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Impresa

L’AMERICA FIRST DI TRUMP


L’IMPATTO DELLA GUERRA
COMMERCIALE TRA STATI UNITI E CINA

Settembre 2019
Documento realizzato nell’ambito del
Programma Rete Rurale Nazionale 2014-20
Piano di azione biennale 2019-20
Scheda progetto ISMEA 10.1
“Internazionalizzazione”

Autorità di gestione: Ministero delle


politiche agricole alimentari, forestali e del
turismo
Ufficio DISR2 - Dirigente: Paolo Ammassari

Coordinamento scientifico: Raffaele


Borriello, Fabrizio De Filippis

Responsabile scientifico: Luca Salvatici

Coordinamento operativo: Fabio Del Bravo,


Antonella Finizia

Autori: Alessandro Antimiani, Fabrizio De


Filippis, Linda Fioriti, Ilaria Fusacchia, Cosimo
Montanaro, Luca Salvatici

Lo Studio è frutto di una collaborazione tra


l’Ismea e il Centro Ricerche Economiche e
Sociali Manlio Rossi Doria dell’Università di
Roma Tre

Impaginazione e grafica:
Roberta Ruberto e Mario Cariello e Jacopo
Barone

Settembre 2019
INDICE
1. Introduzione ....................................................................................................................... 5

2. Analisi descrittiva ................................................................................................................ 7


2.1 I saldi commerciali degli USA e della Cina con i principali partner.......................................................... 7
2.2 Gli scambi bilaterali USA e Cina ............................................................................................................. 10
2.3 Il ruolo di USA e Cina negli scambi agroalimentari dell’UE e dell’Italia................................................. 12

3. Le principali decisioni di politica tariffaria degli Usa e della Cina......................................... 29

4. Il modello GTAP e GTAP-VA ............................................................................................... 33

5. Scenario ............................................................................................................................ 36

6. Risultati............................................................................................................................. 40

7. Conclusioni e considerazioni sui possibili effetti per l’Italia ................................................ 46

3
4
L’AMERICA FIRST DI TRUMP: L’IMPATTO DELLA GUERRA COMMERCIALE
TRA STATI UNITI E CINA

“When a country (USA) is losing many billions of dollars on trade with virtually every country it
does business with, trade wars are good, and easy to win”. Donald Trump, US President

“In a world of deepening economic globalization, practices of the law of the jungle and winner-
takes-all only represent a dead end”. Xi Jinping, President, People’s Republic of China

1. Introduzione
Quantificare l'impatto delle modifiche tariffarie è diventato una priorità politica, visto il recente aumento
delle tensioni commerciali. Dal punto di vista degli USA, l’origine delle della disputa commerciale con la Cina
va ricondotta al modello economico statalista cinese, in quanto l’ampio e crescente ruolo del governo
nell’economia genera distorsioni nei flussi commerciali e d’investimento a livello globale. Secondo
l’amministrazione Trump, infatti, le politiche economiche cinesi contribuirebbero a una sostanziale “errata
allocazione delle risorse globali che lascia ciascuno – compresi i cinesi – più poveri di quanto sarebbe in un
mondo con mercati più efficienti” (2018 Trade Policy Agenda and 2017 Annual Report of the President of the
United States on the Trade Agreements Program, p. 4). Oltre agli aspetti squisitamente commerciali, legati
all’enorme disavanzo nel commercio con la Cina, le preoccupazioni USA riguardano anche altre aree: il
presunto cyber-spionaggio economico cinese a danno delle imprese statunitensi; le procedure sul rispetto
dei diritti di proprietà intellettuale; le politiche discriminatorie sull’innovazione; l’uso estensivo di politiche
industriali (come sussidi e barriere al commercio e agli investimenti) finalizzate a proteggere e promuovere
le industrie nazionali. Nel loro insieme, queste pratiche e queste politiche sono accusate di avere un impatto
negativo sugli interessi economici statunitensi e di aver contribuito alla perdita di posti di lavoro in diversi
settori 1.

In questo lavoro si analizza l’evoluzione della guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti con l’obiettivo di
aggiornare l’analisi e focalizzare l’attenzione sulla guerra commerciale USA-Cina, rispetto alla valutazione
presentata nella precedente ricerca dell’ISMEA “L’America First di Trump: scenari globali per il commercio
agroalimentare” 2, successivamente integrata con considerazioni sulle possibili ripercussioni per le regioni

1 Wayne M. Morrison, "China-U.S. Trade Issues", Congressional Research Service Report, July 30, 2018.

2 http://www.ismea.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/10154.

5
italiane in “L'America First di Trump: gli scenari globali e il commercio agroalimentare delle regioni italiane
con gli USA” 3.

In quell’occasione si erano valutati alcuni possibili scenari basati sui proclami iniziali del Presidente Trump. A
distanza di quasi due anni, molte delle minacce si sono trasformate in atti concreti con un aumento
significativo delle barriere tariffarie a cui ha fatto seguito la ritorsione da parte del governo cinese. Siamo
quindi in grado di fornire una valutazione più precisa delle possibili conseguenze della guerra commerciale
in corso, non solo per le due economie direttamente interessate, ma anche per gli altri paesi e in primo luogo
l’Italia.

Le azioni commerciali dei governi statunitense e cinese intraprese nel corso del 2018 sono descritte nel
capitolo 3, mentre la valutazione dei possibili impatti globali e sull’Italia della guerra commerciale tra Stati
Uniti e Cina, che risultano dagli aumenti dei dazi, è effettuata nei capitoli da 4 a 6, tramite un modello di
simulazione di equilibrio generale calcolabile mondiale (GTAP e GTAP-VA). L’analisi dei risultati delle
simulazioni è preceduta nel capitolo 2 da una descrizione degli scambi commerciali degli USA e della Cina
(aggiornata al 2017, cioè l’anno precedente all’escalation della tensione, consentendo quindi di
rappresentare la situazione iniziale tra i due paesi) con i principali partner mondiali e del ruolo che entrambi
i paesi rivestono per l’Unione europea e per l’Italia, con particolare riferimento al settore agroalimentare. Il
rapporto si chiude con le conclusioni nel capitolo 7.

È forse superflua l’avvertenza che il contesto delle relazioni tra le principali potenze economiche mondiali è
tutt’altro che stabile e in questo senso il lavoro resta aperto per tenere il passo con gli sviluppi che si
prospettano nel corso del 2019: da un lato, le nuove minacce rivolte ad aprile dagli Stati Uniti all’Unione
europea, dall’altro, il successivo annuncio di ulteriori inasprimenti tariffari sulle importazioni USA provenienti
dalla Cina, puntualmente seguito dall’applicazione, a partire dal 10 maggio, dell’aumento dei dazi (dal 10 al
25%) su un ampio elenco di prodotti cinesi, prontamente seguito dalla ritorsione della Cina. Tale incremento,
nel quadro della strategia America First, sarebbe dovuto scattare già a partire dall’1 gennaio 2019, ma era
poi stato sospeso. A questo riguardo va ricordato che le simulazioni contenute in questo studio, essendo
state effettuate prima di tale ultimo aumento scattato dal 10 maggio, tengono conto del regime tariffario
esistente prima di quella data e, dunque, sottostimano gli effetti della guerra commerciale messa in campo
dall’amministrazione Trump.

3 https://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/18152.

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2. Analisi descrittiva
2.1 I saldi commerciali degli USA e della Cina con i principali partner
L’ampiezza del deficit commerciale degli Stati Uniti nei confronti di alcuni paesi è alla base dell’attenzione
dell’amministrazione Trump, che con un approccio di tipo mercantilistico, ha portato alle attuali tensioni con
la Cina e alle minacce rivolte anche verso l’Unione europea. Nella tabella 1 sono evidenziati i paesi con i quali
gli USA hanno i maggiori saldi commerciali negativi nel 2016 e nel 2017. Non a caso, tra questi paesi si
ritrovano quelli menzionati più frequentemente da Trump durante le sue invettive dedicate alle relazioni
commerciali internazionali. In particolare, la Cina si conferma il paese con maggiore surplus commerciale nei
confronti degli USA; questo nel 2017 ha superato i 350 miliardi di euro, in crescita di 20 miliardi rispetto al
2016. Seguono Giappone e Germania, che invece hanno registrato una lieve riduzione dei loro surplus
nell’ultimo anno. L’UE nel suo insieme conferma, anche nel 2017, un importante avanzo commerciale, in
aumento rispetto all’anno precedente (+3 miliardi). Anche l’Italia, che si colloca al secondo posto tra i paesi
membri dell’UE dopo la Germania, vede aumentare il surplus rispetto agli USA tra il 2016 e il 2017.
Considerando i saldi normalizzati 4, l’Italia risulta addirittura in seconda posizione (stabile rispetto al 2016)
dopo la Cina, con un valore superiore alla Germania e pari a più del doppio della media europea. Ciò significa
che, in rapporto alla dimensione complessiva ‒ relativamente piccola ‒ dell’interscambio dell’Italia con gli
USA (61,8 miliardi di euro), i flussi sono a netto vantaggio del nostro paese, con un saldo positivo di quasi 30
miliardi.

Commercio estero totale degli USA (milioni di euro)


2016 2017
Saldo Saldo
Paese Export Import Saldo Export Import Saldo
normalizzato* normalizzato*
Cina 104.403 435.066 -330.663 -61,3 114.981 465.663 -350.682 -60,4
Giappone 57.129 122.073 -64.944 -36,2 59.843 123.747 -63.904 -34,8
Germania 44.665 105.087 -60.422 -40,3 47.709 106.227 -58.518 -38,0
Messico 207.866 268.042 -60.176 -12,6 215.380 280.797 -65.417 -13,2
Italia 15.116 42.138 -27.022 -47,2 16.295 45.463 -29.169 -47,2
Corea del Sud 38.232 64.963 -26.731 -25,9 42.778 65.019 -22.241 -20,6
India 19.549 43.132 -23.583 -37,6 22.740 44.767 -22.027 -32,6
Francia 29.495 43.172 -13.678 -18,8 30.293 44.298 -14.005 -18,8
Svizzera 20.621 33.378 -12.756 -23,6 19.220 32.379 -13.160 -25,5
Taiwan 23.524 36.718 -13.195 -21,9 22.776 38.900 -16.125 -26,1
Canada 241.011 256.833 -15.822 -3,2 249.859 271.280 -21.422 -4,1
Regno Unito 49.849 49.949 -100 -0,1 49.799 47.868 1.931 2,0
UE28 244.905 384.481 -139.576 -22,2 251.305 393.565 -142.260 -22,1
Mondo 1.311.092 2.032.967 -721.875 -21,6 1.368.748 2.131.963 -763.215 -21,8

* Rapporto tra valore assoluto del saldo e somma di esportazioni e importazioni

4Il saldo normalizzato, cioè il rapporto percentuale tra il valore del saldo e il volume complessivo di commercio (esportazioni più
importazioni) è una misura relativa, variabile tra -100 e + 100, utilizzata per confrontare la posizione commerciale netta di paesi o
settori di differente dimensione assoluta.

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Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Anche per il settore agroalimentare gli USA presentano complessivamente un deficit strutturale consistente,
che tra il 2016 e il 2017 è ulteriormente aumentato in valore assoluto di 5,4 miliardi (tabella 2). Tuttavia, in
questo caso gli USA vantano un saldo commerciale positivo sia rispetto alla Cina (10 miliardi di euro) che
rispetto al Giappone (10,5 miliardi di euro), anche se il surplus rispetto alla Cina si è ridotto di 2,7 miliardi di
euro tra il 2016 e il 2017. Al contrario, è nei confronti dell’UE che gli Stati Uniti registrano un deficit, di 12,4
miliardi di euro nel 2017, di cui 4,4 miliardi sono dovuti ai rapporti commerciali con la Francia e 3,8 miliardi
agli scambi con l’Italia, mentre con la Germania registrano quasi un pareggio.

Anche in termini di saldo normalizzato per l’agroalimentare, l’Italia si colloca al secondo posto dopo la
Francia, con un valore che sale al 70%, rispetto al 47% riferito all’interscambio totale.

Commercio estero agroalimentare degli USA (milioni di euro)


2016 2017

Saldo Saldo
Paese Export Import Saldo Export Import Saldo
normalizzato* normalizzato*

Cina 19.036 6.357 12.680 49,9 16.624 6.535 10.089 43,6


Giappone 10.817 863 9.954 85,2 11.297 852 10.445 86,0
Germania 1.779 1.835 -57 -1,6 1.805 2.069 -265 -6,8
Messico 15.976 23.119 -7.144 -18,3 16.313 24.264 -7.950 -19,6
Italia 889 4.370 -3.481 -66,2 798 4.508 -3.709 -69,9
Corea del Sud 5.726 763 4.963 76,5 6.100 780 5.320 77,3
India 1.042 3.309 -2.266 -52,1 1.263 4.292 -3.030 -54,5
Francia 689 4.819 -4.130 -75,0 675 5.065 -4.390 -76,5
Svizzera 354 1.180 -826 -53,9 394 1.190 -797 -50,3
Taiwan 2.820 506 2.313 69,5 2.809 546 2.263 67,5
Canada 23.001 22.987 14 0,0 23.064 23.326 -262 -0,6
Regno Unito 1.859 2.541 -682 -15,5 1.685 2.556 -871 -20,5
UE28 11.561 22.724 -11.163 -32,6 11.372 23.784 -12.412 -35,3
Mondo 127.214 130.144 -2.930 -1,1 126.898 135.264 -8.366 -3,2

* Rapporto tra valore assoluto del saldo e somma di esportazioni e importazioni


Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Dato che l’innalzamento reciproco delle barriere tariffarie tra USA e Cina ha ripercussioni sugli scambi
commerciali globali dei due paesi, nella tabella 3 si descrivono anche i flussi di scambio della Cina con i
principali partner mondiali.

Nel complesso l’attivo di bilancio della Cina è molto consistente, pari a 371 miliardi, anche se tra il 2016 e il
2017 si registra un calo del surplus di 89 miliardi di euro. Gran parte del surplus complessivo della Cina è
spiegato dall’attivo nei confronti degli Stati Uniti, pari a ben 244 miliardi di euro e in crescita di circa 18
miliardi rispetto al 2016; rispetto ai paesi dell’UE, il surplus commerciale cinese vale 113 miliardi e risulta in
calo rispetto al 2016. In termini di saldo normalizzato gli USA si confermano il paese con maggiore deficit
rispetto alla Cina, seguiti dalla Gran Bretagna e a distanza dall’UE. L’Italia si colloca al 14° posto tra i paesi di
destinazione delle esportazioni della Cina e il saldo risulta in favore della Cina per 7,7 miliardi di euro.

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Sul fronte agroalimentare, viceversa, la bilancia commerciale cinese risulta in deficit per 37 miliardi di euro e
il paese con il maggiore surplus nei confronti della Cina sono proprio gli Stati Uniti, come illustrato nella
tabella 4. A seguire si trova l’UE, che vede aumentare leggermente il proprio surplus tra il 2016 e il 2017,
mentre per gli Stati Uniti nello stesso periodo si registra un calo. Il valore delle esportazioni della Cina verso
l’Italia è di circa 453 milioni di euro, quasi equivalente al valore delle importazioni (508 milioni); il saldo, sia
assoluto che normalizzato, è quindi molto piccolo (55 milioni di euro), ma è passato da positivo a negativo
tra il 2016 e il 2017; nel 2017 sono infatti diminuite rispetto all’anno precedente le esportazioni cinesi verso
l’Italia, mentre sono aumentate le importazioni.

Commercio estero totale della Cina (milioni di euro)


2016 2017
Saldo Saldo
Paese Export Import Saldo Export Import Saldo
normalizzato* normalizzato*
USA 348.484 122.090 226.395 48,1 380.923 136.711 244.212 47,2
Giappone 116.802 131.623 -14.820 -6,0 121.500 146.759 -25.259 -9,4
Corea del Sud 84.670 143.644 -58.973 -25,8 90.913 157.169 -66.256 -26,7
Vietnam 55.202 33.587 21.615 24,3 63.395 44.591 18.804 17,4
Germania 58.925 77.805 -18.880 -13,8 62.968 85.811 -22.843 -15,4
Regno Unito 50.296 16.880 33.416 49,7 50.202 19.765 30.437 43,5
Taiwan 36.348 125.457 -89.109 -55,1 38.934 138.056 -99.122 -56,0
Singapore 40.205 23.506 16.699 26,2 39.851 30.317 9.533 13,6
Russia 33.739 29.149 4.590 7,3 37.913 36.638 1.275 1,7
Malesia 34.028 44.518 -10.490 -13,4 36.923 48.178 -11.254 -13,2
Francia 22.552 20.340 2.212 5,2 24.753 23.728 1.025 2,1
Italia 23.823 15.107 8.715 22,4 25.853 18.147 7.705 17,5
Canada 24.678 16.568 8.110 19,7 27.773 18.078 9.695 21
Australia 33.687 64.058 -30.371 -31,1 36.681 84.101 -47.421 -39
UE28 306.604 188.077 118.527 24,0 329.591 216.856 112.735 20,6
Mondo 1.895.348 1.434.787 460.561 13,8 2.003.517 1.632.110 371.407 10,2

* Rapporto tra valore assoluto del saldo e somma di esportazioni e importazioni


Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Commercio estero agroalimentare della Cina (milioni di euro)


2016 2017
Saldo Saldo
Paese Export Import Saldo Export Import Saldo
normalizzato* normalizzato*
USA 6.576 20.068 -13.492 -50,6 6.689 19.412 -12.723 -48,7
Giappone 8.962 650 8.312 86,5 8.935 683 8.252 85,8
Corea del Sud 4.162 904 3.258 64,3 4.165 812 3.353 67,4
Vietnam 3.450 2.520 930 15,6 3.992 2.537 1.455 22,3
Germania 1.636 2.044 -408 -11,1 1.611 1.812 -202 -5,9
Regno Unito 908 427 481 36,0 921 499 423 29,8
Taiwan 2.048 671 1.377 50,6 2.160 689 1.472 51,7
Singapore 800 379 422 35,8 708 280 428 43,3
Russia 1.679 1.793 -114 -3,3 1.668 1.880 -212 -6,0
Malesia 2.327 1.949 378 8,8 2.104 2.055 49 1,2
Francia 478 2.591 -2.113 -68,9 494 3.090 -2.596 -72,4
Italia 502 475 27 2,7 453 508 -55 -5,8
Canada 957 4.577 -3.620 -65,4 987 5.649 -4.662 -70
Australia 857 3.773 -2.916 -63,0 864 5.275 -4.411 -72
UE28 7.133 11.071 -3.938 -21,6 7.428 11.526 -4.098 -21,6

9
Mondo 64.273 92.302 -28.029 -17,9 65.135 102.056 -36.921 -22,1

* Rapporto tra valore assoluto del saldo e somma di esportazioni e importazioni


Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

2.2 Gli scambi bilaterali USA e Cina


Focalizzando l’attenzione sugli scambi bilaterali tra USA e Cina, quindi, la figura 1 mostra il consistente deficit
strutturale complessivo degli Stati Uniti nei confronti della Cina, che non riguarda tuttavia il settore
l’agroalimentare; in questo settore è la Cina al contrario a registrare un disavanzo nei confronti degli USA,
che in termini normalizzati ha raggiunto il suo massimo nel 2014, per poi scendere leggermente negli anni
successivi. Di conseguenza, gli scambi bilaterali di prodotti agroalimentari sono maggiormente critici per la
Cina, molto meno per gli Stati Uniti.

In dettaglio, le importazioni degli USA dalla Cina, pari a 6,5 miliardi nel 2017, sono concentrate
principalmente in tre comparti: l’import di pesci, crostacei e molluschi rappresenta oltre il 27% del totale
agroalimentare; seguono per importanza le preparazioni di ortaggi e frutta (17%) e le preparazioni di carne
e di pesce (10%). Tuttavia, molto più concentrate sono le esportazioni statunitensi in Cina: dei 16,6 miliardi
di valore dell’export agroalimentare, 11,4 miliardi (68%) riguardano semi oleosi e specificamente soia. Altri
comparti di qualche rilievo per l’export USA in Cina, con valori intorno a 1 miliardo di euro, sono rappresentati
da cereali e pesce (tabella 5).

Figura 1 - Saldi normalizzati degli Stati Uniti verso la Cina (%)

2017 43,6
-60,4
2016 49,9
-61,3
2015 45,8
-62,6
2014 51,1
-59,4
2013 51,0
-58,1
2012 49,7
-60,2
2011 40,3
-60,1
2010 42,9
-61,3
2009 40,1
-63,3
2008 25,8
-66,6
2007 10,0
-67,8

Agroalimentare Totale

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati COMTRADE (ITC Trade Map)

10
Commercio agroalimentare degli USA con la Cina (milioni di euro)
2016 2017
Categoria di prodotti (codici HS2) Export Import Export Import
01 Animali vivi 6 42 15 32
02 Carni e frattaglie commestibili 528 16 462 15
03 Pesci e crostacei, molluschi e altri invertebrati 858 1.738 1.094 1.793
acquatici
04 Latte e derivati del latte; uova di volatili; miele 240 11 361 11
naturale; prodotti commestibili di origine animale, non
nominati né compresi altrove
05 Altri prodotti di origine animale, non nominati né 230 350 237 402
compresi altrove
06 Alberi vivi e altre piante; bulbi, radici e simili; fiori 5 46 4 51
recisi e fogliame ornamentale
07 Ortaggi o legumi, piante, radici e tuberi commestibili 36 442 42 417
08 Frutta e frutta a guscio commestibili; scorze di agrumi 343 164 433 140
o di meloni
09 Caffè, tè, mate e spezie 16 264 20 263
10 Cereali 1.170 7 1.193 10
11 Prodotti della macinazione; malto; amidi e fecole; 12 51 9 44
inulina; glutine di frumento
12 Semi e frutti oleosi; semi, sementi e frutti diversi; 13.468 274 11.373 241
piante industriali o medicinali; paglie e foraggi
13 Gomma lacca, gomme, resine e altri succhi ed estratti 41 230 35 212
vegetali
14 Materie vegetali da intreccio e altri prodotti di origine 3 27 5 27
vegetale, non nominati né compresi altrove
15 Grassi e oli animali o vegetali; prodotti della loro 131 47 58 49
scissione; grassi alimentari lavorati; cere di origine
animale o vegetale
16 Preparazioni di carni, di pesci o di crostacei, di 50 609 36 672
molluschi o di altri invertebrati acquatici
17 Zuccheri e prodotti a base di zuccheri 57 152 70 151
18 Cacao e sue preparazioni 28 24 24 31
19 Preparazioni a base di cereali, di farine, di amidi, di 66 192 79 198
fecole o di latte; prodotti della pasticceria
20 Preparazioni di ortaggi o di legumi, di frutta, di frutta a 241 1.045 205 1.102
guscio o di altre parti di piante
21 Preparazioni alimentari diverse 133 269 176 321
22 Bevande, liquidi alcolici ed aceti 392 63 171 68
23 Residui e cascami delle industrie alimentari; alimenti 828 272 366 245
preparati per gli animali
24 Tabacchi e succedanei del tabacco lavorati 156 22 144 27
Totale agroalimentare 19.036 6.357 16.610 6.527
Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati COMTRADE (ITC Trade Map)

11
2.3 Il ruolo di USA e Cina negli scambi agroalimentari dell’UE e dell’Italia
Per quanto riguarda l’Unione europea, il ruolo dagli Stati Uniti e della Cina nell’ambito del settore
agroalimentare emerge dal confronto dei saldi normalizzati nel decennio 2007-2017 nella figura 2, dove sono
riportati anche i saldi dell’UE nei confronti dei paesi terzi.

Nel decennio, l’UE ha sempre registrato un surplus nei confronti degli USA; inoltre, c’è stato un consistente
miglioramento del saldo commerciale agroalimentare dell’UE con la Cina e con altri paesi extra-UE. In
particolare, dal 2007 l’UE ha visto progressivamente ridurre il proprio deficit con la Cina, con un’inversione
di tendenza dal 2013, per poi crescere costantemente fino a raggiungere il 24% nel 2017.

Per quanto riguarda l’Italia (figura 3), il rapporto commerciale con gli Stati Uniti è strutturalmente a vantaggio
del nostro Paese: il saldo normalizzato si è mantenuto nettamente positivo durante tutto il periodo in esame,
con un valore pari a più del doppio di quello dell’UE (nel 2017 è 65,2% per l’Italia rispetto a 31,9% dell’UE), a
dimostrazione della forte attrazione che l’agroalimentare italiano esercita nel mercato nordamericano. Al
contrario, il saldo normalizzato dell’Italia con la Cina è prossimo allo zero nel 2017, ma va sottolineato come
esso sia migliorato in misura estremamente significativa, se si considera che il suo valore nel 2007 era pari a
-69,4%. Nel complesso, il saldo negli scambi dell’Italia con i paesi extra UE è migliorato nel corso del decennio,
passando in termini normalizzati da -6,7% a +15,6%.

Figura 2 - Saldi normalizzati agroalimentari dell’UE (%)

31,9
2017 -0,4
24,0
27,8
2016 -0,9
23,8
22,2
2015 -2,0
17,3
21,3
2014 -0,3
4,9
21,0
2013 0,1
1,9
27,0
2012 -2,4
-7,5
22,4
2011 -6,3
-20,1
22,9
2010 -7,2
-32,2
26,3
2009 -12,2
-40,3
16,5
2008 -13,7
-49,7
25,9
2007 -13,2
-50,6

UE verso USA UE verso extra UE UE verso Cina

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

12
Figura 3 - Saldi normalizzati agroalimentari dell’Italia (%)

65,2
2017 15,6
-0,9
62,0
2016 10,2
-15,6
55,5
2015 2,0
-8,3
53,1
2014 1,4
-9,1
58,4
2013 3,1
-18,8
65,3
2012 1,5
-22,9
59,2
2011 -5,7
-37,1
59,4
2010 -4,2
-43,1
56,9
2009 -7,4
-53,3
50,9
2008 -8,4
-64,4
57,8
2007 -6,7
-69,4

Italia verso USA Italia verso extra UE Italia verso Cina

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

A conferma dell’importanza del mercato americano per le esportazioni agroalimentari italiane, la figura 4
mostra che il saldo normalizzato per i prodotti agroalimentari che l’Italia vanta con gli USA, pari al 65% nel
2017, è poco inferiore a quello della Francia (71%). Al contrario, la Germania e soprattutto la Cina sono in
disavanzo nel commercio agroalimentare con gli USA, differentemente da quanto avviene per i loro scambi
complessivi che sono strutturalmente in surplus.

Figura 4 - Saldi normalizzati agroalimentari di Italia, Francia, Germania e Cina con gli USA (%)

80 68,5 70,8
62,0 65,2
60

40

20

-20 -6,7 -4,7

-40

-60 -51,1 -49,4


Germania Francia Italia Cina

2016 2017

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

13
Nel mercato cinese, è ancora la Francia il paese europeo che maggiormente ha saputo trovare spazio e che
vanta il maggior surplus, raggiungendo un saldo normalizzato pari al 66% nel 2017, in crescita rispetto al 2016
di quattro punti percentuali. Gli Stati Uniti mostrano invece una tendenza opposta: il saldo normalizzato del
52% registrato nel 2016 si è assottigliato nel 2017, scendendo ad un valore di 45,3% (figura 5). L’Italia, come
già visto, ha ridotto il suo deficit verso la Cina tra il 2016 e il 2017, arrivando ad una situazione di quasi
pareggio (-0,9%), analogamente a quanto accade per la Germania.

Figura 5 - Saldi normalizzati agroalimentari di Italia, Francia, Germania e USA con la Cina (%)

80
70 66,2
62,2
60 52,2
50 45,3
40
30
20
7,4
10
0,2
0
-10 -0,9
-20 -15,6
Germania Francia Italia USA

2016 2017

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Infine, concentrando l’attenzione sulle esportazioni dell’Italia con i due paesi contendenti, il ruolo degli Stati
Uniti come partner dell’Italia risulta ancora più evidente (figura 6): i flussi in uscita dei prodotti agroalimentari
italiani diretti verso gli Stati Uniti pesano per il 27% sul totale dei flussi verso i Paesi Terzi, ovvero quasi il
doppio di quanto pesino in media per l’UE (16%). Vi è quindi una significativa concentrazione verso gli USA
delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari dirette nei paesi extra-UE. In termini di tendenze
generali, il ruolo degli Stati Uniti come mercato di sbocco per l’export agroalimentare al di fuori dell’UE è
diminuito negli anni dal 2007 al 2011, per poi tornare a crescere tra il 2014 e il 2016, mentre un leggero calo
(-2%) si registra nel 2017.

Le esportazioni agroalimentari verso la Cina mostrano un trend positivo tra il 2006 e il 2017, sia per l’UE che
per l’Italia, ma decisamente più evidente per l’UE. La quota percentuale della Cina sulle esportazioni
agroalimentari dell’UE verso i Paesi extra-UE è passata dal 2% all’8%, mentre per l’Italia dall’1% al 3%, a
dimostrazione che l’aumento di export agroalimentare europeo verso il mercato cinese ha avvantaggiato
maggiormente altri Paesi membri dell’UE, come per esempio la Francia (figura 7).

14
Figura 6 - Quota percentuale degli USA sulle esportazioni agroalimentari dell’UE e dell’Italia verso i Paesi
extra-UE

32%
29% 29% 29%
28% 27%
27% 26% 26%
26% 26%

18%
15% 16% 16%
15% 15% 14% 13% 13% 13% 14%

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017

UE Italia

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Figura 7 - Quota percentuale della Cina sulle esportazioni agroalimentari dell’UE e dell’Italia verso i Paesi
extra-UE

8% 8%

7%

5%
5%
4%
4%
3% 3%
3% 3% 3%
3%
2% 2%
2% 2% 2%
2%
1%
1% 1%

2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017
UE Italia

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

15
Nel dettaglio merceologico, nell’export agroalimentare dell’UE i vini costituiscono il prodotto più rilevante
nelle destinazioni verso gli USA, la Cina e gli altri Paesi terzi. Il secondo comparto per rilevanza è quello dei
prodotti dolciari che registra flussi di esportazioni in crescita tra il 2016 e il 2017 (figura 8).

Figura 8 - Esportazioni dell’UE di prodotti agroalimentari verso i Paesi extra-UE, gli USA e la Cina (milioni di
euro)

2016 2017
11.300
10.116
Vini 3.307
1.155
3.587
921
10.280 10.788
Prodotti dolciari 1.592 1.747
296 317
2.502 2.634
Olio di oliva 989 996
164 181
5.171 5.456
Ortofrutta trasformata 970 1.038
97 122
3.493 3.476
Frutta e agrumi freschi 180 179
93 100
890 899
Pasta 256 254
24 24
3.617 3.984
872
Formaggi e latticini 888 87
61
1.386 1.500
407
Caffè 399 33
26
1.026
937 216
Carni suine trasformate 194 12
8
855
838 304
Acqua minerali 279 45
40 3.072
3.149 333
Ortaggi e legumi freschi 309 14
12 206
169 20
Riso lavorato e semilavorato 22 0
0
Extra - UE USA Cina

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Inoltre, se si considerano le esportazioni dell’UE verso i Paesi terzi, emerge che il 38% dell’olio d’oliva che
esce dal mercato comunitario è destinato agli USA (in calo del 2% rispetto al 2016); del restante prodotto, il
7% è destinato al mercato cinese (figure 10 e 11). Anche per le acque minerali la quota che arriva sul mercato
americano è molto rilevante, attestandosi al 35% del totale export verso i paesi extra-UE, mentre in Cina
trova spazio solo il 5% delle esportazioni unionali di questo prodotto.

Nello specifico, quello dei vini è il primo settore coinvolto negli scambi dei prodotti agroalimentari tra l’UE e
gli USA, raggiungendo nel 2017 un valore di 3,6 miliardi di euro, pari al 16% delle esportazioni agroalimentari
totali dell’UE verso gli Stati Uniti, che ammontano a circa 22 miliardi di euro (tabella 6). Il vino è protagonista
anche degli scambi tra UE e Cina: nel 2017 si conferma il primo prodotto UE sul mercato cinese con un valore
di 1,1 miliardi, pari all’11% delle esportazioni agroalimentari totali nel Paese asiatico (tabella 7).

Anche per l’Italia il prodotto più importante delle esportazioni agroalimentari sono i vini, che figurano al
primo posto sia verso gli Stati Uniti che verso la Cina (figura 9). Inoltre, l’agroalimentare italiano si distingue
nell’interscambio Italia-USA per altri prodotti, quali olio d’oliva, formaggi e latticini e pasta che, in valore,
assumono maggiore rilevanza dei prodotti dolciari (tabella 7). Per quanto riguarda la Cina, dopo i vini, i
prodotti maggiormente esportati sono l’olio d’oliva e i prodotti dolciari.

16
In riferimento agli USA, anche gran parte del valore delle esportazioni italiane verso il mercato americano (4
miliardi di euro, nel 2017) è da attribuire alle categorie dei vini (1,4 miliardi di euro, 35% del valore degli
introiti totali) e degli oli di oliva (poco più di 500 milioni di euro; il 12% del totale). Per questi comparti gli USA
sono una destinazione assolutamente preferenziale, tanto che la metà delle esportazioni italiane dell’olio,
del vino e delle acque minerali dirette al di fuori dell’UE, prende la via degli Stati Uniti (figura 10, tabella 7).
Dalla tabella 6 si evince che negli scambi tra UE e USA un peso di rilievo è assunto anche dalle esportazioni
di formaggi e latticini (287 milioni di euro, 7% del totale), nonché quelle di pasta (242 milioni di euro, 6% del
totale), di prodotti dolciari (231 milioni, 6% del totale) e di ortofrutta trasformata (206 milioni di euro, 5% del
totale).

Per quanto riguarda gli scambi commerciali tra Italia e Cina, appare subito evidente che la Cina non sia tra i
principali partner commerciali del nostro Paese: le esportazioni agroalimentari italiane verso questo mercato
si attestano sui 422 milioni di euro, che corrispondono a circa il 3% del valore totale delle esportazioni
agroalimentari italiane destinate al mercato extra-UE; si registra comunque una crescita del 19% sul 2016
(figura 11, tabella 9).

Figura 9 - Esportazioni italiane di prodotti agroalimentari verso i Paesi extra-UE, gli Usa e la Cina (milioni di
euro)

2016 2017
2.726 2.959
Vini 1.350 1.407
101 130
1.375 1.394
Prodotti dolciari 198 231
40 35
994 982
Olio di oliva 499 501
30 37
994 977
Ortofrutta trasformata 196 206
19 20
752 650
Frutta e agrumi freschi 65 55
26 24
740 745
Pasta 243 242
19 21
675 710
Formaggi e latticini 289
13 16 287
443 466
Caffè 85 84
16 19
310 334
Carni suine trasformate 102 108
2 2
296 310
Acqua minerali 148 160
6 6
153 175
Ortaggi e legumi freschi 21 31
0 0
76 98
Riso lavorato e semilavorato 12 11
0 0
Extra - UE USA Cina

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

17
Figura 10 - Peso percentuale degli USA sulle esportazioni di prodotti agroalimentari dell’UE e dell’Italia
verso i Paesi extra-UE, per comparto

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

18
Commercio agroalimentare dell’UE con gli USA (milioni di euro)
2016 2017
Export Import Export Import
Formaggi e latticini 888 4 872 3
Ortaggi e legumi freschi 309 307 333 367
Frutta e agrumi freschi 180 2.616 179 2.465
Olio di oliva 989 1 996 1
Ortofrutta trasformata 970 342 1.038 310
Vini 3.307 450 3.587 432
Carni suine trasformate 194 3 216 3
Pasta 256 1 254 1
Prodotti dolciari 1.592 190 1.747 176
Acqua minerali 279 5 304 5
Caffè 399 38 407 31
Riso lavorato e semilavorato 22 36 20 35
Altri prodotti 11.270 7.670 12.015 7.524
Totale 20.655 11.663 21.965 11.353
Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Commercio agroalimentare dell’Italia con gli USA (milioni di euro)


2016 2017
Export Import Export Import
Formaggi e latticini 289 0 287 0
Ortaggi e legumi freschi 21 34 31 47
Frutta e agrumi freschi 65 282 55 274
Olio di oliva 499 1 501 0,2
Ortofrutta trasformata 196 46 206 42
Vini 1.350 38 1.407 14
Carni suine trasformate 102 0 108 0
Pasta 243 0 242 0
Prodotti dolciari 198 2 231 2,3
Acqua minerali 148 0 160 0,3
Caffè 85 0 84 0,1
Riso lavorato e semilavorato 12 0 11 0,5
Altri prodotti 625 497 700 467
Totale 3.833 900 4.023 847
Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

19
Figura 11 - Peso percentuale della Cina sulle esportazioni di prodotti agroalimentari dell’UE e dell’Italia
verso i Paesi extra-UE, per comparto

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

20
Commercio agroalimentare dell’UE con la Cina (milioni di euro)
2016 2017
Export Import Export Import
Formaggi e latticini 61 0 87 0
Ortaggi e legumi freschi 12 623 14 623
Frutta e agrumi freschi 93 366 100 342
Olio di oliva 164 1 181 1
Ortofrutta trasformata 97 508 122 462
Vini 921 3 1.155 3
Carni suine trasformate 8 0 12 0
Pasta 24 18 24 17
Prodotti dolciari 296 162 317 135
Acqua minerali 40 1 45 1
Caffè 26 107 33 102
Riso lavorato e semilavorato 0 1 0 0
Altri prodotti 8.560 4.555 8.880 5.038
Totale 10.302 6.345 10.970 6.724
Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Commercio agroalimentare dell’Italia con la Cina (milioni di euro)


2016 2017
Export Import Export Import
Formaggi e latticini 13 0 16 0
Ortaggi e legumi freschi 0 109 0 101
Frutta e agrumi freschi 26 23 24 18
Olio di oliva 30 0 37 0,0
Ortofrutta trasformata 19 72 20 32
Vini 101 0 130 0
Carni suine trasformate 2 0 2 0
Pasta 19 1 21 1
Prodotti dolciari 40 2 35 2,2
Acqua minerali 6 0 6 0,0
Caffè 16 0 19 0,7
Riso lavorato e semilavorato 0 0 0 0,0
Altri prodotti 84 280 110 274
Totale 356 488 422 430
Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

Spostando l’analisi alla dinamica delle esportazioni nel decennio, dal punto di vista dell’andamento delle
esportazioni sia UE che italiane verso il mercato statunitense nel periodo tra il 2007 e 2017, il vino
sicuramente mostra una buona performance in termini di tassi medi di crescita. Tuttavia per l’Italia i settori
i più dinamici sono il caffè (tvma 11,8%) e le carni suine trasformate (tvma 11,4%), mentre per l’UE il settore
per cui il tasso medio di crescita è più elevato è quello del riso (tvma 11,2%), anche se tra il 2016 e il 2017 le
esportazioni di questo prodotto verso gli USA sono calate dell’8%. Nell’ultimo anno risulta molto interessante
la crescita dell’export di ortaggi e legumi per l’Italia, e delle carni trasformate per l’UE (figura 12).

21
Per quanto riguarda le esportazioni agroalimentari destinate alla Cina, la tendenza risulta molto dinamica per
tutti i settori produttivi, sia per l’UE che per l’Italia. In particolare, i settori che tra il 2007 e il 2017 hanno
mantenuto dei tassi medi di crescita molto elevati sono quello delle carni suine trasformate (tvma pari al
48,2% per l’UE e al 52,6% per l’Italia) e quello dei formaggi e latticini (tvma pari al 29% per l’UE e al 36% per
l’Italia). Nel periodo considerato anche le esportazioni dei vini crescono mediamente molto, sia per l’UE che
per l’Italia (figura 13).

Figura 12 - Tasso di variazione medio annuo (tvma 2007-2016) e Var.% 2017/16 delle esportazioni di
prodotti agroalimentari dell’UE e dell’Italia verso gli USA

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

22
Figura 13 - Tasso di variazione medio annuo (tvma 2007-2016) e Var.% 2017/16 delle esportazioni di
prodotti agroalimentari dell’UE e dell’Italia verso la Cina

Fonte: elaborazioni Ismea-RRN su dati IHS-GTA

23
Riassumendo quanto descritto finora in riferimento all’Italia, l’agroalimentare italiano è fortemente
orientato al mercato statunitense: infatti, nel 2017 ben il 27% delle esportazioni agroalimentari italiane verso
Paesi terzi era destinato agli USA e anche considerando gli scambi totali dell’Italia, gli USA si posizionano al
terzo posto come mercato di destinazione dei prodotti agroalimentari italiani, con una quota del 10% sul
valore delle esportazioni totali del settore e un buon tasso di variazione medio annuo nel decennio preso in
considerazione (tvma pari al 6,7%). Anche il valore decisamente positivo del saldo commerciale normalizzato
dell’Italia rispetto agli USA (65% nel 2017) conferma il notevole apprezzamento dei prodotti Made in Italy da
parte del mercato americano e il ruolo centrale degli USA come partner dell’Italia.

La Cina, invece, occupa ancora una posizione di scarso rilievo tra i partner commerciali dell’Italia per gli
scambi del settore agroalimentare (con una quota del 1%), anche se il valore delle esportazioni
agroalimentari italiane verso la Cina è cresciuto ad un tasso medio pari a oltre il 20% nel periodo preso in
esame (tabella 10).

I primi 20 paesi di destinazione delle esportazioni agroalimentari dell'Italia (mln euro)


2008 2016 2017 Quota 2017 tvma % 2008-17

Germania 5.146 6.749 6.939 16,9% 3,4


Francia 3.036 4.222 4.572 11,1% 4,7
Stati Uniti 2.239 3.836 4.026 9,8% 6,7
Regno Unito 2.412 3.252 3.349 8,2% 3,7
Spagna 1.111 1.455 1.647 4,0% 4,5
Svizzera 1.123 1.475 1.524 3,7% 3,4
Paesi Bassi 858 1.401 1.477 3,6% 6,2
Giappone 514 934 1.340 3,3% 11,2
Austria 919 1.251 1.318 3,2% 4,1
Belgio 783 1.179 1.265 3,1% 5,5
Polonia 399 751 845 2,1% 8,7
Canada 477 766 810 2,0% 6,1
Svezia 396 646 676 1,6% 6,1
Grecia 698 631 648 1,6% -0,8
Danimarca 408 563 581 1,4% 4,0
Australia 272 494 530 1,3% 7,7
Russia 441 410 516 1,3% 1,8
Romania 288 430 466 1,1% 5,5
Repubblica ceca 282 436 464 1,1% 5,7
Cina 70 361 423 1,0% 22,0
Altri Paesi 4.221 7.192 7.880 19,1% 7,2
Fonte: elaborazione Ismea-RRN su dati Istat

La significativa concentrazione verso gli USA delle esportazioni italiane di prodotti agroalimentari dirette nei
paesi extra-UE, se da una parte rappresenta un successo delle produzioni agroalimentari ad elevato valore
aggiunto italiane in un mercato importante come quello statunitense, dall’altra comporta dei rischi,
soprattutto in un momento storico come quello attuale in cui si sta assistendo al ritorno di politiche
protezionistiche che tendono a ridimensionare i vantaggi acquisiti sul mercato internazionale.

24
Nello specifico, i principali prodotti coinvolti nelle esportazioni dell’Italia verso gli USA come si è visto sono
vino, olio d’oliva, formaggi e latticini e pasta (tabella 11). Per questi comparti gli USA sono una destinazione
assolutamente preferenziale, tanto che la metà delle esportazioni italiane di olio e di vino dirette al di fuori
dell’UE, prende la via degli Stati Uniti.

Per quanto riguarda le importazioni dell’Italia dagli USA, i prodotti principali risultano essere quelli delle
categorie di “frutta e frutta a guscio commestibili; scorze di agrumi o di meloni” (soprattutto noci, mandorle
e pistacchi) “cereali” (soprattutto frumento e mais) e di “semi e frutti oleosi; semi, sementi e frutti diversi;
piante industriali o medicinali; paglie e foraggi” (riguarda sostanzialmente la soia). Come già sottolineato, la
Cina ha imposto dazi all’import per soia e cereali agli Stati Uniti, che dovranno quindi trovare mercati di
sbocco alternativi per la loro produzione.

Completamente diversa appare la situazione sulla sponda asiatica, in cui le produzioni agroalimentari italiane
realizzano ancora scarsi risultati. Se vino, olio e i prodotti dell’industria dolciaria sono anche in questo caso i
prodotti italiani maggiormente esportati, dall’altra parte i prodotti che l’Italia importa maggiormente dalla
Cina appartengono alle categorie di “pesci e crostacei, molluschi e altri invertebrati acquatici” e di “ortaggi o
legumi, piante, radici e tuberi commestibili” (tabella 12).

In definitiva, per l’Italia i comparti agroalimentari più coinvolti nelle esportazioni verso USA e Cina sono quelli
dei vini, degli oli d’oliva e dei formaggi e latticini. Come già più volte sottolineato, l’importanza del mercato
a stelle e strisce per le esportazioni agroalimentari italiane non è paragonabile a quella del mercato cinese.
Tuttavia appare interessante mettere in evidenza quali regioni italiane risultano maggiormente coinvolte
negli scambi commerciali con la Cina per i principali prodotti rilevati.

Per quanto riguarda il comparto del vino, le esportazioni delle prime 5 regioni italiane rappresentano l’87%
del valore dell’export totale del comparto verso gli USA, mentre per la Cina le prime 5 regioni esprimono un
valore più contenuto pari al 76% del valore delle esportazioni di vino italiano. Sia per quanto riguarda gli USA
che la Cina, le regioni italiane che esportano maggiormente vino sono il Veneto e la Toscana (tabella 13).

Con riferimento all’olio d’oliva, dalla Toscana parte circa il 63% del prodotto italiano destinato al mercato
statunitense (per un valore di 314 milioni di euro), mentre per la Cina quasi il 50% dell’olio d’oliva italiano
(pari a circa 18 milioni di euro) è di origine laziale (tabella 14).

Appare interessante l’analisi del valore delle esportazioni regionali della categoria di prodotti “latticini e
formaggi”: la maggior parte delle esportazioni italiane destinate agli USA provengono dalla Sardegna (31,5%),
dall’Emilia Romagna (30,3%) e dalla Lombardia (15,1%), ed evidentemente riguardano delle particolari
produzioni regionali quali i formaggi tipo pecorino e grana. Per quanto riguarda la Cina, la principale regione
fornitrice di formaggi è la Lombardia che da sola fornisce il 53% del prodotto italiano, pari ad un valore di 9
milioni di euro (tabella 15).

Infine, per quanto riguarda le “paste secche alimentari”, altro prodotto di punta dell’agroalimentare italiano,
la Campania detiene il primato delle esportazioni in valore sia per quanto riguarda il mercato statunitense
che quello cinese (tabella 16).

25
Commercio agroalimentare dell’Italia con gli USA (milioni di euro)
2016 2017
Categoria di prodotti (codice HS2) Export Import Export Import
01 Animali vivi 0 2 0 2
02 Carni e frattaglie commestibili 93 24 96 25
03 Pesci e crostacei, molluschi e altri invertebrati 2 84 2 78
acquatici
04 Latte e derivati del latte; uova di volatili; miele 294 1 290 2
naturale; prodotti commestibili di origine
animale, non nominati né compresi altrove
05 Altri prodotti di origine animale, non nominati né 2 10 3 11
compresi altrove
06 Alberi vivi e altre piante; bulbi, radici e simili; fiori 7 0 9 0
recisi e fogliame ornamentale
07 Ortaggi o legumi, piante, radici e tuberi 21 34 31 47
commestibili
08 Frutta e frutta a guscio commestibili; scorze di 65 282 56 274
agrumi o di meloni
09 Caffè, tè, mate e spezie 87 0 87 0
10 Cereali 13 148 12 135
11 Prodotti della macinazione; malto; amidi e fecole; 25 3 31 1
inulina; glutine di frumento
12 Semi e frutti oleosi; semi, sementi e frutti diversi; 6 165 7 102
piante industriali o medicinali; paglie e foraggi
13 Gomma lacca, gomme, resine e altri succhi ed 29 4 25 5
estratti vegetali
14 Materie vegetali da intreccio e altri prodotti di 1 0 1 0
origine vegetale, non nominati né compresi
altrove
15 Grassi e oli animali o vegetali; prodotti della loro 530 2 533 2
scissione; grassi alimentari lavorati; cere di
origine animale o vegetale
16 Preparazioni di carni, di pesci o di crostacei, di 18 0 22 0
molluschi o di altri invertebrati acquatici
17 Zuccheri e prodotti a base di zuccheri 15 1 20 1
18 Cacao e sue preparazioni 42 0 47 1
19 Preparazioni a base di cereali, di farine, di amidi, 429 2 454 1
di fecole o di latte; prodotti della pasticceria
20 Preparazioni di ortaggi o di legumi, di frutta, di 196 46 206 42
frutta a guscio o di altre parti di piante
21 Preparazioni alimentari diverse 149 9 189 8
22 Bevande, liquidi alcolici ed aceti 1.804 64 1.890 99
23 Residui e cascami delle industrie alimentari; 6 13 9 7
alimenti preparati per gli animali
24 Tabacchi e succedanei del tabacco lavorati 4 5 5 3
Totale agroalimentare 3.839 900 4.024 847

Fonte: elaborazione Ismea-RRN su dati COMTRADE (ITC Trade Map)

26
Commercio agroalimentare dell’Italia con la Cina (milioni di euro)
2016 2017
Categoria di prodotti (codice HS2) Export Import Export Import
01 Animali vivi 0 2 0 1
02 Carni e frattaglie commestibili 3 0 3 0
03 Pesci e crostacei, molluschi e altri invertebrati acquatici 0 115 0 108
04 Latte e derivati del latte; uova di volatili; miele naturale; prodotti 29 6 34 5
commestibili di origine animale, non nominati né compresi altrove
05 Altri prodotti di origine animale, non nominati né compresi altrove 1 38 1 33
06 Alberi vivi e altre piante; bulbi, radici e simili; fiori recisi e fogliame 3 2 5 3
ornamentale
07 Ortaggi o legumi, piante, radici e tuberi commestibili 0 109 0 101
08 Frutta e frutta a guscio commestibili; scorze di agrumi o di meloni 26 23 24 18
09 Caffè, tè, mate e spezie 22 8 22 11
10 Cereali 0 0 0 0
11 Prodotti della macinazione; malto; amidi e fecole; inulina; glutine di 5 1 2 1
frumento
12 Semi e frutti oleosi; semi, sementi e frutti diversi; piante industriali 5 43 6 27
o medicinali; paglie e foraggi
13 Gomma lacca, gomme, resine e altri succhi ed estratti vegetali 7 25 4 18
14 Materie vegetali da intreccio e altri prodotti di origine vegetale, non 0 7 0 7
nominati né compresi altrove
15 Grassi e oli animali o vegetali; prodotti della loro scissione; grassi 35 3 41 3
alimentari lavorati; cere di origine animale o vegetale
16 Preparazioni di carni, di pesci o di crostacei, di molluschi o di altri 0 5 1 10
invertebrati acquatici
17 Zuccheri e prodotti a base di zuccheri 3 1 3 1
18 Cacao e sue preparazioni 15 0 15 0
19 Preparazioni a base di cereali, di farine, di amidi, di fecole o di latte; 42 7 41 7
prodotti della pasticceria
20 Preparazioni di ortaggi o di legumi, di frutta, di frutta a guscio o di 19 72 20 32
altre parti di piante
21 Preparazioni alimentari diverse 16 13 23 15
22 Bevande, liquidi alcolici ed aceti 123 5 156 5
23 Residui e cascami delle industrie alimentari; alimenti preparati per 7 15 8 13
gli animali
24 Tabacchi e succedanei del tabacco lavorati 0 0 0 1
Totale agroalimentare 362 500 412 421

Fonte: elaborazione Ismea-RRN su dati COMTRADE (ITC Trade Map)

VINO: Valore dell’export regionale verso USA e verso Cina (milioni di euro)
Export vs USA 2017 Quota % 2017 Export vs Cina 2017 Quota % 2017
Veneto 417 29,8% Veneto 27 20,9%
Toscana 330 23,6% Toscana 26 20,3%
Trentino-Alto Adige 216 15,4% Piemonte 20 15,6%
Piemonte 214 15,3% Lombardia 13 10,0%
Emilia-Romagna 37 2,7% Emilia-Romagna 12 9,5%
Altre regioni 187 13,3% Altre regioni 31 23,8%

27
Italia 1.402 100,0% Italia 130 100,0%
Fonte: elaborazione Ismea-RRN su dati Istat

OLIO D’OLIVA: Valore dell’export regionale verso USA e verso Cina


Export vs USA 2017 Quota % 2017 Export vs Cina 2017 Quota % 2017
Toscana 314 62,6% Lazio 18 49,7%
Lazio 53 10,5% Toscana 7 19,9%
Liguria 37 7,3% Umbria 4 11,8%
Campania 25 4,9% Puglia 2 5,4%
Puglia 18 3,7% Campania 2 4,2%
Altre regioni 55 11,0% Altre regioni 3 9,0%
Italia 501 100,0% Italia 37 100,0%
Fonte: elaborazione Ismea-RRN su dati Istat

LATTICINI E FORMAGGI: Valore dell’export regionale verso USA e verso Cina


Export vs USA 2017 Quota % 2017 Export vs Cina 2017 Quota % 2017
Sardegna 90 31,5% Lombardia 9 53,0%
Emilia-Romagna 87 30,3% Veneto 3 17,8%
Lombardia 43 15,1% Emilia-Romagna 3 16,7%
Veneto 32 11,0% Campania 1 7,5%
Campania 9 3,2% Lazio 0 1,6%
Altre regioni 25 8,8% Altre regioni 1 3,5%
Italia 287 100,0% Italia 16 100,0%
Fonte: elaborazione Ismea-RRN su dati Istat

PASTE ALIMENTARI SECCHE: Valore dell’export regionale verso USA e verso Cina
Export vs USA 2017 Quota % 2017 Export vs Cina 2017 Quota % 2017
Campania 74 37,6% Campania 9 45,8%
Abruzzo 38 19,2% Puglia 5 25,9%
Puglia 23 11,6% Emilia-Romagna 2 7,4%
Lombardia 19 9,6% Abruzzo 1 5,0%
Toscana 12 5,9% Veneto 1 4,4%
Altre regioni 32 16,1% Altre regioni 2 11,4%
Italia 197 100,0% Italia 21 100,0%

Fonte: elaborazione Ismea-RRN su dati Istat

Sicuramente la forte dipendenza di alcuni comparti dell’agroalimentare verso il mercato statunitense rischia
di mettere in difficoltà le realtà produttive nazionali più fragili (un esempio recente è rappresentato dalla
crisi del pecorino romano a seguito del calo dell’export verso gli USA verificatasi a fine 2018), per cui sarebbe
sicuramene utile, anche a prescindere dall’andamento delle tensioni commerciali attuali e possibili in futuro,
prevedere delle strategie di diversificazione di aree geografiche di destinazione.

28
3. Le principali decisioni di politica tariffaria degli Usa e della Cina
“From this day forward, a new vision will govern... it's going to be only America first, America first". La nuova
visione enunciata dal Presidente Donald Trump nel suo discorso di insediamento il 20 gennaio del 2017 ha
ormai preso forma. Il suo rifiuto del globalismo e l’allontanamento dal sistema multilaterale, la sicurezza
nazionale e il rafforzamento dell’economia statunitense come focus prioritari, l’enforcement “aggressivo”
delle leggi commerciali degli USA e le decisioni tariffarie di stampo protezionistico, hanno segnato un
cambiamento fondamentale nella politica commerciale statunitense.

La decisione dell’amministrazione Trump di assumere come obiettivo prioritario la riduzione del deficit
commerciale si è di fatto tradotta in quella che è stata da più parti definita una guerra commerciale contro il
mondo, con battaglie aperte su diversi fronti. Tra questi, il più caldo è certamente quello con la Cina, il paese
che vanta il maggior surplus commerciale nei confronti degli USA (oltre 335 miliardi di dollari) e rappresenta
il maggior partner nel commercio di beni, il terzo più grande mercato di esportazione e la principale fonte di
importazioni nel 2017 (USTR, 2018). Le ragioni della guerra commerciale dichiarata da Trump vanno tuttavia
ben oltre l’esigenza del riequilibrio commerciale. L’impegno dell’amministrazione USA è infatti rivolto anche
a ostacolare il conseguimento degli obiettivi del programma “Made in China 2025”, il piano di sviluppo
decennale del settore manifatturiero cinese varato nel 2015 che mira a rendere la Cina il paese più avanzato
al mondo nelle nuove tecnologie 5.

In questo paragrafo si ripercorrono le tappe principali della guerra tariffaria in atto fra i due Paesi. Nella
tabella 17 si riassumono le misure di politica commerciale finora adottate dall’amministrazione Trump e si
riporta il quadro legislativo che conferisce all’esecutivo la possibilità di agire sulle questioni legate al
commercio internazionale.

L’inizio delle tensioni commerciali tra Washington e Pechino risale ai primi di febbraio del 2018 con
l’introduzione da parte dell’amministrazione USA delle “global safeguard tariffs” 6, ovvero dazi addizionali del
30% sui pannelli solari e del 20% sulle lavatrici provenienti da pressoché tutti i partner commerciali. Poche
settimane dopo fece seguito la decisione, giustificata da pretese preoccupazioni di sicurezza nazionale 7, di
imporre dazi del 10% sulle importazioni di alluminio e del 25% sulle importazioni di acciaio, misure che
colpiscono circa 48 miliardi di importazioni. L’obiettivo dichiarato di queste misure era la Cina, in quanto
maggiore produttore mondiale di questi prodotti, ma solo il 6% delle importazioni colpite provengono da
questo paese (2,8 miliardi circa): ciò deriva dall’esistenza di precedenti restrizioni commerciali sotto forma
di dazi di salvaguardia, antidumping e compensativi che già colpivano circa il 94% delle importazioni
statunitensi di acciaio e circa il 96% delle importazioni di alluminio provenienti dalla Cina 8.

5 Il piano, include l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza in un’ampia varietà di industrie considerate strategiche, perlopiù nei

settori high-tech, il che pone questioni relative a una possibile discriminazione a danno delle imprese estere.

6 Adottate sulla base della Section 201 del Trade Act del 1974.

7 In questo caso sulla base della Section 232 del Trade Expansion Act del 1962 che, ricordiamo, consente al Presidente di modificare

la politica commerciale senza la necessità di ottenere l’autorizzazione del Congresso.

8 Chad P. Bown, "Trump’s Steel and Aluminium Tariffs Are Counterproductive. Here Are 5 More Things You Need to Know", PIIE, March

7, 2018.

29
La Cina ha risposto a queste misure imponendo, agli inizi di aprile 2018, tariffe tra il 15 e il 25% su 128 prodotti
statunitensi (inclusi frutta, vino, condutture di acciaio, carne suina, alluminio riciclato), per un valore di circa
2,4 miliardi di dollari di merci importate. La rappresaglia della Cina ha quindi riguardato un ammontare di
importazioni sostanzialmente in linea con la perdita commerciale subita, in coerenza a una strategia di tit for
tat (“colpo su colpo”) 9.

Le misure unilaterali specifiche contro la Cina da parte degli USA hanno inizio il 6 luglio 2018 con l’entrata in
vigore della prima tranche di aumenti tariffari imposta da Washington su 818 prodotti cinesi, per un valore
di 34 miliardi di dollari di importazioni. La lista dei prodotti colpiti (US_List 1) è il risultato dell’indagine
condotta dall’USTR (Office of United States Trade Representative) 10 su mandato del presidente Trump che
nell’agosto del 2017 aveva chiesto di valutare le politiche e le pratiche del governo cinese relativamente al
trasferimento tecnologico, alla proprietà intellettuale e all’innovazione. Nel mirino dell’azione investigativa
vi erano soprattutto i prodotti strategici inclusi nella già menzionata iniziativa del “Made in China 2025”, in
cui la Cina sta cercando di crescere, in termini sia di quota del mercato globale sia di livello tecnologico: tra
questi tecnologia dell’informazione, macchine per controllo numerico e robotica, apparecchiature
aerospaziali, ingegneristiche marittime e ferroviarie, veicoli a risparmio energetico, efficienza energetica,
materiali innovativi, biopharma e dispositivi medicali, macchinari agricoli.

Secondo il rapporto dell’USTR, previsto dalla Section 301 del Trade Act del 1974 11, vi sarebbero politiche
cinesi “irragionevoli o discriminatorie” che causerebbero un danno all’economia statunitense pari ad almeno
50 miliardi di dollari l’anno 12. Sulla base di questa stima è stata stilata una lista nera di prodotti (1.102 linee
tariffarie) importati dalla Cina, per un ammontare pari al danno subito, su cui applicare dazi pari al 25%.

La seconda tranche tariffaria (US_List 2), che ha riguardato i restanti 16 miliardi di dollari, è entrata in vigore
il 23 agosto 2018. Secondo le stime del Peterson Institute for International Economics, il 95% dei prodotti
colpiti dalle prime due tranche tariffarie è costituito da input intermedi e beni capitali. Vi è quindi il timore
che queste misure possano danneggiare la competitività delle imprese statunitensi dipendenti per la loro
produzione dagli input cinesi in quanto coinvolte in catene globali del valore che comprendono la Cina.

9 L’approccio tit-for-tat, o ritorsione equivalente, è una strategia ben nota nella teoria dei giochi per la quale, a partire da una
situazione di cooperazione tra due giocatori, si risponde “colpo su colpo” alle mosse della controparte (Axelrod, 1984). Nella politica
commerciale essa si traduce in una risposta protezionistica esattamente commisurata al danno subito dal protezionismo altrui. Vale
la pena evidenziare che, oltre ad essere uno strumento che dovrebbe indurre un analogo comportamento della controparte, evitando
l’innesco di spirali protezionistiche incontrollate, la possibilità di misure di ritorsione proporzionali è formalmente riconosciuta
all’interno del sistema di risoluzione delle controversie dell’Organizzazione mondiale del Commercio.

10L’USTR è la principale agenzia esecutiva responsabile della formulazione della politica commerciale ed è parte dell’Ufficio Esecutivo
del Presidente.

11 La Section 301 del Trade Act del 1974 fornisce la giustificazione legale per le misure discrezionali intraprese dal governo degli Stati
Uniti in risposta a pratiche “irragionevoli o discriminatorie” che danneggiano il commercio statunitense. Per “discriminatorio” si
intende qualunque azione, politica o atto che nega il trattamento MFN (Most Favourite Nation) a beni, servizi o investimenti
statunitensi, mentre l’attributo “irragionevole” comprende tutte quelle azioni, pratiche o politiche che, sebbene non necessariamente
in violazione dei diritti legali internazionali, siano in altri modi ingiusti o iniqui.

12Findings of the Investigation into China's Acts, Policies, and Practices Related to Technology Transfer, Intellectual Property, and
Innovation under Section 301 of the Trade Act of 1974, USTR, March 22, 2018.

30
Come si è detto, la Cina ha risposto “colpo su colpo” alle misure introdotte da Washington imponendo dazi
di eguale ammontare su volumi di importazioni analoghi. È stata quindi colpita con un dazio del 25% una
prima lista comprendente 545 linee tariffarie per 34 miliardi di dollari (Cina_List 1), e in seguito una seconda
lista (Cina_List 2) comprendente 333 linee tariffarie corrispondenti a 16 miliardi di dollari di importazioni
dagli USA. Tra i principali settori colpiti vi sono i settori manifatturieri dei trasporti (veicoli e imbarcazioni) e
numerosi prodotti agricoli e alimentari.

Alla strategia cinese del tit-for-tat, l’amministrazione USA ha contro-risposto con una terza tranche di
inasprimenti tariffari (US_List 3) concentrata su alcuni beni intermedi e beni di largo consumo. Questa terza
fase ha introdotto dazi del 10% 13 su 6.031 linee tariffarie per un valore di 200 miliardi di dollari a partire dal
24 settembre 2018. Nello stesso giorno, scatta la rappresaglia cinese, con tariffe tra il 5 e il 10%, per un valore
di 60 miliardi di dollari di importazioni dagli USA (China_List 3). L’ultimo atto di questa vicenda si è avuto il
10 maggio 2019, quando gli USA hanno reso operativi gli inasprimenti tariffari inizialmente previsti dal
gennaio 2019, ma poi sospesi nel quadro dei negoziati che nel frattempo si erano aperti. Qualche giorno
dopo, puntuale, è arrivata la risposta cinese, con l’imposizione di dazi equivalenti su circa 50 miliardi di dollari
di importazioni cinesi provenienti dagli Stati Uniti.

Il fatto che le importazioni cinesi colpite dall’ultima tranche di aumenti tariffari interessino sia beni intermedi
importanti per le industrie statunitensi – quali microprocessori, macchinari, componentistica – sia moltissimi
prodotti di largo consumo, comporta che i dazi in questione avranno effetti significativi sia sui costi delle
imprese statunitensi, sia sulla spesa delle famiglie USA. Sul fronte delle esportazioni, invece, ci sarà il
malcontento generato dagli effetti della reazione cinese che sta colpendo in modo significativo il settore
agroalimentare, con particolare riferimento ai cereali e alla soia, che sono tra i principali prodotti agricoli
statunitensi esportati in Cina, confermando la tendenza parte cinese a colpire prodotti sensibili.

Che sia o meno la “più grande guerra commerciale nella storia economica”, come affermato dal Ministro del
Commercio cinese, è evidente che gli effetti delle politiche tariffarie delle due maggiori economie mondiali
hanno ripercussioni a livello globale che vanno ben oltre gli impatti sui due paesi direttamente coinvolti.
Questo è ancor più vero in un mondo in cui le interconnessioni produttive sono sempre più marcate e in cui,
nella distribuzione del valore aggiunto associato al commercio internazionale, accanto ai flussi di beni finali
sono sempre più importanti quelli di beni intermedi e di servizi a essi collegati, dai quali derivano i legami
d’integrazione a monte e a valle e il posizionamento competitivo di ciascuna impresa e di ciascun paese.

13 La tabella di marcia prevedeva che tale aumento tariffario avrebbe dovuto raggiungere il 25% a partire dal 1° gennaio 2019. Dopo
un primo rinvio di 90 giorni seguito a un accordo raggiunto tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, nel dicembre del 2018
l’incremento era stato sospeso, ma è stato poi recentemente reintrodotto a partire dal 10 maggio 2019.

31
Quadro legislativo legato alle azioni commerciali dell’amministrazione Trump
Riferimento Restrizioni all’import Prodotti e paesi Stato di
Azione Poteri presidenziali
legislativo statunitense colpiti attuazione
Section 201 Global Permette al Presidente di Pannelli solari: tariffe al Il Canada è Entrato in vigore
del Trade Safeguard imporre dazi o altre misure 30% per 4 anni escluso dalle dal 7 febbraio
Act del Investigations commerciali temporanee (decrescenti tariffe sulle 2018
1974 nel caso in cui la ITC annualmente del 5%). lavatrici.
(International Trade Lavatrici: tariffe al 20% Esclusi alcuni
Commission) determini che per 3 anni (decrescenti paesi in via di
un eccesso di importazioni annualmente del 2%). sviluppo.
sia una sostanziale causa o Tutti gli altri paesi
minaccia di un grave danno sono inclusi nella
all’industria statunitense. misura.
Section 232 Steel and Permette al Presidente di Alluminio: tariffe al 10%. Australia e Entrato in vigore
del Trade Aluminum intraprendere azioni per Acciaio: tariffe al 25% Argentina* esenti dal 23 marzo
Expansion Investigations regolare le importazioni di (50% sulle importazioni per l’alluminio. 2018
Act del prodotti che il DoC dalla Turchia). Australia,
1962 (Department of Commerce) Argentina*,
determini che quei prodotti Brasile* e Corea
sono importati in quantità del Sud* esenti
o in condizioni tali da per l’acciaio. Tutti
minacciare la sicurezza gli altri paesi sono
nazionale degli Stati Uniti. inclusi nella
misura.

(*) Restrizioni
quantitative alle
importazioni sono
imposte in luogo
delle tariffe.
Section 301 China Trade Permette all’USTR (United Stage 1: dazi al 25% su Cina Entrato in vigore
del Trade Barriers States Trade 818 prodotti (circa $34 dal 6 luglio 2018.
Act del Investigation Representative) di miliardi) Entrato in vigore
1974 sospendere accordi Stage 2: dazi al 25% su dal 23 agosto
commerciali o di imporre 279 prodotti (circa $16 2018.
restrizioni alle importazioni miliardi).
Entrato in vigore
qualora valuti che un Stage 3: dazi al 10% dal 24 settembre
partner commerciale stia (25% dal 1° gennaio 2018, con
2019) su 5745 prodotti sospensione
violando un accordo
(circa $200 miliardi). dell’aumento
commerciale o stia
previsto al
applicando pratiche 1/1/2019, poi
“irragionevoli o applicato dal
discriminatorie” che 10/5/2019.
danneggiano o limitano il
commercio statunitense.
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria
4. Il modello GTAP e GTAP-VA
L’obiettivo di quest’analisi è fornire una valutazione quantitativa delle ripercussioni sul commercio
internazionale delle misure tariffarie introdotte dall’amministrazione Trump verso la Cina e le misure di
ritorsione attuate da quest’ultima.

L’analisi di impatto è stata condotta con un modello di Equilibrio Generale Calcolabile (EGC) globale, che
permette di valutare l’incidenza delle politiche commerciali a livello inter-settoriale e inter-nazionale. Alla
base di tale scelta, coerente con altre valutazioni quantitative condotte in letteratura, ci sono due
considerazioni principali.

Anzitutto, la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina si è svolta con aumenti dei dazi su un lungo elenco di
linee tariffarie, il che renderebbe poco credibile un’analisi effettuata con un modello di equilibrio parziale,
limitata ad alcuni settori. In secondo luogo, gli Stati Uniti e la Cina rappresentano le più grandi economie
mondiali e le loro scelte di politica commerciale hanno effetti sistemici, per la cui analisi d’impatto si richiede
un modello con caratteristiche globali dal punto di vista della copertura geografica e di capacità di catturare
gli effetti intersettoriali di equilibrio economico generale. Infatti, anche quando il cambiamento delle
politiche riguarda uno specifico paese esportatore l’analisi degli effetti non può limitarsi ai flussi bilaterali,
giacché il sistema commerciale internazionale è una rete altamente integrata e qualsiasi variazione ha
conseguenze indirette che possono amplificare o attenuare gli effetti diretti sui due paesi direttamente
coinvolti. Trascurare tali effetti fornirebbe un quadro parziale e distorto delle conseguenze di una
determinata politica.

I modelli EGC consentono di prendere esplicitamente in considerazione i legami tra tutti i settori che
compongono il sistema economico, garantendo il rispetto di vincoli in termini di risorse complessivamente
disponibili. Questi modelli, a partire da specificazioni analitiche coerenti con la teoria economica e sotto le
ipotesi di piena occupazione delle risorse e di equilibrio economico generale, permettono di simulare gli
effetti di scenari di cambiamento di politica commerciale, da parte di uno o più paesi, con il dettaglio
settoriale consentito dalla banca dati utilizzata.

I risultati delle simulazioni svolte con questo tipo di modelli rappresentano una valutazione minima degli
effetti derivanti dal cambiamento delle politiche per una serie di ragioni. In primo luogo si tratta di modelli
“di equilibrio” in cui la domanda risulta per definizione uguale all’offerta in tutti i mercati. Ciò significa che la
produzione trova sempre e comunque uno sbocco e non si può registrare alcun surplus, ad esempio in termini
di disoccupazione. Si tratta, evidentemente, di un equilibrio frutto di aggiustamenti che hanno luogo nel
lungo periodo, dei quali non si conosce il tempo necessario e l’andamento, per cui non si esclude la possibilità
di costi di aggiustamento anche sostanziali a breve termine sui quali il modello, però, non è in grado di fornire
indicazioni.

In secondo luogo, si tratta di modelli “reali” che non tengono conto dei flussi finanziari. È questa una
semplificazione di non poco conto, se si pensa che la Cina detiene una quota significativa del debito estero
statunitense che potrebbe generare ricadute sul mercato dei capitali in conseguenza delle modifiche nelle
politiche commerciali USA.

Inoltre, il funzionamento dei modelli di equilibrio economico generale riflette ciò che è sostenuto dalla teoria
economica per quanto riguarda l’origine sostanzialmente interna dei surplus o deficit commerciali: le
variazioni dei dazi portano a sostituire prodotti o fornitori ma fintanto che gli investimenti eccedono i
risparmi, ovvero se un paese consuma più di quanto sarebbe compatibile con il reddito prodotto, è inevitabile
che l’eccesso di domanda venga soddisfatto dalla produzione estera.

Il modello qui utilizzato per le simulazioni è quello del Global Trade Analysis Project (GTAP), un riferimento
standard nella letteratura che non ingloba alcune delle caratteristiche più importanti messe in evidenza dalla
teoria economica più recente come la presenza di forme di concorrenza imperfetta, la presenza di economie
di scala o la necessità di tenere conto delle differenze nella produttività aziendale. Nonostante queste
limitazioni, tale modello è ampiamente utilizzato da agenzie governative (compresi Stati Uniti e Unione
europea) e istituzioni internazionali (ad esempio: Food and Agriculture Organization of the United Nations,
International Monetary Fund, Organisation for Economic Co-operation and Development, The World Bank,
World Trade Organization) per la valutazione degli effetti elle politiche commerciali.

In questo lavoro si usa una variante del modello GTAP che incorpora la scomposizione dei flussi commerciali
in termini di valore aggiunto (GTAP-VA). Questo ci permette di fornire una valutazione delle politiche in
termini di impatto non solo sui flussi commerciali lordi (il cui valore include anche il valore degli input
intermedi prodotti all’estero ed impiegati dall’economia che esporta), ma anche sul valore creato dai fattori
produttivi impiegati nei diversi paesi lungo la catena produttiva internazionale per creare un bene finale
commerciato. In altre parole, le politiche commerciali sono valutate anche nei loro risvolti sui network globali
di produzione.

Con riferimento ai dati, la recente disponibilità di matrici di input-output globali permette di avere dati
armonizzati sugli scambi di beni intermedi e finali all’interno di un paese e tra paesi. Tale livello di
informazioni per l’economia mondiale nel suo complesso richiede un enorme sforzo di raccolta ed
elaborazione dei dati ed è possibile solo a un livello relativamente aggregato in termini di dettaglio settoriale.
Questo studio utilizza la versione più recente della banca dati GTAP (versione 9) che copre 57 settori per 140
paesi e regioni e offre una rappresentazione coerente dell’economia globale per l’anno di riferimento (2011),
con dati armonizzati su commercio, tavole di input-output nazionali, dati macroeconomici e sulla protezione
commerciale. Tra le banche dati che consentono di analizzare il commercio in valore aggiunto, GTAP consente
la maggiore disaggregazione per l’agroalimentare con 12 settori per i prodotti agricoli (compresi prodotti
della silvicoltura e della pesca) e 8 settori per l’industria alimentare: non è molto, ma è comunque il massimo
disponibile per questo tipo di modelli.

Considerato che la massima disaggregazione dei dati non è facilmente gestibile in termini computazionali, si
sono scelti o aggregati nell’ambito della banca dati 23 regioni o paesi sulla base della loro rilevanza nelle
simulazioni e dell’interesse comparato rispetto alla performance dell’Italia. Allo stesso modo, per quanto
riguarda la scelta dei settori, si è privilegiato il massimo dettaglio possibile per il settore agricolo anche se
nella presentazione dei risultati si fa anche riferimento a valori aggregati per i “prodotti agricoli” (compresi
prodotti della silvicoltura e della pesca) e 8 settori per l’industria alimentare. Nella tabella 18 è riportato il
dettaglio dei settori usato in questo studio.

34
Aggregazione settoriale della banca dati GTAP
Agroalimentare Non-Agroalimentare
Prodotti agricoli Attività estrattiva
Riso Lana, seta
Grano Piante tessili
Altri cereali Industria tessile
Ortaggi e frutta Abbigliamento
Semi oleosi Pelle e accessori
Barbabietola da zucchero Prodotti in legno
Fiori, piante e altre industriali Prodotti in carta e stampa

Bovini, ovini e equini vivi Prodotti di cokeria e della raffinazione del petrolio

Altri animali vivi, uova, miele Prodotti chimici di base, gomma e materie plastiche

Latte crudo Altri prodotti della lavorazione di minerali n.c.a


Prodotti silvicoli Siderurgia
Pesce fresco, molluschi Altri metalli non ferrosi
Prodotti dell'industria alimentare Metalli
Carni bovine e ovicaprine, fresche e congelate Autoveicoli, rimorchi e semirimorchi

Carni suine e avicole fresche e lavorate, prosciutti, salumi Altri mezzi di trasporto n.c.a.

Oli e grassi vegetali Apparecchiature elettroniche


Lattiero-caseari Macchinari ed apparecchiature n.c.a.
Riso lavorato Altri prodoffi manifatturieri n.c.a.
Zucchero Energia elettrica, gas e acqua

Pasta, pane e dolciari, ortofrutta trasformata, caffè, ecc. Commercio

Acque minerali, vino, altre bevande e tabacco Trasporto


Altri servizi
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

35
5. Scenario
Nello studio si simulano gli effetti della guerra commerciale tra gli USA e la Cina che è stata descritta nel
paragrafo 3, applicando gli inasprimenti tariffari in vigore nei primi mesi del 2019, senza inglobare gli ulteriori
aumenti applicati a partire dal maggio 2019. I principali settori colpiti dalle misure bilaterali sono riportati
nella tabella 19.

Principali prodotti colpiti, ordinati secondo l’importanza dei flussi (nomenclatura


armonizzata, HS 02)

Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

36
Nella figura 14 si riassumono i volumi commerciali colpiti da tre round tariffari bilaterali.

Figura 14 - I tre round tariffari: valore totale dei prodotti colpiti da USA e Cina e date di entrata in vigore (in
miliardi dollari)

300

250

200

150

100

50

0
USA Cina

6 luglio 2018 23 agosto 2018 24 settembre 2018

Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Le liste dei prodotti soggetti alle misure tariffarie rilasciate dalle autorità statunitensi e cinesi sono
estremamente dettagliate (classificazione a 8 cifre) e sono state ricondotte al sistema di classificazione
armonizzato a livello internazionale (6 cifre) per poter calcolare il valore medio ponderato dei dazi
corrispondenti ai settori presenti nel modello.

L’esito della procedura appena descritta è riportato nelle figure seguenti, dove si rappresenta il cambiamento
in punti percentuali delle variazioni nei dazi bilaterali derivanti dalla guerra commerciale. Le misure tariffarie
degli USA colpiscono principalmente i prodotti manifatturieri, macchinari e apparecchiature, autoveicoli e
altri mezzi di trasporto, prodotti chimici e le apparecchiature elettroniche, che costituiscono le principali voci
di importazione americana dalla Cina (Figura 15). La produzione dei settori agricoli statunitensi, per i quali
ricordiamo la Cina rappresenta il secondo mercato per importanza (dopo il Canada e prima del Messico),
potrebbe essere fortemente colpita dall’aumento dei dazi di rappresaglia da parte della Cina. Registriamo
infatti un forte aumento tariffario nei settori agricoli e alimentari, soprattutto, ortaggi e frutta, carni, semi
oleosi, bevande alcoliche. Altri settori colpiti dalle contromisure di Pechino sono l’estrattivo, macchinari e
apparecchiature, prodotti chimici e veicoli (Figura 16).

37
Figura 15 - Variazioni delle tariffe USA sulle importazioni dalla Cina nello scenario di guerra commerciale

Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

38
Figura 16 - Variazioni delle tariffe cinesi sulle importazioni dagli USA nello scenario di guerra commerciale

Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

39
6. Risultati
Con riferimento agli effetti della guerra tariffaria, la tabella 20 fornisce un riepilogo per le varie aree
geografiche dei cambiamenti nell’efficienza allocativa e nelle ragioni di scambio. Nel primo caso, una
variazione positiva implica un beneficio derivante dall’uso più efficiente delle risorse; nel secondo una
variazione positiva (o negativa) della ragione di scambio segnala il beneficio (o il costo) derivante dalla
diminuzione (aumento) dei prezzi pagati per le importazioni o dall’aumento (diminuzione) dei prezzi ricevuti
per le esportazioni.

Effetti di benessere: efficienza allocativa e ragioni di scambio (milioni di dollari)


Paesi Efficienza Ragione di scambio Totale
Italia 285 655 940
Francia 667 1.368 2.035
Germania 963 2.546 3.509
Resto dell'UE 2.157 4.304 6.461
Totale EU 4.072 8.873 12.945
USA -10.948 -6.892 -17.840
Cina -21.917 -26.927 -48.844
Altri Paesi 6.705 24.704 31.409
Totale -22.088 -242 -22.330
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

In coerenza con le previsioni standard della teoria economica, l’aumento dei dazi comporta una diminuzione
del benessere per entrambi i paesi belligeranti e per il mondo nel suo insieme. L’impatto è maggiormente
negativo per la Cina che parte da un livello tariffario più elevato.

Al tempo stesso, è possibile osservare un effetto secondario non indifferente che avvantaggia gli altri paesi,
soprattutto in termini di miglioramento delle ragioni di scambio: da un lato, infatti, l’aumento del
protezionismo da parte di paesi grandi come Cina e Stati Uniti e la conseguente diminuzione dei flussi di
commercio bilaterale genera un aumento dell’offerta delle loro esportazioni sugli altri mercati che – a parità
di altre condizioni – determina una riduzione dei prezzi a cui il resto del mondo potrà importare, con un
miglioramento delle ragioni di scambio dei paesi importatori; dall’altro, le minori importazioni degli USA dalla
Cina e della Cina dagli USA, fanno emergere una maggiore domanda di importazione dei due paesi dal resto
del mondo, che fa aumentare i prezzi di esportazione e le possibilità di sbocco degli altri paesi sui mercati dei
due belligeranti. Nonostante la politica commerciale comune, tali effetti secondari sono diversi per i singoli
paesi UE, come conseguenza di una struttura commerciale caratterizzata da un più o meno elevato volume
di importazioni di prodotti statunitensi e cinesi. In termini assoluti l’Italia è tra i paesi che meno guadagna
dalla guerra commerciale USA-Cina, in ragione di un minore volume di importazioni provenienti dai due paesi
belligeranti.

La tabella 21 riporta gli effetti sulla bilancia commerciale bilaterale, la grande ossessione di Trump. I flussi di
commercio si riducono per più di 200 miliardi di dollari, pari a circa il 31%. Sebbene le esportazioni degli USA
verso la Cina subiscano una diminuzione maggiore in termini percentuali (-39,2%) rispetto alle importazioni
(-28,7%), il deficit commerciale degli USA nei confronti della Cina risulta ridotto del 23,3% in valore assoluto.

40
Il valore aggiunto domestico che entra nei flussi di commercio (ovvero la remunerazione dei fattori produttivi
nazionali) registra una diminuzione relativamente meno pronunciata del commercio lordo. Questo risultato
è spiegato dalla contrazione più evidente del “contenuto estero” del commercio (cioè, input intermedi
importati usati nella produzione di esportazioni), con la conseguente diminuzione del grado di integrazione
nelle catene globali del valore.

Scenario guerra commerciale: effetti sul commercio degli USA con la Cina, variazioni
assolute (milioni di dollari) e variazioni percentuali
Saldo USA Saldo USA
Esportazioni USA Importazioni USA
bilaterale complessivo
-67.212 -145.402 78.190 33.177
Commercio lordo
-39,20% -28,70% 23,30% -4,10%
-55.338 -113.337 57.999 -43.262
Commercio in valore aggiunto
-38,90% -28,10% 22,20% -8,70%
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

La tabella 22 approfondisce quest’ultimo punto, evidenziando l’impatto fortemente negativo sul commercio
bilaterale di beni intermedi. In particolare, si evidenzia come tra gli input stranieri utilizzati dagli USA per
esportare in Cina la maggiore contrazione si registra per gli intermedi provenienti dalla Cina stessa (-53,1% a
fronte di una riduzione del 38,1% per gli input provenienti da tutti gli altri paesi). Analogamente, gli input
statunitensi impiegati dalla Cina nella produzione delle sue esportazioni verso gli USA subiscono una
riduzione del 48,6%, maggiore della diminuzione dell’utilizzo di input prodotti nel resto del mondo (31%). La
diminuzione della domanda di beni intermedi di origine estera è spiegata dalla contrazione del commercio e
da un sistema internazionale più protetto che per il paese che impone i dazi rende meno conveniente
approvvigionarsi dall’estero.

Scenario guerra commerciale: effetti sul VA riflesso degli USA (a) e della Cina (b)
a) Esportazioni degli USA alla Cina b) Esportazioni della Cina agli USA

Variazioni Variazioni Variazioni Variazioni


assolute percentuali assolute percentuali
FVA riflesso -2.270 -53,10% FVA riflesso -4.530 -48,60%
FVA altri paesi -8.948 -38,10% FVA altri paesi -25.864 -29,10%
FVA totale -11.216 -40,40% FVA totale -30.398 -31,00%
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Nelle tabelle 23 e 24 si riportano le variazioni registrate nei flussi di esportazioni degli Stati Uniti e della Cina,
sia nel loro commercio bilaterale che verso gli altri paesi e aree considerate. Come si vede, entrambi i paesi
registrano una significativa riduzione delle esportazioni complessive, poiché la forte riduzione delle loro
esportazioni bilaterali non è compensata dall’aumento di quelle verso altri mercati.

Per quanto riguarda l’impatto settoriale, le esportazioni degli USA di prodotti agroalimentari subiscono una
riduzione percentuale maggiore rispetto a quelle degli altri settori, dovuta al forte aumento tariffario da parte
della Cina sui prodotti agricoli e alimentari statunitensi (vedi Figura 16).

41
Scenario guerra commerciale: effetti sui flussi di esportazione USA a prezzi mondiali,
variazioni assolute (milioni di dollari) e variazioni percentuali
Resto Resto Resto
Cina Italia Altri Paesi Totale
dell’UE dell’Asia d’America

Prodotti agroalimentari -13.677 63 649 1.624 1.782 785 -8.774


-46,30% 5,70% 5,00% 4,30% 3,10% 5,30% -5,70%
Prodotti non- -53.532 388 6.675 2.409 8.749 3.078 -32.233
agroalimentari
-37,70% 1,60% 1,70% 0,80% 1,50% 1,30% -1,90%

Totale -67.209 451 7.324 4.033 10.531 3.863 -41.007


-39,20% 1,80% 1,80% 1,20% 1,60% 1,50% -2,20%
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Scenario guerra commerciale: effetti sui flussi di esportazione della Cina a prezzi mondiali,
variazioni assolute (milioni di dollari) e variazioni percentuali
Resto Resto Resto
USA Italia Altri Paesi Totale
dell'UE dell'Asia d'America

Prodotti agroalimentari -679 17 269 810 89 282 788


-9,00% 3,20% 3,70% 2,60% 2,80% 3,10% 1,30%
Prodotti non- -144.723 2.379 24.459 34.753 13.393 21.345 -48.394
agroalimentari
-29,00% 5,80% 5,70% 4,40% 6,30% 5,00% -2,00%
-145.402 2.396 24.728 35.563 13.482 21.627 -47.606
Totale
-28,70% 5,80% 5,60% 4,30% 6,30% 4,90% -1,90%
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Le tabelle successive riassumono gli impatti sui flussi di importazione nei mercati dei due paesi belligeranti.
Per gli Stati Uniti (tabella 25) c’è una diminuzione delle importazioni pari al 2,8%, dovuta a un forte riduzione
di quelle dalla Cina (-28,7%) i cui beni sono diventati più costosi sul mercato statunitense in conseguenza dei
dazi, non compensata dall’aumento delle importazioni provenienti dagli altri partner commerciali. In termini
percentuali, l’Italia beneficia della guerra commerciale sul mercato statunitense più degli altri paesi. Le
maggiori esportazioni italiane in USA riguardano i settori non-agroalimentari, che subiscono un incremento
tariffario relativamente più forte e per i quali le nostre vendite crescono del 6,7%.

Scenario guerra commerciale: effetti sui flussi di importazione USA a prezzi mondiali,
variazioni assolute (milioni di dollari) e variazioni percentuali
Resto
Cina Italia Resto dell'UE Resto d'America Altri Paesi Totale
dell'Asia

Prodotti agroalimentari -679 -31 -93 -185 -1.313 -148 -2.449


-9,00% -0,80% -0,50% -0,90% -1,80% -1,10% -1,80%

Prodotti non-agroalimentari -144.723 2.958 18.140 31.924 14.054 5.904 -71.743


-29,00% 6,70% 4,10% 6,30% 2,00% 1,90% -2,90%

Totale -145.402 2.927 18.047 31.739 12.741 5.756 -74.192


-28,70% 6,00% 3,90% 6,00% 1,70% 1,70% -2,80%

42
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Per quanto riguarda le importazioni della Cina (Tabella 26), il risultato è analogo: osserviamo, infatti, una
forte contrazione di quelle provenienti dagli USA, scarsamente compensata da quelle proveniente da altri
paesi. In particolare, sia pure nel contesto di variazioni di scarso rilievo, l’Italia aumenta leggermente le
esportazioni agroalimentari sul mercato cinese, mentre diminuiscono quelle degli altri settori, in misura
anche maggiore rispetto a quanto accade agli altri paesi UE.

Scenario guerra commerciale: effetti sui flussi di importazione della Cina a prezzi mondiali,
variazioni assolute (milioni di dollari) e variazioni percentuali
Resto Resto Resto
USA Italia Altri Paesi Totale
dell'UE dell'Asia d'America

-13.677 13 277 537 6.567 1.077 -5.206


Prodotti agroalimentari
-46,30% 2,10% 2,00% 2,00% 16,80% 4,10% -3,80%

Prodotti non-agroalimentari -53.532 -217 -158 -8.587 -1.243 -676 -64.413


-37,70% -1,10% -0,10% -1,00% -1,20% -0,20% -3,60%

Totale -67.209 -204 119 -8.050 5.324 401 -69.619


-39,20% -1,00% 0,00% -0,90% 3,70% 0,10% -3,60%
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Nel seguito approfondiamo gli impatti della guerra commerciale con specifico riferimento all’economia
italiana, guardando alle implicazioni sul valore aggiunto creato in Italia e legato al commercio con USA e Cina
tanto a livello bilaterale che multilaterale. Si riconosce, cioè, che con la crescente diffusione della
frammentazione dei processi produttivi su scala internazionale, la rilevanza di un mercato di destinazione
dipende non solo dalla quota che quel mercato ha nelle esportazioni totali di un certo paese, ma anche dalle
esportazioni verso quello stesso mercato di tutti gli altri paesi nel network produttivo che veicolano il valore
aggiunto dell’economia in esame.

La tabella 27 riporta l’impatto sui flussi di valore aggiunto italiano verso gli Stati Uniti e la Cina, considerando
tutti i possibili canali geografici di esportazione. L’incremento già osservato nelle esportazioni bilaterali
dell’Italia verso gli USA (vedi tabella 25) risulta ridimensionato in termini di valore aggiunto in quanto parte
dell’aumento ingloba l’accresciuto utilizzo di beni intermedi esteri. Similmente, l’impatto negativo sulle
esportazioni italiane verso la Cina è in parte assorbito da altri paesi che forniscono input all’Italia, il che spiega
il valore minore di quello riportato nella tabella 26.

DVA italiano esportato bilateralmente e multilateralmente, variazioni assolute (milioni di


dollari) e variazioni percentuali
USA CINA
Bilaterale Multilaterale Bilaterale Multilaterale
Prodotti agricoli non trasformati -3 0 1 0
-2,90% 0 -1,10% 0
Prodotti alimentari -17 1 9 -4
-0,60% -0,60% -2,50% -3,70%
Prodotti non-agroalimentari 2.040 343 -154 -329
-6,50% -2,30% -1,10% -2,90%

43
Totale 2.040 343 -144 -333
-5,90% -2,20% -1,00% -2,90%
Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Gli Stati Uniti aumentano la loro rilevanza come mercato finale di assorbimento del valore aggiunto italiano
anche nel canale multilaterale, cioè attraverso le esportazioni degli altri paesi negli Stati Uniti. Al contrario la
Cina diventa meno rilevante per l’Italia come mercato di consumo finale.

Una spiegazione è data dal fatto che la Cina è una piattaforma meno rilevante per le esportazioni multilaterali
di valore aggiunto italiano verso gli USA di quanto non siano gli Stati Uniti nel veicolare il valore aggiunto
italiano in Cina.

Nelle figure 17 e 18 si riportano le quote percentuali delle piattaforme che veicolano il VA italiano negli USA
e in Cina. A seguito della frammentazione produttiva tra i vari stati europei, quasi il 50% del valore aggiunto
italiano che arriva sul mercato statunitense attraversando altri paesi è veicolato attraverso esportazioni
dell’UE e l’importanza della cosiddetta “factory Europe” (Baldwin, 2008) aumenta a seguito della guerra
commerciale. La quota della Cina passa dal 9,2 al 6,1% (figura 17).

Figura 17 - VA italiano esportato negli USA multilateralmente, per piattaforma

0% 10% 20% 30% 40% 50% 60%

Cina 9,2%
6,1%

EU 47,4%
49,1%

Resto dell'Asia 11,8%


12,4%

Resto d'America 20,1%


20,6%

Altri Paesi 11,5%


11,7%

Baseline Guerra commerciale

Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

L’Asia è invece la piattaforma più importante nel veicolare il valore aggiunto italiano verso la Cina. Gli Stati
Uniti, uno dei partner chiave in questo tipo di commercio, subiscono un significativo ridimensionamento
come conseguenza della contrazione del commercio con la Cina (figura 18).

44
Figura 18 - VA italiano esportato in Cina multilateralmente, per piattaforma

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40%

USA 21,4%
15,0%

EU 18,1%
19,8%

Resto dell'Asia 32,9%


35,3%

Resto d'America 9,2%


10,0%

Altri Paesi 18,5%


19,9%

Baseline Guerra commerciale

Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

Vediamo infine le conseguenze della guerra commerciale sui cosiddetti legami “forward” dell’Italia con i due
paesi, ovvero l’impatto sugli input italiani domandati da USA e Cina nelle loro esportazioni (figura 19). Circa
un terzo delle esportazioni italiane totali verso la Cina è inglobato nelle esportazioni cinesi, mentre quasi il
90% delle esportazioni italiane verso gli USA vengono lì consumate. La riduzione dei flussi di esportazione
osservati precedentemente si riflette nella diminuzione della domanda di input prodotti in Italia soprattutto
nel caso cinese.

Figura 19 - I legami forward dell'Italia, percentuali sulle esportazioni lorde

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40%

Prodotti agroalimentari 1,7%


1,7%
13,0%
USA

Prodotti non-agroalimentari
12,5%

Totale 12,1%
11,7%

Prodotti agroalimentari 8,6%


7,8%
34,3%
CINA

Prodotti non-agroalimentari 33,8%

Totale 33,5%
32,9%

Baseline Guerra commerciale

Fonte: elaborazioni Centro Rossi-Doria

45
7. Conclusioni e considerazioni sui possibili effetti per l’Italia
All’inizio di luglio 2018, dando seguito a mesi di minacce, il presidente Trump ha disposto l’imposizione di
tariffe sulle importazioni dalla Cina, in risposta a presunte pratiche commerciali sleali di Pechino. Dopo tre
successive tranche di inasprimenti tariffari tra luglio e settembre 2018, con i quali sono stati colpiti circa 250
miliardi di dollari di esportazioni cinesi che a partire da maggio 2019 subiscono un incremento tariffario
complessivo pari al 25%, i successivi inasprimenti già minacciati dal governo statunitense potrebbero arrivare
a colpire fino a 500 miliardi di dollari di importazioni dalla Cina. Il governo cinese, che ha risposto imponendo
tariffe su beni statunitensi per un valore di 110 miliardi di dollari e minacciato di attivare misure qualitative
volte a danneggiare le imprese americane che operano in Cina, a maggio ha annunciato l'intenzione a partire
da giugno di aumentare ulteriormente i dazi su 60 miliardi di importazioni.

L’asimmetricità nel volume di commercio colpito dai dazi – di gran lunga maggiore per le esportazioni cinesi
– si spiega con lo sbilanciamento del commercio bilaterale, con un volume di importazioni cinesi provenienti
dagli USA di gran lunga inferiore a quello delle importazioni USA dalla Cina, che lascia a Pechino un più
ristretto margine di manovra su cui esercitare la propria risposta protezionistica. Inoltre, va sottolineato che
il governo cinese ha finora risposto alla strategia nordamericana con un approccio di tit for tat, ossia di
ribattere “colpo su colpo” alle azioni USA, senza innescare spirali protezionistiche ma piuttosto limitandosi a
imporre sui beni provenienti dagli USA gli stessi aumenti tariffari introdotti dagli USA sulle importazioni di
beni cinesi.

Si è trattato di una scelta tutto sommato conservativa, in quanto altre opzioni ben più aggressive sarebbero
teoricamente possibili. Ciononostante, i risultati dell’analisi che qui si propone dimostrano che gli effetti sul
commercio internazionale sono significativi, anche in considerazione del fatto che le simulazioni di questo
studio sottostimano gli effetti della guerra commerciale, in quanto sono state condotte prima dell’ultimo
round di inasprimenti tariffari del maggio scorso.

Al pari di un’ampia serie di studi apparsi negli ultimi mesi, l’obiettivo della presente analisi è valutare gli
impatti sui principali mercati e per i principali comparti produttivi, nonché in termini di benessere
complessivo, dei cambiamenti introdotti nelle politiche commerciali da Stati Uniti e Cina. Si è scelto di
utilizzare un approccio di equilibrio generale al fine di evidenziare gli effetti intersettoriali e tenere conto
delle conseguenze anche sui paesi non direttamente coinvolti nella guerra commerciale.

Dall’analisi precedente appare evidente che come lo scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina abbia
ripercussioni sul mercato globale, con effetti che non coinvolgono solo i due paesi artefici delle scelte sulle
politiche tariffarie. Questa valutazione risulta ancora più rafforzata considerando le marcate interconnessioni
produttive e la distribuzione del valore aggiunto associato al commercio internazionale.

Come è emerso dall’analisi dei risultati delle elaborazioni del modello, anche per l’Italia si possono rilevare
degli impatti derivanti dalla guerra commerciale tra USA e Cina, sebbene non particolarmente rilevanti. Di
sicuro il fronte degli scambi con gli Stati Uniti è quello più delicato, visto la forte rilevanza del mercato
americano come destinazione delle esportazioni agroalimentari italiane.

Le simulazioni svolte confermano altri risultati della letteratura che evidenziano come l’attuale politica
commerciale tra Washington e Pechino sia controproducente per le due economie belligeranti e perdente
dal punto di vista del benessere per il mondo nel suo complesso, anche se alcuni paesi terzi possono trarre

46
vantaggio dal riaggiustamento che ne deriva, in termini di prezzi più bassi per le loro importazioni. Inoltre,
dal punto di vista dei volumi scambiati, i paesi terzi possono sfruttare maggiori sbocchi commerciali per le
proprie esportazioni sui mercati dei paesi belligeranti, ma al contempo possono registrare un aumento delle
proprie importazioni provenienti da questi stessi paesi.

Tuttavia, data la rilevanza del volume degli scambi tra Stati Uniti e Cina, la forte contrazione dei flussi
commerciali bilaterali risulta solo parzialmente compensata dall’intensificazione dei legami commerciali con
gli altri paesi. Nel caso degli Stati Uniti la sostituzione delle esportazioni cinesi avviene per i prodotti
manifatturieri, mentre nel caso della Cina la sostituzione delle esportazioni statunitensi riguarda i prodotti
agroalimentari.

Infatti, dal lato degli USA, gli aumenti tariffari sono stati rivolti a colpire le importazioni cinesi di beni
intermedi importanti per l’industria USA (microprocessori, macchinari, componentistica) e molti prodotti di
largo consumo. Gli impatti si traducono quindi in aumenti dei costi delle imprese industriali statunitensi e
anche sulla spesa delle famiglie.

Dal lato della Cina, la reazione colpisce le importazioni USA di prodotti agroalimentari, soprattutto cereali,
soia ma anche pesce e carni, ortofrutta e bevande che sono i prodotti principalmente esportati dagli USA in
Cina. La Cina è il secondo mercato di sbocco per gli USA per i prodotti agricoli.

Le guerre commerciali, soprattutto quando coinvolgono due pesi massimi degli scambi internazionali,
possono avere conseguenze rilevanti anche per gli altri paesi non direttamente coinvolti. Come si è appena
detto, la diversione dei flussi di commercio, da una parte, può beneficiare i paesi più votati all’export, i quali
potrebbero esportare di più, sostituendo prodotti cinesi nel mercato statunitense e prodotti USA nel mercato
cinese; dall’altra, vi è il rischio che le minori esportazioni della Cina e degli Stati Uniti nel loro commercio
bilaterale si spostino su altri mercati spiazzando quelle degli altri paesi, soprattutto se caratterizzati – come
nel caso dei prodotti cinesi – da una maggiore competitività in termini di prezzo.

Per quanto riguarda l’Italia, considerando i flussi commerciali di tutti i prodotti, i risultati di questo studio
mostrano che i timori sarebbero confermati nel caso della Cina, per la quale si registra un aumento delle
esportazioni di prodotti manifatturieri cinesi in Italia, mentre le importazioni cinesi dall’Italia registrano
addirittura una diminuzione complessiva, con conseguente peggioramento del nostro saldo commerciale
bilaterale. Una situazione opposta si verifica nei confronti degli Stati Uniti, dal momento che il complesso
delle esportazioni italiane sul mercato statunitense potrebbe aumentare in misura nettamente maggiore
delle esportazioni USA sul mercato italiano. Vista la composizione settoriale delle esportazioni cinesi colpite
dai dazi statunitensi – che riguardano per lo più prodotti non agroalimentari – non sorprende che la
sostituzione delle importazioni USA dalla Cina con esportazioni italiane riguardi prevalentemente i comparti
non agroalimentari dell’economia. In ogni caso, il saldo complessivo della bilancia commerciale italiana con
gli USA migliora, anche in misura maggiore di quello degli altri paesi UE.

L’aumento delle importazioni della Cina dagli altri paesi, conseguente alla forte contrazione del flusso
proveniente dagli USA, non interessa particolarmente l’Italia, riguardando soprattutto prodotti come soia e
cereali di cui il nostro paese è a sua volta deficitario; al contrario, potrebbero aumentare le esportazioni cinesi
di prodotti agroalimentari (preparazioni di pesce, preparazioni di ortaggi, ecc.) dirette in Italia nella ricerca di
sbocchi alternativi al mercato statunitense. Dall’altro lato, potrebbe invece appunto essere indotto un
aumento dell’export USA di soia e cereali diretto verso l’UE e l’Italia; la sostituzione di prodotti cinesi sul

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mercato statunitense potrebbe in qualche misura avere effetti positivi sull’export italiano di alcuni prodotti,
come le preparazioni di frutta e ortaggi e le preparazioni alimentari, ma questa opportunità potrebbe essere
messa a rischio da un generale peggioramento dell’economia americana indotto dalla guerra commerciale e
dalla concorrenza di altri paesi; infatti il modello mostra una riduzione complessiva delle importazioni di
prodotti agroalimentari italiani dagli USA e un peggioramento del saldo bilaterale. Nel complesso, gli impatti
diretti della guerra commerciale tra USA e Cina sull’agroalimentare italiano dovrebbero essere di portata
limitata.

Rispetto ad altri lavori sullo stesso tema, in questo studio si è anche posta una particolare attenzione
all’analisi dei flussi commerciali guardando alla loro influenza sulle catene globali del valore, al cui interno la
guerra tariffaria tra Stati Uniti e Cina comporta una riconfigurazione dei legami regionali e globali che le
caratterizzano. Su questo terreno, inoltre, va tenuto presente che i risultati tendono a sottostimare gli effetti
complessivi, poiché il modello utilizzato non prende in considerazione le tante misure non tariffarie che,
spesso più dei dazi, influenzano i flussi commerciali, nonché i possibili effetti sugli investimenti diretti esteri
e le scelte di delocalizzazione da parte delle imprese multinazionali.

Per le due economie direttamente coinvolte, si osserva una contrazione del grado di integrazione nelle
catene globali. Stati Uniti e Cina riducono i loro legami “a monte” come conseguenza dell’aumento del costo
dell’import di input intermedi. Questo effetto è particolarmente evidente per gli Stati Uniti, dal momento
che la Cina è il principale fornitore di input produttivi per le imprese statunitensi.

Per quanto riguarda il nostro paese, l’analisi dei flussi di commercio in valore aggiunto registra un aumento
della partecipazione delle imprese italiane alle catene produttive, sia globali che regionali, trainata
soprattutto dalle crescenti relazioni commerciali con gli Stati Uniti. Da un lato, l’aumento delle esportazioni
dell’Italia verso il mercato statunitense accresce la domanda italiana di input esteri, il che ridimensiona
l’impatto effettivo dell’incremento registrato nelle esportazioni lorde italiane in termini di contributo al PIL.
D’altro lato, però, gli Stati Uniti aumentano la loro rilevanza come mercato finale di assorbimento del valore
aggiunto italiano nel canale multilaterale, cioè attraverso il contenuto di prodotti italiani nelle esportazioni
degli altri paesi. I Paesi UE svolgono qui un ruolo chiave e i risultati dell’analisi evidenziano l’intensificazione
dell’integrazione della zona euro nel commercio verso gli Stati Uniti.

Non bisogna però sopravvalutare le opportunità che si aprono per le esportazioni italiane a seguito della
guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina che potrebbero peraltro essere fortemente compromesse nel caso
in cui le recenti minacce dei dazi sul commercio tra le due sponde dell’Atlantico da parte di Trump dovessero
divenire effettive. Il 9 aprile l’ufficio del rappresentante per il commercio degli Stati Uniti ha annunciato
possibili dazi su un elenco preliminare di importazioni dall’Unione europea, per un valore totale di 11,2
miliardi di dollari. Potrebbe essere colpita la componentistica del settore aerospaziale che l’Europa esporta
negli Stati Uniti, insieme a molti prodotti alimentari europei che hanno un grande mercato oltre Atlantico:
prosecco, pecorino, emmental, cheddar, yogurt, burro, vini, agrumi, olio d’oliva, marmellate. Si tratta
dell’ultimo episodio di una disputa presso il WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio), iniziata nel
lontano 2004: i possibili nuovi dazi, sulla cui legittimità il WTO si pronuncerà entro la fine di quest’anno, sono
l’equivalente stimato delle misure compensative per gli aiuti di stato che, secondo l’accusa di Washington,
Airbus avrebbe ricevuto illegittimamente negli ultimi quindici anni.

Sebbene la questione sia, almeno per il momento, riconducibile alle regole multilaterali, l’episodio ci ricorda
che la partecipazione all’Unione europea consente a un paese come l’Italia, relativamente piccolo su scala

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mondiale, di poter meglio resistere alle pressioni statunitensi o, in uno scenario più ottimistico, di portare
avanti i negoziati per un accordo di liberalizzazione bilaterale tra Europa e Stati Uniti. Più in generale,
l’integrazione europea rappresenta un’opzione strategica in uno scenario caratterizzato da tensioni
crescenti: negli ultimi 10 anni i governi dei paesi che fanno parte del G20 hanno adottato più di 9.000 misure
tese a favorire le imprese nazionali, una ogni 10 ore 14.

Le dichiarazioni diplomatiche di inizio primavera da parte di Stati Uniti e Cina avevano fatto sperare nella
possibilità di evitare un’ulteriore escalation della guerra commerciale. Quanto è accaduto nel mese di maggio
è andato in direzione opposta, anche se c’è chi sostiene che la ripresa delle ostilità da parte
dell’amministrazione Trump sia inquadrabile all’interno di una strategia volta a orientare il negoziato verso
un esito più favorevole agli USA, ma comunque a cercare un accordo. D’altro canto, non bisogna dimenticare
che i rapporti commerciali tra Stati Uniti e Cina erano problematici anche prima che scoppiasse la guerra
commerciale. Già nel 2017, infatti, ben il 70% delle esportazioni bilaterali statunitensi e cinesi erano soggette
a barriere commerciali 15.

In questo scenario, non dovrebbe quindi sorprendere che sul versante cinese si assista a un rafforzamento
dei rapporti di collaborazione tra la Cina e il vecchio continente. Il recente summit tra Unione europea e Cina
ha dato segnali concreti di cooperazione bilaterale in materia di reciprocità negli investimenti diretti e
nell’accesso al mercato. Per quanto riguarda il nostro paese, il summit è stato preceduto – non senza
polemiche – dalla visita del Presidente cinese in Italia che ha portato ad accordi per l’esportazione di alcuni
prodotti agroalimentari in Cina e alla firma di un Memorandum of Understanding volto a rafforzare la
cooperazione nella realizzazione della Belt and Road Initiative, la cosiddetta “Via della seta”.

Dopo anni di stallo, è difficile valutare la possibilità concreta che tra UE e Cina possa iniziare una distensione
nelle dispute commerciali. È però evidente – e confermato dai risultati delle simulazioni proposte in questo
studio – l’interesse della Cina a diversificare i mercati di approvvigionamento e sbocco riducendo la
dipendenza dal mercato statunitense. Soprattutto se l’amministrazione Trump continuasse con la strategia
“America First” e con l’unilateralismo “muscolare” che ne deriva, questa potrebbe essere una buona notizia
per l’UE e soprattutto per l’Italia.

14 Brazen Unilateralism: The US–China Tariff War in Perspective CEPR Press, 2018.

15 Brazen Unilateralism: The US–China Tariff War in Perspective CEPR Press, 2018.

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Pubblicazione realizzata con il contributo del Feasr (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale)
nell’ambito delle attività previste dal Programma Rete Rurale Nazionale 2014-2020

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