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Deforestazione, una delle cause più gravi

dell’emergenza climatica in tutto il mondo


Non c’è solo l’Amazzonia: attorno alle foreste si gioca un tassello
fondamentale dello Sviluppo sostenibile. Le zone più a rischio? Africa e Sud-
est asiatico.

Non c’è solo l’Amazzonia, dove pure il disastro continua. Nel 2020 altri 11mila metri quadrati di alberi
sono stati eliminati in Amazzonia, secondo il Rapporto dell’Agenzia nazionale di ricerca spaziale
(Inpe). In realtà il fenomeno della deforestazione ha una dimensione globale: in alcuni anni siamo
arrivati, nel mondo, a eliminare in media 30 milioni di ettari di foreste, pari a un campo di calcio al
secondo.

COS’È LA DEFORESTAZIONE

La “deforestazione” – termine che descrive la distruzione o la netta riduzione di boschi e foreste a


causa principalmente delle attività umane – è avvertita in tutto il pianeta. Quando si parla di consumo (o
di “spreco”) del suolo globale, la deforestazione rappresenta il principale vulnus da affrontare.

CAUSE DELLA DEFORESTAZIONE

Foreste e riserve boschive annientate per la produzione del legno o per ricavare terreni coltivabili e


pascoli: queste sono due delle operazioni umane che più nuocciono al bacino verde. Poi ci sono anche
particolari industrie interessate alla materia prima che arriva dalle foreste e dall’abbattimento degli
alberi: dai colossi della cosmetica, fino ai grandi produttori di olio di palma, concentrati in luoghi
ricchissimi di vegetazione, come l’Indonesia e la Malesia.
In Africa, Asia e America del Sud soprattutto, i piccoli agricoltori rilevano o occupano terreni ricoperti
da foreste e appiccano strategicamente incendi per coltivare poi i terreni fertilizzati dalle ceneri.
Sfruttata intensivamente, la terra è in grado di mantenersi produttiva per periodi relativamente brevi
(pochi anni), viene poi abbandonata e nuove macchie di foresta sono aggredite e date alle fiamme.
Gli effetti per l’ecosistema possono essere terribili.

L’olio di palma è un olio vegetale e si ricava dalle palme da olio. E’ composto da


trigliceridi e da alte concentrazioni di acidi grassi saturi.
Si ottiene dai frutti della pianta attraverso un processo di sterilizzazione con il vapore,
seguito da snocciolatura, cottura e pressatura. Alla fine di questo procedimento, si filtra
il tutto e si ottiene l’olio.

Se in passato la palma, albero antichissimo di cui alcuni esemplari sono stati rinvenuti
allo stato fossile insieme ad impronte di dinosauri, veniva associata nell’immaginario
collettivo alle spiagge caraibiche e al cocco, oggi l’Occidente ne conosce una versione
meno pacifica, quella legata alla produzione massiva di olio di palma.

Il problema delle palme da olio è la loro ingente richiesta di acqua e nutrienti dal terreno:
crescendo in posti caldi e umidi, toglie inevitabilmente posto alle foreste pluviali, uno
degli ecosistemi chiave della biodiversità globale.

La perdita di milioni di ettari di foresta pluviale è un dramma ecologico dalle


conseguenze ancora sconosciute, non stiamo perdendo solo animali simbolo come
l’orango, ma anche un fondamentale bacino di cattura di cattura di Co2, l’elemento
responsabile del cambiamento climatico.

In quest’ambito esistono diverse certificazioni che possono garantire una produzione


di olio di palma 100% sostenibile, come ad esempio FSC – Forest Stewardship
Council.

L’olio di palma uccide gli oranghi, ma anche elefanti e decine di altre specie animali.
Il legame tra piantagioni di olio di palma e deforestazione ha raggiunto l’opinione
pubblica di tutti i paesi occidentali, Italia compresa. Anche grazie a campagne di
sensibilizzazione lanciate dalle Onlus, come ad esempio questa di GreenPeace.

Non c’è marchio di biscotti o merendine, di crackers o di taralli infatti, che nello spot
pubblicitario in TV, ultimamente non specifichi l’assenza di olio di palma nei propri
ingredienti, come per sottolineare la qualità e la sicurezza del proprio prodotto.

I primi segnali di sensibilizzazione iniziarono intorno al 2015 in occasione dell’Expo di


Milano: se ricordiamo bene, fu proprio in quel periodo che molti prodotti, tra cui la
famosa crema al cioccolato spalmabile, divennero prodotti da evitare perché
contenenti olio di palma.

Proprio nel 2015 inoltre avvenne un altro fatto importante: venne firmato il Progetto
dell’Utilizzo dell’Olio di Palma, stipulato dall’UE attraverso la Dichiarazione di
Amsterdam del 7 dicembre, con il quale diversi paesi europei, si sono impegnati a
promuovere iniziative volte ad assicurare l’impiego di Olio di Palma 100% Sostenibile,
entro il 2020.

Secondo quanto riportato in un rapporto del 2016, la produzione globale di olio di palma
è aumentata da 15,2 milioni di tonnellate del 1995 a 62,6 milioni di tonnellate del
2015.

Ma se alle persone, arrivò solamente pochi anni fa l’informazione che nella produzione
di questo prodotto qualcosa non andava, è incredibile come attorno ad un solo tipo di
albero ruotino argomenti tanto importanti come diritti umani, ambiente e alimentazione.

La palma da olio oggi è il simbolo della discordia, la dimostrazione che c’è in corso
qualcosa di enorme, che coinvolge con un colpo solo, la vita e la salute degli esseri
umani, degli animali e della Natura.

La coltivazione spropositata di palme da olio, sta risultando estremamente dannosa per i


territori a causa delle deforestazioni e delle emissioni di gas serra.

I paesi dove viene prodotto l’olio, sono quelli del sud est asiatico e tra questi, quelli che
vanno per la maggiore sono Indonesia (53%) e Malesia (32%). In Malesia ha sede
proprio il Palm Oil Research Institute of Malaysia (Porim) , uno dei più grandi
centri di ricerca sugli oli e grassi di palma al mondo.

Per produrre olio di palma, è necessario coltivare le palme da olio che a loro volta
necessitano di spazio e terreni liberi: per questo motivo vengono, come già detto più
volte, abbattute intere foreste tropicali e vista l’enorme richiesta del prodotto sul
mercato mondiale, la Cambogia, la Malesia, l’Indonesia e altri Paesi della zona, stanno
facendo scomparire un patrimonio forestale prezioso per l’intera umanità.

Ma non è solo questo: con l’annientamento di ettari ed ettari di foreste, si attiva una
reazione a catena pericolosissima per l’ambiente.

Cancellando la biodiversità di queste aree con la deforestazione si vanno ad attaccare


processi ecosistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e per gli
equilibri del nostro pianeta, comportando il rischio di estinzione per diverse specie di
animali, soprattutto elefanti, uccelli e oranghi.
Ma non finisce qui: tutto questo porta inevitabilmente ad un peggioramento dei
cambiamenti climatici proprio perché i terreni spogliati dai loro alberi, sprigionano
enormi quantità di gas serra con tutte le conseguenze che già conosciamo.

Inoltre, nonostante siano le foreste pluviali quelle maggiormente colpite -le quali
rappresentano il 7% della vegetazione globale- ad accusarne il colpo c’è anche il mondo
sottomarino: le acque sotterranee stanno scomparendo e i fiumi si stanno prosciugando.

La convenienza economica di quest’olio vegetale da merendina dovrebbe passare in


secondo piano, rispetto al prezzo veramente salato, che a conti fatti deve effettivamente
pagare l’intero pianeta.

A tutto questo, negli ultimi anni si evidenzia un altro settore per il quale si produce l’olio
di palma, quello della produzione di biocarburanti, un altro mondo torbido e pieno di
contraddizioni.

CONSEGUENZE DELLA DEFORESTAZIONE

Innanzitutto, quando le foreste vengono bruciate, il carbonio prodotto si accumula nell’atmosfera


come anidride carbonica, un gas serra che, come noto, ha il potenziale di alterare il clima globale.
Inoltre, la preziosissima biodiversità ospitata dalle foreste, in particolare quelle tropicali, rischia con gli
incendi di estinguersi irrimediabilmente. Dopo carbone e petrolio, la deforestazione è al terzo posto
nella classifica delle fonti dalle quali arrivano i micidiali gas serra.
Il disboscamento selettivo operato dagli agricoltori aumenta infine l’infiammabilità della foresta perché
trasforma un contesto ambientale fitto e umido in territori più aperti e secchi.
Circa sette anni fa una mappatura dello stato delle foreste sulla Terra venne meritoriamente realizzata
da Google insieme ad alcune università americane, coordinate dalla University of Maryland. Il report di
analisi della mappatura denunciava, già allora, devastanti processi di deforestazione; oggi la situazione è
ulteriormente peggiorata.
in un solo mese estivo, in Amazzonia, sono stati registrati circa 200.000 roghi che hanno causato la
morte di rari esemplari di fauna selvatica e hanno rilasciato enormi quantità di anidride carbonica
nell’atmosfera, come fotografato dall’Atmospheric Infrared Sounder installato a bordo del
satellite Aqua della NASA.

DEFORESTAZIONE E CRISI CLIMATICA

La deforestazione ha un ruolo decisivo nella lotta per fermare il surriscaldamento climatico. Il 33 per
cento degli sforzi per la mitigazione climatica dipendono proprio dalla capacità che abbiamo di
preservare le foreste, gli alberi. Da qui la necessità di azioni concrete a tutti i livelli, partendo dagli
interessi delle grandi multinazionali che devono trovare conveniente chiudere il capitolo della
deforestazione selvaggia. Passaggio non facile. Quando l’organizzazione britannica Carbon Discoure
Project ha chiesto a 1.303 società mondiali di fornire elementi per dimostrare le loro azioni contro la
deforestazione, hanno risposto solo 272 imprese. È chiaro che rinunciare alla deforestazione ha un costo
che spaventa manager e azionisti delle multinazionali, anche quando si riempiono la bocca della parola
Sostenibilità. E ha un costo in termini di consensi per le autorità politiche. Ecco perché l’emergenza va
affrontata su scala globale, rilanciando anche i piccoli gesti individuali, come le azioni di singoli e di
associazioni specializzate nell’attività di piantare alberi. Gesto simbolico quanto utile.

COME FERMARE LA DEFORESTAZIONE

L’emergenza sudamericana ha riportato il tema della tutela delle foreste e delle risorse boschive in


cima al lungo elenco di impegni fissati dall’agenda mondiale, animando anche il dibattito del G7.  Del
resto, se ne parla espressamente all’interno del quindicesimo punto dei Sustainable Development
Goals approvati nel 2015 dall’ONU (15.2: “Entro il 2020, promuovere l’attuazione di una gestione
sostenibile di tutti i tipi di foreste, fermare la deforestazione, il ripristino delle foreste degradate e
aumentare notevolmente la riforestazione a livello globale”).
Alla scadenza fissata, l’ambizioso obiettivo fissato dagli SDG suona come una romantica utopia ben
lontana dagli avvenimenti a cui, più o meno inermi, assistiamo.
Un dato è esemplificativo del momento storico che stiamo vivendo: nel 2010 quasi 4 miliardi di ettari
del nostro pianeta erano ricoperti da alberi. Solo otto anni dopo, sono stati persi circa 25 milioni di ettari
di questo inestimabile patrimonio.
Dopo il “caso-Amazzonia”, i riflettori si sono accesi anche su Africa e Indonesia. A causa di una lunga
stagione caratterizzata dall’assenza di precipitazioni, lo Stato del sud-est asiatico potrebbe subire danni
irreparabili.

DEFORESTAZIONE NEL MONDO

La notizia è semplice: il tasso di deforestazione in Amazzonia è aumentato del 30% negli ultimi


anni e tra agosto 2018 e luglio 2019 ha raggiunto  il tasso più alto registrato dal 2008.

Si tratta di ben 9.762 chilometri quadrati distrutti, una superficie equivalente a quella dell’isola di
Cipro, secondo i dati del Programma di monitoraggio satellitare
della foresta amazzonica brasiliana dell’Istituto brasiliano di ricerche spaziali (INPE).  La politica
di Bolsonaro sta annientando la capacità del Brasile di combattere la deforestazione, favorendo chi
commette crimini ambientali e incoraggiando le violenze verso Popoli Indigeni e comunità
forestali tradizionali.

Tutelare l’Amazzonia e tutte le foreste del Pianeta deve essere un obiettivo di tutti: senz’altro


del governo brasiliano, ma anche di tutti gli altri Paesi, compresa l’Unione europea, che deve
dotarsi di una normativa in grado di garantire che il cibo che mangiamo e i prodotti immessi sul
mercato non siano stati ottenuti sacrificando i diritti umani e le foreste.
Non possiamo difendere il clima del Pianeta se non
difendiamo le foreste 

Le foreste catturano circa un terzo dell’anidride carbonica rilasciata ogni anno a causa della


combustione di gas, petrolio e carbone. Se vogliamo evitare l’aumento delle temperature oltre il
grado e mezzo, dobbiamo esigere che ciò che resta delle foreste venga protetto. 

Cause e conseguenze della


deforestazione
La deforestazione è uno dei più grandi problemi ambientali della nostra
epoca: l’impatto che questo fenomeno può avere (e sta già avendo) sul
nostro ecosistema è di portata allarmante ed i Paesi occidentali stanno infatti
cercando di rimediare a questo problema, che come vedremo è stato causato
proprio da loro.

Con deforestazione si intende la riduzione di boschi e foreste: si tratta di


un processo che ha portato allo sfruttamento intensivo di tutte le aree
verdi naturali presenti nel mondo, ma visti gli effetti devastanti che tutto
questo sta producendo nell’atmosfera i Paesi Sviluppati stanno ora cercando
di mettere in atto una serie di misure di rimboschimento. Tuttavia, il
fenomeno ha una tale portata che sembra difficile, ormai, rimediare.

Le cause della deforestazione


Le cause della deforestazione sono diverse, e sono oggi imputabili sia ai
Paesi in via di sviluppo che a quelli già industrializzati:

 Necessità di nuove aree coltivabili. Nei Paesi in via di sviluppo, la deforestazione è la

diretta conseguenza della necessità di creare nuove terre da destinare alle colture: buona

parte della popolazione vive ancora con un’economia di sussistenza quindi ne ha

effettivamente bisogno. Il problema è che tali terreni vengono poi acquistati dagli

speculatori, che li destinano allo sfruttamento edilizio o minerario.


 Necessità del legname come combustibile. Il legname rimane ancora la materia prima

per eccellenza come combustibile: un terzo della popolazione mondiale necessita del legno

per poter riscaldare le proprie abitazioni.

 Domanda di legno pregiato. Purtroppo, la continua domanda di legno pregiato non fa che

peggiorare il problema, soprattutto nelle foreste tropicali ed equatoriali.

Le conseguenze della deforestazione


Ma a cosa ci porterà tutto questo? Lo sfruttamento intensivo delle foreste, se
non si trova subito una soluzione che possa risolvere il problema in modo
massiccio, rischia di mutare completamente il nostro ecosistema, con
conseguenze terribili.

 Intensificarsi dell’effetto serra. Le piante e gli alberi, mediante il processo di fotosintesi

clorofilliana, trasformano l’anidride carbonica presente nell’atmosfera in ossigeno: il

disboscamento quindi determina un aumento di CO2 e di conseguenza un acuirsi

dell’effetto serra e del surriscaldamento globale.

 Cambiamenti climatici e rischio idrogeologico. Il disboscamento determina

cambiamenti nel clima (anche delle singole regioni) e aumenta il dissesto idrogeologico:

questo significa che il rischio di frane, alluvioni e smottamenti è sempre più elevato.

 Minore biodiversità. Abbattendo le foreste, numerose specie di animali e vegetali

rischiano l’estinzione definitiva e anche da questo punto di vista i mutamenti sul nostro

ecosistema sono notevoli.

La situazione attuale
Attualmente, gli effetti devastanti della deforestazione sono stati messi
in evidenza, soprattutto da parte dei Paesi Sviluppati, primi responsabili
del fenomeno. I tentativi messi in atto per ridurre i fenomeni di
disboscamento sembrano per il momento nulli: i Paesi in via di sviluppo infatti
ritengono di avere il pieno diritto di sfruttare le foreste, proprio come avevano
fatto i Paesi occidentali.
Questi, dal canto loro, stanno cercando di reintegrare zone verdi con il
rimboschimento ma queste non sono comunque sufficienti ad arginare
il problema della deforestazione e le sue conseguenze.

DEFORESTAZIONE AMAZZONIA: IMPATTO AMBIENTALE


E NUOVO RECORD
L’Amazzonia sono i polmoni del pianeta, polmoni che stiamo distruggendo come un cancro.

L’Osservatorio sul clima, insieme a Greenpeace, hanno già lanciato l’allarme del problema della
deforestazione dell’Amazzonia nel 2016. Un problema che riguarda il tutto il pianeta, ma che passa
spesso in secondo piano.

Il problema della deforestazione dell’Amazzonia è dato dalla continua richiesta di aumentare i


terreni agricoli, che riescono a soddisfare il fabbisogno delle due Americhe. Aumentando la
richiesta, come quella europea, le coltivazioni devono aumentare, ma a quale prezzo?

Il prezzo da pagare è quello che riguarda il problema dell’eliminazione e dello sterminio della
foresta amazzonica. Un danno ambientale che sta già avendo gravi riscontri nei cambiamenti climatici.

NUOVO RECORD DI DEFORESTAZIONE AMAZZONIA


NEL 2020
Il 2020 è stato il nuovo record della deforestazione dell’Amazzonia, la percentuale è del
108%, rispetto agli altri anni. I metodi ora sono dati da incendi dolosi, che scoppiano simultaneamente
nei periodi più caldi dell’anno.

Sono stati distrutti circa 10.000 Km2. Il risultato? Si è distrutta la più grande area pluviale del
globo. Dopo l’accusa da parte dell’osservatorio climatico, di non aver sorvegliato questa pratica
illegale, ci sono stati annunci dal Governo brasiliano.

La realtà è che non si sta investendo nella protezione della giungla brasiliano, ma in compenso
sono stati stanziati milioni di euro per aumentare l’agricoltura. Annunci che hanno inferocito gli
ambientalisti e intere Nazioni, ma che non hanno proposto una soluzione al problema

IMPATTO AMBIENTALE SCONVOLGENTE


Cosa capiterà nei prossimi anni? Ebbene, già il danno di aver perso una grande area di giungla,
ha portato ad un enorme e rapido aumento delle pianete.

Si sta intensificando l’effetto serra, che aumenterà le zone desertiche. L’Italia, la Grecia saranno
le prime vittime. C’è una diminuzione di ossigeno che mantiene umida la terra, aiutando i vulcani e
esplodere. Rischi idrogeologi e anche una minore biodiversità sono le conseguenze del disboscamento
amazzonico.

La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana è compiuta in gran parte da reti criminali che usano
violenza e intimidazione contro coloro che cercano di difendere la foresta pluviale. Ad affermarlo è
Human Rights Watch – l’organizzazione non governativa che si occupa della difesa dei diritti
umani–in un rapporto pubblicato il 17 settembre scorso dal titolo: «Mafie della foresta pluviale:
come la violenza e l’impunità alimentano la deforestazione nell’Amazzonia brasiliana».
Il rapporto di 165 pagine documenta come il disboscamento illegale da parte di reti criminali e i
conseguenti incendi boschivi siano collegati non solo ad atti di violenza e intimidazione contro i
difensori delle foreste ma anche all’incapacità dello stato di indagare e perseguire questi crimini.
«I brasiliani che difendono l’Amazzonia stanno affrontando minacce e attacchi da parte di reti
criminali impegnate nel disboscamento illegale», ha dichiarato Daniel Wilkinson, direttore per
l’ambiente e i diritti umani di Human Right Watch. «La situazione sta solo peggiorando sotto il
presidente Bolsonaro, il cui assalto alle locali agenzie che si occupano di ambiente sta mettendo in
grave pericolo la foresta pluviale e le persone che vivono lì».

Human Rights Watch ha intervistato più di 170 persone: oltre a una sessantina di membri di
comunità indigene e altri residenti locali negli stati di Maranhão, Pará e Rondônia, i ricercatori
hanno raccolto le testimonianze di dozzine di funzionari governativi a Brasilia e in tutta la regione
amazzonica, e i resoconti di come le politiche del presidente Jair Bolsonaro stiano minando gli
sforzi di contrasto.
Durante il suo primo anno in carica, Bolsonaro ha ridimensionato l’applicazione delle leggi
ambientali, ha indebolito le agenzie federali che si occupano di ambiente e ha criticato duramente le
organizzazioni e i singoli che lavorano per preservare la foresta pluviale.
Il rapporto fornisce i dati compilati dalla Pastoral Land Commission(CPT, in Portoghese),
un’organizzazione senza scopo di lucro, e citata dalla Procura Generale, secondo cui sono state più
di 300 le persone uccise nell’ultimo decennio nel contesto di conflitti sull’uso della terra e delle
risorse in Amazzonia.
Human Rights Watch ha documentato, in relazione agli ultimi cinque anni, 28 omicidi, oltre a 4
tentativi di omicidio e oltre 40 casi di minacce di morte. La maggior parte delle vittime sono
membri di comunità indigene o altri residenti nelle foreste che denunciavano alle autorità il
disboscamento illegale. Tra i casi documentati quello di Gilson Temponi, presidente di
un’associazione di agricoltori a Placas, nello stato del Pará, che aveva riferito ai pubblici ministeri
nel 2018 del disboscamento illegale e delle minacce di morte ricevute dai taglialegna. Nel dicembre
di quell’anno, due uomini bussarono alla sua porta e gli spararono a morte. O anche il caso di
Eusebio Ka’apor, leader del popolo Ka’apor che ha aiutato ad organizzare pattuglie forestali per
impedire ai taglialegna di entrare nel territorio indigeno dell’Alto Turiaçu nello stato di Maranhão,
ucciso nel 2015. Poco dopo la sua morte, sei dei sette membri del Consiglio direttivo del Ka’apor,
che coordina le pattuglie, hanno ricevuto minacce di morte dai taglialegna.
Purtroppo i responsabili della violenza vengono raramente consegnati alla giustizia. Degli oltre 300
omicidi registrati da CPT, solo 14 alla fine sono stati processati; delle 28 uccisioni documentate da
Human Rights Watch, solo due sono state processate; e degli oltre 40 casi o minacce, nulla è stato
fatto.
Questa mancanza di responsabilità è in gran parte dovuta al fallimento da parte della polizia di
condurre indagini adeguate. La polizia locale si giustifica dicendo che le uccisioni hanno luogo in
aree remote, in realtà Human Rights Watch ha documentato omissioni eclatanti nelle indagini su
alcuni omicidi avvenuti in città, non lontano dalle stazioni di polizia.
Le indagini sulle minacce di morte non vanno meglio: i funzionari in alcune località si rifiutano di
registrare anche le denunce delle minacce. In almeno 19 dei 28 omicidi documentati, le minacce
contro le vittime o le loro comunità hanno preceduto gli attacchi. Se le autorità avessero indagato,
gli omicidi forse sarebbero stati evitati.
Le comunità indigene e altri residenti locali hanno da tempo svolto un ruolo importante negli sforzi
del Brasile per frenare la deforestazione avvisando le autorità di attività illegali di disboscamento
che altrimenti potrebbero non essere rilevate. 
Dal 2004, il Brasile ha un programma per proteggere i diritti umani e i difensori dell’ambiente, ma i
funzionari governativi intervistati concordano sul fatto che il programma fornisce una protezione
poco significativa.
Durante i primi otto mesi di mandato di Bolsonaro, la deforestazione è quasi raddoppiata rispetto
allo stesso periodo del 2018, secondo i dati ufficiali preliminari. Ad agosto 2019, gli incendi
boschivi legati alla deforestazione hanno devastato l’Amazzonia con una percentuale che non si
vedeva dal 2010.
L’Amazzonia, essendo la più grande foresta pluviale tropicale del mondo, svolge un ruolo vitale nel
mitigare i cambiamenti climatici assorbendo e immagazzinando anidride carbonica. Se tagliata o
bruciata, la foresta non solo cessa di adempiere a questa funzione, ma rilascia anche nell’atmosfera
l’anidride carbonica che aveva precedentemente immagazzinato. «L’impatto degli attacchi ai
difensori forestali del Brasile si estende ben oltre l’Amazzonia», ha detto Daniel Wilkinson. «Fino a
quando il Paese non affronterà la violenza e l’illegalità che facilitano il disboscamento illegale, la
distruzione della più grande foresta pluviale del mondo continuerà senza controllo».
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