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di Beppe Fenoglio
Capitolo I 1
Capitolo II 7
Capitolo III 17
Capitolo IV 26
Capitolo V 34
Capitolo VI 44
Capitolo VII 53
Capitolo VIII 65
Capitolo IX 77
Capitolo X 97
Capitolo XI 104
Capitolo XII 123
Capitolo XIII 130
II
III
IV
VI
VII
eroe mai visto, e tutti noi italiani, voi e noi, siamo tutti
degli schifosi che non ce lo meritavamo». Ed io: «Io
non voglio discutere con te al punto che sei. Però il tuo
duce è un grandissimo vigliacco, un vigliacco mai visto.
Io gliel’ho letto in faccia. Senti qua. Tempo fa mi è ve-
nuto tra le mani un giornale di allora, dei tempi belli
per voi, con una fotografia di lui che pigliava mezza pa-
gina, e me la sono studiata per un’ora. Ebbene, io
gliel’ho letto in faccia. E se insisto tanto è perché non
voglio che tu ti sprechi a gridare Viva Lui in punto di
morte. Io me lo vedo, chiaro come il sole. Quando toc-
cherà a lui come ora tocca a te, lui non saprà morire da
uomo. E nemmeno da donna. Morirà come un maiale,
io me lo vedo. Perché è un vigliacco fenomenale». «Vi-
va il Duce!» mi fa quello, ma piano, sempre tenendosi
la testa fra i pugni. E io non perdo la pazienza e gli di-
co: «È un vigliacco enorme. Quello di voi che morirà
piú da schifoso morirà sempre come un dio in confron-
to a lui. Perché lui è un vigliacco colossale. È il piú vi-
gliacco italiano che sia esistito da quando esiste l’Italia,
e per vigliaccheria non ne nascerà piú l’uguale anche se
l’Italia durasse un milione di anni». E quello: «Viva il
Duce!» mi rifà, sempre sottovoce. Poi arrivò Giulio e
mi disse: «Vogliono che ci sbrighiamo». Ed io al capo-
rale: «Alzati». «Ma sí, – fa lui, – togliamoci dal sole». E
nota che pioveva grosso un dito.
Erano arrivati in vista del ponticello.
– Lasciami pure qua, – disse Milton. – Mi secca solo
di dovermi infangare di nuovo come un porco.
– Perché?
– Il ponte. È minato, no?
– Macché minato. E dove lo pigliamo l’esplosivo? E
ora che fai?
– Torno dai miei.
– Che cosa farai per quel tuo compagno?
Milton esitò, poi glielo disse.
VIII
IX
– Ma che cos’è?
– È che io posso darti il filo per il fascista che cerchi.
Milton posò il sandwich sull’orlo del contenitore. –
Intendiamoci. Io cerco un soldato, non un fascista bor-
ghese.
– E io ti segnalo un soldato. Un sergente.
– Un sergente, – ripeté Milton affascinato.
– Questo sergente, – rispose la vecchia, – viene spesso
dalle nostre parti, quasi ogni giorno e sempre da solo. Ci
viene per una donna, una sarta, una nostra vicina e pur-
troppo una nostra nemica.
– Dove abita? Mostratemi subito la casa.
– Ti ho detto che è una nostra nemica e te lo voglio spie-
gare. Ma sia chiaro che noi non ti informiamo per far di-
spetto a lei, ma solo per aiutarti a salvare il tuo compagno.
– Sí.
– Questo pur con tutto il male che ha fatto a noi e
particolarmente a mia figlia. È una lurida, l’hai già capi-
to, e questo che fa adesso con questo sergente è poco o
niente in confronto a quello che ha fatto prima. Basti
dirti che prima dei vent’anni aveva già abortito tre volte.
È la piú porca di Canelli e di tutti i dintorni e non so se
girando tutto il mondo se ne trova una piú porca.
– Ma dove abita?
Andò avanti per il suo verso, con una tenacia disar-
mante.
– Ha messo tanto male fra mia figlia e mio genero, e
mio genero, che non è di queste parti, ha avuto il torto
di credere a quella là invece che a noi che gli giuravamo
che non era vero niente. Ma ora finalmente l’ha capita e
con mia figlia vanno meglio di prima, prima che quella
lurida cercasse di avvelenarci.
– Sí, sí, ma dove...?
– E lo fece per pura malvagità, forse perché non poteva
sopportare d’essere l’unica vera porca dei paraggi e cosí si
è inventata una compagna, ma se l’è solo inventata.
– Si incassa anche.
– Vado a cacciarmi nelle acacie, – disse Milton. Se mi
va bene... – e si preparò a sottopassare il filare.
La vecchia gli afferrò una spalla. – Aspetta. E se ti an-
dasse male? Se ti va male, dirai che siamo stati noi a dar-
ti il filo?
– State tranquilla. Sarò muto come un morto. Ma do-
vrebbe andarmi bene.
XI
XII
XIII