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IL CASO
VOLKSWAGEN
Scoperto per la prima volta nel 2014 il Dieselgate o scandalo sulle
emissioni ha riguardato la scoperta della falsificazione delle emissioni di
vetture muniti di motore diesel del gruppo Volkswagen venduti negli Stati
Uniti d'America e in Europa.
LE PRIME INCONGRUENZE
Una dettagliata relazione di Bloomberg ricostruisce le tappe dello
scandalo, che ha il suo prologo nei primi mesi del 2014. I primi sospetti
sorgono a Peter Mock, responsabile per l’Europa dell’International
Council on Clean Transportation. L’Icct, organizzazione indipendente che
si occupa di trasporti e sostenibilità, conduce test sulle emissioni nocive
delle versioni europee di tre automobili diesel: una Volkswagen Jetta e
una Passat, oltre che una Bmw X5. In laboratorio nessuno dei tre modelli
risulta fuori norma per quanto riguarda la valutazione degli inquinanti, in
particolare degli ossidi di azoto NOx. Diverso il discorso per le prove su
strada, durante le quali i due veicoli Volkswagen forniscono prestazioni
diverse e decisamente peggiori. La discrepanza è troppo evidente per
passare inosservata, soprattutto se tali dati provengono da auto
equipaggiate con un motore di ultima generazione come il diesel 2.0
Tdi ad iniezione diretta.
LE SUCCESSIVE GIUSTIFICAZIONI
Mock e German chiamano in causa le autorità. Il California Air Resources
Board avvia le indagini. A metà 2014 la Volkswagen è chiamata a dare
delle risposte. La casa automobilistica argomenta che le differenze tra i
valori misurati sono da ricondurre a piccoli problemi tecnici delle auto e
alle sollecitazioni a cui la guida su strada, fatta di traffico e continue
accelerazioni, le ha sottoposte. A dicembre Volkswagen esegue
un aggiornamento volontario dei software di circa mezzo milione di
veicoli venduti in America. Sostengono così di aver risolto il problema. Il
California Air Resources Board, però, non crede alle ricostruzioni dei
tedeschi e chiede conto della mancata segnalazione delle emissioni da
parte dei veicoli. Gli elementi raccolti portano al coinvolgimento dell’Epa,
la United States Environmental Protection Agency.
SOLO L'INIZIO?
Nel frattempo Volkswagen ha già pagato caro in Borsa la vicenda: nelle
ore successive la pubblicazione della notizia le sue azioni hanno perso
circa il 20% del valore a Francoforte. Il giorno 24 la quotazione ha avuto
un rimbalzo, poi vanificato da successive perdite miliardarie. Non solo la
casa di Wolfsburg è andata a picco: giovedì il crollo ha riguardato i
principali brand europei del settore, su tutti Bmw, Fiat e Peugeot. Risulta
ormai evidente che il Dieselgate sia a un passo da investire le altre grandi
case automobilistiche. Bmw, pur uscita indenne dai primi test su strada, è
ora chiamata in causa dalla rivista tedesca Auto Bild. Secondo il giornale
le emissioni di ossido di azoto delle X3Drive 20d avrebbero superato di 11
volte i limiti previsti dalle norme Euro6, come riportano dati
dell'International Council on clean transportation. "Mai usato dispositivi
che influiscano sull'esito dei test" la risposta giunta da Monaco di Baviera.
Sempre in Germania Audi, Opel e Mercedes-Benz avrebbero in passato
restituito risultati insolitamente difformi nelle prove in strada e in quelle
in laboratorio. Coinvolta anche Seat, consociata spagnola di Volkswagen:
secondo El Pais circa mezzo milione di modelli utilizzano il software
truccato. La faccenda inoltre pare destinata a investire anche le alte sfere
della politica continentale perchè, scrive il britannico The Guardian, i
governi di Germania, Gran Bretagna e Francia avrebbero fatto pressioni
sulla Commissione europea per evitare una stretta sui test anti emissioni.
Insomma le falle nel sistema di controllo sarebbero state note, anzi
volute.
LE INEVITABILI DIMISSIONI
Fino a poche settimane prima Martin Winterkorn era stato giudicato dagli
azionisti di Volkswagen il miglior manager possibile. Clamoroso eppure
inevitabile, dunque, il suo passo indietro dalla carica di Ceo. Sedeva su
quella poltrona dal 2007 e puntava a terminare il suo mandato nel
2018.Per giorni, pur negando ogni complicità, non era riuscito a
abbozzare una linea difensiva credibile. “Mi dimetto per il buon nome del
Gruppo ma non ho responsabilità” ha commentato. Oggi Volkswagen è
retta da un consiglio esecutivo composto da sei persone, la nomina del
successore di Winterkorn dovrebbe giungere a breve. Non dovrebbe
volerci molto nemmeno per il repulisti ai vertici, con tante teste destinate
a saltare. "Chiunque abbia preso parte alla frode ha arrecato un danno
incalcolabile alla Volkswagen, e ne pagherà tutte le conseguenze" si legge
su un comunicato diffuso il 24 settembre. Il gruppo ha anche fatto sapere
che si muoverà per via legale contro i responsabili e ha varato
una commissione d'inchiesta per fare luce su quanto accaduto. Intanto
però, da quanto si apprende, l'ex Ceo avrà diritto ad una pensione da 28,6
milioni di euro e con ogni pure una ricca buonuscita.
SI MUOVE L'ANTITRUST UE
A luglio 2017, il Dieselgate irrompe in Europa. L'Antitrust dell’Ue inizia le
indagini su un possibile cartello tra Volkswagen, Daimler, BMW, Audi e
Porsche. Quest'ultima, però, si oppone, in quanto i modelli sotto accusa
utilizzavano motorizzazioni Audi. Questo porta Porsche alla richiesta di
200 milioni di risarcimento da Audi. Il 12 giugno 2018 il Ministero dei
trasporti tedesco ordina il ritiro immediato in Europa di 774mila veicoli
diesel Daimler, di cui 238mila solo in Germania. Il provvedimento riguarda
furgoni Mercedes Vito e auto classe GLC e C. In precedenza Audi
aveva richiamato 127mila veicoli dopo che l'autorità nazionale dei
trasporti, la KBA, aveva dichiarato non conformi i software di controllo
delle emissioni dei modelli diesel Euro 6.