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Ministero dell’Istruzione
dell’’Università e della Ricerca
ESAME DI STATO DI ISTRUZIONE SECONDARIA SUPERIORE
(dalla prolusione del prof. Carlo Rubbia, “La scienza e l’uomo”, inaugurazione anno
accademico 2000/2001, Università degli studi di Bologna)
Comprensione e analisi
Produzione
La riflessione di Carlo Rubbia anticipava di circa vent’anni la realtà problematica dei
nostri tempi: le conseguenze della globalizzazione a livello tecnologico e a livello
culturale. Sulla base delle tue conoscenze personali e del tuo percorso formativo,
esprimi le tue considerazioni sul rapporto tra tecnologia, globalizzazione, diversità.
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Durata massima della prova: 6 ore.
È consentito l’uso del dizionario italiano e del dizionario bilingue (italiano-lingua del paese di
provenienza) per i candidati di madrelingua non italiana.
Produzione
La città oramai è diventata mondo: l’urbanizzazione è la conseguenza più spettacolare della
globalizzazione. Quest’ultima ha infatti dato impulso a nuove forme di mobilità favorite da tutti i
mezzi che consentono spostamenti di qualsiasi genere, soprattutto telematici (mass media), ma
anche fisici (infrastrutture e mezzi di trasporto in generale). Oggi il tempo scorre veloce e i tempi di
acculturazione si accorciano sempre più.
La globalizzazione ha reso il mondo più piccolo e tutti noi più connessi soprattutto grazie
all’utilizzo delle tecnologie: esse costituiscono un’arma potentissima. Tuttavia, se da un lato
permettono l’avvicinamento di persone lontane, dall’altro allontanano persone fisicamente vicine
tra loro.
Purtroppo, la maggiore possibilità di connessione non garantisce effettivamente un aumento dei
legami, infatti la città si distingue dall’antico villaggio proprio per la presenza dell’anonimato, ossia
di quel fenomeno che induce i soggetti a forme di solitudine provocate da una serie di contatti
fugaci con tanti individui, nessuno dei quali è mirato all’effettiva conoscenza dell’altro.
È proprio cosi che nel contesto della globalizzazione i non luoghi prevalgono sui luoghi che
possiedono un’identità storica ed antropologica, ma che oramai non risultano più in linea con il
mondo globalizzato e l’epoca della surmodernità. A prevalere oggi sono infatti i non luoghi, nonché
spazi privi di una storia, semplici luoghi di passaggio o di consumo spesso standardizzati. I non
luoghi si contraddistinguono per la solitudine e lo svuotamento della coscienza.
Capita non di rado che i non luoghi siano eguali in tutte le città del globo: se dovessimo scattare una
fotografia di due città europee ci stupiremmo di fronte alle affinità esistenti tra le due.
Come citato prima il tutto risulta aggravato dall’amplificazione della solitudine generata dall’abuso
tecnologico, il quale dilata ulteriormente le distanze.
La globalizzazione si presenta cosi come un fenomeno complesso in grado di ridisegnare gli
equilibri economici, politici, sociali, telematici e culturali esistenti tra i diversi paesi.
È proprio su questa linea che avviene il fenomeno dell’indigenizzazione, ossia il processo per cui un
prodotto proveniente dall’esterno viene accolto nella cultura indigena e inserito dagli individui nella
vita quotidiana. Stiamo assistendo infatti alla globalizzazione dei consumi. Il valore supremo risulta
quindi la ricerca della felicità istantanea ed illusoria che ci lascia alienati ed ancora una volta isolati
in una condizione di fondamentale solitudine. Preferiamo infatti essere manipolati dal mondo
piuttosto che capire come effettivamente questo operi.
La globalizzazione appare caratterizzata da luci e ombre: se da un lato garantisce sviluppo ed
opportunità lavorative e culturali, dall’altro espone inevitabilmente a rischi economici-finanziari,
tecnologici-ambientali e bellici.
È quindi importante prendere consapevolezza di tali rischi e prepararsi per fronteggiare eventuali
problemi.
Purtroppo, non possiamo parlare di uno sviluppo omogeneo, piuttosto si tratta di uno sviluppo
standardizzato che talvolta giova, ma in altri casi risulta solo controproducente. Il funzionamento
delle città è garantito dal sempre crescente divario tra grande ricchezza ed estrema povertà.
Esiste infatti una netta differenza tra le Città globalizzate e le città globali. Le città globalizzate
corrispondono alle megalopoli del terzo mondo, esse sono vittime del processo di globalizzazione
economica e lì convergono gli interessi delle diverse multinazionali che delocalizzano produzione e
servizi. Al contrario le megalopoli occidentali sono città globali, semplicemente abitate da gente
proveniente da tutto il mondo e giunta nelle stesse città per mezzo di flussi migratori.
La città globale è proprio l’esempio chiave che permette di identificare una importante conseguenza
della globalizzazione: la multiculturalità, nonché la compresenza di culture diverse entro una
medesima società.
Nel corso del tempo per designare questa realtà sono stati utilizzati vari termini, tra cui società
multirazziale e società multietnica, per poi approdare infine al termine di società multiculturale.
Qualsiasi angolo del pianeta è multiculturale, infatti i media abbattono letteralmente le barriere
geografiche rendendoci parte integrante di una realtà che va al di là del luogo che fisicamente
occupiamo.
L’approccio con la cultura diversa da quella indigena avviene secondo tre modalità differenti:
attraverso l’assimilazione (assorbimento talvolta coercitivo che prevede anche il progressivo
svilimento della cultura sottomessa), l’integrazione (dialogo e convivenza rispettosa) e l’inclusione.
Quest’ultimo caso risulta particolarmente efficace, utile e vantaggioso, infatti prevede
un’assegnazione di uguale dignità e parità di diritti. Non è richiesto l’obbligo di uniformarsi e
integrarsi al modello sociale dominante. Nel caso dell’inclusione le culture sono considerate come
un arricchimento e non come qualcosa da sopraffare.
L’uomo della società attuale deve diventare eclettico aprendo gli occhi al mondo. Deve diventare
capace di attuare un’equilibrata mediazione tra la valorizzazione della propria diversità culturale e
l’accettazione del diverso, senza tuttavia sprofondare nell’uniformizzazione globale. La diversità
deve diventare novità ed essere concepita come collante piuttosto che come barriera.
I confini al giorno d’oggi non difendono più dal diverso, l’altro non è più al di là delle frontiere, ma
è dentro casa. Bisogna a tale proposito attuare delle politiche di integrazione che possano garantire
la pacifica convivenza (senza tuttavia annullare la dimensione storica culturale del paese in
questione).
Trovare un compromesso tra queste due condizioni contrapposte risulta complesso oltre che spesso
utopico. Si tende a cristallizzarsi nella propria cultura a causa dell’esclusione che viene attuata
dall’esterno.
Tuttavia, in questo modo si crea un circolo vizioso che vede il progressivo allontanamento e il
sempre maggiore disprezzo.
La necessità di credere nella diretta corrispondenza tra stato e nazione risulta oggi obsoleta e quasi
anacronistica, infatti se viviamo immersi nel multiculturalismo non possiamo di certo parlare del
concetto stato-nazione ottocentesco.
Gli ottimisti sostengono che la società occidentale sia destinata ad evolversi in una direzione
realmente democratica che lentamente ma inesorabilmente produrrà una cultura nel rispetto dei
diritti civili e della dignità umana.
L’occidente resta comunque luogo di grandi diseguaglianze e ingiustizie, nonostante il suo evidente
impegno verso un governo autenticamente democratico e popolare.