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SILVIO SORCINI - NANDO P.

TOMASSONI

supervisione di Don Giampiero Ceccarelli

EGGI
STORIA ARTE MEMORIE
_____________________________________

1
Testi e foto degli autori
Con la supervisione di Don Giampiero Ceccarelli

Impaginazione e grafica degli autori

Le foto delle sepolture di San Beroide sono di Raimondo Fugnoli


Altre foto sono state fornite da Franco Fontani, Sauro Sbicca, Rodolfo
Bartoli e Liliana Bonanni. Le cartine dal geom. Paolo Fabi.

La foto della prima di copertina raffigura Santa Caterina nella Chiesa di San
Michele Arcangelo. Recupero avvenuto nel 2020, grazie al contributo del
BIM di Cascia.
La quarta di copertina raffigura San Michele Arcangelo, opera del Maestro
di Eggi.

L’editore resta a disposizione degli aventi diritto per le immagini per le quali
non è stato possibile rintracciare l’autore.

Copyright ã 2020
Tutti i diritti sono riservati ai rispettivi proprietari.
È vietata ogni riproduzione, anche parziale senza apposita autorizzazione
scritta dei titolari dei diritti dell’opera.

Stampato in Italia da ……….

2
Dedicato ai dimenticati e ai difensori dell’arte della memoria

3
Cartine che evidenziano tutte le località segnalate ed illustrate nella pubblicazione.

4
RINGRAZIAMENTI DEGLI AUTORI

Si ringraziano per la preziosa collaborazione:

Archivio di Stato di Spoleto


Archivio Storico Diocesano di Spoleto
Biblioteca Comunale di Spoleto
Settimio Fabiani
Raimondo Fugnoli
Franco Fontani
Sauro Sbicca
Liliana Bonanni
Annalisa Bartoli
Paolo Fabi
Giuliana Bartoli
Giovanna Marcelli
Benito Ammetto
Mario Salvucci
Stefania Saccone
Rodolfo Bartoli

5
INDICE
Presentazione pag. 13

Prefazione pag. 14

Capitolo 1 – Eggi: le origini e la storia pag. 15

1.1 Le origini pag. 15


1.2 Breve storia di Eggi pag. 18
1.3 Eggi attuale pag. 26
Capitolo 2 – Le chiese di Eggi pag. 77

2.1 Chiesa di San Michele Arcangelo pag. 77


2.2 Oratorio del Sacramento pag. 93
2.3 Chiesa di San Giovanni Battista pag. 98
2.4 Chiesa della Madonna delle Grazie pag.112
2.5 Chiesa della Madonna di Castellocchio pag.123
2.6 Chiesa di San Bartolomeo pag.129
2.7 Chiesa di Santa Caterina pag.131
2.8 Chiesa di San Beroto pag.132
2.9 Chiesa di San Liberatore pag.134
2.10 Chiesa di San Biagio pag.138
2.11 Chiesa di Santa Maria in Mariano pag.139
2.12 Chiesa di San Filippo Neri pag.142
2.13 Chiesa di San Sebastiano pag.146

Capitolo 3 – Altri luoghi di interesse pag.151

3.1 Villa Morelli de' Pazzi pag.151


3.2 Villa Zacchei Travaglini pag.153
3.3 Sepolture di San Beroide pag.155
3.4 Cisterne romane a Case San Filippo pag.161
3.5 Villa rustica pag.165
3.6 Ferrovia Spoleto Norcia pag.166

3.7 Bibliografia pag.170


Presentazione
6
Nando Tomassoni in collaborazione con Silvio Sorcini ha prodotto un’altra
pubblicazione riguardante Eggi. Il suo non è un accanimento terapeutico, ma la
dimostrazione di affetto per il paese dove è nato, e che, come quasi sempre
accade, lo si ricorda con affetto anche se a volte si ha difficoltà a riconoscerlo
in quello presente. Rispetto ai precedenti lavori questa volta gli autori hanno
voluto presentare questo territorio anche nel suo sviluppo attraverso i tempi e
la produzione artistica che è stata ricca e significativa. Nei lavori precedenti
aveva trattato il passato prossimo, ora si è avventurato anche nel passato
remoto. Questa pubblicazione pur essendo divulgativa mantiene quella
scientificità che le conferisce attendibilità. Con meticolosità hanno
documentato fotograficamente gli edifici e i luoghi che compaiono negli antichi
documenti e nella memoria della gente.
Proprio questa memoria collettiva, che identificava e definiva un luogo
distinguendolo da quelli vicini, viene ora travolta dalla celerità dei mutamenti e
dal mutato rapporto tra generazioni. Le serate, accanto al fuoco d’inverno,
sull’aia o davanti la casa nella buona stagione, erano il momento privilegiato
per le relazioni. Gli anziani narravano quanto avevano vissuto e quanto
avevano a loro volta da bambini ricevuto dagli anziani. Un albero che perde le
sue radici non ha possibilità di avere un futuro. Il nostro tempo non cammina,
corre, verso il futuro. Quando si corre troppo verso il futuro, a volte, non si
riesce ad assaporare il presente e non si ha più alcuna capacità di
comprendere il passato. Un tempo la grande storia, quella con la S maiuscola,
la si apprendeva dai libri di scuola, attraverso la mediazione della maestra, che
esprimeva il “sentimento nazionale del momento” e contribuiva, nella linea del
libro Cuore, a creare un’unità in un paese nato da tanti Stati. Negli ambienti
rurali erano i racconti degli anziani ad alimentare e conservare la grande
ricchezza della tradizione che diventava anche l’identità del gruppo.
Prima la televisione ha messo in silenzio gli anziani, trasformando tutti da
attori in spettatori, ma era ancora un momento socializzante anche se ogni
tanto qualcuno gridava “zitti che non capisco gnente”. La difficoltà del capire
non era tanto questione di udito ma di lingua in quanto il dialetto non era stato
ancora messo in soffitta.
Ricordo come in prima elementare, io andavo non nell’edificio vicino alla
chiesa, ma in quello di “Ngelone” che era l’antica villa Sordini; l’aula era la
sala da musica, con la volta a padiglione dove erano dipinti gli strumenti
musicali.
La parete che dava sul cortile aveva due porte finte in simmetria con quelle
della parete sud, mentre quella reale era al centro, a scomparsa. Allora si
iniziava con le astine, prima quelle diritte, poi quelle oblique, quindi i cerchi,
infine combinando tutto questo nascevano le lettere; prima le vocali che erano
tutte “sopra”, quindi le consonanti, alcune delle quali scendevano “sotto”.

7
Sulle pareti della stanza erano attaccati dei cartelli con delle immagini e le
corrispondenti lettere dell’alfabeto in corsivo e in capitale. Con la canna
“multiuso” la maestra ci indicava una figura che per noi spesso non
corrispondeva; per la t c’era la figura di un topo, ma per noi era “u sorce”, e
la maestra si sforzava di farci capire che quella era la t, non la s.
A casa raccontavamo che “a scola u sorce non è più un sorce ma vene un
“topo”.
Qualcuna delle mamme aveva capito che a scuola c’erano i sorci e voleva
mandare un gatto alla maestra!
Dall’aula si accedeva ad un corridoio dove era un armadio a muro nel quale si
conservava la brocca con l’inchiostro;
sulle ante era dipinto un castello medievale che per noi era come entrare nel
mondo dei sogni.
L’inchiostro veniva posto in pesanti calamai di vetro verdastro alloggiati entro
buchi rotondi nella parte più alta del banco, quella che rimaneva fissa, mentre
il piano si alzava. Talvolta qualcuno di quelli “più svegli” diceva: “guarda che
c’è cascato dentro!” Quando l’altro si avvicinava, lo sveglio dava un colpo da
sotto con la mano e il calamaio finiva in faccia al malcapitato. Il problema non
era la faccia, ma il colletto bianco di picchè inamidato che doveva essere
smacchiato.
La penna era uno stecco di legno dove si applicava l’elemento metallico per
infilarci il pennino. Ortensia che aveva il padre emigrato in Svizzera, aveva
ricevuto in dono una penna di plastica gialla: lei camminava con quella in
mano e tutti noi la guardavamo ammirati quasi fosse qualcosa proveniente da
un’altra galassia!
Ma ormai, come affermano gli stessi autori, il processo di cambiamento era
avviato; l’identità paesana cominciava a sgretolarsi: si andava sempre più
verso il particolarismo. Il gruppo di giovanotti che preparava gli sketch non
aveva più ragione di adunarsi e quelli che ancora venivano non salivano più
sul palco ma si sedevano in sala per vedere le trasmissioni. C’era il giorno di
“campanile sera”, di “canzonissima”, di “lascia o raddoppia”; ma l’identità
paesana languiva ogni giorno di più, la relazionalità si dissolveva, il
patrimonio delle tradizioni orali veniva meno.
I momenti goliardici creavano disagio, sembravano cose arretrate; finirono “le
scampanate”, le “ernate”, i focaracci per S. Giovanni e per la Venuta, le gare
a ruzzicone. I televisori si diffusero, i programmi si moltiplicarono, il marito
guardava un programma e la moglie un altro, i bambini in camera stavano
buoni con i cartoni animati.
Il primo anno che ritornai a Eggi come parroco quando passai per le
benedizioni non mi tornavano gli ingressi delle case come li ricordavo; un
anziano mi disse scherzando: “quanno ero pottu, in du’ vani ce stiamo in
dodici, assea in dui ce n’emo dodici de vani”.

8
Poi arrivò il cellulare ed internet. Dalla vicinanza reale si è passati a quella
virtuale; tempo fa dovevo parlare
con un ragazzo e andai a casa sua. La madre mi disse che era in casa, che
stava in camera a parlare con un suo amico.
Attesi un poco, poi si aprì la porta della camera ed uscì; io mi aspettavo di
veder uscire anche l’altro ragazzo.
Ci mettemmo a parlare, ma dalla stanza non usciva nessuno. Mi sentii in
imbarazzo credendo che la mia presenza creasse disagio all’altro, allora gli
dissi sottovoce “dìe che pole scappa’ fora che non me so magnatu mae
niciunu!”; scoppiò a ridere dicendo: “ma noi parlavamo via internet. Non ci
siamo mai visti di persona, lui sta vicino a Bergamo!”; si fa amicizia con chi
sta lontano e non si conosce chi sta a dieci metri.

Don GIAMPIERO CECCARELLI


Prefazione

Fuori imperversava un virus che le autorità, tanto per non smentirsi, avevano
ridotto a sigla COVID.19

Un appassionato di arte e di foto, con una Nikon alla mano, stava dando sfogo alle
proprie inclinazioni.
Un eclettico e amante delle ricerche di documenti, di storia, di aneddoti e di curiosità e
quindi del passato (più che del futuro), stava dando sfogo alle proprie passioni.
In comune avevano soltanto l’onestà intellettuale …. ed una mascherina celeste.
Con voce ovattata e con occhi vivaci trovarono il modo di accordarsi per scrivere
questa pubblicazione riguardante un territorio del quale nessuno aveva mai tentato
una conoscenza approfondita nonostante il suo inevitabile inserimento nel Catasto
gregoriano, nella Fascia olivata, e fra i Luoghi del silenzio.
Allora, scelta delle foto già predisposte e nuovi viaggi con Panda e macchina
fotografica per scoprire nuove documentazioni, ricercare vecchie immagini in bianco-
nero e piacevoli interviste per ottenere conferme nei e dai ricordi della gente. Non sono
mancate salite sul Roccolo né visite alle ville sedi di Imprenditori agricoli e di annesse
abitazioni mezzadrili.

Ne è venuto fuori questo libro che è anche una guida dal momento che non ne esistono.

Gli autori ritengono che il lavoro sia stato fatto con meticolosità, ma data la lunga e
mai esaurita durata dell’impegno, si sono accorti che esistono anche altre fonti per
continuare l’arricchimento. Gradiscono quindi gli eventuali apporti dei lettori qualora
anch’essi appassionati.

9
Mentre si apprestavano a chiudere e dare alle stampe il loro lavoro, gli autori sono
stati colpiti da un elemento che forse era sfuggito ai più: lo stretto collegamento storico
e tuttora esistente fra il territorio di Eggi e la Valnerina ivi compresa la zona delimitata
dai fiumi Campiano e Vigi e quindi da Preci a Sellano.
Forse si può affermare che l’antica scuola di chirurgia nei pressi di Preci abbia
attirato famiglie benestanti e nobili e che dopo il loro primo insediamento in quei
luoghi abbiano scelto di “scendere” nel territorio spoletino e quindi anche a Eggi come
il caso dei Morelli-De’ Pazzi.

Fuori imperversava ancora il virus chiamato con la sigla COVID.19 e varianti


varie.

Ing. SILVIO SORCINI Dott. NANDO PIETRO TOMASSONI

CAPITOLO 1
EGGI: LE ORIGINI E LA STORIA

10
Eggi- panorama - Il Castello è visibile quasi nella sua interezza

1.1. LE ORIGINI

Eggi (335 m. sul l.m.) sorge a due chilometri dalla strada Flaminia in
direzione Spoleto-Foligno, e quindi a cinque da Spoleto, quasi a cavallo
tra la Valle del Nera e quella Spoletana, incorniciato da uliveti, che verso
la sommità dei colli, cedono il posto alla macchia mediterranea.

L’origine del nome è ignota. E’ forse collegabile a qualche famiglia o


popolo di epoca romana (Eggi da Aegius o da Hegii). Di tale periodo, al
momento, sono rinvenute alcune tracce. Si ha notizia, infatti, di alcune
epigrafi, di ville e di insediamenti.
Una lapide, rinvenuta murata nella base dell’altare maggiore, è visibile
nella chiesa di San Giovanni Battista, ove altri elementi romani sono
utilizzati nella costruzione dello stesso edificio.

11
La lapide nella chiesa di San Giovanni Battista

Essa reca la scritta:


GIGANIA / IRENE VIX A / IVLIACI EVPLC / MATER
Il Sordini segnala il rinvenimento, nelle zone limitrofe al castello di Eggi,
di tre steli funerarie iscritte.
La prima iscrizione, su stele centinata in travertino, fu rinvenuta nel 1876
presso un terreno di proprietà della contessa Morelli nelle vicinanze del
castello di Eggi.
Il testo recita:
P(UBLIO) MARCIO
P(UBLI) F(ILIO) VARO
VARENA C(AI) L(IBERTA)
M(ARITO) A(MATISSIMO) D(EDIT)
La seconda, sempre su stele centinata e ancora individuata nei pressi del
castello, reca inciso:
C(AIO) UDISIO C(AI) L(IBERTO)
COMMUNI
12
VARIA ARCE
L’ultima iscrizione compare su di un frammento di stele di analogo
materiale, ed è stata rinvenuta in un possedimento posto in località Le
Chiuse nel 1892. La stele risulta riutilizzata come elemento di una
muratura di terrazzamento agricola. Il testo residuo recita:
MAR[---]IAL
PRIMA
Le tre iscrizioni potrebbero testimoniare la presenza in questa zona di
un’area di necropoli di epoca romana, a cui il Sordini accenna, anche
indicando la presenza di “…resti riferibili ad un’area di Necropoli ”.
Tombe di epoca romana costeggiavano la via chiamata "La Fraschetta",
che unisce Eggi a Bazzano e che costituisce le pendici di Garvello e
monte Giove. Alla fine del secolo scorso e agli inizi del presente, ivi
furono rinvenuti numerosi sarcofagi, tutti anepigrafi, parte fittili, parte in
calcare locale. Altre emergenze di epoca romana sono in località Colle
Marozzo. Il Sordini rilevò lo scarico di una fornace di tale epoca lungo il
Fosso di Cortaccione. Nello stesso periodo fu individuata una presenza
monumentale, per la quale si pensò ad una Villa, in località San Beroto
(nelle adiacenze di Cortaccione) nel luogo ove gli antichi legendari
spoletini collocano il monastero nel quale visse l'abate omonimo. 1 La
chiesa, oggi, è adibita ad abitazione e magazzino di un agricoltore. Nella
stessa località, in epoca più recente, è stata individuata e portata alla luce
una cospicua necropoli.
Altri resti di materiali fittili, di una villa e di una strada sono stati
rinvenuti nei prati di Cortaccione e nei pressi della chiesa di San
Bartolomeo o Bartolo.
Tutti questi elementi conducono all’ipotesi che l’insediamento romano
originario fosse costituito da una serie di ville rustiche, disposte lungo il
vecchio tracciato della Via Plestia (poi detta Spina come l’omonimo
fiume), specialmente nel punto in cui la via Plestia si interseca con il
ramo della Flaminia (Interamna-Spoletium-Trebiae-Forum Flaminii-
Nuceria) e con le antiche vie che conducevano alla Valle del Nera,

1
JACOBILLI L., 1656
13
attraversando la montagna e transitando per Forca di Cerro, Matrignano o
le Pinnura.
Quindi ci troviamo a valle dell’attuale abitato di Eggi, grosso modo nel
triangolo compreso tra San Bartolomeo, Case San Filippo e San Beroide
o Berodo.
La via Plestia conduceva all’attuale Colfiorito, ove ancora rimane la
Chiesa che sorge probabilmente su una preesistente basilica
paleocristiana. Il sito è popolato fin dall’antichità; infatti sono stati
individuati insediamenti perilacustri riferibili al periodo compreso tra il
IX e il VII secolo a.C.

La Chiesa di Santa Maria di Plestia

14
due immagini d’epoca di Forca di Cerro

1.2. BREVE STORIA DI EGGI

15
L’agglomerato in quanto di antiche origini (fu comune fino all'epoca
napoleonica), presenta delle fasi edilizie ben definibili che ci lasciano
comprendere la sua storia. Verosimilmente, fino all’epoca “romana”
compresa, ha seguito le vicende storiche e religiose (organizzazione
amministrativa e laicale) riguardanti Spoleto. Con il crollo dell’impero
romano d’occidente (476 d.c.), al pari di Spoleto, e di tutta l’Umbria, tutti
i territori finiscono sotto gli ostrogoti di Teodorico.

Eggi sotto la neve

A seguito delle invasioni barbariche, delle lotte fra Goti e Bizantini e poi
della discesa dei Longobardi, la popolazione sita nel territorio sopra
descritto, si ritirò gradualmente dalla valle per rifugiarsi sulle colline
circostanti, in particolare sul Castellocchio, ove con il tempo, si costituì
un centro abitato fortificato: il castello di Castellocchio, ancor oggi
conosciuto dagli abitanti di Eggi come Il Roccolo (da Rocca:
fortificazione). Rimangono ruderi di questo castello e dell’attiguo centro
abitato.

16
Ruderi del Roccolo

Ruderi dell’insediamento di Castellocchio

17
I Longobardi che istituiscono l’importante e smisurato Ducato di Spoleto,
“tracciano” un asse viario che prenderà il nome di Via Francigena e, per
quanto attiene il territorio di Eggi, lasceranno anche alcuni lemmi, tre dei
quali sono ancora usati: Zeppa: cuneo; Trogo: trogolo, trocco; Stolsare:
sussultare.
Dopo gli ultimi duchi di stirpe franca, Spoleto e tutto il suo territorio
entrano nell’orbita della Chiesa.

Intanto, entro i confini dell’antica circoscrizione di Eggi, in quella che


era la parrocchia di San Giovanni Battista 2, sorge un’importante
testimonianza dei primi periodi del cristianesimo: la Chiesa di Santa
Maria in Mariano, ora cappella dei conti Pila, che, secondo le antiche
tradizioni di Spoleto, sarebbe stato il primo Battistero della città,
edificato da San Brizio nel I secolo (58 d.c.). (V. pag….)

Il primo documento in cui si trova il nome Eggi risale al 1087, ed è un


atto di donazione all’Abbazia di Sassovivo del conte Mainardo, signore
della Rocca di Bazzano: “In detto anno 1087, il 13 di Agosto, il detto
conte Monaldo per un’altro (sic) Istromento donò al Monastero di
Sassovivo ciò che aveva nella corte o distretto di Azzano, di Eggio nel
territorio di Spoleto”.

Siamo nel millennio della nascita dei Comuni, retti prima dai Consoli,
poi dai Podestà e infine dai Sindaci. Ma per il territorio spoletino sarà
anche il periodo dei controversi rapporti con lo Stato della Chiesa e delle
alternanze di potere tra Guelfi e Ghibellini.

Con l’andar del tempo e l’attenuarsi delle condizioni di pericolo, la


popolazione che si era rifugiata sulle colline circostanti, in particolare sul
Castellocchio, tornò gradualmente alle pendici del colle, in un luogo più
comodo e prossimo ai campi, nel sito dell'attuale Borgo.

2
IACOBILLI L. 1653, p.19
18
Nel 1279 Eggi era una delle più popolose Ville del distretto spoletino con
i suoi 94 fuochi (famiglie) e un censo di 13.212 fiorini3. Tali dati oltre ad
indicarne l’importanza, erano significativi ai fini del pagamento del
focatico (26 denari a famiglia).

Nel 1348 la peste non risparmiò gli abitanti dei Castelli e delle Ville del
Comune di Spoleto.

Negli anni successivi le Ville aperte si fortificarono, divenendo così


castelli o castra, soprattutto per scopi difensivi4.
Anche Eggi, come altri luoghi del contado, fu fortificato sul finire del
secolo XIV. L’evento è così ricordato, con robusto volgare dal cronista
spoletino Parruccio Zampolini sotto l’anno 1378: “... li contadini non
potenno lavorare, né possedere lu contade, advisarse de fare cierte
castella et fortezze per lu contà ad resistere alle diete fortune, et nellu
dictu tempu quasi per spatio di V o VI anni de po la dieta rotta de
Spuliti, fo principiatu lu castellu in Beroite, San Brizzu, lu Pugiolu,
Poreta, Egi, Santu Jacu d’Aschitu, Azanu, Prodotte, Cispianu,
Morgnanu, Sanctu Angiru de Cicianu, Busanu, Petrognanu, Meggiana,
Santu Jaco de Poreta, et quasi tuttu lu conta de Spoliti fo riduttu a ca-
stella, turri ovvero fortezze, et Bazanu se fo l'altra, et Sanctu Jaco de
Poreta più, sì che fra X o XI anni fuoru comenzate quasi tutte, et ciò fo
tutto a parte gelfa”5.
Ed ancora, dal Sansi, nella sua storia di Spoleto:
“Così dal 1378, in spazio di dieci o dodici anni, gli aperti villaggi si
cinsero di mura e di torri, e si videro sorgere i castelli di Beroide, S.
Brizio, Poggiuolo, Poreta, Egi, S. Giacomo d’Aschito; Azano, Protte,
Cispiano, Morgnano, S. Angelo, Busano, Petrognano, Meggiana, S.
Giacomo di Poreta e Bazzano, alcuni de’ quali lo erano già stati in altri
tempi, e poi o per ribellione o per sospetto ridotti dalla città o dagli
eserciti a ville aperte”.

3
ASP, Sez. Spoleto, Catasto del 1279, podestà Orso Orsini
4
FAUSTI L., 1990 vol. I, p. 22.
5
Frammenti degli annali di Spoleto di Parruccio Zampolini dal 1325 al 1424 in SANSI A., 1876
vol. 7, p. 115
19
In tale periodo, dunque, la Villa di Eggi diviene un Castello6.
Partecipò alla vasta ribellione dei castelli contro Spoleto, in seguito alla
quale il Cardinale Legato Vitelleschi, con una legge del 18 Febbraio
1440, disponeva che gli abitanti dei castelli del piano, fabbricati negli
ultimi sessant’anni, fossero tenuti ad abbattere le mura, entro il termine di
tre mesi dalla data del decreto, tornando ad essere Ville aperte 7. Sembra
che la stessa sorte fosse riservata ad Eggi, pur non elencato nella legge, e
che comunque la demolizione sia avvenuta, perché, due anni dopo, gli
uomini d’Eggi, chiedevano al Comune di Spoleto che fosse loro
assegnato un luogo per ripararsi dalle frequenti scorrerie di gente
nemica8. La richiesta fu accolta9, perché lo si ritrova nell’elenco dei
castelli del 149010.
Pare che la ricostruzione operata dai paesani, e che si ispirava anche alla
politica albornoziana, sia durata soltanto due anni e che il castello abbia
assunto l’aspetto che ancor oggi, in larga parte, mantiene. Esso infatti,
pur avendo subito devastazioni per opera del tempo e degli uomini, è
ancora perfettamente leggibile nella sua struttura: di impianto triangolare
e con sulla sommità una porta doppia ornata da due torri di difesa.

Il Fausti11 ipotizza in Eggi, così come a San Giovanni, Poreta e


Montefalco, la presenza di un ponte levatoio all’ingresso del castello, pur
senza fosso o fossa con acqua. Tale ponte doveva essere costituito da un
tavolato di legno azionato da un verricello.
Nel corso del XV secolo il paese cominciò a debordare dalle mura, ed
appena fuori di esse sorsero delle abitazioni.
Eggi in quell’epoca poteva contare su di un’economia molto florida,
come ci testimoniano gli affreschi che ornano le chiese, notevoli per
quantità e qualità, e per un curioso episodio del 1507.
In tale circostanza gli abitanti di Eggi versarono al Comune di Spoleto la
notevole somma di 2000 ducati d'oro necessari a questo per il riscatto

6
SANSI A. 1879 vol. I, pp. 172-173.
7
SANSI A., 1876 vol. II p. 2 - 9
8
SANSI A., 1876 vol. II p. 14
9
SANSI A., 1876 vol. II p. 36
10
S.A.S.S., Riformanze An. 1490. 30 dicembre foglio 413
11
FAUSTI L., 1993 vol. II, p. 24.
20
della Rocca di Ponte occupata dai perugini. Ne ottennero come
contropartita la cittadinanza rustica (Comune rustico) e l’esenzione dalle
tasse12.
Il secolo XVI vide il perpetuarsi di questa floridezza.
Già dall'inizio del secolo funzionava una scuola pubblica il cui costo
gravava sul Comune di Eggi.13

Fino alla fine del XVIII secolo Eggi continua a conoscere il periodo di


splendore grazie anche alla presenza di illustri e ricchi cittadini, che
chiamano numerosi artisti del tempo per abbellire le chiese locali.
Nel 1527 Antonio di Refino faceva dipingere da Giovanni di Pietro detto
Lo Spagna,14 l'abside della Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista.
La morte del committente e dell'artista fecero concludere il lavoro nel
1532.
La Chiesa di San Michele Arcangelo (XIV secolo) fu abbellita con opere
del cosiddetto Maestro di Eggi (XV sec. ) attivissimo anche in Valnerina.
Gli Angelucci da Mevale, nel 1576 decorarono, su entrambi i lati, una
parete dell’ Oratorio del Sacramento e complesso dell’Ospedale.

1.3. Intanto, nel 1525 Giuseppe Ràcani aveva ottenuto lo Jus Patronato
sulla Pieve di San Michele e vi finanziava dei lavori, come si evidenzia
nel portale, di linee semplici e di andamento elegante, ove compaiono,
unici ornamenti non architettonici, lo stemma dei Racani e quello della
città di Spoleto. Altri interventi interessarono il fonte battesimale, a
forma di uovo (simbolo della vita) che si presenta baccellato nella metà
inferiore ed embricato in quella superiore.

12
NESSI-CECCARONI, 1979, P. 12
13
Risulta che per effetto delle diverse articolazioni organizzative della Chiesa fino al ‘600 in
Eggi vi fossero tre parrocchie delle quali la più estesa, quella di San Giovanni, si spingeva fino
alle soglie di Spoleto.
14
Lo Spagna (XV secolo) fu attento e sensibile seguace del Perugino, ma anche interprete delle
novità dell'arte di Raffaello. La sua abbondante produzione ebbe influenza specialmente sui
pittori dell'Umbria meridionale come testimoniano, tra l'altro, le innumerevoli opere che decorano
chiese ed edifici sacri dello Spoletino e della Valle del Nera.
21
Stemma della città di Spoleto

Stemma dei Racani

I Ràcani si costruirono un palazzetto all’interno del castello nell’area


attigua alla chiesa. L'edificio si sviluppava attorno ad un cortile centrale.

22
Stemma di Eggi, esterno ingresso del castello

Stemma non riconoscibile, all’interno dell’ingresso del castello

Al piano nobile, sotto la linea del tetto, compaiono ancora degli stemmi:
quali quelli dei Ràcani stessi, di Spoleto e di alcune delle famiglie nobili
del tempo.

23
Stemma di Spoleto

A sinistra stemma Pianciani a destra non riconoscibile

Il seminterrato era adibito a scantinati e ancora ne sono visibili le


caratteristiche ivi comprese alcune scritte ancorché sempre meno
leggibili.

24
A sinistra Ràcani a destra Vigili

Dal XVI secolo altre famiglie nobili e borghesi cominciarono a costruirsi


delle ville fuori città. Anche Eggi vide sorgere questo genere di edifici.
Il Comune di Spoleto, allo scopo di incentivare l’agricoltura, concedette
ai privati cittadini (ed anche Eggi ne approfitta) la possibilità di costruire
colombaie sulle torri dei castelli e, a determinate condizioni, abitazioni a
ridosso delle mura perimetrali con gronde verso l’esterno.
Il XVII secolo vide sorgere un’edilizia di tipo popolare fuori della porta
del castello rivolta verso la montagna, ed una più borghese a fianco della
strada che dalle Fonti conduce alla Chiesa di San Michele Arcangelo.
Siamo nell’epoca in cui i collegi delle arti (le categorie dei mestieri)
vengono immessi nel processo delle decisioni pubbliche. Ciò consente
l’ascesa della nobiltà.
La questione coinvolge anche Eggi. Ma per le categorie agricole tale
evoluzione non giova molto perché il lavoro resta duro e difficile in
quanto fondato sulla sola perticara15 tirata dai buoi, sull’erpice, sulle
concimaie e sulla raccolta manuale dei prodotti. Il trattore, le macchine
agricole in genere, così come i fertilizzanti, gli antiparassitari ed i
pesticidi sono di là da venire.
Nemmeno la nascita della fiera in onore della Madonna di Loreto (libera
da ogni gabella o dazio) ne migliora le sorti.

15
Perticaia, antenata dell’aratro.
25
Il XVIII secolo vide un ulteriore sviluppo edilizio fuori del castello, con
ampliamenti e modifiche di edifici preesistenti. Risulta che dal 1774 al
1789, Eggi sia ancora “comune rustico o rurale”. Se ne ha testimonianza
nella ricerca effettuata da Renzo Fagotti e da questo trascritta nel suo
“Libro mastro della Comunità di Eggi – ovvero libro dei Consigli – ”. 16
Nella lettura dei partecipanti ai Consigli si ritrovano cognomi di famiglie
tuttora presenti in Eggi, quali: Sbardella, Caselli, Fagotto(i), Casella,
Cardini, Rutili, Sabbatini, Petrini, Angeli, Boni Cerro.
Risulta altresì che le famiglie (fuochi) erano ancora in n. di 94.
In questo periodo l’elemento di spicco è costituito dalla villa d’estate dei
marchesi Zacchei Travaglini.

Nel XIX secolo, in seguito all’occupazione napoleonica, Eggi perse lo


status di comune rurale e tornò territorio del Comune di Spoleto,
raggiungendo le premesse per l’aspetto attuale, caratterizzato nel lato a
valle dalla villa dei conti De' Pazzi Morelli e, a monte, dal castello.

Prima di affacciarci a questi ultimi secoli, appare opportuno mostrare


Eggi così come rappresentato nella mappa del catasto gregoriano
promosso da Pio VII nel 1816 e attivato da Gregorio XVI nel 1835.

Dai brogliardi che completano e accompagnano la mappa risulta che i


terreni, i seminativi, gli uliveti, le case coloniche, i boschi e gli immobili
abitativi, appartengono prevalentemente alla Chiesa e ad Enti religiosi o
del volontariato, anch’esso religioso, che vanno sotto i nomi di Beneficio,
Monastero, Parrocchia, Congregazione, Capitolo, Compagnia, Convento,
Chiesa, Seminario, Brefotrofio, Ordine, e similari.
Compaiono altresì proprietà dislocate in vocaboli il nome dei quali, per
almeno di alcuni di essi, si è perso nel tempo o si è trasformato: Le
Pozze, Cerro, Schiagio, Forca, Lignali, San Merodo, Campo della noce,
Vigna, Via del Fosso, Schioppi, Fontanella, Montagnano.

16
“Libro mastro della Comunità di Eggi – ovvero Libro dei Consigli – ” - Ricerca di RENZO
FAGOTTI - Ed. Associazione Amici di Eggi- 2006

26
Dai brogliardi risultano altresì i nomi delle famiglie dei possidenti, molte
delle quali, segneranno la storia più recente del paese: Bonafede,
Sbardella, Favetti, Zacchei, Agata, Morelli, Ricci, Sabatini, Ceriolo,
Cardini, Valentini, Panighi, Panetti, Fioroni o Fiorani, Caselli, Luparini,
Conti, Lupacchini, Benedetti, Picioli o Piccioli, Rosati o Rossati,
Travaglini, Cerro, Battaglia, Bocchini, Pedrini o Petrini, Alberini,
Sordini, Minarelli, Minni, Rotili, Pila, Mongalli, Fratellini.

In tale periodo si incomincia ad ipotizzare di rendere carrozzabile il


percorso che da Spoleto porta a Norcia cosicché diminuisce l’utilità dei
vari sentieri passanti per Eggi.

Eggi dalla mappa del catasto gregoriano

27
Ma arriva l’evento più importante della storia d’Italia: quello della sua
unificazione. Nell’ambito della riorganizzazione amministrativa che ne
segue ad opera del Pepoli, Salvatore Fratellini racconta che nel progetto
di interventi manutentivi delle opere d’arte o monumentali in Eggi ne
vengono individuati 19. Così risulta da un appunto del Sansi.

28
Da un giornalino dell’Ottocento dei convittori di Piazza Campello -
Spoleto

1.4. EGGI, DAL 1900


ALL’ATTUALE

Attualmente Eggi, ben lungi


dal rimanere ai margini della
tranquilla eppur dinamica
realtà comunale di Spoleto,
chiusa nella tipicità di un
piccolo borgo medievale, si
propone quale modesto ma
attivo centro di diffusione della
pittoresca vita umbra, colma di
riti e tradizioni socio-agricole
di cui non tutti gli abitanti più
giovani conoscono l’origine.
Per descrivere l’aspetto attuale occorre partire dalle mutazioni avvenute
dal 1900 in poi, sul versante urbanistico, socio- economico e culturale.
Sarà importante evidenziare il perpetuarsi delle tradizioni e Eggi in una
delle prime foto a colori. In primo il rinnovarsi dei riti, ma anche
piano il casolare rustico gestito dai Moretti (U magu) le nuove forme di
sociali e aggregazioni solidaristiche, che contribuiscono a non rinnegare
la storia.

29
Intanto è necessario segnalare che, come risulta dai seguenti documenti
del censimento del 1901, all’inizio dell’anno e del secolo, gli abitanti di
Eggi erano 823 di cui donne 383 e uomini 440.

30
Censimento del 1901

Censimento del 1901

Purtroppo alcuni di essi, più tardi, compariranno nella lapide dei caduti
della prima guerra mondiale, triste testimonianza della conclusione di un
periodo turbolento anche per il paese.

EGGI 13 GIUGNO 1920/ 1915 1918/ I NOMI DEI GENEROSI/ CHE MORIRONO
PER LA GRANDEZZA D'ITALIA/ CONSACRATI NEL MARMO/ DALL'AFFETTO
DEI CONGIUNTI/ DALLA PIETA' DEI COMPAESANI/ RICORDINO AI POSTERI/
LA PUREZZA DELL'EROISMO/ LA SUBLIMITA' DEL SACRIFIZIO COMPIUTO/
AGOSTINI NATALE/ CASELLI ANTONIO/ COSSI PONZIANO/ DI-GIACOMO
PRIMO/ DI-MARCO MATTEO/ FELICIONI ANGELO/ GALLI BERNARDO/
MICHETTI CRUCIANO/ MURASECCHI FRANCESCO/ PECCIOLI NICOLA/
ROTOLONI CELESTE/ SANTINI DOMENICO/ SORDINI BERNARDO/ SORDINI
DOMENICO/ SORDINI VENANZO/ TOMASSONI EUTIZIO/ QUONDAM -
GIROLAMI ANTONIO

31
Lapide dei Caduti della prima Guerra Mondiale

32
Domenico Santini disperso a Gorizia e ricordato nella lapide

Giovani di Eggi impegnati nel primo conflitto mondiale

33
Due abitanti di Eggi con D’Annunzio
in Albania

Ma anche ad Eggi, non appena spentasi l’eco della grande guerra, si


evidenziano i presupposti per un nuovo attentato alla pace.

34
Il periodo fascista, nelle scuole si esprimeva anche così. Riconoscibili con la
maestra Orlanda, Alda D'Agata, Isene Luparini, …. Franca Mancini, Leo
D'Agata, Benito Bocchini, …. Lina Campana, Elia Mancini, … Ernesto
Felicioni, due fratelli Fagotti…. assiste, estranea, Wanda Mattioli

Appartiene a tale periodo un’altra memoria.

Sisino, il fratello più piccolo dei Crivellini, in piedi nella foto sotto,
scelse di arruolarsi come richiesto dal regime, ma Giovanni, di idee
opposte, restò nella sua casa di Eggi, anche perché aveva la moglie
incinta. I fascisti si presentarono presso la sua abitazione e iniziarono a
picchiarlo forse pretendendo abiura o rivelazioni.
Il padre, Ponziano, chiese di essere picchiato in sua vece.

Giovanni Crivellini ebbe così modo di fuggire e riparò in Francia con la


famiglia. Ma non riuscì a sopravvivere alle ferite riportate.
Per un po', inspiegabilmente, Sisino fu malvisto in paese come a volergli
addossare, per effetto della sua precedente adesione al fascio, la
responsabilità dell’accaduto. A Giovanni verrà dedicata una via.

35
I fratelli Crivellini messi l’uno contro l’altro dal regime

Ponziano Crivellini

36
Ma il regime, seppur involontariamente, faceva anche emergere le
persone moralmente irreprensibili, esempi di valore, di coraggio e di
coerenza. Annoveriamo fra queste Bernardino Cintio.
Questi, socialista, seguiva le sorti del mondo attraverso l’Avanti che
giornalmente gli consegnava il portalettere. Egli, consapevolmente
malato di patologia incurabile, e quindi prevalentemente chiuso in casa,
cercava di difendersi dai fascisti che, spesso infastidivano anche presso le
abitazioni.

Bernardino Cintio.

Bernardino Cintio aveva legato una corda ad una trave della camera in
modo tale da poter prendere slancio, alla Tarzan, per raggiungere, dal
letto, la finestra e fuggire allorquando la moglie lo avesse avvertito del
sopraggiungere del passo cadenzato e prepotente di una scorreria.
Egli così, finiva per adagiarsi sulla comoda ed opportuna concimaia posta
sotto la finestra e prendeva il largo verso il bosco.
Si vedrà poi palesemente che la sua coerenza ai propri ideali, aveva
forgiato gli abitanti che lo conoscevano, determinandone, almeno per
quella generazione, il comportamento e la cultura. E anche una
disponibilità democratica che ancora oggi resiste seppure discontinua e a
bassa intensità, ma comunque ancora vitale.
37
Nei vari “1° maggio” resi silenziosi dal regime, all’ombra di un grande
albero o sotto una capanna, a seconda del clima, Bernardino lamentava
con la moglie di non poter tornare a rivivere “quelle feste di una volta”, e
che, almeno lei, avrebbe potuto goderle perché, molto presto, “tutto
questo” sarebbe finito.
Finì infatti e, per le vittime, nessuna lapide tant’è che oggi sono
totalmente ignorate. Forse anche per l’esiguo numero di esse(soltanto3).
Restano però alcune memorie di tristi vendette. Simili a quelle che Pansa
chiamerà “Il sangue dei vinti”. Quindi, a guerra finita… non era ancora
finita.

Vincenzo D’Agata fu vittima delle ritorsioni degli antifascisti venuti da


fuori paese; perché quelli di
Eggi sapevano che, seppur
fascista,
egli non aveva mai infastidito alcuno: fu
“purgato” pubblicamente nel sagrato
della Chiesa della Confraternita con olio
di motore, bruciato. Non sopravvisse
neanche due mesi, spirando tra
contorsioni e atroci dolori.
Analoga sorte sarebbe toccata a
Ulderico Bocchini che però fu salvato
dalla lungimiranza della moglie Anita,
che aveva messo da parte sufficiente
latte purificatore.

Vincenzo D’Agata
Intanto Eggi, nel 1944, assiste ad un funerale di lusso con tanto di fasce,
alte-uniformi, sciabole lucenti sguainate e bande: quello dell’ex
Maggiore Giulio Fratellini17 che, in pensione, si era ritirato con la donna
di servizio, Zelinda, presso la Villa Sordini poi abitata dai Memmi. Non
17
Trattasi di un discendente di un ramo della famiglia patrizia Fratellini, originaria di Sellano e
spostatasi a Spoleto nel XVIII sec. .Dalla stessa famiglia proveniva Salvatore Fratellini, Sindaco
di Spoleto e parlamentare.
38
era il figlio di Salvatore Fratellini, Sindaco di Spoleto e poi parlamentare,
in quanto quest’ultimo aveva avuto solo una figlia (Maria poi sposata
Cittadini). Comunque fra i libri di Giulio Fratellini furono rinvenuti libri
contabili del Comune di Spoleto.

Il Maggiore
Giulio Fratellini con
Zelinda.

C’è da ricordare
che, per la verità,
Eggi si era salvato
dalle bombe se si
esclude
quella caduta in
mezzo al bosco
vicino al casale
rustico di Venceslao
Mancini e
che lasciò una
ferita bianca per
almeno i 20
anni a seguire. Ora
resta una profonda
buca rivestita di
verdi cespugli.
Comunque, il cielo di Eggi era diventato punto di partenza per gli aerei
che volevano bombardare Spoleto e Terni. Si radunavano roteando sopra
la casa dei Clivi e da qui lanciavano la “picchiata”. Dal fumo e dal
rimbombo che scuoteva il paese, si poteva capire quale fosse il
malcapitato territorio.

39
Resta inoltre una testimonianza del tutto particolare e toccante in base
alla quale nel luglio 1945, alle pendici del monte Isola, Fernando Sbicca,
Guido Ammetto, Silvio Burelli ed Efisio Putzolu, stanno disboscando un
terreno per piantarvi un uliveto per conto del prof. Fabiano Benedetti
Valentini, che curava con passione la proprietà agricola della moglie
Anna Profili.
Lì, due bambini stanno giocano. Uno è Federico (figlio di sei anni del
capostazione di Spoleto) ospite della famiglia dei Luparini (mezzadri del
Prof. Benedetti Valentini) e l’altro è il garzone di detti mezzadri.
Improvvisamente uno scoppio. I bambini vengono dilaniati per aver
trovato e toccato un residuato bellico.
Qualche giorno più tardi il Prof. Valentini farà piantare sul luogo due
cipressi, uno dei quali è ancora visibile18.

18
TOMASSONI N. P., 2015
40
Cipresso della memoria

41
1.5. EGGI: IL DOPOGUERRA

La fine del conflitto bellico, la partenza degli “accampati” e degli sfollati


e il ritorno dei combattenti e dei prigionieri, nonché gli aiuti americani
cambiano, fra gli altri, anche Eggi: le sue esigenze, le sue aspirazioni, la
sua economia e, conseguentemente, anche il suo sviluppo e assetto
urbanistico.
Cessata l’attività delle fornaci per la calce (poste sotto e prospicienti al
Castellocchio) resta soltanto, ma ancora per poco, un allevamento di
bachi da seta di proprietà dei Morelli. Questi vengono alimentati con i
gelsi presenti nel paese, con i due che crescono davanti alle Fonti e con
quello che è a lato del cancello d’ingresso della villa.

Si stanno aprendo, infatti, le possibilità di essere assunti nelle miniere di


lignite di Morgnano, nel cotonificio, nelle fabbriche del fosforo e di
laterizi, nella Tipografia Panetto e & Petrelli di Spoleto. Ciò costituisce la
premessa per un’inevitabile trasformazione.
Gli abitanti di Eggi operanti nelle miniere, attività che entrerà in crisi alla
fine degli anni ’50, sono in numero di 26 come risulta dall’elenco stilato
da Stelvio Murasecchi.
Giova non dimenticare che anche Eggi (con due morti ed un ustionato
grave) pagò il suo prezzo nello scoppio della Miniera di Morgnano
avvenuto il 22 marzo 1955.

Il più importante per il paese risultava essere il lavoro che gli abitanti
svolgevano nel cotonificio. Quest’ultimo aveva avuto un primo
fallimento nel 1930, ma con diverse gestioni, opererà in crescendo fino
alle soglie degli anni ’60 per poi attraversare nuove crisi fino alla
definitiva chiusura del 1975. Le donne di Eggi attive in questa
manifattura sono in numero di ben 52 e gli uomini in numero di 6. Tutti
raggiungono il luogo di lavoro (diviso in tre turni) inizialmente
“rigorosamente” a piedi, poi in bicicletta ed infine con un pullman tutto
per loro.

42
.

Elenco stilato da Stelvio Mursecchi Francesco Testaguzza, una delle


vittime dello
scoppio delle miniere

43
Un’altra attività importante per gli abitanti di Eggi è quella avviata a
Spoleto da Filippo Di Filippo (prima sindaco della città, poi
parlamentare) il quale apre una fabbrica di marmellate e di bevande (le
prime gazzose e aranciate).
Notevole sarà il successo della bevanda SPUMASOLE al punto da dare il
nome ad una squadra di calcio.
Si ricorda ancora Augusto Mariani, detto appunto “Spuma sole”, che
trasportava questa bibita con un
furgone con apposita scritta nelle
fiancate.

Tipico tappo delle particolari bottiglie


delle prime bevande (gazzose e
aranciate)

44
La squadra di calcio SPUMASOLE

Il cotonificio, ora Scuola di Polizia

Ad Eggi restavano comunque ancora numerose le famiglie dei contadini


e dei coltivatori ortofrutticoli. Ormai approfittavano anche della continua
introduzione di nuovi macchinari agricoli e degli studi e dei risultati delle
ricerche per migliorare la produttività e quindi la produzione.

45
La battitura del grano presso Enrico Monteverde. Riconoscibili: Francesco
Rosati (con il cappello), Roberto Bartoli (in camicia bianca), il proprietario
della trebbiatrice …………………………………. I fratelli Luparini dietro a
Pietro Moretti, Giuseppe Galli, Chiara Monteverde che mesce il vino, Giacomo
Martignani, Enrico Monteverde. ……………….

I tre bambini sono il figlio di Iolanda Monteverde, ed i figli di Chiara


Monteverde: Mariola e Rodolfo Bartoli

46
Altra famiglia contadina

Camera da letto dei primi anni del secolo scorso

47
Raticchia o naticchia o seccajola ove, al sole d’estate, si facevano seccare
pomodori, fette di mele e di pere, prugne, funghi, fette d’agrumi e similari, per
il successivo consumo invernale

48
L’immediato dopo guerra e gli aiuti americani
in AMLIRE

In famiglia si mangiava senza tovaglia e quando c’era serviva anche per


pulirsi la bocca. Il fuoco era acceso per l’intera giornata, per riscaldare gli
ambienti se necessario, per cucinare e per fare il sapone o la tinta.
Il vino era soltanto di tre qualità: bianco, nero (rosso) e “mezzo mezzo”
(rosato). Le olive venivano raccolte in gennaio e per attenuare il freddo
venivano accesi fuochi che lottavano con il vento.

49
Eggi - Chiesa e piazza nel 1948

Per conservare i cibi deperibili veniva utilizzato il freddo delle cisterne o


dei pozzi. Le banane venivano acquistate per i malati e così la introvabile
acqua minerale. Ai malati, infatti, veniva consigliata l’acqua San Gemini
o Fiuggi che erano vendute in farmacia.
La spesa veniva effettuata con la carta annonaria (tessera) rilasciata dalle
autorità nominativamente per garantire a tutti l’indispensabile per
sopravvivere. Misura propedeutica alla tessera era “l’ammasso”: i
produttori dovevano conferire in luoghi designati dall’autorità, le loro
merci per evitare accaparramenti, borsa nera e carenze per i meno
abbienti.
Poi sarà la volta dei libretti (quaderni con la copertina nera), ove, con la
matita copiativa, a cura dei negozianti, venivano annotati di volta in
50
volta gli importi della spesa giornaliera che sarebbe stata saldata tutta
insieme il giorno della paga.

Eggi nel 1950

Venivano introdotte le prime “macchinette” fotografiche con rullino che


doveva essere sviluppato. Cosicché “il risultato” era visibile dopo una
settimana.
I vestiti erano “accomodati” con le pezze o toppe. E venivano lavati in
casa perché le lavanderie non esistevano. Lo shampoo era in polvere e
per lo più Palmolive o Paglieri.

51
Eggi, ingresso (1956)

L’immondizia si gettava nell’orto per farla mangiare dalle galline e per


concimare le insalate e le piante aromatiche. Era anche cibo per i cani che
erano conosciuti da tutti (Arno, Lea, Pronto).
Peraltro essi erano pochi perché non dovevano prestare sorveglianza né
per i ladri, né per le solitudini umane.

52
Eggi 1956, una delle prime cartoline illustrate

La caccia era diffusissima e si esercitava con “’u ddodici” o con “‘u


sovrappostu”. I bambini imitavano i grandi con lo “stiuppittu con le
carcatucce” facendo “a guerra” nell’interno del castello.

I preti dicevano Messa senza microfono e la Comunione si poteva fare


solo se si era digiuni.
Durante la Messa essi davano il di dietro ossia si vedevano solo di
schiena e si voltavano soltanto per dire “oremus” o “sursum corda”.

Ogni tanto qualche organizzazione portava il “cinema” all’aperto in


piazza e spesso Burli, in un palco di tavole, organizzava incontri di
pugilato. Agli abitanti mancava la possibilità di avere scuole di musica di
imparare lo sport e di frequentare edicole e biblioteche.

Alla fine degli anni ’50 venne una famiglia di saltimbanchi (marito detto
Bistecca, moglie e bambina) che si accampò nell’ampio spazio dietro la
Chiesa della Madonna delle Grazie. Gli spettacoli erano nuovi per tutti e
perciò risultarono estremamente graditi al punto da indurre la famiglia a

53
fermarsi per lungo tempo. Alla partenza la commozione fu generale: Eggi
aveva avuto un assaggio del Circo Equestre. Passò il tempo, e un giorno
Bistecca tornò, ma ripartì l’indomani, perché nottetempo gli fu rubato il
tavolame. EGGI AVEVA INIZIATO A CAMBIARE.

La trasformazione dell’agricoltura a Eggi, come nei paesi limitrofi, si


caratterizzerà per il superamento del regime di mezzadria e per la
meccanizzazione.
Siamo nel 1964 ed il nuovo governo nazionale programma di abolire la
mezzadria e di regolamentare nuove forme di contratti agricoli: introduce
il salariato agricolo e, nel 1970, approverà lo Statuto dei Lavoratori. La
Regione dell’Umbria si doterà dell’Ente di Sviluppo agricolo. La nuova
legislazione prevede contributi per chi rimarrà nel settore e buonuscita a
carico dei vecchi concedenti, qualcuno dei quali la corrisponderà
lasciando all’agricoltore la casa colonica con area cortilizia più o meno
ampia.
Nel territorio di Eggi qualche proprietario terriero resiste in virtù delle
autonome conoscenze in campo agricolo e delle proprie capacità
innovative: sopra tutti, il prof. Fabiano Benedetti Valentini, chirurgo e
primario ospedaliero dotato di autentica scientificità delle coltivazioni.
La moglie, Anna Profili, era proprietaria della tenuta che inizialmente era
stata degli Zacchei Travaglini, ed il marito, in prima persona, aiutato dal
collaboratore Danilo Calisti, decideva con autentica lungimiranza,
speciali coltivazioni vitivinicole nelle proprietà di Eggi, di Morro e di
Cannaiola. Altrettanto faceva con gli uliveti nei suoi vicini poderi gestiti
dai Luparini e dai Di Marco. Come si è già detto in precedenza, fu lui a
far effettuare il disboscamento delle pendici della collina dell’Isola.

Il conte Pucci della Genga, proprietario della Villa di Matrignano, non


rimpiazzerà i suoi ex mezzadri Quondam Girolami e Tardocchi, i figli dei
quali troveranno lavoro in città.
Matrignano (554 m. sul l.m.) porta tale nome da Tito Matrinio, vissuto
nel 100 a.c. e allora proprietario dei terreni ove, poi sorgeranno i
fabbricati.

54
La località di Matrignano è attraversata da uno dei tanti sentieri che nei
primi dell’ottocento conducevano, passando per Eggi, alla Valle del
Nera. Il sentiero, infatti si immetteva nella strada, allora sterrata, che
portava nel nursino. La località risulta attestata nei registri ufficiali già
nel 1195, ma la splendida villa che oggi ancora si ammira, fu costruita

La villa di Pucci della Genga a Matrignano

su fabbricato già esistente, nel 1783 da Angelo Amadio su commissione


di Lorenzo Alberini che ne fu proprietario insieme a De Domo.
Apprezzabili sono il portico e le sale decorate da affreschi satirici e di
vita claustrale.
Per successive unioni e discendenze familiari passerà alla famiglia Pucci
Boncambj della Genga de Domo Alberini. Trattasi dei Della Genga da
cui il cardinale Annibale Della Genga che nel 1823 fu eletto papa
assumendo il nome di Leone XII. Risulta che lo stesso cardinale sarebbe
stato più volte ospite di detta villa e delle altre proprietà site in Poreta.
Secondo alcuni storici, la villa sarebbe stata venduta nel 1926 all’ing.
Basler, coprogettista e direttore dei lavori della vicina pittoresca ed ardita
ferrovia Spoleto-Norcia. Ma, agli atti, e nella memoria degli abitanti del

55
tempo, tale passaggio non ci sarebbe mai stato. Ne fanno fede anche le
successive discendenze. Peraltro l’abitazione dell’ing. Basler è ancora
visibile presso Caprareccia.
All’interno della villa è presente una cappellina privata con affreschi
raffiguranti scene di carattere religioso. Poco fuori dell’abitato troviamo
un’antica chiesetta romanica dedicata a Santo Stefano ad unica nave e
con campaniletto a ventola.
Nei pressi ed a servizio dei maiali dei proprietari una pozza d’acqua detta
“i crocetti”.
I Pucci della Genga si servivano dei fattori Nando Bartoccioni, prima, e
Mario Burini poi. Il guardiano era Mariano Bernardini.
Venendo all’ultimo secolo, il marchese Federico, sposato con una
Bachettoni, ha avuto due figli, Alfonso, che ereditò la villa, e Olimpia
che ebbe assegnate altre proprietà, fra le quali quelle di Poreta.
Attualmente la villa è abitata dalla moglie di Alfonso e dal figlio di
questi, il conte Lorenzo Pucci Boncambi marchese della Genga de Domo
Alberini.

Per un po’ di tempo resisteranno anche le proprietà immobiliari della


parrocchia di San Michele, sia quelle situate nei pressi della stessa casa
parrocchiale (compreso il lascito dei Meoni) sia quelle agricole site nei
pressi di San Giovanni Battista e di Forca di Cerro.

I Travaglini, proprietari, come si è detto, della villa Zacchei Travaglini e


anche della tenuta gestita dagli Sbicca, venderanno tutto terminando così
anche il loro rapporto con il duro e arcigno fattore Luna.

Altrettanto faranno i Fioroni che venderanno ai paesani di Eggi gran


parte dei loro uliveti della Fraschetta.

I Morelli, che si avvalevano del ministro Checco Falcinelli, con il suo


motociclettone, e del fattore Biagio Schippa, vedranno decadere le
mezzadrie dei Finocchi, dei Damiano Bonacci e dei Dante Minestrini ad
Eggi e dei Cintio, dei Bordini e degli Alimenti, nella zona di San Berodo.
Altrettanto accadrà per la proprietà del Molino della Via (Pontebari).
56
Saranno alienati anche i terreni di Collerisana che poi diventeranno
edificabili. Come si vedrà più avanti, stessa sorte toccherà alla Villa De’
Pazzi Morelli.

La famiglia Profili, che si giovava del capace fattore Sesto Minestrini,


resterà proprietaria della Villa ove avevano lavorato gli Sbicca ed
alienerà ai Monini, il casale affidato agli ex mezzadri Salvucci e,
successivamente, quello acquistato dai Morelli e già gestito dai Finocchi.
Alieneranno altresì la proprietà gestita dai Flamini presso la Fabbreria.

In parte resisteranno anche i Clivi che si avvalevano dell’attività del


“guardiano” Roberto Bartoli, per il controllo dei boschi di Eggi, delle
proprietà di Forca di Cerro e di quelle gestite in paese dai Moretti e, a
Cortaccione, dai Ceccaroni. Dei Clivi era anche il frantoio oleario ove
presse cilindriche con fiscoli, spremevano la pasta di olive ottenuta per
effetto dello schiacciamento del frutto con due enormi pietre macine
mosse dalla sopraggiunta energia elettrica. Il “capoccia” era Dante
Montanari. Anche in virtù di questo frantoio, nel paese e nei territori
limitrofi, si svilupperà la coscienza di possedere (nella fascia fino a
Trevi) un patrimonio nutrizionale e gastronomico unico al mondo. Da
tutelare, da accrescere e da amare. Per gli amanti del settore si segnala
che le macine sono ancora visibili. Come resta ancora inalterato il
paesaggio costituito dall’addomesticamento della natura, con
terrazzamenti del suolo avvenuti con opere funzionali ma anche
decorative.

57
Molino oleario dei Clivi

58
Pietro, Chiara e Jolanda dietro i loro genitori Enrico Monteverde e Lena

Dei Clivi era anche il casale rustico gestito della famiglia di Enrico
Monteverde, aiutato soprattutto dal figlio maschio Pietro. Quando la
famiglia Monteverde abbandonerà l’attività, a seguito di fatti e atti
successori, il casale passerà al ramo femminile dei Clivi e quindi ai
Mastrolia Zizzari che finiranno per svolgere in proprio l’attività agricola
e l’allevamento dei bovini, affiancandogli un Agriturismo.

59
Il casolare rustico ove lavoravano altri Monteverde (Nazzareno) e che è
situato lungo la “strada corta”, ora è abbandonato forse per scelta o per
disaccordi dei proprietari. (foto a pag….)

Con alterne vicende sono tenuti aperti asili e scuole elementari


(inizialmente solo fino alla terza elementare, poi fino alla quinta).
A ciò saranno adibiti i locali ove ora è l’ARCI e la parte superione di
quella che era la Villa Sordini.

Vecchia cartella scolastica


E’ il caso di mettere la foto della scolaresca con le tre maestre?!
Tale sviluppo dell’economia e dell’occupazione, consente anche di
apportare migliorie alla Chiesa di San Michele Arcangelo, della Madonna
delle Grazie, della Confraternita e di San Giovanni.

60
Influente risulterà anche l’opera dei parroci della parrocchia. Si
avvicenderanno don Biocca, don Antonio, don Alfredo, don Giuseppe,
don Gaetano e don Giampiero. Il primo asilo sarà istituito da don
Antonio presso il fabbricato n.1, sito nella Piazza principale. Lì verrà
avviata anche una scuola di insegnamento di taglio e cucito e soprattutto
di maglieria e ricamo.
Al recupero degli affreschi della Chiesa di San Michele Arcangelo,
avvenuto negli anni ‘950, e anche più recentemente, saranno impegnati
don Alfredo prima e don Giampiero poi; alla risistemazione dell’annessa
casa parrocchiale provvederanno Don Giuseppe e don Gaetano. In tali
circostanze, il “Camerone”, ove si erano svolti i “teatrini” amatoriali, sarà
rimaneggiato per ottenerne un luogo conviviale. Sarà eliminata anche la
scricchiolante “piccionaia” di legno.

L’asilo sarà poi trasferito nello slargo, dietro il negozio dei Cappelletti,
nella abitazione nobiliare che prima era stata dei Rutili (quelli di
“Ciccia”) e poi del dott. Mioni con la donna di servizio Laurina.

Loggetta

61
Nell’elegante loggetta di questa abitazione nobiliare è affrescato uno
stemma, probabilmente della famiglia Ancajani.
I Mioni, originari di Foligno, lasceranno tutto alla parrocchia con atto di
donazione condizionato ad uso assistenziale dell’infanzia.

Stemma

Intanto in tutte le case le acetilene a carburo e le candele sono state


sostituite dall’energia elettrica (un po’ più tardi si avrà anche
l’illuminazione pubblica). Arriverà anche l’acqua potabile (prima nelle
fontane pubbliche, poi nelle case private). Si ricorda che durante gli scavi
antistanti la Chiesa di San Michele, per il posizionamento dei tubi del
nuovo acquedotto, verranno alla luce antichi resti umani a testimonianza
della presenza di una piccola area cimiteriale.
Operano contemporaneamente tre negozi, che determineranno il disuso
dei forni comuni e l’ulteriore riduzione delle attività agricole.
Scompaiono anche i carretti tirati dai buoi o dagli asini. Gli ultimi
saranno quelli di Guglielmo Cossi e di Valentino Mattioli che, nelle
fiancate, recavano impresso l’anno della loro costruzione. Non busserà
62
più il lattaio per lasciare quel nutriente liquido ancora caldo perché
appena munto, ma prenderanno a bussare i primi venditori ambulanti in
specie di stoffe e confezioni intime (gli spiazzini) che asseconderanno i
desideri delle mamme e delle nonne che intendono preparare il corredo
delle figlie e delle nipoti. Molte donne continueranno a fare lavori ai
ferri. Dai paesi vicini Severino Novelli, porterà il pane fresco e
profumato e verrà Fulvio Silvestri che avrà cura dell’acquedotto e delle
fontane pubbliche e si occuperà delle letture dei contatori. Michele Proia
provvederà alla manutenzione della pubblica
illuminazione elettrica. Gennaro sarà il postino
sostituito da Vento in caso di assenza.
Spesso sarà presente anche Rocco il fotografo,
privo di un braccio.
Arrivano anche le prime radio (La Voce del
padrone, Marelli, CGE e Geloso) e i primi
telefoni nelle case. Poi moderne biciclette,
ciclomotori e le prime autovetture.
Fino alla TV, prima in bianco nero, poi a colori.
Il primo televisore sarà posto da Don Alfredo al
servizio di tutti nel camerone della parrocchia.
Poi la TV entrerà nelle case e via via, il
paesaggio che si era impoverito di pagliai si
“arricchirà” di antenne.
Come conseguenza della pregressa presenza
delle fornaci per la calce, da Eggi usciranno i
migliori muratori del sud dell'Umbria, tant’è che
sarà individuato come il paese dei muratori per
antonomasia. Tra ditte individuali e società di
costruzioni, se ne conteranno
Cerioli Dante, calzolaio, trentacinque. Oltre agli edili dipendenti
barbiere, violinista (muratori e manovali).

Non a caso, quando anche i primi figli delle famiglie popolari


inizieranno ad “andare a scuola a Spoleto”, a piedi ovviamente,

63
resteranno nel settore dell’edilizia decidendo di diplomarsi geometri,
(Bruno Gioia il figlio del cantoniere ferroviario, Rolando Ricci, Pietro
D’Agata e Andrea Sbardella, Guido per gli amici).
Si farà largo anche l’artigianato delle scarpe. I calzolai saranno
quattordici e serviranno tutto il territorio fino alle Marche: le strade sono
sassose ovunque e solo “quelli di Eggi sono capaci di fare le scarpe a
mano” robuste ed indistruttibili. Inoltre molti calzolai e soprattutto la
famiglia Piantoni e quelle dei Cerioli, saranno disponibili ad anticipare il
lavoro, accettando il successivo pagamento reso possibile dal ricavato dei
prodotti dei primi raccolti delle olive, del grano e degli altri cereali.

Abelardo Piantoni ed il suo tavolo da calzolaio

64
Le fonti di Capaeggi

Saranno costruite nuove fonti. Quella di Capaeggi verrà realizzata


tagliando un grandissimo masso che sporgeva da terra, il più grande di
tutto il paese.
L’asfalto, nel bene e nel male, porterà via polvere e storia.

65
Ingresso della ex Villa Sordini e fenditura praticata nelle mura del Castello.

Questa fenditura a destra, che ora è solo un groviglio di spini, agevolava


scorciatoie per quegli incontri amorosi che oggi possono avvenire alla
luce del sole. Eleganti portoncini prenderanno il posto dei vecchi e
sgangherati portoni senza chiave.

66
Vecchio portone

Nuovo portone
Poi arriverà anche la segnaletica delle vie: forse superflua perché in paese
si conoscono tutti e si chiamano per soprannome19. Una prima via sarà
dedicata a Giovanni Crivellini. Un’altra ad Orlando del Frate, prima

19
TOMASSONI N. P., Le patate sotto il cuscino 2018 - Ed. 101 pag. 157 e succ.
67
vittima del progresso motoristico (incidente mortale con la propria
lambretta).

Molti giovani che non si accontentano dell’incipiente sviluppo, che verrà


denominato “boom economico”, anziché affrontare la realtà giorno per
giorno, decidono di andare a lavorare negli altri Stati europei migliorando
comunque la situazione del paese con le rimesse dei propri guadagni o,
successivamente, riportando in paese i propri risparmi. Prevaleva in essi
una condizione di eterna instabilità e di una costante paura e tensione del
ritorno della miseria.
Non avevano spazio nemmeno per i sogni e si sa che i sogni, per la vita,
sono un motore che non si spegne mai.
Allora diventava fisiologico il desiderio di fuga, di evasione, di
sopravvivenza al rischio “dell’inabissarsi del luogo in cui si nasce”. Alla
stanzialità, preferivano il passaggio ad un continuo altrove.
Le esperienze individuali sviluppatesi in più ampi contesti, ricollocandosi
nel luogo natio, andavano ad accentuare le modifiche già iniziate
arricchendo vecchie realtà e determinando nuovi sentimenti e nuova
cultura.
Idee e speranze non realizzate da chi non aveva acquistato voce,
tornavano riespresse e ribaltate sulle nuove generazioni e davano ancora
spazio a vecchie e nuove invidie e diffidenze che svanivano nelle tristi
occasioni di un partecipatissimo funerale di qualche parente. Occorreva
una morte per riuscire a mettere da parte vecchi e nuovi rancori.
Qualcuno finiva per stabilirsi definitivamente all’estero.

68
Nella foto un Santini aveva aperto un
ristorante al centro di Bruxelles.

Il dialetto, che fino ad allora era stato unico e distinto, finirà per
scomparire nella mescolanza con altri idiomi. Ma resteranno alcune
figure tipiche che lasceranno agli ignari posteri il dialetto originario e
scherzi, facezie e modi di dire: Maccarone, Maravija, U Bbobbu, Puntò,
Gujermone, Costantino, Luiciacciu, Otello, Lucrezia, Cacillu, Renato,
Zampugnu, Cannone, Chavarino.

69
Giuseppe Silvestrini (Cannone) Giuseppe Galli (Zampugnu)

QUESTE TRE FOTO POSSONO


Francesco Bucchini (Chiavarinu) ESSERE ANCHE ELIMINATE O
RIMPICCCIOLITE

Resta inalterata la strada delle Pinnura protetta da quel che rimane dei
muretti che la fiancheggiavano. I muretti stanno a testimoniare
l’importanza della strada e quindi ad avvalorare ciò che si è detto con
70
riferimento ai primi insediamenti del paese. Peraltro tali manufatti
poggiano su basi consistenti che svolgono la funzione di argine ai
terrapieni atti ad attenuare le asperità dell’ascesa.

Strada delle Pinnura


Un’ascesa di una delle tante antiche vie che portano nella Valle del Nera
e poi nella Via Plestia. Non è un caso che proseguendo dalle Pinnura si
trovino un’ antica abitazione (la Casetta), e una cisterna (Cisternola), al
servizio dei viandanti.
Varie sono le tesi sulla derivazione del nome “Pinnura”. Probabilmente,
in origine, nei muretti doveva esserci qualche nicchia con “pitture”.
Qualcuno azzarda la presenza di piccoli pini. Meno accreditata è quella di
chi sostiene che significhi “pendenza”.

71
Strada delle Pinnura
Viene migliorato l’antico Fontanile, abbeveratoio per gli animali e vasche
per lavatoi.

Fontanile per abbeveratoio e per lavatoi (anno 1950)

72
Fontanile per abbeveratoio e vasche per lavatoi, restaurato, poi
modernizzato

73
Croce già al centro della piazza principale

La croce, di metallo ferroso brunito, fu posta, negli anni ’50, in mezzo


alla piazza principale, da Don Alfredo in ricordo dei missionari che
restarono per un lungo periodo nel paese mentre un’immagine sacra della
Madonna veniva portata di casa in casa (la Madonna pellegrina). La
74
croce rimarrà fino ad un’ulteriore modifica urbanistica che consentirà il
riassetto dei fabbricati che fronteggiano la chiesa di San Michele.
Insieme alla croce, che ora è collocata davanti alla Chiesa della Madonna
delle Grazie, scompare, infatti, il relitto del manufatto che affiancava la
bottega di Armando il calzolaio. Il manufatto tornerà ad essere
un’abitazione. La capanna ove i Rosati custodivano il loro carretto e ove
preparavano l’inimitabile porchetta, e l’osteria della “Cacella” ove era
situato il telefono pubblico, diventeranno altre due unità abitative. Tutto
in linea, come è possibile vedere attualmente. Ai paesani, già raccoglitori
di tartufi e di funghi, si radicherà, dopo quella dell’olio, la cultura della
porchetta col rosmarino dei “Cacillu”20.
Più tardi arriverà la cultura degli asparagi.
Tre nuove abitazioni sorgeranno nel tratto che va dalle fonti alla Piazza
principale. Una di esse, con annessa falegnameria.
All’interno del castello sorgeranno abitazioni e autorimesse, come
peraltro in cima alla circonvallazione del paese: quando la strada spiana e
prende a scendere. Altra costruzione abitativa sarà eretta nell’orto in cui
“la Fischietta” coltivava agli, cipolle, insalata e pomodori e crisantemi da
vendere. Sarà inopinatamente abbattuto l’arco sottostante, l’orto, lungo
la strada (l’odierna Via Stretta) dopo l’abitazione di Enrico Cardini.

20
Trattasi di un maiale non molto grande pelato nella cotenna e arrostito al forno dopo essere stato
e aperto e farcito delle sue interiora e del rosmarino. Molto diverso da quello pur rinomato di
Costano che viene farcito con finocchio selvatico.
75
Nuova ringhiera nella piazza

I caratteristici muretti in pietra e calce saranno sostituiti da ringhiere,


balaustre ed altri manufatti in metallo. Anche nella piazza antistante la
chiesa una palizzata ora ha sostituito un muretto e un terrapieno su cui
crescevano tre ulivi ed una pianta di fichi.
Dove dominavano sassi e ghiaia comparirà l’acciottolato. Il doppio
ingresso superiore del castello, sarà ingentilito e le stradine di accesso
arricchite di ciottoli e lastre di laterizi per migliorarne la transitabilità.

76
Porta superiore del castello con lastricato

77
Porta superiore del castello con lastricato

78
Zona
Montecavallo-
Scorcio con lastre di
laterizi in luogo
dei veri e propri
scogli

Le pretenziose
arcate del Borgo
rimarranno in
buono stato anche
se, avendo
terminato le loro
funzioni di fienile e
di granaio,
resteranno senza
manutenzione.
V’è da ricordare
comunque che,
proprio per la
loro funzione la
parte superiore non si presentava ad arco. Questo fu ottenuto in una notte
di lavori murari eseguiti di soppiatto da chi doveva far passare una
trebbiatrice. Ciò è agevole constatare dalla diversa posizione delle
finestrelle.
Così non sarà per il muretto del ponticello davanti alla Chiesa della
Madonna della Grazie, che verrà sostituito, anch’esso, da una palizzata in
metallo. Inoltre l’ubertoso campo dei Morelli coltivato dai Santini, che
fronteggiava il muro di cinta della Villa De' Pazzi, diventerà un periferico
e popolare nucleo abitativo le cui stradine non terranno conto che in un
immediato futuro le automobili sarebbero state di maggiori dimensioni.
Tale nucleo finirà per estendersi fino alla Chiesa di San Giovanni ed
anche a ridosso del Borgo. Anche il Fontanone, dalle saponate e
profumate acque reflue delle Fonti, sarà ricoperto.
79
Scrive l’arch. Giuliano Macchia, che in una delle sue tante versioni, il
Piano regolatore di Spoleto, prevedeva per Eggi, anche una sala
cinematografica.

Le pretenziose arcate del Borgo rimarranno in buono stato anche se,


avendo terminato le loro iniziali funzioni di fienile e di granaio,
resteranno senza manutenzione. V’è da ricordare comunque che la parte
superiore non si presentava ad arco. Infatti per adeguarsi alle
sopraggiunte necessità questo fu ottenuto in una notte di lavori murari
eseguiti di soppiatto da chi doveva far passare una trebbiatrice.

Intanto, nella piazza principale, laddove v’erano i pini, i Cossi hanno


costruito la loro abitazione ed il loro esercizio commerciale.

80
Strada con archi e finestrelle

81
Ovunque, le stalle dei maiali diventeranno autorimesse o piccoli
appartamentini.

Ex porcilaie in trasformazione per ottenere piccoli appartamentini.

Il casolare dei Morelli, ove era il mezzadro Finocchi, finirà anch’esso


alienato ai Profili e da questi, successivamente, all’attuale proprietario,

82
che nel ristrutturarlo e nell’abbellirlo, scoprirà un’antica destinazione a
molino mosso dall’acqua dal torrentello che lo fiancheggia.

Ex casale dei Morelli, poi dei Profili, già gestito dalla famiglia Finocchi

Sarà elegantemente restaurata la villa dei Profili, ove erano gli Sbicca. In
questa è presente una deliziosa cappellina privata. All’interno di essa due
rudimentali e grandi crocifissi lignei bisognosi, anch’essi, di restauro.
Sarà opportunamente eliminata la “concimaia” che segnò la morte di un
dipendente. Resterà la bellissima aia sopraelevata dalle quale cadde
rovinosamente Benito Sbicca.
Attualmente la villa è residenza estiva degli stessi Profili.

83
Villa rustica dei Profili già gestita dalla famiglia Sbicca

Facciata della Villa dei Profili a cui si accedeva dopo aver attraversato un
cortile ed un androne. A sinistra l’ingresso della cappellina.

84
La numerosa famiglia degli Sbicca, con i figli anche in licenza militare prima
del secondo conflitto mondiale. In alto: Livio (detto Betto), Romano, Fernando,
Gabriele, Elio. Sotto: la moglie di Livio con il piccolo Nando in braccio, Ester
e Giulio i capifamiglia, con Benito ed Augusto.

Meridiana della Villa rustica dei Profili

85
La casa rustica ove erano i Salvucci, anch’essa dei Profili, sarà
acquistata, e quindi ampliata e nobilitata, dalla famiglia Monini che,
coerentemente, la circonderà di giovani ulivi.

Ex Casale dei Profili, già gestito dalla famiglia Salvucci, ampliato e nobilitato
dalla famiglia Monini,

I Montioni restaureranno la cadente abitazione di Castellocchio e, a


Collemarozzo, di quella dei fratelli Jacarella, Pietro Montanari, il maestro
cuoco, di ritorno da Bologna, ne farà un esercizio ricettivo.

86
Collemarozzo - Come era l ’abitazione dei Jacarella

“Agriturismo Pietro e Pina”

Nella piana di Eggi sono ancora disseminati numerosi casali agricoli,


spesso con torre colombaia, a testimonianza dell’antica vocazione rurale
del territorio. Alcuni di essi verranno via via abbandonati.

87
Casale rustico della famiglia di Nazzareno Monteverde. Ora disabitato e in
abbandono. Si noti l’ampia torre colombaia

Altro casale abbandonato

88
Casale dei Luparini, mezzadri dei Benedetti Valentini. Ora disabitato.

Nella zona della Fraschetta, antica viabilità per Bazzano, ove, come già
detto, sono stati individuati resti di tombe di epoca romana, restano
ancora visibili agglomerati di massi e le grotte che furono utilizzate come
rifugi durante i bombardamenti dell’ultimo conflitto bellico.

89
.
La grotta, detta dell’Ignali

La grotta, detta dell’Ignali, oggi

Quando la grotta era affollata, si ricorreva agli incavi degli ulivi ragghj
(raia).

90
Ulivo

91
Casetta dellu Rusciu

La casetta “dellu Rusciu”, probabilmente costruita sopra e con vecchi


resti di epoca romana, nell’immediato dopoguerra ospiterà le baldorie di
una comitiva21.

Nessuno si porterà via il Tramonto dalla Fraschetta

21
TOMASSONI N. P., 2015
92
Un tale capitato in paese, proveniente dal foggiano, proverà, senza
successo, ad avviare una pratica per costituire una cooperativa edilizia,
con i contributi pubblici.
Presso la Villa de’ Pazzi Morelli sorgeranno le colonie estive seguendo di
poco l’esempio di quelle di Monteluco e di quelle marine.
Eggi, dopo l’andirivieni, da san Giacomo, del dott. Ruggiero, per alcuni
anni, potrà avere la sede del proprio “medico della mutua” (dott. Luigi
De Santis).
In tale periodo da Eggi usciranno i primi laureati e il paese darà al
Comune ed all’Ospedale di Spoleto numerosi primi dirigenti
amministrativi e sanitari. Non mancherà un dirigente regionale, nel
settore del turismo, e un giudice tributario. Nell’Ente Comunale si
succederanno tre consiglieri e due
assessori. Così come un consigliere
presso la Regione dell’Umbria, presso
l’Amministrazione ospedaliera e
nell’Azienda dei trasporti. Prenderanno le
mosse e il via anche un parroco, due
musicisti e direttori d’orchestra fino,
addirittura, a un candidato all’Oscar per i
costumi (Sabatini). Fagotti Renzo, oltre
ad essere uno dei predetti consiglieri e
assessore comunali, rivestirà la carica di
Presidente della Comunità
Montana dei Monti Martani, Serano e
Renzo Fagotti Subasio. Nessuno di questi dimenticherà
di essere del paese di
“quelli che
22
pistano i piedi”

22
Gli abitanti hanno fama di pestare (calpestare) i piedi altrui. Secondo alcuni il detto deriverebbe
dal fatto che non si facevano sopraffare. Secondo altri perché non sapevano ballare.
93
Da Eggi, figlio di Flora, cuoca del
paese, uscirà anche un maestro
di alta cucina che eserciterà
prevalentemente a Bologna, ma che sarà
conosciuto, apprezzato e ricercato in
tutt’Italia.
Nel secolo attuale sarà insignito di uno
dei più prestigiosi premi del suo settore.

Pietro
Montanari

Le mutazioni che si vanno illustrando


sul versante economico e sociale e sotto gli aspetti urbanistici,
influiranno anche sugli aspetti demografici. Non vi saranno più la
famiglie con prole numerosa quali i: Fagotti, Mancini, Silvestri, Piccioni,
Santini, Mattioli, Pergolari, Cerioli, Silvestrini, Morresi. Gli ultimi sono
da considerarsi i D’Angeli.
Delle trasformazioni ne risentiranno anche i riti, le tradizioni e i costumi
e si verrà così a completare il quadro degli elementi che andranno a
costituire un nuovo aspetto di vita: premesse per quella attuale. Infatti il
paese non potrà sfuggire all’incipiente consumismo e a quella che qui
possiamo chiamare “globalizzazione territoriale”.
Quindi, anche con la complicità dell’asfalto che crea complicazioni
tecniche, inizieranno a scomparire le tradizioni laico-religiose quali:
l’ennerata23, la scampanata24, la caccia alle volpi ed alle faine per
ottenere un compenso in uova, dai possessori delle galline non più
minacciate, i focaracci della Venuta, l’acqua di San Giovanni.
I riti rigorosamente religiosi come: l’infiorata del Corpus Domini, le
varie processioni e quelle del periodo pasquale, a santa Maria
Reggiano, alla Fabbreria e a Collemarozzo, la legatura delle campane e
23
Vedi TOMASSONI N. P., Le patate sotto il cuscino 2018 - Ed. 101 pag. 128
24
Vedi TOMASSONI N. P., In quel tempo 2015 Ed. Il Formichiere pag.50
94
la loro sostituzione con le “vattice”25, la preparazione della Veccia, le
quarant’ore, la festa di Sant’Antonio ed altre, sono talmente interessanti
e ricche di sedimentazioni complesse, che meritano una trattazione a
parte. Qui si vuole ricordare soltanto la festa della Madonna delle Grazie
allestita dalle santesi di turno: con l’albero della cuccagna, le corse con i
sacchi, il tiro al gallo, l’abbattimento della pigna, il tiro alla fune. Il tutto
alternato a brani musicali eseguiti dalle bande che venivano dai paesi
vicini.

Soprattutto, l’onnipresente gioco della morra.

25
Derivato da battere. Tavoletta di legno con maniglie mobili di ferro che, per il rumore che
produce, era usata nelle funzioni religiose della settimana santa quando venivano “legate” le
campane; anche bàttola, crepitacolo, battistrangola.

95
I bambini attendevano Babbo Natale (non ancora americanizzato) solo
perché a mezzanotte si andava a messa per rinnovare l'emozione della
nascita di Gesù. Ma attendevano, invece, con trepidazione, il giorno
dell'Epifania quando arrivavano i Re Magi con le loro offerte, oro,
incenso e mirra, per Gesù; e arrivava anche la Befana che portava loro
qualche regalo. Arance, mandarini e fichi secchi. I giochi e i giocattoli
dovevano inventarseli e farseli da soli.

Il venir meno dei riti e delle tradizioni o la loro trasformazione, non


riusciranno però a scalfire le peculiarità e la cultura del paese.
E anzi, esse, per certi aspetti, diventano punto di riferimento di altre
realtà territoriali limitrofe che rinverdiranno, a loro volta, le loro
tradizioni. Palesemente, infatti, quando inizierà la sagra degli asparagi,
qualche paese vicino tornerà a festeggiare le tradizioni dei tartufi, delle
anguille, dell’olio. In altri termini, se non sarà possibile sfuggire ad una
inevitabile contaminazione delle abitudini importate, resteranno gli
elementi fondanti della sua cultura caratterizzata dall’amore per le
proprie radici, l’attaccamento alla terra ed al bosco con i relativi prodotti
(cacciagione, tartufi, funghi, sorbe, corbezzoli), alla abitazione in proprio
che sarà mono o bifamiliare con la porta sempre aperta come il cuore
(mai appartamento in condominio); cosicché sarà agevole coltivare anche
un proprio annesso orto sempre profumato di mentucce. Nell’orto
esercitavano la tenacia unita alla perseveranza ed al sacrificio. E li si
creavano ricordi che il tempo non riuscirà mai ad inghiottire.
Le tradizioni culinarie continueranno ad essere basate sull’olio di oliva,
sui prodotti dell’allevamento del maiale (in specie le salsicce, gli sfrizzuli
e la porchetta al rosmarino), sui formaggi, sul vino, sulla cacciagione e
poi, come vedremo, sugli asparagi abbondanti nei boschi e negli uliveti
circostanti.

96
La caccia: riconoscibili Paolo Corteggi, il dott. Francesco Clivi (detto U
Signurinu) e Ildebrando Ricci.

97
Adepti e continuatori dell’arte di Diana

Gli gnocchi dolci e l’attorta a Natale non mancheranno mai come le


frappe e le castagnole a carnevale.

La crescionda26, nelle sua varie forme, resterà la regina dei dolci. Anche
le tradizioni culinarie meriterebbero una trattazione a parte.
Gli abitanti si rivelavano delle menti fertili, ma povere di immaginazione
e perciò trasformavano concetti banali in “ideali”. Facevano crescere
nemici per potere giustificare la loro vita semplice. Spesso, quindi, si
facevano fecondare da quello che oggi chiamiamo populismo. E c’era chi

26
Forse da “crescia unta” risalente al Medioevo: la ricetta dell'epoca prevedeva uova, pane
grattato, brodo di gallina, formaggio pecorino, raschiatura della buccia di un limone, zucchero,
cioccolato fondente grattugiato o cacao amaro.
Oggi la ricetta si è trasformata secondo diverse varianti. La più in uso è la Crescionda a tre strati
con una base di amaretti e farina, uno strato centrale chiaro, come un budino alla vaniglia, formato
dal latte e dalle uova ed uno superficiale marrone scuro formato quasi esclusivamente dalla
cioccolata.

98
era disposto ad ascoltare per giustificare quelle che consideravano misere
esistenze.
Per un lungo periodo tempo i giovani porteranno i capelli all’umberta e la
“mascagna” e i pantaloni alla zuava. Le donne potevano portare i
pantaloni solo per mascherarsi durante il Carnevale. Origlio sarà il primo
beat … quando ancora questi non esistevano.

Fin dagl’inizi degli anni ’50 si esibiranno tre compagnie teatrali


dilettantistiche che avranno lunga vita e un’ampia attività al punto che
andranno ad esibirsi, con largo successo, anche nel circondario.

L’orchestrina Fanfulla che accompagnava anche le compagnie teatrali

Con scarsi successi si esibiranno una squadra di calcio e di ruzzolone.


Gradatamente, la morra che aveva imperversato nel secondo dopoguerra,
prenderà a scomparire. Resteranno invece la briscola, il tressette e la
scopa giocati con le carte piacentine o napoletane, nonostante il lento
affermarsi del ramino e della “scala quaranta”.
Il gioco delle bocce verrà ancora praticato, ma, ovviamente, non più
lungo le strade sterrate.

99
Aldo Sabatini, Domenico Sbardella, innesto di San Giacomo, Simone Uliveti, Franco
Cerro, Guido Cerro, l’amministratore Silvio Burelli con davanti il figlio Enzo, due
innesti di San Giacomo, Tomasso Campana, innesto di un portiere spoletino o Marcello
Silvestrini, Giampiero Cappelletti (?) e il fratello Alfredo

Peraltro una particolare forma di aggregazione si era avuta già nel 1948,
quando, terminata l’onda dei ritorni dalla prigionia, sull’euforia delle
“patriottiche” vittorie di Fausto Coppi al giro del 1947 e di Gino Bartali
al Tour de France 1948, tutto il paese si ritrovò in una corsa amatoriale in
bicicletta Eggi-Fabbreria-Cortaccione- Eggi.
L’evento non poteva che concludersi con la foto di rito sul sagrato della
chiesa.

100
Foto di rito sul sagrato della Chiesa di San Michele Arcangelo e davanti
all’ingresso del castello

Con la trasformazione e l’innovazione dei riti e delle tradizioni terminerà


lo spontaneismo di quanto tramandato e si faranno strada nuove forme di
associazionismo solidaristico. Questo, pur con alterne vicende, tenterà
inizialmente di recuperare la Società del Sant’Antonio presso quella che
era stata la Confraternita del Sacramento, ma dovrà cedere il passo a
nuove esperienze.
Resterà, comunque, pressoché immutato, il “potere” della Chiesa, e
soprattutto dei preti.

101
Uno dei primissimi manifesti della Sagra degli asparagi

102
1985 Uno dei primi manifesti della Sagra degli asparagi
(tratto da un quadro di M. Campus)

Si affermeranno quindi il Circolo A.R.C.I. e l’Associazione “Amici di


Eggi”. Questi nascono su base volontaria e pertanto sono di natura
103
privatistica, apolitica e senza scopo di lucro. Ma acquisiscono rilevanza
pubblica e finalità di promozione sociale, turistica, di valorizzazione e
tutela di realtà e di potenzialità naturalistiche, culturali, storiche ed
enogastronomiche dell’intero territorio di Eggi. Organizzano mostre,
convegni, rievocazioni storiche e in particolare, l’Associazione, proporrà
"Punto Eggi" con l’abbinata "Sagra degli asparagi".
Non solo: l’attività dell’Associazione guarderà anche al panorama
culturale internazionale, oggi inevitabile filtro di una realtà globale che
definisce, nell’incontro e nel confronto, la dimensione ed il carattere di
ogni altra realtà locale.

Una tavolata alla Sagra degli asparagi. Fra gli altri Gisella Sofio,
Fiorenzo Fiorentini, Corrado e Lello Bersani con relative
consorti

104
La fontana, di acqua sorgente, era di fronte al Roccolo e a fianco delle fornaci
e della cava. Sisa e Liliana

Fontebona sarà sacrificata dal “progresso” costituito dalla superstrada


delle Tre Valli con relativa galleria.
Restano comunque inalterate le testimonianze delle antiche carbonaie e
delle fornaci.

105
Carbonaia

Sarà anche opera e merito dell’Associazione, diventata nel frattempo


pro-loco, se la parte artistica del paese, di cui il capitolo successivo, verrà
riscoperta e valorizzata.

106
CAPITOLO 2
LE CHIESE DI EGGI

1 Chiesa di San Michele Arcangelo


2 Oratorio del Sacramento
3 Chiesa di San Giovanni Battista
4 Chiesa della Madonna delle Grazie
5 Chiesa della Madonna di Castellocchio
6 Chiesa di San Bartolomeo
7 Chiesa di Santa Caterina
8 Chiesa di San Beroto
9 Chiesa di San Liberatore
10 Chiesa di San Biagio
11 Chiesa di Santa Maria in Mariano
12 Chiesa di San Filippo Neri
13 Chiesa di San Sebastiano

107
2.1 CHIESA PARROCCHIALE DI SAN MICHELE
ARCANGELO

2.1.1 CENNI STORICI

La chiesa, già dedicata, come altre, a Sant’Angelo, si trova accanto


all'ingresso del borgo murato, probabilmente è precedente alla
costruzione delle fortificazioni. Infatti i primitivo edificio dovrebbe
essere sorto nel XII secolo, come indicherebbe la muratura in conci
ancora in parte visibile sulla sinistra del portale.

Matrimonio di Maria Teresa Felicioni

La facciata originaria è visibile all’interno delle mura del castello. Nel


XIV secolo la chiesa ebbe una radicale modifica architettonica come si
desume dal fatto che l’antico accesso, o uno degli antichi accessi, oggi è
trasformato in finestra e appare come tipica architettura trecentesca. A
quest’ultima epoca possono parimenti essere assegnati alcuni frammenti,
forse di una trabeazione, inseriti all’esterno della cella campanaria
dell’alto campanile quadrilatero che si appoggia all’ingresso del castello
del quale, in origine, doveva essere una delle torri.
108
Nel XV secolo la chiesa subì una nuova ristrutturazione ed un
ampliamento, variando attendibilmente anche l’orientamento rispetto
all’originario. Essa fu completamente affrescata, in particolare nella
prima metà del secolo, da pittori locali tra cui il cosiddetto “Maestro di
Eggi”, molto operoso nel territorio spoletino e nella Valle del Nera, che
ha qui lasciato le sue opere più significative. Bruno Toscano nel 1985
avanzava un’ipotesi sul nome dell’anonimo pittore: “Possiamo dunque
dedurre che nel 1451 si costruiva ancora nelle forme del secolo
precedente, come del resto si osserva nella coeva pittura locale. Il
parallelismo è perfetto se si riflette che le numerosissime opere superstiti
del cosiddetto Maestro di Eggi, la cui ‘ditta’ rastrella buona parte delle
commesse tra gli anni Trenta e i Cinquanta, è un abile adattatore di
tendenze allogene, per intenderci nell’ambito del gotico internazionale,
alla tradizione spoletina trecentesca. Mi sembra anzi poco probabile che
alla sua intraprendenza e alla fortuna della sua formula sia sfuggita una
commissione pubblica così importante come raffrescato della cappella
del palazzo Comunale e sono perciò convinto che questo anonimo
neotrecentesco altri non sia che l’Arcangelo di Giovanni cui nel 1445
toccò di eseguire quel lavoro, purtroppo perduto” 27.

Come è già stato descritto, nel 1525 Giuseppe Ràcani otteneva


JusPatronato sulla Pieve di San Michele e vi finanziava dei lavori ad
iniziare dal portale, ove l'unica ornamentazione non architettonica è
costituita dallo stemma dei Racani e da quello della città di Spoleto 28. La
chiesa si arricchì inoltre di ulteriori affreschi. Nel corso dei secoli la
copertura a capanna fu sostituita da una a volta; nel 1595 fu affrescata
l’abside, venendosi a coprire immagini più antiche, e, probabilmente, si
costruirono anche gli altri altari laterali. Forse fu in tale occasione che
furono coperti anche gli affreschi delle navate che, come si è già detto,
negli anni ‘50 del secolo scorso sono stati nuovamente riportati alla luce.
In questi stessi anni ‘50 sarà ripristinato, con l’attuale cornice nera, in
luogo del cerchio rosso sbiadito, anche l’orologio del campanile
27
TOSCANO B. 1985, p. 87.
28
V. foto pagg. 20 e 21
109
danneggiato dal tempo, dalle intemperie e, da ultimo, dai sommovimenti
causati dagli scoppi delle bombe, seppur di lontananza.

3.1.1 ESTERNO

110
Campanile

La chiesa presenta una pianta rettangolare con abside. Il campanile fu


ricostruito nella forma attuale dopo il terremoto del 1703; le due campane
111
ed il campanone fino agli anni ’50 del secolo scorso scandivano e
guidavano i momenti delle abitudini di ogni giorno, con le loro
combinazioni di suoni e di pause ottenute a mezzo delle corde tirate dai
campanari. Il Campanone della Chiesa è stato fuso da Giustiniano
Giustiniani di Foligno nel 1813 (stesso fonditore del Campanone di
Arrone, ma anno di fusione diverso) ed ha un diametro di 76 centimetri.
Negli anni successivi saranno elettrificati orologio e campane. Questi non
saranno più azionati dall’uomo (pesi e corde) e a Eggi mancheranno il
suono e i rintocchi dalla invidiata sonorità. In specie a chi aveva
conosciuto i suoni dell’Angelus del mezzogiorno, dell’Ave Maria, della
stesa, a giorno, a scuola, a dottrina, a fuoco, a festa, a morto. In altre
parole, non saranno più le campane a scandire il tempo, ma sarà questo a
far suonare monotone campane.
Ricorda ancora il Fausti29 “ad Eggi, per i festeggiamenti del patrono, S.
Giovanni Battista, i campanari erano soliti suonare a festa anche dopo
l’Ave Maria, mentre ardevano i focaracci … lo stesso avveniva per la
notte della Venuta, ove, oltre ai focaracci, si sparavano nella notte salve
di fucile”.
Sul muro esterno di sinistra della chiesa, all’interno della porta del
castello, e che doveva costituire l’ingresso originario, sono presenti
alcuni interessanti affreschi del XIV secolo, molto deteriorati dalle
intemperie, con San Cristoforo di proporzioni gigantesche (per essere
visibile ai viandanti del quale è protettore) e San Giovanni Battista e San
Michele Arcangelo che; probabilmente, rappresentano i santi protettori
della comunità, posti a decorazione dell’originaria facciata.

29
FAUSTI L. 1993 Vol. II pag. 102
112
Facciata originaria dell’ingresso della chiesa

113
3.1.2 INTERNO

L’interno, attualmente, si presenta a tre navate. Il presbiterio è


leggermente rialzato ma non presenta cripta sottostante.

Interno
Nella controfacciata della navata di sinistra si intravedono tre affreschi
molto danneggiati, probabile opera del Maestro di Eggi: una Santa
Barbara, una Madonna in trono col Bambino del XV secolo, un San
Michele Arcangelo.
Nella parete di sinistra della navata di sinistra, Madonna col Bambino del
XV secolo, una Santa orante, Crocifissione, altra Crocifissione e altra
Santa.
Sull’altare della parete di fondo una tela raffigura la Madonna del
Rosario.
Nella parete di destra, Madonna in trono col Bambino del XV secolo,
due angeli sorreggono una lunga scritta che riporta alcuni benefici
concessi alla chiesa nel 1452, altra Madonna in trono col Bambino del
XV secolo.
114
Nella volta sono altri affreschi, nella vela Eterno tra Santa Maria e San
Gregorio da Spoleto, da attribuirsi a Iacopo Zabolino.
Sempre nella volta San Sebastiano, Madonna della Quercia e San
Giacomo da mettere in relazione con lo stesso pittore. Segue un Eterno
benedicente.

Eterno tra Santa Maria e San Gregorio da Spoleto

Nel sottarco della prima campata, a sinistra, Madonna in trono col


Bambino del Maestro di Eggi e San Sebastiano datato 146(3?): a destra
Santa Lucia, opera sempre del Maestro di Eggi, e San Bernardino datato
1463.
Nel sottarco della seconda campata sono affrescati San Leonardo di
Neblat, protettore dei carcerati; più in alto, un affresco, datato 1520,
raffigurante un Santo Vescovo, probabilmente San Brizio, e San Senzia,
raffigurato nei classici caratteri iconografici, come giovane prete
sbarbato, vestito di dalmatica e con ai piedi un drago squamoso tenuto a
guinzaglio; alla parte opposta Santa Lucia del XV secolo.
Nella parete di fondo della navata centrale, dal basso in alto e da destra
verso sinistra, i seguenti affreschi: San Michele Arcangelo, opera del
Maestro di Eggi; Putto orante del XV secolo, Cristo in Croce tra le due
Marie e San Sebastiano datato 1480, Madonna di Loreto, probabile opera

115
del Maestro di Eggi; Madonna in trono col Bambino attribuito allo
stesso, Santa Lucia datato 1522.

Santa Lucia

Nella parete sinistra della navata centrale: San Bernardino da Siena del
XV secolo, opera del Maestro di Eggi. Il grande predicatore francescano
è raffigurato ormai anziano, con le guance infossate e privo di denti.
116
San Bernardino da Siena

Segue un San Michele Arcangelo datato 1448: è l’opera più nota del
Maestro di Eggi, l’anonimo pittore del XV secolo, identificato dallo Zeri
proprio negli affreschi di questa chiesa. Questa immagine rende al meglio
i caratteri della sua arte, nell’orbita del gotico internazionale,
caratterizzata da volti ovali, con piccole bocche e occhi intensi, mani
affusolate, capelli leggermente mossi in ciocche simmetriche.

117
San Michele Arcangelo

118
Madonna della Quercia

Sopra è affrescata una Madonna della Quercia datata 1525. La Madonna


ed il Bambino riempiono completamente un tegolone di tipo romano
appeso ad una quercia; la sua devozione era collegata all’implorazione di
aiuto in occasione delle pestilenze.
119
Sant’Elena Imperatrice
A fianco un affresco datato 1474 raffigura Sant’Elena Imperatrice, con in
mano la croce da lei ritrovata, secondo la tradizione, a Gerusalemme.

120
Nel registro più alto Madonna col Bambino, Madonna della Quercia e
San Sebastiano datato 1483, Madonna della Quercia e Madonna di
Loreto del 1481, Santo non identificato.
Sopra il primo arco Madonna in trono col Bambino del XV secolo,
Madonna in trono col Bambino datato 1439 (forse la data è stata ritoccata
e non corrisponde più all’originale in quanto l’opera appare collocabile al
XVI secolo), Madonna col Bambino, datato 1455.

Santa non identificata

Dopo l’arco, Santa non identificata, forse Santa Caterina d’Alessandria,


San Sebastiano datato 1475, Madonna in trono col Bambino del XV
secolo; sotto resti di affreschi più antichi.
Al registro superiore San Bernardino datato 1481, Madonna col
Bambino e San Sebastiano, Madonna col Bambino datato 1506; poi un
affresco di cui rimane solo la parte inferiore, datato 1481. Vi erano
probabilmente raffigurati San Bernardino da Siena, riconoscibile dal saio
francescano e dall’astuccio degli occhiali, poi Sant’Antonio abate,
riconoscibile dalla campanella e dal maialino nero.

121
Chiude la parete un affresco raffigurante un santo non riconoscibile.

San Michele Arcangelo

Entro la conca absidale, San Michele Arcangelo di grandi dimensioni,


affresco della fine del XVI secolo, probabilmente del 1595, data riportata
122
in alto entro una tabella dipinta. Nell’intradosso si nota lo stemma della
Comunità di Eggi.

Volto Sacro di Lucca

Nella destra della navata centrale si notano i seguenti affreschi:


Crocifissione datato 1517, Santa Lucia e San Domenico datato 1480, una
rara versione del Volto Santo di Lucca datata 1480, di ispirazione
bizantina, ove il Cristo crocifisso, ma triunphans, dallo sguardo sereno e
penetrante, è vestito di tunica “manicata”, con la corona regale.
L’iconografia simboleggia il superamento delle sofferenze terrene legate
alla morte e la proiezione in un’altra dimensione, quella della vita eterna.
Gli ortodossi vedono in essa il Cristo vincitore sulla morte e sul peccato
ed il trionfo della vita eterna sulle tenebre.
Nel sottarco della prima campata, si ammira una bella Santa Caterina
d’Alessandria del XV secolo, opera tra le più intense del Maestro di
Eggi. La santa è coronata da due angeli, regge in una mano una spada,
nell’altra la ruota con cui fu torturata.

123
Santa Caterina d’Alessandria

124
Eterno

Nel sottarco della seconda campata due affreschi molto interessanti del
XV secolo con l’Eterno e Madonna in trono col Bambino; dall’altra parte
figura non identificabile, di cui si legge solo la data e Madonna col
Bambino. Chiude la parete di destra un altro affresco con Madonna col
Bambino.
Nella navata di destra sulla parete sinistra, tra il primo e il secondo arco,
si nota un affresco, molto danneggiato, raffigurante una Madonna col
Bambino. Sopra l’altare di fondo si ammira un affresco con tre figure:
Santa Lucia, Madonna in Trono con Bambino, San Sebastiano.
Apre la parete di destra un altare; si nota un bel fonte battesimale
cinquecentesco, a forma di uovo (simbolo della vita) baccellato nella
metà inferiore ed embricato in quella superiore, e un altare. Chiudono la
parete destra resti di affreschi molto danneggiati e di difficile lettura.
Sulla controfacciata della navata destra si scorgono resti di affreschi,
anch’essi di difficile interpretazione, su uno di essi si legge la data 1516.
L’organo è posto sulla destra dell'altare maggiore, collocato a
pianterreno, costituito da un unico corpo sonoro contenuto in cassa lignea
indipendente.

125
Costruito da Zeno Fedeli intorno all'inizio del XX secolo per l'Istituto
Serafico di Assisi, trasferito dapprima a Borgo Cerreto e, infine, in questa
chiesa nel 1989.
3.2 ORATORIO DEL SACRAMENTO

3.2.1 CENNI STORICI

Le prime notizie risalgono al 1571, in occasione della visita pastorale di


Pietro de Lunel; della confraternita esiste una documentazione d’archivio
molto limitata: si conosce uno statuto del 1795 e tre lacunosi registri ove
sono annotate le entrate e le uscite dal 1589 al 1742.
Nel 1715 l’ospedale annesso alla chiesa, dedicata a Sant’Atanasio, era
gestito dalla confraternita e disponeva di 4 stanze: “due per alloggiare i
pellegrini e due per uso della spedaliera”. Esso costituiva il ricovero dei
malati, dei poveri e dei malmessi del luogo e per i viaggiatori stanchi.
L’ospedale chiuse nello stesso anno per ordine del vescovo Lascaris
“attesi li gravi inconvenienti che nascono nelle stanze destinate per
l’ospedale annesso alla suddetta fraternità”
Oltre le 4 stanze, come fatto cenno, il cancello per delimitare
l'isolamento, un ambiente vasto ad uso di corsia, una cucina, ed altre
stanze di servizio; al piano terra, a destra, l’infermeria, e, sotto, il
magazzino del Monte Frumentario o Banca del grano.
Rimase comunque il quattrocentesco nome onnicomprensivo di
Confraternita e nel novecento diventò sede della Società del
Sant’Antonio pur conservando il nome di Confraternita.
La principale funzione della Confraternita e, quindi, della Società del
Sant’Antonio, era quella di socializzare e di praticare un aiuto reciproco.
Era sorretta dai contributi dei soci e assisteva questi in caso di bisogno e
in
occasione dei loro funerali. Una volta l’anno, oltre metà gennaio e di
domenica, si teneva “u pranzo d’u Sant’Antoniu”.
Da qui partivano le processioni della Pasqua per andare a Santa Maria
Reggiano.
126
Processione

127
3.2.2 ESTERNO

Chiesa di Sant’Atanasio, nota come Oratorio del Sacramento

La costruzione, in pietrame, ha la copertura a due spioventi. Prende la


luce da un oculo, posto in al centro della facciata. Modesta all’esterno, è
ornata da un unico portale in laterizio.

128
3.2.3 INTERNO

Interno

Al suo interno l’oratorio risulta spoglio ed essenziale: La parete di


sinistra doveva essere interamente affrescata, ma ne restano soltanto
tracce, tra cui una Madonna col Bambino del XV secolo.
La parete d’Altare è decorata da una Deposizione, datata 1574, da
attribuirsi a un Angelucci da Mevale.
Nella parete dietro l’altar maggiore, a sinistra, la Resurrezione di Cristo,
al centro il Cristo in Croce contornato dalla Madonna, dalla Maddalena,
da San Francesco e San Giovanni Evangelista.
Sotto, a destra e a sinistra di una piccola nicchia, corre una scritta che
esalta la devozione in Cristo, con la data 1574, l’immagine di dieci
confratelli vestiti nel tipico sacco di una compagnia di disciplina; sulla
destra, in alto, la Natività.

129
“L’intero ciclo di affreschi denota una ricercatezza di effetti cromatici e
prospettici tale che fa sembrare riduttiva l’attribuzione a discepoli degli
Angelucci da Mevale; l’opera comunque appare chiaramente influenzata
dalle opere michelangiolesche”30.

Vecchio Ospedale

30
NESSI-CECCARONI, 1979, pag. 18

130
3.3 CHIESA DI SAN GIOVANNI BATTISTA

Chiesa di San Giovanni Battista

3.3.1 CENNI STORICI

Probabilmente sorta al servizio del vicino Borgo, in epoca molto antica.


È menzionata nel trecentesco codice Pelosius31. Fu parrocchiale fino al
1807.

3.3.2 ESTERNO
31
FAUSTI L 1913 p. 50
131
Campanile a vela a doppio fornice

La chiesa presenta vari ampliamenti e rifacimenti, con evidente aggiunta


di un corpo di fabbrica più largo dell’originale, di una nuova abside e di
un campanile a vela a doppio fornice.

Chiesa di San Giovanni Battista


3.3.3 INTERNO

132
Interno

È ad unica navata, con tetto a due spioventi sorretto da travature a


cavalletto e termina a croce latina.
Ha subito numerosi rimaneggiamenti nel corso dei secoli, l’abside
originaria era probabilmente ove è l’attuale arco trionfale.

Intorno alla fine del XV o all’inizio del XVI secolo la navata fu


prolungata, ricavando anche due cappelle laterali.

A sinistra, sulla controfacciata, è affrescato un Cristo in croce,


probabilmente trecentesco.

133
Cristo in croce

La parete sinistra della navata presenta rari affreschi del XIV-XV secolo,
purtroppo in non buone condizioni.

134
Affreschi parete sinistra

In alto Madonna del Latte, molto deteriorata e, nello stesso riquadro,


Madonna in trono col Bambino del XIV secolo, in basso altra Madonna
del Latte e Madonna del Perdono del XV secolo.

Affreschi parete sinistra

135
136
Da notare un San Cristoforo
dalle proporzioni gigantesche
del XV secolo, che trasporta il
Bambino Gesù attraversando un
fiume pieno di pesci.

Poi, in alto, Presentazione di


Gesù al tempio del XIV secolo,
in basso una Santa con le ali,
forse Cristina l’Ammirabile e
San Paolo del XV secolo.

Santa e San Paolo

Sopra un confessionale,
parzialmente perduta a causa
dell’apertura della nicchia che
lo alloggia, si nota una
San Cristoforo
Madonna con Bambino di
delicata fattura.

137
Braccio sinistro della crociera

Nella parete di destra del braccio sinistro della crociera, resti di un


affresco molto deteriorato, di difficile lettura; nella parete di fondo
affresco datato 1624 con San Biagio.
In alto, a sinistra della tribuna, affresco raffigurante San Rocco.

138
Tribuna

La tribuna, completamente affrescata, mostra al centro l’Eterno, a sinistra


in alto l’Angelo Annunciante ed in basso San Girolamo con sotto la
scritta:

QUESTA FIGURA A F(ATTO) F(ARE) ALINORO

139
A destra in basso San Giacomo con sotto la scritta “FRANCISCUS
XAVERIUS” ed in alto la Madonna al momento dell’Annunciazione.
Sotto è stato recentemente collocato un cippo romano rinvenuto murato
nella base dell’altare maggiore, recante la scritta:

GIGANIA / IRENE VIX A / IVLIACI EVPLC / MATER

Nella conca absidale, in alto Madonna col Bambino contornata di angeli;


sotto, a sinistra, San Sebastiano; al centro San Giovanni Battista mentre
battezza Cristo, a destra San Rocco e sullo sfondo un delicato paesaggio
umbro ove sembra di scorgere la Valle del Nera, con sullo sfondo la
Cascata delle Marmore, la città di Terni e i monti sopra Cesi.

Affreschi del tamburo

140
Battesimo di Gesù

Ancora più in basso corre una scritta che documenta la commissione


dell’opera da parte degli eredi di Antonio de Refinu:

QUESTA HOPERA LHANNO FATTA FARE GLI HEREDI DE


ANTONIO DE REFINU A DI X DE LULLO A. D. MDXXXII

Nel 1527 morì Antonio de Refinu e l’anno successivo morì anche lo


Spagna. Poiché l’affresco è indubbiamente di mano del maestro sono
possibili due ipotesi per spiegare l’apparente incongruenza della data
riportata nella scritta: la prima, avanzata dal Ceccaroni 32, che successive
ridipinture abbiano alterato la data stessa cambiando una “V” con una
“X”, a riprova di ciò l’ultima “X” appare evidentemente rifatta, pertanto
la data originaria era MDXXVII e il 10 luglio 1527 il Refinu era morto e
lo Spagna ancora vivo. Altra ipotesi è che il disegno preparatorio e le
figure principali siano dello Spagna; poi, a seguito della morte del
Maestro, l’opera sia stata terminata dai suoi allievi e che la scritta sia
32
NESSI-CECCARONI, 1979 pagina 17

141
stata apposta, a cura degli eredi del Refini, successivamente al
completamento dell’opera. Tali eredi, probabilmente i figli o i nipoti,
hanno apportato anche delle integrazioni al piano decorativo originario,
inserendo nei plinti dell'architettura dipinta sul fronte dell'abside le figure
di San Girolamo, con committente tal Alinoro e San Giacomo, con
committente Francesco Saverio.
Nel braccio destro della crociera, in fondo, si vede un altare sovrastato da
un affresco con l’immagine di Sant’Antonio abate datato 1624. Nella
parete sinistra, un resto di affresco del XV secolo con l’Ascensione.

Sant’Antonio Abate

Sull’arco trionfale due santi non identificabili con la scritta, ripetuta:


ROSA ARCHAGELI F.F. 1515
In alto, sulla destra dell’arco di trionfo, San Liberatore datato 1528.
All’inizio della parete destra un Santo barbuto benedicente, figura
parzialmente persa per l’apertura di una porta; segue un altro resto di
affresco del XIV secolo ove si scorge l’immagine di un angelo.
Si trova poi una nicchia, ove era una tela del XVIII secolo, non più in
sito, raffigurante il San Tommaso da Villanova.

142
Annunciazione

Al termine della parete destra, si nota un interessante affresco


trecentesco, rappresentante l’Annunciazione: in alto a destra l’Eterno
offre l’Incarnato alla Madonna che è in piedi, sulla sinistra in basso, in
atteggiamento quasi sgomento; alla sua destra l’Angelo Annunciante
inginocchiato, sullo sfondo un’articolata architettura. L'autore è ignoto,
probabilmente un umbro legato ancora a schemi bizantineggianti.
Da notare l’iconografia non usuale sia dell’offerta del Redentore da parte
dell’Eterno, sia la posizione della Madonna qui a sinistra anziché, come
normalmente si vede, sulla destra.
Sotto l’affresco corre una scritta di difficile lettura, che potrebbe riportare
un versetto del Vangelo.

Per quasi tutto il secolo scorso, la chiesa è stata pressoché ricoperta di


rovi e di piante cespugliose e contorte che qualche volta, in primavera,
nascondevano brutti fiori malnutriti. Non sembrava nemmeno una chiesa
e comunque non era adibita al culto.
143
Peraltro non si capiva nemmeno dove fosse la porta.
Resta merito del già nominato Renzo Fagotti, nel ruolo di Presidente
della Comunità Montana, ma soprattutto della sua cultura, se oggi la
chiesa è come la vediamo anche se il terremoto di qualche anno fa l’ha
resa nuovamente inagibile.

Annunciazione dettaglio

144
3.4 CHIESA DELLA MADONNA DELLE GRAZIE

Chiesa della Madonna delle Grazie

Per entrare in paese occorre attraversare un ponticello che offre un altro


esempio di sostituzione di muretti con balaustre o ringhiere in metallo.
Sotto vi è il Fosso dell’Inferno ove, fino alla metà del 1900 scorreva
l’acqua proveniente dalla montagna. A fianco, sulla destra, si incontra
questa modesta ma deliziosa chiesina. La semplicità delle linee
architettoniche ben si sposa con l’ambiente ancora rurale, una maestosa
roverella sembra quasi proteggerla. L’ampio spazio esterno nel XX
secolo è stato il rudimentale campo di calcio dei giovani di Eggi.

3.4.1 CENNI STORICI

La chiesina risale alla fine del XV secolo, nasce come piccolo edificio
votivo, forse a ringraziare per lo scampato pericolo di una pestilenza,
dopo breve tempo l’edificio è ampliato con aggiunta di un nuovo corpo.

145
3.4.2 ESTERNO

Chiesa della Madonna delle Grazie

La chiesa sorge in un contesto agreste, isolata ed immersa nella natura


circostante e in posizione periferica rispetto alle mura di Eggi.

Il semplice edificio, ad un’unica navata coperta da un tetto a due


spioventi con travature a cavalletto ed abside semicircolare, è tradizionale
luogo di culto. Nella facciata a due spioventi si aprivano quattro
finestroni, ora chiusi, per consentire ai viandanti di venerare l’immagine
della Madonna, dipinta nell’abside, anche dall’esterno.

Il piccolo campanile a vela è posto in corrispondenza della parte absidale,


spostato lateralmente.

146
3.4.3 INTERNO

Interno

Il piccolo edificio votivo è ornato da affreschi di artisti locali del XVI


secolo, nei quali predomina la ricerca di protezione contro il morbo della
peste.

Si compone di due parti ben distinte: la più antica, ancora legata a schemi
romanici, è a pianta trapezoidale conclusa da un'abside semicircolare.

L'altra, di poco posteriore, ha una pianta quadrata. Il raccordo tra le due


fasi edilizie è ottenuto eliminando la primitiva facciata e sostituendola
con un arcone; forse le due parti erano separate da una cancellata.
Sulla parte nuova, alla parete sinistra, era raffigurata Madonna della
Quercia, ma rimane solo l’albero; sull’arco trionfale Madonna con
Bambino tra angeli, sotto altro affresco non leggibile.

147
La parete di sinistra della cappella più antica era completamente
affrescata con ex voto, al registro superiore, partendo dall’arco trionfale
verso l’altare; un santo non riconoscibile, una Santa Lucia molto
frammentaria, San Rocco, una Sant’Elena, Madonna con Bambino,
Sant’Elisabetta d’Ungheria, un San Rocco molto frammentario, datato
1504, una Madonna del Perdono e un San Bernardino, datati 1522.
Chiude il registro superiore un’altra Madonna con Bambino, datata 1524.

Affreschi parete sinistra

Al registro inferiore rimangono visibili solo tre figure: una Santa, forse
Santa Chiara da Montefalco, San Pietro Martire e, molto frammentario,
San Sebastiano.

148
Santa Chiara da Montefalco

149
Nella parete d’altare una decorazione ad affresco incornicia l’abside; da
sinistra, in basso, Santa Maria Maddalena, l’Angelo Annunciante,
l’Eterno benedicente, la Madonna annunciata, una bella Madonna della
Quercia.

Madonna della Quercia

150
Affreschi abside

L'abside presenta nel semicatino un Cristo giudice tra angeli e cherubini;


nel tamburo, al centro, la Madonna col Bambino tra i Santi Sebastiano e
Rocco, ai lati San Giovanni Battista e San Michele Arcangelo, titolari
delle allora due parrocchie di Eggi: gli affreschi sono attribuiti a Orlando
Merlini di Perugia.
Sulla parete di destra al registro superiore si trova una Madonna del
Perdono, datata 1504

151
Affreschi parete destra

Madonna del Perdono San Sebastiano San


Giobbe

152
A seguire San Rocco, San Sebastiano, datato 1504, San Giobbe, datato
1504, una Madonna con Bambino tra due figure molto danneggiate e di
difficile riconoscimento, forse San Pietro Martire e Sant’Elisabetta
d’Ungheria, un altro San Sebastiano e un altro San Rocco.

San Senzia San Gregorio da Spoleto San Francesco


d’Assisi

Al registro inferiore si trovano una serie di dipinti votivi, risalenti alla


metà del XVI secolo, opera di seguaci dello Spagna, sempre da sinistra a
destra San Senzia, San Gregorio da Spoleto, San Francesco d’Assisi, San
Matteo, San Paolo, San Sebastiano, tutto vestito in un’insolita
iconografia, San Rocco, Santa Lucia, due immagini completamente
perse, santo non riconosciuto, perché molto parziale.
153
San Matteo San Paolo

San Sebastiano San Rocco Santa Lucia

Nell’arco trionfale, a destra, è effigiata una santa, forse ancora


Sant’Elisabetta d’Ungheria; sulla parete destra v’è un altare con sopra un
affresco raffigurante una Madonna con Bambino tra angeli.

154
Sant’Elisabetta d’Ungheria

155
3.5 CHIESA DELLA MADONNA DI
CASTELLOCCHIO

Esterno

Si trova fuori dalle mura del castello, sotto i ruderi di Castellocchio. Era
di juspatronato del monastero di San Ponziano di Spoleto.

Esterno

156
Esterno
INTERNO
157
Affresco

158
Madonna del Latte

Singolare edificio votivo con pianta a croce latina, sorto probabilmente


sopra una precedente edicola, con immagine rappresentante la Madonna
del Latte, risalente al XV secolo.

L’antico affresco è inquadrato in una falsa architettura, dipinta nel 1665.


Sulla veste del Bambino Gesù sono presenti croci rosse del tutto simili a
quelle raffigurate nell’affresco della Processione dei Bianchi, opera di
Cola di Pietro da Camerino nel 1401 e sito nella Chiesa di Santa Maria a
Vallo di Nera. Poco più di 600 anni fa, decine di migliaia di uomini,
donne e bambini percorsero l'Italia da nord a sud al grido di "Pace e
misericordia" lungo un itinerario che toccò anche l’Umbria. Era il
movimento religioso dei "Bianchi", con caratteristiche di spontaneità
pressoché uniche nella storia, che scomparve nel breve giro di un anno,
nel 1400, con la stessa velocità con cui era nato. Il passaggio è
testimoniato dalle cronache, dalle laudi e soprattutto da affreschi nelle
chiese di varie località, tra le quali, Santa Maria a Vallo di Nera e Santa
Maria del monumento a Terni.
159
C’erano, all’epoca contemporaneamente due Papi: Pietro de Luna, che
prese il nome di Benedetto XIII (1394-1423), eletto ad Avignone, e
Pietro Tomacelli, eletto a Roma col nome di Bonifacio IX (1389-1404).
All'origine del movimento dei "Bianchi", sarebbero apparizioni
miracolose (la "Leggenda dei tre pani"). Si sa per certo che il 5 marzo del
1399, a Chieri (Torino), uomini e donne coperti di bianche tuniche, la
testa nascosta da un cappuccio con due fori per gli occhi, sul capo e sul
petto una croce rossa, con i fianchi cinti da corde, scesero in piazza
pregando, flagellandosi e chiedendo perdono per i peccati. Ben presto
questo nucleo iniziale fece proseliti, espandendosi in altre città, senza
distinzione fra ricchi e poveri, nobili e plebei.

La processione dei “Bianchi” – Chiesa di Santa Maria – Vallo di Nera

I “Bianchi” giungono a Spoleto a metà settembre del 1399, il loro passaggio


in città, ricordato dalla locale cronaca dello Zampolini e dalle Riformanze
comunali, avrebbe comportato l’edificazione di una chiesetta in Piazza del
Duomo intitolata alla Madonna della Misericordia, nel cui sito venne in
seguito edificata la chiesa di Santa Maria della Manna d’oro.

160
La notevole somiglianza tra le croci non è certo casuale e potrebbe essere
testimonianza del passaggio dei “Bianchi” in quel di Eggi, altra ipotesi è che
l’ignoto artista quattrocentesco abbia tratto ispirazione dall’opera di Cola di
Pietro da Camerino.
Nel braccio sinistro, ora trafugata, vi era una tela del XVIII secolo
raffigurante in alto la Madonna col Bambino tra due Angeli e sotto San
Carlo Borromeo e San Francesco.
Nel braccio destro, anch’essa rubata, era una tela del XVII secolo
raffigurante in alto la Madonna col Bambino tra San Giovanni Battista e
San Carlo Borromeo. Sull’altare del lato nord (verso Eggi) era una
discreta tela con Sant’Anna, la Madonna col Bambino e altri santi.

161
3.6 CHIESA DI SAN BARTOLOMEO

Chiesa di San Bartolomeo

Chiamata localmente San Bartolo, (per il dialetto locale, Santuwarturu, in


realtà dedicata a San Bartolomeo apostolo) è posta lungo una delle vie
che provenendo dalla strada Nursina intersecavano perpendicolarmente
l’antico percorso della Spina, praticamente al centro della piana di Eggi.
Risale al XII secolo, come mostrato dai conci ben connessi, tipici del
primo romanico spoletino; ne rimangono l’abside e alcuni brani di
muratura semisommersi dalla vegetazione. Era un canonicato che fu
posseduto dal giudice della monaca di Monza, suor Virginia Maria de
Leyva, lo spoletino Marmurio Lancillotti, Vicario Criminale
arcivescovile. Egli in onore del cardinale Federico, nipote di san Carlo
Borromeo, che gli aveva conferito l’incarico, commissionò un’opera che
è stata recentemente restaurata e si trova all'ingresso della chiesa di san
Michele dietro il fonte battesimale.

162
Secondo le antiche passio, San Bartolomeo sarebbe stato martirizzato,
prima con la flagellazione poi scorticato vivo. Per questo è invocato per
le malattie della pelle.

Chiesa di San Bartolomeo, oggi

Chiesa di San Bartolomeo, oggi

Peraltro, nel XX secolo appena trascorso, quando le offese del tempo non
si erano ancora accompagnate a quelle delle edere, dei rovi e delle
163
ortiche, intorno ai ruderi di Santuwarturu, venivano condotti gli animali
per perorarne la salute.
3.7 CHIESA DI SANTA CATERINA

Antica chiesa, citata dal Pelosius come “S. Catherinae de Egio” 33, poi di
proprietà della chiesa di Santa Maria di Reggiano. Non ne rimane più
traccia in alzato; si trovava presso l’annesso monastero, oggi adibito ad
abitazione privata.

Ex Monastero di Santa Caterina

33
FAUSTI L 1913 p. 50
164
3.8 CHIESA DI SAN BEROTO

Secondo la leggenda, riportata nei


Lezionari del Duomo di Spoleto e
trascritta dallo Jacobilli34, San Beroto
nacque a Eggi nel V secolo, da una
nobile stirpe di origine gota. Nella sua
gioventù visse una vita dissipata,
generando anche un figlio naturale,
Vigloaldo, poi si pentì, vendette tutti i
suoi beni, donandone il ricavato ai
poveri ed entrò nel monastero di San
Pietro di Lungotorto, ove si distinse per
il suo fervore.
Il 6 Aprile dell’anno 499, Beroto cadde
San Beroto, raffigurazione in in una grave infermità, e fu ritenuto per
“Storia dei santi” di
morto da tutti, i Monaci recitavano le
Jacobilli
orazioni dei defunti e venne a visitarlo
per l’ultima volta Vigloaldo, suo figlio. Successivamente, a Beroto che
non poteva più parlare, comparvero due Demoni, a ricordargli i peccati
commessi in gioventù; essi lo volevano strangolare e condurlo
all’inferno. Apparve allora l’Angelo Raffaele, proibendo loro di toccarlo
perché voleva condurre la sua anima davanti al Tribunale di Dio
I demoni provarono a resistere ma San Raffaele lo salvò e lo fece guarire.
Beroto morì nel 501, durante il regno di Teodorico, fu canonizzato e la
sua immagine fu dipinta nel 1404 nella cattedrale delle città di Spoleto
con il titolo di San Beroto Abbate. Inoltre il Vescovo di Spoleto Lupo nel
1002 in un documento parla di una Chiesa a lui dedicata, dipendente da
San Paolo di Spoleto.
Attualmente il sito ove sorge la chiesa è di proprietà privata e utilizzato
come rimessa e nulla rimane dell’antico arredo e decorazione.

34
JACOBILLI L., 1656, tomo II, p. 230
165
Chiesa di San Beroto

Chiesa di San Beroto e Grandi blocchi romani

166
3.9 CHIESA DI SAN LIBERATORE

Chiesa di San Liberatore

La piccola e modesta chiesina si trova in località Fabbreria, lungo l’antica


via della Spina. Probabilmente eretta nel XVI secolo, secondo la
tradizione locale in ricordo di un’apparizione del Salvatore che avrebbe
battezzato un bambino appena nato, sottraendolo a un destino crudele. La
chiesa ha un tetto a due spioventi e una facciata ornata da un portale in
cotto, ai lati del quale si aprono due finestrelle che, come d’uso negli
edifici votivi cinquecenteschi, consentivano al viandante di fare atto di
devozione alle immagini sacre rappresentate all’interno.

167
Chiesa di San Liberatore- interno

Oggi è ridotta a magazzino. L’interno, ad una navata, semplice e


disadorno, conserva solo un altare; conservava fino a qualche anno fa tre
tele: una posta sopra l’altare, raffigurante San Liberatore martire morso
da un serpente mentre celebra la messa; sulla parete di sinistra era posta
una tela seicentesca raffigurante l’episodio miracoloso, con in alto la
raffigurazione di una chiesa tra le montagne; resta, in basso, a destra, il
Salvatore; al centro, entro un architettura a loggia, il bambino che riceve
il battesimo sorretto dai genitori, al centro dei quali è la Madonna. L’altra
tela raffigurava la Madonna col Bambino e Santi35.
Secondo la tradizione il miracolo sarebbe avvenuto nel prospiciente
edificio, ornato da un’elegante loggia, un tempo antica posta ove
avveniva il cambio dei cavalli lungo l’antica e importante Strada della
Spina. Il caratteristico fabbricato è sovrastato da un campaniletto a unico
fornice, ciò lascia supporre che l'edificio sia stato anche adibito ad
ospedale, uno dei tanti sorti lungo l’antico percorso.

35
NESSI-CECCARONI, 1979, p. 25
168
Edificio di Posta

La casa è stata probabilmente rimaneggiata nel XVII secolo con la


realizzazione di una scala esterna che conduce ad un loggiato a due archi,
dove si trova l’ingresso di un’abitazione; nel muro è inserita una grande
nicchia ove è ancora visibile parte di un affresco raffigurante l’Eterno tra
le nuvole, forse il frammento superstite di una rappresentazione legata
alla leggenda del Salvatore, apparso nella casa per battezzare il neonato.
169
Eterno

Poco più avanti, in direzione della Spina, vi è una casa con torre
colombaia del XIV-XV secolo e nel muro un’edicola in ceramica, di
epoca recente e di manifattura industriale inserita in una più antica
nicchia, inquadrata da una sobria cornice in mattoncini di cotto.

170
Edicola di Fabbreria

3.10 CHIESA DI SAN BIAGIO


171
Chiesa di San Biagio

La chiesa di San Biagio, già parrocchiale, risale all’XI secolo, oggi è


diruta; se ne vedono cospicui resti: era ad unica navata e con abside
semicircolare. Sorgeva a Castellocchio, antico castello in cima al colle
che sovrasta Eggi, lungo l’itinerario che conduceva da Spoleto alla valle
del Nera transitando per Eggi e Forca di Cerro. Rimangono resti di spesse
mura di cinta, che non sono posteriori al secolo XI. Attorno ad esso si
vedono tracce e resti di abitazioni di un insediamento altomedievale.
Quando i tempi si fecero migliori, la popolazione lasciò quel luogo e
accrebbe il Castello di Eggi.

3.11 CHIESA DI SANTA MARIA IN MARIANO


172
Chiesa di Santa Maria in Mariano

Si trova sopra un poggio, seminascosta dalla turrita villa Pila. Secondo la


tradizione fu eretta da San Brizio, primo Vescovo di Spoleto nel I secolo,
che vi pose anche un fonte battesimale, come ricordato da un’iscrizione
apposta dal frate Nicolò Petrucca da Spoleto, che nel 1600 restaurò la
chiesa. La struttura si presenta oggi modesta, molto rimaneggiata da vari
restauri e rifacimenti. L’antichità della costruzione si rileva unicamente
dai grossi massi di pietra squadrata della parete di fondo.
La facciata attuale è settecentesca, con portale e sovrastanti lunetta e
timpano di elegante e sobria fattura. Il coevo campanile a vela è disposto
lateralmente.
L’interno ad una sola navata è completamente spoglio di arredi.
Forse il pavimento originale e il sottostante ossario si trovano sotto il
visibile rifacimento avvenuto nel XVIII secolo.

173
Documento del 1858 rievocativo dei 1800 anni dalla Fondazione

174
Fine documento del 1858 rievocativo dei 1800 anni dalla Fondazione

3.12 CHIESA DI SAN FILIPPO NERI


175
Chiesa di San Filippo

Sorge in località Colle Marozzo nell’area ove era un’antica villa romana,
accanto ad un edificio che ne è la continuazione medioevale ed utilizza le
robuste cisterne voltate come fondamenta.

176
Chiesa di San Filippo interno

È una modesta e graziosa costruzione seicentesca, ornata da una piccola


cupola a lanterna decorata con stucchi, sulla sommità della facciata a due
spioventi, in posizione centrale, è stato aggiunto nel XVIII secolo un
campaniletto a vela ad unico fornice.

177
Tobiolo

Sopra l’unico altare, in luogo della perduta o mai compita pala, vi era una
tela seicentesca, ora trafugata, ma rimane la decorazione a fresco che gli
faceva da cornice, con in alto, nella cimasa, la raffigurazione di Tobiolo e
l’Arcangelo.
Già appartenente ai preti dell’oratorio della Casa di San Filippo a
Spoleto, dopo la soppressione delle corporazioni religiose passò alla
Congregazione di Carità, ed ora è di proprietà privata.

178
Chiesa di San Filippo, interno
3.13 CHIESA DI SAN SEBASTIANO
179
Chiesa di San Sebastiano facciata

180
Chiesa di San Sebastiano

La chiesa di San Sebastiano si trova all’interno del piccolo abitato di


Cerro, lungo l’itinerario che conduceva da Spoleto alla Valle del Nera
transitando per Eggi, nei pressi del valico di Forca di Cerro, da cui dista
circa un chilometro.

Eretta nel secolo XIII in pietre conce è un piccolo edificio coperto con
tetto a capanna, la facciata ha un semplice portale in pietra ad arco
romanico, con un’unica finestrella a dar luce, ed è sormontata da un
campanile a vela a un solo fornice, posizionato centralmente.

181
Chiesa di San Sebastiano abside

L’interno, è costituito da un’unica navata absidata, si presenta semplice e


spoglio.

Chiesa di San Sebastiano, interno

Sulla parete di sinistra si trova un affresco del XV secolo, raffigurante


San Sebastiano.
182
San Sebastiano Madonna con Bambino

Sopra l’unico altare è posta una tela raffigurante la Madonna con


Bambino tra due Angeli, in basso a sinistra San Sebastiano e a destra San
Francesco d’Assisi.

Nella casa adiacente è murata una lapide con la scritta

BENI DELLA PARROCCHIA / DI EGGI / DATI IN ENFITEUSI


PERPETUA / AI FAVETTI DI EGGI

183
CAPITOLO 3
ALTRI LUOGHI DI INTERESSE

2
4 1 5

1 Villa Morelli de’ Pazzi


2 Villa Zacchei Travaglini
3 Sepolture di San Beroide
4 Cisterne romane a Case San Filippo
5 Ferrovia Spoleto Norcia

184
3.1 VILLA MORELLI DE’ PAZZI

Villa Morelli de’ Pazzi

La villa Morelli De’ Pazzi, presenta un corpo principale orientato verso


sud fronteggiato da un bel parco ricco di alberi secolari quali cedri del
Libano pini ed abeti. Questi fanno da contorno a fontane, terrazzamenti,
belvedere e vari reperti archeologici. Resta in ottimo stato anche la
meridiana.
Il lato nord-ovest è contornato dai magazzini e da altri locali di servizio
che appaiono essere preesistenti.

185
La villa Morelli De’ Pazzi, nel contesto del paese, in una stampa dell’epoca.

All’interno della recinzione si trova anche una graziosa cappella. Le


numerose ricerche non hanno completamente chiarito quale sia stata,
inizialmente, la nobile famiglia dei conti Morelli de’ Pazzi a costruire o
abitare, la Villa. Infatti, dagli archivi fiorentini risulta che un Paolo
Morelli “sposa una Oretta de' Pazzi, nata nel 1491: anni dopo che vi era
stata la riconciliazione fra Medici e Pazzi. Per inciso, i Morelli erano
della cerchia dei fedelissimi dei Medici e alla loro corte ricoprirono
(praticamente da sempre) cariche importanti”.
Ma non è dato per certo che, con riferimento alla Villa, ci si trovi di
fronte ai diretti discendenti di questi. Peraltro, dall’anagrafe di Sellano,
risulta che nella frazione di Montesanto sia vissuta una nobile famiglia
dei conti Morelli imparentata con i Pazzi di Firenze. Si può ipotizzare
uno spostamento da Firenze a Montesanto e quindi nel territorio di Eggi.
Altri ricercatori ricordano l’esistenza, a Foligno, di una nobile famiglia
dei conti Morelli. Né devesi trascurare che alcune fonti riferiscono che il
giorno 7 dell’ultimo mese di giugno della seconda guerra mondiale “i
186
militari tedeschi a Civitella de’ Pazzi (Baschi, ora Civitella del Lago)
uccidono Teresa Fossati e Giulia Morelli”. Altra coincidenza di Morelli e
Pazzi.
Peraltro, un altro Pietro Morelli, da Camerino, viene aggregato alla
nobiltà spoletina nel 1774 con breve pontificio.

Ma, per quanto di interesse della storia del paese di Eggi, è di definitiva
importanza la generale concordanza del fatto che la Villa sia stata
costruita nel 1787 per volere dei conti Morelli De’ Pazzi: ossia, più
attendibilmente, di quella famiglia, appunto, proveniente da un castello
di Montesanto, frazione di Sellano.

L’iscrizione “Villa De’ Pazzi”, presente sopra il portone dell’ingresso


principale, testimonia soltanto la maggiore notorietà della nobile famiglia
fiorentina. Peraltro, non è casuale che tradizionalmente ed anche
attualmente, parlando della Villa, venga fatto riferimento, in modo
esclusivo e costante, alla “Villa dei conti Morelli”.
A conferma, nella seconda metà del 1800, sono ancora i conti Morelli, a
provvedere ai restauri ed alle manutenzioni.

Venendo più vicino ai nostri giorni, risulta che l’ultima discendente degli
Orfini di Foligno, Maria Angela (1868-1958), abbia sposato Geri De’
Pazzi. Dal matrimonio nascono Vittoria, Piero (1894-1975) e Marianna.

Il conte Geri Morelli De’ Pazzi è stato tra i fondatori della Banca
Popolare di Spoleto.

Al conte Piero succede Vieri Morelli De’ Pazzi, che viene accudito dalla
nutrice Bettina. Vieri muore in guerra e ad esso viene dedicato l’asilo
infantile di Eggi in quanto figura di rilievo della resistenza ai nazifascisti,

187
Nel secolo scorso, infatti, la Villa è stata la residenza estiva del conte
Piero De’ Pazzi, di sua moglie Maria e del nipote adottivo Gianni36.

I conti, a fini di custodia e manutenzione, si avvalevano anche di


“Nannino” abitante, prima nei pressi, poi, proprio entro la Villa.
La Villa, oggi è di proprietà della famiglia Saccone che ne ha fatto
un’elegante dimora storico-alberghiera ricca di nuovi e sontuosi arredi. Il
M.to Giancarlo Menotti, durante uno dei suoi Festival dei Due Mondi, la
scelse per uno dei suoi tanti banchetti-spettacolo dall’hollywoodiano
titolo “Mezzanotte a Tara”.

L’interno presenta affreschi di carattere bucolico e in modo particolare


floreali e scene di caccia. Questi hanno resistito anche all’occupazione da
parte dei tedeschi nel corso dell’ultimo conflitto bellico. Non è dato
sapere se abbia “resistito” anche la ricca biblioteca che i conti avevano
realizzato all’ultimo piano.

Vale comunque il fatto che siamo in presenza di una delle più belle
residenze patrizie umbre del tardo Settecento.

36
Pare che una donna si fosse presentata alla Villa dichiarando, al Conte Piero, di essere incinta
del figlio. A fronte di ciò si sarebbe deciso che il bambino venisse adottato proprio dal conte
Piero.
188
Villa Morelli de’ Pazzi

Le pregiate ricerche degli estensori della storia


della Fascia olivata, confermano che “la Villa
risulta costruita nel 1787 dai conti Morelli,
famiglia proveniente dal castello di Montesanto
frazione di Sellano. La famiglia era imparentata
con la casata de’ Pazzi di Firenze che partecipò
alla celebre congiura contro Lorenzo dei
Medici. La cappellina, dedicata alla Madonna
Addolorata (secondo fonti religiose dedicata a
San Luigi Gonzaga) si deve presumibilmente al
Landini,
architetto eremita di Monteluco, che sul finire del La cappellina
privata Settecento, fondò una scuola per giovani artisti”. All’interno della
cappellina riposano gli antenati dei Pazzi Morelli.

189
3.2 VILLA ZACCHEI TRAVAGLINI

Villa Zacchei Travaglini

Quella che fu la villa d'estate dei marchesi Zacchei Travaglini troneggia


imponente appena fuori l’abitato di Eggi. La si raggiunge attraverso un
vialetto alberato ed è circondata da un vasto parco e da un’altrettanto
vasta coltivazione di ulivi.
Al suo interno una cappellina dedicata agli “Angeli custodi”.
Abitata dagli eredi dell’antica famiglia Corvi, discendente di un capitano
di ventura, di cui si ammirano stemmi e palazzo nei pressi dell’insula del
Teatro Romano, a Spoleto; il nome ne fu continuato dai Zacchei ed
ereditato, poi alla fine del XVIII secolo, all’estinzione di questa, dai
Travaglini, originari di Cascia, già aggregati, nel 1726, alla nobiltà di
Spoleto.
Gli Zacchei Travaglini, tra le più cospicue famiglie spoletine hanno
costruito anche l’attualmente malandato palazzo di via Filitteria, a

190
Spoleto, e altre ville a Collerisana e Geppa. Ora, come già ricordato in
precedenza, la Villa è di proprietà dei Benedetti Valentini.

Infatti, nella prima metà del secolo XX, tutto il predio con l’edificio fu
acquistato dall’avv. Tullio Profili, che tuttavia concesse all’ultimo dei
Travaglini di abitarvi per il resto della vita. Deceduto infatti costui, la
proprietà fu assegnata ad Anna, giovane moglie del prof. Fabiano
Benedetti Valentini, dalla quale è poi venuta ereditariamente al figlio
avv. Domenico. L’edificio, di bella linea tardo-settecentesca, è
attualmente occupato largamente da cantine e rimesse ed è solo in parte
abitabile. Una gustosa leggenda popolare sostiene che lo spirito del conte
Travaglini vi si aggiri nel cuore della notte, sebbene in maniera del tutto
placida e innocua!
Invece, a proposito di spirito, i paesani ricordano la villa perché, ad ogni
autunno, nella sua cantina, veniva venduto il vino. Emilia, la moglie di
Danilo doveva smaltire quello dell’annata precedente prima di dare la
“stura” al nuovo.
Si ricordano in particolare i lunedì delle “alicette alla calzolara”: i
numerosi calzolai di Eggi e dintorni, che appunto non lavoravano di
lunedì, si rifornivano di acciughe salate e di pane fresco e, una volta
raggiunta la cantina, battevano le alici sulle scarpe per togliere un po’ di
sale e iniziavano a mangiare e…. bere.

191
Villa Zacchei Travaglini

Villa Zacchei Travaglini – accesso al parco

3.3 SEPOLTURE DI SAN BEROIDE


192
Complesso funerario di San Beroide

Nel 1986 durante gli sterri per una condotta idrica furono rinvenuti
casualmente blocchi di pietra sagomati. I conseguenti scavi archeologici,
condotti negli anni successivi dalla Soprintendenza per i Beni
Archeologici dell’Umbria, hanno portato alla luce una monumentale
sepoltura, classico esempio di una tomba di famiglia fatta costruire dai
proprietari di un ricco podere agricolo, al centro del quale doveva trovarsi
anche la villa rustica. Consiste in un recinto funerario quadrato di quasi
quaranta metri di lato, costituito da un muro in opera cementizia con
parametro in opera reticolata sormontato da grandi blocchi di pietra
lavorati a bauletto per un’altezza complessiva di metri 1,90.

193
Ing
resso del Complesso funerario di San Beroide

Fontana

194
Cervo

Cervo

195
Sarcofaghi

La camera sepolcrale, posizionata al centro del recinto ha pianta


rettangolare, è realizzata in opera laterizia, originariamente era coperta
con volta a botte, solo in parte conservata. Il pavimento della camera è in
cocciopesto, le pareti sono rivestite con intonaco bianco, su quella di
destra sono raffigurati a graffito due cervi affrontanti. Vi si trovavano due
sarcofagi in calcare locale appartenuti ad un uomo e ad una donna; in
origine erano chiusi da una lastra di marmo, ma risultano essere già stati
depredati in epoca antica. Tra l’ingresso del recinto e la tomba sono
collocati una fontana circolare con bacino in marmo di Luni, inserito in
una struttura in laterizio. e un altare funerario. La fontana era collegata
con una cisterna sottostante, alimentata da una fistula di piombo
contrassegnata dal marchio di fabbrica dell’artigiano. Trattasi di
un’iscrizione fusa a rilievo in due righe sovrapposte M. FALCIDIUS /
LEBINTHUS FEC con fogliolina di piombo applicata alla fine della
prima riga, contrassegno ripetuto per cinque volte. Realizzata intorno al I
sec. a.C., la tomba sembra essere rimasta in uso fino al IV sec. d.C., come
attestano alcune lucerne trovate sul pavimento della camera funeraria
risalenti a tale periodo, ed il modesto tesoretto monetale nascosto
all’esterno del recinto, comprendente poche monete di bronzo emesse
dagli imperatori, Costanzo II, Valentiniano I, Valente e Graziano.

196
Ara funeraria

197
All’altezza dei casali di San Beroide inoltre è stato individuato un lungo
tratto di un muro di recinzione, da ricondurre alla villa a cui doveva
riferirsi l’imponente recinto funerario, e due tombe a inumazione risalenti
al VII secolo a.C.. Nelle vicinanze, durante i lavori di scavo per la
realizzazione della Strada delle Tre Valli, sono stati effettuati copiosi
rinvenimenti. Presso lo stabilimento Coricelli è stato individuato un
notevole mausoleo riferibile ad età augustea, portato in luce solo in parte.
È a pianta centrale con il nucleo rivestito di grandi blocchi in calcare: il
basamento quadrato, con lato di circa 10 metri prosegue nel filare di
alzato con angoli arretrati e arrotondati. Adiacenti all’edificio sono state
riconosciute due aree di ustrino, una delle quali di grandi dimensioni e
con molti resti del catafalco sul quale era stato arso il cadavere. Il
mausoleo sorgeva lungo una strada secondaria e intorno al monumento si
sviluppò nella prima età imperiale una necropoli con una ventina di
deposizioni, comprendenti inumati in tombe a fossa o con semplice
protezione di laterizi; due deposizioni infantili in anfora e resti di una
tomba a camera con ara antistante l’ingresso. In una delle inumazioni si è
osservata la deposizione di una zampa di maiale e di un’ala di volatile,
non riconducibili a pasti funebri ma piuttosto di significato rituale e non
altrimenti attestata, almeno in ambito locale. Nel tratto prossimo
all’antica via della Spina sono stati rinvenuti i battuti in ghiaia di altre
due strade, una di notevole larghezza, sottostante l’attuale strada storica,
con una preparazione particolarmente accurata e pienamente rispondente
alle norme tecniche tramandate dalle fonti antiche; l’altra, di interesse
locale, di dimensioni più ridotte. In prossimità del punto di
attraversamento della linea ferroviaria è inoltre venuta in luce una
seconda area di necropoli con tombe che coprono un arco cronologico
indicativamente compreso tra il IV e il VII sec. d.C. Oltre alle inumazioni
con protezione di tegole sono attestati anche sarcofagi a vasca in
terracotta, del tipo ben noto a Spoleto in età paleocristiana e tombe a
camera con deposizioni plurime. In relazione alle tombe sono stati anche
messi in luce gli scheletri di quattro bovini apparentemente riconducibili
al medesimo ambito cronologico delle tombe.

198
3.4 CISTERNE ROMANE A CASE SAN FILIPPO

Case San Filippo

In località case San Filippo, sorge un bel casale trecentesco che


rappresenta la continuità medievale di una villa rustica romana di grandi
dimensioni. Il piano rialzato del casale poggia, infatti, su due ambienti
voltati di grandi dimensioni, lunghi circa venti metri e larghi circa otto
metri, cui si accede tramite un portale del secolo XIV.
Sula destra si apre un ambiente di più ridotte dimensioni, collegato con
un arco ad un altro ancora, anch’esso più piccolo, di analoghe
caratteristiche. La pavimentazione è realizzata in coccio pesto. I due
ambienti sono divisi da un muro in mattoni dal quale si dipartono cinque
archi. Le volte a botte sono ricoperte da un intonaco impermeabilizzante.
Le opere sono certamente di età romana, la tipologia d’intonaco e la
presenza di un orifizio fa supporre che si tratti di cisterne. chiaramente
funzionale alle attività della villa rustica, del tutto autonoma a livello

199
gestionale, ed all’irrigazione dei terreni di sua pertinenza in tempi di
siccità.

Portale trecentesco

200
Cisterna

L’opera e la zona circostante meritano sicuramente un’approfondita


indagine archeologica.

201
Orifizio

Cisterna

3.5 VILLA RUSTICA


202
Poco a nord di Casa Palazzo, nel corso di una serie di lavori condotti tra
il 2000 ed il 2001 dall’ANAS, fu individuato il sito di un vasto settore di
villa rustica.
L’impianto si sviluppa intorno ad una corte centrale (m 10 x 7) con una
distribuzione di vari ambienti, alcuni dei quali utilizzati probabilmente
per la produzione dell’olio, come attesta la presenza di grandi vasche in
cocciopesto rialzate dalla quota pavimentale sulle quali avveniva la
spremitura con attrezzature mobili (arae), ed altre più piccole dotate di
bacini di raccolta incassati sul pavimento per agevolare la decantazione
del liquido. Un altro settore della villa, forse annesso al precedente in una
seconda fase edilizia, era riservato alla produzione di ceramica, cotta
all’interno di semplici fornaci verticali con camera di combustione a
pianta rettangolare. Il vasellame prodotto nelle fornaci, comprendente
olle, bacili, anforette e brocche, è caratterizzato da una particolare
decorazione costituita da motivi “ad onda” impressi a crudo con uno
strumento a pettine, a volte evidenziata da bande o fasce di colore bianco
o giallastro, che trova confronti in analoghi contesti di VI-VII secolo d.C.
La fase di abbandono della villa è sancita in epoca altomedievale dalla
sistemazione di tre tombe a inumazione all’interno di una sorta di recinto
irregolare ricavato tra le rovine delle strutture, fra le quali risultano
riutilizzati anche due frammenti di una grande statua in marmo (una
mano e parte di un panneggio), che in origine doveva ornare un
monumento funerario eretto nella zona. Altri ritrovamenti archeologici
sono stati effettuati nella zona compresa tra l’antica via Flaminia e la
cosiddetta via della Spina, testimoniando l’esistenza di varie villae
rusticae in quest’area. Si tratta di una zona che era molto paludosa,
spesso inondata dal torrente Cortaccione, che in epoca tardoantica fu
oggetto di opere di bonifica già con Teodorico. La ricorrenza in
quest’area di villae rusticae deve quindi ricondursi ad una fase in cui il
risanamento di queste terre era già avvenuto e risolto.

203
3.6 FERROVIA SPOLETO NORCIA

Per un lungo periodo, dal 1° novembre 1926 al 31 luglio 1968, lo


sviluppo economico e commerciale si è giovato anche della Ferrovia
montana che univa, con molte stazioni intermedie, Spoleto a Norcia. Su
binari a scartamento ridotto, sbuffava un trenino lento e pittoresco che si
faceva sentire con il suo caratteristico fischio che dettava tempi e orari
alla gente di Eggi.

Ponte sul Fosso Cortaccione

La prima parte del percorso saliva lungo le pendici della Licina, in larga
parte contornata dalla coltura arborea dell’ulivo, in terreni sottratti alla
vegetazione originaria di sempreverdi spontanei, leccio e pino d’Aleppo.
Superato il casello di Cortaccione, dopo una breve galleria non rivestita,
giungeva al ponte in pietra sull’omonimo torrente, ardita opera che si
inseriva perfettamente nel paesaggio.

204
Il Trenino al Viadotto di Caprareccia

Oggi, guardando quella montagna, anziché il trenino, si vede questo


brutto sfregio che il tempo, a stento, riesce lentamente ad eliminare.

Cava di Eggi

205
Cava di Eggi

Agli abitanti più in là con gli anni, sembra ancora di sentire un fischio,
ma guardano e non vedono nulla. Se non una impercettibile interruzione,
a mo’ di taglio, del bosco. Potrebbe essere qualche giovane che ripercorre
a piedi il tracciato dei loro ricordi ed emette un effettivo fischio di
ammirazione per Eggi, visto dall’alto, e senza aver potuto ancora
leggerne STORIA, ARTE E MEMORIA.

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Bibliografia

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Dato alle stampe
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da

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