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2/16 ottobre 2021


Quindicinale
Anno 172

Dialogare nella laicità?


«La libertà ci fa paura». Papa
Francesco con i gesuiti slovacchi
Il cammino sinodale
Contro la cultura dello scarto
Iran, Russia e Cina. Un nuovo
impero mongolo?
«Il centro della Chiesa? Non è la
Chiesa!». Papa Francesco a Budapest
e in Slovacchia
I 150 anni de «L’origine dell’uomo e
la selezione sessuale»
Il martirio di p. Olivier Maire
RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

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B E AT U S P OPU LU S , C U I U S D O M I N U S DE U S E I U S
SOMMARIO 4111

2/16 ottobre 2021


Quindicinale
Anno 172

3 DIALOGARE NELLA LAICITÀ?


La Civiltà Cattolica

10 «LA LIBERTÀ CI FA PAURA»


Conversazione di papa Francesco con i gesuiti slovacchi
Antonio Spadaro S.I.

17 CHE COS’È IL CAMMINO SINODALE? IL PENSIERO DI PAPA FRANCESCO


Santiago Madrigal S.I.

34 CONTRO LA CULTURA DELLO SCARTO NEL SETTORE ALIMENTARE


Wilfred Sumani S.I.

43 IRAN, RUSSIA E CINA


Può diventare realtà un «nuovo impero mongolo»?
Vladimir Pachkov S.I.

55 «IL CENTRO DELLA CHIESA? NON È LA CHIESA!»


Papa Francesco a Budapest e in Slovacchia
Antonio Spadaro S.I.

71 I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO E LA SELEZIONE SESSUALE» DI


CHARLES DARWIN
Johan Verschueren S.I.

88 IL MARTIRIO DI P. OLIVIER MAIRE


Giancarlo Pani S.I.

92 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA
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SOMMARIO 4111

EDITORIALE
3 DIALOGARE NELLA LAICITÀ?
La Civiltà Cattolica

Due eventi hanno riacceso il dibattito sulla laicità in Italia negli ultimi tempi: da una parte, la
discussione in Parlamento sul disegno di legge Zan; dall’altra, la raccolta firme per avanzare la
richiesta di referendum sul fine vita. Si sono levate voci a favore e voci contrarie e abbiamo assi-
stito a prese di posizione di bandiera; altre volte si sono manifestate opinioni sincere che faticano
a trovare spazi di incontro, perché dietro si nascondono barriere ideologiche o fondamentaliste. I
temi sull’etica e sulla vita diventano uno dei crinali su cui misurare il significato odierno di laicità.
In una società pluralista serve valorizzare la dimensione critica della laicità, promuovendo spazi di
dialogo alla ricerca di una continua approssimazione alla verità.

CONVERSAZIONI
10 «LA LIBERTÀ CI FA PAURA»
Conversazione di papa Francesco con i gesuiti slovacchi
Antonio Spadaro S.I.

Nel corso del viaggio apostolico a Budapest e in Slovacchia (12-15 settembre 2021), papa Fran-
cesco ha incontrato a Bratislava un gruppo di 53 gesuiti slovacchi. Come di consueto in queste
occasioni, il Pontefice non ha rivolto loro un discorso, ma si è prestato a rispondere alle domande
dei suoi confratelli in un clima di familiarità. Francesco, dopo aver dato una breve risposta sulla
sua salute, si è soffermato, tra l’altro, sul tema della paura della libertà nella Chiesa, ha suggerito
quattro tipi di vicinanza da coltivare nell’attività pastorale, ha condiviso il suo personale modo di
affrontare sospetti e «attacchi», ha invitato a fare attenzione alle astrazioni delle ideologie.

ARTICOLI
17 CHE COS’È IL CAMMINO SINODALE?
IL PENSIERO DI PAPA FRANCESCO
Santiago Madrigal S.I.

Per papa Francesco, «sinodalità» è una parola chiave, «il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa
del terzo millennio». Queste pagine si propongono di ripercorrere il «cammino sinodale» di Fran-
cesco, presentando i diversi aspetti della sua maniera di intendere la sinodalità a partire dai suoi
discorsi, dai suoi documenti e dai momenti cruciali del suo pontificato. Tra questi occupano un
posto eccezionale, accanto all’esortazione Evangelii gaudium, il suo discorso del 17 ottobre 2015 e la
costituzione apostolica Episcopalis communio (2018). L’Autore è professore di Teologia sistematica
alla Pontificia Università Comillas di Madrid e membro della Commissione Teologica del Sinodo.
NELLA COLLANA «ACCÈNTI» LE PAGINE DELLA CIVILTÀ CATTOLICA
CHE AIUTANO A CAPIRE IL PRESENTE

17

AFGHANISTAN

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SOMMARIO 4111

34 CONTRO LA CULTURA DELLO SCARTO NEL SETTORE


ALIMENTARE
Wilfred Sumani S.I.

Il mondo continua a sperimentare il paradosso della scarsità nell’abbondanza, della fame nell’ab-
bondanza, dell’indigenza nell’abbondanza. Il più delle volte la cultura dello scarto ostacola il
flusso dei beni necessari dai ricchi ai poveri, una realtà messa fortemente in risalto dalla parabola
del ricco e del povero (cfr Lc 16,19-31). Ma, attraverso il miracolo della moltiplicazione dei pani
per la moltitudine, Gesù propone un quadro di riferimento imperniato sulla cultura della con-
servazione. L’Autore è Direttore degli Affari accademici presso l’Università Cattolica del Malawi.

FOCUS
43 IRAN, RUSSIA E CINA
Può diventare realtà un «nuovo impero mongolo»?
Vladimir Pachkov S.I.

Proprio 800 anni fa nasceva l’Impero dei mongoli, che dominò l’intera Eurasia, dal Pacifico al Mar
Mediterraneo. Esso era costituito da tre parti diverse, ma interconnesse: la dinastia Yuan in Cina, l’Or-
da d’Oro nella regione dell’attuale Russia, e il Khanato di Persia. Dopo le sanguinose conquiste venne
l’era delle grandi rotte commerciali e degli scambi culturali. Questa storia sembra ripetersi ora con
l’Eurasia. Con l’emergere della Cina, si sta creando una nuova realtà in questa vasta area, in cui vengo-
no abbattuti i vecchi confini imperiali, ma anche quelli ideologici e religiosi. I partner più importanti
di tale progetto sono la Russia, l’Unione economica eurasiatica delle ex Repubbliche dell’Urss e l’Iran.

VITA DELLA CHIESA


55 «IL CENTRO DELLA CHIESA? NON È LA CHIESA!»
Papa Francesco a Budapest e in Slovacchia
Antonio Spadaro S.I.

Il 34° viaggio apostolico di papa Francesco si è svolto dal 12 al 15 settembre a Budapest, per la Mes-
sa conclusiva del 52° Congresso eucaristico internazionale, e in Slovacchia. Con questo viaggio si
conferma l’attenzione del Papa per i Paesi medio-piccoli e il suo sguardo attento che punta a Est.
Come pure si conferma il forte interesse per il futuro dell’Europa. Da notare che sia a Budapest sia
in Slovacchia il Pontefice ha incontrato i rappresentati del Consiglio ecumenico delle Chiese e quelli
della Comunità ebraica. Questi incontri ecumenici hanno dato un respiro profondo di fraternità, che
si è unito alla natura spirituale di questo viaggio, iniziato all’insegna dell’Eucaristia e conclusosi al
Santuario di Šaštín con un forte accento mariano. Francesco lo aveva anticipato all’ Angelus del 5 set-
tembre, affermando: «Saranno giorni segnati dall’adorazione e dalla preghiera nel cuore dell’Europa».
SOMMARIO 4111

PROFILO
71 I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO E LA SELEZIONE
SESSUALE» DI CHARLES DARWIN
Johan Verschueren S.I.

Quando, nel 1871, Charles Darwin pubblicò L’ origine dell’uomo e la selezione sessuale erano pas-
sati 33 anni da quando egli si era reso conto che anche la specie umana sottostava alle stesse leggi
dell’evoluzione per mezzo della selezione naturale e sessuale. L’articolo esamina i motivi per cui
Darwin ha aspettato tanti anni per pubblicare le sue teorie, descrivendo il quadro generale della
recezione della sua teoria dell’evoluzione e dell’origine dell’uomo in Europa, e in particolare in
Italia. Da questo studio emerge l’immagine di un uomo integro e prudente che si affidava sola-
mente al rigore scientifico, mantenendosi lontano dai dibattiti sociali, politici e religiosi che il suo
pensiero stava suscitando. L’Autore è il Delegato del Preposito generale della Compagnia di Gesù
per le Case internazionali dei gesuiti a Roma.

NOTE E COMMENTI
88 IL MARTIRIO DI P. OLIVIER MAIRE
Giancarlo Pani S.I.

Il 9 agosto 2021 è stato ucciso in Vandea p. Olivier Maire per mano di un ruandese richieden-
te asilo, che il religioso ospitava nella sua casa. Un nuovo anello si è aggiunto così a una catena
di assassinii che insanguinano la Chiesa cattolica, in particolare in Francia. Il sacerdote era
provinciale dei monfortani. L’omicidio non ha radici terroristiche né rivendicazioni islami-
che, ma è il gesto di un uomo psichicamente fragile e forse squilibrato mentale: egli era noto
alla polizia per aver appiccato il fuoco alla cattedrale di Nantes, dove era sacrestano. Per questo
omicidio è stata del tutto fuori luogo la strumentalizzazione politica della destra francese.

92 RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

Capitalismi e democrazie 98 - Capuzza V. 93 - Dalla Torre G. 100 - D’Angelo P. 95 - Fucecchi


A. 101 - Galli C. 97 - Nanni A. 101 - Tolone O. 92 - Trigilia C. 98
ANNO 172 2021
VOLUME QUARTO

QUADERNI
4111 4116

RIV ISTA INTERNAZIONALE DEI GESUITI

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE:
VIA DI PORTA PINCIANA, 1
00187 ROMA

B E AT U S P OPU LU S , C U I U S D O M I N U S DE U S E I U S
PROPR I ETÀ L ET T E R A R I A
DIALOGARE NELLA LAICITÀ?

Due eventi hanno riacceso il dibattito sulla laicità in Italia


negli ultimi tempi: da una parte, il dibattito parlamentare sul
disegno di legge Zan; dall’altra, la raccolta firme per avanzare la
richiesta di referendum sul fine vita. Si sono levate voci a favore
3
e voci contrarie, abbiamo assistito a prese di posizione di ban-
diera per cercare un’identità politica distintiva su temi che inve-
ce avrebbero bisogno di cercare aperti percorsi di convergenza.
Altre volte si sono manifestate opinioni sincere che faticano a
trovare spazi di incontro, perché dietro si nascondono barriere
ideologiche o fondamentaliste.
Il disegno di legge n. 2005, proposto dal deputato del Pd Ales-
sandro Zan, dopo il voto alla Camera dei deputati il 4 novembre
2020, è ora oggetto di un vivace dibattito al Senato. Il titolo del-
la proposta, «Misure di prevenzione e contrasto della discrimi-
nazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere,
sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità»,
annuncia una tematica importante e assai delicata. Al suo interno
sono compresi il rispetto delle diversità e della dignità di ogni
persona, la tutela dei più deboli e il contrasto alle discriminazioni.
Tuttavia il dibattito che è stato aperto ha sollevato alcuni punti che
stridono con altri diritti, come, ad esempio, la libertà di espressio-
ne del pensiero o la libertà educativa. D’altra parte, i temi affron-
tati dalla proposta di legge sollevano e stimolano una riflessione
sulla costruzione identitaria, sul processo di conoscenza del sé e
sull’interazione con il proprio corpo. La storia di oggi evidenzia
che il rapporto tra natura e cultura non può essere dato più per

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 3-9 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


EDITORIALE

scontato, e allo stesso tempo che ricorrere a soluzioni improvvisa-


te potrebbe essere inefficace.
La paura di rinviare ancora la decisione di voto sul decreto ha
indotto i proponenti e le forze che sostengono il disegno di legge
a chiudere la finestra a possibili modifiche e a chiedere di votare
il pacchetto senza cambiamenti, mentre le altre forze hanno au-
mentato l’ostruzionismo, presentando oltre 1.000 emendamenti. Il
percorso parlamentare è stato rimandato all’autunno.
In seguito, ad agosto ha conquistato spazio nelle pagine della
cronaca politica la campagna di raccolta firme per il referendum
«Eutanasia legale. Liberi fino alla fine». Il 16 agosto 2021 un articolo
di Cesare Zapperi sul Corriere della Sera titolava: «Eutanasia legale,
raccolte le 500 mila firme per il referendum». Il comitato promotore
4
annunciava che, attraverso la raccolta firme tradizionale e quella
online, in un mese e mezzo era stata superata la quota necessaria
indicata dall’art. 75 della Costituzione per avanzare la proposta.
Anche in questo caso, non sono mancate alcune osservazioni
sui contenuti di una legge che chiede di abrogare una parte dell’art.
579 del Codice penale, che prevede le pene per l’omicidio del con-
senziente, esclusi i minorenni e le persone psichicamente inferme
o coloro a cui il consenso sia stato estorto con violenza o con in-
ganno. I promotori si sentono sostenuti dalla sentenza 242 del 2019
della Corte Costituzionale, che ritiene parzialmente incostituziona-
le l’articolo 580 del codice penale. Tuttavia Giovanni Maria Flick,
presidente emerito della Corte Costituzionale, ha chiaramente af-
fermato, sulle colonne di Avvenire: «[La sentenza della Consulta] è
precisa: a fronte di un’ipotesi di reato per Marco Cappato per aiuto
al suicidio di dj Fabo, la Corte ritiene parzialmente incostituzionale
l’articolo 580 del Codice penale nella misura in cui non contempla
quattro circostanze in cui l’aiuto al suicidio andrebbe depenalizza-
to. Ricordo le quattro circostanze: la persona è affetta da patologie
irreversibili, prova sofferenza intollerabile, è tenuta in vita da trat-
tamenti di sostegno vitale ed è capace di prendere decisioni libere e
consapevoli. Attenzione, ricordiamolo, la Corte non reputa incosti-
tuzionale il reato di aiuto al suicidio in generale, giudica incostitu-
zionale la punizione dell’aiuto in presenza di queste quattro circo-
DIALOGARE NELLA LAICITÀ?

stanze» («Caos giuridico in vista. Flick: “Eutanasia, un referendum


ambiguo”», in Avvenire, 21 agosto 2021).
Nell’intervista si sollevavano, inoltre, alcuni dubbi formali e so-
stanziali, come, ad esempio, il riferimento all’articolo differente del
Codice penale, la richiesta della Corte di una parziale depenalizza-
zione dell’aiuto al suicidio e non la totale depenalizzazione dell’omi-
cidio del consenziente (cfr ivi).
D’altro canto, l’adesione alla proposta di referendum abrogativo
ha stimolato le forze politiche rappresentate in Parlamento, che si
sono affrettate a evidenziare l’esistenza di un progetto di legge in
discussione: una testimonianza è l’appello del presidente della Ca-
mera dei deputati, Roberto Fico, a riprendere il cammino del testo
base presente in Commissione Giustizia.
5
Ancora una volta nel dibattito pubblico sono riemerse le richie-
ste di distinguere i campi di intervento dello Stato e quelli della
Chiesa. La continua formulazione di leggi su questioni delicate,
dove è difficile delimitare i confini delle scelte, sottolinea la com-
plessità del dialogo e solleva interrogativi sui modi di comprendere
la laicità e sulle modalità con le quali essa si declina in Italia.

I TEMI SULL’ETICA E SULLA VITA DIVENTANO UNO


DEI CRINALI SU CUI MISURARE IL SIGNIFICATO
ODIERNO DI LAICITÀ.

Le ambiguità della laicità

I temi sull’etica e sulla vita diventano uno dei crinali su cui mi-
surare il significato odierno di laicità e affrontare le sue ambiguità,
perché aprono una frattura sul principio di separazione dei poteri
tra Stato e Chiesa. Tale principio è uno dei tratti distintivi della
laicità. Ha conosciuto un lungo percorso e nel tempo ha assunto
significati con sfumature differenti. Una delle sue tappe principali
è stato il trattato di Westfalia, e uno dei suoi punti di approdo suc-
cessivi è l’autonomia tra le istituzioni ecclesiali e politiche. Oggi,
nei dibattiti politici, quando si invoca la laicità, spesso si rivendica
EDITORIALE

proprio l’autonomia dello Stato: lo si vuole libero nelle sue decisioni


dalle interferenze delle comunità di fede.
La separazione dei poteri ha portato anche alla formulazione di
un’idea neutra di laicità. In questo caso lo Stato dovrebbe garantire
l’equidistanza rispetto a visioni ideologiche o religiose che favori-
rebbero l’una o l’altra parte. Però la neutralità rischia di portare a
una sterilizzazione culturale, dove parte delle motivazioni – quelle
legate a sistemi di credenze, di tradizioni, di costumi – dovrebbe
rimanere confinata nello spazio privato, mentre solo alcune – quelle
legate alla razionalità o alle evidenze scientifiche – avrebbero la ca-
pacità di reggere il confronto nello spazio pubblico. Ma nello spazio
vuoto, che viene riempito da ragioni diverse, si sviluppano pressioni
di potere, emergono zone di influenza dei vari esperti e delle varie
6
correnti culturali e comunità di appartenenza.
D’altronde, nella neutralità rimane il gioco dei poteri delle di-
verse realtà e organizzazioni che vivono in una società plurale: la
possibilità di condizionare il comportamento della gente attraverso
la formazione degli obblighi nell’ordinamento giuridico e/o attra-
verso quella dell’indicazione delle norme morali. L’atmosfera aset-
tica da laboratorio non è riproducibile nella vita concreta e nelle
relazioni. E la conflittualità tra la priorità di un valore su un altro,
uscita dalla porta, rientra dalla finestra.
La società democratica si alimenta della partecipazione dei cit-
tadini, che non sono neutrali e non sono monadi. Ognuno di noi si
confronta con valori, con princìpi, con tradizioni, con innovazioni
culturali e scientifiche, con le proprie comunità di appartenenza (fa-
miliare, religiosa, civile, lavorativa). Dentro questa cornice passano il
nostro discernimento e la nostra capacità di scelta. Quindi, laicità non
può essere neutralità vuota, ma spazio pieno di confronto. È all’inter-
no di esso che si giocano la libertà di manifestare il proprio pensiero
o di credere in una religione, di dare ragione delle proprie speranze.
Un secondo approccio alla laicità può aiutare ad arginare i limiti
della neutralità: esso chiede di vedere la realtà con lo sguardo dell’os-
servatore critico, per ricercare la verità con la capacità di intercettare i
pregiudizi, di riconoscere gli stereotipi, di essere consapevoli della ca-
ducità delle conoscenze e di essere prudenti nell’accogliere le innova-
zioni. Il filosofo francese Edgar Morin invita a rinnovare il significato
DIALOGARE NELLA LAICITÀ?

per rispondere alle nuove sfide della storia: «All’origine della laicità nata
dal Rinascimento sta la problematizzazione che interroga il mondo, la
natura, la vita, l’uomo, Dio. […] La nostra laicità dell’inizio del seco-
lo ha potuto credere che la scienza, la ragione, il progresso avrebbero
portato le soluzioni a tutti questi interrogativi. Oggi non bisogna più
problematizzare solo l’uomo, la natura, il mondo, Dio, ma si devono
problematizzare anche il progresso, la scienza, la tecnica, la ragione. La
nuova laicità deve problematizzare la scienza, rivelandone le profonde
ambivalenze; deve problematizzare la ragione, opponendo la razionali-
tà aperta alla razionalità chiusa; deve problematizzare il progresso, che
dipende non da una necessità storica, ma dalla volontà cosciente degli
umani. Così una laicità rigenerata creerebbe forse le condizioni di un
nuovo Rinascimento» (E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’inse-
7
gnamento e riforma del pensiero, Milano, Raffaello Cortina, 1999, 108).
Così il fine vita o il processo di conoscenza di sé diventano una
cartina al tornasole per verificare lo stato di maturazione della lai-
cità in Italia, perché toccano insieme grandi temi e la vita delle
persone. Da un lato, essi mostrano i progressi delle tecniche scienti-
fiche e delle cure mediche che aumentano la possibilità di assistere le
persone malate e rendono sempre più difficile determinare i limiti
tra percorso terapeutico e accanimento e cure palliative; dall’altro, i
percorsi di acquisizione di conoscenza di sé, di socializzazione e di
individualizzazione sono sempre più articolati e mettono in discus-
sione i modelli di ordine di genere, così come le organizzazioni so-
ciali li hanno storicamente costruiti, e interrogano il rapporto delle
persone con il proprio corpo in modi non scontati.
Dentro queste periferie esistenziali il dialogo dovrebbe esse-
re uno spazio all’interno del quale poter accogliere la pluralità e
le differenze e iniziare a costruire itinerari comuni possibili. In
questi casi, forse, non sono le leggi precise e specifiche a essere le
più utili, perché esse tracciano confini definiti, delimitano e cir-
coscrivono le azioni.

Per una laicità del dialogo

Quando si valorizza la dimensione critica della laicità, non è


più possibile alzare argini e confinare alcune posizioni. È impor-
EDITORIALE

tante promuovere il dialogo nella ricerca di una continua appros-


simazione della verità. Si può prendere atto di una società plura-
le e multiculturale e di una specificità italiana, che parla di una
Repubblica fondata su un Patto costituzionale, di un Concordato
con la Chiesa, delle diverse intese stipulate con altre comunità
religiose presenti sul territorio nazionale. Un percorso storico che
riconosce la presenza nello spazio pubblico delle religioni, nel ri-
spetto della storia e della tradizione del Paese, che ne dovrebbe
valorizzare il contributo culturale e non soltanto quello sociale
sostenuto da associazioni, scuole, centri assistenziali e sociosanita-
ri di ispirazione confessionale.
Il nostro tempo propone la crescita di una società pluralista, che
mette a costante confronto i credenti cattolici, i credenti di altre
8
fedi, gli atei e gli agnostici. Serve un contesto che alimenti l’incon-
tro delle diverse appartenenze e identità. Abitiamo una società che
proietta l’incontro-scontro non soltanto sui grandi temi e ideali,
ma nella pratica quotidiana. La laicità critica e dialogante può fa-
vorire un’atmosfera culturale che superi l’ottocentesca opposizio-
ne tra civile e religioso, che sia in grado di andare oltre l’idea che
privatizzare la propria confessione di fede sia un tassello essenziale
alla neutralità dello Stato (cfr C. C. Canta - A. Casavecchia - M. S.
Loperfido - M. Pepe, Laicità in dialogo. I volti della laicità nell’Italia
plurale, Caltanissetta, Sciascia, 2011).
Per facilitare il dialogo costruttivo serve una laicità capace di
costruire uno spazio di convivenza in cui si sperimenti un rico-
noscimento reciproco, che possa comporre la concretezza del lin-
guaggio scientifico con le proposte di orizzonte di senso per la
vita. Una laicità del dialogo è una sfida aperta e imprevedibile,
nella quale non si rinuncia alle proprie caratteristiche identitarie,
ma le si proietta in avanti.
D’altronde il dialogo è uno stile, come ha evidenziato papa
Francesco durante il Convegno ecclesiale di Firenze: «Vi racco-
mando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di in-
contro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare
la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo.
Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei
dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti.
DIALOGARE NELLA LAICITÀ?

Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si


dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo
temerlo né ignorarlo, ma accettarlo. Accettare di sopportare il con-
flitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un
nuovo processo. […] La società italiana si costruisce quando le sue
diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo:
quella popolare, quella accademica, quella giovanile, quella artisti-
ca, quella tecnologica, quella economica, quella politica, quella dei
media... La Chiesa sia fermento di dialogo, di incontro, di unità.
Del resto, le nostre stesse formulazioni di fede sono frutto di un
dialogo e di un incontro tra culture, comunità e istanze differenti.
Non dobbiamo aver paura del dialogo: anzi è proprio il confronto
e la critica che ci aiuta a preservare la teologia dal trasformarsi in
9
ideologia» (Francesco, «Discorso in occasione dell’“Incontro con i
rappresentanti del V Convegno Nazionale della Chiesa Italiana”»,
Firenze, 10 novembre 2015, in www.vatican.va).
CONVERSAZIONI

«LA LIBERTÀ CI FA PAURA»


Conversazione di papa Francesco
con i gesuiti slovacchi
Antonio Spadaro S.I.

Bratislava, domenica 13 settembre 2021, ore 17,30. Papa Francesco


ha appena concluso in Nunziatura l’incontro con i rappresentanti del
Consiglio Ecumenico delle Chiese. Il tempo di sistemare le sedie dopo
il momento precedente, ed ecco 53 gesuiti slovacchi prendono posto nella
10
sala. Francesco entra e saluta: «Buonasera e benvenuti! Grazie per que-
sta visita. Non sapevo che ci fossero tanti gesuiti qui in Slovacchia. Si
vede che “la peste” si espande dappertutto». Il gruppo scoppia in una ri-
sata. Francesco chiede domande, perché, afferma provocando nuovamente
una risata, «io davvero non me la sento di fare un discorso ai gesuiti».
Il Provinciale della Provincia slovacca ha rivolto al Papa alcune pa-
role di saluto: «Padre, voglio ringraziarla di tutto cuore per questo invito
che è stata una sorpresa per noi. È un incoraggiamento per la nostra
vita comunitaria e pastorale. In Slovacchia ci sono tanti gesuiti. Volevo
confermare che la Compagnia vuole essere a disposizione sua e per le
necessità della Chiesa».
Il Papa risponde con una battuta: «Grazie. L’idea di invitare i gesuiti
nei miei viaggi apostolici è di p. Spadaro perché così lui ha materiale per
fare un articolo per “La Civiltà Cattolica”, che pubblica sempre queste
conversazioni!». E prosegue: «Ecco aspetto le domande. Buttate il pallo-
ne al portiere. Dai!».

Un gesuita chiede: «Come sta?».


Ancora vivo. Nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci
sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa
fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave.
Pazienza! Grazie a Dio, sto bene. Fare quell’intervento chirurgico è
stata una decisione che io non volevo prendere: è stato un infermie-

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 10-16 | 4111 (2-16 ottobre 2021)


CONVERSAZIONE DI PAPA FRANCESCO CON I GESUITI SLOVACCHI

re a convincermi. Gli infermieri a volte capiscono la situazione più


dei medici perché sono in contatto diretto con i pazienti.

Un gesuita che ha lavorato per quasi 15 anni alla Radio Vaticana


chiede che cosa i gesuiti devono avere a cuore per il lavoro pastorale in
Slovacchia.
A me viene sempre in mente una parola: «vicinanza».
Vicinanza con Dio, innanzitutto: non lasciare la preghiera!
La preghiera vera, del cuore, non quella formale che non tocca
il cuore. La preghiera che lotta con Dio, e che conosce il deserto
dove non si sente nulla. Vicinanza con Dio: lui ci aspetta sempre.
Potremmo avere la tentazione di dire: non posso pregare perché
sono indaffarato. Ma anche lui è indaffarato. Lo è stando accanto
11
a te, aspettandoti.
Secondo: vicinanza tra voi, l’amore tra i fratelli, l’amore au-
stero dei gesuiti che è molto fine, caritatevole, ma anche austero:
amore di uomini. A me fa male quando sia voi sia altri sacerdoti
si «spellano» tra loro. E questo blocca, non fa andare avanti. Ma
questi problemi c’erano sin dall’inizio della Compagnia. Pensia-
mo, ad esempio, alla pazienza che Ignazio ha avuto con Simone
Rodriguez. È difficile fare comunità, ma la vicinanza tra voi è
davvero importante.
Terzo: vicinanza al vescovo. È vero che ci sono vescovi che non
ci vogliono, è una verità, sì. Ma non si trovi un gesuita che sparli
del vescovo! Se un gesuita la pensa diversamente dal vescovo e ha
coraggio, allora vada dal vescovo e gli dica le cose che pensa. E
quando dico vescovo, dico anche il Papa.
Quarto: vicinanza al popolo di Dio. Dovete essere come ci aveva
detto Paolo VI il 3 dicembre del 1974: dove ci sono incroci di strade,
di idee, lì ci sono i gesuiti. Leggete bene e meditate quel discorso di
Paolo VI alla Congregazione Generale XXXII: è la cosa più bella
che un Papa abbia detto ai gesuiti. È vero che, se noi siamo davvero
uomini che vanno agli incroci e ai limiti, creeremo problemi. Ma
quello che ci salverà dal cadere nelle ideologie stupide è la vicinanza
al popolo di Dio. E così potremo andare avanti e col cuore aper-
to. Certo, può darsi che qualcuno di voi si entusiasmi e poi arrivi
il Provinciale a fermarlo, dicendo: «No, questo non va». E allora
CONVERSAZIONI

bisogna andare avanti con la disponibilità ad essere obbediente. La


vicinanza al popolo di Dio è tanto importante perché ci «inquadra».
Non dimenticate mai da dove siamo stati estratti, da dove veniamo:
il nostro popolo. Ma se noi ci stacchiamo e andiamo verso una…
universalità eterea, allora perdiamo le radici. Le nostre radici sono
nella Chiesa, che è il popolo di Dio.
Dunque, ecco vi chiedo quattro vicinanze: con Dio, tra voi,
con i vescovi e il Papa, e quella con il popolo di Dio, che è la più
importante.

Un gesuita prende la parola e ricorda che lì ci sono una ventina di


religiosi ordinati preti clandestinamente, come lo è stato lui. Afferma che
è stata una bellissima esperienza per loro essere cresciuti nel mondo del
12
lavoro…
Il lavoro per guadagnarsi il pane… il lavoro manuale o intel-
lettuale è lavoro, è salute. E il popolo di Dio, se non lavora, non
mangia…

Uno dei presenti esordisce dicendo: «Io sono due anni più giovane di
lei», e il Papa risponde alla battuta: «… ma non sembra! Tu ti trucchi!».
E gli altri ridono. Prosegue: «Nel 1968 sono entrato nella Compagnia
di Gesù da profugo. Sono stato membro della Provincia svizzera per 48
anni, e ora da 5 anni sono qui. Ho vissuto in Chiese molto diverse. Oggi
vedo che molti vogliono tornare indietro o cercano certezze nel passato.
Sotto il comunismo ho sperimentato la creatività pastorale. Alcuni addi-
rittura dicevano che non si poteva formare un gesuita durante il comu-
nismo, ma altri invece lo hanno fatto e noi siamo qui. Quale visione di
Chiesa possiamo seguire?».
Tu hai detto una parola molto importante, che individua la
sofferenza della Chiesa in questo momento: la tentazione di tor-
nare indietro. Stiamo soffrendo questo oggi nella Chiesa: l’ideo-
logia del tornare indietro. È una ideologia che colonizza le menti.
È una forma di colonizzazione ideologica. Non è un problema
davvero universale, ma piuttosto specifico delle Chiese di alcu-
ni Paesi. La vita ci fa paura. Ripeto una cosa che ho detto già al
gruppo ecumenico che ho incontrato qui prima di voi: la libertà
ci fa paura. In un mondo che è così condizionato dalle dipendenze
CONVERSAZIONE DI PAPA FRANCESCO CON I GESUITI SLOVACCHI

e dalla virtualità ci fa paura essere liberi. Nell’incontro precedente


prendevo come esempio Il grande inquisitore di Dostoevskij: trova
Gesù e gli dice: «Perché hai dato la libertà? È pericolosa!». L’inqui-
sitore rimprovera Gesù di averci dato la libertà: sarebbe bastato un
po’ di pane e nulla di più. Per questo oggi si torna al passato: per
cercare sicurezze. Ci fa paura celebrare davanti al popolo di Dio
che ci guarda in faccia e ci dice la verità. Ci fa paura andare avanti
nelle esperienze pastorali. Penso al lavoro che è stato fatto – padre
Spadaro era presente – al Sinodo sulla famiglia per far capire che
le coppie in seconda unione non sono già condannate all’inferno.
Ci fa paura accompagnare gente con diversità sessuale. Ci fanno
paura gli incroci dei cammini di cui ci parlava Paolo VI. Questo
è il male di questo momento. Cercare la strada nella rigidità e nel
13
clericalismo, che sono due perversioni. Oggi credo che il Signore
chieda alla Compagnia di essere libera, con preghiera e discerni-
mento. È un’epoca affascinante, di un fascino bello, fosse anche
quello della croce: bello per portare avanti la libertà del Vangelo.
La libertà! Questo tornare indietro lo potete vivere nella vostra
comunità, nella vostra Provincia, nella Compagnia. Occorre stare
attenti e vigilare. La mia non è una lode all’imprudenza, ma vo-
glio segnalarvi che tornare indietro non è la strada giusta. Lo è,
invece, andare avanti nel discernimento e nell’obbedienza.

CI FA PAURA CELEBRARE DAVANTI AL POPOLO DI


DIO CHE CI GUARDA IN FACCIA E CI DICE LA VERITÀ.

Un gesuita chiede a Francesco come vede la Compagnia oggi. Parla


di una certa mancanza di fervore, di una volontà di cercare sicurezze più
che di andare negli incroci, come chiedeva Paolo VI, perché non è facile.
No, facile certo non è. Ma quando si sente che manca il fer-
vore, si deve fare un discernimento per capire il perché. Ne devi
parlare con i tuoi fratelli. La preghiera aiuta a capire se e quando
manca il fervore. Bisogna parlarne ai fratelli, ai superiori e poi
devi fare un discernimento per verificare se è una desolazione
solo tua o è una desolazione più comunitaria. Gli Esercizi ci
danno la possibilità di trovare risposte a domande come questa.
CONVERSAZIONI

Io sono convinto che noi non conosciamo bene gli Esercizi. Le


annotazioni e le regole del discernimento sono un vero tesoro.
Dobbiamo conoscerle meglio.

Uno dei presenti ricorda che il Papa parla spesso delle colonizzazio-
ni ideologiche che sono diaboliche. Fa riferimento, tra le altre, a quella
del «gender».
L’ideologia ha sempre il fascino diabolico, come dici tu, per-
ché non è incarnata. In questo momento viviamo una civiltà del-
le ideologie, questo è vero. Dobbiamo smascherarle alle radici. La
ideologia del «gender» di cui tu parli è pericolosa, sì. Così come
io la intendo, lo è perché è astratta rispetto alla vita concreta di
una persona, come se una persona potesse decidere astrattamente a
14
piacimento se e quando essere uomo o donna. L’astrazione per me
è sempre un problema. Questo non ha nulla a che fare con la que-
stione omosessuale, però. Se c’è una coppia omosessuale, noi possia-
mo fare pastorale con loro, andare avanti nell’incontro con Cristo.
Quando parlo dell’ideologia, parlo dell’idea, dell’astrazione per cui
tutto è possibile, non della vita concreta delle persone e della loro
situazione reale.

Un gesuita ringrazia il Papa per le sue parole dedicate al dialogo


ebraico-cristiano.
Il dialogo va avanti. Bisogna assolutamente evitare che ci siano
interruzioni, che il dialogo si spezzi, si interrompa per fraintendi-
menti, come a volte accade.

Uno dei partecipanti parla al Papa della situazione della Chiesa


slovacca e delle tensioni interne. Alcuni lo vedono addirittura come ete-
rodosso, altri invece lo idealizzano. Noi gesuiti – afferma – cerchiamo
di superare questa divisione. Chiede: «Lei come affronta la gente che la
guarda con sospetto?».
Per esempio, c’è una grande televisione cattolica che continua-
mente sparla del Papa senza porsi problemi. Io personalmente pos-
so meritarmi attacchi e ingiurie perché sono un peccatore, ma la
Chiesa non si merita questo: è opera del diavolo. Io l’ho anche detto
ad alcuni di loro.
CONVERSAZIONE DI PAPA FRANCESCO CON I GESUITI SLOVACCHI

Sì, ci sono anche chierici che fanno commenti cattivi sul mio
conto. A me, a volte, viene a mancare la pazienza, specialmente
quando emettono giudizi senza entrare in un vero dialogo. Lì non
posso far nulla. Io comunque vado avanti senza entrare nel loro
mondo di idee e fantasie. Non voglio entrarci e per questo prefe-
risco predicare, predicare… Alcuni mi accusavano di non parlare
della santità. Dicono che parlo sempre del sociale e che sono un
comunista. Eppure ho scritto una Esortazione apostolica intera sulla
santità, la Gaudete et exsultate.
Adesso spero che con la decisione di fermare l’automatismo del
rito antico si possa tornare alle vere intenzioni di Benedetto XVI e
di Giovanni Paolo II. La mia decisione è il frutto di una consulta-
zione con tutti i vescovi del mondo fatta l’anno scorso. Da adesso
15
in poi chi vuole celebrare con il vetus ordo deve chiedere permesso
a Roma come si fa col biritualismo. Ma ci sono giovani che dopo
un mese di ordinazione vanno dal vescovo a chiederlo. Questo è un
fenomeno che indica che si va indietro.
Un cardinale mi ha detto che sono andati da lui due preti ap-
pena ordinati chiedendo di studiare il latino per celebrare bene.
Lui, che ha senso dello humor, ha risposto: «Ma in diocesi ci sono
tanti ispanici! Studiate lo spagnolo per poter predicare. Poi quan-
do avrete studiato lo spagnolo, tornate da me e vi dirò quanti viet­
namiti ci sono in diocesi, e vi chiederò di studiare il vietnamita.
Poi, quando avrete imparato il vietnamita, vi darò il permesso di
studiare anche il latino». Così li ha fatti «atterrare», li ha fatti tor-
nare sulla terra. Io vado avanti, non perché voglia fare la rivoluzio-
ne. Faccio quello che sento di dover fare. Ci vuole molta pazienza,
preghiera e molta carità.

Un gesuita parla della paura diffusa dei rifugiati.


Io credo che bisogna accogliere i migranti, ma non solo: oc-
corre accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Servono
tutti e quattro questi passaggi per accogliere veramente. Ogni
Pae­se deve sapere fino a quanto può farlo. Lasciare i migranti sen-
za integrazione è lasciarli nella miseria, equivale a non accoglierli.
Ma bisogna studiare bene il fenomeno e capirne le cause, special-
mente quelle geopolitiche. Occorre capire quel che succede nel
CONVERSAZIONI

Mediterraneo e quali sono i giochi delle potenze che si affacciano


su quel mare per il controllo e il dominio. E capire il perché e
quali sono le conseguenze.

Mons. Datonou, il responsabile dell’organizzazione del viag-


gio, viene a dire al Papa che è tempo di andare. Francesco guarda
l’orologio e sta per alzarsi e salutare, quando un gesuita gli dice:
«Santo Padre, un’ultima cosa: sant’Ignazio dice che bisogna sentire
e gustare le cose internamente. L’aspetta la cena. Assapori qualcosa
della cucina slovacca!». Il Papa ride e dice che vedrà che cosa hanno
preparato per cena.
Seguono le fotografie. Il gruppo è grande, e quindi i gesuiti si
dividono per comunità e ciascuna di esse fa una foto con Francesco.
16
L’incontro si conclude con una «Ave Maria» e la benedizione finale.

***

Il 14 settembre vi è stato un secondo, brevissimo incontro con


i gesuiti a Prešov, subito dopo la celebrazione della Divina liturgia.
Infatti, il Papa, su invito di un gesuita incontrato in Nunziatura a
Bratislava, ha fatto visita al personale della casa di Esercizi spiritua-
li che non poteva partecipare alla celebrazione perché impegnato
nella preparazione dell’ospitalità per i vescovi presenti. Alla fine,
Francesco ha salutato in piedi sul portico anche i gesuiti che com-
pongono la comunità locale.
CHE COS’È IL CAMMINO SINODALE?
IL PENSIERO DI PAPA FRANCESCO

Santiago Madrigal S.I.

La Chiesa di Dio è convocata in Sinodo. Il cammino, dal tito-


lo «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione»,
si aprirà solennemente il 9-10 ottobre 2021 a Roma e il 17 ottobre
seguente in ogni Chiesa particolare. Il 7 marzo 2020 era stato dato
17
l’annuncio che Francesco voleva tenere la XVI Assemblea generale
ordinaria del Sinodo dei vescovi nell’ottobre 2022, sul tema «Per una
Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». A fine mag-
gio scorso il card. Mario Grech aveva reso noto che l’Assemblea sareb-
be stata rimandata di un anno, al 2023, in parte per ragioni sanitarie,
ma soprattutto per favorire una modalità diversa e inedita. Essa è stata
pensata in tre fasi, distribuite tra ottobre 2021 e ottobre 2023: la pri-
ma sarà diocesana, la seconda continentale e la terza universale. Tale
metodologia, che prevede l’elaborazione di due Instrumentum laboris
diversi, vuole coinvolgere tutto il popolo di Dio in questo processo
sinodale, le cui chiavi sono partecipazione, ascolto e discernimento.

«La storia che dobbiamo contemplare»

Ricordiamo le prime parole del pontificato di papa Francesco,


pronunciate dalla loggia di San Pietro la sera del 13 marzo 2013,
subito dopo l’elezione: «E adesso, incominciamo questo cammino:
vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è
quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fra-
tellanza, di amore, di fiducia tra noi»1. Il Papa ha utilizzato per tre
volte la parola «cammino». Come ricorda la Commissione teologica
internazionale, «cammino» fa parte della radice della parola greca

1. Primo saluto del Santo Padre Francesco, 13 marzo 2013.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 17-33 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


ARTICOLI

synodos, che, composta dalla preposizione syn e dal sostantivo ho-


dos, indica il cammino che i membri del popolo di Dio percorrono
assieme2. Mettendo in relazione queste due considerazioni, ricavia-
mo che «cammino sinodale» significa discernimento e ricerca della
volontà di Dio, non soltanto a titolo personale, ma come comunità
cristiana, in coerenza con il suggerimento di san Giovanni Criso-
stomo: «Chiesa è nome che sta per sinodo».
Abbiamo voluto rievocare le parole iniziali del pontificato di
Francesco, per sottolineare che la sinodalità è la parola chiave della
sua concezione del ministero del vescovo di Roma ed è, allo stesso
tempo, il fondamento della sua prospettiva ecclesiologica, guidata
da questa convinzione: «Il cammino della sinodalità è il cammino
che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio»3.
18

«IL CAMMINO DELLA SINODALITÀ È IL CAMMINO


CHE DIO SI ASPETTA DALLA CHIESA DEL TERZO
MILLENNIO».

Come scrive il teologo Eloy Bueno, «la sinodalità è una catego-


ria che nell’ambito ecclesiale aveva già assunto diritto di cittadinan-
za, ma all’interno di un’innegabile ambiguità concettuale e termi-
nologica. Francesco vi introduce criteri di discernimento e traccia
la via da seguire»4. D’altra parte, l’accento posto sulla sinodalità, as-
sociata all’idea di una riforma della «Chiesa in uscita», missionaria,
ha introdotto nel corpo ecclesiale una dinamica di innovazione che
ha fatto parlare di una nuova fase di recezione del Vaticano II5.
In queste pagine, come suggerisce il titolo, vogliamo percorrere
il «cammino sinodale di Francesco» presentando i vari aspetti del

2. Cfr Commissione teologica internazionale, La sinodalità nella vita e


nella missione della Chiesa, 2 marzo 2018.
3. Francesco, Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sino-
do dei vescovi, 17 ottobre 2015.
4. E. Bueno, Eclesiología del Papa Francisco. Una Iglesia bautismal y sinodal,
Burgos, Fonte, 2018, 203.
5. Cfr S. Madrigal, «¿Una nueva fase en la recepción del Concilio?», in R.
Luciani - M. T. Compte (edd.), En camino hacia una Iglesia sinodal. De Pablo VI a
Francisco, Madrid, PPC, 2020, 49-76.
IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

suo modo di intendere la sinodalità, a partire dai suoi discorsi e do-


cumenti e dai momenti cruciali del suo pontificato6.
Il cammino della sinodalità di papa Bergoglio – «la storia che
dobbiamo contemplare», per dirla in termini ignaziani – viene de-
finito da queste due pietre miliari: al punto di partenza troviamo il
suo documento programmatico, l’esortazione apostolica Evangelii
gaudium (EG) (24 novembre 2013) e all’altro estremo c’è la celebra-
zione del Sinodo per l’Amazzonia (2019). Per l’ottobre 2023 è stata
annunciata la prossima Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei
vescovi, dedicata proprio alla sinodalità.
Nel ripercorrere questo cammino procederemo per tappe. Anzitut-
to è necessario risalire ai precedenti, ossia alla riscoperta della collegialità
e della sinodalità avvenuta nello sviluppo interno del Concilio Vaticano
19
II. In secondo luogo, si deve prestare attenzione all’esortazione aposto-
lica Evangelii gaudium alla luce dell’interrogativo: come la sinodalità è
presente in questo documento? In terzo luogo, dobbiamo osservare la
prassi sinodale promossa dal Papa, attirando l’attenzione su questo fatto:
tra l’assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi del 2014 e quella
ordinaria del 2015, entrambe dedicate al matrimonio e alla famiglia, si
colloca il discorso che Francesco ha pronunciato il 17 ottobre 2015 per
commemorare il cinquantesimo anniversario dell’ Apostolica sollicitudo,
il «motu proprio» con cui san Paolo VI dispose la creazione del Sinodo
dei vescovi. Un ulteriore apporto di Francesco a tale tema è venuto dal-
la costituzione apostolica Episcopalis communio (EC), del 15 settembre
2018, che propone un rinnovamento del funzionamento del Sinodo dei
vescovi al servizio della riforma della Chiesa.

Il Vaticano II e l’istituzione del Sinodo dei vescovi

Come ricorda il documento della Commissione teologica inter-


nazionale, al n. 6, benché il concetto di sinodalità non si ritrovi espli-
citamente nell’insegnamento del Concilio Vaticano II, esso è al cen-
tro dell’opera di rinnovamento che il Concilio ha promosso. Nei testi
conciliari la parola synodus viene riferita al Concilio in corso, sicché

6. Cfr Id., De pirámides y poliedros. Señas de identidad del pontificado de Fran-


cisco, Santander, Sal Terrae, 2020.

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quello ecumenico appare come l’espressione più alta della sinodalità.


In questo senso, il Vaticano II, in quanto evento e nuovo inizio, ha
riaperto il capitolo della conciliarità o sinodalità essenziale della Chiesa
e, ricordando la costituzione di Sinodi, Concili provinciali, Concili
plenari fin dai primi secoli, ha incoraggiato a promuovere e a favorire
questo tipo di istituzioni (cfr Christus Dominus, n. 36).
In questa cornice generale va inserita l’istituzione del Sinodo dei ve-
scovi, voluta da Paolo VI tramite il «motu proprio» Apostolica sollicitudo,
del 15 settembre 1965. Nel decreto Christus Dominus, al n. 5, ne tro-
viamo tratteggiate la natura e la funzione, che comportano un ricono-
scimento del ruolo dei vescovi nel governo centrale della Chiesa: «Una
più efficace collaborazione al supremo pastore della Chiesa la possono
prestare, nei modi dallo stesso romano Pontefice stabiliti o da stabilirsi,
20
i vescovi scelti da diverse regioni del mondo, riuniti nel consiglio pro-
priamente chiamato “Sinodo dei vescovi”. Tale Sinodo, rappresentando
tutto l’episcopato cattolico, è un segno che tutti i vescovi sono partecipi
in gerarchica comunione della sollecitudine della Chiesa universale».
Nel discorso del 18 novembre 1965 all’assemblea conciliare, Paolo
VI annunciò l’intenzione di convocare presto il Sinodo dei vescovi,
una volta concluso il Concilio. L’approvazione del regolamento del Si-
nodo avvenne l’8 dicembre 1966, e la prima assemblea si tenne dal 29
settembre al 29 ottobre 1967. Fu dedicata a La preservazione ed il raf-
forzamento della fede cattolica, la sua integrità, il suo vigore, il suo sviluppo,
la sua coerenza dottrinale e storica. Due anni dopo si tenne la prima as-
semblea straordinaria, sulla cooperazione tra la Santa Sede e le Confe-
renze episcopali. Nel 1971 ebbe luogo la seconda assemblea ordinaria,
che affrontò due temi: Il sacerdozio ministeriale e la giustizia nel mondo.
Paolo VI convocò altre due assemblee: nel 1974 su L’ evangelizzazione
­
nel mondo moderno, e nel 1977 su La catechesi nel nostro tempo.
San Giovanni Paolo II intese incentivare i Sinodi dei vescovi,
che considerava uno strumento privilegiato per l’esercizio del pri-
mato7. Egli volle dare impulso all’accoglienza del Vaticano II e alla

7. Ricordiamo innanzitutto il secondo Sinodo straordinario, particolarmen-



te significativo perché dedicato all’applicazione e alla promozione del Vaticano II
(1985). Quanto a quelli ordinari, sotto il suo pontificato, hanno affrontato altri temi
importanti: La famiglia cristiana (1980); La penitenza e la riconciliazione nella mis-
sione della Chiesa (1983); La vocazione e la missione dei laici nella Chiesa e nel mondo

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IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

preparazione del Grande Giubileo del 2000 tramite «la serie di Si-
nodi, iniziata dopo il Concilio Vaticano II: Sinodi generali e Sinodi
continentali, regionali, nazionali e diocesani». Così egli si esprime-
va nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente (TMA) (1994),
mettendo in luce che «il tema di fondo è quello dell’evangelizzazio-
ne», le cui basi erano state poste dall’Esortazione apostolica Evangelii
nuntiandi di Paolo VI (cfr TMA 21). In quello stesso anno, in una
celebre intervista, aveva parlato di «metodo sinodale»8. Queste espe-
rienze sinodali, nella loro varietà e diversa ampiezza (assemblee or-
dinarie, straordinarie, speciali, continentali e diocesane), aprirono la
via alla visione della Chiesa in chiave sinodale. Pertanto, sulla soglia
del terzo millennio la sinodalità si era trasformata «in una categoria
chiave, nel punto di arrivo dell’ecclesiologia postconciliare»9.
21
Proseguendo sulla stessa linea, Benedetto XVI convocò tre assem-
blee. Le prime due furono, nel 2005, L’ Eucaristia fonte e culmine della
vita e della missione della Chiesa e, nel 2008, La Parola di Dio nella vita e
nella missione della Chiesa. La terza si svolse nell’ottobre 2012, dedicata
a La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana.
Dopo le storiche dimissioni del Papa tedesco, avvenute nel feb ­

braio 2013, il suo successore ha pubblicato la sua esortazione apostolica


Evangelii gaudium (EG). In questo modo Francesco entrava in azione
con il suo documento programmatico, incentrato sull’«annuncio del
Vangelo nel mondo attuale», che si poneva consapevolmente nella scia
dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (EN) (1975) di Paolo VI.
Da ciò si può trarre la conclusione che il punto di inserzione di
questo pontificato nel processo di accoglienza del Vaticano II si collo-
ca nella sequenza dei Sinodi dei vescovi. Non per nulla il decreto Ad

(1987); La formazione dei sacerdoti nelle circostanze attuali (1991); La vita consacrata
e la sua missione nella Chiesa e nel mondo (1994); Il vescovo servitore del Vangelo di
Gesù Cristo per la speranza del mondo (2001). Accanto alle assemblee generali vanno
ricordate quelle speciali di carattere continentale: Libano (1995), America (1997),
Asia (1998), Oceania (1998), Europa (1999) ecc. Cfr D. Vitali, «Sinodalidad. De
“Apostolica sollicitudo” a “Episcopalis communio”», in R. Luciani - M. T. Compte
(edd.) En camino hacia una Iglesia sinodal, cit., 33 s.
8. Giovanni Paolo II - V. Messori, Varcare la soglia della speranza, Milano,

Mondadori, 1994, 178.


9. E. Bueno - R. Calvo, Una Iglesia sinodal: Memoria y profecía, Madrid,

BAC, 2000, 41.

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gentes (AG) (7 dicembre 1965) ha stabilito la connessione tra l’attività


missionaria e la nuova istituzione avviata da Paolo VI: «Il compito
di annunciare dappertutto nel mondo il Vangelo riguarda primaria-
mente il collegio episcopale (cfr LG 23), il Sinodo dei vescovi, cioè “la
commissione permanente dei vescovi per la Chiesa universale”, tra gli
affari di importanza generale deve seguire con particolare sollecitudi-
ne l’attività missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della Chie-
sa» (AG 29). Come vedremo, il Papa argentino ha dato nuova spinta a
questa istituzione, che ha definito come «una delle più preziose eredità
del Concilio Vaticano II»10.
D’altra parte, è importante aggiungere un altro dato che ci avvici-
na alla biografia di Francesco: la sinodalità latinoamericana. Bergoglio
proviene da una tradizione interpretativa del Vaticano II che scorre al
22
ritmo della dinamica sinodale del Consiglio episcopale latinoamerica-
no (Celam) e delle sue conferenze generali di Medellín (1968), Puebla
(1979), Santo Domingo (1992) e Aparecida (2007). Come presidente
della Conferenza episcopale argentina, partecipò alla Conferenza di
Aparecida e vi fu eletto presidente della Commissione di redazione
del documento finale. Da Medellín ad Aparecida l’opzione per i poveri
ha contrassegnato la fisionomia della Chiesa latinoamericana e carai-
bica. Per la teologia missionaria di Aparecida, l’evangelizzazione è la
comunicazione della vita piena in Cristo11. Le radici latinoamericane
dell’Evangelii gaudium e la novità di questo pontificato vanno ricercate
nel documento finale di quell’assemblea.

La sinodalità nell’«Evangelii gaudium»

L’esortazione apostolica Evangelii gaudium è un documento di


teologia pastorale, ovvero la disciplina che cerca di comprendere
l’azione evangelizzatrice della Chiesa alla luce della fede. Bergoglio
l’aveva coltivata in prima persona nei suoi anni di insegnamento12.

10. Cfr Francesco, Costituzione apostolica Episcopalis communio sul Sinodo



dei Vescovi, 15 settembre 2018.
11. Cfr S. Madrigal, El giro eclesiológico en la recepción del Vaticano II, Santan-

der, Sal Terrae, 2017, 295-322.
12. Cfr C. M. Galli, «La teología pastoral de “Evangelii gaudium” en el pro-

yecto misionero de Francisco», in Teología, n. 114, 2014, 34 s.

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IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

In questo testo programmatico il Papa ci rivolge «alcune linee che


possano incoraggiare e orientare in tutta la Chiesa una nuova tappa
evangelizzatrice» (EG 17). Le ha tradotte nei seguenti sette temi:
1) La riforma della Chiesa in uscita missionaria; 2) Le tentazioni
degli operatori pastorali; 3) La Chiesa intesa come la totalità del
popolo di Dio che evangelizza; 4) L’omelia e la sua preparazione;
5) L’inclusione sociale dei poveri; 6) La pace e il dialogo sociale;
7) Le motivazioni spirituali per l’impegno missionario. Francesco
segnalava immediatamente che questa scelta di temi era stata fatta
«in base alla dottrina della Costituzione dogmatica Lumen gentium».
Come si vede, in questo elenco di temi non compare la sinodalità.
In realtà, nell’esortazione apostolica questa nozione appare expressis
verbis soltanto nel n. 246, là dove si parla dell’ecumenismo come scam-
23
bio di doni. Tuttavia la sinodalità, come una corrente sotterranea, ispi-
ra sezioni molto importanti di questo documento13. Vanno in questa
direzione le parole pronunciate da Francesco nella prima intervista che
concesse, nell’agosto 2013, a p. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà
Cattolica. In essa appunto fece riferimento alla sinodalità. Riguardo alla
cerimonia di imposizione del pallio a 34 arcivescovi metropoliti, Fran-
cesco aveva definito la «via della sinodalità» come la strada che porta la
Chiesa unita a «crescere in armonia con il servizio del primato». Alla
domanda di p. Spadaro su quale prospettiva ecumenica potesse avere
questa considerazione, il Papa rispose: «Si deve camminare insieme: la
gente, i vescovi e il Papa. La sinodalità va vissuta a vari livelli. Forse è
il tempo di mutare la metodologia del Sinodo, perché quella attuale mi
sembra statica. Questo potrà anche avere valore ecumenico, special-
mente con i nostri fratelli ortodossi. Da loro si può imparare di più sul
senso della collegialità episcopale e sulla tradizione della sinodalità»14.
Sulla scorta di queste parole si comprende il già citato n. 246 dell’e-
sortazione apostolica e se ne può dedurre che non si tratta di afferma-
zioni isolate: al contrario, la sinodalità impregna la nozione della Chiesa
espressa nel documento programmatico di Francesco. In effetti, nel ca-
pitolo primo, che parla della «trasformazione missionaria della Chiesa»

13. Cfr D. Vitali, «Un Popolo in cammino verso Dio». La sinodalità in Evangelii

gaudium, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2018.


14. A. Spadaro, «Intervista a papa Francesco», in Civ. Catt. 2013 III 465 s.

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(EG 19-49) e propone «un improrogabile rinnovamento ecclesiale» (EG


27), ricorrono tutte quelle strutture ecclesiali in cui si attua la comunità
cristiana: la parrocchia (EG 28), le comunità di base, i movimenti e al-
tre forme di associazione (EG 29), la Chiesa particolare diocesana (EG
30-31), le Conferenze episcopali e le strutture centrali e del papato della
Chiesa universale (EG 32). Queste strutture, che corrispondono ai di-
versi livelli di esercizio della sinodalità, sono chiamate a una conversione
pastorale e missionaria secondo il cuore del Vangelo, soprattutto alla
luce della forma basilare di sinodalità, ritratta nella metafora ecclesio-
logica fondamentale di una «Chiesa in uscita» (EG 20-23). Francesco
descrive questa nozione di Chiesa come «comunità evangelizzatrice»,
come «la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa,
che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano»
24
(EG 24). Qui troviamo l’aspetto essenziale della vocazione sinodale del
popolo di Dio; in una parola, una «Chiesa in uscita» è, nella «dinamica
dell’esodo e del dono, dell’uscire da sé, del camminare e del seminare
sempre di nuovo, sempre oltre» (EG 21), una «Chiesa sinodale».
Questa lettura in chiave sinodale del primo capitolo dell’Evangelii
gaudium è corroborata dalle riflessioni dedicate alla Chiesa particolare
diocesana come «soggetto dell’evangelizzazione» (EG 30). Fra l’altro
si afferma che «il vescovo deve sempre favorire la comunione mis-
sionaria nella sua Chiesa diocesana perseguendo l’ideale delle prime
comunità cristiane, nelle quali i credenti avevano un cuore solo e
un’anima sola (cfr At 4,32)» (EG 31). Qui ritorna l’idea del «cammi-
no»: «Perciò, a volte si porrà davanti per indicare la strada e sostenere
la speranza del popolo, altre volte starà semplicemente in mezzo a
tutti […] e in alcune circostanze dovrà camminare dietro al popolo,
per aiutare coloro che sono rimasti indietro e – soprattutto – perché
il gregge stesso possiede un suo olfatto per individuare nuove stra-
de». Subito dopo Francesco affida al vescovo l’incarico di stimolare e
ricercare «la maturazione degli organismi di partecipazione proposti
dal Codice di diritto canonico e di altre forme di dialogo pastorale,
con il desiderio di ascoltare tutti» (EG 31). Tra questi organismi, il
Papa cita, in una nota, i canoni riguardanti il sinodo diocesano, il
consiglio presbiterale, il consiglio pastorale diocesano, il consiglio pa-
storale e il consiglio economico parrocchiale.

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IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

La cornice generale di riferimento per questa visione della Chiesa


è la «teologia argentina del popolo di Dio»15 nella sua lettura dell’ec-
clesiologia del Vaticano II. Essa appare nella prima sezione del capitolo
terzo – dove si sviluppa la concezione della Chiesa come popolo di Dio
evangelizzatore (EG 111-134) –, che si apre con questa dichiarazione:
«Questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di una istituzione
organica e gerarchica, poiché anzitutto è un popolo in cammino verso
Dio. Si tratta certamente di un mistero che affonda le sue radici nella
Trinità, ma che ha la sua concretezza storica in un popolo pellegri-
no ed evangelizzatore» (EG 111; il corsivo è nostro). In questa sezione
Francesco dà corso alla sua nozione preferita di Chiesa – «santo popolo
fedele di Dio»16 –, fondata sull’idea del sensus fidei e sull’infallibilità
del popolo di Dio nel credere, proposta nel n. 12 della costituzione
25
Lumen gentium. Citiamo qui il passo decisivo che mostra la realtà di
una Chiesa sinodale, di «discepoli missionari»: «In tutti i battezzati, dal
primo all’ultimo, opera la forza santificatrice dello Spirito che spinge
ad evangelizzare. Il Popolo di Dio è santo in ragione di questa unzione
che lo rende infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede
non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo
Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. Come parte del
suo mistero d’amore verso l’umanità, Dio dota la totalità dei fedeli di
un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che
viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani
una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che per-

15. Cfr S. Pié-Ninot, «La eclesiología del papa Francisco», in Revista Cata-

lana de Teología 43 (2018/2) 503-526; C. M. Galli, «La riforma missionaria della


Iglesia secondo Francesco», in A. Spadaro - C. M. Galli (edd.), La riforma e le
riforme nella Chiesa, Brescia, Queriniana, 2016, 37-65.
16. «L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del santo popolo fedele di

Dio. la definizione che uso spesso, ed poi quella della Lumen gentium al numero
È è

12. L’appartenenza a un popolo ha un forte valore teologico: Dio nella storia della
salvezza ha salvato un popolo. Non c’ identità piena senza appartenenza a un popo-

lo. […] Il popolo soggetto. E la Chiesa è il popolo di Dio in cammino nella storia,

con gioie e dolori. Sentire cum Ecclesia dunque per me è essere in questo popolo.
E l’insieme dei fedeli è infallibile nel credere, e manifesta questa sua infallibilitas in
credendo mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il popolo che cammina.
Ecco, questo io intendo oggi come il “sentire con la Chiesa” di cui parla sant’Igna-
zio» (A. Spadaro, Intervista a papa Francesco, cit., 459).

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mette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli


strumenti adeguati per esprimerle con precisione» (EG 119).
Tramite il senso soprannaturale della fede, il popolo di Dio è
vero soggetto evangelizzatore che cammina nel cuore della storia
umana. Alla luce di questa comprensione missionaria della Chiesa
va letto e annunciato il messaggio del Vangelo con le sue chiare ri-
percussioni comunitarie e sociali. Francesco ha dedicato un’impor-
tante sezione del capitolo quarto della sua esortazione all’inclusione
sociale dei poveri (EG 186-216) e al posto privilegiato che essi oc-
cupano nel popolo di Dio (EG 197-201). Che cosa ha a che vedere
con la sinodalità l’opzione preferenziale per i poveri? La comunità
evangelizzatrice, che è la Chiesa sinodale in uscita, «vive un deside-
rio inesauribile di offrire misericordia, frutto dell’aver sperimentato
26
l’infinita misericordia del Padre […]. Accompagna l’umanità in tut-
ti i suoi processi» (EG 24). Questa Chiesa missionaria deve arrivare a
tutti: «Però chi dovrebbe privilegiare? […] Oggi e sempre, “i poveri
sono i destinatari privilegiati del Vangelo”» (EG 48). In un altro
passo Francesco ne propone la giustificazione teologica, ricorrendo
a parole di Benedetto XVI: questa opzione per i poveri «è implicita
nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per
arricchirci mediante la sua povertà» (EG 198)17.

La sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa

Nelle sessioni di dibattito precedenti il conclave che ha poi eletto


papa Jorge Mario Bergoglio, la domanda di maggiore collegialità era
sulla bocca di molti cardinali. Prontamente il nuovo Papa, sulle orme
dei suoi predecessori, ha ripreso il cammino sinodale, convocando una
doppia assemblea – ordinaria e straordinaria – sul tema della famiglia e
del matrimonio, dove si è subito messo in luce un nuovo stile più parte-
cipativo del Sinodo, in relazione sia al collegio episcopale sia al popolo
di Dio. In questo senso vanno segnalate varie novità procedurali, come
la decisione di rimpiazzare i Lineamenta con un questionario sulle que-
stioni scottanti della vita coniugale e familiare, rivolto a tutti i fedeli.

17. Cfr M. Czerny, «Hacia una Iglesia sinodal», in Razón y fe, n. 283, 2021,

161-174; 168-172.

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IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

A partire dalle risposte pervenute alla segreteria del Sinodo è sta-


to elaborato l’Instrumentum laboris. Ciascuna assemblea ha prodotto
un proprio documento finale, e sono state rese pubbliche le votazio-
ni su ogni articolo e sul documento nel suo insieme. Sono cambiati
anche altri aspetti, oltre a quelli metodologici. Il teologo Dario Vi-
tali ha messo in risalto un elemento di fondo che ha contribuito a
cambiare il clima in cui si è svolto il Sinodo, ovvero la disponibilità
all’ascolto: «Ascolto di Dio, fino ad ascoltare con lui il clamore del
popolo; ascolto del popolo, fino a respirare con esso la volontà a cui
Dio ci chiama»18. Erano giorni in cui la segreteria del Sinodo stava
lavorando alla teoria e alle modalità della celebrazione del Sinodo19.
Il 17 ottobre 2015, mentre era in corso la XIV Assemblea gene-
rale ordinaria del Sinodo dei vescovi, Francesco, ispirandosi al cin-
27
quantesimo anniversario dell’istituzione, ha dichiarato: «Fin dall’ini-
zio del mio ministero come vescovo di Roma ho inteso valorizzare
il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell’ultima
assise conciliare». Ha aggiunto: «Quello che il Signore ci chiede, in
un certo senso, è già tutto contenuto nella parola “Sinodo”. Cammi-
nare insieme – laici, pastori, vescovo di Roma – è un concetto facile
da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica». In
tale contesto ha ricordato questa affermazione di san Giovanni Cri-
sostomo: «“Chiesa e Sinodo sono sinonimi” perché la Chiesa non è
altro che il “camminare insieme” del gregge di Dio sui sentieri della
storia incontro a Cristo Signore»20. Nel discorso di Francesco veni-
vano delineati i tratti essenziali di una «Chiesa sinodale».

Chiesa dell’ascolto e senso soprannaturale della fede («sensus fidei»)

Francesco si rifaceva alle parole del Concilio Vaticano II, che


descrivono il popolo di Dio come la totalità dei battezzati, «chia-

18. D. Vitali, «Sinodalidad. De “Apostolica sollicitudo” a “Episcopalis com-


munio”», cit., 37.


19. Cfr L. Baldisseri (a cura di), A cinquant’anni dall’Apostolica sollicitudo. Il

Sinodo dei Vescovi al servizio di una Chiesa sinodale, Città del Vaticano, Libr. Ed.
Vaticana, 2016.
20. Francesco, Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sino-

do dei vescovi, cit.

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mati a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo» (cfr


LG 10), e sottolineava che «la totalità dei fedeli, avendo l’unzione
che viene dal Santo (cfr 1 Gv 2,20.27), non può sbagliarsi nel cre-
dere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso sopranna-
turale della fede di tutto il popolo, quando “dai vescovi fino agli
ultimi fedeli laici” mostra l’universale suo consenso in cose di fede
e di morale (cfr LG 12)»21.
Il Papa illustrava questa idea richiamandosi a quanto già aveva
scritto nell’Evangelii gaudium (cfr EG 119-120) sulla santità del
popolo di Dio in virtù dell’unzione dello Spirito, aggiungendo
nuovi elementi di riflessione: «Il Popolo di Dio è santo in ragione
di questa unzione che lo rende infallibile “in credendo” (cfr EG
119), [perché] ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione
28
nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto
attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare ad uno
schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in
cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro
azioni» (cfr EG 120). Il sensus fidei impedisce di separare rigida-
mente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il greg-
ge possiede un proprio “fiuto” per discernere le nuove strade che
il Signore dischiude alla Chiesa». E concludeva così: «Una Chiesa
sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascol-
tare “è più che sentire” (cfr EG 171)».
In quel discorso Francesco proponeva «un ascolto reciproco
in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, collegio
episcopale, vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in
ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per
conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)».
Francesco ne traeva immediatamente una conseguenza signi-
ficativa: «Il Sinodo dei vescovi è il punto di convergenza di que-
sto dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della
Chiesa». In altre parole, l’intera vita della Chiesa è attraversata dal-
la sinodalità come stile e come processo che non si esaurisce nelle
assemblee sinodali, ma appartiene all’essere stesso della Chiesa.

21. Ivi.

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IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

Tappe e livelli del cammino sinodale

Il Papa ci indica anche le tappe di questo dinamismo di ascolto e di


comunione in seno a una Chiesa sinodale: «Il cammino sinodale inizia
ascoltando il popolo […]. Il cammino del Sinodo prosegue ascoltando
i pastori. […] Il cammino sinodale culmina nell’ascolto del vescovo di
Roma». In questo processo c’è un dato veramente nuovo che va evi-
denziato: il cammino sinodale prende le mosse dal popolo di Dio. La
ragione è che esso «pure partecipa alla funzione profetica di Cristo» (cfr
LG 12). Qui si radica, essenzialmente, il motivo per cui i Sinodi sulla
famiglia e sui giovani devono essere preparati consultando il popolo
di Dio. In questo modo, spiega Francesco, si attua «un principio caro
alla Chiesa del primo millennio: Quod omnes tangit ab omnibus tractari
debet»22. Di conseguenza vengono riconosciute la capacità attiva e la 29
condizione di soggetto del popolo di Dio, accanto agli altri due sog-
getti – pastori e vescovo di Roma –, che svolgono funzioni specifiche23.

Livelli dell’esercizio della sinodalità

Un aspetto correlativo a questi tre soggetti, con le loro tre funzioni


specifiche – profezia, discernimento, attuazione –, è la considerazione
dei tre livelli nell’esercizio della sinodalità. Il primo riguarda le Chiese
particolari, nelle quali è necessario ravvivare il processo di partecipa-
zione attraverso gli «organismi di comunione» previsti nel Codice di
diritto canonico, a cominciare dal Sinodo diocesano (cc. 460-468) e
proseguendo con il consiglio presbiterale, il collegio dei consultori, il
capitolo dei canonici e il consiglio pastorale (cc. 495-514).
Il secondo livello riguarda le province e le regioni ecclesiastiche, i
Concili particolari e, in modo speciale, le Conferenze episcopali (cc.

22. Cfr O. Condorelli, «“Quod omnes tangit, debet ab omnibus approbari”.


Note sull’origine e sull’utilizzazione del principio tra Medioevo e prima età moder-
na», in Ius Canonicum 53 (2013) 101-127.
23. «Al Popolo di Dio compete il momento profetico, ai pastori riuniti in as-

semblea sinodale compete il discernimento, in quanto agiscono come autentici cu-


stodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa; al vescovo di Roma spetta
l’ultima parola in quanto “pastore e dottore di tutti i cristiani: non a partire dalle sue
personali convinzioni, ma come supremo testimone della fides totius Ecclesiae”» (D.
Vitali, «Sinodalidad. De “Apostolica sollicitudo” a “Episcopalis communio”», cit.).

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431-459). Attraverso questi organismi, in quanto «istanze intermedie


della collegialità», si possono fare passi avanti verso un salutare decen-
tramento della Chiesa (come il Papa aveva già affermato in EG 32).
L’ultimo livello riguarda la Chiesa universale, dove il Sinodo dei
vescovi, «rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione
della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale».

Sinodalità come cornice interpretativa del ministero gerarchico

Questa riflessione sul Sinodo dei vescovi delinea il paradigma


di una Chiesa sinodale, che sfocia in questa affermazione decisiva:
«La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la
cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso mi-
30
nistero gerarchico». In questo contesto la Chiesa sinodale si presenta
come una «piramide capovolta», applicata al collegio apostolico, a
ogni vescovo particolare a allo stesso vescovo di Roma, la cui voca-
zione consiste nel servizio del popolo di Dio24.
In questa logica di servizio, bisogna sempre ricordare che, «per i di-
scepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servi-
zio, l’unico potere è il potere della croce: […] “chi vuole essere il primo
tra voi, sarà vostro schiavo” (Mt 20,25-27)». Pertanto il Papa conclude
così: «Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr
Is 11,12) in un mondo che […] consegna spesso il destino di intere po-
polazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa
che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia,
coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli
e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la so-
cietà civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità».
Un’ultima osservazione: se finora Francesco aveva parlato della
sinodalità ad intra, riflettendo sul funzionamento interno della co-
munità ecclesiale, nella conclusione della sua riflessione ha lasciato
affiorare la sua dimensione ad extra, vale a dire la dinamica missio-
naria della Chiesa nel mondo.

24. Cfr O. Rush, «Inverting the Pyramid: The “Sensus fidelium” in a Synodal

Church», in Theological Studies 78 (2017/2) 299-325.

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IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

La dimensione missionaria della sinodalità appare in maniera


speciale nell’ultima enciclica di Francesco, Fratelli tutti (2021), dove
si auspica una fratellanza universale. Una Chiesa sinodale, in cui
camminare assieme, si trasforma nel migliore riflesso di tale propo-
sta, nella sua fotografia vivente. Pertanto la sinodalità non riguarda
esclusivamente le questioni intraecclesiali, ma fa parte della rela-
zione tra la Chiesa e il mondo, comprendente un dinamismo che
va dalla sinodalità alla fraternità, poiché il popolo di Dio, nel suo
camminare storico, vuole condividere con tutti – di altre religioni,
convinzioni e culture – la luce del Vangelo.

La riforma del Sinodo dei vescovi nell’«Episcopalis communio» (2018)


31
Dal 2014 al 2017 la Commissione teologica internazionale ha
elaborato un documento sulla sinodalità, La sinodalità nella vita e
nella missione della Chiesa, a cui abbiamo già fatto riferimento all’i-
nizio. Questo testo intende presentare princìpi teologici e orienta-
menti pastorali per praticare una Chiesa sinodale. In realtà, «sino-
dalità» designa primariamente una maniera peculiare di vivere e di
operare nella Chiesa, popolo di Dio in cammino, in fraternità di
comunione e in corresponsabilità, prima ancora di configurarsi in
processi e strutture canonici e in eventi sinodali (cfr n. 70).
L’ordine dei capitoli obbedisce a questa falsariga: il capitolo 1
«risale alle fonti normative della Sacra Scrittura e della Tradizione
per mettere in luce il radicamento della figura sinodale della Chie-
sa nel dispiegarsi storico della Rivelazione». Il capitolo 2 si occupa
dei «fondamenti teologali della sinodalità in conformità alla dottri-
na ecclesiologica del Vaticano II». Il capitolo 3 offre orientamenti
pastorali «in riferimento all’attuazione concreta della sinodalità ai
vari livelli, nella Chiesa particolare, nella comunione tra le Chiese
particolari in una regione, nella Chiesa universale». Infine, il capi-
tolo 4 offre orientamenti pastorali «in riferimento alla conversione
spirituale e pastorale e al discernimento comunitario e apostolico
richiesti per un’autentica esperienza di Chiesa sinodale».
Questo documento costituisce un tentativo di coniugare la no-
zione di sinodalità con i concetti fondamentali di collegialità e di co-
munione. La sinodalità, dice il n. 7 (cfr n. 66), significa «il coinvol-
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gimento e la partecipazione di tutto il popolo di Dio alla vita e alla


missione della Chiesa», mentre «il concetto di collegialità» si riferisce
alla «forma specifica in cui la sinodalità ecclesiale si manifesta e si rea-
lizza attraverso il ministero dei vescovi sul livello della comunione tra
le Chiese particolari in una regione e sul livello della comunione tra
tutte le Chiese nella Chiesa universale». Pertanto ogni manifestazione
di sinodalità esige l’esercizio del ministero collegiale dei vescovi.
Pochi mesi dopo la diffusione di questo documento Francesco
ha pubblicato la costituzione apostolica Episcopalis communio, in cui
viene compendiato il suo sforzo per collegare sinodalità e Sinodo
dei vescovi25. Questo testo costituisce una revisione e un’attualiz-
zazione dell’ Apostolica sollicitudo, avvalorando l’istituzione messa in
opera da Paolo VI come «una delle più preziose eredità del Concilio
32
Vaticano II», «nuovo nella sua istituzione ma antichissimo nella sua
ispirazione» (EC 1). Il rinnovamento del Sinodo voluto da France-
sco richiede che si avviino processi consultivi, in modo da rendere
più presenti i laici e le loro voci. Come abbiamo già avuto modo di
notare, una Chiesa sinodale è «una Chiesa dell’ascolto» e ogni prassi
sinodale «inizia ascoltando il popolo», «prosegue ascoltando i pasto-
ri» e «culmina nell’ascolto del vescovo di Roma».
Se la collegialità è al servizio della sinodalità, «il Sinodo dei vescovi
deve sempre più diventare uno strumento privilegiato di ascolto del
popolo di Dio». Pertanto, diviene indispensabile il processo consultivo
che coinvolge tutte le Chiese particolari (cfr EC 7). A esso deve far
sèguito un «discernimento da parte dei pastori», che, attenti al sensus
fidei del popolo di Dio, devono essere capaci di percepire le indicazioni
dello Spirito, distinguendole «dai flussi spesso mutevoli dell’opinione
pubblica» (EC 7). La costituzione apostolica ha delineato una nuova
normativa, disegnando una prassi sinodale in tre fasi: preparazione,
celebrazione e applicazione del Sinodo dei vescovi.
La sinodalità non si può dispiegare a tutti i livelli senza il ser-
vizio della presidenza esercitata, al livello della Chiesa universale,
dal vescovo di Roma (cfr EC 10). Nel corso di questa rivisitazio-
ne del cammino sinodale del Papa si è man mano delineata nitida

25. Cfr A. Borras, «“Episcopalis communio”, mérites et limites d’une réforme


institutionelle», in Nouvelle Revue Théologique 141 (2019) 66-83.
IL CAMMINO SINODALE SECONDO PAPA FRANCESCO

l’impronta di una ferma volontà favorevole a un esercizio sinodale


e diaconale dell’autorità papale, a «un primato dell’ascolto» in una
«Chiesa costitutivamente sinodale»26.

Conclusione: «Il cammino non c’è, lo si fa camminando»

Il Papa ha fissato per tutta la Chiesa una prossima meta, che pos-
siamo esprimere con i celebri versi di Antonio Machado: Caminan-
te, no hay camino, se hace camino al andar («Viandante, il cammino
non c’è, lo si fa camminando»). È la spinta della sinodalità, che viene
da molto lontano. Alcune parole di Francesco ci indicano ancora la
rotta e il compito, il passato più recente e la speranza per il futuro:
«Il Concilio Vaticano II ha segnato un importante passo nella presa
33
di coscienza che la Chiesa ha sia di se stessa sia della sua missione
nel mondo contemporaneo. Questo cammino, iniziato più di cin-
quant’anni fa, continua a spronarci nella sua ricezione e sviluppo, e
non è ancora giunto a termine, soprattutto rispetto alla sinodalità
che si deve operare ai diversi livelli della vita ecclesiale (parrocchia,
diocesi, nell’ordine nazionale, nella Chiesa universale, come pure
nelle diverse congregazioni e comunità)»27.
Concludiamo con una sottolineatura del duplice obiettivo della
sinodalità: da una parte, sulla linea missionaria tracciata dall’Evan-
gelii gaudium, «l’obiettivo di questi processi partecipativi non sarà
principalmente l’organizzazione ecclesiale, bensì il sogno missio-
nario di arrivare a tutti» (EG 31); dall’altra, sulla linea della dia-
conia sociale rilanciata nelle encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti,
la sinodalità aspira a costruire un popolo, una comunità fraterna e
missionaria al servizio del bene comune della società e della cura
della casa comune.

26. S. Pié-Ninot, «Verso un “ordo communionis primatus” come primato


diaconale», in A. Spadaro - C. M. Galli (edd.), La riforma e le riforme nella Chiesa,
cit., 293-308; M. Faggioli, «From Collegiality to Synodality: Promise and Limits
of Francis’s “Listening Primacy”», in Irish Theological Quarterly 85 (2020) 352-369.
27. Francesco, Lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania, 29 giu-
gno 2019.
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In The Good Lie, un film drammatico del 2014, Jerry e Mike,


due «ragazzi perduti del Sudan», trovano lavoro in un negozio
34 di alimentari negli Usa. Lì provano uno shock culturale nel ve-
dere ceste di cibo gettate nella spazzatura. Jerry va a chiedere al
suo capo: «Non c’è nessuno che potrebbe desiderare questo cibo o
averne bisogno?». Un giorno, egli ferma una senzatetto che fru-
gava nei cassonetti e le regala cibo più fresco preso dal negozio
di alimentari, ma quel gesto irrita il capo. Jerry lascia il lavoro,
perché non riesce a capire quale mancanza ci possa essere nel dare
da mangiare a chi ha bisogno.
Questo episodio ritrae la punta dell’iceberg di quella che papa
Francesco definisce la «cultura dello scarto», che è particolarmen-
te evidente nel settore alimentare, in cui abbondano le «perdite di
cibo» e gli «sprechi alimentari». Attingendo alle conoscenze dell’er-
meneutica ecologica, questo articolo sostiene che i racconti delle
folle sfamate che ci offrono i Vangeli danno una clamorosa con-
futazione della cultura dello scarto in generale, e dello spreco ali-
mentare in particolare. L’articolo asserisce, inoltre, che la sapienza
evangelica può sostenere i progressi di un’agenda conservazionista.

La cultura dello scarto

Tra le critiche che papa Francesco muove alla società contempo-


ranea spicca quella della «cultura dello scarto», che egli definisce e
descrive come parte di quella che a sua volta chiama l’«economia di
esclusione». Questa cultura è contraddistinta dalla pratica di scartare

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 34-42 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


CONTRO LA CULTURA DELLO SCARTO NEL SETTORE ALIMENTARE

beni e relazioni come espressione di opulenza e come conseguen-


za dell’inestinguibile sete del nuovo. Essa pervade varie dimensioni
della vita umana, come l’alimentazione, l’abbigliamento, la tecnolo-
gia e le relazioni. In sostanza, la cultura dello scarto è una mentalità
e una visione del mondo che porta, e persino incoraggia, a disfarsi
di cose, valori, persone e legami comuni una volta che paiano aver
esaurito la loro utilità1.
A pochi mesi dall’inizio del suo pontificato, il 5 giugno 2013,
papa Francesco affermò che la cultura dello scarto aveva anestetiz-
zato la sensibilità delle persone verso il valore del cibo: «Questa cul-
tura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti
alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte
del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e
35
malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non
gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abi-
tuarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta
non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là
dei meri parametri economici»2.

IL CONSUMISMO CI HA INDOTTI AD ABITUARCI AL


SUPERFLUO E ALLO SPRECO QUOTIDIANO DI CIBO.

Inoltre, nell’enciclica Laudato si’ (LS) (2015) papa Francesco


ha denunciato le conseguenze negative della cultura dello scarto
sull’ambiente. Ha fatto questa considerazione: «Si producono cen-
tinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali non
biodegradabili: rifiuti domestici e commerciali, detriti di demoli-
zioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici
e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più
in un immenso deposito di immondizia. [...] Questi problemi sono
intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli

1. Cfr L. A. Silecchia, «“Laudato si’” and the tragedy of the “Throwaway


culture”», in CUA Columbus School of Law Legal Studies, Washington, DC, 2017
(scholarship.law.edu/scholar/982).
2. Francesco, Udienza generale, 5 giugno 2013.
ARTICOLI

esseri umani esclusi quanto le cose che si trasformano velocemente


in spazzatura» (LS 21-22).
Nel novembre 2019, rivolgendosi ai membri del Consiglio per
un capitalismo inclusivo, Francesco ha attribuito la proliferazione
della cultura dello scarto a un’evidente assenza di preoccupazioni
etiche nel modello economico moderno, che esalta il consumo e lo
spreco. Ha auspicato che gli subentri un modello inclusivo di capi-
talismo che «non lascia indietro nessuno, che non scarta nessuno dei
nostri fratelli e sorelle»3.
La critica alla cultura consumistica risuona anche nell’esortazio-
ne apostolica post-sinodale Querida Amazonia (QA), pubblicata nel
2020. In essa il Papa descrive la «cultura dello scarto» – sinonimo
della «cultura dell’usa e getta» – come sintomo di un problema spi-
36
rituale più profondo, che non si può risolvere con strumenti mera-
mente tecnici (cfr QA 58-59).

La società consumistica

Il concetto di «cultura dello scarto» costituisce l’ampliamento


di una formulazione di «società dei consumi» molto più antica, che
negli scritti accademici è attestata almeno dagli anni Settanta. Ma
già nel 1955 la rivista Life pubblicava un servizio intitolato «Thro-
waway Living», in cui veniva descritta la pratica di dismettere og-
getti domestici. Il concetto si è andato affermando negli ambienti
accademici soprattutto dopo la pubblicazione di The Waste Makers
(1960), un libro di grande successo in cui il sociologo e giorna-
lista Vance O. Packard espone nove strategie di marketing che le
organizzazioni aziendali impiegano per combattere lo spettro della
saturazione che ha luogo quando una società produce più di quanto
consuma. Tra esse c’è quella nota come «obsolescenza programma-
ta», suddivisibile in obsolescenza della funzione, obsolescenza della
qualità e obsolescenza della desiderabilità.
Tali strategie sostengono e mantengono quella che Packard defi-
nisce la «Cornucopia City», una città dove tutto è progettato per non
durare a lungo, e quindi i consumatori sono costretti ad acquistare

3. Id., Discorso al Consiglio per un capitalismo inclusivo, 11 novembre 2019.


CONTRO LA CULTURA DELLO SCARTO NEL SETTORE ALIMENTARE

regolarmente nuovi prodotti. Così, con un linguaggio che ricorda


la fantascienza, Packard descrive Cornucopia City: «A Cornucopia
City, suppongo, tutti gli edifici saranno fatti di una cartapesta specia-
le. Le case potranno così essere demolite e ricostruite a ogni prima-
vera e a ogni autunno, al momento di fare le pulizie domestiche. Le
auto di Cornucopia saranno di una plastica leggera che, quando ha
percorso più di quattromila miglia, si deteriora e inizia a sciogliersi»4.
La cultura del consumo, alimentata da quella che Packard chiama
«economia ipertiroidea», esalta l’acquisto compulsivo come meccani-
smo per mantenere in funzione i macchinari industriali.
La tesi della «società dello scarto» ha guadagnato sostenitori
nel corso dei decenni. Tuttavia non sono mancate voci critiche.
Gregson, Metcalfe e Crewe, per esempio, sostengono che il con-
37
cetto è troppo superficiale e generico. Sulla base di uno studio sulle
famiglie nel Regno Unito, i tre ricercatori hanno scoperto che le
persone non gettano affatto via con noncuranza gli oggetti do-
mestici o quelli personali. Essi hanno individuato tre ragioni che
spingono le persone a disfarsi delle cose: identità, mobilità e relazio-
ni. La gente si impegna costantemente a negoziare nuove identità
rispondenti ai cambiamenti contestuali o della percezione che ha di
sé. Poiché la cultura materiale è una componente importante dell’i-
dentità individuale, talvolta le persone non hanno altra scelta se non
quella di buttare via oggetti personali: è un modo per disfarsi delle
loro vecchie identità. Anche i traslochi costringono ad abbandonare
determinati oggetti. Allo stesso modo, chi inizia una nuova relazio-
ne è indotto a liberarsi di ciò che gli ricorda quelle precedenti. Da
tutto ciò i tre autori hanno concluso che chi divulga il concetto di
«società dello scarto» confonde «l’atto dello scarto» con il «processo
dello scarto». Essi sostengono che quest’ultimo implica una decisio-
ne importante, forse anche dolorosa, perché le persone guardano
alle conseguenze economiche, ambientali ed emotive che derivano
dal disfarsi di qualcosa5. Tuttavia, le giustificazioni addotte per l’atto

4. V. O. Packard, The Waste Makers, New York, David McKay Company,


1960, 4.
5. Cfr N. Gregson - A. Metcalfe - L. Crewe, «Identity, mobility, and the
throwaway society», in Environment and Planning D: Society and Space 25 (2007)
682-700.
ARTICOLI

di gettare le cose non affrontano in alcun modo il problema dello


straripamento dei rifiuti nelle discariche6. Si può persino pensare
che Gregson e colleghi abbiano inconsapevolmente offerto un alibi
alla cultura dell’usa e getta.

Perdita di cibo e spreco di cibo

Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’ambien-


te (Unep), si definisce «perdita di cibo» la rimozione di prodotti
alimentari dalla catena umana di approvvigionamento prima che
essi raggiungano i mercati alimentari e/o le famiglie. Lo «spre-
co di cibo», invece, si riferisce allo scarto di prodotti alimentari
che avviene nelle famiglie o nei locali per la ristorazione, come
38
i ristoranti7. Si stima che vada perso o sprecato un terzo del cibo
prodotto per il consumo umano, pari ogni anno a 1,3 miliardi di
tonnellate. La perdita e lo spreco di cibo rappresentano insieme
un ammanco di reddito annuale superiore a 1.000 miliardi di dol-
lari8. Comprensibilmente, António Guterres, Segretario generale
delle Nazioni Unite, ha definito la perdita e lo spreco di cibo «un
oltraggio etico», soprattutto se si considera il numero crescente
di persone affamate nelle comunità povere. Le stime dicono, ad
esempio, che nel 2020 patissero la fame 690 milioni di persone
al mondo. Il Covid-19 ha ridotto alla fame altri 132 milioni di
persone. Nell’Africa subsahariana la perdita di cibo costa all’eco-
nomia fino a quattro miliardi di dollari l’anno9. Il problema è così
rilevante che il 29 settembre 2020 è stato dichiarato «Giornata
internazionale della consapevolezza delle perdite e degli sprechi
alimentari». Inoltre, uno degli «Obiettivi di sviluppo sostenibile»
delle Nazioni Unite (SDGs 12) affronta proprio il problema della
perdita e dello spreco di cibo.

6. Cfr K. Hellmann - M. K. Luedicke, «The throwaway society: A look in


the back mirror», in Journal of Consumer Policy 41 (2018/1) 83-87.
7. Cfr UNEP, Food waste index report 2021, Nairobi, Unep, 2021, 9.
8. Cfr A. Craigen - K. Davis, «How cities can fight food loss and waste»,
in United Nations Development Programme Blog (www.undp.org/blogs/how-cities-
can-fight-food-loss-and-waste), 4 novembre 2020.
9. Cfr ivi.
CONTRO LA CULTURA DELLO SCARTO NEL SETTORE ALIMENTARE

Per questo problema sono state proposte numerose soluzioni


tecniche. Si va dallo sfruttamento della tecnologia moderna per
aumentare la durata di conservazione dei prodotti alimentari,
attraverso la refrigerazione e la trasformazione agroalimentare,
all’accorciamento delle catene di approvvigionamento, producen-
do cibo più vicino al consumatore. Tuttavia le soluzioni tecniche
non possono, da sole, generare il cambiamento auspicabile nell’at-
teggiamento degli esseri umani verso il cibo. In qualsiasi sistema,
nella gerarchia degli elementi che possono portare al cambiamen-
to le modifiche tecniche, per quanto utili, stanno sul gradino più
basso. Al vertice delle leve motivazionali c’è il cambio di mentalità
o di paradigma. Un paradigma è una visione condivisa da una
comunità, e spesso si basa su presupposti non dichiarati e non ve-
39
rificati. Purtroppo, «più elevato è il punto su cui occorre fare leva,
più il sistema resisterà al cambiamento»10.
La cultura dello scarto può essere corretta in modo più efficace
promuovendo narrazioni che forniscano presupposti paradigmati-
ci contrari alla filosofia dello spreco. La mentalità conservazionista
delineata nei racconti evangelici in cui Gesù sfama la folla rientra in
simili paradigmi correttivi.

Una lettura conservazionista dell’alimentazione delle masse

L’Oxford English Dictionary offre tre definizioni di «conserva-


zione». Le riportiamo: «La protezione dell’ambiente naturale»; «la
protezione ufficiale degli edifici che hanno importanza storica o
artistica»; e «l’atto di impedire che qualcosa vada perso, sprecato,
danneggiato o distrutto». La letteratura tradizionale sulla conserva-
zione tende a soffermarsi sulla prima definizione11. Questo articolo,
invece, si concentra sulla terza, perché presenta la conservazione
come l’opposto della cultura dell’usa e getta.
Nei Vangeli, ci sono cinque racconti dell’episodio in cui Gesù
sfama la folla: Mc 6,30-44; Mt 14,13-21; Mt 15,32-39; Lc 9,10-17;

10. D. Meadows, «Leverage Points: Places to Intervene in a System», Hart-


land, VT, The Sustainability Institute, 1999, 19.
11. Cfr C. Sandbrook, «What is conservation?», in Oryx 49 (2015/4) 565-
566.
ARTICOLI

Gv 6,1-14. Una dettagliata esposizione esegetica non rien­tra nei


nostri scopi. Ci limitiamo quindi a dare per scontate le seguenti
affermazioni: quei racconti sono di natura simbolica; contengono
riferimenti all’Antico Testamento; e hanno un significato spirituale.
Si deve notare che tutti i racconti, tranne Mt 15, fanno rife-
rimento all’atto di «comprare», in greco agorazō (Mc 6,36-37; Mt
14,15; Lc 9,13; Gv 6,5). Nei Vangeli sinottici il suggerimento di
acquistare il cibo proviene dai discepoli, mentre in Giovanni è Gesù
stesso a proporre l’idea ai discepoli, per metterli alla prova. In pri-
mo luogo, l’acquisto evoca la logica dell’economia di mercato, quel
regno dello scambio di valore che avviene nell’agorà. In secondo
luogo, esso crea una distinzione tra «coloro che hanno» e «coloro
che non hanno». Ciò che si acquista è in grande misura condiziona-
40
to dalle proprie disponibilità piuttosto che dai bisogni personali. Si
può comprare finché se ne hanno i mezzi e, d’altra parte, chi è po-
vero deve astenersene perché non ha i soldi per farlo. In terzo luogo,
l’idea di acquisto istituisce una relazione di diritto su ciò che viene
acquistato: si possiede il diritto di fare ciò che si vuole con quanto si
acquista; si può decidere di buttare via quel che si è comprato senza
incorrere in alcuna sanzione legale.
Nel regime della compravendita c’è poco spazio per la grati-
tudine. Nei Vangeli sinottici i discepoli chiedono a Gesù di at-
tivare la logica dell’economia di mercato, con tutti i suoi crismi:
lo esortano a mandare la folla nei villaggi vicini per comprarsi
il cibo. Gesù, invece, introduce una logica diversa, la «logica del
dono»12 , dicendo ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare».
Secondo l’espressione latina, nemo dat quod non habet («nessuno
dà ciò che non ha»). Perché si possa dare, dev’esserci qualcosa da
dare. Finché Gesù non ha rivolto loro quell’invito, i discepoli
presumevano di non avere nulla da dare alla folla. Ma a quel
punto si scopre che invece c’è qualcosa da condividere: cinque
pani e due pesci. Così la logica dell’economia di mercato può
essere sospesa (o addirittura soppiantata) dalla logica del dono.
Un dono stabilisce legami interpersonali. Coloro che ricevono si
sentono in debito e provano un sentimento spontaneo di gratitu-

12. Cfr Benedetto XVI, Enciclica Caritas in veritate (2009), n. 36.


CONTRO LA CULTURA DELLO SCARTO NEL SETTORE ALIMENTARE

dine, mentre coloro che danno coltivano un intimo legame con


coloro che ricevono. È probabile che il volto di un mendicante a
cui si dà una certa somma di denaro in elemosina resti impresso
nella mente del donatore. Di fatto, è dimostrato che tendiamo
ad amare di più le persone che aiutiamo che non invece coloro
che aiutano noi13. È così, perché donare è dare una parte di se
stessi. Nel dono si consegna una parte di se stessi. Sprecare un
dono è un atto delittuoso, perché rivela ingratitudine, rifiuto e
mancanza di rispetto per il donatore. Non si ha diritto a ricevere
un dono; quindi, non se ne può disporre a piacimento.
Il terzo elemento significativo del racconto di Gesù che sfama
la folla è la raccolta degli avanzi (klasmata). Sebbene tutti i racconti
evangelici si riferiscano a questo dettaglio, solo Giovanni specifica
41
il motivo per cui vanno raccolti (aphaireō) gli avanzi: «Perché nulla
vada perduto» (Gv 6,12). Questo elemento narrativo è il fulcro del
paradigma anti-spreco. Come sottolinea papa Francesco, «Gesù
chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti!»14. Gli
studiosi della Bibbia ci informano che i canestri menzionati nella
narrazione erano «le piccole ceste di vimini (kophinoi) che ogni
ebreo portava con sé quando era lontano da casa. Vi teneva il suo
pasto e alcune cose di cui aveva bisogno per non dover mangiare
il cibo impuro dei Gentili»15. Nel cestino di vimini si ripone ciò
che funge da viaticum nel senso letterale della parola, cioè cibo
per il viaggio. Il fatto di trovarsi fuori casa attiverebbe quasi auto-
maticamente la logica dell’acquisto; portandosi dietro gli avanzi,
invece, i discepoli possono sospendere ancora per un po’ la logica
del commercio e mantenersi nella gratuità della logica del dono.
Raccogliere ciò che avanza è anche un’espressione di gratitudine
per colui che ha fornito il cibo. È un atto di umiltà, indica il sen-
tirsi in debito e la disponibilità ad assumere cibo non più «fresco»,
perché il culto della «freschezza» è uno dei fattori che contribui-
scono alla crescita della cultura dello scarto.

13. Cfr D. Lapin, Business secrets from the Bible, New Jersey, Wiley, 2014.
14. Francesco, Udienza generale, 5 giugno 2013.
15. W. W. Wessel, «Mark», in F. E. Gaebelein et al. (edd.), The expositor’s
Bible commentary, vol. 8, Michigan, Zondervan Publishing House, 1984, 674.
ARTICOLI

Conclusione

«Ringrazio mia nonna per avermi insegnato ad amare e a ri-


spettare il cibo. Mi ha insegnato a non sprecare nulla, ad assicu-
rarmi di usare ogni avanzo di pollo e a far bollire gli ossi finché
non si riuscisse più a trarne alcun sapore»: sono le parole di Mar-
cus Samuelsson, chef e ristoratore premiato etiope-svedese. Esse
danno voce, probabilmente, a molti africani cresciuti nelle zone
rurali, dove la conservazione del cibo è un valore non negoziabile.
Pur non disponendo di frigoriferi, le famiglie possiedono tecniche
per garantire che gli avanzi non si deteriorino e restino utilizza-
bili per il giorno successivo. Così si può capire perché i «ragazzi
perduti del Sudan» non siano riusciti ad accettare l’esperienza del-
42 lo spreco alimentare in America. I racconti evangelici della folla
sfamata da Gesù invitano l’umanità a svincolarsi dalla produzione
e dall’acquisto sfrenati del cibo, che portano alla saturazione, ad
abbracciare la logica del dono e a raccogliere gli avanzi per utiliz-
zarli ancora in futuro.
IRAN, RUSSIA E CINA
Può diventare realtà un «nuovo impero mongolo»?

Vladimir Pachkov S.I.

Nel 2013 fu pubblicato il libro di Thomas Flichy de La Neuville,


Chine, Iran, Russie: un nouvel empire mongol?1. All’epoca si trattava
soltanto di una ipotesi, ma oggi ciò appare una possibilità concreta,
in particolare dopo che il 27 aprile 2021 è stato siglato il trattato tra
43
Cina e Iran, e dopo che le relazioni bilaterali tra queste tre potenze
asiatiche si sono sviluppate fino a dar vita a un rapporto triangolare.
Alla base di esso vi sono sia gli interessi reciproci sia la resistenza
contro gli avversari comuni. Il solo valore complessivo di tutti e tre
i Paesi – Cina, Iran e Russia – rende inevitabile che i destini dell’Eu-
rasia siano determinati da tale possibile alleanza. Questa costella-
zione – che in effetti ricorda l’antico Impero mongolo, che dominò
l’Eurasia per almeno un secolo, ed era costituito da tre parti diverse,
ma connesse tra loro: la dinastia Yuan in Cina, l’Orda d’Oro nella
regione dell’attuale Russia, e il Khanato di Persia – merita quanto-
meno di essere presa in considerazione.
Qui non intendiamo parlare del fatto che lo spostamento del
potere verso l’Asia – e in particolare verso il più grande Paese asia-
tico – determinerà certamente il futuro, almeno quello dell’Eu-
rasia. Può anche darsi, come sostengono alcuni analisti2 , che la
crescita della Cina giunga a una rapida fine. È ciò che gli studiosi
avevano previsto già da decenni, anche se finora le loro analisi
si sono dimostrate alquanto inesatte. Infatti, sebbene The coming
collapse of China («L’imminente crollo della Cina») sia stato pub-

1. Cfr Th. Flichy de La Neuville, Chine, Iran, Russie: un nouvel empire


mongol?, Limoges, Lavauzelle, 2013.
2. Cfr P. Robinson, «Cold War II: Just How Dangerous Is China?», in www.
youtube.com/watch?v=E12r-37GZI0

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 43-54 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


FOCUS

blicato nel 2001, e sebbene nel 2013 il suo autore scrivesse che
mancava solo un anno alla realizzazione delle sue previsioni, an-
cora oggi questi analisti continuano a essere considerati «esperti
in affari cinesi»3.
Tutto è possibile. Non sappiamo ciò che ci riserva il futuro.
Qui però vogliamo mostrare come già ora questo spostamento del
potere stia divenendo realtà. La «svolta verso l’Oriente» iraniana
ne è un esempio. Per «Oriente» qui non si intende una catego-
ria geografica, bensì una categoria ideale, come un’alternativa al-
l’«Occidente» ideale. Già il presidente Rafsanjani (1989-97) voleva
migliorare le relazioni con la Cina e la Russia. Poi, sotto Ahmadi-
nejad (2005-13), è seguita la politica dello «Sguardo a Est», sebbe-
ne apparentemente in contraddizione con lo slogan «Né Oriente
44
né Occidente, ma Repubblica Islamica!»4. Nel 2018 il capo della
rivoluzione, Ali Khamenei, ha dichiarato che l’Oriente costitui-
va la priorità in politica estera, e ha chiamato questa visione «lo
sguardo a Est: l’alleanza con la Russia e la Cina»5.
Molti elementi indicano che tale «svolta» potrà avere anche
conseguenze concrete, in quanto ci sono pure i presupposti di
politica estera ed economici. La Russia, ossia il nucleo dell’area
eurasiatica, a differenza di 20 anni fa, oggi ha preferito una pro-
pria «svolta verso l’Oriente»: una scelta dovuta a varie ragioni,
non ultima il quasi totale annullamento delle relazioni con l’Eu-
ropa e con gli Usa. L’Iran viene integrato nell’area commerciale
eurasiatica: l’area di libero commercio è già in funzione, ma ora
ci sono voci addirittura di un’adesione completa. Tuttavia, anche
l’integrazione dell’Iran con l’Unione economica eurasiatica (Uee),
attualmente in fase di realizzazione, avrebbe solo un significato
regionale insignificante, se non rappresentasse una tendenza del
Paese a staccarsi dall’Occidente e a legarsi alla Cina.

3. G. G. Chang, The Coming Collapse of China, New York, Random House,


2001. Cfr https://tinyurl.com/2kuzdrm9
4. Cfr E. Pesaran, Iran’s Struggle for Economic Independence. Reform and
Counter-Reform in Post-Revolutionary Era, New York, Routledge, 2011.
5. A. Sadrzadeh, «Khameneis Blick nach Osten», in Iran Journal (https://
tinyurl.com/zt8ex3at), 14 gennaio 2021.
UN «NUOVO IMPERO MONGOLO»?

La firma dell’accordo con la Cina6 rappresenta un’altra indica-


zione – probabilmente la più importante – della «politica orienta-
le» dell’Iran. Ancora più significativo, per le conseguenze econo-
miche concrete di tale collaborazione, è il fatto che questa «svolta
verso l’Oriente» dell’Iran, insieme a quella russa, è effettivamente
in corso e ha come suo centro e punto di partenza la Cina.
Verso questo Paese tendono tutti quelli che hanno, per così dire, «un
problema con l’Occidente». Questa antitesi alla «occidentalizzazione»
finora è soltanto un «controprogetto», un atto di liberazione dall’in-
fluenza occidentale sotto la protezione del nuovo Paese egemone, la
Cina. In che misura le nazioni che si rivolgono «verso l’Oriente» vo-
gliono cambiare di conseguenza – o se non vogliono, almeno essere
disposti a sottomettersi all’influenza cinese – è una questione ancora
45
aperta. Finora tuttavia è molto chiaro che la volontà della Cina – soprat-
tutto a causa del deterioramento delle relazioni con gli Usa e con i suoi
alleati, come l’Australia – è stata quella di aderire a tale tendenza della
«svolta verso l’Oriente», almeno politicamente ed economicamente.

VERSO QUESTO PAESE TENDONO TUTTI QUELLI


CHE HANNO, PER COSÌ DIRE, UN PROBLEMA CON
L’«OCCIDENTE».

L’idea di un ordinamento mondiale post-occidentale, basato


sullo spostamento del potere economico verso l’Asia, sta a indica-
re soprattutto uno spostamento verso la Cina7. Gideon Rachman,
autore del noto libro Easternization. Asia’s Rise and America’s Decli-
ne. From Obama to Trump and beyond («L’orientalizzazione. L’ascesa

6. Full Text of Joint Statement on Comprehensive Strategic Partnership between


I.R. Iran und P.R. China (www.president.ir/EN/91435), 20 aprile 2021.
7. Secondo dati recenti, dopo la pandemia l’economia cinese è cresciuta di ol-
tre il 18%: cfr J. Cheng, «Chinese Economy Grew More Than 18% in First Quar-
ter», in The Wall Street Journal (www.wsj.com/articles/chineseeconomy-grows-
more-than-18-in-first-quarter-11618539141), 16 aprile 2021. La crescita dello
scambio commerciale tra l’Iran e la Russia è in termini assoluti – più o meno un
miliardo – veramente irrivelante, e il commercio tra l’Iran e la Cina dipende molto
dalle esportazioni di petrolio iraniano.
FOCUS

dell’Asia e il declino dell’America. Da Obama a Trump e oltre»)8, ha


affermato in un’intervista: «Siamo giunti alla fine di questa epoca
[di dominio occidentale]. Ci sono molte ragioni, ma penso che la
più importante sia l’improvvisa crescita economica in Asia, che è
stata abbastanza significativa, quando riguardava solo il Giappone,
la Corea del Sud e il Sudest asiatico. Ma ora che ha raggiunto Paesi
così grandi come la Cina e l’India, ha costituito il punto di svolta
(game-changer) non soltanto dell’economia mondiale (la produzione
industriale nel 2019 in Cina da sola ha superato quella complessiva
di Usa, Germania, Francia e Regno Unito9, e nel 2021 il vantag-
gio della Cina è diventato ancora più netto, essendo diventata la
sua produzione industriale più del doppio di quella degli Usa10), ma
anche della politica internazionale. Come al tempo della massima
46
potenza occidentale il mondo era occidentalizzato, così ritengo che
dall’Asia arriverà sempre più potere, almeno politico e, in seguito,
anche culturale»11.
Negli ultimi tempi – in particolare dal 2020 – sono state pub-
blicate diverse ricerche secondo le quali non soltanto le nazioni di
recente industrializzazione, ma anche i Paesi dell’«Occidente» stan-
no adottando il modello cinese e preferiscono una propria «svolta
mentale verso l’Oriente»12, che si riflette sulla politica, e in partico-
lare sull’economia13.
Sebbene nella nuova conformazione eurasiatica la Cina abbia un
ruolo principale – e senza la sua ascesa non sarebbe affatto possibile

8. Cfr G. Rachman, Easternization. Asia’s Rise and America’s Decline From


Obama to Trump and Beyond, Other Press, 2018.
9. Cfr F. Richter, «China Is the World’s Manufacturing Superpower», in
statista (https://tinyurl.com/b33mfabt), 4 maggio 2021.
10. Cfr «Industrial production in constant prices of 2010», in knoema (https://
tinyurl.com/rrdwpv2v).
11. N. Gordon, «Easternization: “A game-changer for not just the world
economy, but also for international politics”», in Asian Review of Books (https://
tinyurl.com/2vpphw55), 21 settembre 2017.
12. G. Steingart, «Lautloser Systemwechsel: Wir kopieren den China-
Kapitalismus, und kaum einer merkt es» («Cambio di sistema silenzioso. Stiamo
copiando il capitalismo cinese, e quasi nessuno se ne accorge»), in Focus.de (https://
tinyurl.com/­3nh55w52), 3 maggio 2021.
13. Cfr T. Kaiser, «Europas riskanter Plan, China zu kopieren» («Il piano rischioso
dell’Europa per copiare la Cina»), in Welt (https://tinyurl.com/4aaps7aw), 5 maggio 2021.
UN «NUOVO IMPERO MONGOLO»?

tutto quello che adesso stanno operando la Russia e l’Iran, ma anche


altri attori di questa regione –, è interessante esaminare le relazio-
ni tra l’Iran, la Russia e l’Asia centrale, innanzitutto perché sono
meno note, ma anche perché, accanto alla gigantesca iniziativa del-
la «Nuova via della seta», che dovrà collegare l’Oriente e l’Eurasia
occidentale, c’è anche un progetto «Nord-Sud», che è destinato a
collegare la Russia, l’Iran e l’India.

L’Iran si rivolge verso l’Oriente

Dopo la «svolta verso l’Oriente» russa14 – che ha anche i suoi


punti deboli e, almeno in parte, è stata provocata dalle circostanze,
proprio come l’attuale avvicinamento tra Cina, Russia e Iran –, è
47
giunto il momento di parlare della «svolta verso l’Oriente» irania-
na. Ciò può apparire a prima vista paradossale, dal momento che
l’Iran si trova in Oriente e viene anche generalmente considerato
come avversario dell’Occidente. Ma possiamo osservare come fino
a qualche tempo fa per gli iraniani l’Europa costituisse un punto di
riferimento sia economico sia culturale. Solo a partire dal 2016 si è
assistito a un cambiamento di questa realtà e anche della mentalità
iraniana. Adesso la Russia e la Cina dovrebbero rimpiazzare tutto
quello che in passato hanno fatto in Iran gli Usa e l’Europa15.
Questa svolta aveva avuto inizio intorno al 2000, sebbene allora
si limitasse al campo economico. I Paesi dell’Asia in via di svilup-
po – soprattutto Cina e India – avevano bisogno di ciò che l’Iran
poteva dare loro: il petrolio16.
Per certi versi, l’attuale orientamento verso l’Oriente ricorda
la politica del presidente Ahmadinejad (2005-13), quando le san-
zioni costrinsero il Paese a cercare nuovi partner. Oggi però c’è

14. Cfr V. Pachkov, «La Russia tra l’Europa e l’Asia. Verso Oriente alla ricerca
di se stessa?», in Civ. Catt. 2017 III 276-284.
15. Cfr A. Sadrzadeh, «Khameneis Blick nach Osten» («Lo sguardo di
Khamenei verso l’Oriente»), in Iran Journal (https://iranjournal.org/allgemein/
iran-china-russland), 14 gennaio 2021.
16. Cfr Н. Смагин. «Торговля Ирана и ЕАЭС и перспективы ее развития»
(«Il commercio tra l’Iran e l’Unione Euroasiatica e le sue prospettive»), in РСМД
(https://russiancouncil.ru/analytics-and-comments/analytics/torgovlya-irana-s-
eaes-i-perspektivy-ee-razvitiya), 17 marzo 2021.
FOCUS

anche una grande differenza rispetto ad allora: non si tratta più


di cercare un’alternativa obbligata alle relazioni con gli Usa, e in
particolare con l’Europa, ma di una politica strategica e di lungo
periodo. Oggi Teheran intende creare un nuovo ordine non sol-
tanto economico e politico, ma anche di sicurezza, e sottolinea­re
gli aspetti militari della cooperazione con la Cina, come pure
con la Russia. La sua svolta verso l’Oriente evidenzia l’allontana-
mento della Russia e, in particolare, della Cina dall’Occidente,
in quanto esse sono pronte a un ulteriore inasprimento del con-
flitto con gli Usa a causa del peggioramento delle relazioni di
questi ultimi con l’Iran.
In questa «svolta verso l’Oriente» la Cina svolge un ruolo
chiave. Per due decenni si è impegnata a ridurre, almeno in par-
48
te, l’isolamento internazionale dell’Iran, divenendo così il suo
partner commerciale più importante, soprattutto dopo l’introdu-
zione delle sanzioni degli Usa contro Teheran17. Anche se finora
l’Iran ha cercato di presentarsi, almeno nella retorica ufficiale,
come uno Stato rivoluzionario, la sua politica estera – con alcune
eccezioni, come nei rapporti con Israele – ha un orientamento
molto pragmatico, comprese le relazioni con la Cina e la Russia,
che molto difficilmente si possono conciliare con un’agenda ri-
voluzionaria islamica: si pensi, ad esempio, allo Xinjiang e alla
Cecenia.
L’Iran punta sul fatto che l’ordinamento mondiale occidentale or-
mai è superato, e al suo posto è subentrato un altro ordinamento, nel
quale né l’Occidente né l’Oriente hanno un posto preminente, ma è
la Cina ad averlo, almeno in Eurasia. Perciò l’Iran è disposto a impe-
gnarsi pienamente nel piano di trasformazione dell’Eurasia, e molto
spesso costituisce il motore di tale processo.
Anche se nella sua crescita economica la Cina dipende ancora
molto fortemente dal mercato americano18 (ma molto probabilmen-

17. Cfr «Iran Exports, Imports, and Trade Partners», in OEC (https://oec.
world/en/profile/country/irn).
18. Cfr D. Moss, «How Much of Chinas GDP Was Made in America?», in
Bloomberg Opinion (https://tinyurl.com/2tnsva7h), 16 aprile 2021.
UN «NUOVO IMPERO MONGOLO»?

te questa situazione cambierà nei prossimi anni19), dalle tecnologie


dell’Occidente, o dai Paesi che si trovano nella sfera di influenza
occidentale, come Taiwan e la Corea del Sud, per quanto riguarda
i chips ad alta tecnologia20, essa si è mostrata molto disponibile a
rafforzare i rapporti con l’Iran21.

L’Iran, la Russia e l’Unione euroasiatica: una prospettiva reale?

Dal momento che i rapporti tra Cina e Iran sono stati già og-
getto di grande attenzione da parte dei mass media, qui vogliamo
concentrarci su alcuni aspetti meno noti della svolta iraniana verso
l’Oriente, ossia sui suoi rapporti con la Russia e con l’Unione eco-
nomica euroasiatica (Uee)22 .
49
Le relazioni tra la Russia e l’Iran23 sono sempre state, per usare
un eufemismo, mutevoli. Le guerre del XIX secolo, la spartizio-
ne, operata dalla Gran Bretagna, dell’Iran in sfere di influenza e
l’occupazione della parte settentrionale del Paese durante la Se-
conda guerra mondiale, tutti questi eventi hanno lasciato strasci-
chi nell’Iran attuale. Ma non è tutto: fino a poco tempo fa negli
iraniani c’era il sospetto che la Russia, seguendo l’esempio degli
europei, potesse abbandonare il loro Paese in qualsiasi momento,
per non danneggiare le proprie relazioni con gli Usa, o in vista di
migliorarle. In effetti, nella storia recente la Russia ha sacrificato
le proprie relazioni con l’Iran nella speranza di migliori relazio-
ni con gli Usa, soprattutto per quanto riguarda le forniture di
armi. Nel 2010, per non compromettere il «reset» con gli Usa,
ha rinunciato alla vendita degli S-300, sebbene fosse stato già

19. Cfr P. Coppens, «Can China catch up with US on semiconductors?», in


https://tinyurl.com/4kea8esu
20. Cfr «ZTE and Huawei Sanctions», in https://ofaclawyer.net/economic-
sanctions-programs/china/zte-huawei
21. Cfr J. J. Ikoba, «China’s chip imports climb to nearly $ 380 billion in
2020», in Gizmochina (https://tinyurl.com/vpk55pkb3), febbraio 2021.
22. Cfr https://tinyurl.com/kdrk39a8
23. Sulle relazioni tra la Russia e l’Iran, cfr В. Хосейнзадех, «Российско-
иранские отношения на современном этапе» (Le relazioni russo-iraniane in
epoca moderna), Дипломатическая Академия Министерства Иностранных
Дел Российской Федерации (Accademia diplomatica del ministero russo degli
Affari esteri), Mosca, 2018.
FOCUS

firmato il contratto, e sebbene questo non rientrasse nella lista


delle sanzioni. Tali leggerezze hanno pregiudicato fortemente la
fiducia degli iraniani nella lealtà e affidabilità della Russia. Solo
la cooperazione di questi due Paesi nella guerra siriana è riuscita
a rafforzare la loro fiducia reciproca, portando le loro relazioni a
un «livello strategico»24.
Tuttavia, secondo alcuni analisti, anche in occasione del-
la guerra siriana la Russia e l’Iran non sono diventati partner
strategici, e non lo diventeranno in un futuro prossimo. Come
abbiamo già detto, negli anni Novanta le relazioni con l’Iran
erano ritenute importanti da Mosca solo come strumento per
migliorare i rapporti con l’Occidente25. I loro progetti – anche
economici – fino a poco tempo fa sono rimasti quasi esclusi-
50
vamente sulla carta, come, ad esempio, quello più famoso che
esamineremo ora.

Il «corridoio Nord-Sud»

Il progetto fu avviato già nel 2000 dall’Iran, dall’India e dalla


Russia, con il proposito di collegare l’India all’Europa passando
per l’Iran26. Si tratta di un sistema di trasporti che, mediante una
linea ferroviaria o addirittura per mezzo di un canale di colle-
gamento previsto tra il Mare Arabico e il Mar Caspio, dovrebbe
collegare l’India con l’Asia centrale, con la Russia e, più in gene-
rale, con l’Europa. Questo percorso, malgrado i diversi trasbordi
che devono compiere le merci, appare più rapido ed economico
rispetto a quelli tradizionali. Finora però sono entrate in funzione
soltanto alcune parti di tale corridoio, mancando il capitale per
il suo completamento definitivo, e solo poche compagnie di tra-

24. N. Kozhanov, Understanding the Revitalization of Russian-Iranian


Relations, Carnegie Moscow Center, 2015.
25. Cfr Н. Смагин, «Стратегическое недоверие: Почему у России и Ирана
не получается стать партнерами?» («Una diffidenza strategica: Perché la Russia e
l’Iran non riescono a diventare partner?»), in Московский Центр Карнеги (Carnegie
Moscow Center) (https://carnegie.ru/commentary/79251), 4 giugno 2019.
26. Cfr M. Fayez Farhat, «North-South Corridor: The Limits of Iranian
Power», in Journal for Iranian Studies, 7 giugno 2018.
UN «NUOVO IMPERO MONGOLO»?

sporto si azzardano a utilizzare questa via, finché restano in vigore


le sanzioni contro l’Iran27.
Tuttavia le situazioni cambiano e, come riferisce la Jamestown
Foundation per gli studi eurasiatici, gli ambiziosi progetti russo-ira-
niani per la costruzione di un canale tra il Mar Caspio e l’Oceano
Indiano stanno andando avanti. Solo poco tempo fa ciò appariva
impossibile a causa delle difficoltà tecniche e finanziarie, oltre che
per l’opposizione di altri Paesi. Ora però che la Russia e l’Iran stan-
no per realizzare il «corridoio Nord-Sud» mediante la ferrovia e le
autostrade, anche il progetto di un canale che, seguendo i fiumi
iraniani, dovrebbe collegare il porto di Anzali, sul Mar Caspio, con
il Golfo Persico, appare sempre più realistico28. C’è però il problema
che il Mar Caspio è 29 metri più basso rispetto all’Oceano India-
51
no. Per questo l’Iran dovrebbe sviluppare un sistema di dighe e di
pompe per l’acqua, per cui ci sarebbe bisogno di ricorrere all’energia
atomica. Ma se questo progetto verrà realizzato, attraverso il cana-
le si potranno trasportare fino a 20 milioni di tonnellate di merci
all’anno in entrambe le direzioni. Così ci sarà un collegamento più
stretto della Russia con l’Iran, l’India – che partecipa anch’essa al
progetto – e l’Asia meridionale, facendo diminuire l’importanza del
canale di Suez29.
Se si pensa al significato geopolitico ed economico di questo
nuovo canale, non deve meravigliare che il progetto incontri la for-
te opposizione dei Paesi occidentali. Già nel 1997 gli Stati Uniti
avevano avvertito che qualsiasi azienda che avesse partecipato alla
costruzione del canale sarebbe incorsa in sanzioni. Ora però la Rus-
sia crede di poter ignorare queste minacce, dal momento che, ri-
correndo in modo eccessivo alle sanzioni, gli Usa hanno svalutato
molto tale strumento. Le aziende russe, con il sostegno del loro
governo, procedono nella realizzazione di questo progetto, perché,

27. Cfr Н. Смагин, «Стратегическое недоверие: Почему у России и


Ирана не получается стать партнерами?», cit.
28. Cfr P. Goble, «Moscow Now Seeking to Make the Caspian Both a North-
South and an East-West Hub», in Eurasia Daily Monitor, 24 marzo 2020.
29. Cfr А. Леонов, «Вместо Суэца: Из Каспия в Индийский океан»
(«Invece di Suez: dal Mar Caspio all’Oceano Indiano»), in Столетие (https://
tinyurl.com/a5yd5xcz), 16 aprile 2021.
FOCUS

oltre che redditizio, lo considerano parte della strategia di resistenza


alla pressione degli Usa. Inoltre, sullo sfondo c’è ancora una volta
il crescente potere della Cina: la costruzione del canale viene vista
come una possibilità per ampliare i rapporti commerciali con questa
nazione grazie ai progetti infrastrutturali e per integrarsi nei pia-
ni cinesi della «Nuova via della seta». E questi vantaggi superano i
danni causati dalle possibili sanzioni degli Usa30.
A partire dal 2018 si è assistito anche a un grande movimen-
to di cooperazione e di integrazione economica dell’Iran non sol-
tanto con la Russia, ma anche con l’Unione economica eurasiatica,
guidata dalla Russia e che comprende la Bielorussia, l’Armenia, il
Kazakistan e il Kirghizistan. Sono in corso trattative tra l’Iran e
l’Uee per una zona di libero scambio permanente, che corrisponde
52
alla «svolta verso l’Oriente» iraniana. Grazie alla creazione di questa
zona, l’Iran potrà trovare nuovi mercati per le sue merci, sfuggendo
anche in parte alle sanzioni americane.
L’Uee sta conducendo anche trattative per una zona di libero
scambio con Israele31. Non si può escludere che alcune forze in Iran
possano tentare di farle fallire. L’accordo dell’Uee con Israele può
creare alcuni problemi a quello con l’Iran. Tuttavia, finora l’Iran ha
dimostrato di prendere sul serio la sua svolta verso l’Oriente. Dopo
la sua visita a Mosca del 10 febbraio 2021, il presidente del Par-
lamento iraniano ha fatto capire che l’Iran potrebbe diventare un
membro a tutti gli effetti dell’Unione economica eurasiatica32. Si
tratta solo di pura speculazione, ma già il fatto che sia stato possibile
esprimere questo auspicio è di per sé significativo.
Dopo quella russa, l’economia iraniana è la seconda in ordine di
grandezza nell’ambito dell’Uee, ma l’Iran può trovare pochi mercati
esteri per le sue merci, per cui per essa la zona di libero scambio con
l’Uee è d’importanza vitale. Allo stesso tempo, la Russia, insieme al

30. Cfr P. Goble, «“Canal War”. Breaking Out in Greater Caspian Region»,
in Eurasia Daily Monitor (https://tinyurl.com/yyhrmsv4), 29 aprile 2021.
31. Cfr «ЕАЭС» и Израиль обсуждают создание зоны свободной
торговли» («Uee e Israele dialogano riguardo alla zona del libero scambio»), in
rg.ru (https://tinyurl.com/vfakbvnw).
32. Cfr Е. Цоц, «Иран вступает в ЕАЭС. Какую выгоду получит Россия?»
(«L’Iran aderisce all’Uee. Quali vantaggi ne avrà la Russia?»), in Regnum (https://
regnum.ru/news/polit/3197862.html), 22 febbraio 2021.
UN «NUOVO IMPERO MONGOLO»?

Kazakistan, vede nell’Iran un mercato per i suoi prodotti industria-


li. Così anche l’Armenia, che confina con l’Iran amico, può evitare
l’embargo parziale attraverso l’Azerbaigian e la Turchia, e divenire
persino un Paese di transito.
Finora l’esperienza della zona provvisoria di libero scambio (il
trattato, valido per tre anni, è entrato in vigore il 27 ottobre 2019) è
stata molto incoraggiante. Sebbene quella fosse l’epoca in cui veni-
vano decise nuove sanzioni contro l’Iran, e nonostante il lockdown
imposto dalla pandemia da Covid-19, il commercio tra l’Iran e
l’Uee è potuto crescere del 18% e ha raggiunto quasi i 3 miliardi
di dollari. Per ciò che si è visto, l’economia iraniana è quella che ha
tratto il maggiore profitto da tale trattato: le esportazioni iraniane
sono cresciute più rapidamente delle sue importazioni.
53
Ma va anche detto che la quota del commercio dell’Uee con
l’Iran rappresenta solo lo 0,5% del volume globale (per l’Iran è il
3%). Alla Russia tocca la quota principale del commercio (75-85%)
delle esportazioni e il 65% delle importazioni iraniane nel commer-
cio con l’intera Uee. L’Armenia merita una menzione particolare
perché a essa va il 25% delle importazioni dell’Unione economica
eurasiatica dall’Iran33.
Malgrado l’importanza economica relativamente bassa dell’Uee
e dell’Iran, entrambe possono giungere a un partenariato strate-
gico, limitato all’area eurasiatica. Se Cina, Iran e Russia riescono a
coordinare le loro politiche e ad armonizzare i loro commerci al-
meno in tale zona, insieme al progetto cinese della «Nuova via della
seta» si può creare una nuova area politica ed economica che va dal
Pacifico fino al Baltico, e dall’Artico fino al Golfo Persico.
Assieme agli altri Stati dell’area eurasiatica e alla Cina, l’Iran è
riuscito a ottenere, accanto a una cooperazione di tipo economico,
una forte collaborazione per la sicurezza politica. Ciò distingue l’at-
tuale politica dello «sguardo a Oriente» dai suoi precedenti approcci
sotto il presidente Ahmadinejad. Il Paese non scommette più fon-
damentalmente sulle istituzioni esistenti, ma sempre più su piatta-

33. Cfr Н. Смагин, «Торговля Ирана и ЕАЭС и перспективы ее развития»,


cit.
FOCUS

forme semiformali. Ispirandosi al modello del Processo di Astana34,


nel 2018 l’Iran ha avviato un «Dialogo regionale per la sicurezza».
Il primo incontro, che si è tenuto a Teheran, ha avuto come tema
la situazione in Afghanistan. Allo scambio sono intervenuti l’Af-
ghanstan, la Russia, l’India e la Cina. Si è discusso pure di altri temi,
come la cooperazione economica, la lotta al terrorismo in Asia cen-
trale e la guerra in Siria. I partecipanti hanno deciso di creare una
segreteria comune e di organizzare riunioni annuali35.
Tutti e tre i Paesi – Cina, Iran e Russia – si sono allontanati
dall’ordinamento mondiale di stampo occidentale e ora cercano di
stabilire relazioni con l’«Oriente globale». E questo li rende – se non
dal punto di vista economico, almeno da quello politico, ideologico
e geostrategico – partner importanti l’uno per l’altro36. Anche se le
54
relazioni reciproche tra questi tre Paesi sono mutevoli ed essi han-
no interessi diversi, la firma dell’accordo di partenariato strategico
tra Iran e Cina, da una parte, e l’integrazione dell’Iran nell’Unione
economica eurasiatica, dall’altra, fanno riconoscere come possibile
una nuova configurazione dell’Eurasia.

34. Il Processo di Astana è un processo di pace per la guerra civile siriana mes-
sa in atto, a partire dal 2016, dalle diplomazie di Russia, Turchia e Iran.
35. Cfr A. Zamirirad, «Irans “Blick nach Osten”», in Berlin, Deutsches
Institut für Internationale Politik und Sicherheit, 2020.
36. Cfr А. Шустов, «Иран и Китай хотят перекроить геополитическую
карту Центральной Азии» («L’Iran e la Cina vogliono trasformare la carta
geopolitica dell’Asia centrale»), in Евразия Эксперт (https://tinyurl.com/7paf6vya),
23 gennaio 2017.
«IL CENTRO DELLA CHIESA?
NON È LA CHIESA!»
Papa Francesco a Budapest e in Slovacchia
Antonio Spadaro S.I.

Alle 6,10 il volo papale, con a bordo il seguito e 78 giornalisti ac-


creditati, è decollato dall’aeroporto di Fiumicino alla volta di Budapest,
dove è atterrato intorno alle 7,45. Così è iniziato il 34° viaggio aposto-
lico di papa Francesco. Il motivo della tappa nella capitale ungherese è
55
stato il 52° Congresso eucaristico internazionale, che si è svolto dal 5
al 12 settembre. Previsto inizialmente nel settembre 2020, a regolare
distanza di quattro anni dalla precedente edizione nelle Filippine, esso
era stato posticipato al 2021, a causa della pandemia da Covid-19.
Il motto dell’evento è stato tratto dal Salmo 87: «Sono in te tutte
le mie sorgenti». Il logo mostra che dai segni eucaristici del pane e
del calice sgorga una sorgente d’acqua che discende e fluisce in onde
che richiamano il fiume Danubio. Budapest ha ospitato per la seconda
volta un Congresso eucaristico internazionale, dopo la 34a edizione
del 1938. Ben diverso, naturalmente, era il contesto di allora, quando il
mondo sentiva già l’avvicinarsi della Seconda guerra mondiale.

Budapest: futuro, fratellanza, integrazione

Sceso dall’aereo, il Papa è stato accolto dal Vice primo ministro,


Zsolt Semjén. Due bambini in abito tradizionale gli hanno offerto
fiori. Dall’aeroporto si è recato al Museo delle Belle Arti, a Piazza
degli Eroi, la più grande piazza di Budapest, e anche quella più
rappresentativa dal punto di vista storico e politico. A caratteriz-
zare il luogo è il «Monumento del Millenario», costruito nel 1896
per celebrare il millesimo anniversario della conquista della patria.
Raffigura personaggi e simboli emblematici della storia ungherese.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 55-70 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


VITA DELLA CHIESA

Il Museo delle Belle Arti è ospitato in un monumentale palazzo


sul lato occidentale di Piazza degli Eroi. Il Papa è stato accolto all’in-
gresso del Museo dal presidente della Repubblica, János Áder, e dal
primo ministro, Viktor Orbán. Insieme si sono recati nella Sala Ro-
manica, dove ha avuto luogo un incontro, al quale hanno partecipato
anche il Segretario di Stato vaticano e il Segretario per i Rapporti con
gli Stati. Temi della conversazione sono stati l’ambiente e la famiglia.

LA PROSPETTIVA DELLA CHIESA NON DEVE ESSERE


QUELLA DI CUSTODIRE CENERI, MA DI APRIRSI
ALLE SFIDE DEL FUTURO IN MODO EVANGELICO.

56
Al termine, il Papa si è congedato e si è recato nella Sala Ri-
nascimentale, dove ha avuto luogo l’incontro con circa 35 vescovi
locali1. Qui Francesco ha tenuto un discorso incisivo, ricco di spunti
sul modo in cui la Chiesa deve essere presente all’interno della socie-
tà ungherese e su quale messaggio deve testimoniare all’interno del
tessuto sociopolitico della Nazione. In primo luogo, il Pontefice ha
chiesto ai presuli di «custodire il passato», ma insieme di «guardare
al futuro». Occorre, infatti, «custodire le nostre radici religiose e la
storia da cui proveniamo, senza però restare con lo sguardo rivol-
to indietro: guardare avanti e trovare nuove vie per annunciare il
Vangelo». Lo stesso ministero episcopale «non serve a ripetere una
notizia del passato, ma è voce profetica». La prospettiva della Chiesa
non deve essere quella di custodire ceneri, ma di aprirsi alle sfide del
futuro in modo evangelico. Del resto, «dietro un vestito di tradizioni
religiose si possono nascondere tanti lati oscuri». Occorre vigilare.
Francesco poi ha dato alcune indicazioni per portare avanti questa
speciale missione. La prima è quella di essere annunciatori del Van-
gelo senza cedere alla tentazione «di chiuderci nella difesa delle isti-
tuzioni e delle strutture», le quali hanno senso solamente «se servono
[…] a risvegliare nelle persone la sete di Dio e a portare loro l’acqua

1. La Conferenza episcopale ungherese riunisce i presuli delle 17 circoscri-


zioni ecclesiastiche dell’Ungheria (14 di rito latino e 3 di rito bizantino), insieme
all’Ordinario militare e all’abate di Pannonhalma. Il suo attuale presidente è mons.
András Veres, vescovo di Győr.
IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO A BUDAPEST E IN SLOVACCHIA

viva del Vangelo». Ai vescovi è richiesta dunque «non la burocrati-


ca amministrazione delle strutture», ma «la passione ardente per il
Vangelo», evitando l’atteggiamento di stare sulla difensiva, come se si
fosse accerchiati, assediati.
La seconda indicazione è quella di «essere testimoni di fraternità».
Con attenzione alla situazione sociopolitica, il Papa ha affermato in
particolare: «Il vostro Paese è luogo in cui convivono da tempo per-
sone provenienti da altri popoli. Varie etnie, minoranze, confessioni
religiose e migranti hanno trasformato anche questo Paese in un am-
biente multiculturale. Questa realtà è nuova e, almeno in un primo
momento, spaventa. La diversità fa sempre un po’ paura perché mette
a rischio le sicurezze acquisite e provoca la stabilità raggiunta».
Il tema della diversità è stato uno di quelli chiave del discorso. Di
57
fronte alle diversità possiamo avere due atteggiamenti: «chiuderci in
una rigida difesa della nostra cosiddetta identità oppure aprirci all’in-
contro con l’altro e coltivare insieme il sogno di una società fraterna»2.
La scelta evangelica è chiaramente la seconda e «l’appartenenza alla
propria identità non deve mai diventare motivo di ostilità e di disprez-
zo degli altri, bensì un aiuto per dialogare con culture diverse».
Francesco ha fatto riferimento a «un contesto nel quale la de-
mocrazia ha ancora bisogno di consolidarsi». Per essere ancora più
chiaro, ha usato l’immagine del Ponte delle Catene, che collega le
due parti della città, Buda e Pest, chiedendo «nuovi ponti di dialo-
go» e una Chiesa dal «volto accogliente verso tutti, anche verso chi
proviene da fuori, fraterno, aperto al dialogo». Ecco allora la richie-
sta esplicita: «Come Vescovi, vi chiedo di mostrare sempre, insieme
ai sacerdoti e ai collaboratori pastorali, il volto vero della Chiesa: un
volto accogliente verso tutti, anche verso chi proviene da fuori». Si è
trattato, dunque, di un forte messaggio che Francesco ha consegna-
to ai vescovi perché siano lievito nella società ungherese.
Al termine, il Papa ha salutato individualmente i partecipanti,
e quindi si è recato nella sala accanto, la Sala dei Marmi, dove ha
avuto luogo l’incontro con i rappresentanti del Consiglio ecumeni-

2. I corsivi all’interno delle citazioni dei discorsi del Papa sono sempre nostri.
VITA DELLA CHIESA

co delle Chiese3 e di alcune Comunità ebraiche dell’Ungheria. Un


rappresentante delle Comunità cristiane e poi uno di quelle ebrai-
che hanno salutato il Papa. Francesco ha tenuto un discorso ampio,
tutto intriso di spirito di fratellanza e integrazione: «Vedo voi, fra-
telli nella fede di Abramo nostro padre. Apprezzo tanto l’impegno
che avete testimoniato ad abbattere i muri di separazione del passa-
to; ebrei e cristiani, desiderate vedere nell’altro non più un estraneo,
ma un amico; non più un avversario, ma un fratello», ha affermato.
Ma non basta abbattere muri: «Il Dio dei padri apre sempre strade
nuove: come ha trasformato il deserto in una via verso la Terra Pro-
messa, così desidera portarci dai deserti aridi dell’astio e dell’indif-
ferenza alla sospirata patria della comunione». Ecco dunque l’invito
a «uscire, camminare, raggiungere terre inesplorate e spazi inediti».
58
Il Papa si è soffermato a lungo di nuovo sull’immagine del Ponte
delle catene, che unisce le due parti della città: «Non le fonde insieme,
ma le tiene unite. Così devono essere i legami tra di noi. Ogni volta
che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è
distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo».
Non bisogna «cedere alle logiche dell’isolamento e degli interessi di par-
te». Il Pontefice ha ricordato il poeta di origine ebraica Miklós Radnóti,
che, rinchiuso in un campo di concentramento, nell’abisso più oscuro e
depravato dell’umanità, continuò a scrivere poesie, fino alla morte.
Francesco poi è uscito sulla piazza e, dopo un giro tra i fedeli, ha
celebrato la Messa in latino, aperta dal saluto del cardinale Péter Erdő.
La celebrazione è avvenuta davanti al simbolo del Congresso euca-
ristico: una croce fiorita, alta quasi 5 metri, rivestita di un paramento
bronzeo in cui sono incastonate una reliquia della santa Croce e le
reliquie dei santi ungheresi.
Nella sua omelia il Papa ha chiesto il «rinnovamento del discepolato»,
passando dall’ammirazione per Gesù alla sua imitazione. Il suo annuncio
è quello di un Messia che va verso la croce, non quello di un Messia
potente. Pietro si ribella davanti a questa prospettiva. «La via di Dio – ha
detto Francesco – rifugge da ogni imposizione, ostentazione e trionfa-

3. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ungheresi è stato fondato nel 1943,


ed è membro del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc-Cec). Vi fanno parte 11
Chiese, che collaborano con altre 20 Chiese e organizzazioni cristiane magiare.
Attualmente è presieduto dal vescovo riformato Joseph Steinbach.
IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO A BUDAPEST E IN SLOVACCHIA

lismo, è sempre protesa al bene altrui, fino al sacrificio di sé». Pertanto,


«il cammino cristiano non è una rincorsa al successo, ma comincia con
un passo indietro, con un decentramento liberatorio, con il togliersi dal
centro della vita». Allora «la differenza non è tra chi è religioso e chi no.
La differenza cruciale è tra il vero Dio e il dio del nostro io». L’Eucaristia
ci spinge «a sentirci un solo Corpo, a spezzarci per gli altri».
Alla fine della Messa mons. Piero Marini, presidente del Pontifi-
cio comitato per i Congressi eucaristici internazionali, ha rivolto un
discorso di saluto e di ringraziamento al Papa. Dopo i riti conclusivi
della Messa, Francesco ha pronunciato l’ Angelus, esprimendo il suo
augurio finale: «Questo vi auguro, che la croce sia il vostro ponte tra
il passato e il futuro! Il sentimento religioso è la linfa di questa nazio-
ne, tanto attaccata alle sue radici. Ma la croce, piantata nel terreno,
59
oltre a invitarci a radicarci bene, innalza ed estende le sue braccia
verso tutti: esorta a mantenere salde le radici, ma senza arroccamenti;
ad attingere alle sorgenti, aprendoci agli assetati del nostro tempo.
Il mio augurio è che siate così: fondati e aperti, radicati e rispettosi».
Così si è conclusa la prima tappa del viaggio di Francesco, con un
messaggio fortemente sbilanciato sul futuro e su una Chiesa e una
società capaci di costruire ponti, di dialogare e di accogliere fraterna-
mente le diversità. Dopo la Messa, Francesco si è diretto all’aeroporto,
dove è avvenuta la cerimonia di congedo prima del decollo per Brati-
slava, dove l’aereo è atterrato alle 15,30, dopo meno di un’ora di volo.

Slovacchia: un Paese al centro dell’Europa

Il Papa è stato accolto dalla presidente della Repubblica, Zuzana


Čaputová, ai piedi della scala anteriore dell’aereo. Due bambini in
abito tradizionale gli hanno offerto, in segno di accoglienza, pane,
sale e fiori. Da qui il Papa si è recato alla Nunziatura apostolica,
dove è avvenuto un incontro ecumenico. Il Presidente del Consiglio
ecumenico delle Chiese4 gli ha rivolto un saluto. Il Santo Padre ha
tenuto un discorso, nel quale ha ricordato la schiavitù ai tempi del

4. Il Consiglio ecumenico delle Chiese nella Repubblica Slovacca conta 11


Chiese membri, che rappresentano quasi tutte le Chiese non cattoliche del Paese. La
Conferenza episcopale cattolica vi ha lo status di osservatore. Il presidente è mons.
Ivan Eľko, vescovo generale della Chiesa evangelica in Slovacchia.
VITA DELLA CHIESA

regime comunista, sottolineando che adesso però non si deve cadere


nella tentazione della schiavitù interiore: «È ciò da cui metteva in
guardia Dostoevskij in un celebre racconto, la Leggenda del Gran-
de Inquisitore», nel quale costui «arriva a rimproverare Gesù di non
aver voluto diventare Cesare per piegare la coscienza degli uomini
e stabilire la pace con la forza. Invece, ha continuato a preferire per
l’uomo libertà, mentre l’umanità reclama “pane e poco altro”».
Il forte appello di Francesco alla libertà, che ritroveremo altre vol-
te durante il suo viaggio, si unisce a quello che richiama l’importanza
dell’unità: «Come possiamo auspicare un’Europa che ritrovi le proprie
radici cristiane se siamo noi per primi sradicati dalla piena comunione?».
Infine, il Papa ha dato due consigli. Il primo è la contemplazione,
«carattere distintivo dei popoli slavi», che «sa accogliere il mistero». Il
60
secondo è l’azione. Infatti, «l’unità non si ottiene tanto con i buoni pro-
positi e con l’adesione a qualche valore comune, ma facendo qualcosa
insieme per quanti ci avvicinano maggiormente al Signore. Chi sono?
Sono i poveri, perché in loro Gesù è presente». Ritorna qui una chiara
indicazione di Francesco, ripetuta tante volte durante il suo pontifi-
cato: il dialogo e l’incontro si fondano più sulle opere che sulle parole.
Alla fine, intorno alle 17,30, il Papa, sempre in Nunziatura, ha avuto
un incontro privato con 53 gesuiti che operano nel Paese.
Alle 9,00 di lunedì 13 settembre il Pontefice si è recato nel Palazzo
presidenziale, il Palazzo Grassalkovich, dallo stile tardobarocco, che è
in posizione centrale, di fronte alla piazza Hodžovo námestie. È stato
accolto dalla Presidente della Repubblica all’ingresso del Palazzo, dove
ha avuto luogo la cerimonia di benvenuto. Due bambini, sul tappeto
rosso, gli hanno regalato pane e sale. Dopo gli inni, l’onore alle ban-
diere e la presentazione delle delegazioni, la Presidente e il Papa si sono
recati nella Sala d’Oro del Palazzo presidenziale per l’incontro privato.
Al termine, la Presidente della Repubblica ha accompagnato il Papa
nell’adiacente Sala Verde, dove è avvenuto lo scambio dei doni e la
presentazione della famiglia. Successivamente entrambi si sono recati
nel giardino del Palazzo presidenziale per l’incontro con le autorità
politiche e religiose, il Corpo diplomatico, gli imprenditori e i rappre-
sentanti della società civile e della cultura: in tutto, circa 250 persone.
La Presidente ha fatto un discorso di alto profilo: «Il cristiane-
simo e la Chiesa cattolica – ha esordito – costituiscono da secoli
IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO A BUDAPEST E IN SLOVACCHIA

una parte essenziale della nostra identità culturale. La accogliamo,


tuttavia, non solo nella Sua qualità di rappresentante di una delle
maggiori famiglie religiose di questo Pianeta e dei suoi valori, ma
anche, e soprattutto, come sorgente di ispirazione, così necessaria
per l’avvenire dell’umanità. Per il futuro della nostra Slovacchia, e
per il futuro del cristianesimo in essa, è molto importante il modo
con cui Lei porge alla nostra epoca il messaggio del Vangelo, non
solo come “eredità dei padri”, ma come viaggio che trasforma il
nostro presente e ci indica il domani».
In particolare, la Presidente ha affermato: «Ella invita all’umil-
tà, alla misericordia e alla fratellanza umana. Invita a una nuova
cultura della politica e a una nuova etica dell’economia. Nelle Sue
encicliche sociali mette in guardia dai maggiori pericoli del nostro
61
tempo: il populismo, l’egoismo nazionale, il fondamentalismo e il
fanatismo. Ella si pone in modo evidente contro tutti coloro che
vogliono sfruttare la religione per obiettivi politici».
Francesco poi ha rivolto il suo messaggio, dicendosi «pellegrino
in un Paese giovane, ma dalla storia antica, in una terra dalle ra-
dici profonde situata nel cuore d’Europa. Davvero mi trovo in una
“terra di mezzo”». Il respiro delle sue parole fa di questo messaggio
anche un messaggio all’Europa: «La sola ripresa economica, inoltre,
non è sufficiente in un mondo dove tutti siamo connessi, dove tutti
abitiamo una terra di mezzo. Mentre su vari fronti continuano lotte
per la supremazia, questo Paese riaffermi il suo messaggio di inte-
grazione e di pace, e l’Europa si distingua per una solidarietà che,
valicandone i confini, possa riportarla al centro della storia». Non
solo: «Tanti, troppi in Europa si trascinano nella stanchezza e nella
frustrazione, stressati da ritmi di vita frenetici e senza trovare dove
attingere motivazioni e speranza. L’ingrediente mancante è la cura
per gli altri». Bisogna curare e guarire l’anima europea.
Parlando della Slovacchia e dalla separazione della Cecoslovac-
chia in due Stati indipendenti, il Papa ha ricordato che «ventotto
anni fa il mondo ammirò la nascita senza conflitti di due Paesi in-
dipendenti». Questa storia diventa allora una missione, «chiama la
Slovacchia a essere un messaggio di pace nel cuore dell’Europa».
Il tema della pace, della riconciliazione e dell’unità è uno dei forti
messaggi al centro di questo viaggio apostolico.
VITA DELLA CHIESA

Francesco ha poi affermato che la storia della Slovacchia è se-


gnata indelebilmente dalla fede: «Il sale della fede non è una risposta
secondo il mondo, non sta nell’ardore di intraprendere guerre cul-
turali, ma nella semina mite e paziente del Regno di Dio, anzitut-
to con la testimonianza della carità». Ha invitato quindi a lasciarsi
ispirare dai santi Cirillo e Metodio – più volte nominati nei suoi
discorsi –, figure che hanno profondamente caratterizzato tutta la
storia della Nazione slovacca, e che sono considerati come i «Padri»
spirituali e culturali della Nazione.
Francesco ha fatto riferimento anche a «tanti scrittori, poeti e
uomini di cultura che sono stati il sale del Paese. E come il sale
brucia sulle ferite, così le loro vite spesso sono passate attraverso
il crogiuolo della sofferenza. Quante personalità illustri sono state
62
rinchiuse in carcere, rimanendo libere dentro e offrendo esempi
fulgidi di coraggio, coerenza e resistenza all’ingiustizia! E soprat-
tutto di perdono». Sullo sfondo delle storie di martirio, il Papa ha
volto lo sguardo al futuro dell’evangelizzazione e della missione.

Un’immagine di Chiesa fondata sulla libertà e la creatività

Dopo il congedo dalla Presidente, il Papa si è recato nella cat-


tedrale di San Martino di Tours, sede vescovile dell’arcidiocesi di
Bratislava, che si trova ai margini del centro storico, dove si er-
gevano le mura fortificate della città. Qui ha incontrato i vescovi,
i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi e i catechisti. Dopo un breve
saluto di benvenuto del Presidente della Conferenza episcopale slo-
vacca5, Francesco ha tenuto un discorso. «Sono qui per condividere
il vostro cammino – questo deve fare il vescovo, il Papa –, le vostre
domande, le attese e le speranze di questa Chiesa e di questo Paese»,
ha esordito. Queste sono parole importanti per definire il modo in
cui Francesco interpreta il suo ministero petrino.
Ha quindi fornito un’immagine di Chiesa precisa, cosa che egli
fa spesso durante i suoi viaggi parlando agli uomini e alle donne di

5. La Conferenza episcopale della Slovacchia è composta dai presuli delle 11 cir-


coscrizioni ecclesiastiche (otto di rito latino e tre di rito bizantino) e dell’Ordinariato
militare. Il suo attuale presidente è mons. Stanislav Zvolenský, arcivescovo di Bratislava.
IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO A BUDAPEST E IN SLOVACCHIA

Chiesa, componendo per tasselli una sorta di ecclesiologia aliena a


ogni tentazione di arroccamento e chiusura. La Chiesa «cammina
insieme, percorre le strade della vita con la fiaccola del Vangelo ac-
cesa. La Chiesa non è una fortezza, non è un potentato, un castello
situato in alto che guarda il mondo con distanza e sufficienza. Qui
a Bratislava il castello già c’è ed è molto bello! Ma la Chiesa è la co-
munità che desidera attirare a Cristo con la gioia del Vangelo – non
il castello! –, è il lievito che fa fermentare il Regno dell’amore e della
pace dentro la pasta del mondo».
Con queste parole Francesco vuole chiaramente smentire le vi-
sioni di una Chiesa intesa come cittadella separata dal mondo e le
visioni che in modo spurio si appellano al monachesimo per parlare
di un isolamento dei credenti dal resto della società. La Chiesa è
63
umile, «non si separa dal mondo e non guarda con distacco la vita,
ma la abita dentro. Abitare dentro, non dimentichiamolo: condivi-
dere, camminare insieme, accogliere le domande e le attese della
gente. Questo ci aiuta a uscire dall’autoreferenzialità: il centro della
Chiesa… Chi è il centro della Chiesa? Non è la Chiesa!». Ecco allora
l’invito: «Immergiamoci invece nella vita reale, la vita reale della
gente e chiediamoci: quali sono i bisogni e le attese spirituali del
nostro popolo? Che cosa si aspetta dalla Chiesa?».
Il Papa riconosce tre esigenze. La prima è la libertà. Se essa è
ferita, l’umanità è degradata. «A volte anche nella Chiesa questa idea
può insidiarci: meglio avere tutte le cose predefinite, le leggi da
osservare, la sicurezza e l’uniformità, piuttosto che essere cristiani
responsabili e adulti, che pensano, interrogano la propria coscienza,
si lasciano mettere in discussione». Ma questo non va bene. Tanti,
«soprattutto nelle nuove generazioni, non sono attratti da una pro-
posta di fede che non lascia loro libertà interiore, da una Chiesa in
cui bisogna pensare tutti allo stesso modo e obbedire ciecamente».
L’appello allora è a «formare le persone a un rapporto maturo
e libero con Dio. Questo forse ci darà l’impressione di non poter
controllare tutto, di perdere forza e autorità; ma la Chiesa di Cristo
non vuole dominare le coscienze e occupare gli spazi, vuole essere una
“fontana” di speranza nella vita delle persone». Questo appello alla
libertà di spirito e a una Chiesa che non la svilisce, ma la sostiene e
VITA DELLA CHIESA

la incoraggia contro ogni rigidità è un tema forte di questo viag-


gio, oltre che dell’intero pontificato di Francesco.
Consapevole dei grandi cambiamenti sociali e dei processi demo-
cratici in atto, il Papa nota che la libertà è ancora fragile. Per questo
incoraggia a essere liberi da una religiosità rigida: «Nessuno si senta
schiacciato. Ognuno possa scoprire la libertà del Vangelo, entrando
gradualmente nel rapporto con Dio, con la fiducia di chi sa che, da-
vanti a Lui, può portare la propria storia e le proprie ferite senza paura
e senza finzioni, senza preoccuparsi di difendere la propria immagine.
L’annuncio del Vangelo sia liberante, mai opprimente. E la Chiesa
sia segno di libertà e di accoglienza!». Per questo occorre «lasciarsi
provocare dalle situazioni concrete», e non andare avanti «a ripetere il
passato, senza metterci il cuore, senza il rischio della scelta». Il «fuoco
64
del Vangelo – ha detto il Papa – ci inquieta e ci trasforma».
La seconda esigenza è la creatività. L’evangelizzazione non è mai
una semplice ripetizione del passato. Gli stessi Cirillo e Metodio
«furono inventori di nuovi linguaggi per trasmettere il Vangelo,
furono creativi nel tradurre il messaggio cristiano, furono così vici-
ni alla storia dei popoli che incontravano da parlarne la loro lingua
e assimilarne la cultura». Anche noi dobbiamo trovare «nuovi “alfa-
beti”» per annunciare la fede. Francesco ha insistito ancora contro
una fede che sta sulla difensiva: «Dinanzi allo smarrimento del sen-
so di Dio e della gioia della fede non giova lamentarsi, trincerarsi
in un cattolicesimo difensivo, giudicare e accusare il mondo cattivo, no,
serve la creatività del Vangelo. Stiamo attenti! Ancora il Vangelo
non è stato chiuso, è aperto! È vigente, è vigente, va avanti». Creati-
vità è anche fidarsi di Dio: è lui «che dà la crescita. Non controllare
troppo in questo senso la vita: lasciare che la vita cresca», ha chiesto,
tornando all’appello alla libertà.
La terza esigenza è il dialogo. Una Chiesa libera e creativa «sa dia-
logare con il mondo, con chi confessa Cristo senza essere “dei nostri”,
con chi vive la fatica di una ricerca religiosa, anche con chi non crede».
Dalla cattedrale Francesco si è diretto poi alla Nunziatura apo-
stolica per il pranzo. Alle 15,45 si è recato al Centro Betlemme
delle Missionarie della carità, che si trova nel quartiere di Petržalka.
Qui, da oltre vent’anni, la comunità internazionale delle religiose
di Madre Teresa di Calcutta, fra alti palazzi di edilizia popolare, si
IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO A BUDAPEST E IN SLOVACCHIA

prende cura dei senzatetto, degli indigenti, delle persone bisognose


di aiuto e soprattutto degli ammalati. Il Papa si è intrattenuto con i
residenti della casa. Nel cortile era presente un coro di bambini, che
ha eseguito alcuni canti. Prima di congedarsi, Francesco ha recitato
l’ Ave Maria insieme ai presenti, ha consegnato un dono e ha con-
cluso l’incontro con alcune parole spontanee e la sua benedizione.
Alle 16,30 si è recato a piazza Rybné námestie, che si trova nel
cuore della città vecchia, vicino alla cattedrale di San Martino. Qui
sorgeva la sinagoga Neolog, demolita nel 1969 dal governo comu-
nista, insieme all’intero ghetto, per far posto al Ponte dell’Insurre-
zione nazionale slovacca, noto anche come Ponte Nuovo. La co-
munità ebraica che la frequentava era stata fondata nel 1871. Oggi,
nella piazza, la ricorda il Memoriale dell’Olocausto, pensato come
65
luogo di memoria pubblica.
Il Papa è stato accolto dal Presidente dell’Unione centrale delle
Comunità religiose ebraiche della Repubblica Slovacca, che lo ha
salutato con un discorso nel quale ha ricordato che nel luogo in cui
si trovavano «stavano l’uno accanto all’altro il tempio cristiano e il
tempio ebraico. Gli abitanti della città multietnica pregavano qui
l’unico Dio e sperimentavano insieme i momenti di gioia e di pre-
occupazione che la vita portava. L’architettura, dunque, ha incarna-
to la convivenza delle comunità fino al momento in cui è venuto il
periodo delle tenebre».
Dopo la testimonianza di un sopravvissuto e di una suora or-
solina – la cui Congregazione, al tempo del nazismo, ha nasco-
sto bambini ebrei con le loro famiglie –, Francesco ha tenuto un
discorso. «Sono qui come pellegrino per toccare questo luogo ed
esserne toccato», ha esordito. Ha ricordato che «il nome di Dio è
stato disonorato» dall’odio e da «indicibili atti di disumanità», ma
anche «dalle manipolazioni che strumentalizzano la religione, facen-
done questione di supremazia oppure riducendola all’irrilevanza».
Questo è per noi «il tempo in cui non si può più oscurare l’immagi-
ne di Dio che risplende nell’uomo». Oggi «il mondo ha bisogno di
porte aperte» e di fratellanza. Ad Abramo Dio disse: «In te si diran-
no benedette tutte le famiglie della terra». Allora, in terra slovacca,
«terra d’incontro tra est e ovest, tra nord e sud, la famiglia dei figli
VITA DELLA CHIESA

di Israele continui a coltivare questa vocazione, la chiamata a essere


segno di benedizione per tutte le famiglie della Terra».
Intorno alle 18,00, in Nunziatura, il Pontefice ha ricevuto la visita
del presidente del Parlamento, ovvero il presidente del Consiglio na-
zionale della Repubblica slovacca, il sig. Boris Kollár, insieme al primo
ministro, il sig. Eduard Heger. Erano con loro i rispettivi familiari.

Contro il cristianesimo trionfalista

Intorno alle 8,00 del 14 settembre, Francesco è volato dall’aero-


porto di Bratislava alla volta di Košice. Da qui si è recato al Mestská
Športová hala, il Palazzetto dello sport comunale di Prešov, la terza
città più grande del Paese e capoluogo della regione di Šariš. Lì è
66
stato accolto dal metropolita di Prešov, mons. Ján Babjak, gesuita.
Il Papa e il Metropolita sono poi saliti a bordo della papamobile per
il giro nella piazza.
Alle 10,30 è iniziata la Divina liturgia bizantina di san Giovanni
Crisostomo, presieduta dal Papa in lingua italiana. Questo è stato
un evento molto importante per la Chiesa greco-cattolica metro-
politana sui iuris in Slovacchia, che fa parte della grande famiglia
delle Chiese orientali cattoliche6. Ricordiamo che tra il 1950 e il
1968 la Chiesa greco-cattolica nell’ex Cecoslovacchia era stata mes-
sa fuori legge dal regime comunista.
Francesco ha tenuto un’omelia che ha ripreso quella della do-
menica precedente a proposito dello scandalo della croce, rilevando
il rischio di «non accettare, se non a parole, il Dio debole e croci-
fisso, e sognare un dio forte e trionfante. È una grande tentazio-
ne. Quante volte aspiriamo a un cristianesimo da vincitori, a un
cristianesimo trionfalistico, che abbia rilevanza e importanza, che
riceva gloria e onore. Ma un cristianesimo senza croce è mondano
e diventa sterile». Salito sulla croce, Cristo può essere raggiunto da
chiunque: «Perché non ci dev’essere in Terra nessuna persona tanto
disperata da non poterlo incontrare, persino lì, nell’angoscia, nel
buio, nell’abbandono, nello scandalo della propria miseria e dei pro-

6. Oggi conta 515 sacerdoti – di cui 32 sono religiosi –, 103 religiose, 208.690
fedeli, 66 seminaristi, 276 parrocchie, 23 scuole e istituzioni ecclesiastiche.
IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO A BUDAPEST E IN SLOVACCHIA

pri sbagli. Proprio lì, dove si pensa che Dio non possa esserci, Dio
è giunto». Da qui un appello a salvaguardare la croce anche dalle
sue strumentalizzazioni: «Non riduciamo la croce a un oggetto di
devozione, tanto meno a un simbolo politico, a un segno di rilevanza
religiosa e sociale». Chi ha la croce «nel cuore e non soltanto al collo
non vede nessuno come nemico, ma tutti come fratelli e sorelle per
cui Gesù ha dato la vita».
Alla fine della liturgia il Pontefice si è recato alla casa di Eser-
cizi spirituali dei gesuiti di Prešov. Qui ha salutato brevemente, ma
con grande cordialità, il personale della casa (impegnato a preparare
l’accoglienza dei vescovi presenti) e poi la piccola comunità dei ge-
suiti. Quindi è andato nel Seminario maggiore San Carlo Borro-
meo dell’arcidiocesi di Košice – che è la seconda città del Paese –,
67
situato nel cuore della città. L’edificio ospita la Facoltà di Teologia
dell’Università cattolica Ružomberok. Qui il Papa ha consumato il
pasto privatamente.
Alle 15,45 si è recato a Luník IX, uno dei 22 distretti della cit-
tà di Košice, dove c’è la più alta densità di popolazione Rom in
Slovacchia. La costruzione del quartiere fu iniziata alla fine degli
anni Settanta. Oggi la zona è abitata da 4.300 Rom. I problemi
alle infrastrutture sono notevoli. Il 1° luglio 2008 i salesiani hanno
deciso di avviare lì una loro missione; e il 30 novembre 2010 è stata
consacrata la chiesa del Cristo Risorto. Il luogo di culto rientra nel
Centro pastorale salesiano del quartiere. Modello di integrazione,
assistenza ed evangelizzazione della comunità Rom, il Centro è
composto da un’abitazione per i sacerdoti, una palestra, uno spazio
per gli incontri dei gruppi e, appunto, la chiesa.
L’incontro con la comunità Rom ha avuto luogo nel piazzale
antistante il Centro salesiano. Esso si colloca in continuità con l’in-
contro che nel 2019 il Papa ebbe in Romania, sempre con la comu-
nità Rom, e nel quale espresse tutto il dolore per le diffamazioni di
cui questa comunità era stata oggetto.
Francesco è stato accolto da canti festosi e dal saluto della gente
radunata davanti al palco e affacciata dalle finestre dei palazzi fati-
scenti. Dopo alcune testimonianze, ha tenuto un discorso di saluto,
affermando all’inizio che «nessuno nella Chiesa deve sentirsi fuori
posto o messo da parte». Sempre si è di casa nella Chiesa. Francesco
VITA DELLA CHIESA

ha riconosciuto che troppe volte i Rom sono stati «oggetto di pre-


concetti e di giudizi impietosi, di stereotipi discriminatori, di parole
e gesti diffamatori. Con ciò tutti siamo divenuti più poveri, poveri
di umanità». I Rom devono recuperare la loro dignità. E li ha invi-
tati «ad andare oltre le paure, oltre le ferite del passato, con fiducia,
passo dopo passo: nel lavoro onesto, nella dignità di guadagnare il
pane quotidiano, nell’alimentare la fiducia reciproca».
Alle 16,30 il Pontefice si è diretto allo Stadio Lokomotiva di
Košice per l’incontro con i giovani, nel quale è stata ricordata la
beata Anna Kolesárová, giovane slovacca uccisa durante la Seconda
guerra mondiale da un soldato sovietico per aver difeso la sua casti-
tà. Anna è stata beatificata nello stadio Lokomotiva il 1º settembre
2018. Il Pontefice è stato accolto dal card. Jozef Tomko, di 97 anni,
68
prefetto emerito della Congregazione per l’evangelizzazione dei
popoli e attualmente il porporato più anziano della Chiesa.
Dopo alcuni giri in papamobile, accompagnato dall’entusiasmo
e dai canti dei circa 25.000 giovani presenti, Francesco ha ascoltato
alcune testimonianze. Alle parole dei giovani ha risposto con un
discorso, interagendo spesso con i presenti. Ha insistito su sogni e
originalità: «La vera originalità oggi, la vera rivoluzione – ha detto
– è ribellarsi alla cultura del provvisorio, è andare oltre l’istinto e oltre
l’istante, è amare per tutta la vita e con tutto sé stessi. Non siamo
qui per vivacchiare, ma per fare della vita un’impresa». Ha chiesto
ai giovani di verificare i loro sogni, perché «i sogni che abbiamo ci
dicono la vita che desideriamo». È molto importante questo pas-
saggio, in cui si richiede il discernimento su ciò che veramente si
desidera: «Non date ascolto a chi vi parla di sogni e invece vi vende
illusioni: sono manipolatori di felicità», ha insistito. Il rischio, inve-
ce, la tentazione è l’omologazione.
E con i sogni vanno recuperate anche le radici: «Innaffiate le
radici, andate dai nonni, vi farà bene: fate loro domande, dedicate
tempo ad ascoltare i loro racconti. Oggi c’è il pericolo di crescere
sradicati, perché siamo portati a correre, a fare tutto di fretta: quello
che vediamo in internet può arrivarci subito a casa; basta un clic e
persone e cose compaiono sullo schermo. E poi succede che diven-
tino più familiari dei volti che ci hanno generato».
IL VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO A BUDAPEST E IN SLOVACCHIA

Alla fine dell’incontro, verso le 18,00, il Papa si è recato all’aero-


porto, per il volo che lo ha portato alle 19,30 a Bratislava.

Al Santuario di Šaštín

Il 15 settembre, dopo il congedo dalla Nunziatura, il Papa alle


7,50 si è diretto al Santuario nazionale di Šaštín. Ogni anno Šaštín
accoglie migliaia di pellegrini nella basilica dei Sette Dolori della
Vergine Maria, patrona della Slovacchia, uno dei più importanti
santuari mariani del Paese. La sua storia ha origine nel XVI secolo,
quando una piccola cappella, in un crocevia, accolse una statua del-
la Madonna Addolorata con il Cristo morto sulle ginocchia. Il 22
aprile 1927 Pio XI, con il decreto Celebre apud Slovaccham gentem,
69
dichiarò la Vergine dei Sette Dolori patrona della Slovacchia, men-
tre con il decreto Quam pulchra, del 23 novembre 1964, Paolo VI
elevò la chiesa a basilica minore.
Alle 9,10 Francesco è arrivato al Santuario, dove ha incontrato in
forma privata i vescovi slovacchi per un momento di preghiera. Dopo
un giro in papamobile tra i 60.000 fedeli, ha celebrato la Messa in la-
tino. Ha tenuto l’omelia, riconoscendo tre caratteristiche della fede di
Maria: il cammino, la profezia e la compassione.
La fede di Maria è una fede che si mette in cammino, con
l’esigenza di una missione da compiere: «[Maria] ha sentito l’e-
sigenza di aprire la porta e uscire di casa; ha dato vita e corpo
all’impazienza con cui Dio vuole raggiungere tutti gli uomini».
La fede del popolo slovacco, prendendo a modello quella della
Vergine, vince la tentazione di una fede statica, che «si acconten-
ta di qualche rito o vecchia tradizione». La fede di Maria è profe-
tica, perché testimonia l’opera di Dio nella storia che «rovescia le
logiche del mondo». Non bisogna dimenticare che «non si può
ridurre la fede a zucchero che addolcisce la vita. Gesù è segno di
contraddizione. È venuto a portare la luce dove ci sono le tene-
bre, facendo uscire le tenebre allo scoperto e costringendole alla
resa». «Non si tratta di essere ostili al mondo – ha proseguito il
Papa –, ma di essere “segni di contraddizione” nel mondo».
Infine, la fede di Maria è compassionevole: «La sofferenza del Fi-
glio morente, che prendeva su di sé i peccati e i patimenti dell’u-
VITA DELLA CHIESA

manità, ha trafitto anche Lei». La prova della compassione è quella


di «restare sotto la croce». Così anche noi, «guardando la Vergine
Madre Addolorata, ci apriamo a una fede che si fa compassione, che
diventa condivisione di vita verso chi è ferito, chi soffre e chi è co-
stretto a portare croci pesanti sulle spalle». È come se in questa tappa
Francesco avesse voluto riassumere in Maria i tratti della Chiesa
stessa che aveva illustrato durante il suo viaggio apostolico.
Dal santuario Francesco si è diretto infine all’aeroporto di Brati-
slava, dove è stato accolto dal Presidente della Repubblica, per la ce-
rimonia di congedo. Il volo, decollato alle 13,45, è atterrato all’aero­
porto romano di Ciampino alle 15,30.

70
***

Con questo viaggio si conferma l’attenzione del Papa per i Pae­si


medio-piccoli e il suo sguardo attento che punta a Est. Come pure
si conferma il grande interesse per il futuro dell’Europa. Forte è
l’appello costante alla libertà, alla creatività e all’unità. Da notare
che sia nella breve tappa a Budapest sia in Slovacchia il Pontefice
ha incontrato i rappresentati del Consiglio ecumenico delle Chiese
e quelli della Comunità ebraica. La sofferenza e il martirio vissuti
per la fede dei due Paesi ha coinvolto cristiani di varie confessioni
ed ebrei. Questi incontri ecumenici e interreligiosi hanno dato un
respiro profondo di fraternità, che si è unito alla natura spirituale di
questo viaggio, iniziato all’insegna dell’Eucaristia e conclusosi con
un forte accento mariano. Francesco lo aveva anticipato all’ Angelus
del 5 settembre, affermando: «Saranno giorni segnati dall’adorazio-
ne e dalla preghiera nel cuore dell’Europa».
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO
E LA SELEZIONE SESSUALE»
DI CHARLES DARWIN
Johan Verschueren S.I.

Darwin in Italia

Quando, nel 1871, Charles Darwin (1809-82) pubblicava L’ ori-


gine dell’uomo e la selezione sessuale1, erano passati 12 anni dalla sua
opera più nota, L’ origine delle specie per mezzo della selezione natura- 71
le2. Si parla spesso di questi due volumi come dell’«opera magna» di
Darwin. Questa definizione non rende molto onore alle numerose
altre pubblicazioni di spessore scientifico di questo grande ricer-
catore, che vengono studiate ancora oggi come opere classiche in
biologia, sia nel settore della zoologia sia in quello della botanica.
Tuttavia, questi due libri hanno una caratteristica unica, dato che
sono i testi che hanno definitivamente modificato il pensiero ri-
guardo all’origine di tutte le forme di vita sulla faccia della Terra e
riguardo all’origine dell’essere umano stesso.
L’ origine delle specie, scritto in inglese, fu presto tradotto in nu-
merosissime lingue (persino in giapponese nel 1896). Ma in Italia,
sebbene si possa trovare una recensione del testo originale nella ri-
vista Il Politecnico nel 1860, il nome di Darwin rimase per lo più
sconosciuto. L’attenzione accademica e giornalistica in quegli anni
era concentrata sul problema dell’unificazione della nazione. C’è una
sola eccezione degna di nota: lo zoologo Filippo De Filippi (1814-
67) decise di introdurre le teorie darwiniane nel suo corso all’uni-

1. Cfr Ch. Darwin, The Descent of Man, and the Selection in Relation to Sex,
London, John Murray, 1871 (in it. L’ origine dell’uomo e la selezione sessuale, Roma,
Newton Compton, 2017, che utilizziamo per le citazioni del testo di Darwin).
2. Cfr Id., On the Origin of Species, by Means of Natural Selection, London,
John Murray, 1859 (in it. L’ origine delle specie, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, che
utilizziamo per le citazioni del testo di Darwin).

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 71-87 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


PROFILO

versità di Torino nel 1864, spingendo l’editore Bocca di Torino a


stampare lo stesso anno la prima traduzione italiana de L’ origine delle
specie3.
Malgrado la timida accoglienza della comunità accademica ita-
liana, i semi della teoria della selezione naturale di Darwin comin-
ciarono presto a germogliare rigogliosi. Il secondo libro, L’ origine
dell’uomo, fu infatti immediatamente tradotto e pubblicato lo stesso
anno della sua uscita proprio a Torino4. L’evoluzionismo entrava
irreversibilmente in Italia dalla porta torinese.
Proprio in quegli stessi anni La Civiltà Cattolica faceva le sue
prime esperienze editoriali (ricordiamo che la rivista fu fondata
nel 1850, nove anni prima de L’ origine delle specie e 21 anni pri-
ma de L’ origine dell’uomo), rendendosi protagonista di un inte-
72
ressante confronto critico con le opere di Darwin nel più vasto
tema del rapporto tra scienza e fede. Ecco perché, nel 150° anni-
versario della pubblicazione de L’ origine dell’uomo, facciamo an-
che riferimento all’accoglienza del pensiero di Darwin in Italia
e particolarmente nella nostra rivista La Civiltà Cattolica di quel
tempo. Uno studio del 2006 di Stefano Bertani ci è di grande
aiuto: ci offre uno sguardo generale sul dibattito sull’evoluzioni-
smo ottocentesco presente negli articoli de La Civiltà Cattolica5.

Darwin: una rivoluzione copernicana nella biologia

Per apprezzare pienamente come Darwin abbia rivoluzionato il


pensiero nella biologia e nella cultura occidentale dell’Ottocento,
con un impatto decisivo su tutta la nostra visione del cosmo, dob-
biamo renderci conto che nell’epoca in cui egli visse la convinzione
che le specie fossero state create così da sempre e immutabili non
era messa in discussione. Questa convinzione aristotelica era ancora

3. La prima edizione italiana fu pubblicata, con il consenso di Darwin, a cura


di Giovanni Canestrini e Luigi Salimbeni, dalle case editrici Zanichelli di Modena
e Bocca di Torino.
4. La traduzione, curata da Michele Lessona, fu edita nel 1871 per i caratteri
della Utet.
5. Cfr S. Bertani, «La “Civiltà Cattolica” nel dibattito sull’evoluzionismo
ottocentesco», in Annali di storia moderna e contemporanea 12 (2006) 89-122.
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

perfettamente in auge, e veniva affermata così dal fondatore della


tassonomia biologica moderna, Carlo Linneo (Carl Nilsson Lin-
naeus, 1707-78): «Le tante specie oggi esistenti quante in principio,
vennero create dall’Ente infinito»6.
Tuttavia, l’idea generale di un possibile evoluzionismo delle spe-
cie non era nuova. Il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck
(1744-1829) fu il primo a pubblicare una teoria interpretativa per la
mutabilità delle specie, proponendo il principio del «trasformismo».
Secondo questo studioso, l’ambiente era la causa di cambiamenti or-
ganici nelle specie, e lui ipotizzava che le specie stesse possedessero
una sorta di proprio «volere» per modificarsi.
Questa teoria non fu accolta bene dalla comunità scientifica.
Uno dei suoi più vivaci oppositori fu il noto ricercatore francese
73
Georges Cuvier (1769-1832), fondatore della paleontologia. Egli
sosteneva le teorie «fissiste» dell’epoca, basate su un creazionismo
molto rigido: Dio era il creatore di tutte le specie biologiche. Aven-
do scoperto i resti paleontologici di specie non più esistenti, per
spiegare l’estinzione di alcune di esse, aveva proposto l’idea dei cata-
clismi climatici o sismici che, succedendosi l’uno all’altro, avrebbero
portato all’estinzione di alcune specie animali.
Darwin conosceva bene le teorie di de Lamarck e di Cuvier.
Il suo lungo viaggio nei mari dell’America del Sud sul veliero
chiamato «Beagle» (1831-36) gli aveva fatto osservare un tale nu-
mero di fenomeni, sia di carattere paleontologico sia di carattere
comparativo delle specie esistenti, che egli giunse a distanziarsi
radicalmente sia dall’idea dell’immutabilità delle specie – e dalla
connessa teoria dei cataclismi –, sia dalla loro mutabilità secondo
l’interpretazione di de Lamarck.
Nella sua Autobiografia7 egli racconta che già nel 1838 si era
convinto che le specie non erano state create immutabili, ma non

6. C. Linnaeus, Fundamenta Botanica, Amsterdam, Salomon Schouten,


1736: «Species tot sunt diversae quot diversas formas ab initio creavit infinitum
Ens»; Id., Philosophia Botanica, Stockolm – Amsterdam, G. Kiesewetter, 1751: «Spe-
cies tot numeramus, quot diversae formae in principio sunt creatae».
7. Cfr Ch. Darwin, Autobiography, London, John Murray, 1881 (in it. Au-
tobiografia [1809-1882], Torino, Einaudi, 2016, che utilizziamo per le citazioni del
testo di Darwin).
PROFILO

riusciva ancora a dare un’interpretazione coerente per spiegare


come le mutazioni potessero generarsi. Darwin era un uomo che
coltivava buoni rapporti con molti colleghi, con i quali parlava a
lungo in privato di queste sue idee. Ma fino a quel momento non
aveva trovato nessuno che le condividesse. Egli afferma: «È stato
detto spesso che il successo dell’Origine ha dimostrato che “l’argo-
mento era nell’aria” o che “le menti erano preparate a riceverlo”.
Non credo che fosse del tutto vero, perché di tanto in tanto cercai
di capire quale fosse il pensiero di molti naturalisti sul problema,
e non mi capitò mai d’incontrarne uno che mettesse in dubbio la
stabilità delle specie»8.
Ostinato nella sua intuizione, Darwin cercava quindi da solo
di trovare una possibile legge naturale del fenomeno della muta-
74
bilità delle specie. Fu soltanto dopo la lettura del libro dell’econo-
mista Thomas Robert Malthus (1766-1834), Saggio sul principio di
popolazione e i suoi effetti sullo sviluppo della società9, che ebbe l’in-
tuizione fondamentale. Ipotizzò che fosse possibile un’evoluzione
delle specie secondo il meccanismo della «selezione naturale», del-
la lotta per la vita (struggle for life), che aveva come conseguen-
za la sopravvivenza dei più adatti (survival of the fittest). Darwin
conosceva bene il meccanismo della «selezione artificiale» degli
esseri viventi (animali e piante) da parte di allevatori e agricoltori,
chiamata all’epoca anche «domesticazione». L’aveva studiata a lun-
go. Ma prima della lettura del saggio del Malthus non aveva an-
cora collegato i princìpi delle tecniche adottate dagli uomini con
i princìpi esistenti «in condizioni naturali». La legge del meccani-
smo dell’evoluzione era rimasta come nascosta alla sua compren-
sione fino al suo incontro con le teorie sociologiche di Malthus.
Nell’ Autobiografia, Darwin racconta che la sua intuizione del
1838 di questo meccanismo fu per lui una vera «Aha-Erlebnis», o
«illuminazione»: «Nell’ottobre 1838, cioè quindici mesi dopo l’ini-
zio della mia ricerca sistematica, lessi per diletto il libro di Malthus
sulla Popolazione (Saggio sul principio di popolazione) e poiché,

8. Ivi, 105.
9. Il testo fu pubblicato a Londra nel 1798, con varie edizioni ampliate, mo-
dificate fino al 1826.
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

date le mie lunghe osservazioni sulle abitudini degli animali e


delle piante, mi trovavo nella buona disposizione mentale per va-
lutare la lotta per l’esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui subito
colpito dall’idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose
tendessero a essere conservate, e quelle sfavorevoli a essere distrut-
te. Il risultato poteva essere la formazione di specie nuove. Avevo
dunque ormai una teoria su cui lavorare, ma ero così preoccupato
di evitare ogni pregiudizio, che decisi di non scrivere, per qualche
tempo, neanche una brevissima nota»10.
Presto lo scienziato si rese conto che anche l’origine dell’uomo
poteva essere studiata utilizzando le stesse categorie: «Non appena
mi convinsi, nel 1837 o 1838, che le specie erano mutabili, non
potei fare a meno di credere che l’uomo dovesse essere regolato
75
dalla stessa legge. Perciò presi appunti su questo tema, per mia
personale soddisfazione e, per lungo tempo, senza alcuna inten-
zione di pubblicarli»11. Si sarebbe dovuto aspettare più di 30 anni
perché questa intuizione diventasse un testo pubblicato (nel 1871).
Alle intuizioni iniziali del 1838 si aggiunse, qualche anno più
tardi (dopo il 1842), un’altra rivelazione, che colse di sorpresa lo
scienziato stesso: la tassonomia delle specie in generi, famiglie,
sottordini e così via poteva riflettere la divergenza graduale delle
specie secondo i livelli di adattamento e specializzazione in rispo-
sta ai luoghi e alle condizioni naturali diversi. Pertanto, occorreva
ripensare il concetto stesso di tassonomia. Infatti, esso non corri-
spondeva più soltanto alle realtà morfologiche degli esseri viventi,
ma era anche il chiaro ordine che mostrava la risposta delle specie
alle loro realtà storiche, geografiche e ambientali. Darwin scrive
nella sua Autobiografia: «Non riesco a capire come abbia potu-
to non vederlo […]: era l’uovo di Colombo». Era la sua seconda
grande «Aha-Erlebnis». Questa scoperta fu così importante per lui
che arrivò a scrivere: «Sono in grado di ricordare il luogo esatto
della strada che percorrevo in carrozza, quando mi venne in men-
te la soluzione del problema, con mia grande gioia»12 .

10. Ch. Darwin, Autobiografia (1809-1882), cit., 101 s.


11. Ivi, 112.
12. Ivi, 102.
PROFILO

La prudenza intellettuale, sociale e religiosa di Darwin

Darwin non era particolarmente attratto dalla filosofia, e an-


cor meno dalla metafisica, con la quale lottò intellettualmente
dalla sua giovinezza13 fino alla vecchiaia: «Ho una limitatissima
capacità di seguire un lungo corso di pensieri astratti; perciò
non sarei mai riuscito bene nella metafisica»14. Nonostante que-
sta difficoltà, egli conosceva bene la differenza tra le nozioni di
«causa prima» e «causa seconda», applicabili alla mutabilità delle
specie: «Scienziati della più alta autorità sembrano essere piena-
mente soddisfatti dell’ipotesi che ogni specie sia stata creata indi-
pendentemente. A mio parere, con quanto sappiamo delle leggi
imposte dal Creatore alla materia si accorda meglio l’ipotesi che
76 la produzione e l’estinzione degli abitanti passati e presenti del
globo siano dovute a cause secondarie, come quelle che determi-
nano la nascita e la morte dell’individuo. Quando considero tutti
gli esseri non come creazioni speciali, ma come discendenti in
linea diretta di pochi esseri che vissero molto tempo prima della
deposizione dei primi strati del sistema cambriano, mi sembra
che essi siano nobilitati»15.

DARWIN IN REALTÀ NON SI È MAI INOLTRATO IN


SPECULAZIONI SULL’ORIGINE DELLA VITA.

Le nuove specie per Darwin erano dunque il prodotto di


una «causa seconda», la legge della selezione naturale, voluta dal
Creatore, «causa prima»: «Vi è qualcosa di grandioso in questa
concezione della vita, con le sue diverse forze, originariamente
impresse dal Creatore in poche forme, o in una forma sola»16.
Darwin in realtà non si è mai inoltrato in speculazioni sull’o-
rigine della vita – per esempio, dalla materia inorganica –, così
come non troviamo mai nei suoi scritti il sospetto della non ne-

13. Cfr ivi, 66.


14. Ivi, 122.
15. Ch. Darwin, L’ origine delle specie, cit., 551.
16. Ivi, 552. Corsivo nostro.
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

cessità di un Creatore. Per lui, queste teorie erano inutili e non ri-
guardavano il dibattito scientifico al tempo delle sue pubblicazio-
ni. Nel 1859, infatti, egli voleva soltanto convincere la comunità
scientifica sulla legge della selezione naturale: un passo che stava
preparando da più di 20 anni.
Nel suo primo libro, questo argomento viene ben sviluppato,
e illustrato con innumerevoli esempi tratti dalle sue instancabi-
li osservazioni. Abbiamo già visto come Darwin nel 1838 fosse
convinto che l’uomo potesse essere il prodotto dell’evoluzione na-
turale; eppure nel suo libro del 1859 egli non sviluppa questa idea:
si rende conto della delicatezza della materia e teme che esplicitare
le conseguenze antropologiche dell’argomentazione potrebbe di-
strarre la sua audience dalla vera scoperta del meccanismo dell’evo-
77
luzione. Non era dunque quello il momento giusto per affrontare
la grande questione dell’origine dell’uomo.
Darwin si limita quindi a suggerire l’argomento – dalla sua
Autobiografia apprendiamo che questa era stata una sua scelta con-
sapevole – qua e là nel primo libro17: «Benché nell’Origine delle
specie non abbia mai discusso la derivazione di alcuna specie par-
ticolare, tuttavia, a evitare che mi si potesse accusare di aver voluto
nascondere il mio pensiero, ho ritenuto opportuno aggiungere
che con quest’opera “è probabile che sarà fatta luce sull’origine
dell’uomo e sulla storia”. Sarebbe stato inutile e dannoso al succes-
so del libro far sfoggio delle mie opinioni sull’origine dell’uomo
senza darne alcuna prova»18.
Ci sarebbero voluti altri 12 anni per raccogliere e sistemare
gli argomenti, frutto di osservazioni, con i quali poter costruire
e fondare le sue interpretazioni sull’origine dell’uomo. In questo
Darwin si rivela, anche per noi oggi, un vero scienziato, che non
ha paura di utilizzare pienamente le risorse e il tempo per un la-
voro propriamente scientifico, capace di offrire risultati sicuri. Le

17. Ivi, 501: «Cosa può esservi di più singolare del fatto, che la mano dell’uomo,
formata per afferrare, quella della talpa per scavare, la zampa del cavallo, la natatoia
del delfino, e l’ala del pipistrello, siano costruite sullo stesso modello, e comprendano
ossa simili, nelle stesse posizioni relative?» (Il corsivo è nostro).
18. Id., Autobiografia (1809-1882), cit., 112. Darwin riprende questa sua frase
dalla penultima pagina de L’ origine delle specie.
PROFILO

vere grandi scoperte scientifiche richiedono tempo per maturare


nella mente degli scienziati, soprattutto quando si tratta di cam-
biamenti paradigmatici, come nel caso, ad esempio, di Keplero,
Newton e Einstein.
Tuttavia Darwin non si prese questo ampio lasso di tempo sol-
tanto per motivi scientifici: egli era anche consapevole del campo
minato in cui si trovava, sia culturale e sociale, sia religioso. Ne
era preoccupato, come spiega lui stesso in alcuni suoi scritti: «Non
vedo nessuna ragione per pensare che le opinioni esposte in que-
sto volume debbano turbare la fede religiosa di chicchessia»19. Egli
sapeva bene che era vero il contrario. La legge della selezione na-
turale sfidava la teologia creazionista, basata sulla convinzione che
il testo biblico proponga la verità rivelata anche nel campo delle
78
scienze naturali.
Questo era talmente vero nel contesto culturale dell’epoca
che lo stesso Darwin non poteva avere altro criterio ermeneu-
tico, biblico e teologico di riferimento. Ecco perché possiamo
riconoscere, dalla descrizione accurata che egli stesso ne fa nel-
la sua Autobiografia, il cammino dello scienziato verso una sorta
di agnosticismo nell’arco della sua vita. I primi dubbi fonda-
mentali si erano già manifestati durante il suo lungo viaggio
sul veliero «Beagle».
È da apprezzare il fatto che la sua crescente incredulità di fronte
all’interpretazione creazionista non abbia interferito con la ricerca
dell’obiettivo scientifico del suo studio. Al termine della sua vita,
Darwin poteva credere ancora soltanto in un Dio sconosciuto –
non biblicamente rivelato –, restando ammirato per la grandezza
del cosmo intangibile e incomprensibile20. Si deve notare che lo
scienziato non fece mai entrare queste considerazioni persona-
li nei suoi studi e nelle sue pubblicazioni scientifiche. In questo
senso egli era uno scienziato della stretta osservanza. Non volle
mai entrare in dibattiti non scientifici, non biologici, né utilizzare
argomenti non fondati scientificamente.

19. Id., L’ origine delle specie, cit., 544.


20. Cfr Id., Autobiografia (1809-1882), cit., 67-77.
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

Un lungo paragrafo de L’ origine dell’uomo – e noi sappiamo


che nel 1871 Darwin era già pienamente agnostico – ci fa capire
chiaramente che, quando si pone la questione di Dio, egli ragiona
soltanto come biologo. Vuole capire la religiosità dell’uomo sol-
tanto come un fenomeno biologico, che non prova nulla riguardo
all’esistenza o meno di Dio: «La fede in Dio è stata spesso conside-
rata non solo come la maggiore, ma anche come la più completa
distinzione tra uomo e animali inferiori. È tuttavia impossibile,
come abbiamo visto, sostenere che questa credenza sia innata o
istintiva nell’uomo. D’altra parte, la fede in un agente spirituale
onnipresente sembra universale, e apparentemente deriva da un
considerevole avanzamento della ragione umana, e da un ancora
maggiore progresso delle sue facoltà di immaginazione, curio-
79
sità e meraviglia. Io so che la fede istintiva in Dio è stata usata
da molte persone come argomento della sua esistenza. Ma questo
argomento è sconsigliato, in quanto così saremmo portati a cre-
dere nell’esistenza di molti spiriti crudeli e maligni, solo poco più
potenti dell’uomo; infatti la credenza in questi ultimi è assai più
diffusa di quella in una divinità benefica. L’idea di un Creatore
universale e benigno non sembra sorta nella mente umana, fino a
che l’uomo non si è elevato con una lunga cultura»21.

La recezione del pensiero di Darwin

Noi riteniamo che la consapevole decisione di Darwin di limi-


tarsi ai puri dati scientifici abbia aiutato molto a far accettare, da
parte della comunità accademica, le sue ipotesi relative all’evoluzio-
ne. A causa della positiva accoglienza da parte di amici e colleghi
scienziati – tra i quali spicca il già famoso naturalista Thomas Hen-
ry Huxley (1825-95) –, Darwin diventò subito una sorta di faro per
un’intera nuova generazione di biologi. Sotto la spinta di questo
grande interesse, negli anni immediatamente successivi si ebbe il
fiorire di un gran numero di nuovi studi e pubblicazioni riguardo
all’ipotesi dell’evoluzione e al suo meccanismo.

21. Id., L’ origine dell’uomo e la selezione sessuale, cit., 454; cfr anche 849.
PROFILO

Darwin, dal canto suo, voleva evitare ogni possibile scandalo


per avvalorare al massimo l’importanza scientifica della sua teoria
dell’evoluzione, in dialogo con tutti i circoli accademici e scientifici
dell’epoca. Questo senza dubbio è il motivo per il quale egli non
volle sviluppare ne L’ origine delle specie le conseguenze ultime del
suo pensiero sul piano antropologico. Se il meccanismo evolutivo
da lui proposto fosse stato comprovato e accettato, anche l’uomo
con la sua evoluzione avrebbe dovuto rispondere alle stesse leggi, e
così la sua origine sarebbe stata fatta risalire alle scimmie.
Come abbiamo visto, questa conseguenza era ovvia agli occhi
di Darwin fin dal 1838, ma mancavano ancora le prove scientifi-
che rigorose. Occorreva quindi uno studio particolare. I suoi amici
biologi, tuttavia, non compresero il motivo di tanta prudenza e ri-
80
servatezza, e presero apertamente l’iniziativa nel dibattito scientifico
e pubblico per esprimere le conseguenze antropologiche dell’im-
pianto evoluzionistico darwiniano. La reazione dei circoli borghesi
di Londra, legati alla Chiesa anglicana, fu immediata e violenta,
condannando queste teorie e facendo esplodere quello scandalo che
Darwin avrebbe voluto a tutti i costi evitare.
I dibattiti pubblici sulla discendenza dell’uomo dalle scimmie
seguirono quindi la pubblicazione de L’ origine dell’uomo con una
rapidità inattesa da Darwin, rivelandosi particolarmente vivaci,
aperti e appassionati. Si può parlare di veri e propri scontri intel-
lettuali, presenti anche nei giornali non specialistici di quel tempo:
non ci si limitava all’ambito pubblico o ai circoli accademici.
Nel clima culturale e politico della seconda metà del XIX se-
colo, non sorprende che nel dibattito sull’origine dell’uomo i più
strenui difensori del pensiero evoluzionista fossero gli ambienti fi-
losofici e intellettuali anticlericali, materialisti e liberali, che trova-
vano nella teoria della selezione naturale un argomento formidabile
per le loro cause. Soprattutto in Germania, dove il liberalismo di
quegli anni sosteneva il Kulturkampf, la teoria di Darwin fu subito
strumentalizzata all’interno dell’orizzonte ideologico anti-cattolico
che lo caratterizzava.
In Italia, invece, come abbiamo già accennato, non troviamo
quasi alcuna eco di tali accesi dibattiti. Le Alpi sembravano costi-
tuire una barriera invalicabile, non soltanto dal punto di vista geo­
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

grafico, ma anche dal punto di vista culturale. Per rendersi conto


di questo fatto, basti considerare che La Civiltà Cattolica dall’anno
1858 fondava una nuova rubrica intitolata «Cosmogonia naturale
comparata col Genesi», in cui si volevano proporre riflessioni rela-
tive al difficile rapporto tra la cosmologia della Bibbia e i risultati
della scienza. Nel 1860, p. Gianbattista Pianciani, fisico noto per
le sue posizioni «concordiste» tra scienza e Bibbia, pubblicava una
riflessione su «Distruzione e crea­zione delle specie», in cui illustrava
la teoria di de Lamarck, concludendo che essa in realtà non era stata
ancora provata22.
Darwin e la sua teoria compaiono soltanto nella recensione cri-
tica fatta da François Jules Pictet de la Rive (1809-72), scienziato
svizzero, che difendeva la teoria delle creazioni successive (teoria
81
simile a quella di Cuvier). Egli rilevava nella teoria di Darwin «la
sproporzione tra i fatti accertati e osservati e le induzioni da essi
derivate. […] Semmai l’insistenza sui “fatti” e i dati della diretta
osservazione, cui si rimetteva p. Pianciani, anticipava una linea che
la “Civiltà Cattolica” adotterà anche negli anni successivi, quando
più accesa sarà la discussione intorno all’origine dell’uomo, al tra-
sformismo e ai metodi della scienza positiva»23.
Questa sproporzione tra «fatti» e «induzioni» sarà oggetto di os-
servazioni critiche per tutto il XX secolo anche nel mondo scienti-
fico. Tuttavia è evidente che si trattava di una discussione di natura
epistemologica e metodologica: la teoria dell’evoluzione è una ipo-
tesi o descrive un fatto provato?
Questa discussione era ancora molto vivace quando l’Autore di
questo articolo, tra il 1978 e il 1982, studiava biologia all’Università
di Leuven, in Belgio. Naturalmente le scoperte genetiche e paleon-
tologiche del XX secolo hanno portato molti argomenti ulteriori a
favore della proposta di Darwin. In ogni caso, per i suoi professori,
l’evoluzionismo darwiniano era da considerarsi un’eccellente teoria
con un determinato grado di probabilità, ma che non poteva essere
provata con certezza.

22. Cfr G. B. Pianciani, «Distruzione e creazione delle specie», in Civ. Catt.


1860 V 55-76.
23. In questo paragrafo e nel successivo facciamo un breve riassunto di alcuni
risultati della ricerca di S. Bertani, citata nella nota 5.
PROFILO

Oggi molti biologi aggiungono alla teoria della selezione


naturale un altro meccanismo, quello del genetic drift, che in-
fluisce sull’evoluzione di una specie. Cosa succede quando una
specie si trova in una situazione di riduzione radicale della sua
popolazione? Molte caratteristiche che non sopravviverebbero in
una grande popolazione possono invece diventare importanti o
dominanti in una popolazione ridotta. I meccanismi rigidi della
selezione naturale, così come è stata ipotizzata da Darwin, risul-
terebbero quindi di fatto superati da eventi di riduzione drastica
della popolazione.
In questo caso saremmo di fronte a influssi inattesi e impon-
derabili sul rigido percorso darwiniano dell’evoluzione di una
specie. Si vede dunque chiaramente come la «scienza», intesa
82
come l’ipotesi di conseguenze «matematiche» dai dati, non do-
vrebbe pretendere di avere l’ultima parola in una materia tanto
complessa come la vita. Sempre infatti veniamo messi di fronte
alla scoperta di nuovi elementi, che permettono di progredire
nella comprensione dei fenomeni.
Con la pubblicazione della seconda opera maggiore di Darwin,
L’ origine dell’uomo, si ebbe un grande cambiamento nella recezio-
ne del suo pensiero, e questa volta anche in Italia, coinvolgendo
La Civiltà Cattolica. La rivista entrò nel dibattito, non per mezzo
di uno studio critico delle pubblicazioni di Darwin, ma avviando
una lotta intellettuale contro la minaccia che proveniva dal Kul-
turkampf tedesco, particolarmente vivace in quegli anni. La scelta
fatta allora dalla redazione della rivista, soprattutto attraverso gli
scritti di p. Beniamino Palomba, può essere compresa, data la na-
tura e la missione della rivista in quei tempi difficili per la cultura
cattolica. «Palomba rispondeva dunque a un problema che, sin dal-
la sua origine, non era rimasto confinato all’ambito scientifico e
neppure filosofico, ma si era subito manifestato come aperto scon-
tro ideologico e politico nei confronti della Chiesa»24. Palomba
voleva difendere la Chiesa – e l’Italia – da una nuova religione:

24. Ivi, 6. Cfr B. Palomba, «Le due contrarietà della teorica dell’uomo-scim-
mia», in Civ. Catt. 1871 IV 21-35.
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

quella della scienza. Quest’ultima veniva considerata una perver-


sione deplorevole sia della scienza sia della religione.

La scelta di Darwin per la scienza, e la scienza sola

Da questo rapido sguardo sulla storia della recezione dei li-


bri e delle teorie di Darwin possiamo trarre alcune conclusioni.
Innanzitutto, va apprezzata la sua l’integrità di scienziato in un
contesto di utilizzo e di ideologizzazione delle sue teorie in am-
bito filosofico e politico, all’interno della polemica in atto con le
Chiese cristiane in Occidente. In effetti, i postumi di tutto ciò
continuano a essere presenti in molti dibattiti attuali. Il concetto
di «darwinismo», creat­o da Alfred Russel Wallace (1823-1913)
83
dopo la morte di Darwin nel 188925, e quello di «neo-darwini-
smo», che integrava le scoperte successive della genetica, sono
diventati tanto comuni da indurci a credere oggi che Darwin
sia stato un filosofo positivista, fondatore di una corrente socio-
politica che cercava soltanto nella scienza la verità e le risposte
fondamentali ai problemi della vita. Una teoria scientifica tra-
sformata da altri studiosi in «ismo» – «darwinismo» – non do-
vrebbe ispirare molta fiducia. Che ne penserebbe Darwin stesso?
Cercheremo ora di rispondere a questa domanda.
La ripresa delle teorie di Darwin da parte di scienziati che si
lasciano attrarre dalla tentazione di ideologizzare e di fare della
loro scienza una «verità» al di fuori dallo stretto ambito della loro
ricerca continua ancora oggi. Un esempio è dato dal noto bio-
logo Richard Dawkins, che non si limita a presentare i risultati
dei suoi studi scientifici, ma pretende di utilizzarli per ridicoliz-
zare ogni forma di espressione religiosa come fosse una forma
di oscurantismo. Le sue opere di biologia sono senza dubbio in-
teressanti – essendo egli dotato, tra l’altro, di buone capacità let-

25. Cfr J. Hesketh, «The First Darwinian: Alfred Russel Wallace and the
Meaning of Darwinism», in Journal of Victorian Culture 25 (2020/2) 171–184. He-
sketh chiarisce che il concetto era accettato nel 1889 dalla comunità scientifica, ma
in origine aveva un significato filosofico e scientifico limitato, rispetto a quello che
acquistò in seguito nell’ambito culturale, cioè quello di una credenza. Sono neces-
sarie ulteriori ricerche per chiarire la questione.
PROFILO

terarie –, ma nei suoi scritti le tante asserzioni che esulano dalle


ricerche scientifiche rendono, a detta di molti autori contempo-
ranei, il suo atteggiamento arrogante. Potremmo dire che egli
diffonde il pensiero di Darwin, ma certamente non la sua virtù.
Lasciamo allora la parola a Darwin stesso: «Sono felice di
aver evitato le dispute, mettendo in pratica il consiglio che ebbi
da Lyell molti anni fa, quando, a proposito del mio lavoro ge-
ologico, mi raccomandò vivamente di non mettermi nei guai
con discussioni che raramente sarebbero state utili e mi avrebbe-
ro procurato immancabilmente perdita di tempo e dispiaceri»26.
Questa linea di pensiero e di azione è costante in tutte le pub-
blicazioni di Darwin, nelle sue molte lettere e nella sua Autobio-
grafia. Darwin intendeva concentrarsi soltanto sugli argomenti
84
scientifici. Sebbene fosse consapevole dell’impatto del proprio
pensiero sui suoi contemporanei in tanti ambiti della vita sociale,
politica, economica, religiosa e accademica, ha preferito sempre
rimanere lontano da tali ambiti.
Forse l’esempio più celebre di questo rigore scientifico e mo-
rale è la risposta che egli diede nel 1880 al suo contemporaneo
Karl Marx (1818-83). Questi, che aveva cominciato a nutrire un
vivo interesse per la teoria della selezione naturale, perché vi in-
dividuava il fondamento «biologico» del socialismo e della «ne-
cessaria» lotta di classe, gli aveva chiesto di leggere con un oc-
chio critico il secondo volume del Capitale, che voleva dedicare
proprio a lui. E Darwin gli rispose: «Vi ringrazio per la gentile
lettera e per quanto vi è accluso. La pubblicazione delle vostre os-
servazioni sui miei scritti, qualsiasi forma abbiano, non necessita
di alcun consenso da parte mia. […] Preferirei che la parte o il
volume non fossero dedicati a me (benché vi sia grato per l’onore
che intendete farmi), perché ciò suggerirebbe in certo modo la
mia approvazione di tutta l’opera, che non conosco bene. Ben-
ché io sia un fervido sostenitore della libertà di opinioni in ogni
argomento, mi sembra (a ragione o a torto) che attacchi diretti
contro il cristianesimo e il teismo abbiano assai scarso effetto sul
pubblico; e che la libertà di pensiero possa meglio promuover-

26. Ch. Darwin, Autobiografia (1809-1882), cit., 108.


I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

si con quella illuminazione graduale dell’intelletto umano che


consegue al progresso delle scienze. Perciò ho sempre evitato di
scrivere sulla religione, e mi sono limitato alla scienza. […] Sono
dolente di dover respingere la vostra richiesta»27.

La pazienza, l’umiltà e la clemenza: le virtù di Darwin

Senza dubbio Darwin seguiva attentamente il dibattito acca-


demico relativo alla discendenza evolutiva dell’uomo, soprattutto
attraverso le molte pubblicazioni edite da vari autori tra il 1859 e il
1871; ma rimase in silenzio per più di 30 anni, mentre analizzava
la difficile questione secondo la propria metodologia scientifica,
soprattutto approfondendo lo studio comparativo della morfolo-
85
gia (anatomia), fisiologia ed etologia (studio del comportamento)
dei mammiferi. Egli scrive in proposito: «Ma quando vidi che
molti naturalisti accettavano completamente la dottrina dell’e-
voluzione delle specie, mi sembrò opportuno sviluppare i miei
appunti e pubblicare un trattato a sé sull’origine dell’uomo. Fui
contentissimo di eseguire questo lavoro, perché mi dette l’occa-
sione di poter trattare in modo completo l’argomento della sele-
zione sessuale, che mi aveva sempre profondamente interessato»28.
Lo scienziato aspettava il momento giusto per divulgare le
proprie idee innovative. Questa pazienza e il senso del momen-
to opportuno caratterizzano il suo atteggiamento. In effetti, ne
L’ origine dell’uomo troviamo un’argomentazione così ampia da
comprendere anche settori di ricerca quanto mai interessanti,
quali il dimorfismo in molti animali, la selezione sessuale – con-
cetto poco sviluppato ne L’ origine delle specie –, con un gran nu-
mero di esempi e di argomenti.
Darwin dedicò anche un’opera all’espressione delle emozio-
ni nell’uomo e negli animali29. La mole di appunti raccolti dalle
ricerche di tutti quegli anni di «silenzio» lo convinsero presto

27. G. Montalenti, «L’evoluzionismo ieri e oggi», in Ch. Darwin, L’ origine


delle specie, cit.
28. Ch. Darwin, Autobiografia (1809-1882), cit., 113.
29. Id., The Expression of the Emotions in Man and Animals, London, John
Murray, 1872.
PROFILO

a dedicarsi alla preparazione di un terzo libro. Lo pubblicò un


anno dopo, nel 1872. Era il terzo libro dedicato all’evoluzione. I
suoi tre libri in realtà sono tutti ponderosi, sia per lunghezza sia
per l’analiticità nelle descrizioni delle osservazioni naturalistiche
e antropologiche. In questo si rivela lo stile di Darwin – potrem-
mo parlare di una sua «quasi ossessione» – per tentare di capire e
scoprire la coerenza dei fenomeni e proporre leggi che potessero
rispecchiare le innumerevoli osservazioni naturali fatte da lui o
dai suoi colleghi.
La celebrità acquisita da Darwin in tutto il mondo lo rese
consapevole dell’importanza dei suoi studi nello sviluppo della
scienza naturale e della storia della scienza, tuttavia in lui si può
ammirare un caratteristico tratto di umiltà che affascina ancora
86
oggi. Un’umiltà che era non soltanto un aspetto del carattere, ma
frutto di un’onestà intellettuale di cui egli era altrettanto conscio.
Infatti, a quel tempo non esisteva ancora la scienza della geneti-
ca30, Darwin ne era consapevole: «Ho fin qui talora parlato come
se le variazioni – così comuni e diverse negli esseri viventi allo
stato domestico, e in minor grado in quelli allo stato di natura
– fossero dovute al caso. Questa è, ovviamente, un’espressione
del tutto inesatta, ma serve a riconoscere candidamente la nostra
ignoranza sulla causa di ogni variazione particolare»31.
Ma ciò che colpisce ancora di più, in Darwin, è che la sua umiltà
diventava anche un modo di relazionarsi agli altri. Ci piace conclu-
dere con questa bella testimonianza, che rende di nuovo onore a un
grande personaggio che occupa un posto importante nella storia
della scienza. Di un uomo che era così al centro di accesi dibattiti e
discussioni (basta considerare le raccolte di vignette sui grandi gior-
nali dell’epoca, che lo raffiguravano di volta in volta come scimmia,
come addestratore di animali in uno zoo ecc.) non possiamo non
restare affascinati dall’esplicita clemenza nei riguardi di tanti colle-
ghi e di altre persone che lo criticavano, spesso anche duramente.
Darwin era capace di accogliere sempre con benevolenza le critiche

30. Le leggi di ereditarietà furono scoperte e pubblicate da Mendel nel 1866,


ma passarono inosservate per molto tempo dalla comunità scientifica. Avrebbero
potuto aiutare Darwin a fondare meglio la teoria dell’evoluzione.
31. Ch. Darwin, L’ origine delle specie, cit., 202.
I 150 ANNI DE «L’ORIGINE DELL’UOMO» DI DARWIN

e le dispute scientifiche, anche quando erano rivolte apertamente


contro di lui. Considerava tutto utile per poter progredire nella sua
riflessione e ricerca.
Nei suoi scritti troviamo una sola eccezione a questo atteggia-
mento, che però appare anch’essa nobile e ricca di humour: «A pro-
posito dei miei recensori, devo dire che sono stato trattato lealmente
da quasi tutti, tranne quelli privi di conoscenze scientifiche, che non
val la pena ricordare. Le mie opinioni sono state spesso riferite con
grossolana inesattezza, aspramente criticate e derise; ma ho l’impres-
sione che tutto ciò sia stato fatto generalmente in buona fede. Devo
fare un’eccezione per il Signor Mivart, la cui condotta verso di me fu
qualificata da un americano come quella di un “azzeccagarbugli” e da
Huxley come quella di “un avvocato dell’Old Bailey”. Nel complesso
87
però le mie opere sono state sempre sopravvalutate»32.

32. Id., Autobiografia (1809-1882), cit., 107 s.


NOTE E COMMENTI

IL MARTIRIO DI P. OLIVIER MAIRE


Giancarlo Pani S.I.

Un nuovo anello si aggiunge dai suoi seguaci di non chiudere mai


alla catena di assassinii che sta in- la porta e il cuore ai bisognosi.
sanguinando la Chiesa cattolica, in Inviato in Uganda, p. Maire
particolare quella francese: a Saint- era stato maestro dei novizi e si era
88 Laurent-sur-Sèvre, in Vandea, il 9 occupato della formazione dei gio-
agosto 2021 un religioso, p. Olivier vani sacerdoti; si dedicava anche ai
Maire, è stato ucciso da un ruandese detenuti del carcere giovanile e ai
richiedente asilo, che egli ospitava malati di Aids2. Tornato in Euro-
nella sua casa e di cui aveva preso a pa, a Roma era divenuto assistente
cuore la drammatica situazione. La del Superiore generale dei mon-
vittima, 60 anni, ordinato sacerdote fortani e infine provinciale della
nel 1990 dopo gli studi di biologia, Congregazione in Francia, proprio
apparteneva alla Congregazione dei nella Vandea, regione simbolo del
monfortani; era conosciuto per la cattolicesimo francese, dove Saint-
sua dedizione ai diseredati e per la Laurent-sur-Sèvre viene considera-
sua generosità. Studente di teologia ta «la città santa». Infatti, durante la
a Parigi al Centre Sèvres, si era diplo- Rivoluzione francese, sette religiosi
mato in psicologia alla Gregoriana1. monfortani erano stati assassinati
Studioso della storia dei missionari nella casa di p. Maire.
monfortani, aveva discusso una tesi La domenica che ha precedu-
sul fondatore della Congregazio- to la sua morte il religioso, che era
ne, san Louis-Marie Grignion de appassionato di musica sacra, ave-
Montfort, che si era distinto per es- va dato un concerto d’organo nella
sere vissuto con i poveri ed esigeva basilica dedicata al fondatore.

1. Cfr C. Chambraud, «Olivier Maire, un prêtre parmi les déshérités», in Le


Monde, 13 agosto 2021, 7.
2. Cfr Ch. de Pechpeyrou, «Un uomo buono e un pastore generoso. Dolore per
l’uccisione di padre Olivier Maire», in Oss. Rom., 10 agosto 2021, 7.

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 88-91 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


IL MARTIRIO DI P. OLIVIER MAIRE

L’omicidio non ha radici ter- Un suo assistito


roristiche, né ha avuto rivendica-
zioni islamiche, come era acca- P. Maire aveva dato ospitalità al
duto nel luglio 2016, quando un suo assassino: Emmanuel Abayi-
sacerdote, p. Jacques Hamel, du- senga, 40 anni, fuggito dal Ruanda
rante la celebrazione della Messa e approdato in Francia nel 2012.
nella chiesa di Saint-Étienne-du- Questi, cattolico praticante, si era
Rouvray (Seine-Maritime), ven- conquistato la fiducia del parroco
ne sgozzato sull’altare, al grido della cattedrale di Nantes, dove fa-
di Allah akbar, mentre un com- ceva il sacrestano volontario, tanto
pagno dell’assassino filmava il che gli erano state affidate le chia-
macabro rituale3. Ancora nell’ot- vi della chiesa. Scoperto come il
tobre del 2020, a Nizza, nella principale responsabile dell’incen-
89
chiesa di Notre Dame, erano stati dio della cattedrale, fu arrestato, e
uccisi due fedeli, che pregavano fu subito evidente il suo precario
in silenzio, e il sacrestano: una equilibrio mentale. P. Maire, pri-
delle donne e il sacrestano erano ma della detenzione e dopo l’uscita
genitori di due bambini4. dal carcere in libertà vigilata, a fine
La vicenda di p. Maire ricorda maggio, lo aveva accolto nella sua
da vicino l’assassinio di don Rober- comunità. Il 20 giugno il religioso
to Malgesini, avvenuto a Como nel aveva informato la gendarmeria lo-
settembre 2020, mentre il religioso cale che Abayisenga aveva deciso di
si preparava a distribuire la colazio- andarsene: voleva ricoverarsi nell’o-
ne ai migranti che dormivano sot- spedale psichiatrico. Ne era uscito il
to i portici, in attesa di passare la 29 luglio, ed era nuovamente ospite
frontiera per la Svizzera: anche lui della comunità dei monfortani. La
è stato ucciso da un emigrante che sera prima del delitto, l’8 agosto,
aveva aiutato5. aveva cenato con i religiosi6. Nes-

3. Cfr G. Pani, «La morte di p. Jacques Hamel», in Civ. Catt. 2016 III 433-435. Nel
2019 si è chiusa la fase diocesana del processo di beatificazione del sacerdote. Cfr P. Viana,
«Rouen. Padre Hamel beato, le carte ora a Roma», in Avvenire.it, 9 marzo 2019.
4. Cfr M. Corradi, «L’attacco a Nizza. A Notre Dame la mite preghiera di due
come noi», in Avvenire, 30 ottobre 2020.
5. Cfr G. Pani, «Non chiamateci “preti di strada”. Un ricordo di don Roberto Mal-
gesini», in Civ. Catt. 2020 IV 181-187.
6. Cfr E. Rosaspina, «Prete ucciso in Francia: l’omicida nel 2020 incendiò la cat-
tedrale di Nantes ed era sotto controllo giudiziario», in Corriere della Sera, 10 agosto 2021.
NOTE E COMMENTI

suno quindi poteva immaginare scritto che l’assassinio del p. Mai-


quello che sarebbe successo. re suscita «dolore e collera». Dolo-
Singolare è il modo in cui l’as-
re, per la tragedia di un sacerdote
sassino si è autodenunciato. Giunto
noto per la sua generosità e per la
alla gendarmeria, in evidente stato
dedizione ai più poveri e disereda-
di agitazione, ha detto che p. Olivier
ti; ma anche collera per il modo in
era stato ucciso, e ha consegnato la
cui l’episodio veniva strumentaliz-
chiave della stanza in cui era stato
zato dalla politica, soprattutto dal-
abbandonato il cadavere del reli- la destra francese. L’assassinio – ha
gioso. Increduli, i gendarmi si sono
detto Marine Le Pen – rivela «il
recati sul posto e purtroppo hannofallimento dello Stato e di Gérald
dovuto constatare che era tutto vero:
Darmanin» (il ministro dell’Inter-
il padre giaceva in una pozza di san-
no). Laurent Wauquiez, presidente
90
gue, con la testa fracassata per i colpi
della regione Auvergne-Rhône-
ricevuti. L’assassino era lui. Alpes, ha dichiarato: «Quest’uomo
Prima dell’incendio alla catte-
non sarebbe mai dovuto entrare in
Francia»8.
drale, erano stati emessi nei suoi con-
fronti due ordini di espulsione, che Queste affermazioni non di-
fendono né onorano la memoria
non sono stati eseguiti per i ricorsi
del sacerdote assassinato. È inde-
effettuati; infine, sono stati sospesi: il
gno approfittare di una morte in-
ruandese non poteva essere espulso,
giusta per fare propaganda politi-
perché sottoposto a controllo giudi-
ca9. La morte di p. Maire è invece
ziario in attesa di una decisione della
testimonianza del Vangelo, di chi
giustizia, in quanto principale im-
ha consacrato la vita a coloro che
putato dell’incendio della cattedrale
di Nantes7. sono nel bisogno, ben conoscendo
le conseguenze a cui poteva anda-
Una testimonianza evangelica re incontro. Il religioso ha preferito
essere a servizio di un emigrato in
Mons. Dominique Lebrun, ar- difficoltà, mettendo al primo posto
civescovo di Rouen, la diocesi in l’ospitalità e, al secondo, i rischi che
cui era stato ucciso p. Hamel, ha poteva correre.

7. Cfr Ch. de Pechpeyrou, «Un uomo buono e un pastore generoso…», cit., 7.


8. Cfr l’editoriale di Le Monde del 12 agosto 2021: «Meurtre d’un prêtre: la douleur
et la colère».
9. Ivi, 26.
IL MARTIRIO DI P. OLIVIER MAIRE

Abayisenga era uno stranie- di sangue che scuote non soltanto la


ro in una situazione irregolare, Chiesa cattolica, ma ogni testimo-
psichicamente fragile e di certo nianza di umanità e di accoglienza.
mentalmente squilibrato; ogni Non si tratta di ingenuità cristia-
volta che veniva respinta la ri- na o di fallimento disastroso della
chiesta di asilo politico, il suo ri- politica, ma della radicalità di una
sentimento esplodeva negli atteg- scelta per il Vangelo e di un impe-
giamenti più imprevedibili, come gno totale per gli altri. Il religioso
nel caso di Nantes, e questa volta ha dato prova di coraggio, apren-
proprio con l’assassinio di chi più do la sua porta a un emigrato che
lo aiutava. Probabilmente non era chiedeva aiuto e compromettendosi
stata valutata concretamente, du- fino in fondo nella fedeltà alla sua
rante il suo ultimo ricovero, la sua vocazione cristiana e alla sua fede.
91
pericolosità sociale. È quanto il Vangelo richiede a ogni
Ma ciò che è più importante è cristiano: l’accoglienza sempre e
l’ammirazione che suscita il marti- comunque incondizionata dell’al-
rio di p. Maire: esso allunga la scia tro, chiunque egli sia.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ORESTE TOLONE

92 G UARDINI E LA FILOSOFIA DI DANTE


Brescia, Morcelliana, 2021,
132, € 13,00.

I lavori dedicati a Dante da Romano Guardini (1885-1968), scrive l’A.,


«nel corso della sua vita sono moltissimi, a dimostrazione della grande impor-
tanza che il poeta assunse per il filosofo tedesco. Importanza probabilmente
superiore a quella accordata ad altri grandi autori della letteratura mondiale,
che pure divennero per lui fonte di ispirazione filosofica» (p. 5).
Tolone, docente di Filosofia morale presso l’Università di Chieti-Pescara,
esamina i saggi che Guardini dedica al sommo poeta: saggi raccolti nel XIX
volume dell’Opera Omnia, in corso di pubblicazione presso l’editrice Morcel-
liana (Romano Guardini, Studi danteschi, 2018). Sono studi profondi, frutto di
ricerche attente e di lunghe riflessioni. C’è tutto Dante: il mondo da lui im-
maginato, la struttura, le tre cantiche, i personaggi, la selva oscura, il viaggio
«visionario», il discorso sul peccato, su vizi e virtù, sul bene e sul male, sulla
luce. E ci sono pagine limpide su Virgilio; l’Interpretation der Divina Comme-
dia, saggio edito per la prima volta in Italia; lo scambio con il filologo Karl
Vobler (1872-1949) su «L’Angelo nella Divina Commedia», in cui Guardini
chiarisce il suo pensiero: «Effettivamente io credo nella realtà degli angeli,
come fanno le Scritture e come ha sempre fatto la tradizione cristiana» (p.
704). Vi si può leggere anche un tentativo di traduzione della Commedia in
tedesco: un tentativo, perché Guardini è consapevole che è impossibile tra-
durre nella loro forza e chiarezza immagini e visioni del poema in tedesco.
Tolone introduce a Guardini e a Dante, al filosofo-teologo tedesco – e
alla sua ricezione in Italia – e alla visione dantesca del mondo e dell’umani-
tà. Nella «Nota biografica» racconta la vita di Guardini nelle sue varie fasi,
richiamando l’attenzione sul suo impegno pedagogico: «Nel 1920 partecipa
per la prima volta al convegno tedesco del movimento cattolico giovanile del

© La Civiltà Cattolica 2021 IV 92-102 | 4111 (2/16 ottobre 2021)


RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

“Quickborn”, che puntava a “un nuovo modo di stare nella Chiesa e nello Sta-
to”» (p. 113). Praeceptor Germaniae, Guardini è «uno dei più grandi europei,
homo universalis» (p. 118).
L’amore di Guardini per Dante è testimoniato anche dalla dedica che
egli fece di uno dei suoi lavori più significativi al padre: «Alla memoria di
mio padre dalle cui labbra / fanciullo i primi versi di Dante colsi». Questo
amore per Dante nasce quando Guardini frequenta il ginnasio a Magonza,
e continua in tutta la sua vita.
Tolone si sofferma sui capitoli più interessanti degli Studi danteschi. Con
«Paesaggio dell’eternità» (un ritratto di Dante intenso, ricco di sfumature) si
entra nel mondo del sommo poeta, nella sua fantasia, nella sua spiritualità, nel
suo cristianesimo. E si apprende la lezione di Guardini filosofo, che da Dante
filosofo attinge vigore. Il teologo tedesco è tutto concentrato sul discorso di
Dante: sulla sua teologia poetica, sullo stile, sulla lingua. Per lui, Dante va
considerato, «oltre che per la sua impareggiabile grandezza di poeta, anche
93
per l’originalità del pensiero, che si rivela essenzialmente nell’immane archi-
tettura dell’opera» (p. 8).

Francesco Pistoia

VITTORIO CAPUZZA

L ORENZO ROCCI S.J. DIARIO (ANNI 1880-


1933)
Roma, Bibliotheka, 2021, 576, € 18,00.

Il nome di Lorenzo Rocci è familiare a numerose generazioni di docen-


ti, studenti e studiosi per il famoso dizionario greco-italiano, pubblicato nel
1939 e tuttora in uso. Ma pochi sanno che si trattava di un padre gesuita, e
anche solo pochi gesuiti sanno qualcosa della sua vita. Questo nuovo volume
ci offre finalmente una conoscenza ampia e approfondita su questo educatore
instancabile e sacerdote esemplare. Si tratta della pubblicazione praticamente
integrale del suo Diario manoscritto, conservato dapprima nell’archivio del-
la Provincia romana, confluito ora nell’archivio della nuova Provincia euro-
mediterranea della Compagnia di Gesù, che copre più di cinquant’anni della
lunga vita del Rocci (Fara Sabina, 1864 - Roma, 1950).
Non solo, ma il prof. Vittorio Capuzza, nella sua Introduzione, ci offre
una vera biografia, basata su un’attenta documentazione. Inoltre l’archivista,
dott.ssa Maria Macchi, ha contribuito al ricco apparato di note archivistiche e
biografiche su quasi tutti i numerosi soggetti citati nel documento pubblicato.
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

La vita di Rocci di per sé non è straordinaria. O meglio, è simile a quella


dei moltissimi gesuiti che hanno ricevuto la missione di insegnare materie
letterarie o scientifiche nei Collegi della Compagnia di Gesù e lo hanno
fatto con dedizione per decenni, cercando di impartire agli studenti un’ec-
cellente educazione umana e cristiana con cui affrontare bene la sfide della
vita. Questo fa p. Rocci, dapprima nel piccolo Collegio di Strada (Arezzo)
e poi molto a lungo nel rinomato Collegio «dei Nobili» di Mondragone
(Frascati). Ma lo fa con tale serietà di preparazione, metodo e capacità didat-
tica, da saper anche redigere per le scuole una Grammatica greca (che avrà 37
edizioni), due libri di Esercizi greci, con una trentina di edizioni, e da essere
infine richiesto dalla casa editrice Dante Alighieri di metter mano a quel
Vocabolario che sarà il suo capolavoro.
La bibliografia di Rocci in fondo è piuttosto limitata: non scrive molti
articoli o libri; non va in giro a fare conferenze; non insegna in univer-
sità, ma basta sfogliare il Vocabolario e riflettere un momento, e si capisce
94
che cosa faceva. Tuttavia non bisogna pensare che p. Rocci sia una per-
sona chiusa in sé: il Diario, nella sua concisione e precisione, ci presenta
un attento lettore dei giornali, interessato e ben informato sugli eventi
del suo tempo, sia che si tratti della Prima guerra mondiale e delle sue
conseguenze sia della nascita del fascismo, della Conciliazione ecc. Egli
coglie con grande interesse e frutto le occasioni che gli si presentano per
viaggiare – in generale per accompagnare giovani convittori –, in parti-
colare in Grecia. Segue con attenzione la vita della Chiesa e quella della
Compagnia di Gesù. Da questo punto di vista il Diario è una miniera di
informazioni interessanti su persone, luoghi, comunità, eventi e, in par-
ticolare, sul Collegio di Mondragone, e le oltre 1400 note a piè di pagina
ne aiutano molto la lettura.
P. Rocci è anche un sacerdote zelante, direttore per anni della Con-
gregazione Mariana «dei Nobili», presso il Gesù di Roma, e un buon
religioso, attento ai suoi confratelli e con profonde relazioni di stima e
amicizia con molti di loro. Quando un suo carme latino patriottico, Mare
Nostrum, sulle gesta della Marina italiana riceve «riviste laudative da pe-
riodici e giornali d’ogni colore», egli conclude: «Io però rimango sempre
lo stesso» (p. 464).
Davvero toccanti sono soprattutto la frequenza e il tono delle annota-
zioni sulle vicende degli ex alunni del Collegio di Mondragone, che egli
ha conosciuto e seguìto da ragazzi come educatore, diversi dei quali mo-
riranno durante la Prima guerra mondiale. Anche quando sarà anziano,
p. Rocci continuerà a rendersi utile come preside di Mondragone fino al
1944; poi svolgerà il ministero di confessore nelle chiese di Sant’Ignazio
e del Gesù, a Roma. Dal 1948 dovrà limitarsi a essere confessore della
sua comunità. Infatti nel 1950, dopo due anni di infermità che lo hanno
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

costretto a letto, conclude la sua lunga vita nello scolasticato del Gesù a
Roma, amato e rispettato dai più giovani confratelli.
Non coerceri a maximo, contineri tamen a minimo divinum est: i gesuiti
hanno considerato queste parole adatte a descrivere la grandezza degli ideali
ignaziani realizzati nella piccolezza dell’ordinario. In un certo senso esse de-
scrivono bene anche la vita di p. Lorenzo Rocci.

Federico Lombardi

PAOLO D’ANGELO

L A TIRANNIA DELLE EMOZIONI


Bologna, il Mulino, 2020,
240, € 22,00.
95

Il tema delle emozioni è estremamente complesso, sia per le discipline


che se ne sono occupate, sia per la difficoltà stessa a precisarne il significato
all’interno di una famiglia di termini affini, spesso considerati sinonimi:
sentimenti, affetti, passioni. Emergono grandi distinzioni: le emozioni ba-
silari, universali e facilmente riconoscibili (gioia, tristezza, rabbia, paura,
disgusto). Ci sono poi le emozioni complesse (invidia, gelosia, orgoglio,
nostalgia ecc.), che hanno una durata più lunga e plasmano un atteggia-
mento stabile, l’umore.
Il libro si sofferma in particolare sulle emozioni suscitate in sede arti-
stica (nei confronti di un quadro, un romanzo, un film, una musica) e sul
modo in cui vengono rappresentate dai loro autori. È possibile stabilire
somiglianze e differenze in questa complessa tipologia? Che si tratti di
realtà o di finzione, l’emozione suscitata è la stessa: la paura è sempre tale,
sia che riguardi un pericolo sia la visione di un film; ciò che fa la differenza
è l’atteggiamento con il quale ci si raffronta alla situazione. Emozione e
cognizione, finzione e realtà stanno su un equilibrio sempre precario, ma
che non può essere confuso.
L’A. prende a esempio il protagonista de L’ opera di Zola, che dipinge
l’agonia del figlio «perché affascinato dalle espressioni che vi coglie» (p. 138),
il che nella vita reale sarebbe ritenuto giustamente una cosa orribile. La rap-
presentazione delle emozioni richiede una presa di distanza che nella realtà
apparirebbe problematica: «Se nella vita reale Carducci avesse espresso il suo
dolore [per la morte del figlio] a rime baciate anziché con urla e pianti, pro-
babilmente la gente avrebbe pensato che era impazzito» (p. 182).
Questa compresenza, a livelli differenti, di emozione e cognizione è an-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

cora più evidente se si pensa a colui che ha fatto delle emozioni una profes-
sione: egli deve provare ciò che rappresenta? Evidentemente no. «Difficile
immaginare un artista figurativo disgustato mentre assembla elementi che
susciteranno disgusto, o uno scrittore arrabbiato mentre racconta una storia
che magari ci farà arrabbiare (ma non con lui; eventualmente con i respon-
sabili della storia)» (p. 182). La presa di distanza in questi casi è ancora più
importante per la riuscita dell’opera: «Il musicista comporrà fughe o sinfo-
nie, con uno schema compositivo preesistente, relativamente fisso, e spesso di
grande complessità tecnica» (p. 183).
La distanza diviene ancora più palese quando, come nel caso di un
film, si richiede la collaborazione di molte persone. Proprio la conoscen-
za di queste tecniche consente all’attore di comunicare precise emozio-
ni al suo pubblico, al contrario di chi, coinvolto dall’emozione, si trova
impossibilitato a esprimerla. Questo non significa che l’attore sia privo
di emozioni, tuttavia egli le vive in modi differenti: «In primo luogo,
96
la scena è […] un “luogo magico”; la reazione del pubblico agisce come
moltiplicatore dell’esperienza emozionale dell’attore; infine, la tensione
emotiva che precede l’andata in scena può trasformarsi in emozioni di
tipo diverso» (p. 194).
È fondamentale distinguere emozioni reali da emozioni rappresentate per
tutelarsi dal loro potere tirannico-manipolatorio, illudendosi di condividere
una situazione solo perché si provano delle emozioni. È il rischio del virtuale.
L’A. riferisce come esempio la realizzazione Carne y arena del regista Iñárritu,
allestita alla Fondazione Prada di Milano nel 2017. I partecipanti, dotati di
cuffie e visori, rivivono la situazione del rifugiato (onde del mare, fucili delle
guardie, rumori di elicotteri ecc.) e così possono rendersi conto di «cosa si
prova a essere un migrante» (p. 7). Ma essi hanno davvero vissuto tale espe-
rienza? La morte di una persona cara, amputazioni, percosse, lo stigma, tutto
questo può essere simulato da una rappresentazione? Per l’A., risulta ipocrita e
irritante «pensare che la vera sofferenza di una persona che ha lasciato la pro-
pria casa, che non si sa se riuscirà mai ad arrivare dove vorrebbe […], consista
nel freddo sotto i piedi o nella luce negli occhi» (p. 9).
Mantenere la differenza tra emozioni vissute ed emozioni comunicate è
fondamentale per la comprensione e la pietà che, come notava già Aristotele,
richiede «compartecipazione, ma non esclude la percezione della differenza
tra sé e l’oggetto della pietà» (p. 211). L’incomprensione di ciò rende Carne y
arena – e i suoi derivati – non una forma di condivisione, ma una mancanza
di rispetto, offensiva per chi soffre.

Betty Varghese
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

CARLO GALLI

F ORME DELLA CRITICA.


SAGGI DI FILOSOFIA POLITICA
Bologna, il Mulino, 2020, 288, € 25,00.

Dopo aver portato a termine la «non piccola fatica» di dare forma unita-
ria, con questo volume, a una serie di saggi pubblicati negli ultimi vent’an-
ni, nell’Introduzione Carlo Galli ne anticipa le tesi portanti e la struttura
fondamentale. In un’ulteriore sintesi, si può notare come l’A. si soffermi su
due grandi temi, che sono poi quelli indicati nel titolo e nel sottotitolo del
libro. Il primo è eminentemente filosofico e, anzi, inerisce all’essenza stessa
della filosofia. Questa, per l’A., consiste nell’«esercizio della critica», ma con
la decisiva precisazione che la critica deve scontare un’«opacità originaria»,
così che nasce l’«esigenza di chiarire quali siano le forme della critica, quale
sia la loro struttura e la loro finalità» (p. 7). L’approfondimento di questa tesi
97
conduce Galli – questo è il secondo tema – a riscontrare un’analoga «opacità»
nella struttura della politica e del pensiero che la indaga, la quale orienta a
pensare la politica nella prospettiva di un «realismo critico» consistente nel
mostrare le relazioni, gli eventi e i processi che costituiscono la trama effet-
tiva del reale.
Un tale «esercizio genealogico» non intende essere un’«adesione
all’immanenza», né, ancor meno, un «abbandono all’effimero». Il suo sco-
po, invece, è quello di «fare emergere sia la mediazione di tutte le presunte
immediatezze» – e in questo l’A. si differenzia da una tesi tipica del Post-
moderno –, sia «l’immediatezza della mediazione stessa», prendendo egli
questa volta le distanze da una tesi tipica del Moderno. Più precisamente,
rispetto al disegno moderno, il realismo critico rivela «l’origine particola-
re dei discorsi ordinativi e legittimanti», insomma mostra come invalida
la tesi che al fondo delle cose vi sia la «ragione» come loro fondamento (cfr
p. 8). In tal modo l’A. ci conduce nel territorio, per noi oggi abituale, del
«pensiero negativo», il quale però non dev’essere confuso con l’irraziona-
lismo, dal momento che non si contrappone alla ragione, ma ne mostra le
«contraddizioni originarie» (p. 130).
Questo nucleo teoretico costituisce l’assunto fondamentale del volume
ed è approfondito nel primo capitolo, quello che dà il titolo al volume,
e nell’ultimo, intitolato significativamente «Opere del Nulla», come a ri-
badire l’assenza del fondamento. Il lettore che volesse approfondire ulte-
riormente, potrebbe leggere la prima parte di un’opera precedente dell’A.,
intitolata Genealogia della politica. Carl Schmitt e la crisi del pensiero po-
litico (il Mulino, 1996). Nelle pagine 3-175 di tale volume, infatti, Galli
affrontava tematicamente il problema della mediazione, ossia il tema di
un fondamento o meno dell’esperienza (o della «vita»), svolgendolo sto-
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

ricamente nella sua intera parabola moderna di mediazione razionalista


(Cartesio e Hobbes), mediazione dialettica (Hegel e Marx), crisi della me-
diazione (Kierkegaard e Weber) e, infine, di dissoluzione della mediazione
(Nietzsche, in primis).
Qui non è possibile offrire un’analisi di tutti i temi svolti nei sette ca-
pitoli di Forma della critica. Preferiamo, perciò, soffermarci sull’importanza
che l’A. attribuisce alla critica operata dalla «teologia politica» in relazione
alla tesi di un’assoluta autonomia e autotrasparenza della ragione moder-
na: «L’interpretazione teologico-politica fa della contingenza moderna un
campo generato da un’origine non razionalizzabile», con il risultato che si
può contestare la pulsione della modernità «a concludersi nell’immanenza
compiuta» (p. 61).
Gli autori coinvolti da Galli per giustificare la tesi del ruolo attivo svol-
to dalla religione come un primum rispetto alla politica e il rilievo del
«nodo irrisolto» inerente a tale legame ripresentano le linee di pensiero
98
prima elencate in ordine alla parabola del Moderno. A partire dal pensiero
negativo di Nietzsche si originano le successive riflessioni – sempre nella
prospettiva di una «teologia politica» – svolte da Schmitt, Benjamin e, più
recentemente, da Tronti e Cacciari. Tra l’altro, un capitolo (cfr pp. 119-145)
è dedicato dall’A. a un fitto confronto, molto ben articolato, tra Nietzsche
e Schmitt, dal quale emergono punti di contatto ed elementi di differenza
tra due autori accomunati dalla critica alla «mediazione moderna».
Concludiamo la breve analisi di questo libro con un’ultima citazione,
che riassume il senso di fondo del «realismo critico» che in esso viene
teorizzato: «La critica si impone […] per orientare il modo di pensare
i problemi, e per scovarli dove si pretende esista la “normalità”» (p. 53).

Leonardo Messinese

C APITALISMI E DEMOCRAZIE. SI POSSONO


CONCILIARE CRESCITA E UGUAGLIANZA?
a cura di CARLO TRIGILIA
Bologna, il Mulino, 2020, 568, € 38,00.

Questo ponderoso libro collettaneo, curato da Carlo Trigilia, professore


di Sociologia economica all’Università di Firenze, contiene gli esiti di una ri-
cerca condotta nell’ambito dei Prin (Programmi di ricerca scientifica di rile-
vante interesse nazionale). Dallo stesso titolo del libro si intuisce l’interessante
percorso proposto al lettore, analizzando gli andamenti delle 18 economie più
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

avanzate del Vecchio Continente, oltre il Canada e gli Stati Uniti d’America,
attraverso un’analisi diacronica di 30 anni, che spazia dalla metà degli anni
Ottanta del secolo scorso al 2016.
I contributi sono ordinati in tre parti. Si inizia con l’illustrazione di un
primo approccio al tema della crescita e della disuguaglianza delle democra-
zie avanzate, a cui fanno seguito diversi saggi su temi specifici che caratteriz-
zano lo sviluppo socioeconomico dei Paesi analizzati. La seconda parte offre
un approfondimento storico comparatistico degli aspetti già illustrati nella
prima. La terza parte, infine, contiene una lettura, in chiave sociopolitica,
dei modelli di capitalismo, attraverso una disamina degli assetti istituzionali e
delle politiche adottate nei Paesi inclusi nel perimetro dell’indagine.
Non potendo, per ragioni di spazio, offrire un’analisi dettagliata di cia-
scuno dei 14 contributi presentati, ci limiteremo a fare alcune considerazioni
d’insieme. La ricerca nasce dalla constatazione che nei Paesi più sviluppati,
dopo gli anni Settanta del secolo scorso, al crescere della globalizzazione non
99
ha corrisposto una crescita di tipo inclusivo, ma si è avuta un’accentuazione
delle disuguaglianze pregresse. Fatta questa premessa, risulta condivisibile
l’individuazione dei quattro principali modelli di sviluppo capitalistico nei
18 Paesi considerati: il capitalismo a crescita non inclusiva; quello a crescita
inclusiva, con le due varianti di una crescita inclusiva egualitaria e di una
dualistica; e il capitalismo a bassa crescita non inclusiva.
Ciascuno di questi modelli descritti nel contributo iniziale del volume
viene analizzato dettagliatamente in quelli successivi, toccando gli aspetti
della struttura produttiva, dell’occupazione, della governance delle imprese,
delle relazioni industriali, delle politiche del lavoro, dei modelli di welfare
adottati, delle politiche per l’istruzione e per l’innovazione, nonché gli assetti
istituzionali complessivi e le caratteristiche peculiari dei governi e dei partiti
in essi presenti.
Ecco perché l’approfondimento storico-comparatistico della seconda parte
del volume su ciascuno di questi profili e l’arricchimento con le ulteriori rifles-
sioni legate all’incrocio con gli aspetti sociopolitici contenuti nella terza parte
del volume offrono al lettore una quantità di considerazioni decisamente utili
a orientarsi nella geoeconomia e nella geopolitica del mondo contemporaneo.
In riferimento, poi, agli effetti devastanti della pandemia da Covid-19, si
esaminano i Piani nazionali di ripresa e resilienza dei singoli Paesi dell’Unio-
ne Europea, che, se opportunamente orientati e coordinati, si possono rive-
lare una formidabile occasione non soltanto di rilancio economico, ma anche
e soprattutto di minore divaricazione delle disuguaglianze finora riscontrate.
La prospettiva di una «Casa Europa» che possa proporsi a modello di un capi-
talismo caratterizzato da minori divergenze nei tassi di crescita, minori disugua-
glianze tra le diverse classi sociali all’interno di ciascuno degli Stati membri dell’Ue
e da un maggior grado di inclusione, nell’ottica di una società aperta e accogliente,
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

è da considerarsi, dunque, come uno dei logici sbocchi del percorso intellettuale
delinea­to dal volume. E questa sarebbe anche la migliore risposta concreta, in posi-
tivo, da parte degli Stati dell’Ue, all’interrogativo contenuto nel sottotitolo del libro.

Filippo Cucuccio

GIUSEPPE DALLA TORRE

L EZIONI DI DIRITTO VATICANO


Torino, Giappichelli, 2020,
288, € 26,00.

Nell’orizzonte delle più recenti pubblicazioni nel settore giuridico, spicca


100
questa di Giuseppe Dalla Torre, dedicata al diritto vaticano. Il giurista – già
Presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, scomparso nel
2020 – con il volume ha inteso conferire autonomia e importanza a questa
branca del sapere giuridico.
Una caratteristica del volume è che non tratta solo degli argomenti classici
del diritto ecclesiastico, ma abbraccia tutti gli aspetti della vita giuridica dei
cittadini vaticani: dai rapporti privati a quelli strettamente inerenti al diritto
amministrativo e penale. Nel testo, oltre a una puntuale disamina giuridica,
troviamo un costante richiamo alle radici storiche delle norme. Storia e dirit-
to si integrano a vicenda, mettendo in evidenza come la prima sia la base per
l’affermazione di quei valori che regolano la vita dell’organizzazione giuridica.
Il primo capitolo è dedicato alla nascita e alla formazione dello Stato vatica-
no: dalla Questione romana alla soluzione negoziata con i Patti lateranensi, nel
1929, emergono le grandi linee del ruolo della Chiesa nella società civile. L’A.
afferma: «La creazione della Città del Vaticano, su cui è riconosciuta la piena
sovranità della Santa Sede (art. 3 del Trattato lateranense), presentava profili ine-
diti, sia per la natura particolarissima di questa entità statuale, non essendo uno
Stato fine a sé stesso, alla stessa stregua degli altri, ma uno Stato con carattere
strumentale in ordine alla missione della Santa Sede; sia per la particolarità di
suoi elementi costitutivi, vale a dire un territorio ridottissimo e una cittadinanza
funzionale; sia per il particolare rapporto tra Santa Sede e Stato vaticano» (p. 10).
Oltre al diritto internazionale, nella ricerca vengono presi in considerazione
altri settori di rilevante importanza giuridica, come matrimonio, famiglia e diritti
successori. Dallo studio delle fonti, in materia di diritto civile, si apprende che «il
diritto privato vaticano è precipuamente costituito dal codice civile italiano del 16
marzo 1942, così come modificato e vigente in Italia all’atto dell’entrata in vigore
della legge vaticana sulle fonti del diritto, vale a dire il 1° gennaio 2009 (art. 4,
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

legge n. LXXI del 2008)» (p. 145). Vengono poi trattati il diritto e la procedura
penale, analizzando l’evoluzione che essi hanno avuto nel corso del tempo.
In particolare, l’A. osserva che «con i Pontificati di Benedetto XVI e soprattutto
di Francesco si è messo in moto un processo di rinnovamento del corpus delle nor-
me penali vaticane che, pur mantenendo i codici mutuati dall’ordinamento italiano,
ha però prodotto un vigoroso ammodernamento dell’intero sistema» (p. 167).
L’edizione è aggiornata ai recenti interventi legislativi, tra cui la legge
sull’ordinamento giudiziario dello Stato della Città del Vaticano, del 16 marzo
2020, n. CCCLI.
Le lezioni terminano con uno sguardo d’insieme sulle relazioni tra la Città del
Vaticano e l’Italia, di cui si parla in due Appendici al testo. Continuità, autonomia
e relazioni diplomatiche trovano spazio in questo dialogo che, come osserva l’A.,
«non può mai arrestarsi» (p. 264). L’opera si presenta innovativa e originale, in
quanto offre un’interessante panoramica del diritto vaticano, realtà unica al mondo
per le importanti finalità che è chiamata a realizzare per il bene della collettività.
101

Gianluca Giorgio

ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI

I MMAGINARIO E RESILIENZA.
LA SCUOLA DOPO IL VIRUS
Brescia, Morcelliana, 2021, 224, € 16,00.

Questo libro, scritto da Antonella Fucecchi e Antonio Nanni, che per de-
cenni hanno collaborato con il movimento e la rivista CEM Mondialità, esplora il
tema dell’immaginario in chiave educativa, alla luce dei cambiamenti che la no-
stra società sta vivendo, in particolar modo in seguito all’epidemia da Covid-19.
L’espressione «immaginario educativo» sta a indicare la prospettiva uma-
nistica e personalistica dell’educazione, interessando in primo luogo le aree
della scuola, della pedagogia e della formazione. Da qui il bisogno di so-
gnare un futuro migliore per le nuove generazioni, valorizzando la capacità
dell’uomo di reagire di fronte all’imprevedibilità del destino, scommettendo
«sulla possibilità che l’immaginario educativo trovi un nuovo punto di equili-
brio centrato sulla resilienza, evitando sia le fughe in avanti nei sogni utopici
sganciati dalla realtà, sia le nostalgie retrotopiche che si perdono nel passato,
sia infine le previsioni apocalittiche e catastrofiche della distopia» (p. 23).
La valenza educativa dell’immaginario è evidente a tal punto che nu-
merosi sono i dispositivi pedagogici di esso utilizzati sia nella letteratura per
l’infanzia, sia nel gioco, sia nei vecchi che nei nuovi media. «Educare» (da
RASSEGNA BIBLIOGRAFICA

e-ducere, «tirar fuori») vuol dire infatti liberare la persona, e quindi l’educa-
zione non potrà mai fare a meno dell’immaginazione, capace di spalancare
orizzonti inediti. «L’equivoco di fondo è che l’immaginario venga reificato,
cioè pensato come una cosa, una realtà a sé stante, separata dalla vita e avulsa
dalla cultura, dalla società e dalla storia» (p. 59).
Gli AA. affrontano poi un excursus, indagando ogni epoca storica – el-
lenistica, medievale, illuministica, contemporanea – caratterizzata da un im-
maginario proprio e specifico, affermando che «oggi non solo le scienze, ma
perfino il marketing, lo sport, il turismo e la moda si interessano dell’imma-
ginario, a conferma che non è estraneo al suo perimetro niente di ciò che
appartiene all’esperienza umana» (p. 60).
In alcuni momenti, come nel periodo del ventennio fascista, abbiamo
assistito a un uso strumentale dell’immaginario e alla messa in atto di un pro-
gramma di controllo e di manipolazione di massa. Secondo Emily Beseghi,
esisterebbe «una sorta di “alleanza” tra letteratura per l’infanzia e pedagogia
102
dell’immaginario. L’una e l’altra, infatti, possiedono una evidente “carica li-
beratoria” nei confronti di tutto ciò che tende a ingabbiare, come i regimi
e le dittature, da cui non a caso vengono puntualmente ostacolate» (p. 150).
Una dissertazione significativa riguarda le 10 parole-chiave, fondamentali
nell’esistenza e nel pensiero dell’uomo, che rappresentano l’alfabeto della no-
stalgia: «civiltà», «patria», «famiglia», «comunità», «tradizione» coinvolgono la
sfera della società e della convivenza, mentre «mito», «destino», «anima», «Dio»,
«ritorno» esplorano una dimensione correlata più direttamente con l’immagi-
nario. Oggi, nel tempo della fragilità diffusa e dell’incertezza, un contributo
significativo per un immaginario educativo più equilibrato e resiliente, atten-
to alla cura degli altri, può venire, oltre che dalla letteratura per l’infanzia e
dall’alfabetizzazione emozionale da coltivare in famiglia e nella scuola, anche
dai media digitali, in particolare dallo storytelling, pensato per i ragazzi nativi
digitali, perché «mette armonicamente insieme video, immagini, suoni, audio
per costruire storie e narrazioni» (p. 168).
Un insegnamento importante che la pandemia, con tutti i suoi effetti
collaterali, ci ha trasmesso è stato proprio la presa di coscienza della nostra
vulnerabilità, e quindi il bisogno di riscoprire i valori, gli stati d’animo e
l’alfabeto delle emozioni, per risvegliare un immaginario della speranza, della
rinascita e della fiducia per tutti. A tal fine è necessaria una prospettiva che
apra il cammino alla resilienza, risorsa educativa, culturale e anche politica da
intendersi come «capacità di assorbire l’urto di un trauma imparando a curare
la ferita per non restare catturati nel dolore e nella sofferenza» (p. 179).

Benedetta Grendene
OPERE PERVENUTE

AGIOGRAFIA PASTORALE
GOUJON P., Counsels of the Holy Spirit: ACETI E., Educare alla fede oggi, Cinisello
A Reading of Saint Ignatius’s Letters, Dublino, Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, 144,
Messenger, 2021, 136, € 14,95. € 10,00.
ROSINI F., San Giuseppe. Accogliere, custodire e
nutrire, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, 160,
€ 14,00. PSICOLOGIA
San Lorenzo da Brindisi. Doctor apostolicus. CHIESA C., Sognare con i bambini.
Nell’Europa tra Cinque e Seicento. Atti del Convegno Ascoltando i bisogni di questo tempo, Cinisello
Internazionale di Studi (Venezia, 17-19 ottobre Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, 256,
2019) (G. INGEGNERI), Valsugana, Edizioni San € 22,00.
Leopoldo, 2021, 562, € 45,00. MARTELLO M., Costruire relazioni
intelligenti. A relazionarsi si impara… ma nessuno
ARTE lo insegna!, ivi, 2021, 256, € 22,00.

ISGRÒ G., Il teatro dei gesuiti. La peda­


gogia teatrale, la scena europea, il teatro di evan­ SPIRITUALITÀ
gelizzazione, Bari, Edizioni di Pagina, 2021, 228, PENNA D., La notte dimenticata. Vegliare con
€ 18,00. Gesù arrestato, Torino, Effatà, 2021, 144,
SCOGLIO G., Il ritratto di Stefano Tuccio S. J. € 14,00.
nella pinacoteca dell’eritreo. Giano Nicio Eritreo: vita, ORLANDI M., Romena. Porto di terra,
opere, rapporti con Tuccio e Caravaggio, Firenze, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2021, 224,
Phasar, 2021, 49, € 13,00. € 18,00.
ŠNORHALI N., Con fede ti confesso.
BIOGRAFIE Ventiquattro preghiere, Magnano (Bi), Qiqajon,
2021, 196, € 20,00.
DORIA A., Pedro Poveda. Un dialogo fede-
cultura, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, 2021,
96, € 10,00. STORIA DELLA CHIESA
SILVA C., Don Giuseppe Gennaro. Dall’Euca­ LABOA J. M., La storia dei Papi. Tra il regno
ristia l’Opera Charitas, ivi, 2021, 144, € 10,00. di Dio e le passioni terrene, Milano, Jaca Book,
2021, 600, € 50,00.
FILOSOFIA RIES J., I cristiani e le religioni. Dagli Atti
degli Apostoli al Vaticano II, ivi, 2021, 548,
MAURIZI M., La quadratura del nulla. Nicola € 35,00.
Cusano e la generazione del significato, Milano, Jaca
Book, 2021, 184, € 20,00.
SINI C., Dalla semiotica alla tecnica, ivi, 2021, TEOLOGIA
488, € 40,00. BALTHASAR H. U. VON, Verità del
mondo, Milano, Jaca Book, 2021, 272,
LETTERATURA € 30,00.
CATTORINI P. M., Suicidio? Un dibattito
SIGNORACCI F., Beatrice e le altre. Viaggio teologico, Torino, Claudiana, 2021, 256, € 19,00.
nella «Commedia» di Dante attraverso i personaggi LÖSER W., Elementi per una teologia delle
femminili, Cinisello Balsamo (Mi), San Paolo, religioni. Sguardi e passi oltre i confini, Brescia,
2021, 290, € 22,00. Queriniana, 2021, 256, € 26,00.

NOTA. Non è possibile dar conto delle molte opere che ci pervengono. Ne diamo intanto un annuncio
sommario, che non comporta alcun giudizio, e ci riserviamo di tornarvi sopra secondo le possibilità e lo
spazio disponibile.
BEATUS POPULUS, CUIUS DOMINUS DEUS EIUS

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