’unità di
valutazione. Nel momento in cui, l’unità di valutazione acquisisce le info provenienti da tutti i
diversi ambienti di vita dell’allievo può procedere all’elaborazione del Profilo di
funzionamento da cui deriva il PEI: progettato in relazione ai potenziali dell’allievo e alle
priorità educative, didattiche, organizzative in grado di trasformarli in abilità e competenze.

A tale scopo, concorre anche il Gruppo di Lavoro per l’Inclusione (GLI) in cui sono presenti sia il
dirigente scolastico che lo presiede sia i docenti di sostegno i quali collaborano nell’effettuare
l’analisi delle criticità e dei punti di forza degli interventi per l’inclusione scolastica. Loro rilevano i
bisogni educativi speciali presenti nella scuola; raccogliere e documentare gli interventi didattico-
educativi; fornire consulenza e supporto ai colleghi sulle strategie/metodologie di gestione delle
classi; rilevare, monitorare e valutare il livello di inclusività della scuola e elaborano una proposta
di Piano per l’inclusione riferito a tutti gli allievi con bisogni educativi speciali (piano che dovrà

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essere approvato dal collegio dei docenti). Il Piano per l’Inclusione è predisposto nell’ambito
della definizione del Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF) e definisce le modalità per
l’utilizzo coordinato delle risorse, compreso l’utilizzo complessivo delle misure di sostegno sulla
base dei singoli PEI di ogni bambina/o: per il superamento delle barriere e l’individuazione dei
facilitatori del contesto di riferimento nonché per progettare e programmare gli interventi di e
miglioramento della qualità dell’inclusione scolastica (66/2017 e 96/2019).
La verifica del percorso svolto dalla scuola, in merito all’efficacia dei processi inclusivi, e la
conseguente autovalutazione, attraverso il “Rapporto di autovalutazione” (RAV)  consentirà di
individuare le priorità di azione e di pianificare il miglioramento con il “Piano di Miglioramento”
(PdM) al fine di definire l’offerta formativa con il successivo PTOF.
GIT: il D.leg.vo 96/2019 ha precisato che il il GIT “Gruppo per l’Inclusione Territoriale” è costituito
per ciascun ambito territoriale provinciale, ovvero a livello delle città metropolitane. Agisce in
coordinamento con l’ufficio scolastico regionale, supporta le istituzioni scolastiche nella
definizione dei PEI secondo la prospettiva bio-psico-sociale alla base della classificazione ICF. E’
composto da personale docente esperto nell’ambito dell’inclusione.
GLI: ovvero “Gruppo di Lavoro per l’Inclusione” risulta fondante affinchè il collegio docenti possa
approvare un Piano per l’Inclusione che non sia un ulteriore adempimento burocratico, bensì uno
strumento utile ad accrescere la consapevolezza dell’intera comunità educante sulla centralità dei
processi inclusivi in relazione alla qualità dei risultati educativi. Il Piano per l’inclusione è
predisposto nell’ambito della definizione del (PTOF) e definisce le modalità per l’utilizzo
coordinato delle risorse.

Quali sono le azioni della scuola? Sono 3 le azioni principali che il dirigente scolastico o
docente specializzato:
1. Azione propedeutica: Promuovere la conoscenza, la diffusione e la condivisone dell’ICF a
scuola: è fondamentale far conoscere il modello bio-psico-sociale dell’ICF sul piano
culturale, ai fini dell’inclusione degli allievi con disabilità, attraverso organizzati momenti di
formazione rivolti ai docenti della propria istituzione scolastica. Tale modello sarà dunque,
presentato attraverso la sua struttura generale, la sua articolazione in Parti e Capitoli, e la
conoscenza delle categorie Alfanumeriche di interesse della scuola.
2. Azione propedeutica: Impiegare Code e strumenti di osservazione su base ICF: individuare
le categorie alfanumeriche di interesse della scuola, insieme agli insegnanti, per costruire
appositi Code set su base ICF composti dalle categorie selezionate in quanto ritenute utili
per osservare e valutare aspetti dell’allievo sia dal punto di vista di caratteristiche
individuali che dall’interazione di queste ultime con i fattori ambientali presenti nella classe
e nella scuola. Il Code set è una sorta di elenco di registrazione dell’insieme delle abilità
e delle potenzialità dell’allievo in interazione con l’ambiente, correlate alle categorie ICF in
esso presenti. Questo elenco nasce in quanto l’ICF è una categoria troppo ampia (1400
categorie alfanumeriche) mentre attraverso il code set si possono direttamente individuare
le categorie d’interesse della scuola; in questo modo si stimolerà negli insegnanti la
procedura di osservazione sistematica grazie al code set ICF costruiti mediante le
categorie selezionate: A) attività B) partecipazione C) fattori ambientali. Dai code set

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derivano apposite Check-list di osservazione  redatte con linguaggio scolastico da
ricondurre poi al linguaggio ICF delle categorie selezionate. Le rilevazioni delle info tratte
dalle check-list costituiscono un proficuo apporto per la redazione del Profilo di
Funzionamento: in quanto permettono di conoscere punti di forza e criticità in merito alla
performance dell’allievo rispetto alla sua attività e al suo grado di partecipazione a scuola.
Sono elementi conoscitivi da condividere con la famiglia e con gli altri operatori che si
occupano della presa in carico dell’allievo.
3. Azione propedeutica: Ottimizzare le risorse tecnologiche per una piattaforma dedicata a
raccogliere le informazioni per il Profilo di funzionamento: riguarda l’ottimizzazione
dell’uso delle risorse per l’inclusione e include anche quelle tecnologie delle quali la scuola
dispone o dovrebbe disporre. Una di queste tecnologie, potrebbe essere la raccolta di info
presente in una piattaforma online interattiva che possa registrare le osservazioni
effettuate dagli insegnanti mediante le check-list correlate ai code set ICF. La piattaforma
garantisce anche la necessaria continuità comunicativa tra scuola e mondo socio-sanitario
in modo tale che le info possono essere aggiornate in tempo reale. A lungo termine, la
piattaforma consentirebbe di documentare con puntualità il percorso di vita dell’allievo che
cresce, facendo emergere così le sue abilità e competenze, sempre in relazione interattiva
con l’ambiente. È evidente come la tecnologia risulti un supporto indispensabile per
l’attivazione di una pratica comunicativa efficace tra scuola ed extrascuola incentrata sulla
condivisione, dialogo e cooperazione. Ovviamente è da tener presente il criterio
dell’usabilità: quanto un dispositivo tecnologico o un sito web possano essere compresi e
utilizzati efficacemente (quindi non solo accessibilità ma anche un’interazione efficace,
efficiente e soddisfacente).

Capitolo 5: L’ICF PER L’OSSERVAZIONE DELL’ALLIEVO CON DISABILITA’:


VERSO IL PROFILO DI FUNZIOANAMENTO
Code Set ICF e check-list di osservazione in questo capitolo si propongono le attività di
osservazione che la scuola può realizzare, in riferimento all’azione propedeutica 2 “Impiegare
code set e strumenti di osservazione su base ICF” per conoscere l’allievo nelle sue caratteristiche e
nell’interazione con l’ambiente al fine di trarne info da condividere per l’elaborazione del profilo
di funzionamento. Per scegliere tali attività osservative gli insegnanti usano i code set ICF e le
relative check list.
Come abbiamo già detto, non è possibile usare l’ICF per intero e quindi ci si avvale del code set che
permette di prendere in considerazione determinati elenchi di categorie pertinenti per i vari
contesti di applicazione, clinici, sanitari o educativi; contribuendo alla definizione del Profilo
stesso. I code set supportano la descrizione interdisciplinare e completa del funzionamento
aiutando i professionisti a tenere in considerazione tutti gli aspetti rilevanti del funzionamento in
ogni fase di valutazione (anche in altre aree). Nella pratica scolastica la conoscenza e l’impiego
dell’ICF sono indispensabili per predisporre code set che ne facilitano l’applicazione nell’ambito
educativo e interdisciplinare.
In questo capitolo e nel prossimo è presente un esempio di categorie tratte da “attività e
partecipazione” e da “fattori ambientali” finalizzate alla costruzione di specifici code-set. Così da
poter procedere all’osservazione, rilevazione e analisi dei dati descrittivi e quantitativi, relativi

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all’allievo con disabilità che sono influenzati da facilitatori e dalle barriere presenti nel suo
ambiente. Ciascuna categoria che è stata inserita nel code set, sarà declinata in una lista di
descrittori/domande ovvero la check list di osservazione dell’allievo. Questo strumento (su base
ICF) è molto diffuso nella scuola e quindi dagli insegnanti.

La costruzione del code set ICF: le categorie di Attività e Partecipazione


Considerato che il PEI è finalizzato a “realizzare un ambiente di apprendimento nelle dimensioni
della relazione, della socializzazione, della comunicazione, dell’interazione, dell’orientamento e
delle autonomie” la presente proposta ha assunto, come criterio nella costruzione del code
set le suddette dimensioni di sviluppo individuale. I significati di queste ultime sono stati poi
messi in relazione, ai significati degli assi di sviluppo del PDF (insieme al DF, ricompreso nel Profilo
di funzionamento). A partire dunque, dalla relazione semantica tra dimensioni e assi sono state
selezionate le categorie ICF che descrivono la relazione semantica stessa.
Il passo successivo poi, è quello di far corrispondere a ciascuna diade “dimensione-asse” uno
specifico code set ICF. Può succedere che lo stesso asse di sviluppo è allineato semanticamente a
più di una dimensione o che una sola dimensione si allinea a più assi. Un esempio è l’asse di
apprendimento: allineato alla totalità delle dimensioni (in quanto l’apprendimento è l’esito dello
sviluppo proficuo e globale di queste stesse).
In questo caso si presentano esempi di code set, relativi solo ad alcune diadi,c he bastano per
capire la procedura. Queste diadi sono:
 Dimensione della relazione-asse affettivo relazionale (asse comunicazionale);
 Dimensione della socializzazione-asse affettivo-relazionale;
 / della comunicazione-asse comunicazionale, asse linguistico, asse sensoriale e cognitivo;
 / dell’interazione-asse motorio prassico, asse cognitivo e dell’autonomia;
 / delle autonomia-asse dell’autonomia;
 Tutte le dimensioni-asse dell’apprendimento.
In questo quadro, l’insieme delle dimensioni (relazione, socializzazione, comunicazione,
interazione, orientamento e autonomie) unitamente agli assi del PDF hanno fatto da guida per
scegliere le categorie ICF che si correlano a ciascuna dimensione e a ciascun asse.
Questi sono esempi di code set inseriti in appositi schemi (1-7). Successivamente, sono presenti
l’insieme delle stesse categorie inserite nei singoli code set vengono poste in un unico code
set nel quale le categorie presenti in più schemi, sono inserite una sola volta. TABELLE DA PAG
98-104.

Dai code set singoli al code set unico che riepiloga le categorie di “Attività e
Partecipazione” gli schemi fino ad ora presentati (1-7) hanno lo scopo di rendere comprensibile
la modalità di costruzione dei code set ICF di “attività e partecipazione” in relazione alle singole
dimensioni e ai correlati assi di sviluppo di sviluppo del PDF. Tuttavia, è più utile avere una visione
unitaria del materiale presentato  quindi di un elenco unitario, ovvero di un “code set unico”: in
cui trovare raggruppate tutte le categorie ICF prese in considerazione nei singoli code set.
VANTAGGIO= avere a disposizione le categorie ICF di interesse della scuola con una immediata,
complessiva e chiara visione di queste stesse e non c’è il rischio di una ripetizione delle stesse

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categorie (ripetute nei vari schemi). Il code set unico permette così una fase di discussione, tra gli
insegnanti, su quante e quali categorie concentrare il proprio lavoro collaborativo. Dalla
discussione emergerà una maggior consapevolezza e confronto per passare, subito dopo dai
singoli code set alle singole check-list di osservazione.
Di seguito il Code Set Unico con le categorie ICF di “Attività e Partecipazione” ritenute utili alla
scuola: Guardare; Ascoltare; Altre percezioni sensoriali; Copiare; Imparare attraverso le azioni con
oggetti; Acquisire il linguaggio; Ripetere; Acquisire concetti; Acquisire informazioni; Imparare a
leggere; Imparare a scrivere ecc.

Dai code set ICF alle check-list di osservazione costruiti i code set, la procedura
prosegue con la declinazione di ciascuna categoria ICF in descrittori/domande, che gli insegnanti
possono modificare o integrare, per arrivare a comporre le check list di osservazione. Le check
list costruite (come si vedrà di seguito) consentiranno agli insegnanti di registrare (in base al
parametro della frequenza) le rilevazioni effettuate. Tale parametro è posto in corrispondenza ai
qualificatori ICF propri della scala di misura da 0 a 4. I valori dei qualificatori mettono in evidenza,
nelle check list, il livello di performance dell’allievo osservabile nell’ambiente scolastico. La
sequenza della procedura, fin qui descritta, è rappresentata nella seguente tabella 1. TAB PAG 109
È importante capire che, non sono i singoli descrittori/ domande riferite a ciascuna categoria a
determinare il livello di performance ma la loro sintesi significativa dalla quale scaturirà la
qualificazione della categoria stessa. L’importanza di tale lavoro (tutte informazioni sull’allievo
fornite dalla scuola) si riflette sulla successiva costruzione del PEI  che è volto a promuovere
l’apprendimento e la partecipazione di ciascun allievo, nel rispetto dei suoi bisogni, delle sue
caratteristiche in interazione con l’ambiente. Il PEI in tal modo conferisce senso alla presenza
dell’allievo con disabilità nella sua classe. A tutto ciò, si aggiunge il coinvolgimento della famiglia,
nella raccolta delle informazioni. Di seguito si presenta un esempio di tabella, che gli insegnanti
possono utilizzare. La compilazione collegiale delle tabelle costituirà  il materiale utile per il
docente specializzato nel sostegno didattico che parteciperà ai lavori dell’unità di valutazione
multidisciplinare per l’elaborazione del Profilo di funzionamento, di ciascun allievo con disabilità
nella scuola. In sede di unità di valutazione verrà fatta una sintesi dei descrittori delle categorie
“attività e partecipazione” per la loro qualificazione da 0 a 4. Questo materiale verrà poi, integrato
dalle informazioni relative all’ambiente scolastico. PAG 110 (riportare solo 1 esempio di tabella e
basta).

Capitolo 6: L’ICF PER L’OSSERVAZIONE DELL’INTERAZIONE ALLIEVO-


AMBIENTE
I code set ICF e le check list di osservazione: la rilevazione delle barriere e dei facilitatori le
attività di osservazione (tra allievo con disabilità e l’ambiente) completano l’azione propedeutica 2.
Anche in questo caso, gli insegnanti, possono avvalersi di code set ICF (una specifica selezione di
categorie riguardanti i fattori ambientali) che danno poi luogo a specifiche check list, utilizzate
dagli insegnanti (in quanto sono uno strumento fondate sull’ICF e usate a scuola, in quanto
consentono ai docenti di agire con maggior consapevolezza). In questo capitolo, viene fatto un
ESEMPIO su uno studio di categorie tratte dai “FATTORI AMBIENTALI” in modo da procedere

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all’osservazione, alla rilevazione e all’analisi di dati descrittivi e quantitativi relativi ai fattori  che
per quel determinato allievo agiscono da facilitatori e da barriere. Ciascuna categoria selezionata
e inserita nel code set sarà poi declinata in una lista di descrittori/domande all’interno di una
check list di osservazione. Ricordiamoci inoltre, che i fattori ambientali (che agiscono da
facilitatore o barriera) fanno parte dei “fattori contestuali” unitamente ai “fattori personali”.

La costruzione dei code set ICF: le categorie dei “Fattori Ambientali” si propone
un’esemplificazione della procedura di costruzione dei code-set che daranno luogo alle check-list
di osservazione sulla quale registrare, l’impatto determinato dai fattori ambientali, sulla
partecipazione e sull’apprendimento dell’allievo. Per procedere alla costruzione dei code-set, a
scuola si decide in primis quali sono gli ambiti da osservare (si propongono i seguenti):
 Didattico: tiene conto dei mediatori di apprendimento e delle strategie didattiche
impiegati in classe (strumenti tecnologici, giochi, gestione dei gruppi, strategie
metacognitive ecc.)
 Comunicativo-relazionale: attivazione di processi comunicativo-relazionali e affettivi in
classe (es. atteggiamenti degli insegnanti, compagni di classe, operatori sanitari ecc.)
 Socio-organizzativo: comprende invece, i servizi disponibili a scuola (es. orari degli
insegnanti; quantità di ore di sostegno; le attività promosse dalla scuola ai fini inclusivi)
 Strutturale: elementi fisici dell’aula e della scuola (es. livello sono, accessibilità degli spazi).
Per ciascun ambito, sono state selezionate le categorie ICF utili alla costruzione del code-set
(SCHEMA PAG 123).
Check-list di osservazione dell’interazione allievo-ambiente domande/descrittori vanno a
comporre check-list specifiche per l’osservazione dei fattori ambientali che caratterizzano gli
ambienti sopra descritti (didattico, strutturale ecc.) e sul modo con cui tali fattori incidono sulla
manifestazione delle potenzialità di ciascun allievo con disabilità. Anche in queste check-list, i
descrittori/domande di osservazione declinano le categorie finalizzate ad individuare, in questo
caso, i facilitatori e le barriere presenti nell’ambiente scolastico. Quello che emerge, è l’importanza
che gli insegnanti devono saper attribuire ai fattori ambientali (di cui fanno parte) per sviluppare
decisioni didattiche consapevoli per la realizzazione del PEI.
Soddisfare i bisogni delle persone con problemi di funzionamento umano è comunque una
responsabilità sociale: quindi l’attenzione ai fattori ambientali va estesa nella prospettiva della
“pianificazione universale”: promossa dalla convenzione sui Diritti delle persone con disabilità
richiede agli stati di progettare i loro prodotti, ambienti, programmi e servizi in modo da essere
utilizzabili da tutte le persone. L’ICF fornisce un modello per integrare le info sui fattori ambientali;
il funzionamento complessivo di una popolazione e info su sottopopolazioni specifiche con
determinati tipi di malattie o menomazioni. È utile per stimare il divario tra la situazione attuale e
quella desiderata.
Per quanto riguarda l’importanza di ciò che si osserva (ovvero il livello d’impatto del singolo
fattore ambientale- che sia barriera o facilitatore) sull’allievo l’ICF propone una scala di misura
composta da “qualificatori” ovvero gradazione di valori che va da 0 a 4: tab pag 125 impo.

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Di seguito vengono presentate le check-list di osservazione (tabelle pag 128-134) sono state
costruite per osservare i fattori ambientali che possono agire come barriere o facilitatori. I fattori
ambientali devono essere codificati dal punto di vista della persona della quale si sta
descrivendo la situazione (es. marciapiedi senza una pavimentazione in rilievo possono essere
codificati come facilitatori per una persona a sedie a rotelle ma, ma come una barriera per un non
vedente). La sequenza della procedura adottata per la costruzione delle check-list è questa:
 Considerare il singolo ambito;
 Scegliere le categorie ICF che si correlano all’ambito, per costruire il code-set;
 Declinare ciascuna categoria in descrittori/domande di osservazione per costruire poi la check
list di osservazione;
 Rilevare e registrare le barriere e i facilitatori osservati in riferimento anche al loro impatto
sulla performance (basata sull’intensità) del singolo allievo attraverso la scala di misura o a 4.
Quindi possiamo indicare quanto ciascun descrittore ostacola oppure facilita  registrando
l’impatto che ha sull’attività e la partecipazione dell’allievo. Così è più facile individuare le
barriere con maggior urgenza e rimuoverle, per introdurre più facilmente i facilitatori
tempestivamente.
Il caso di uno stesso fattore ambientale che agisce sia come facilitatore sia come barriera ad
esempio un farmaco che migliora alcuni sintomi ma causa effetti avversi; una mamma che fornisce
troppo sostegno al bambino impedendo di fargli sviluppare l’autonomia ecc.). l’insegnante potrà
comunque registrarlo.
Resta il fatto che non sono i singoli descrittori ad essere un facilitatore o una barriera, ma è
l’insieme di tutti i descrittori di un fattore ambientale (indicato con la categoria ICF) a costituire
un facilitare o una barriera. Quindi la descrizione analitica di descrizioni/domande deve
trasformarsi in una sintesi complessiva dalla quale scaturirà la qualificazione da 0 a 4 del fattore
stesso. Inoltre è dedicato uno spazio specifico alla sintesi (ultima colonna a destra) che può essere
prolungata oltre lo spazio in esse disponibile, mediante un apposito allegato. Esempi tabelle pag
128-134).

L’importanza dei “Fattori Personali”  ai fini della redazione del Profilo di Funzionamento
vanno considerati anche i fattori personali (nell’ ICF sono rappresentati da: fattori contestuali=
fattori ambientali + fattori personali). Ma per la loro variabilità, unicità e irripetibilità non sono
stati classificati con categorie e codici. Per orientare gli insegnanti, si potrà proporre un elenco di
fattori personali (tab pag 135). La tabella è composta da 2 colonne dove a sinistra sono indicati i
dati generali dell’allievo da descrivere nella colonna di destra.

Capitolo 7: IL PEI NELLA PROSPETTIVA DELL’ICF


Dal profilo di funzionamento al PEI come abbiamo già detto il Profilo di funzionamento,
redatto secondo i criteri del modello biopsicosociale dell’ICF rappresenta il documento
propedeutico al Piano Educativo Individualizzato (PEI). In questo capito non si tratta
dell’elaborazione del PEI, ma si vuole offrire un contributo agli insegnanti per collegare con
consapevolezza, la procedura già conosciuta per la stesura del PEI, alle info provenienti dal Profilo
di funzionamento, con l’attenzione ai fattori ambientali propria dell’ICF. questo collegamento si

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otterrà attraverso la progettazione educativo-didattica riferita alle aree di sviluppo (ovvero domini
nell’ICF). In tale ottica l’ICF è utile in contesti formativi poiché aiuta a superare gli approcci del
passato che descrivevano o etichettavano la disabilità e che possono aver condotto a segregazione
e discriminazione in ambito formativo. In questo quadro, i docenti elaborano il PEI  in grado di
incidere in modo decisivo sul successo formativo degli allievi con disabilità e sul loro processo di
sviluppo mettendo al centro i concetti di barriere e di facilitatori nell’organizzazione della didattica.
Si colloca in un’ottica dell’educazione inclusiva che pone a proprio fondamento la rimozione delle
barriere che ostacolano l’apprendimento e la partecipazione di tutti gli alunni alla vita scolastica.
L’elaborazione del PEI è determinante, per dare senso alla presenza degli allievi con disabilità e
quindi non può essere collocato nel curricolo di classe e di istituto. Il PEI dunque, si fonda,
secondo la normativa attuale, su una documentazione costituita dalla certificazione di disabilità e
dal Profilo di funzionamento, in modo tale da fornire alla scuola indicazioni essenziali e proattive,
per concretizzarne il senso e il significato. È un iter educativo ben pianificato che consente
all’allievo con disabilità di crescere nel rispetto dei suoi tempi di apprendimento e in
considerazione delle aspettative di progressivo sviluppo che la scuola si pone.

Alcuni concetti base progettare un PEI individualizzando la didattica per l’allievo con
disabilità significa: assumere le decisioni didattiche alla base della scelta delle strategie e delle
tecniche più efficaci per il raggiungimento degli obiettivi e dei traguardi fondamentali del
curricolo attraverso forme multiple di adattamento delle stesse. Lo scopo è di far raggiungere
all’allievo, i propri traguardi formativi, secondo le personali capacità e potenzialità (in un percorso
individualizzato, quindi ognuno diverso dall’altro).
Differenza tra i 2 principi della didattica:
- Personalizzazione  si fa riferimento alle strategie didattiche che possono favorire lo sviluppo
delle potenzialità individuali, attraverso obiettivi di apprendimento definiti per un determinato
allievo. Dunque, fa sì he ciascun allievo sviluppi il proprio talento, inteso appunto come
potenziale personale; in questo caso l’obiettivo è diverso per ciascun allievo.
- Individualizzazione si fa riferimento alla differenziazione delle strategie di insegnamento per
raggiungere gli obiettivi comuni alla classe. Dunque, fa sì che determinati traguardi, siano
raggiunti, da tutti gli allievi. In questo caso si garantisce a ciascuno il raggiungimento degli
stessi obiettivi del percorso formativo con differenti tempi, ritmi e modalità operative.
Questi 2 principi della didattica sono alla base del PEI da coniugare ai Principi (presentati nella
convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità), quali:
- Accomodamento ragionevole l’art. 2 indica le modifiche e gli adattamenti necessari per
assicurare, alle persone con disabilità, il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli
altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali
- Progettazione universale  costituisce di fatto una proposta culturale e sociale per tutte le
persone: disporre prodotti, ambienti, programmi e servizi rispondenti alle loro singole
esigenze.
Questi principi si sviluppano nell’Universal Design For Learning che ha sviluppato il “Design For
All” con lo scopo di facilitare per tutti le pari opportunità di partecipazione in ogni aspetto della
società. È importante inoltre, realizzare ambienti di apprendimento innovativi: ossia ambiente e

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spazi di apprendimento attrezzati con risorse tecnologiche innovative, capaci di integrare nella
didattica anche l’utilizzo della tecnologia.
Il PEI come strumento progettuale per l’inclusione (le innovazioni introdotte dai decreti legislativi

66/2017 e 96/2019) prima del decreto legislativo 66/2017, con le successive disposizioni
correttive del D.Lgs. 96/2019  per elaborare il PEI utilizzavano le info provenienti dalla diagnosi
funzionale e dal profilo dinamico funzionale dell’alunno. A seguito del 2° decreto, il PEI tiene conto
della certificazione di disabilità e del Profilo di funzionamento su base ICF che ricomprende sia la
diagnosi funzionale che il profilo dinamico funzionale. In termini di concretezza e di applicazione
didattica, il PEI:
- Individua gli obiettivi educativi e didattici, strumenti, strategie e modalità per realizzare un
ambiente di apprendimento nelle dimensioni della relazione, socializzazione e interazione,
orientamento, comunicazione e autonomie; per il soddisfacimento dei bisogni educativi
individuati.
- Chiarisce le modalità di sostegno didattico, compresa la proposta del numero di ore di
sostegno alla classe, le modalità di verifica, i criteri di valutazione, gli interventi di inclusione
svolti dai docenti e i progetti specifici, come: valutazione in relazione alla programmazione
individualizzata; interventi di assistenza igienica svolti dal personale ausiliario nell’ambito del
plesso scolastico.
- Definisce gli strumenti per l’effettivo svolgimento dei percorsi per le competenze trasversali e
per l’orientamento, assicurando la partecipazione dei soggetti coinvolti nel progetto di
inclusione.
- Indica le modalità di coordinamento degli interventi e la loro interazione con il Progetto
individuale.
- È redatto in via provvisoria entro giugno e in via definitiva, di norma, non oltre il mese di
ottobre.
- È redatto a partire dalla scuola dell’infanzia ed è sempre possibile un aggiornato, nel caso in cui
la persona ha nuove condizioni di funzionamento. Nel passaggio tra i gradi, gli insegnanti si
tengono in contatto e interloquiscono.
- È soggetto a verifiche periodiche nel corso dell’anno scolastico al fine di accertare il
raggiungimento degli obiettivi e apportare eventuali modifiche ed integrazioni.
È importante che il PEI non sia frutto del lavoro solitario dell’insegnante di sostegno, come
purtroppo accade spesso, in quanto può trasformarsi in uno strumento, se pur tecnicamente ben
fatto, di isolamento piuttosto che d’integrazione. Alla base di un processo di inclusione efficace, vi
è un PEI non solo ben fatto, ma soprattutto condiviso e collegato al curricolo di classe: in grado di
prevedere metodologie e didattiche alternative e flessibili e soddisfare sia i bisogni formativi
dell’allievo con disabilità sia quelli del gruppo di appartenenza (è importante che si attivano
apprendimenti insieme agli altri: solo in questo caso parliamo di inclusione/integrazione). È
indispensabile quindi che la programmazione delle attività sia realizzata da tutti i docenti
curricolari, i quali insieme all’insegnante per le attività di sostegno, definiscono gli obiettivi di
apprendimento per gli alunni con disabilità in correlazione con quelli previsti per l’intera classe.

Il PEI e la progettazione didattica per competenze la crescita e lo sviluppo psico-fisico


del bambino/a si accompagna all’acquisizione graduale delle competenze attraverso l’interazione
dinamica tra queste, il patrimonio genetico e gli effetti (positivi o negativi) provenienti

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dall’ambiente. Le competenze previste nel PEI orientano gli sforzi degli insegnanti per rendere
l’ambiente-scuola pronto a consentire l’interattività tra:
1. le componenti del funzionamento umano;
2. il problema di salute;
3. i fattoi ambientali e personali;
4. condividere tra tutti gli allievi della classe una serie di esperienze importanti per la loro crescita
(conoscenze, abilità e competenze da promuovere e sviluppare). In particolare, sono proprio le
competenze l’oggetto delle “scommesse della formazione”. Esse rappresentano la reale
finalità del curricolo in vista del successo formativo di ciascun allievo.
Per questo il PEI promuove lo sviluppo delle competenze collegato ad una visione costruttivista e
partecipativa dell’allievo/allievo disabile stesso.

Le competenze nella didattica: quali considerare? sono fondamentali da promuovere e


sviluppare le competenze che mirano e assicurano che le politiche di istruzione di ogni paese
tengano conto, delle competenze chiave per l’apprendimento permanente fondamentali per la
realizzazione personale e la salute, la cittadinanza attiva e responsabile e l’inclusione sociale. Sono
inoltre presenti nella raccomandazione sulle competenze-chiave del 2018, le 8 competenze
chiave, fondamentali per l’apprendimento permanente:
1. competenza alfabetica funzionale
2. / multilinguistica
3. / matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria
4. / digitale
5. / personale, sociale e capacità di imparare a imparare
6. / in materia di cittadinanza
7. /imprenditoriale
8. / in materia di consapevolezza ed espressione culturali
Quadro internazionale Tali competenze si sviluppano in una prospettiva di apprendimento
permanente e sono considerate tutte di pari importanza, in quanto ciascuna di esse contribuisce a
una vita fruttuosa nella società. Queste competenze possono essere applicate in contesti diversi e
in combinazioni diverse; si sovrappongono e sono interconnesse.
Quadro Italiano sono importanti gli apporti che provengono dalle Indicazioni nazionali per il
curricolo della scuola dell’infanzia e del 1° ciclo d’istruzione del 2012 e dalle “Linee guida per
l’istruzione tecnica e professionale del 2010”. In questi documenti il concetto di competenza fa
riferimento al ruolo di “Referenziale simbolico dominante” dove viene posta enfasi
sull’interdisciplinarità e sulla didattica laboratoriale e l’intreccio studio-lavoro. Con le indicazioni
nazionali, le competenze entrano nei meccanismi del sistema scolastico. La didattica per
competenze, nell’ambito del curricolo, si progetta secondo 3 livelli:
1. Livello degli obiettivi di apprendimento: ovvero il “profilo di uscita dello studente” che
descrive i risultati che questo raggiungerà nel lungo termine e le competenze che esso
acquisterà in riferimento sia alle discipline di insegnamento sia alla capacità di esercitare la
cittadinanza (obiettivo del sistema formativo ed educativo italiano declinato in 12
competenze simile ma non uguale a quello internazionale che ne ha 8).

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2. Livello dei traguardi di sviluppo delle competenze: ovvero i punti di arrivo a medio
termine da raggiungere alla conclusione della scuola dell’infanzia (aree di esperienza), della
scuola primaria (macroaree culturali) e secondaria di 1° grado (vere e proprie discipline). I
traguardi hanno un significato di promozione e controllo del processo di crescita.
3. Livello degli obiettivi di apprendimento: gli insegnanti declinano le competenze in termini
di prestazioni individuali, quindi, di obiettivi di apprendimento che sono definiti dagli
insegnanti delle singole classi e che nell’insieme compongono il curricolo di istituto.
Lo sviluppo delle competenze di vita della persona con disabilità, deve poter essere prese in
considerazione, dall’inizio dell’esperienza scolastica. quindi è importante facilitare questo
processo di apprendimento, attraverso interventi sistematici che portano l’individuo ad essere co-
artefice del proprio progetto di vita. Tutto ciò non avviene da improvvisazioni metodologiche ma
da un’accurata e sistematica azione progettuale incentrata sul modello delle competenze, in
quanto sono il perno del curricolo e di conseguenza sono rilevanti, tanto per la progettazione della
classe, quanto per il PEI. Da questo punto di vista, l’attività di orientamento per gli allievi con
disabilità è contestuale al PEI finalizzato allo sviluppo delle competenze, integrato a un progetto di
vita in cui l’allievo va pensato a medio lungo termine, come persona che cresce e che diventa
adulta.
Nel PEI inoltre sono definiti gli strumenti per un efficace svolgimento dell’alternanza scuola-
lavoro ora ridenominata “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”
assicurando così, la partecipazione a tale esperienza, degli allievi con disabilità. Questi percorsi
rappresentano una delle forme di apprendimento più significativo, nonché uno dei pilastri della
strategia “Europa 2020” per una crescita intelligente, sostenibile, inclusiva. È molto importante
che gli ambienti esterni alla scuola, al fine di facilitare lo studente con disabilità a prendere
coscienza di sé, in cui si realizzano i percorsi per le competenze siano adeguati in termini di:
 Capacità strutturali: spazi adeguati per consentire l’esercizio delle attività previste in
alternanza scuola lavoro.
 Capacità tecnologiche: disponibilità di attrezzature idonee per l’esercizio delle attività
previste, che consentono un’esperienza diretta del processo di lavoro in condizioni di
sicurezza.
 Capacità organizzative: adeguate competenze professionali per la realizzazione delle
attività.
L’elaborazione del PEI su base ICF  si tiene conto degli eventuali fattori “barriere” dell’ambiente
nei confronti dei quali promuovere azioni correttive e dei fattori “facilitatori” in grado di
sviluppare le dimensioni della relazione, socializzazione, comunicazione, interazione,
dell’orientamento e autonomie, nonché degli apprendimenti queste dimensioni si pongono in
continuità con i domini dell’ICF utili per la scuola che possono essere considerate vere e proprie
aree di sviluppo della persona:
1. Dimensione dell’orientamento e delle autonomie rimanda al dominio “compiti e
richieste generali”; al dominio “cura della propria persona”; al dominio “aree di vita
principali; al dominio “vita sociale, civile e di comunità”.
2. Dimensione della comunicazione rimanda al dominio “comunicazione” (cap. 3 ICF).

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3. Dimensione della relazione, interazione e socializzazione rimandano al dominio
“interazioni e relazioni interpersonali; al dominio “vita sociale, civile e di comunità”.
Mentre l’area di sviluppo dell’apprendimento non fa parte delle dimensioni ma è presente come
asse di sviluppo nel PDF, ricompreso nel Profilo di funzionamento. Rimanda comunque, al dominio
“apprendimento e applicazione delle conoscenze”. Il PEI si basa sul concetto che “dedurre
un’incapacità da un’impossibilità è un ragionamento sbagliato!”. Quindi diventa fondamentale,
creare le condizioni adeguate per realizzare un progetto didattico ed educativo  che riduce la
problematicità con cui l’allievo svolge determinate attività, aumentandone invece la
partecipazione intesa come funzionamento sociale rispetto all’esperienza personale e a livello
di performances. Il Pei su base ICF definisce gli obiettivi individualizzati o minimi rispetto alla
programmazione di classe, riferiti alle singole discipline o aree disciplinari o campi di esperienza
che concorrono allo sviluppo delle competenze. Di conseguenza, il PEI, è costituito da una parte
progettuale (relazione tra dimensioni e domini) e dall’area di apprendimento che contempla:
l’autonomia e orientamento; la comunicazione; socializzazione: dimensione cognitiva. In
riferimento agli obiettivi programmati, saranno indicati sia i fattori ambientali, barriere e
facilitatori che incidono sulle dimensioni- domini e sull’area di sviluppo, relativi a seguito
dell’osservazione in classe, sia alle metodologie e le strategie didattiche per il raggiungimento degli
obiettivi stessi, e le modalità di valutazione. Un ulteriore parte progettuale in cui sarà articolato il
PEI riguarderà le singole discipline o aree disciplinari/campi di esperienza. Per ogni campo di
esperienza, l’elaborazione della 2° parte, tiene conto della programmazione della classe o sezione.
La parte finale del PEI s’incentra sul progetto formativo per il percorso per le competenze
trasversali e l’orientamento. L’attenzione ai fattori ambientali (B. e F) è strategica non solo per
assumere le opportune decisioni didattiche, ma anche per indirizzare la politica culturale e
inclusiva della scuola. Il PEI così organizzato, è un documento utile a monitorare lo stato di
funzionamento e a calibrare e ri-calibrare gli interventi educativi e didattici. Il PEI mette in stretta
correlazione, didattica e valutazione in quanto lo scopo è indagare se ciascun allievo è stato
messo nelle condizioni di sviluppare il proprio potenziale “talento” e quindi se è stato predisposto
in un contesto privo di ostacoli e ricco di facilitatori. Quindi lo scopo è rimuovere sistematicamente
le barriere al fine di promuovere un miglioramento degli apprendimenti e del successo formativo.
Nel PEI la didattica e la valutazione rappresentano 2 facce della stessa medaglia. La valutazione,
infatti, tiene conto delle barriere eventualmente ancora presenti nell’ambiente che la scuola
non è riuscita a rimuovere o a ridurre e che hanno influenzato i risultati di apprendimento confluiti
nella valutazione. Per questo il PEI è soggetto a verifiche periodiche nel corso dell’anno scolastico.;
al fine di accertare il raggiungimento degli obiettivi nell’apprendimento.

1 La valutazione delle competenze degli allievi è un’operazione più complessa rispetto


alla valutazione degli apprendimenti. In quella per gli apprendimenti, vengono impiegate prove di
verifica strutturate e semi-strutturate; mentre per la valutazione delle competenze si fa ricorso a
 prove incentrate su situazioni-problema, compiti di realtà, compiti autentici da integrare con
osservazioni sistematiche e autobiografiche cognitive. Il limite: ignoriamo tutto il processo che
compie l’alunno per arrivare a dare prova della sua competenza. Per questo motivo, per verificare
il possesso di una competenza, è necessario far ricorso anche alle osservazioni sistematiche che
permettono all’insegnante, di rilevare il processo che compie l’alunno. Per realizzare queste
osservazioni sistematiche, gli insegnanti utilizzano strumenti griglie o protocolli strutturati, semi-

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strutturati o non strutturati, questionari e interviste. Tale osservazione si effettua tramite
“indicatori di competenza” ovvero aspetti specifici che caratterizzano la prestazione. ESEMPIO:
Indicatori di competenza utili per la valutazione
 AUTONOMIA: è capace di reperire da solo strumenti o materiali necessari e di usarli in
modo efficace.
 RELAZIONE: interagisce con i compagni, sa esprimere e infondere fiducia, sa creare un
clima propositivo.
Ai fini della valutazione delle competenze, anche le osservazioni sistematiche vanno integrate
dalle autobiografie cognitivo: si tratta di far raccontare allo stesso alunno quali sono stati gli
aspetti più interessanti per lui e perché; quali sono state le difficoltà che ha incontrato e in che
modo le abbia superate ecc. (mondo interiore esplicitato dall’alunno mediante la narrazione del
percorso cognitivo compiuto). Solo dopo aver completato la valutazione delle competenze
utilizzando l’insieme degli strumenti descritti, si potrà procedere alla loro certificazione mediante
gli appositi modelli ministeriali.
Quindi nel quadro concettuale dei domini ICF (attività e partecipazione) dove sono articolati in
categorie con codici alfanumerici, che sono poi da completare con i relativi qualificatori e anche
dal quadro relative alle info ottenute nel profilo di funzionamento, gli insegnanti procedono alla
definizione degli obiettivi individualizzati/personalizzati o minimi rispetto alla classe per l’allievo
con disabilità, correlati agli obiettivi e alle competenze del curricolo classe. Una volta trovate le
risposte ad interrogativi, quali “cosa sa fare l’allievo, quali sono le sue potenzialità e i suoi limiti,
cosa preferisce fare, incontra difficoltà nello svolgimento di alcune attività?  gli insegnanti
possono utilizzare il seguente schema per illustrare i vari passi che definiscono gli obiettivi
individualizzati/personalizzati o minimi rispetto alla classe ed eventuali barriere presenti
nell’ambiente. (TAB PAG 168). Nello schema non sono presenti le categorie ICF, tratte dal profilo di
funzionamento, anche se in sintonia con gli obiettivi individualizzati/personalizzati. Mentre il
prossimo schema mette in evidenza le categorie ICF (tab pag 169). L’aggiunta delle categorie
dell’ICF nel PEI favorisce la rilevazione di dati affidabili riguardanti i singoli allievi con disabilità
presenti in ciascuna classe e dunque dell’intera scuola. L’ICF permette di disporre dati riguardanti
lo sviluppo degli apprendimenti e dei processi inclusivi e il loro miglioramento.

2 Modalità organizzativo-didattiche dopo la definizione degli obiettivi, gli insegnanti


individuano le modalità organizzative e didattiche per il loro raggiungimento, tenendo conto, in
particolar modo, dei fattori ambientali che agiscono da barriera (con lo scopo di rimuoverli e
aumentando i facilitatori: es. mediatori di tipo didattico come il software, gruppo di lavoro per
attività; mediatori relazionali: la disponibilità degli allievi di aiutarsi reciprocamente e degli
insegnanti di collaborare). Nella tabella sono presenti i fattori ambientali, barriere e facilitatori,
presenti in classe e a scuola. Nello specifico, i fattori ambientali che , per quel singolo allievo,
agiscono da barriere o da facilitatori: le 1° da rimuovere o ridurre secondo il principio degli
accomodamenti ragionevoli e i 2° sono da rendere permanenti e da implementare secondo il
principio dell’ “Universal Design for learning” (tab pag 170).

3 Verifica e valutazione degli obiettivi per il raggiungimento delle competenze in


questo 3° passo, gli insegnanti individuano le prove di verifica capaci di rilevare precisamente gli
obiettivi per il raggiungimento delle competenze del PEI, relativamente alle singole discipline o

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campi di esperienza. Per la valutazione si tiene conto dei “criteri relativi” mentre per gli allievi con
disabilità si tiene conto dei “criteri assoluti”: consiste nel valutare gli esiti di una prova di verifica
solo in rapporto agli obiettivi sottoposti a controllo che diventano il criterio con cui confrontare gli
esiti della prova stessa. L’insegnante può considerare tutto ciò seguendo lo schema 3. (tab pag
172). Nella scuola dell’infanzia, la verifica e valutazione si effettua tramite procedure di
osservazione. Ci si deve interrogare su quali condizioni ambientali hanno influito sul risultato di
apprendimento quali fattori hanno agito da barriere?; in che misura?; quali azioni possono
essere intraprese a tal fine?; come hanno complessivamente influito le condizioni ambientali, sui
risultati raggiunti nell’apprendimento, partecipazione e socializzazione?.

Ultima fase esige un ripensamento sulle ragioni che hanno determinato, in particolare,
eventuali risultati negativi o insoddisfacenti. Ciò è possibile sintetizzarlo nello schema n. 4 (pag
173). Ci deve essere coerenza tra le azioni didattiche intraprese e le caratteristiche specifiche degli
allievi e spostare il focus dell’attenzione sulle caratteristiche dei fattori ambientali da modificare
per incidere favorevolmente sul successo formativo di ciascuno. In questo modo è possibile
individuare, sulla base dell’osservazione dei fattori ambientali le specifiche misure di sostegno
(didattiche, relazionali ecc.)  da pianificare e adottare (con lo scopo di rimuovere le barriere e
introdurre i facilitatori dell’attività e della partecipazione).

Capitolo 8: L’ICF E LA CERTIFICAZIONE DELLE COMPETENZE


DELL’ALLIEVO CON DISABILITA’: spunti di riflessione a partire dal PEI.
Se per tutti gli allievi la certificazione delle competenze si realizza mediante l’impiego dei modelli
certificativi standard forniti dal MIUR; per gli allievi con disabilità è prevista, opportunamente, la
possibilità di adeguare tali modelli tenendo conto delle competenze e degli obiettivi del PEI e
quindi coerenti con il profilo dell’allievo. Tale rilevante compito, implica l’attivazione di un
processo, da monitorare fino al termine della classe 5° di scuola primaria; della classe 3° di scuola
secondaria di 1° grado e alla fine dell’obbligo scolastico. La certificazione viene elaborata in
relazione al Profilo di funzionamento; il PEI recepisce i principi teorici dell’ICF che rappresenta la
cornice concettuale e operativa del presente lavoro (certificazione delle competenze). Le
categorie-competenze possono essere, quindi, considerate vere e proprie unità di classificazione,
essenziali per descrivere ciò a cui tende l’allievo/a con disabilità nell’ambito del proprio progetto di
vita attraverso le opportunità avute a disposizione per compiere esperienze significative di
orientamento e di auto-orientamento. L’elenco che segue presenta le categorie-competenze (così
definite nell’ICF) e alcune altre categorie che esprimono competenze che sono di interesse per la
scuola (pag 178). A questo punto, ci soffermiamo sulla relazione tra PEI e il processo di
certificazione delle competenze degli allievi con disabilità che fa seguito ad una selezione
ragionata di categorie-competenze (es. quelle prima elencate) raggruppate in un apposito code
set ICF (pag 187) che si collega in modo significativo ala progettazione didattica per le competenze.
Gli inseganti coinvolti nei processi inclusivi, sono consapevoli dell’importanza che riveste la
certificazione; per questo inizialmente avviano un’intensa attività di dialogo e di confronto relativa
ai contenuti da scrivere nel modello di certificazione, all’analisi del modello standard ministeriale e
alla sua eventuale coerenza con il PEI ecc. E proprio alla base di questo ambito l’ICF rappresenta
uno sfondo ordinatore e critico dei ragionamenti sviluppati durante il confronto, com’è avvenuto
con un gruppo di insegnanti coinvolti in un percorso di formazione finalizzato alla conoscenza e

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all’applicazione dell’ICF (TAB 1. PAG 181). Sono stati somministrati un questionario in entrata e
uno in uscita. Gli stessi questionari sono stati somministrati ad altri insegnanti (gruppo parallelo)
che non hanno fruito del percorso di formazione. Le scuole di Roma dove risiedono questi
insegnanti sono 22 (9 primarie, 9 scuole secondarie di 1° grado, 4 scuole secondarie di 2° grado) e
gli insegnanti intervistati sono stati complessivamente 144, distinti per ordine di scuola e per
tipologia di servizio (posto comune o di sostegno), come rappresentato nella tab 1-2. Per quanto
riguarda gli allievi la ricerca ha considerato 129 allievi con disabilità (tab 3) di cui 103 con
cittadinanza italiana e 26 straniera. Il percorso di formazione è stato condotto proprio per
sperimentare l’utilità dell’ICF (scopo della ricerca!). Ovviamente si è tenuto contro della
normativa del MIUR relativa alla certificazione delle competenze anche per gli allievi con disabilità,
sia degli elementi epistemologici della didattica inclusiva. In seguito, sono state effettuate delle
rilevazioni sia per gli insegnanti del gruppo di intervento, che quello parallelo: è stato rilevante
conoscere il punto di vista dell’insegnante rispetto alle consuetudini di ciascuna delle loro scuole di
servizio in merito alla certificazione delle competenze, poi all’efficacia dell’apporto dell’ICF e alle
loro decisioni a supporto della certificazione stessa. I dati sono stati rilevati a partire dagli
strumenti di lavoro che gli insegnanti del gruppo di intervento hanno utilizzato a scuola con i loro
allievi in vista della certificazione. Come si evince dalla tabella 5 (pag 183): si rileva l’interessante
differenza dei risultati relativi al punto di vista degli insegnanti rispetto alla certificazione delle
competenze degli allievi con disabilità prodotta dalla scuola, sulla base del quadro teorico dell’ICF.
In particolare, dal questionario in entrata proposto ai docenti del gruppo di intervento (prima
dell’avvio del percorso di formazione), è emerso che il 22.2% non effettuava la certificazione delle
competenze degli allievi con disabilità; venendo così meno, alla normativa vigente (tab1. pag 185).
Nel 50,8% dei casi (grafico 2. Pag 185)  è stato utilizzato il modello di certificazione fornito dal
MIUR, ma la quasi totalità degli insegnanti che lo ha impiegato non lo ritiene adeguato.
Attraverso questa Ricerca, è emerso che (da pag 179-186) emerge che l’82,7% dei docenti
partecipanti (gruppo d’intervento e gruppo parallelo) ha dichiarato di non aver mai preso in
considerazione il modello bio-psico-sociale dell’ ICF. Al termine però, del percorso di formazione,
la quasi totalità degli insegnanti del gruppo d’intervento (94,8%) ne ha riconosciuto la ricaduta
positiva sul processo che conduce alla certificazione delle competenze e individuato alcuni aspetti
dell’agire didattico che possono essere favoriti dall’impiego dell’ICF. Il code set  costituisce un
efficace punto di partenza per avviare il dialogo e il confronto sulle reali competenze da certificare,
sostenuti dalla precedente congiunta elaborazione e condivisione del PEI (code set pag 187).
Questo code-set contiene sia le Categorie-Competenze e le ulteriori categorie tratte dalla versione
dell’ICF dell’anno 2017, sia quelle contenute nella versione precedente del 2007, relativa ai
bambini e adolescenti (ICF-CY). Le categorie rappresentate descrivono aspetti cognitivi, linguistici,
comunicativi, affettivo-relazionali ritenuti indispensabili per l’allievo con disabilità per poter
acquisire comportamenti più autonomi, di autodeterminazione e di autoregolazione nei diversi
ambiti della vita. Dal punto di vista della didattica inclusiva ciò significa considerare l’allievo con
disabilità, oltre il periodo strettamente scolastico, ma pensarlo come un adulto in prospettiva
longitudinale, per la quale investire risorse e assumere corresponsabilità istituzionali a lungo
termine. Quindi individuare C-C altamente “adeguate” alle caratteristiche dell’allievo con
disabilità, consente di realizzare azioni efficaci nei confronti dell’impiego del modello di
certificazione. Dunque, non si può rinunciare alla conquista di competenze necessarie per vivere

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con dignità e soddisfazione ed è per questa ragione che occorre facilitarne lo sviluppo e l’esercizio;
attraverso l’impiego di fattori ambientali “facilitatori” come ad esempio:
1. Metodologico-didattico (n.50) (strategie educativo-didattiche previste nell’ambito del PEI);
2. Comunicativo-relazionale (atteggiamenti di accoglienza, motivanti e incoraggianti ecc.);
questo facilitatore è ritenuto il più importante, seguito da quello relazionale-comunicativo;
3. Strumentale-tecnologico (n.19) (per favorire l’accessibilità e quindi mobilità all’interno e
all’esterno della scuola).
È possibile affermare che l’accompagnamento degli insegnanti verso l’impiego del modello di
certificazione degli allievi con disabilità abbia risentito positivamente della prospettiva culturale
dell’ICF.

Capitolo 9: LO STRUMENTO ICF-NUOVO INDEX PER L’OSSERVAZIONE


DELL’AMBIENTE DA PARTE DEGLI ALLIEVI E IL QUESTIONARIO DI
APPROFONDIMENTO
Qui s’intende focalizzare sul punto di vista degli allievi, con disabilità e non, rispetto all’interazione
tra ciascuno di loro e l’ambiente scolastico; ritenendo importante la loro opinione. Quindi è stato
utilizzata una check-list di osservazione, su base ICF, finalizzata a rilevare l’interazione tra
l’allievo con disabilità e l’ambiente circostante. Però, siccome l’ICF può essere utilizzata da diversi
operatori (medici, neuropsichiatri ecc) e insegnanti, ma non dagli allievi stessi; si è pensato quindi
alla costruzione di uno strumento che potesse “dare la parola agli allievi” nasce così, uno
strumento originale definito “ICF-Nuovo Index per l’inclusione”  finalizzato ad ascoltare il
pensiero degli allievi, con disabilità e non, rispetto all’interazione con i fattori ambientali.
Categorie ICF utili nel code set per l’osservazione dell’interazione allievo-ambiente da parte
degli insegnanti (componente “fattori ambientali”) prima e poi per gli allievi dopo:
1. Prodotti e tecnologia per l’istruzione: (ovvero strumenti didattici utilizzati in classe (pc,
lavagna multimediale ecc.) è la 1° categoria ICF ed è appaiata con i seguenti indicatori del
Nuovo Index: es. le attività di apprendimento stimolano la partecipazione di tutti gli alunni;
la scuola rende le proprie attrezzature fisicamente accessibili a tutte le persone.
2. Persone in posizione di autorità (ovvero ambiente scolastico e relazioni con gli
insegnanti) è appaiata con i seguenti indicatori del Nuovo Index: es. mi piacciono i miei
insegnanti; quando sono arrivato a scuola, sono stato aiutato ad ambientarmi; quando gli
insegnanti di sostegno sono in aula, aiutano chiunque ne abbia bisogno.
3. Atteggiamenti dei colleghi, vicini di casa, membri della comunità (ovvero atteggiamenti
dei compagni) è appaiata con l’indicatori, come ad esempio: in classe ho alcuni buoni
amici; nelle lezioni gli studenti condividono ciò che sanno con gli altri studenti.
4. Atteggiamenti delle persone in posizione di autorità (ovvero atteggiamenti degli
insegnanti) è appaiata con l’indicatori: penso che gli insegnanti siano equi (giusti) quando
lodano uno studente; agli insegnanti non importa se faccio errori nel mio lavoro fintanto
che (se) faccio del mio meglio. Queste categorie sono state presentate agli allievi, in un
linguaggio per loro comprensibile, per agevolarli nella compilazione dello strumento che gli
viene loro posto (quello scritto tra parentesi). Di seguito si presentano alcuni indicatori

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INDEX, rivolti proprio agli allievi sugli aspetti dell’ambiente scolastico. Questi indicatori
vanno in sintonia con le categorie ICF sopraelencate e da questa sintonia risulta la struttura
dello strumento efficace rispetto a ciò che si vuole rilevare (tab. pag 201).

La relazione semantica tra categorie ICF dei fattori ambientali e indicatori del
Nuovo INDEX si vuole illustrare la relazione di significato tra le 2 parti , categorie ICF e
indicatori Nuovo Index, che compongono lo strumento da costruire e da proporre agli allievi.
Entrambi i 2 strumenti promuovono la stessa visione culturale e scientifica, che è alla base dei
processi inclusivi nei diversi ambienti, compreso quello scolastico. Rispondo entrambi ai principi
di accessibilità, autodeterminazione e responsabilità proprie della collettività. Il MIUR, a tal
proposito sollecita la scuola ad avvalersi dell’approccio fondato sul modello ICF dell’OMS (e dei
relativi concetti di barriere e facilitatori) e ad adottare strumenti come l’Index per l’inclusione in
quanto possono facilitare ed accompagnare gli insegnanti e tutte le componenti della comunità
scolastica nella realizzazione di azioni strategiche per l’inclusione.
Da qui si origina la proposta progettuale sia dei code-set ICF/check-list di osservazione ad uso
degli insegnanti e sia dello strumento ICF-Nuovo Index ad uso degli allievi.

Nello schema che segue, possono essere colte le fasi del ragionamento adottato per arrivare poi
allo strumento vero e proprio (pag. 203). Nella colonna di sinistra: le categorie ICF; nella colonna
centrale: riscritte in un linguaggio comprensibile agli allievi le c. ICF; nella 3° colonna: gli indicatori
del Nuovo Index posti in corrispondenza con le categorie ICF. Si tratta in sostanza, di progettare
l’impiego di strumenti compensativi per ridurre gli eventuali ostacoli di varia natura
(metodologica, strumentale ecc.) che si possono incontrare. Diventano importanti, dunque, le
tecnologie utilizzate per la comunicazione in quanto rendono l’ambiente scolastico, se utilizzate,
più accessibile agli allievi con disabilità (dunque più inclusivo). Quindi è importante tendere alla
rimozione degli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione, per far si che si creino, il più
possibile, condizioni favorevoli all’interazione allievo-ambiente, comprensive degli edifici scolastici
e della loro struttura e organizzazione. Quindi è importante conoscere il punto di vista degli allievi
e degli insegnanti su questi aspetti, accresce la possibilità di ridurre gli ostacoli esistenti (esempio
spazi, architettonici ecc.) e nello stesso tempo, consente di trovare le opportune risorse a sostegno
dell’apprendimento e partecipazione, prevedendo eventuali modifiche. È importante fortificare
relazioni basate sulla reciproca fiducia e sostenere gli allievi con disabilità, nell’ambientamento,
mostrando accoglienza e interesse verso l’altro, collaborazione e aiuto tutto ciò per costruire
relazioni efficaci in un’ottica inclusiva.

Lo strumento “ICF-Nuovo Index per l’inclusione: la parola agli allievi” si descrive in


questo paragrafo, lo strumento ICF-Nuovo Index che prevede una parte riservata agli allievi e una
riservata agli insegnanti. In questa tabella, viene registrato il linguaggio ICF e il punto di vista
dell’allievo che ha compilato lo strumento (sia per quanto riguarda l’identificazione di ciascun
fattore come facilitatore o barriera, sia su quanto esso incide sul suo funzionamento individuale e
sociale; tab pag 207-208). Con questo strumento originatosi in ambito di ricerca scientifica, gli
insegnanti raccolgono, in definitiva, info sul punto di vista degli allievi comparabili con quello degli

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insegnanti rilevato con lo strumento ICF, permettendo quindi di acquisire dati utili allo sviluppo
della ricerca stessa. La particolarità di questo strumento risiede nel fatto che esso permette non
solo di rilevare il punto di vista degli allievi, con disabilità e non, sulla qualità dell’interazione tra
ciascuno di loro e l’ambiente scolastico, ma soprattutto di confrontarlo con le opinioni in merito
degli insegnanti. In questo modo l’allineamento tra le categorie ICF e gli indicatori del Nuovo Index
è sembrata un’operazione logico-concettuale e scientifica rendendo possibile il confronto su
medesimi fattori ambientali. Può succedere di fatto che un fattore ambientale ritenuto facilitatore
da un’insegnante, per un determinato allievo, è stato ritenuto una barriera dagli allievi e viceversa
(proprio perché si pone un confronto tra le osservazioni rilevate dagli insegnanti e quelle rilevate
dagli allievi). Di fatti una ricerca effettuata in una scuola secondaria di 2° grado che esistono
svariate divergenze tra i punti di vista degli studenti e quelli degli insegnanti: infatti gli studenti
sono particolarmente critici nei riguardi degli “atteggiamenti degli insegnanti” e del “loro modo di
insegnare”. Ciò fa riflettere sul problema della discontinuità metodologica tra i diversi gradi
scolastici, tale da essere percepita dagli studenti stessi come una realtà che non si sentono pronti
di affrontare. Per quanto riguarda gli studenti con disabilità, è emerso il loro mancato o scarso
coinvolgimento nelle varie attività scolastiche, quale barriera, è anche gli attegiamenti degli
insegnanti.

Dalla rilevazione dei facilitatori o barriere alla qualità dell’inclusività della scuola 
i fattori ambientali, quindi, condizionano positivamente (facilitatori) o negativamente (barriere)
l’apprendimento e la partecipazione alla vita scolastica, di conseguenza risulta che la rilevazione
dei fattori ambientali, condotta in modo sistematico, risulta determinante per monitorare e
valutare il reale livello di inclusività della scuola. Infatti, l’inclusione, è un processo che comporta la
progressiva scoperta e rimozione dei limiti all’apprendimento e alla partecipazione con lo scopo di
ridurre gli ostacoli e soprattutto individuarli (non per additare, ma per cercare la soluzione a ciò
che è sbagliato) attraverso la collaborazione. Tale processo confluisce nel Piano per L’inclusione a
cura del GLI in cui vengono definite le modalità per l’utilizzo coordinato delle risorse, compreso le
misure di sostegno sulla base dei singoli PEI di ogni bambino/a e nel rispetto del Principio di
accomodamento ragionevole per il superamento delle barriere e individuazione dei facilitatori
del contesto di riferimento e ovviamente progettare interventi di miglioramento della qualità
dell’inclusione scolastica.

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