Sei sulla pagina 1di 16

Capitolo 9 + capitolo 1 del Revelli 1

La progettazione didattica è molto importante poiché essa, nell’insegnamento linguistico, assume


una valenza educativa: l’apprendente non solo trasforma le proprie competenze linguistico-
comunicative, ma anche il proprio potenziale cognitivo, certi aspetti della propria personalità e
atteggiamenti nei confronti del mondo. Le mete da conseguire con l’insegnamento delle lingue,
secondo il QCE, sono plurilinguismo e pluriculturalismo, non intesi come la giustapposizione di
più lingue e culture nel repertorio individuale e/o collettivo, ma come l’acquisizione di una
competenza che consenta interazioni sociali interculturali, favorendo la costruzione di una
cittadinanza democratica, la cooperazione e l’integrazione a livello europeo. Nonostante spesso
multilinguismo e plurilinguismo vengano utilizzati come sinonimi, il plurilinguismo mette più
l’accento sull’integrazione. Una delle finalità dell’azione didattica è, dunque, la valorizzazione della
diversità e dell’identità linguistica-culturale e, a tal proposito, la presenza di alunni con cittadinanza
non italiana nella scuola rappresenta un’opportunità per tutti.

Modelli di progettazione didattica

Riconduciamo le diverse metodologie di progettazione didattica a due matrici:

andamento lineare  apprendimento come processo di accumulazione progressiva di


conoscenze e abilità (progettazione per obiettivi)
struttura reticolare  apprendimento come processo di scoperta (progettazione per sfondi
integratori e task-based)

La progettazione per obiettivi

Elaborata in ambito comportamentista, ha una concezione lineare e cumulativa del percorso di


apprendimento, il quale procede dal semplice al complesso, e insiste sugli aspetti osservabili degli
obiettivi. L’azione progettuale consiste nell’individuazione di obiettivi da raggiungere seguendo un
itinerario didattico e da formulare in termini di comportamenti osservabili e il loro conseguimento
verificato. Ogni obiettivo può essere realizzabile ad un determinato livello, deve essere cioè
operazionalizzato ( buona formulazione di un obiettivo  cosa lo studente deve essere in grado di
fare, avendo a disposizione che cosa, a quale grado di accuratezza). Bisogna inoltre adottare un
criterio di misurazione, in modo tale da capire se l’apprendimento ha avuto esiti positivi o meno.
Gli obiettivi devono essere anche disaggregabili in sotto-obiettivi, cioè in capacità parziali che
consentono di acquisire abilità più complesse. Dunque è possibile articolare il percorso di
insegnamento in obiettivi generali, intermedi e finali. Il progetto didattico deve anche fornire
indicazioni sul sistema di verifica, il quale accerterà il conseguimento degli obiettivi fissati. Tale
sistema porterà poi all’elaborazione di strategie di recupero appropriate. Il feed-back fornito
dunque non riguarda solo gli studenti, ma anche l’operato dell’insegnante. Nelle progettazioni
realizzate oggi non si parla più di comportamenti, ma di competenze dell’apprendente.

La progettazione per sfondi integratori

Questo tipo di progettazione si basa sul principio gestaltico, secondo il quale le nostre percezioni
costituiscono un’unità strutturata, il cui rapporto con le diverse parti è colto unitariamente in
relazione ad un contesto. In base ai bisogni degli alunni e agli obiettivi da conseguire, nella
progettazione per sfondi integratori si ricorre a tre tipi principali di sfondi:
- metaforico 2
- narrativo
- simulazione di contesti

La selezione del tipo di sfondo è affiancata nell’attività di progettazione dalla definizione dello
sfondo istituzionale. L’insieme di percorsi intrecciati costituisce un nucleo progettuale.

La progettazione per compiti (task-based)

Per compito (task) si intende un’attività da realizzare in classe, in cui la lingua oggetto di
apprendimento è usata con uno scopo comunicativo per conseguire un esito. I compiti sono dunque
delle attività che per essere eseguite implicano l’uso della lingua che si sta apprendendo. Questo
modello considera i task, le unità di base delle scelte da operare nella pianificazione di interventi
didattici. I compiti devono presentare un grado di complessità adeguata al livello di apprendimento
degli studenti, in modo tale da permettere all’apprendete di svolgere l’attività con fluenza e
accuratezza, ovvero prestando attenzione sia al contenuto che al piano espressivo. I compiti si
dividono in attività di pre-task, task-cycle e in attività di post-task, le attività di pre-task
chiariscono il contenuto del compito, sollecitano la pianificazione del compito e inducono lo
studente ad utilizzare strutture complesse. Il task-cycle sarebbe lo svolgimento del compito, su cui
influiscono le condizioni di esecuzione che si articola in tre stadi:

- esecuzione del compito in coppia o in gruppi;


- pianificazione;
- presentazione del resoconto alla classe, nel corso del quale vi è un confronto.

Le attività di post-task hanno la funzione di guidare lo studente alla riflessione linguistica. Sulla
base degli esiti dell’attività di verifica si apre una nuova fase di progettazione, attraverso cui
vengono pianificate nuove sequenze di compiti e strutturati nuovi cicli di monitoraggio.

Fasi della progettazione didattica

In generale, la pianificazione di un percorso di studi si articola in fasi che si intersecano,


focalizzandosi sui seguenti aspetti:

- La situazione in cui si realizza il corso (caratteristiche dei discenti, il luogo, i tempi, le


modalità di svolgimento, le risorse disponibili)
- I bisogni degli apprendenti
- La definizione del sillabo
- Il sistema di verifica da adottare

L’analisi della situazione di apprendimento/insegnamento

Per quanto riguarda il contesto operativo nel quale si realizza il corso di lingua, bisogna tenere
conto di alcune variabili, ovvero:

- Specificità dell’istituzione in cui il corso viene tenuto;


- Durata complessiva del corso e scansione degli incontri;
- Disponibilità di mezzi tecnologici;
- Caratteristiche degli spazi in cui si tengono le lezioni.
Bisogna inoltre tenere conto delle variabili legate all’utente, le quali costituiscono pre-condizioni 3
per la progettazione del percorso didattico. Si tratta di variabili come l’ambiente socio-culturale
dello studente, la sua età, il livello di competenza della lingua, l’eventuale conoscenza di altre
lingue e la precedente esperienza di scolarizzazione.

L’analisi dei bisogni

Distinguiamo due tipologie di bisogni: soggettivi, ovvero legati al singolo apprendente, e oggettivi,
cioè derivati dagli scopi e dalle mete per cui la lingua viene appresa. L’identificazione dei bisogni
può avvenire attraverso questionari o interviste dirette. L’analisi dei bisogni rilevati può essere
condotta a vari livelli di generalità: livello globale  situazioni in cui i discenti useranno la lingua;
livello retorico; livello grammaticale-retorico; livello grammaticale.

La definizione del sillabo

Il sillabo è la definizione del contenuto e degli obbiettivi specifici di un corso di lingua, dunque le
conoscenze e le abilità che acquisirà l’apprendente al fine di eseguire determinate prestazioni
linguistiche. Il sillabo sarà diverso per ogni livello di corso, poiché si stabilisce in base ai bisogni
degli studenti. I fattori da prendere in considerazione per la preparazione del sillabo sono 6:

1. Livello di conoscenza dell’italiano da parte del singolo o dell’intero gruppo;


2. Tempo a disposizione per il corso di lingua e per lo studio individuale. Per un corso non-
intensivo si utilizzeranno più materiali che in un corso intensivo, sia perché non si possono
trattare troppi argomenti nella stessa lezione sia perché ci sarà più tempo per lo studio
individuale;
3. Lingua madre degli studenti, poiché questa influenzerà la scelta delle forme e delle strutture;
4. Altre lingue conosciute, per i motivi sopra e perché l’aver appreso una o più lingue avrà
portato lo studente allo sviluppo di determinate strategie di apprendimento;
5. Età degli studenti, la quale condizionerà la scelta del materiale linguistico e quella delle
forme e delle strutture;
6. Grado di istruzione.

Selezione del tipo di materiale linguistico

Nell’insegnamento dell’italiano come LS/L2 bisogna sempre tenere conto delle varietà, infatti non
se ne dovrà insegnare solamente una, salvo casi rari. L’italiano standard è una varietà che sembra
quasi non esistere al di fuori del modello ideale che si vorrebbe insegnare agli stranieri, dunque
nella scelta del materiale linguistico da inserire nel sillabo bisognerà tenere conto della diversità
regionale, della diversità funzionale-contestuale, della diversità che dipende dall’uso scritto o
parlato della lingua e della diversità legata al diverso uso nei gruppi sociali. Varietà diatopiche →
Bisogna sempre tenere conto delle variazioni regionali, sia per quanto riguarda accento e pronuncia
sia per quanto riguarda lessico e morfosintassi. È importante, inoltre, sottolineare che l’italiano
appreso nei corsi in Italia sarà un italiano regionale e non standard, e che questo non deve in alcun
modo preoccupare lo studente poiché quasi nessuno parla italiano standard. In ogni caso, bisognerà
operare delle scelte, se il corso di lingua è rivolto ad apprendenti che risiederanno in Italia
settentrionale, per esempio, non sarà necessario insistere sul passato remoto poiché lì è una forma
scarsamente utilizzata, oppure si presterà attenzione alla scelta di varianti regionali quali
“conegrina” per “candeggina”, o “papà” per “babbo”. Varietà diafasiche → La selezione di 4
sottocodici è importante per corsi mirati di italiano settoriale; se per esempio si insegna italiano a
delle persone che vogliono lavorare in una stazione sciistica bisognerà scegliere la lingua speciale
degli sport invernali, se si insegna a ragazzi stranieri inseriti in una scuola bisognerà prestare
attenzione alla lingua dello studio, ma anche alla lingua della comunicazione. Varietà diamesiche
→ Generalmente, in un sillabo rientrano sia la varietà scritta che quella parlata, ma ci sono casi in
cui dovrà essere selezionata solamente una delle due, per esempio in un corso per bambini in età
prescolare verrà selezionata solo la varietà parlata. Varietà diastratiche → Solitamente nella
preparazione del sillabo non si tiene conto delle varietà diastratiche, tuttavia può capitare che un
corso di italiano per stranieri abbia proprio la finalità di inserire gli apprendenti in uno specifico
gruppo sociale, pensiamo per esempio ai ragazzi che vogliono principalmente socializzare con i loro
pari.

Selezione delle forme linguistiche

La scelta delle forme linguistiche si basa sul materiale linguistico selezionato, tenendo conto degli
obbiettivi del corso. Se l’obbiettivo di un corso è principalmente quello di insegnare a comprendere
l’italiano scritto (scolastico), bisognerà distinguere le forme per le quali dovremo dare una
competenza attiva (scrivere un testo letterario) da quelle per le quali dovremo dare una competenza
passiva (comprendere un testo letterario). Tale distinzione tra competenze va applicata anche alle
forme linguistiche, la cui scelta deve avvenire su tre livelli: fonologico, morfosintattico e lessicale.
Quanto più basso il numero di elementi presenti in ciascun livello, tanto più limitata sarà la scelta di
ognuno di essi. Per quanto riguarda il livello fonologico e quello morfologico, pochi se non nulli
saranno gli elementi che possono essere esclusi dal sillabo. Per quanto riguarda, invece, il livello
sintattico, sono presenti più elementi e sarà più facile selezionare le strutture da escludere, per
esempio da un sillabo per un corso per principianti si potrà escludere la forma passiva. Poiché il
lessico italiano è costituito da moltissime parole, a livello lessicale sarà più facile compiere una
scelta. Nel sillabo dei corsi base, per esempio, potremmo inserire semplicemente le parole del
dizionario fondamentale, tutto dipenderà dalle varietà di lingua selezionate e dagli obbiettivi del
corso.

Criteri di selezione di materiale e forme:

- Frequenza  si scelgono gli elementi più frequenti nel contesto in cui si dovrà usare la
lingua;
- Distribuzione  si scelgono elementi con distribuzione più uniforme in diversi contesti
d’uso (articoli e aggettivi come “alto”, “grande”, “lungo”);
- Disponibilità  si scelgono elementi necessari per le situazioni comunicative
fondamentali (bagno, mangiare, pronomi personali soggetto);
- Copertura  si scelgono elementi polivalenti che possono essere usati al posto di altri
(“persona” = insegnante → persona che insegna, etc., imperfetto al posto del
condizionale passato);

La selezione degli elementi presenti nel sillabo si basa anche sui criteri di apprendibilità e
insegnabilità:
- Apprendibilità  maggiore facilità con cui gli studenti possono apprendere strutture 5
semplici o forme simili a quelle della loro lingua madre;
- Insegnabilità  specchio dell’apprendibilità, per esempio si può scegliere di insegnare
nomi concreti piuttosto che nomi astratti, poiché più “visibili”.

Altri criteri di selezione sono quelli esperienza e intuito, i quali devono essere sempre accompagnati
dal confronto con colleghi e altri parlanti nativi.

Selezione dei testi

Sulla base delle antecedenti scelte, si selezioneranno anche i testi da usare per il corso. Esistono tre
tipi di testi:

1. Testi autentici, ovvero provenienti da libri, giornali, film, trasmissioni radio o televisione
etc.
2. Testi costruiti, ovvero quelli che riflettono esattamente gli argomenti del sillabo;
3. Testi adattati, cioè testi autentici “aggiustati” in modo tale da riflettere gli argomenti del
sillabo e, dunque, potere essere utilizzati nel corso di lingua.

La trattazione degli argomenti del sillabo non si esaurisce nella loro prima presentazione, ma viene
ripresa più volte, conferendo al sillabo un andamento a spirale. Nell’ambito dei sillabi
proposizionali si collocano i sillabi formali, volti al raggiungimento dell’accuratezza nella
produzione, e i sillabi funzionali, i quali selezionano i contenuti in relazione alle esigenze degli
apprendenti. Nella progettazione per compiti si elaborano sillabi procedurali, i quali sono costruiti
secondo categorie linguistiche e tutto è deciso dall’insegnante, e i sillabi processuali, i quali si
discostano da tutti gli altri perché l’apprendente è coinvolto nel processo decisionale relativo al
corso di lingua.

La verifica degli apprendenti

Successivamente alla verifica si potrebbero verificare la riprogettazione del sillabo, la revisione dei
percorsi che conducono ai diversi nuclei progettuali o alla pianificazione di nuove sequenze di
compiti. A seconda del modello di progettazione didattica adottato, le forme di verifica previste
variano. Nella progettazione per obiettivi si è passati dal test standardizzato a quello comunicativo;
nella progettazione per sfondi integratori si adotta il test diffuso, cioè l’osservazione sistematica dei
bambini durante lo svolgimento delle attività didattiche; nella progettazione per compiti si ricorre,
invece, a cicli di monitoraggio, attraverso cui viene effettuata la valutazione di quali forme
linguistiche sono diventate intake e quali devono costituire ancora oggetto di apprendimento.

La progettazione di percorsi di apprendimento online

Tutto ciò che avviene in un ambiente di apprendimento virtuale deve essere previsto e predisposto
prima dell’erogazione del corso, poiché molto spesso ci si serve di strumenti di comunicazione
asincrona, per cui l’insegnante non ha un feed-back diretto da parte degli studenti. La specificità
della progettazione inerente l’attività formativa mediata dalle tecnologie telematiche riguardano i
seguenti punti:

- Scelta dell’infrastruttura tecnologica;


- Caratteristiche dell’ambiente di apprendimento che si vuole allestire; 6
- Individuazione delle figure che intervengono nei processi di progettazione, produzione ed
erogazione del corso e i loro compiti;
- Ruolo della verifica.

Capitolo 10

L’incontro/lezione (IL)  Il termine “lezione” rimanda alla lettura, infatti il docente legge,
interpreta e trasmette il suo sapere a un pubblico indifferenziato. I manuali di lingua straniera
derivati dal concetto di “lezione” presentano solitamente un percorso di tipo deduttivo, ovvero
partono dalla regola grammaticale, ne mostrano gli esempi e successivamente presentano esercizi di
lettura seguiti da una concentrazione sul lessico. La lezione è congeniale nell’insegnamento in
presenza quando la classe è composta da un gruppo numeroso di persone con competenze
omogenee e obiettivi comuni; il docente non di madrelingua non dispone della fluenza orale
necessaria a coinvolgere la classe in attività realizzate esclusivamente nella lingua di
apprendimento; il docente si pone l’obiettivo di fornire spiegazioni in maniera strutturata, sintetica e
ragionata. La dimensione frontale caratterizza anche contesti di apprendimento guidato a distanza
quando l’insegnamento viene impartito tramite videoregistrazioni, videoconferenza o l’interazione
online viene gestita da un tutor didattico che fornisce soprattutto feed-back collettivi sotto forma di
interventi scritti rivolti a tutto il gruppo degli studenti che appartengono alla classe virtuale. Se si
intende la lezione come un’unità di tempo, allora potremmo definirla anche “incontro”.

Che cosa è l’UD? È l’unità di organizzazione del lavoro formativo.

L’unità didattica (UD)  La teoria della psicologia della Gestalt descrive la percezione come
globalità-analisi-sintesi, l’atto didattico viene rielaborato in questi stessi termini. Secondo Carl
Stumpf, la mente umana interpreta la realtà nel suo insieme grazie a dei processi innati, di
conseguenza sarà più efficace proporre i contenuti di una disciplina di studio seguendo un percorso
che dalla globalità passi all’analisi e si concluda poi con la sintesi. L’unità didattica si compone di
una sequenza di fasi che si articola in un periodo di 4-6 ore e comprende incontri/lezioni in classe e
lo studio individuale. Nell’arco di queste ore il docente evidenzia e punta al raggiungimento di
obiettivi glottodidattici che saranno poi verificati al termine del percorso. Le tre fasi fondamentali
dell’UD, dunque, sono:

1. Globalità  comprensione generale dell’argomento presentato


2. Analisi  esplorazione dell’argomento in tutte le sue caratteristiche
3. Sintesi  reimpiego di strutture e contenuti dell’argomento, allo scopo di fissare i contenuti
linguistici e culturali analizzati

La fase della motivazione precede queste ultime tre, che sono invece poi seguite dalla riflessione e
dal controllo:

- Motivazione  si propongono attività di brain-storming per tirare fuori le conoscenze già


possedute dagli allievi sul tema dell’UD
- Riflessione  si sistematizzano i fenomeni linguistici e culturali incontrati nei testi e nelle
attività in classe
- Controllo  il docente verifica se gli obiettivi sono stati raggiunti, se sì si passa alla UD 7
successivo, altrimenti si elaborano attività di rinforzo o recupero.

Marcel Danesi definisce la UD bimodale: secondo lui gli esseri umani elaborano i messaggi
utilizzando le diverse modalità che caratterizzano i due emisferi cerebrali  l’emisfero destro
percepisce il contesto del messaggio, l’emisfero sinistro percepisce meglio i singoli elementi;
quando si entra in contatto con un nuovo stimolo, si attiva inizialmente M/DS, successivamente
M/SN, infine si attiva la fase “intermodale”, in cui entrambi gli emisferi entrano in gioco per
utilizzare in modo autonomo le info derivate dallo stimolo. Questa sequenza corrisponde al
principio di “bidirezionalità emisferica” che dovrebbe guidare anche le attività orientate
all’apprendimento linguistico. Questa teoria viene ribadita anche da Paolo Balboni.

L’unità didattica, tuttavia, ha anche dei limiti: riflette più la prospettiva del docente che i processi
mentali dell’apprendente veri e propri, la realizzazione delle sue varie fasi si rivela di rigida
applicazione, non è applicabile facilmente nel caso di realtà di insegnamento caratterizzate
dall’oscillazione delle presenze; nonostante questo però l’UD resta valida nella misura in cui: tiene
conto dei processi mentali implicati nell’acquisizione/apprendimento della L2; l’acquisizione non
avviene solo nell’incontro con il docente, ma comprende anche un lavoro autonomo o attività da
svolgere in un contesto extrascolastico; contiene in sé l’idea di carico di lavoro documentabile, che
sta alla base dei CFU.

L’unità didattica centrata sul testo (UDt)  Si basa sulla centralità del testo; l’input testuale
offre modelli di lingua, esempi di uso comunicativo, di variabili sociolinguistiche, generi e tipologie
testuali. Anche in questo caso tutto si struttura sulla base di interazioni sociali e comunicative tra
studenti e docente, le quali rappresentano per gli apprendenti un terreno di coltura per lo sviluppo
dell’interlingua, e per l’insegnante una revisione del proprio agire didattico. Nella fase iniziale
dell’UDt si forniscono le coordinate indispensabili per la comprensione del testo, nella fase finale si
deve essere capaci di riutilizzare i materiali linguistici e culturali (output comunicativo).

L’unità di apprendimento (UdA)  Nel 2002 Balboni rivede la sua idea di unità didattica come
composta da tante piccole unità di apprendimento, le quali possono durare da pochi minuti a un’ora.
Guardando i fenomeni di apprendimento dalla prospettiva dell’apprendente sono rilevanti la
dimensione neurolinguistica (età, fenomeni della memoria, bimodalità) e la dimensione
psicolinguistica (ansia, filtro affettivo, attenzione, motivazione). Ogni studente rielabora le unità di
apprendimento a modo suo, riorganizzando i saperi precedenti in base alle nuove conoscenze e
competenze acquisite. Le UdA dunque non sempre si attivano secondo la sequenza prevista dal
docente o dal libro di testo, ma possono essere da questi sollecitate. Dunque una serie di variabili è
legata al docente, ma il resto dipende da fattori individuali all’apprendente.

Il Learning Object (LO)  risorsa online per l’apprendimento, autonoma, riutilizzabile,


facilmente rintracciabile e condivisibile.

Il Modulo (M)  Il modulo è una parte significativa di un più esteso percorso formativo
programmato. È un percorso tematicamente organico che può riguardare un periodo o una corrente
di pensiero accomunati da determinati eventi o caratteristiche. Si distingue per alcune sue
specificità:
- Autonomia  sezione autosufficiente di un insieme di contenuti 8
- Flessibilità  un modulo può essere composto di più UD
- Raccordabilità  la successione fra moduli può essere obbligata o opzionale per consentire
di organizzare percorsi reticolari alternativi
- Complessità  un modulo deve basarsi su ambiti comunicativi complessi (tempo libero
in discoteca, al ristorante etc.)
- Valutabilità  deve essere valutabile nel suo complesso o nelle sue parti

L’unità di lavoro (UdL) 

Roche parla di una suddivisione della lezione di lingua o unità didattica in cinque momenti
sequenziali:

1. Attivazione/organizzazione preventiva/introduzione;

2. Differenziazione dei temi  si affronta un tema mediante testo;

3. Differenziazione delle strutture  i risultati ottenuti dall’analisi del testo vengono recuperati e
approfonditi in maniera sistematica. Il docente porta esempi, guida l’apprendimento;

4. Ampliamento/espansione gli argomenti trattati vengono ripresi a partire da un testo più


difficile o con compiti più complessi, per esempio nel lavoro per progetto. Importante è
l’interazione tra pari.

5. Integrazione/riflessione.

Viste le nuove realtà di apprendimento guidato formale ed informale è necessario individuare un


termine che permetta di indicare in maniera chiara il fatto che non è possibile scindere i fenomeni
dell’insegnamento/apprendimento linguistico e preferire l’idea di un unità di lavoro (UdL) che
permette di indicare una pluralità di casi concreti e corrisponde meglio ad una progettazione logica
e finalizzata. L’espressione unità di lavoro non è nuova, si usa in campo informatico per indicare
una sequenza recuperabile di operazioni all’interno di un processo applicativo. Sia questa accezione
che l’idea di un lavoro condiviso che metta in evidenza come un’operazione di questo tipo non può
essere portata avanti se non da entrambi i principali soggetti interessati come pure l’idea di lavoro
inteso come sinonimo di sforzo e soddisfazione ci fa essere a favore di questa nuova definizione.

a) UdL come iperonimo di UD, Unità didattica bimodale, UdA, UDt; passiamo da una
definizione di UD come “rete di unità di apprendimento, centrata sul testo e l’interazione”
ad una di UdL come “micropercorso di apprendimento guidato”.
b) UdL come lavoro condiviso  docente e discenti lavorano insieme per raggiungere degli
obiettivi e insieme ne definiscono la modalità di raggiungimento.
c) UdL come percorso unitario e in sé concluso  realizzare un’esperienza formativa capace
di consentire il riconoscimento delle competenze acquisite.
d) UdL come realizzazione progettuale  dovrebbe servire a rendere conto del modo in cui i
principi teorici sull’apprendimento/insegnamento della L2 si traducono in termini di
progettazione e realizzazione delle attività. Il docente dovrà selezionare le opzioni tra cui
scegliere adeguandole al contesto. Di questa dimensione fanno parte i formati didattici, la
gestione della classe, i testi, l’approccio, l’organizzazione, il controllo ecc.
e) UdL come valorizzazione dell’apprendimento guidato  ha lo scopo di tradurre in pratica la 9
differenza tra apprendimento spontaneo e guidato nell’accelerare i processi di
apprendimento della L2. Il docente e gli studenti sanno che a fare la differenza sono:
l’incontro con il testo, il percorso induttivo guidato dal docente, il valore dato ai bisogni dei
discenti e la progettazione dell’UdL come tappa del curricolo finalizzata al raggiungimento
di competenze valutabili, accreditabili e spendibili.

UdL in più formati  È possibile realizzare l’UdL in tre formati sulla base dell’interazione fra
docente e apprendenti:

- Incontro/lezione, dunque singolo incontro fra docente e studenti


- Unità didattica, cioè 2/3 incontri/lezione caratterizzati da un progetto unico e una serie di
attività organizzate
- Modulo, organizzato in più UD accomunate da un tema o da un obiettivo di apprendimento

Il formato in cui si realizza l’UdL minima è quello dell’I/L, per darle senso il docente deve porsi
degli obiettivi limitati ma raggiungibili tenendo presenti le diverse variabili che influiscono sui
processi di apprendimento: i partecipanti, il contesto, gli scopi. Dovrà inoltre realizzare un
dettagliato piano lezione. Più IL possono aggregarsi in una UD: si tratta di corrispondenza tra UD e
UdL, come parti di un percorso strutturato in UD o M. Più UD possono aggregarsi in M: in questo
caso l’unità progettuale si riferisce al modulo, che verrà a rappresentare l’UdL massima.

UdL in tre fasi  L’UdL si organizza in tre momenti sequenziali:

1. Introduzione  motivazione, attivazione, organizzazione preventiva


2. Svolgimento  incontro con i testi, differenziazione di temi e strutture, ampliamento,
espansione, integrazione, riflessione
3. Conclusione  attività basate sull’output

L’inizio di ognuno di questi percorsi si realizza con tecniche per accentuare o creare motivazione
mentre la fine alle attività legate all’output con controllo formale o informale. Questo filo
organizzativo non esclude però la dimensione non sequenziale dell’apprendimento, che si realizza
in quelle “molecole” o “unità minime di apprendimento” arrivate nei processi mentali degli studenti
durante una seduta, un’attività, un LO. Prendere atto di questa reticolarità dell’acquisizione della L2
porta a considerare la fase intermedia dell’UdL con un’attenzione maggiore: se l’inizio e la fine del
percorso vedono in primo piano il docente, il resto dell’UdL è in mano agli apprendenti. Il docente
sviluppa la sua “agenda nascosta”. Nonostante i limiti, un LO può considerarsi l’UdL minima per
l’apprendimento con supporto tecnologico costruita in formato digitale per uno specifico obiettivo
matetico. I tempi e il fatto di poter costruire una tappa di un percorso individuale di apprendimento
ci portano a considerare il LO speculare rispetto all’UdA rendendolo pare di quella rete di attività
individuali che rappresentano l’impalcatura a cui si aggancia l’insegnamento/apprendimento
interattivo e guidato.

Capitolo 11

In una classe di italiano L2 l’interazione ha un ruolo fondamentale, sia essa tra docente e allievi, tra
allievi soltanto o tra allievi e il tirocinante/mediatore interculturale, dunque a prescindere dal ruolo
degli interlocutori. Una prima questione riguarda l’organizzazione dei flussi di parlato: ogni
interazione può essere considerata come un insieme di relazioni potenziali che possono determinare 10
una diversa densità comunicativa fra gli interlocutori. A livello qualitativo si possono alternare
momenti di interazione asimmetrica, per esempio quando il docente spiega o interroga, e momenti
di interazione fra pari o con tipi di asimmetria diversi, per esempio quando interagiscono tra loro
studenti con competenze diverse in L2. A livello quantitativo si possono verificare tempi diversi di
gestione dei turni di parola: in genere, essi sono gestiti dal docente in modo tale da facilitare lo
sviluppo della competenza in L2 dei vari studenti. Il docente può organizzare la lezione secondo tre
modelli:

1. “a stella”: lezione frontale, monologo del docente e intervento degli studenti con presa di
parola non libera;
2. “a reticolo”: interazione collettiva con presa di parola libera da parte del docente e degli
studenti;
3. “a isolotti”: lavori di gruppo, con interazione fra pari e intervento del docente come
supporto su richiesta degli apprendenti.

Dunque, la densità comunicativa, il cui ruolo è cruciale nell’acquisizione della L2, dipende anche
dal formato didattico scelto dal docente in base ai compiti comunicativi e alle tecniche didattiche
che intende proporre agli studenti. Il docente può adottare una serie di approcci metodologici:

 Metodo grammaticale-traduttivo  si basa soprattutto sulla lettura del testo scritto e alla
traduzione dalla L1 alla L2, l’uso della L2 in classe si rimanda al momento del pieno
possesso delle strutture della lingua;
 Metodo diretto  il docente si rivolge agli studenti costantemente in L2, l’input non è
modificato;
 Metodo audio-orale  iperesposizione degli studenti ad una L2 orale, l’input è modificato,
ma manca l’interazione in L2.

Nei vari approcci umanistico-affettivi il parlato del docente ha ruoli diversi:

 Silent Way  Il docente tende a stare in silenzio o a limitare il suo input sonoro, in modo
da favorire la produzione del discente;
 Suggestopedia  si basa sul potere evocativo e suggestivo della voce del docente;
 Total Physical Response (plurisensoriale)  gli ordini verbali in L2 del docente,
diventano azioni fisiche degli studenti, dunque azioni verbali e non verbali sono legate;
 Community Language Learning  il docente è un consulente che tiene conto dei bisogni
dell’apprendente e ricorre, secondo la necessità, alla L1 o alla L2, anche in alternanza (code-
switching);
 Natural Approach  fa riferimento alla teoria di Krashen, l’input deve essere
comprensibile, dunque modificato, altrimenti è inefficace.

Nell’interazioni fra le componenti del processo glottodidattico vi sono diverse variabili in gioco,
esaminate da Balboni sulla base del modello S.P.E.A.K.I.N.G:

- Setting and scene  scena culturale in cui agisce il docente e luogo fisico in cui avviene
l’interazione;
- Participants  Partecipanti all’interazione;
- Ends  scopi ed esiti dell’apprendimento; 11
- Act Sequence  atti comunicativi e il modo in cui danno forma all’interazione;
- Key  chiave psicologica del discorso (tono e modo discorsivo che caratterizza il docente:
serio, ironico, distaccato)
- Instrumentalities strumenti didattici per la classe;
- Norms  norme di interazione sociale, le quali dipendono dalla comunità linguistico-
culturale degli apprendenti;
- Genre  genere comunicativo che emerge nell’interazione in classe.

Secondo l’approccio interazionista l’apprendimento è un processo sociale che avviene grazie


all’interazione, in contesti specifici. Le modalità in cui si realizza la didattica della L2 variano in
base alle componenti che influenzano l’atto comunicativo, ovvero il canale comunicativo, le
tecniche didattiche usate, il numero di studenti coinvolti, i ruoli degli interlocutori, il formato e gli
obiettivi. Nella gestione della classe di L2 entrano in gioco varie dimensioni, ognuna con aspetti
diversi: dimensione didattica, dimensione psicologica, dimensione sociolinguistica e interazionale,
dimensione interlinguistica e interculturale. L’interazione istituzionale asimmetrica presenta alcune
caratteristiche generali:

- Separazione e fissità dei ruoli dei partecipanti (asimmetria istituzionale)


- Prevalenza di parlato referenziale (trasmissione di informazioni) a scapito di quello
interazionale
- Strutturazione gerarchica della dislocazione spaziale (posizione del docente, posizione dei
banchi, degli studenti…)
- Tendenza alla non-bidirezionalità dei flussi di parlato (monologhi)
- Violazione delle regole di cortesia (gli studenti si aspettano che il docente corregga i loro
errori, allo scopo di aiutarli a migliorare nell’apprendimento)
- Agenda nota solo al docente
- Dipendenza dalla lingua scritta anche nella lingua orale (lettura ad alta voce, ripetizioni di
frasi, modelli della lingua scritta nel parlato controllato)
- Importanza della lingua in classe
- Uso di microlingue
- Registro formale
- Gestione dei turni da parte del docente
- Strutturazione prevedibile in fasi
- Correzioni esplicite
- Pause di silenzio prescritte agli studenti o vietate
- Intonazione marcata del docente
- Ricchezza di parafrasi soprattutto con allievi con competenze limitate
- Tripletta
- Artificiosità dell’interazione

Alcuni eventi comunicativi variano a seconda della cultura di provenienza dell’apprendente: da


cultura a cultura cambia il significato pragmatico attribuito a determinate scelte (una cosa che in
una cultura è indice di amicizia, in un’altra può essere considerata mancanza di rispetto); cambiano
le strategie comunicative preferite; cambia il modo di formulare richieste o di gestire la cortesia; il
ruolo del docente può rivestire minore o maggiore prestigio, per esempio in base al sesso.
Struttura a tripletta  Tale struttura caratterizza l’interazione docente/allievo e prevede tre mosse 12
fondamentali:

1. Apertura dell’insegnante, detta anche “mossa up”, che mette in luce il ruolo dominante del
docente;
2. Risposta dello studente, detta anche “mossa down”, in cui lo studente mostra il suo ruolo
subalterno;
3. Prosecuzione dell’insegnante, ovvero il follow-up/feed-back.

Incontriamo questa struttura specialmente nei momenti dedicati alla valutazione e nei formati di
lezione di tipo frontale. Secondo Jamila Boulima la lezione di lingua straniera si compone di atti,
mosse e scambi interazionali fra docente e discenti. Un atto è l’unità discorsiva minima
dell’interazione didattica; uno o più atti interazionali formano una mossa, ovvero un’azione o una
reazione con uno scopo comunicativo preciso; più mosse interazionali danno luogo ad uno scambio
comunicativo. Una serie di scambi costituiscono una sequenza interazionale e più sequenze
costituiscono una transazione, cioè l’unità di tempo in cui si svolge l’incontro tra docente e allievi.

Parlato del docente  Il modo di parlare alla classe dell’insegnante è una delle forme di input
comunicativo a cui l’allievo è esposto, dunque bisognerà porvi particolare attenzione. L’input deve
essere modificato e interattivo, nonostante non vi sia un rapporto tra quantità/qualità dell’input e
successo dell’apprendimento, questo sembra avere molti vantaggi.

Il foreigner talk, il baby talk, l’italiano popolare e le interlingue di apprendimento degli stranieri
presentano delle strategie comunicative comuni:

- Omissione di elementi grammaticali


- Espansione di elementi grammaticali
- Sostituzione/riorganizzazione delle forme linguistiche

Nella classe L2 si sommano il foreigner talk e il teacher talk (vedi altri appunti), entrambi
rispecchiano la teoria dell’adattamento, ovvero un processo consistente in una serie di modifiche
stilistiche nella produzione orale degli individui nelle varie situazioni sociali. In molti casi, il parlato
del docente è anche il modello di parlato più affettivamente vicino all’apprendente, al quale egli
tenderà ad uniformarsi nell’interlingua, ma che difficilmente riuscirà ad imitare in tempi rapidi
senza esercizi ed attività aggiuntive. Mettendo in relazione la comprensibilità dell’input con le sue
modifiche orientate in base alle competenze della classe e al tipo di interazioni possibili, è stata
elaborata una scala con valori crescenti di comprensibilità:

a) Input non modificato e non interattivo


b) Input modificato e non interattivo
c) Input non modificato e interattivo
d) Input modificato e interattivo

Il tipo di input a cui sono esposti gli studenti nelle diverse realtà di insegnamento è caratterizzato da
alcune tecniche didattiche e discorsive ricorrenti:

1. Uso di indicatori fatici tipici della lingua parlata (capito?, dai!, ok!, adesso…, ve lo
ricordate?)
2. Uso di mitigatori 13
3. Uso di codici non-verbali con finalità espressive e chiarificatrici, che accomuna sia le
spiegazioni che le istruzioni presenti nel corpus
4. Uso di strategie di trasparenza basate su fenomeni di riduzione o di elaborazione del
discorso.

Capitolo 12

Verifica  accertare la validità di un fatto mediante opportune prove

Valutazione  atto di giudicare e attribuire valore a qualcuno o qualcosa

Certificazione  certificare mediante attestato ufficiale l’esistenza di certe condizioni

Vantaggi della verifica e della valutazione linguistica in L2  Lo scopo della verifica e della
valutazione linguistica in L2 è quella di rendere conto di quali conoscenze o competenze in L2
possiede o ha acquisito il soggetto. Distinguiamo modalità diverse di verifica e valutazione a
seconda che si tratti delle conoscenze (sapere) e competenze (sapere fare) in L2 del soggetto, di ciò
che sa o sa fare in L2 in un momento particolare e indipendente dal sillabo, di ciò che ha appreso
durante un percorso di apprendimento guidato. Il vantaggio del discente è acquisire una
consapevolezza su quanto ha appreso e sa fare il L2, il vantaggio del docente è scoprire ciò che gli
alunni hanno imparato, in caso di carenze o lacune il docente riprogrammerà il percorso di
apprendimento (scopo del controllo).

Limiti della verifica e della valutazione linguistica in L2  Negli anni ’60 il testing di matrice
strutturalista era costituito essenzialmente con prove basate su frasi mirate ciascuna a verificare un
aspetto particolare della lingua. L’avvento di un nuovo genere di testing pragmatico, con prove
basate su unità minime o integrate si evolverà dagli anni ’80 ad oggi nelle forme di testing
comunicativo. Le novità del QCE riguardano la sua “graduabilità” in livelli che permette di mettere
luce su ciò che il soggetto sa fare anche sotto forma di competenze parziali. Verificare, valutare,
giudicare sono operazioni che comportano di per sé una serie di tensioni date sia
dall’indeterminatezza del soggetto (la lingua) sia la necessità di utilizzare parametri di valutazione
abbastanza precisi ed espliciti. L’obiettivo è trovare il punto di equilibrio tra queste due cose.

Le diverse modalità di verifica e valutazione linguistica in L2  I test linguistici possono essere


classificati in base a:

a) Scopo: test di profitto, test di livello, test di competenza generale;


b) Utilizzazione: test diagnostici per individuare i punti di forza e di debolezza nelle
conoscenze, test prognostici che misurano le specifiche capacità di apprendimento;
c) Momento della somministrazione rispetto al corso: test di ingresso, in itinere, finale;
d) Abilità e conoscenze da verificare: prove fattoriali, prove integrate;
e) Formato: di riconoscimento, di produzione, di interazione, di mediazione, dirette o indirette;
f) Interpretazione dei risultati: prove basate sull’esecuzione (simulazione), prova basate sulla
norma (prestazioni dello studente sulla base di quella di coloro a cui è stato somministrato lo
stesso test)
g) Modalità di correzione e assegnazione del punteggio: prove oggettive (a risposta chiusa),
soggettive, semistrutturate.
Il concetto di “qualità” delle prove di verifica  Una prova di verifica di qualità deve possedere 14
dei requisiti fondamentali quali:

- Validità ed adeguatezza: permette di ricavare dei dati significativi, appropriati e utili allo
scopo;
- Rappresentatività e appropriatezza;
- Affidabilità o attendibilità;
- Fattibilità;
- Capacità di discriminazione.

In parte sovrapponibili ai criteri di qualità precedentemente esposti sono i quattro prerequisiti


generali riassunti nell’acronimo P.A.C.E:

- Pertinenza  un test riesce a verificare tutti gli elementi che vuole verificare, senza elementi
esterni;
- Accettabilità  percepito come utile da entrambe le parti (docente/discenti);
- Comparabilità  offre dati che permettono di paragonare le prestazioni fornite dallo
studente in momenti diversi del suo apprendimento, o che possano essere confermati da più
di un esaminatore;
- Economicità  offre un rapporto ottimale tra tempo di elaborazione, correzione e
valutazione.

Le certificazioni linguistiche e glottodidattiche  sono sempre più importanti insieme a quelle


informatiche e si sente l’esigenza di avere dei certificati che identifichino in maniera sicura ciò che
l’individuo sa e sa fare in L2. Alcuni devono essere rinnovati. Possono essere inseriti nel PEL
(Portfolio Europeo delle Lingue).

Le certificazioni linguistiche per l’italiano L2  L’esperienza nel campo della certificazione


delle competenze linguistiche in L2 risale all’inizio del 900 con i primi certificati di inglese
rilasciati dall’Università di Cambridge. Alla fine degli anni ’80 saranno le Università di Cambridge
e Salamanca a dare inizio ad una associazione di enti certificati (ALTE). Nel 1992 furono varate le
prime certificazioni ufficiali di competenza in lingua italiana (CILS di Siena e CELI di Perugia).
Alla fine dello stesso anno anche l’Università di Roma Tre proponeva una convenzione analoga.
Oggi si affiancano a queste anche altre certificazioni come CLIP, CITA, UNIcert ecc. che sono più
mirate, vanno in base all’età dei candidati o ai loro bisogni.

Le certificazioni glottodidattiche per l’italiano L2  L’esperienza nel campo della certificazione


delle competenze glottodidattiche nascono in seno al Local Examination Syndicate dell’Università
di Cambridge che introduce i primi certificati seguiti da esperimenti per l’italiano, il tedesco, lo
spagnolo ecc. L’idea nasce poi presso l’Università di Siena sulla spinta dei numerosi docenti senza
titolo disseminati nel mondo. Nel 1994 la certificazione DITALS si afferma in Italia e nel 2003
anche l’Università Ca’ Foscari di Venezia crea un proprio centro per la formazione dei docenti che
elabora altre certificazioni glottodidattiche per l’italiano L2 quali CEFILS e CEDILS.

L’autovalutazione  Solo chi sa riflettere sul proprio modo di apprendere o insegnare una lingua
straniera può dirsi emancipato al punto da progettare autonomamente i proprio percorsi formativi.
Una delle forme in cui si realizza l’autonomia è la capacità di “autovalutazione”, una capacità che 15
sta particolarmente a cuore agli artefici della nuova Europa linguistica.

L’autovalutazione delle competenze linguistico-comunicative: ELP/PEL, e-Portfolio e


DIALANG  I descrittori elaborati all’inizio degli anni ’90 dal progetto “Valutazione e
autovalutazione delle competenze nelle lingue straniere” saranno inseriti nel QCE e permetteranno
di delineare i sei livelli europei utilizzati anche per altri progetti orientati all’autovalutazione, come
l’ELP/PEL promosso dalla divisione per la politica linguistica del consiglio d’Europa. L’obiettivo
del PEL è quello di favorire lo sviluppo del plurilinguismo e del pluriculturalismo. Si tratta infatti di
uno strumento paneuropeo con l’obiettivo di testimoniare i propri saperi certificati e le proprie
esperienze formative in ambito linguistico. Il fatto di registrare personalmente le competenze
linguistiche ottenute dovrebbe permettere di sviluppare la capacità personale di valutare le proprie
competenze in L2. Per fare questo il PEL si serve di tre documenti:

1. Il passaporto linguistico  offre una panoramica aggiornabile delle competenze linguistiche


raggiunte in una o più L2, con riferimento ai certificati ottenuti ma anche mediante
descrittori che permettono l’autovalutazione.
2. La biografia linguistica  strumento per l’archiviazione dei traguardi raggiunti da un
individuo in merito alle competenze linguistiche in una o più lingue straniere;
3. Il dossier  archivio in cui il soggetto inserisce i certificati e gli attestati ottenuti e tutti quei
documenti che dimostrano le competenze linguistiche e le esperienze interculturali
accumulate nel tempo.

Una versione approvata dal comitato di validazione europeo è oggi disponibile in versione
elettronica nelle principali lingue europee, destinata ad apprendenti adolescenti ed adulti: questo
nuovo formato, identificato dal termine e-Portfolio, utilizza la rete come contenitore e in questo
modo permette di inserire dati e documenti per creare un archivio digitale aggiornabile on-line. Un
altro strumento è il DIALANG realizzato con l’appoggio della Commissione Europea allo scopo di
sviluppare un sistema di valutazione di tipo diagnostico delle competenze linguistiche e di fornire
un supporto online a chi sta imparando una lingua. Il progetto prevede 14 lingue, tra cui l’italiano,
per le quali sono previsti test e strumenti di autovalutazione relativi alle abilità di lettura, scrittura,
comprensione orale ecc. Dopo un test di piazzamento iniziale sono previste tre modalità di
autovalutazione:

1. Indicazione del livello della prestazione nelle varie abilità;


2. Autovalutazione mediante riferimento a descrittori e a modelli di prestazioni-tipo;
3. Feed-back attraverso la restituzione all’utente dei risultati delle prove, con informazioni sui
suoi punti di forza e debolezza e suggerimenti per l’apprendimento autonomo.

DIALANG ha l’obiettivo di sviluppare la capacità di riconoscere le proprie competenze


linguistiche, anche parziali, i propri punti di forza e di debolezza.

L’autovalutazione delle competenze glottodidattiche: dal Profile all’ESPOSTL/PEFIL 

Nel 2004 la Commissione Europea rende pubblico il lavoro di una equipe per delineare le
competenze in un quadro di riferimento dedicato alla formazione dei docenti, si tratta del Profile, un
documento realizzato per la Commissione Europea che sintetizza in 40 punti chiave un quadro di 16
riferimento per la realizzazione di percorsi e materiali per la formazione dei docenti di L2.
Contemporaneamente al Profile viene elaborato l’EPOSTL, un documento per l’autovalutazione
delle competenze glottodidattiche da utilizzare nel momento della formazione iniziale dei futuri
docenti di lingua che tiene conto sia del QCE sia del Profile, ma utilizzando un formato che
riprende alcune caratteristiche del progetto DIALANG e del PEL. Il PEFIL permette al futuro
docente di lingua di valutare le proprie competenze glottodidattiche attraverso una batteria di quesiti
a cui l’interessato stesso è invitato a rispondere; così il PEFIL aiuta il futuro docente a riflettere,
prendere nota e aggiornare le esperienze, i progressi e gli attestati ottenuti durante la propria
formazione iniziale. È suddiviso in tre sezioni:

1. Affermazioni personali  si propongono le attività che dovrebbero aiutare il futuro docente


a riflettere su aspetti generali dell’insegnamento;
2. Autovalutazione  si propongono delle batterie di quesiti per temi e si fornisce una griglia
per la riflessione sul proprio tirocinio;
3. Dossier  si propone al futuro docente di raccogliere in maniera ordinata le documentazioni
ricevute durante il proprio percorso formativo e quelle attività svolte.

La griglia di descrittori EQUALS 

Concludiamo con una griglia di descrittori sulle competenze dei docenti di lingue. Ispirata al
modello di descrizione delle competenze del QCE questa griglia si articola in tre macrolivelli
(basico, indipendente, esperto) ognuno dei quali e suddiviso ulteriormente in due livelli (come il
QCE). I descrittori delle competenze su ciascuno di questi sei livelli riguardano quattro settori che
permettono di caratteristiche un docente di lingue professionalmente “di qualità”:

- Area dedicata alla lingua comprende la “competenza linguistica” e la “consapevolezza


linguistica” nella L2;
- Fra le competenze formali vengono considerate le “conoscenze e competenze
metodologiche; la capacità di “progettazione di lezioni e corsi”; la “capacità di gestione e
monitoraggio delle interazioni”;
- Ulteriori abilità che riguardano lo “sviluppo della formazione didattica” ovvero la capacità
di promuovere la propria crescita professionale e quella dei colleghi meno esperti e le
competenze informatiche.

Potrebbero piacerti anche