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L’isola del Tonal

Don Juan e io ci incontrammo di nuovo il giorno successivo, in quello stesso parco, verso
mezzogiorno. Don Juan indossava sempre il suo completo marrone. Ci sedemmo su una
panchina; lui si tolse la giacca, la piegò con gran cura, ma con un’aria di suprema
noncuranza e la appoggiò sulla panchina. La sua noncuranza era studiatissima e tuttavia
perfettamente naturale. Mi accorsi che lo stavo fissando. Sembrò rendersi conto del
paradosso che offriva ai miei occhi e sorrise. Si raddrizzò la cravatta. Portava una camicia
beige con le maniche lunghe. Gli stava benissimo.
« Porto ancora il mio completo perché voglio dirti una cosa molto importante » disse,
battendomi sulla spalla. « Ieri ti sei comportato bene. Ora è il momento di arrivare a
qualche accordo definitivo. »
Tacque per un lungo istante. Sembrava che si preparasse a una dichiarazione. Provai una
strana sensazione allo stomaco. Avevo immediatamente supposto che stesse per rivelarmi
la spiegazione degli stregoni. Si alzò e fece qualche passo avanti e indietro come se gli
fosse difficile esprimere quel che aveva in mente.
« Andiamo in quel ristorante dall’altra parte della strada e mangiamo un boccone » disse
alla fine.
Prese la giacca e prima di infilarla mi mostrò che era tutta foderata.
« È fatta su misura » disse e sorrise come se ne fosse orgoglioso, come se fosse stata una
cosa importante.
« Devo attirare la tua attenzione su di essa, perché altrimenti non vi baderesti, ed è
importantissimo che tu ne sia consapevole. Tu sei consapevole di ogni cosa solo quando
pensi di doverlo essere; ma la condizione del guerriero è essere consapevole di ogni cosa
in ogni momento.
Il mio completo e tutti questi ammennicoli sono importanti perché rappresentano la mia
condizione nella vita. O piuttosto la condizione di una delle due parti della mia totalità.
Questa discussione era in sospeso. Credo che ora sia il momento di farla. Doveva però
essere fatta solo al momento giusto, altrimenti non avrebbe avuto senso. Con il mio
completo volevo fornirti un primo indizio. Penso d’esserci riuscito. Adesso è il momento
di parlare, perché su questo argomento non ci può essere completa comprensione se non
si parla. »
« Quale argomento, don Juan? »
« La totalità di se stessi. »
Si alzò bruscamente e mi condusse nel ristorante di un grande albergo, dall’altra parte
della strada. Una donna di umore piuttosto ostile ci diede una tavola in un angolo, al
fondo. Ovviamente, i posti migliori erano quelli vicini alle finestre.
Dissi a don Juan che quella donna me ne ricordava un’altra, in un ristorante dell’Arizona
dove una volta eravamo andati a mangiare insieme: prima di darci il menu, ci aveva
chiesto se avevamo abbastanza denaro per pagare.
« Non biasimo quella povera donna » disse don Juan, come se simpatizzasse con lei. «
Anche lei, come quell’altra, ha paura dei messicani. »
Rise piano. Un paio di persone ai tavoli vicini girarono la testa e ci guardarono.
Don Juan disse che senza saperlo, o forse addirittura suo malgrado, la donna ci aveva dato
la tavola migliore, quella che ci avrebbe permesso di parlare, e a me avrebbe permesso di
scrivere a mio piacimento.

 
Avevo appena tirato fuori di tasca il notes e l’avevo appoggiato sulla tavola, quando
d’improvviso il cameriere venne verso di noi. Anche lui sembrava di cattivo umore. Stette
di fronte a noi con aria di sfida.
Don Juan si mise a ordinare per sé un pranzo molto complicato. Ordinava senza guardare
il menu, come se lo sapesse a memoria. Ero imbarazzato; il cameriere era comparso
inatteso e non avevo avuto il tempo di leggere il menu: gli dissi quindi che prendevo
anch’io lo stesso. Don Juan mi sussurrò all’orecchio: « Scommetto che non hanno quello
che ho ordinato. »
Stirò braccia e gambe e mi disse di rilassarmi, di mettermi comodo, perché per preparare
il nostro pranzo ci sarebbe voluta un’eternità.
« Sei a un bivio cruciale » disse. « Forse l’ultimo, e forse anche il più difficile da capire.
Alcune delle cose che ti indicherò oggi, probabilmente non saranno mai chiare. Non sono
cose che possano essere chiarite in alcun modo. Quindi non provare imbarazzo o
scoraggiamento. Tutti noi siamo creature ottuse quando raggiungiamo il mondo della
stregoneria, e raggiungerlo non vuol dire affatto essere certi di cambiare. Alcuni di noi
restano ottusi fino all’ultimo. »
Mi piaceva che comprendesse anche se stesso fra gli ottusi. Sapevo che non lo faceva per
cortesia, ma come espediente didattico.
« Non inquietarti se non cavi un senso da quanto sto per dirti » proseguì. « Considerando
il tuo temperamento, ho paura che tu ti metta fuori combattimento da solo, nello sforzo di
capire. Non farlo! Quanto ti dirò deve solo servire a indicare una direzione. »
Provai un improvviso senso di apprensione. Gli ammonimenti di don Juan mi cacciavano
in una riflessione senza fine. Già in altre occasioni mi aveva ammonito così, proprio nello
stesso modo, e ogni volta ciò da cui mi aveva messo in guardia s’era poi rivelato
un’esperienza devastante.
« Divento molto nervoso quando mi parlate così » gli dissi.
« Lo so » rispose calmo. « Sto cercando deliberatamente di svegliarti. Ho bisogno della
tua attenzione, di tutta la tua attenzione. »
Tacque e mi guardò. Feci una risata nervosa e involontaria. Sapevo che stava ampliando
al massimo le possibilità drammatiche della situazione.
« Non ti dico tutto questo per farti impressione » aggiunse don Juan come se avesse letto
nei miei pensieri. « Ti do solo il tempo di prepararti nel modo opportuno. »
In quel momento il cameriere si fermò alla nostra tavola per annunciare che non
disponevano di quel che avevamo ordinato. Don Juan rise rumorosamente e ordinò tortillas
e fagioli. Il cameriere ridacchiò sprezzante, dichiarò che loro non ne servivano, e suggerì
bistecca o pollo. Ci decidemmo per una zuppa.
Mangiammo in silenzio. La zuppa non mi piaceva e non riuscii a finirla, ma don Juan la
divorò tutta.
« Ho messo il mio completo » disse d’un tratto « per parlarti di qualcosa, qualcosa che già
conosci ma che bisogna chiarire perché diventi effettivo. Ho aspettato fino adesso perché
Genaro ritiene che non basta che tu sia intenzionato a percorrere la strada della
conoscenza, ma che i tuoi stessi sforzi debbano essere abbastanza impeccabili da renderti
degno di quella conoscenza. Ti sei comportato bene. Ora ti dirò la spiegazione degli
stregoni. »
Tacque di nuovo, si fregò le guance e fece girare la lingua nella bocca, come per toccarsi i
denti.
« Sto per parlarti del tonal e del nagual » disse, e mi guardò con occhi penetranti.
Era la prima volta dall’inizio dei nostri rapporti che don Juan usava quelle due parole. Mi
erano vagamente familiari: le avevo lette negli studi antropologici sulle culture del
Messico centrale. Sapevo che il “tonal” era considerato una sorta di spirito protettore,
 

 
solitamente animale, che il bambino riceveva alla nascita e con il quale manteneva stretti
vincoli per tutta la vita. “Nagual” era il nome attribuito all’animale in cui gli stregoni
pretendevano di potersi trasformare o allo stregone che attuava tale trasformazione.
« Questo è il mio tonal » disse don Juan fregandosi le mani sul petto.
« Il vostro completo? »
« No. La mia persona. » .
Si batté sul petto, sulle gambe e sulle costole. « Il mio tonal è tutto questo. »
Spiegò che ogni essere umano aveva due lati, due entità separate, due controparti, che
divenivano operanti al momento della nascita; una era chiamata il ‘‘tonal”, l’altra il
“nagual”.
Gli dissi ciò che gli antropologi sapevano intorno a quei due concetti. Mi lasciò parlare
senza interrompermi.
« Bene, tutto quello che credi di sapere in proposito sono pure assurdità » disse poi. «
Baso questa affermazione sul fatto che quanto ti sto dicendo del tona1 e del nagual non può
esserti già stato detto prima. Qualsiasi idiota capirebbe che non ne sai nulla, perché per
esserne a conoscenza dovresti essere uno stregone, e non lo sei. Oppure dovresti averne
parlato con uno stregone, e non l’hai fatto. Quindi, lascia perdere tutto quello che hai
sentito dire finora, perché non ti servirebbe a niente. »
« Era solo un commento » dissi.
Sollevò le sopracciglia con un’espressione comica.
« I tuoi commenti sono fuori posto » replicò. « Questa volta mi occorre la tua intera
attenzione, perché sto per metterti a conoscenza del tonal e del nagual. Gli stregoni hanno
un interesse eccezionale, unico per questa conoscenza. Potrei dirti che il tonal e il nagual
sono di pertinenza esclusiva degli uomini di conoscenza. Nel nostro caso, sono ciò che
conclude tutto quello che ti ho insegnato. Perciò ho aspettato fino adesso a parlartene.
« Il tonal non è un animale che protegge una persona. Potrei dire piuttosto che è un
protettore che può essere rappresentato come un animale. Ma non è un punto importante.
»
Sorrise e mi strizzò l’occhio.
« Adesso uso le tue parole » disse. « Il tonal è la persona sociale. »
Rise, mi parve, vedendo la mia espressione sbalordita.
« Il tonal è dunque, propriamente, un guardiano – un guardiano che per lo più diviene una
guardia. » Annaspavo con il mio notes. Cercavo di prestare attenzione a quanto Don Juan
stava dicendo. Lui rise e imitò i miei gesti nervosi.
« Il tonal è l’organizzazione del mondo » proseguì. « Forse il modo migliore per
descrivere la sua opera monumentale è dire che sulle sue spalle poggia il compito di
mettere in ordine il caos del mondo. Non è esagerato affermare, con gli stregoni, che tutto
quello che sappiamo e facciamo come uomini è opera del tonal. “
« In questo momento, per esempio, ciò che è impegnato nel tentativo di ricavare un senso
dalla nostra conversazione è il tuo tonal; senza di esso ci sarebbero soltanto suoni
misteriosi e smorfie, e non capiresti nulla di quanto dico.
Direi anche che il tonal è il guardiano che protegge una cosa che non ha prezzo: il nostro
vero essere. Quindi una qualità specifica del tonal consiste nell’essere geloso delle sue
azioni. E poiché le sue azioni sono la parte di gran lunga più importante delle nostre vite,
non c’è da meravigliarsi se alla fine il tonal si trasforma, in ciascuno di noi, da guardiano
in guardia. »
Si fermò e mi chiese se avevo capito. Automaticamente feci di sì col capo, ed egli sorrise
con aria incredula.
« Un guardiano è di larghe vedute e comprensivo » spiegò. « Una guardia, invece, è di
mente ristretta e per lo più dispotica. Ti dirò che in tutti noi il tonal è stato trasformato in
 

 
una guardia gretta e dispotica, mentre potrebbe essere un guardiano di larghe vedute. »
Avevo definitivamente perso il filo della sua spiegazione. Ascoltavo e annotavo ogni
parola; tuttavia mi sembrava di non riuscire a liberarmi da un dialogo interiore, con me
stesso.
« Per me è difficilissimo seguirvi » dissi.
« Se la smettessi di parlare con te stesso, non avresti difficoltà » replicò tagliente.
La sua osservazione suscitò da parte mia tutta una lunga spiegazione. Finalmente mi
ripresi e mi scusai dell’insistenza nel difendermi.
Don Juan sorridendo fece un gesto con cui parve indicare che il mio atteggiamento non
gli aveva veramente dato fastidio.
« Il tonal è tutto ciò che noi siamo » proseguì. « Dì un nome qualsiasi. Tutto ciò per cui
possiedi un nome è il tonal. E siccome il tonal è le sue stesse azioni, ogni cosa,
ovviamente, deve ricadere nel suo ambito. »
Gli ricordai che mi aveva detto che il “tonal” era la persona sociale, un’espressione che
avevo usato io stesso con lui per designare un essere umano come risultato finale di
processi di socializzazione. Feci notare che se il “tonal” era questo prodotto, non poteva
essere ogni cosa, dato che il mondo intorno a noi non era il prodotto della socializzazione.
Don Juan a sua volta mi fece ricordare che il mio discorso non aveva fondamento per lui:
già da tempo aveva precisato che non esiste il mondo, ma solo una descrizione del mondo
che abbiamo imparato a vedere chiara e a prendere per certa.
« Il tonal è tutto ciò che sappiamo » disse. « Penso che questa sia già di per sé una ragione
sufficiente per considerare il tonal una faccenda schiacciante. »
Tacque per un momento. Sembrava che a questo punto si aspettasse domande o
commenti, ma io non ne avevo alcuno. Ma mi sentivo obbligato a porre comunque una
domanda e lottai per formularne una appropriata. Non ci riuscii. Capii che gli
ammonimenti con cui aveva iniziato la nostra conversazione erano forse serviti a
dissuadermi dall’avanzare qualsiasi interrogativo. Mi sentivo stranamente intorpidito.
Non riuscivo a concentrarmi e a ordinare i miei pensieri. Sentivo e sapevo, senza ombra
di dubbio, che ero incapace di pensare, e tuttavia lo sapevo senza pensare, come se fosse
stato in qualche modo possibile.
Guardai don Juan. Stava fissando il centro del mio corpo. Spostò gli occhi e la chiarezza
mentale mi tornò d’improvviso.
« Il tonal è tutto ciò che sappiamo » ripeté lentamente. « E questo include non solo noi
come persone, ma tutto nel nostro mondo. Si può dire che il tonal è tutto ciò che abbiamo
sotto gli occhi.
Cominciamo a prepararlo al momento della nascita. Nell’istante in cui tiriamo il primo
fiato, inspiriamo potere per il tonal. È quindi giusto dire che il tonal di un essere umano è
intimamente legato alla sua nascita.
Devi ricordarti questo punto. È molto importante per capire tutto ciò che sto dicendo. Il
tonal ha inizio con la nascita e ha fine con la morte. »
Volevo ricapitolare tutti i punti che aveva esposto.
Aprii la bocca per chiedergli di ripetere i punti salienti della nostra conversazione, ma con
stupore mi accorsi di non riuscire a pronunciare le parole. Sperimentavo una stranissima
incapacità: le mie parole erano pesanti e non riuscivo a dominare questa sensazione.
Guardai don Juan per fargli capire che non riuscivo a parlare. Stava di nuovo fissando la
zona intorno al mio stomaco.
Distolse gli occhi e mi chiese come mi sentivo. Le parole mi uscirono d’impeto come se
fossi stato stappato. Gli dissi che avevo avuto la strana sensazione di non riuscire a
parlare o a pensare, sebbene i miei pensieri fossero cristallini.
« I tuoi pensieri erano cristallini? » chiese.
 

 
Allora mi resi conto che la chiarezza non era dei miei pensieri, ma della mia percezione
del mondo.
« Mi state facendo qualcosa, don Juan? »
« Cerco di convincerti che i tuoi commenti non sono necessari » mi rispose ridendo.
« Intendete dire che non volete che io ponga delle domande? »
« No, no. Chiedi quel che vuoi, ma non lasciar vagare la tua attenzione. »
Dovetti riconoscere che ero stato distratto dall’immensità dell’argomento.
« Non riesco ancora a capire, don Juan, cosa volete dire quando affermate che il tonal è
ogni cosa » dissi dopo un momento di pausa.
« Il tonal è quello che fa il mondo. »
« Il tonal è il creatore del mondo? »
Don Juan si grattò le tempie.
« Il tonal fa il mondo solo per modo di dire. Non può creare o cambiare nulla, e tuttavia fa
il mondo perché ha la funzione di giudicare, di valutare, di rendere testimonianza. Dico
che il tonal fa il mondo perché ne rende testimonianza e lo valuta secondo le leggi del
tonal. In modo molto strano, il tonal è un creatore che non crea nulla. In altre parole, il tonal
compone le leggi con le quali percepisce il mondo. Quindi, per modo di dire, crea il
mondo. »
Cominciò a mormorare un motivo popolare, battendo il ritmo con le dita sul fianco della
seggiola. Aveva gli occhi sfavillanti; sembravano emettere scintille. Ridacchiò scuotendo
la testa.
« Non mi segui » disse sorridendo.
« Ma no. Riesco a seguirvi » replicai, in un tono che però non era molto convincente.
« Il tonal è un’isola » spiegò. « Il modo migliore di descriverlo è dire che il tonal è questo.
» Fece scorrere la mano sul piano della tavola.
« Possiamo dire che il tonal è come il piano di questa tavola. Un’isola. E su quest’isola
abbiamo tutto. Quest’isola, infatti, è il mondo. »
« C’è un tonal personale per ciascuno di noi, e ce n’è uno collettivo per tutti noi in ogni
momento, che possiamo chiamare il tonal del tempo. »
Indicò le file di tavole nel ristorante.
« Guarda! Ogni tavola ha la stessa conformazione. Certi elementi si trovano in tutte. Sono
però individualmente diverse le une dalle altre; ad alcune c’è più gente; su ciascuna di
esse ci sono cibi diversi, piatti diversi, intorno a ciascuna di esse c’è un’atmosfera
diversa; però dobbiamo riconoscere che tutte le tavole in questo ristorante sono molto
simili. Lo stesso succede con il tonal. Possiamo dire che il tonal del tempo è ciò che ci
rende simili, così come rende simili tutte le tavole in questo ristorante. Tuttavia ogni
tavola, presa singolarmente, è un caso individuale, proprio come il tonal personale di
ciascuno di noi. Ma la cosa importante da tenere a mente è che tutto ciò che sappiamo di
noi e del nostro mondo è sull’isola del tonal. Capisci cosa voglio dire? »
« Se il tonal è tutto ciò che sappiamo di noi e del nostro mondo, che cos’è allora il nagual? »
« Il nagual è la parte di noi con cui non abbiamo assolutamente a che fare. »
« Come dite? »
« Il nagual è la parte di noi per la quale non c’è descrizione - non parole, non nomi, non
sensazioni, non conoscenza. »
« È una contraddizione, don Juan. A mio parere, se non può essere né sentito, né
descritto, né nominato, non può esistere. »
« È una contraddizione soltanto nella tua opinione. Ti avevo avvertito; non metterti fuori
gioco da solo cercando di capirlo. »
« Potreste dire che il nagual è la mente? »
« No. La mente è un elemento della tavola. La mente è parte del tonal. Ecco: la mente è la
 

 
salsa di chile. » Prese una bottiglia di salsa e la collocò di fronte a me.
« Il nagual è l’anima? »
« No. Anche l’anima sta sulla tavola. Diciamo che è il portacenere. »
« È i pensieri degli uomini? »
« No. Anche i pensieri stanno sulla tavola. I pensieri sono come le posate. » Prese una
forchetta e la mise vicino alla salsa di chile e al portacenere.
« È uno stato di grazia? Il paradiso? »
« Né l’uno né l’altro. Qualunque cosa possano essere, sono anch’essi parte del tonal.
Diciamo che sono il tovagliolo. »
Continuai a sottoporgli tutti i modi possibili per descrivere ciò cui alludeva: intelletto
puro, psiche, energia, forza vitale, immortalità, principio di vita. Per ogni mia parola
trovava un corrispettivo sulla tavola e me lo metteva davanti: alla fine tutto quel che si
trovava sulla tavola era ammucchiato davanti a me.
Don Juan sembrava divertirsi enormemente. Aveva un breve scoppio di risa e si fregava
le mani ogni volta che menzionavo un’altra possibilità.
« Il nagual è l’Essere Supremo, l’Onnipotente, Dio? » chiesi.
« No. Anche Dio sta sulla tavola. Diciamo che Dio è la tovaglia. »
Fece un buffo gesto, come per ammucchiare la tovaglia con tutto il resto.
« Ma, state dicendo che Dio non esiste? »
« No. Non ho detto questo. Ho detto soltanto che il nagual non è Dio, perché Dio è un
elemento del nostro tonal personale e del tonal del tempo. Il tonal, ti ho già detto, è tutto ciò
di cui pensiamo sia costituito il mondo, compreso Dio, naturalmente. Dio non ha
importanza che nella misura in cui fa parte del tonal del nostro tempo. »
« Come io lo intendo, don Juan, Dio è ogni cosa. Non stiamo parlando della stessa cosa?
»
« No. Dio è soltanto ogni cosa di cui puoi pensare: dunque, propriamente, è solo un altro
elemento sull’isola. Non si può essere testimoni di Dio a piacimento; di lui si può solo
parlare. Il nagual invece è al servizio del guerriero. Se ne può essere testimoni, ma non se
ne può parlare. »
« Se il nagual non è alcuna delle cose che ho nominato » dissi « forse potete dirmi dov’è
collocato. Dove si trova? »
Don Juan fece un gesto come per spazzar via e indicò lo spazio di là dai limiti della
tavola. Mosse la mano come per ripulire con il dorso un’immaginaria superficie oltre il
piano della tavola.
« Il nagual è lì » disse. « Lì, tutt’intorno all’isola. Il nagual è lì, dove il potere si libra. »
« Dal momento in cui nasciamo, intuiamo che per noi ci sono due parti. All’istante della
nascita, e ancora per un po’ di tempo dopo, siamo soltanto nagual. Poi intuiamo che, per
funzionare, abbiamo bisogno di una controparte a ciò che abbiamo. Il tonal ci manca, e
questo ci imprime, fin dall’inizio della vita, un senso di incompletezza. Poi il tonal
comincia a svilupparsi e diviene enormemente importante per il nostro funzionamento,
tanto importante che offusca la lucentezza del nagual, la sopraffà. Dal momento in cui
diventiamo soltanto tonal, non facciamo altro che accrescere il nostro iniziale senso di
incompletezza che ci accompagna dalla nascita e che continuamente ci dice: ci vuole
un’altra parte per essere completi. Dal momento in cui diventiamo soltanto tonal,
cominciamo a formare delle coppie. Intuiamo i nostri due lati, ma li rappresentiamo
sempre con gli elementi del tonal. Diciamo che le nostre due parti sono l’anima e il corpo.
O il pensiero e la materia. O il bene e il male. O Dio e Satana. E non ci rendiamo conto
che continuiamo soltanto a comporre coppie con ciò che sta sull’isola, come se
mettessimo di fianco caffè e tè, oppure pane e tortillas, chile e senape. Siamo animali
strani, te lo dico io. Ci lasciamo portare fuori strada e nella nostra follia crediamo di aver
 

 
trovato la soluzione giusta. »
Don Juan si alzò e si rivolse a me come un oratore. Mi puntò l’indice contro, facendo
tremolare la testa.
« L’uomo non muove tra il bene e il male » disse in un comico tono retorico, afferrando
con entrambe le mani i vasetti del pepe e del sale. « Il suo vero moto è tra negativo e
positivo. »
Lasciò andare il sale e il pepe e prese un coltello e una forchetta.
« Vi sbagliate! Non c’è movimento » proseguì, come se rispondesse a se stesso. « L’uomo
è soltanto mente! »
Prese la bottiglia della salsa e la sollevò. Poi la rimise giù.
« Come vedi, » disse piano « possiamo benissimo sostituire alla mente la salsa di chile e
concludere: “L’uomo è soltanto salsa di chile!” senza andare incontro per questo a una
smentita peggiore. »
« Ho paura di non aver posto la domanda giusta » dissi. « Forse ci capiremmo meglio se
vi chiedessi che cosa propriamente si può trovare in quest’area di là dall’isola? »
« Non è possibile rispondere. Se dicessi “Nulla”, indicherei solo la parte nagual del tonal.
Tutto ciò che posso dire è che lì, di là dall’isola, si trova il nagual. »
« Ma, se lo chiamate il nagual, non finite per collocarlo sull’isola? »
« No. Gli do nome solo perché voglio che tu ne sia consapevole. »
« Benissimo! Ma divenirne consapevole è il passo che ha trasformato il nagual in un nuovo
elemento del mio tonal. »
« Temo che tu non capisca. Ho menzionato il tonal e il nagual come una vera coppia. Ho
fatto solo questo. »
Mi ricordò che una volta, quando cercavo di spiegargli la mia insistenza sul significato,
avevo discusso l’idea che i bambini non potessero essere in grado di comprendere la
differenza tra “padre” e “madre” fino a che non fossero abbastanza sviluppati per
destreggiarsi con i significati e che forse tendessero quindi a credere che il “padre” è
quello che porta i calzoni e la “madre” quella che porta la gonna, o comunque che la
differenza stia nella capigliatura, nella forma del corpo o nei vestiti.
« Certamente noi ci comportiamo nello stesso modo con le due parti di noi » egli disse.
«Noi avvertiamo che c’è un altro lato di noi stessi. Ma quando cerchiamo di afferrare
quell’altro lato, il tonal s’impadronisce del comando e come direttore è assai gretto e
geloso. Ci abbaglia con le sue astuzie e ci costringe a rimuovere il minimo indizio
dell’altra componente della coppia, il nagual. »

Carlos Castaneda
“The Island of the Tonal”
Tales of Power, Simon & Schuster,
New York, 1974, pp. 116-127
traduzione di Giuliano Tescari
21 marzo 2009

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