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INDICE
Introduzione, 5
I - Il “messia riluttante”, 9
II - Signori… si nasce!, 43
III - L’origine di tutto, 57
3
4
INTRODUZIONE
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Se la cosa non vi spaventa troppo, questo libro contiene anche
degli spunti per cominciare a farlo. Sarà tutt’altro che facile, ma
è bene ricordare che nessuno sforzo sincero verso la conoscenza
spirituale viene mai fatto invano. Forti di questa
consapevolezza, che ne dite di cominciare insieme questo
viaggio?
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I
Il “messia riluttante”
11
Egidio Ricci è nato a Cappelle sul Tavo, un paesino in provincia
di Pescara, nei primi giorni dell’autunno del 1962, in una
famiglia come tante, da padre camionista e madre parrucchiera,
ultimo di quattro figli. Sin da ragazzino si mostrava vivace e
indipendente, con ottime capacità pratiche (anche lui, come
Shimoda, è appassionato di meccanica) ma con scarsa
propensione agli studi scolastici, soprattutto perché poco incline
a sottomettersi alle autorità costituite, in questo caso i docenti
più o meno autoritari delle scuole da lui frequentate con poco
profitto fino al momento dell’abbandono, a 16 anni. E per ironia
della sorte, indipendente e quasi ribelle com’era, finì per
arruolarsi in un’istituzione militare come la polizia stradale.
Sin dall’inizio, però, Egidio si dimostrò un poliziotto molto
particolare, sempre ligio al suo dovere, che non si tirava mai
indietro, ma mai disposto a sottomettersi supinamente alla
volontà dei suoi superiori, soprattutto quando, secondo lui,
agivano ingiustamente.
Il senso di giustizia
A tale proposito, Egidio oggi riconosce che il suo lavoro è stato
una straordinaria palestra per allenare quel “senso di giustizia”
che ogni essere umano deve sviluppare e seguire se vuole
crescere spiritualmente. “Non importa da chi provenisse un
ordine o una direttiva, da un superiore o da un collega più
anziano”, racconta. “Se una cosa non mi sembrava giusta, anche
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alla luce di quelli che erano i regolamenti specifici, io non la
facevo o, se mi costringevano a farla, nei miei rapporti
puntualizzavo sempre che ero stato costretto a fare una certa
cosa ma non ero d’accordo. Poi ho capito perché sentivo che era
così importante per me fare quel che mi sembrava giusto.
Sviluppare un proprio senso di giustizia è indispensabile per la
formazione della propria essenza, che poi si può utilizzare per la
costruzione dell’anima”.
Un momento… L’anima si costruisce? Eppure comunemente si
dice che tutti gli uomini hanno un’anima. Tutte le religioni, in
particolare lo dicono… L’unico che, a quanto mi risulta, abbia
mai parlato esplicitamente, prima d’ora, di costruzione
dell’anima è il maestro caucasico di Quarta Via Georgei
Ivanovic Gurdjieff. Egidio, pur non avendo letto i libri di
Gurdjieff, sostiene la stessa cosa1. Ed è un argomento così
importante da giustificare, oltre al titolo di questo libro, la prima
di una serie di “digressioni” dalla biografia della nostra guida.
L’anima, insomma, non è già presente in noi al momento della
nascita, ma la si può costruire. “Fa piacere pensare che tutti
quest’anima ce l’abbiamo già” spiega Egidio, “così quando
moriamo siamo a posto, e intanto nella vita uno fa quello che
vuole. E invece l’anima va costruita affrontando in un certo
modo le esperienze che la vita ci mette davanti. Costa fatica
1
Su Gurdjieff e sui numerosi collegamenti esistenti tra l’insegnamento di
Quarta Via e quello di Egidio Ricci torneremo più volte nel corso del libro.
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lavorarci, e per la fatica su se stesso l’uomo ha proprio una
repulsione congenita…”
Questa è davvero una prima “rivelazione” molto importante.
Tranquilli, l’approfondiremo in un prossimo capitolo. Per il
momento, torniamo al senso di giustizia, visto che, tra l’altro, è
il primo mattone da porre per la costruzione della propria anima.
“Sì, è il primo mattone”, conferma Egidio, “ma non va confuso
col desiderio di giustizia dettato dall’emotività, dai sensi. Per
esempio, se uno viene privato della presenza di una persona cara
a causa di un’altra persona che ha compiuto un’azione
deplorevole, allora uno vuole ‘farsi giustizia’, come si dice
comunemente. Ma quello non ha niente a che fare col senso di
giustizia. È piuttosto un dare spazio all’emotività. Il proprio
senso di giustizia non è un qualcosa che deve farci comodo, va
elevato a Dio e spesso si rivolge contro noi stessi. Va quindi
elevato, ragionato e confrontato, per poi scegliere la strada da
prendere.
“Però ci vogliono dei parametri con cui confrontarsi. Nel mio
lavoro di poliziotto, per esempio, spesso si facevano le cose
perché le aveva dette il capo. A me non bastava, mi serviva un
parametro di confronto, che per me era il codice della strada.
Anche quando il capo diceva di fare una cosa, io la confrontavo
col codice della strada e poi facevo quel che mi sembrava giusto.
“A volte, così facendo, andavo anche contro me stesso. Per
esempio, non trovavo giusto che, sotto le feste, un collega si
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desse malato, dando una fregatura a un altro che era in riposo.
Magari era malato davvero, ma guarda caso proprio sotto le
feste… E a me è capitato, invece, di andare a lavorare in periodi
di festa anche quando stavo male veramente, perché non mi
sembrava giusto rovinare i programmi di chi era in ferie, quindi
stringevo i denti, altrimenti qualcun altro, che magari aveva fatto
progetti diversi, doveva lavorare al posto mio. Questo vuol dire
andarsi contro, perché devi evitare di fare una cosa che non ti
sembra giusta proprio quando non ti conviene non farla, e questo
costa fatica, sacrificio. Io non ho mai preso medaglie, ma facevo
quel che mi sembrava giusto, anche se andava a mio discapito,
perché il senso di giustizia va applicato innanzitutto su di sé”.
Questo senso di giustizia magari ce l’abbiamo tutti, almeno
potenzialmente, ma per maturarlo davvero bisogna, come dice
Egidio, fare lo sforzo di andare contro se stessi, e questo risulta
tutt’altro che facile. Spesso si critica l’operato altrui, senza
valutare però che spesso, in circostanze simili, ci si comporta
allo stesso modo, se non peggio.
E invece, quel che facciamo noi stessi è fondamentale. Egidio,
infatti, insiste spesso su un esercizio di meditazione, su cui
torneremo in dettaglio più avanti, che consiste nel ripercorrere
mentalmente la sera, prima di addormentarsi, tutte le azione
compiute nel corso della giornata, insieme alle emozioni e ai
pensieri collegati.
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“In questo modo”, precisa Egidio, “possiamo coltivare il nostro
senso di giustizia imparando da noi stessi, da come ci
relazioniamo col nostro prossimo. Troviamo allora delle cose
che, a ripensarci, non ci sembrano giuste, quindi sviluppiamo
un’attenzione che ci guida a migliorarci nel nostro percorso di
vita e magari a fare, il giorno dopo, delle cose che ci
proponiamo di fare durante la meditazione. La meditazione è
fondamentale per l’essere umano, perché ci porta a rivalutare il
nostro trascorso, prestando magari più attenzione a una cosa o a
un’altra. Spesso, in questo modo, le cose che hanno una carica
maggiore emergono più facilmente. E invece, oggi come oggi,
di solito non vogliamo pensare, vogliamo arrivare storditi a
letto, dormire e basta. Mentre in realtà, anche mentre dormiamo,
il nostro lavorio interiore continua, c’è un accumulo di energie,
di forze che dopo, magari, ci fa arrivare a degli exploit, a delle
reazioni improvvise apparentemente per delle banalità, che
invece nascondono una carica forte, un accumulo di tante cose”.
Il senso di giustizia, però, non va confuso col giudizio, che è
assolutamente deleterio per l’evoluzione spirituale. Non a caso,
Gesù diceva: “Non giudicate, affinché non siate giudicati” 2. Tra
l’altro il giudizio, che pure non è meno pernicioso quando si
applica contro se stessi, si rivolge molto spesso verso l’esterno,
verso gli altri, verso il mondo che ci circonda. E stranamente la
2
Vangelo secondo Matteo, 7:1. In Luca 6:37 è scritto invece: “Non giudicate,
e non sarete giudicati”.
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cultura contemporanea sembra voler stimolare proprio questo
tipo di giudizio...
“Quando succede qualcosa, in TV fanno sempre dei sondaggi.
Inducono al giudizio, e l’essere umano vive di giudizi. Alla base
di questo c’è l’illusione che quando uno esprime un giudizio
abbia un’idea. L’opinione è un’altra cosa, si può esprimere
liberamente, ma quando ti chiedono se una cosa è bianca o nera,
devi esprimere un giudizio. Come pure nelle trasmissioni in cui
si deve votare chi è più o meno bravo.
“Siamo posti sempre sotto pressione davanti a questa forma di
giudizio avventato, superficiale. In questo modo, il nostro modo
di vedere ed esprimere il giusto, il nostro senso di giustizia,
viene abbinato a ciò che abbiamo fuori invece che a noi stessi.
Quando lo abbiniamo a noi stessi, come abbiamo visto, ci può
portare avanti nella vita, nel nostro percorso verso Dio, mentre
quando ci viene richiesto un giudizio verso ciò che è fuori, in
realtà ci si richiede di conformarci a qualcosa fuori di noi. E uno
si conforma, si associa, sceglie tra le opzioni che gli vengono
offerte. Favorevole o contrario? In realtà, uno potrebbe dire che
non gliene frega niente di una certa questione, anche se si trova
sulle prime pagine dei giornali, ma verrebbe preso per un
insensibile, un asociale. Ma come fa uno che non conosce a
fondo un argomento a esprimere un giudizio su di esso senza
almeno documentarsi seriamente? Eppure, sembra brutto se uno
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non ha un giudizio su qualunque cosa, soprattutto su quelle che
non si conoscono bene”.
Già, ma perché questo giudizio superficiale viene incoraggiato?
“Perché le masse si attirano facendo esprimere loro quel che
pensano”, è la spiegazione di Egidio. “Uno pensa di essere se
stesso in questo sistema, e invece sta facendo soltanto quel che
gli vogliono far fare”.
E per sviluppare il senso di giustizia nel modo giusto, invece?
Cosa si può cominciare a fare?
“Bisogna cominciare a vedere la propria quotidianità con altri
occhi, con l’attenzione rivolta a se stessi, a quel che si pensa,
che si fa, che si dice. Bisogna cominciare a riflettere su questo, e
poi ti possono venire delle domande. Insomma bisogna applicare
il proprio senso di giustizia su di sé e non farsi prendere dalla
tentazione di giudicare gli altri. Inoltre, se una cosa ci sembra
giusta, dobbiamo anche chiederci se sia così perché tutti lo
pensano e vogliamo conformarci o perché abbiamo maturato un
nostro senso di giustizia e abbiamo veramente capito qualcosa”.
Secondo Egidio, dopo aver sviluppato il proprio senso di
giustizia, bisogna riuscire a offrirlo a Dio con umiltà e a
metterlo da parte per affidarsi alla giustizia divina, che è sempre
incomparabilmente più elevata della propria.
“Sì, dopo aver maturato il proprio senso di giustizia,
mantenendo aperta questa forza la si offre a Dio. Ma bisogna
prima maturarla per poi poterla offrire, affidare. Quindi, se uno
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matura in sé un senso di giustizia, con forza, determinazione e
perseveranza, poi può offrirlo in apertura a Dio, per far sì che
costruisca in noi quel che è giusto non più secondo noi ma
secondo Lui. Altrimenti, a un certo punto, fidarsi troppo del
proprio senso di giustizia diventa arroganza. Invece,
quell’apertura fa in modo che si possa rivedere tutto, anche il
proprio senso di giustizia. Ci sono delle cose che devono
accadere perché Dio lo vuole, e non sta a noi giudicare se siano
giuste o sbagliate, perché il nostro parametro, il nostro sistema
di giudizio è relazionato alla nostra cultura e tradizione. È
assurdo pensare di sapere meglio di Dio cosa sia giusto, cosa
debba accadere e cosa no”
Primi contatti
I tragici incidenti, e anche il fatto di doverli semplicemente
rilevare, facevano parte delle situazioni difficili della vita che
Egidio cercava di affrontare il meglio possibile. Non erano certo
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una novità per lui, visto il lavoro che faceva, ma quella volta fu
come se la tragicità della situazione fosse penetrata in
profondità dentro di lui. “Sì, guardare quella ragazza mi fece
male dentro. Come se avessi accolto il suo stato d’animo, non
so. La cosa comunque mi spaventò. E mi resi conto che cercavo
una spiegazione perché non riuscivo ad accettare quanto era
accaduto. Però mi diede l’occasione di pensare con forza, mi
fece fermare tutto dentro, e in quello stato, con tutto fermo
dentro di me, rivolsi un pensiero forte a Dio: ‘Se ci sei, fammi
capire perché succedono queste cose!’ Poi mi sentii come se mi
fossi scorporato da tutto, rimase solo il ‘fammi capire’ chiesto
con tutte le mie forze…
“Poco dopo sentii un’esplosione, un’espansione nel mio fulcro,
nel plesso solare. Fu un’espansione quasi di gioia. Tant’è che
aprii gli occhi, perché non capivo come fosse arrivata quella
gioia, quello stato bellissimo in un momento di forte sofferenza.
Fuori di me sembrava tutto normale. Quindi quello stato sfumò e
io mi addormentai.
“Nei giorni successivi, nel tentativo di ripetere quell’esperienza
straordinaria, cominciai a rendermi conto dell’importanza dei
pensieri, perché mi ero accorto che quella volta, per provare
quell’espansione dentro, avevo fermato la mente. Ma non
riuscivo a rifarlo, non capivo come funzionasse. Da allora, però,
non passai un istante senza pensare a quel contatto che avevo
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avuto. E con perseveranza, dopo vari tentativi, riuscii a
ristabilirlo.
“Nel frattempo, continuavo a lavorare, ma quei contatti che
avevo, ormai continui, mi aiutavano anche in ciò che mi
capitava sul lavoro, mi permettevano di accettare certe cose
tragiche, apparentemente casuali che accadevano e che, sotto un
altro profilo, rappresentavano un’opportunità per fermarsi, per
riflettere”.
Per circa un mese, Egidio si dedicò con impegno ed entusiasmo
a quei contatti, che allora avvenivano soprattutto attraverso lo
stato d’animo, prima che qualcosa cambiasse.
“Il mio era un impegno forte, continuo. Mi faceva male la testa
perché non riuscivo a fermare i pensieri. Mi accorgevo che,
stando con gli occhi chiusi, sopraggiungevano tanti pensieri a
disturbarmi. Lì cominciai a capire il valore della mente ferma
per arrivare a quel contatto, quindi mi impegnai con tutte le
forze nel tentativo di fermare la mia mente, di trovare il silenzio
dentro di me”.
Poi, all’improvviso, quel silenzio si riempì di qualcosa di molto
diverso dai soliti pensieri… “Quando sentii per la prima volta
una voce dentro di me, pensai di essere matto. Non è facile
sentire tra i propri pensieri qualcuno che ti parla. La voce mi
disse: ‘Prendi carta e penna’. Lo feci e mi accorsi che la mia
mano andava da sola, scriveva cose che non pensavo. A volte
cercavo di frenarla, ma lei continuava ad andare da sola. Anche
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se cercavo di pensare a un’altra cosa, lei scriveva lo stesso quel
che doveva scrivere. Allora fu la voce stessa a dirmi: ‘Hai visto
che non sei matto?’”.
Anche se non lo portò alla follia, fu comunque un’esperienza
che sconvolse la vita di Egidio. “Sì, mi ha ribaltato tutto, perché
ho avuto la certezza dell’esistenza della vita oltre la vita. Allora
il mio intento fu: ‘Fammi fare qui quel che va bene lì’.
Altrimenti è un’esistenza sprecata. Sei infilato in un sistema e
pensi di essere te stesso e di vivere la tua vita, mentre invece,
per la vita oltre la vita, avresti dovuto fare un’altra cosa. Allora,
comprendendo il valore di quel che mi stava succedendo, decisi
di dedicarmici con tutto me stesso.
“A un certo punto, l’entità mi chiese: ‘Dove vuoi arrivare?’
Perché ero un vulcano di domande e di riflessioni; anche quando
lavoravo, il mio pensiero era sempre rivolto a quel che potevo
chiederle la sera, prendevo degli appunti. Allora, quando
l’essere di luce mi chiese dove volessi arrivare, gli dissi che
volevo arrivare a capire ogni cosa, se era possibile. La mia
disposizione d’animo era: ‘Se posso dare cento, voglio dare
centodieci’. Volevo dare veramente il massimo”.
All’epoca, però, Egidio non sapeva ancora cosa lo aspettasse…
“Soltanto dopo un po’ cominciai a capire gli schemi di pensiero
che tutti noi abbiamo e che ci condizionano la vita, perché
quando l’entità mi disse ‘Svestiti di tutto che ti rivesto io’, al
momento non capii quelle parole. Solo in seguito, pian piano, ho
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capito che, essendo un’essenza, uno spirito, di cosa potevo
essere vestito? Di schemi mentali, naturalmente… Questi
schemi fanno sì che, se uno ti dice o ti fa una certa cosa, ti si
muove dentro qualcosa di precostituito. Ti sembra di essere tu a
reagire, invece è uno schema preesistente a farlo al posto tuo.
Molte persone ragionano in funzione di uno schema e non lo
sanno, pensano di essere loro a ragionare così”.
Tracce di verità
Dopo un certo numero di contatti la voce, direttamente o
attraverso la scrittura automatica, cominciò ad affidare ad Egidio
dei compiti. “Ogni volta le ponevo delle domande e cercavo di
andare avanti. Non è che pensassi di fare chissà che cosa, non
sapevo che ci fosse un progetto per me. Era una cosa quotidiana:
avevo questo contatto, cercavo di confrontare con la mia vita
certe cose che mi sembravano importanti e mi venivano delle
domande. Allora ricevevo delle risposte, che però non erano mai
secche, dirette, erano sempre delle risposte che mi
disorientavano. Dopo magari scoprivo un filo logico, ma sul
momento non lo vedevo. In ogni caso, non ho mai detto cose
tipo ‘Perché mi hai risposto questo? Io ti avevo chiesto un’altra
cosa…’, come sento spesso fare da persone che pure hanno dei
contatti con l’altra dimensione, perché hanno già precostituito
dentro di sé quel che vogliono sentire e si arrabbiano se non
glielo fanno sentire. Spesso il genere umano è così. Io invece mi
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dicevo: ‘Se mi ha detto questo ci sarà un motivo, anche se ora
non lo capisco’. Allora cercavo di lavorarci sopra assiduamente
e, dopo un po’, arrivava un’altra risposta”.
Le cose che Egidio sentiva attraverso quella voce dentro
sembravano andar contro qualunque cosa vedesse, sentisse o gli
fosse stata insegnata fino a quel momento. “Sorse in me la
domanda: ‘Possibile che nessuno le abbia mai dette prima
d’ora?’ Chiesi allora se potevo leggere qualcosa. Non per
mancanza di fiducia, però… Mi vergognai di quel pensiero, ma
mi venne e non potevo nasconderlo. Dissi all’entità di luce che
mi veniva quasi di accusare Dio perché ci aveva tenute nascoste
certe cose. Volevo verificare se magari qualcuno, invece, le
aveva già dette in qualche modo. La voce mi disse: ‘Leggi pure’.
“Allora, visto che ero inserito nel sistema cristiano, pensai di
leggere quel che faceva parte di questo sistema. Cominciai con
la Bibbia, ma la trovai noiosa. Allora lessi i Vangeli, prima
quelli canonici e poi quelli apocrifi, e mi accorsi che dicevano
proprio quel che io avevo scoperto. Quelle cose erano state dette
duemila anni fa, solo che gli si era dato un senso diverso. In quei
frammenti di verità contenuti nei vangeli c’è un filo conduttore
che collega una cosa all’altra e ti fa capire qualcosa di diverso.
Solo che, se si estrapolano certe cose dai vangeli invece di altre
e se ne fa una regola, ci si infila nella trappola delle regole. Il
guaio è rappresentato proprio dalle regole, di cui uno poi diventa
vittima inconsapevole, e magari invece pensa di meritare una
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medaglia per averle rispettate! C’è proprio una confusione
esagerata in questo. Comunque, dopo quella lettura mi resi conto
che il problema non era che certe cose non erano state dette, ma
che non le si era capite”.
Se certe verità espresse nei Vangeli non sono state capite, come
è fin troppo evidente che sia avvenuto, secondo Egidio è per
mancanza di umiltà da parte degli esseri umani.
“Per capire delle cose che vanno al di fuori del nostro sistema di
pensiero, o condizionamento mentale, bisogna smussare la parte
che ci porta a giudicare le cose che in realtà non capiamo, e tirar
fuori invece l’umiltà, ossia annullare il proprio sistema di
giudizio per costruire una cosa che intuisci essere importante.
Poi però questa cosa dobbiamo costruirla noi, col nostro sforzo
personale. Nei Vangeli ci sono tanti spunti che possono dare
l’idea di questo filo conduttore, però possiamo trovare anche
una cosa e, al tempo stesso, il suo contrario. Purtroppo, in un
sistema religioso non si fanno emergere questi contrasti, che
servirebbero a farci riflettere e a farci arrivare da soli alla verità.
Si eliminano i contrasti, si costruiscono dei dogmi e si crea
l’indottrinamento, lo schema. Quando ti rendi conto di aver
subito un indottrinamento, però, devi spaccare quello schema,
annullare quel giudice che ti sei nutrito dentro e che, facendoti
giudicare le cose che non capisci, ti fa scartare i dubbi, non ti fa
vedere le contraddizioni.
27
“Insomma, per il rapporto col proprio Dio, come lo intendeva
Gesù, la cosa fondamentale è l’umiltà. Nei confronti del proprio
Dio, però, non nei confronti del prossimo. Col prossimo non si
arriva da nessuna parte. Infatti il Vangelo dice ‘Ama il signore
Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente, con tutta la
tua forza’. Non dice di amare così il prossimo. Dice
semplicemente ‘Ama il prossimo tuo come te stesso. Rispettato
questo, avrai rispettato tutte le leggi dei profeti’”.
L’umiltà sembra dunque la virtù fondamentale da sviluppare per
intraprendere un cammino verso Dio. “Certo, l’umiltà nei
confronti di chi c’è sopra”, insiste Egidio. “Bisogna dirgli ‘Io
non so, vorrei imparare, capire’, andando anche contro il proprio
sistema, il proprio giudice, contro quello che si è assimilato per
una vita. È veramente un lavoro duro, ma uno non deve farsi
uno schema e dire ‘Ora comincio a combattere così’.
L’importante è capire il meccanismo. Ci vogliono l’umiltà e la
preghiera intesa come offerta incondizionata di sé per generare
quel rapporto col proprio Dio. Questa è la base della
spiritualità”.
Sul vero significato della preghiera e sulla sua basilare
importanza torneremo in dettaglio più avanti. Per ora, Egidio ci
tiene a sottolineare che è essenziale estirpare in sé la paura del
giudizio umano, compreso il proprio, perché è frutto di schemi,
di condizionamenti imposti dall’esterno.
28
“Vivere senza la paura del giudizio, infatti, ti porta a conoscerti.
In questo senso, pensare di aver commesso un errore non è
salutare. È importante, piuttosto, compiere un’azione che ti porta
a una riflessione, e quindi a dirigere altrove i tuoi pensieri. Da lì
dai forza a un sistema di reazione che ti guida per la vita.
“Visto così, un ‘errore’ può essere, in realtà, un arricchimento.
Invece, il sistema del giudizio porta ai ‘peccati’ nei loro vari
gradi, dal veniale al mortale. È un sistema materiale, banale, che
all’uomo però fa piacere. All’uomo piace avere qualcuno che gli
dica: ‘Non ti preoccupare, ti perdono’. Ma io sui Vangeli ho
letto che Gesù, oltre a ‘Non giudicate e non sarete giudicati’,
diceva: ‘Che nessuno di voi si faccia chiamare padre o
maestro’3. E noi, invece, adesso ci ritroviamo delle persone che
si definiscono discepoli di Cristo e si fanno chiamare padre, e tu
gli confessi un tuo ‘peccato’ e loro stabiliscono se assolverti o
condannarti, cioè esprimono un giudizio. Loro lo esprimono,
non Dio. Ma da dove arriva questo insegnamento? Sui Vangeli
3
La citazione esatta e completa, tratta da Matteo 23:1-9, è la seguente:
“Allora Gesù parlò alla folla e ai suoi discepoli, dicendo: «Gli scribi e i
farisei siedono sulla cattedra di Mosè. Fate dunque e osservate tutte le cose
che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno.
Infatti, legano dei fardelli pesanti e li mettono sulle spalle della gente; ma
loro non li vogliono muovere neppure con un dito. Tutte le loro opere le
fanno per essere osservati dagli uomini; infatti allargano le loro filatterie e
allungano le frange dei mantelli; amano i primi posti nei conviti, i primi seggi
nelle sinagoghe, i saluti nelle piazze ed essere chiamati dalla gente: "Rabbì!"
Ma voi non vi fate chiamare "Rabbì"; perché uno solo è il vostro Maestro, e
voi siete tutti fratelli. Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché
uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli”.
29
c’è scritta tutta un’altra cosa… Che potere ha un essere umano
di condannare o di assolvere un altro essere umano? I preti sono
convinti che, quando indossano i paramenti sacri, Dio agisca
attraverso di loro. Ma loro dove stanno? In realtà, non fanno che
scaricare le loro responsabilità su Dio”.
Esiste quindi un filo conduttore che, se riusciamo a rilevarlo, ci
fa capire l’importanza dei pensieri. “’Va’ e non peccare più’,
diceva Gesù. Lui non perdonava, non giudicava. Diceva
soltanto, in sostanza: ‘Se hai capito che una cosa non va bene,
non la fare più’. Purtroppo però l’uomo, investito di tutta questa
libertà, si fa prendere dalla paura e vuole essere rassicurato.
Allora si crea tutto un sistema, come quello cattolico, in cui c’è
qualcuno che ti assolve, che ti rassicura che va tutto bene...
“Poi, invece, quando qualcuno magari ha un contatto con l’altra
dimensione, con un’entità di luce o un angelo, si crea subito la
paura, la diffidenza. ‘Attenzione’, dicono i preti, ‘perché il
demonio si presenta sempre sotto forma di luce…’ Va bene, ma
allora che dobbiamo fare? Se non cominciamo ad avere un
rapporto diretto col nostro Dio, a fargli delle domande, come
potremo mai conoscerlo? È possibile, poi, che Dio non si
esprima più in questo modo, che non parli più direttamente al
cuore degli uomini? L’ha sempre fatto! Gesù stesso dice:
‘Quando sarò salito al padre, vi manderò lo spirito paraclito,
consolatore, che vi guiderà alla verità per intero’. E come ce lo
manda? Attraverso delle persone con delle tuniche nere?
30
Pensiamo davvero che possano essere quelli gli angeli
consolatori? Ma se lui diceva che il rapporto da generare con
l’altra dimensione è tra sé e il proprio Dio, come facciamo a
generare questo rapporto attraverso altri esseri umani? Però, se
un prete dovesse dire ‘Prega a casa tua’, dopo perderebbe il
monopolio. Alla fine, insomma, tutti i sistemi religiosi si
trovano a sorreggere uno stesso sistema di controllo tipicamente
umano, altro che divino. Ma dove può portarci tutto questo?”
4
L’entità di luce aveva detto a Egidio che, per seguire il suo cammino
spirituale, avrebbe perso il lavoro e la famiglia. Sentendo questo, Egidio disse
di volersi dimettere subito dal suo posto di lavoro, visto che doveva perderlo
comunque. Allora l’entità gli fece capire che ciò avrebbe accelerato i tempi
del suo percorso.
33
Il periodo successivo alla realizzazione del secondo libro si
rivelò particolarmente intenso e difficile per Egidio. “Si può dire
che proprio in quel periodo io abbia rielaborato e revisionato
tutto quel che mi era arrivato e i miei pensieri collegati,
spaccando gli schemi mentali che m’intrappolavano. Costruii
quindi un’altra realtà mentale, abbinandovi le mie forze
attraverso la preghiera. E poi ho dovuto unificare tutto, e questo
è passato attraverso una sofferenza indescrivibile, che sapevo di
dover affrontare, in sei mesi di isolamento totale, fino al giugno
del 2000. In quel momento, il mio lavoro su me stesso poteva
considerarsi finito. Io me ne ero accorto, ma comunque mi
venne detto che era arrivato il momento di cominciare a
svolgere la mia missione di aiutare e guarire le persone”.
Già, ma come? “Lì per lì, in effetti, non sapevo come rientrare
nel mondo da cui mi ero staccato. Dovevo aprire uno studio?
Farmi pubblicità? Non sapevo. E quando glielo chiesi, l’entità
mi disse: ‘Vai al bar e aspetta che le persone vengano da te’.
Così feci, in un bar di Pavia, e le persone, in effetti,
cominciarono ad arrivare…”
Nell’aiutare le persone, poi, Egidio doveva rispettare tre regole.
“Non sembravano regole complicate: ‘Vai ovunque ti chiamano,
aiuta chiunque te lo chieda e non chiedere nulla per quello che
fai’. Il difficile, però, era metterle in pratica. È sempre la pratica
che fa la differenza. Dopo aver scritto i due libri mi sembrava di
aver capito tutto ormai, e invece erano soltanto una base, un
34
inizio. Praticando quel che dovevo fare, infatti, mi resi conto che
di cose da capire ce n’erano ancora tantissime. Tant’è che una
volta dissi alla mia guida: ‘Beh, adesso di libri ne potrei scrivere
quattro, e non di 50 pagine ma di 500!’. E l’entità mi disse
invece: ‘No, adesso la verità la dici solo a chi la vuol
sentire…’”.
Anche in questo caso, lì per lì Egidio non sapeva bene come fare
a comunicarla quella sua verità. “Mi venne in mente anche di
organizzare due conferenze, una a Pavia e una a Marcignago, il
paese dove vivo. I temi delle conferenze erano la preghiera, il
valore della preghiera, l’importanza dell’atto del donarsi, e come
fosse fondamentale fermare i propri pensieri prima di farlo. È
essenziale imparare a comandare la propria mente, a non
lasciarla andare appresso ai pensieri. A volte i pensieri arrivano,
si accavallano, e ti ritrovi a pensare delle cose che non hai
scelto. E invece, per contattare veramente Dio, ci vuole ordine
dentro, un ordine che si esprime attraverso il silenzio. È così che
ho capito il valore, l’importanza del silenzio interiore. E dopo
aver fatto silenzio, l’importanza del donare se stessi al proprio
Dio, dell’offrirgli quella forza che si sviluppa dirigendo a Lui i
propri pensieri in apertura, mettendosi praticamente a Sua
disposizione. Solo in quel silenzio interiore si può aprire un
canale di comunicazione e consentire a Dio di lavorare su di
noi .
35
“Certo, Dio può lavorare comunque su di noi, ma se non se ne è
consapevoli questo lavoro lo si subisce. Invece, essendone
consapevoli si può, in un certo senso, collaborare con Dio, Lui
può fare di più per noi e noi possiamo fare di più per Lui. Si crea
un’armonia. Prima però si deve imparare a comandare il proprio
sistema interiore, attraverso la meditazione, intesa come capacità
di frenare i pensieri e creare il silenzio dentro di sé, e la
preghiera, intesa come offerta incondizionata di sé a Dio”.
39
Sembra quasi una sorta di democrazia ultraterrena… “Più
ancora che alla democrazia”, precisa Egidio, “questo modello si
avvicina all’utopia politica dell’anarchia. Il fine dell’anarchia
politica, però, è che ognuno possa dare soddisfazione al proprio
ego, mentre nella dimensione divina l’unico scopo è occuparsi
dell’evoluzione del sistema della creazione. Dunque, avendo
tutti uno scopo unico, ognuno utilizza la propria esperienza per
contribuire al suo raggiungimento, quindi non c’è bisogno di
qualcuno al di sopra che comandi. Il Dio monarca è stato
inventato per incutere timore. In realtà, è vero che bisogna
essere timorati di Dio, ma non nel senso di aver paura del Suo
giudizio, Bisogna essere timorati di Dio nel senso che è
fondamentale assumere un atteggiamento umile nei Suoi
confronti. Ma questa umiltà deve nascere non dalla paura, bensì
dall’amore e dalla fiducia, dalla consapevolezza di essere prima
di tutto creature. L’essere umano può creare, è vero, ma è
principalmente una creatura in evoluzione, e può creare nel
modo giusto soltanto in armonia con il suo creatore, altrimenti
crea le mostruosità che tutti conosciamo su questa terra”.
41
42
II
Signori… si nasce!
43
Ma non riuscite a dimenticare che sta accadendo qualcosa di strano e
temibile. E sentite di non poter fare nulla per impedirlo.
Fate appena in tempo a capire che qualcosa vuol buttarvi fuori da dove
siete, quando una luce vi acceca, dei rumori vi assordano e una
sensazione di freddo vi paralizza. Poi avvertite per la prima volta un
disperato bisogno d'ossigeno. Prima che possiate rendervi conto di
cosa sia accaduto, qualcosa vi afferra per i piedi e vi capovolge, per
poi percuotervi. Aprite la bocca e l'aria brucia nei vostri polmoni come
un gas incandescente. E non vi resta che piangere…
Il concepimento e l’aborto
Sembra il copione di un film del terrore, ma in realtà è una scena di
cui ognuno di noi è stato protagonista: la nascita, così come avviene
oggigiorno nella stragrande maggioranza degli ospedali e delle
cliniche. Secondo molti, e in particolare il terapeuta americano
Leonard Orr, inventore di una disciplina chiamata Rebirthing che si
propone di aiutare la gente a superare il trauma della nascita attraverso
la respirazione, si tratta di un evento assai traumatico che continua a
condizionarci la vita. E come dargli torto? Altri due celebri rebirthers
americani come Sondra Ray e Bob Mandel hanno scritto addirittura un
libro, intitolato Nascita e personalità (Armenia, 1996), per spiegare
come i vari tipi di nascita (parto normale, cesareo, podalico, ecc.)
possano influenzare il nostro carattere e la nostra personalità. E poi,
naturalmente, c’è l’astrologia, l’antica disciplina secondo cui la
posizione delle stelle al momento della nascita determina il nostro
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temperamento e la nostra personalità. In fondo, la nascita rappresenta
l’inizio del nostro viaggio nella materia, quindi è inevitabile che sia
importante.
Secondo Egidio Ricci, però, prima ancora della nascita, è il
momento del concepimento a essere molto importante, “perché è
nel momento del concepimento che bisogna considerare gli stati
d’animo dei genitori. Siccome l’essere umano non è mai una
cosa sola ma può essere tante cose, come arrabbiato, innamorato
o altro, con la mente va a fissarsi in un punto o in un altro.
Quindi il momento del concepimento è fondamentale perché vi
si concentrano delle forze che incanaliamo e facciamo fluire”.
Anche se si tratta di un momento molto importante, però, non
sta a noi organizzarlo in modo preciso, altrimenti, come spiega
Egidio riprendendo un concetto fondamentale espresso nel
capitolo precedente, “cadiamo in una pianificazione sbagliata,
perché noi non sappiamo veramente cosa sia giusto fare. C’è una
regia molto più alta che stabilisce che, in un certo momento
della vita, a una persona succeda una certa cosa. Quindi diciamo
che, quando il momento del concepimento si verifica senza
pensarlo troppo, senza pianificare delle cose per il futuro figlio,
è più probabile che sia espressione della volontà di Dio. Perché
in effetti, guarda caso, quando uno vuole un figlio in un certo
modo, di solito non ci riesce...”
45
Beh, certo, pianificare troppo le cose è assurdo e inutile… Ma
non è legittimo cercare di offrire le condizioni migliori a proprio
figlio, far di tutto perché nasca bene?
“Ma come si fa a saperlo? Secondo la nostra visione, una
persona nasce bene se è sana. Ma questo per Dio non è
importante, per lui è importante solo se una persona ha delle
capacità per andare avanti per una certa strada. La vita va come
deve andare. È una straordinaria opportunità, perché chi ce l’ha
e la sa usare ha a disposizione una grande risorsa per la crescita
spirituale. Si può comunque cercare di fare le cose nel modo
migliore possibile al momento del concepimento, ma l’errore è
pensare che poi tutto debba andare benissimo e che il proprio
figlio non debba avere problemi. Ci mettiamo sempre una
premeditazione per cercare di star bene. L’essere umano, però, è
una creatura e non può minimamente immaginare il suo
contenuto, diciamo, ossia il modo in cui è stato fatto e il suo
scopo. Invece, comunemente nella vita l’essere umano tende a
organizzarsi ogni cosa secondo quel che sa e conosce. Ma in
realtà sa e conosce pochissimo, se non addirittura nulla. È per
questo che non può organizzare in modo perfetto niente, men
che meno come far nascere un altro essere umano”.
Beh, almeno può provarci, no? Egidio scuote la folta chioma
riccioluta. “Non serve a niente”, dichiara con un sorriso.
“Invece, quel che conta è vivere quotidianamente con una certa
attenzione. Al di là di questo, si cade nelle imposizioni, nelle
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regole. Gira e rigira, l’uomo finisce per ricondurre tutto alle
regole”.
Questo delle regole come creazione tipicamente umana, e più
precisamente come frutto della paura e del bisogno di sicurezza
caratteristici dell’essere umano, comincia già a delinearsi come
un leit motiv dell’insegnamento di Egidio. Ma non è detto che il
cercare di concepire in un certo modo debba essere una regola.
Si potrebbe, per esempio, sentire un’ispirazione a concepire
proprio in un certo momento. E quell’ispirazione potrebbe
magari avere un’origine divina…
Mmmh… no… Un altro movimento, stavolta appena
percettibile, dei riccioli della nostra guida ci fa capire che
proprio non è aria…
“Secondo me, è meglio che il concepimento avvenga senza che
uno lo pensi. È il frutto di un donarsi reciproco tra due persone,
il frutto inconsapevole di un’unione. Se invece lo pianifichiamo,
tanto per cominciare non andrà mai come vorremmo noi e, in
secondo luogo, sarebbe comunque una missione impossibile.
Non è una cosa che sta a noi decidere. Noi a malapena riusciamo
a fare alcune cose che abbiamo imparato nella materia, quindi
come possiamo immaginare di diventare artefici di noi stessi o
di un’altra creatura?”
Beh, in effetti… Meglio spostare il nostro campo di indagine a
ciò che avviene al momento del concepimento…
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“Si determina un concentrato di forze strettamente correlate alla
materia”, spiega Egidio, “sul quale poi si inseriscono altre forze
che sono fuori dal tempo. Da questo incontro si forma l’essere
umano”.
E quando comincia la vita? Si tratta di una questione molto
dibattuta. Legalmente, si è stabilito che cominci dopo il terzo
mese. Ma anche questa è chiaramente una regola stabilità
dall’uomo, quindi priva di un reale valore a livello spirituale.
“In effetti”, conferma Egidio, “nel momento in cui si verifica
l’intersecazione di queste forze materiali e di forze fuori dal
tempo è già nata la vita. L’innesco è già attivato, quindi la vita
già c’è. È come prendere una piantina piccolissima. Nel
momento in cui la pianti nel terreno è già una pianta; gli serve
solo il tempo per dimostrarlo.
“Quella dei tre mesi è una delle famose regole stabilite
dall’uomo. Prima di tre mesi non c’è la vita… Ma chi l’ha detto?
L’uomo s’inventa quel che gli fa comodo, secondo quel che
vuole capire, perché non sa, non vede e non crede che ci siano
delle forze che vanno al di là della materialità. E non lo vuole
neanche sapere, perché il fatto di pensare che al di là della
materialità ci possano essere delle forze in grado di influire sulla
formazione della materia non lo trova concepibile”.
Da questo punto di vista, sembra ovvio che l’aborto si possa
considerare, senza tanti giri di parole, un’uccisione… “Sì”,
conferma Egidio, “diciamo che è l’eliminazione di un progetto
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divino. Non credo proprio che ci sia qualche differenza con
l’uccisione di una persona adulta”.
In effetti, già dal momento del concepimento, un’essenza umana
s’impregna di tutto: degli stati d’animo della mamma durante la
gravidanza, delle difficoltà legate al parto... “S’impregna anche
di influenze esterne” aggiunge Egidio, “ma sempre attraverso il
modo in cui le prende la mamma. Con questo, però, non voglio
far sentire in colpa una madre che magari, durante la gravidanza
o al momento del parto, ha vissuto uno stato d’animo tremendo
e l’ha trasmesso al figlio. Voglio soltanto proporre una possibile
spiegazione a degli stati d’animo di una persona, a certe sue
paure che spesso si attribuiscono a vite precedenti e che, invece,
possono essere abbinate semplicemente a una condizione vissuta
nelle prime fasi della vita; una persona non può averne un
ricordo cosciente, ma se n’è comunque impregnata e ne subisce
le conseguenze”.
Beh, allora se una madre è consapevole dell’influenza che può
avere su suo figlio, non è giusto che stia attenta?
“Sì, ma non si può farne una regola. È una responsabilità
soggettiva. Se una madre avverte che questa cosa per lei è
importante, è giusto che la faccia. Come le mamme che fumano
e, durante la gravidanza, smettono di fumare perché pensano che
il fumo possa nuocere al bambino. È un pensiero che hanno in
quel momento ed è giusto che lo seguano, ma la cosa più
importante sarebbe l’attenzione ai pensieri, agli stati d’animo.
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Anche Gesù, già duemila anni fa, faceva spesso riferimento
all’attenzione ai pensieri, perché è il pensiero che fa male, è il
pensiero che uccide. Oggi, invece, curiamo l’aspetto, la forma, e
non quello che si pensa. Praticamente ci viene detto: pensa
quello che ti pare ma agisci bene, in modo conforme alle regole
della società. E invece i pensieri sono fondamentali, anche se la
nostra cultura non dà loro il giusto valore”.
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“Un giorno apparve un piccolo buco in un bozzolo. Un uomo
che passava di lì per caso si mise a guardare la farfalla che, da
varie ore, si sforzava per uscire da quel piccolo buco.
“Dopo molto tempo, sembrava che la farfalla si fosse arresa e
che il buco fosse sempre della stessa dimensione. Sembrava che
la farfalla avesse ormai fatto tutto quel che poteva, e che non
avesse più la possibilità di fare nient’altro.
“Allora l’uomo decise di aiutare la farfalla: prese un temperino
ed aprì il bozzolo. La farfalla uscì immediatamente. Però il suo
corpo era piccolo e rattrappito, e le sue ali erano poco sviluppate
e si muovevano a stento.
“L’uomo continuò ad osservare, perché sperava che, da un
momento all’altro, le ali della farfalla si aprissero e fossero
capaci di sostenere il suo corpo, e che essa cominciasse a volare.
Invece non successe nulla, in quanto la farfalla passò il resto
della sua esistenza trascinandosi per terra con un corpo
rattrappito e con le ali poco sviluppate. Non fu mai capace di
volare.
“Ciò che quell’uomo, con il suo gesto di gentilezza e con
l’intenzione di aiutare, non capiva era che passare per lo stretto
buco del bozzolo rappresentava lo sforzo necessario affinché la
farfalla potesse trasmettere il fluido del suo corpo alle sue ali ed
essere in grado di volare.
“Quello era il modo in cui Dio la faceva crescere e sviluppare. A
volte lo sforzo è esattamente ciò di cui abbiamo bisogno nella
51
nostra vita. Se Dio ci permettesse di vivere la nostra esistenza
senza incontrare nessun ostacolo, saremmo molto più limitati.
Non potremmo essere così forti come siamo, non potremmo mai
volare.”
Perciò, conclude l’anonimo autore della storia, “Ho chiesto la
forza… e Dio mi ha dato le difficoltà per farmi forte.
“Ho chiesto la sapienza… e Dio mi ha dato problemi da
risolvere.
“Ho chiesto la prosperità… e Dio mi ha dato cervello e muscoli
per lavorare.
“Ho chiesto di poter volare… e Dio mi ha dato ostacoli da
superare.
“Ho chiesto l’amore… e Dio mi ha dato persone con problemi
da poter aiutare.
“Ho chiesto favori… e Dio mi ha dato opportunità.
“Non ho ricevuto niente di quello che ho chiesto, però ho
ricevuto tutto quello di cui avevo bisogno.
Vivi la vita senza paura, affronta tutti gli ostacoli e dimostra che
puoi superarli”.
La sofferenza è necessaria
In realtà, oggigiorno non si cerca soltanto di alleviare la
sofferenza, in realtà necessaria, delle nostre piccole farfalle. Si
fanno un sacco di cose, per esempio, perché soprattutto le madri
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non soffrano. Nonostante anche questo possa avere degli effetti
negativi.
“Altrochè!”, esclama Egidio, “In realtà è giusto che le madri
soffrano, come i loro figli, al momento del parto. In certi
momenti, la sofferenza è necessaria per crescere, per sviluppare
quei muscoli indispensabili per farci uscire dal bozzolo e librare
in volo. La nostra società, invece, ci ha condizionati ad evitare la
sofferenza a qualunque costo. E pensare che è proprio la
sofferenza che dà la vita, perché se proprio da quella sofferenza
nasce una nuova vita, si tratta di un evento straordinario, di un
vero miracolo. Per di più, il pensiero di non soffrire è mosso
dalla paura, quindi, anche se uno non se ne rende conto, in
quello stato di paura l’essere umano produce un’energia molto
bassa che può influenzare lui stesso e gli altri, e in particolare il
nascituro.
“Per questo una cosa comunemente e inconsapevolmente
utilizzata con leggerezza, come l’anestesia, può avere un effetto
deleterio sul bambino che nasce, perché gli trasmette la paura
della sofferenza, e soprattutto fa che vengano a mancare quelle
contrazioni naturali grazie alle quali il bambino cerca di
staccarsi dalla madre, di uscire da solo. Sono cose naturali, che
devono avvenire. La ricerca scientifica non deve arrivare a dire
che non è giusto quel che è stato fatto da Dio. Dire che non è
giusto che una donna partorisca con dolore va contro i principi
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vitali di chi ci ha creato. È una cosa arrogante e presuntuosa,
significa pretendere di saperne di più di chi ci ha creato.
“Anche di questo, naturalmente, non si deve fare una regola.
Non è che basti vietare l’uso dell’anestesia per essere a posto.
Però ci sono dei principi base che possono avere un’importanza
e che, invece, non vengono messi a fuoco. Per esempio, se
ripercorriamo mentalmente la nostra vita, ci accorgiamo che tutti
i momenti più importanti di crescita sono contrassegnati da una
sofferenza che, se l’abbiamo superata in modo positivo, ci ha
rafforzato. In tal senso, quella sofferenza in realtà è stata quasi
una manna per noi. Quindi la sofferenza serve, non è da evitare.
Dio non l’ha creata per punirci, ma semmai per aiutarci a
crescere. E naturalmente, anche la sofferenza che un essere
umano prova al momento della nascita gli dà un certo imprinting
importante”.
Inoltre, tornando all’anestesia, siccome la nascita è
sostanzialmente un gioco di squadra, se uno dei due “giocatori”,
ovvero la madre, è addormentato, il bambino si sente tradito,
perché non percepisce la giusta collaborazione. Quindi si può
dire che il parto naturale o in casa siano preferibili. Senza farne
una regola, però…
“Sì, il parto in casa dovrebbe essere una cosa comune. Uno deve
nascere dove vive, non in un frigorifero di ospedale. Il bambino
deve stare a fianco della mamma, a casa sua. Se ci sono
complicazioni, l’ospedale va benissimo. Ma oggi sembra che
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senza l’ospedale non si possa far niente, che se non ci sono un
ginecologo, quattro chirurghi e sette infermiere non possa più
nascere un bambino. Una volta bastava la levatrice, o anche la
nonna esperta, che ti facevano coraggio e sapevano cosa fare.
Poi, se si verificano delle complicazioni, così come muoiono
delle madri o dei neonati in ospedale per problemi legati
all’anestesia o ad altri procedimenti medici, magari ci possono
essere anche delle madri che muoiono di parto a casa loro, o dei
bambini che non ce la fanno a nascere. È la vita. Non ci si può
sentire in colpa o soffrire per ogni cosa che accade e che ci
sembra brutta. È fondamentale soltanto l’intenzione. Se faccio
qualcosa con l’intenzione di fare del male a qualcuno, allora
quello è sì un problema. Ma se faccio una cosa che ritengo
giusta per me, per il mio cammino, e qualcun altro ne soffre, non
è che devo mettermi a piangere o fermarmi perché quella
persona soffre. E anche se qualcuno muore, non c’è
necessariamente da disperarsi, arrivando addirittura a pensare
che Dio sia ingiusto o cattivo perché fa morire la gente. In
realtà, come la nascita, anche la morte è un passaggio
fondamentale dell’esistenza. Se si è in grado di affrontarla in un
certo modo, può essere anch’essa una nascita a una nuova vita”.
In effetti, visto che la morte è l’unica cosa sicura della vita, non
sarebbe ragionevole prepararcisi invece che semplicemente
temerla? Tra l’altro, se proviamo ad abbandonare almeno per un
istante la convinzione, a dir poco miope, che la vita nella
55
materia sia tutto ciò che abbiamo, magari possiamo renderci
conto che lo scopo della vita è una preparazione proprio a ciò
che accade al momento della morte. E che, come la farfallina
della storia, anche noi abbiamo bisogno di sviluppare, grazie alle
sofferenze cui la vita ci sottopone, quei muscoli che ci
permetteranno di librarci in un’altra dimensione…
A questo punto, visto che ci siamo, forse è il caso di provare a
vedere le cose da una dimensione al di là della materia, prima di
continuare a esaminare le altre fasi importanti della vita umana
sulla terra. La nostra guida, come Donald Shimoda, è già pronta
nella cabina di pilotaggio di un piccolo aereo che ci porterà al di
là delle nuvole della limitata percezione materiale per regalarci
una “visione dall’alto” dell’universo e dello scopo che la
dimensione divina gli ha attribuito.
Saltate a bordo, dunque. Ma senza paracadute…
56
III
L’origine di tutto
57
concesso di sapere molte cose, a partire dalla creazione”, e dei
due libri che ha scritto.
58
In altre parole, Dio è amore, e l’amore è espansione e genera
armonia con tutto ciò che lo circonda, mentre il suo opposto
provoca la contrazione e quindi l’isolamento. “Per questo
motivo”, conclude Egidio, “queste due enormi forme di energia
al massimo della loro espansione, essendo contrapposte, si
respinsero violentemente e la creatura di Dio, al massimo della
sua contrazione, si isolò lanciandosi in velocità.
“Con la velocità ebbe inizio la materia, in quanto la forma di
energia pura si consolidò disgregandosi, e questa fu la causa
della violenta esplosione molecolare che diede origine al
tempo”.
Nel suo primo libro …E Dio creò l’uomo, Egidio afferma che,
oltre al tempo, da quella prima esplosione molecolare,
probabilmente corrispondente a quello che gli scienziati
chiamano Big Bang, ebbe inizio anche la materia, che è energia
pura solidificatasi perché lanciata nel tempo. Nella materia
nacque la vita così come la conosciamo e la vediamo,
manifestandosi sotto varie forme e subendo trasformazioni
continue con il trascorrere del tempo, dato che, per effetto di
quella che Egidio definisce “l’inarrestabile legge
dell’evoluzione”, tutto ciò che viene lanciato nel tempo è
soggetto a mutazioni continue. E invece Dio, il fulcro della
creazione, risiede nella non-materia, nel non-tempo, o fuori dal
tempo, dove tutto è etereo e infinito, e da lì irradia e compenetra
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tutta la creazione, comandando la materia con i suoi pensieri e
guidandone l’evoluzione.
“Per evolvere il Suo spirito”, scrive Egidio, “Dio necessita della
materia e del tempo, in quanto dove sta lui non può esistere
l’evoluzione, perché c’è staticità e tutto è fermo, etereo”.
Si tratta di un concetto rivoluzionario, in contrasto con l’idea
comunemente accettata secondo cui Dio è un essere
perfettissimo che non ha alcun bisogno di evolversi. Nella
cosmologia di Egidio Ricci, invece, sembra che Dio si evolva
attraverso la sua creazione, e in particolare, come vedremo tra
poco, attraverso l’essere umano che ne rappresenta il culmine.
Questo è infatti, secondo lui, l’equilibrio che regge tutta la
creazione: lo spirito dirige la materia, che è indispensabile per
l’evoluzione dello spirito, cercando di farla evolvere in positivo,
e il tutto è sorretto dall’amore di Dio.
Tutte le mutazioni nella materia sono cicliche, e ogni ciclo segue
un percorso circolare. “Ogni forma di energia, come il primo
pensiero”, spiega infatti Egidio nel suo secondo libro, “ha una
forma circolare, e ogni cosa creata ha le stesse caratteristiche”.
In effetti, in armonia col celebre principio ermetico del “Come
in alto così in basso”, sappiamo che l’universo, in quanto
massima espressione della materia, è un insieme di pianeti che
ruotano su loro stessi e seguono delle orbite circolari, così come
l’atomo, che rappresenta convenzionalmente l’espressione
minima della materia, è un insieme di particelle che vorticano in
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senso circolare senza mai toccarsi. Insomma, pur nell’enorme
differenza di dimensioni, la massima e la minima espressione
della materia sono simili fra loro e, come scrive Egidio, “nel
piccolo sono celati i misteri del grande e del Suo creatore”.
Tutto ciò che è contenuto nella materia segue un ciclo circolare.
Sappiamo infatti che non esiste una retta perfetta, perché non
esiste una cosa che, lanciata in velocità, mantenga una corsa
retta in modo permanente. Come un proiettile che, esploso da
un’arma da fuoco, percorre inizialmente una traiettoria rettilinea
ma poi comincia a cadere e, se non ci fosse la terra a fermarlo,
compierebbe un ciclo circolare tornando al punto di partenza.
Per questo, come conclude Egidio, “gli opposti sono vicini e
quasi si toccano”.
5
Nel suo primo libro, Egidio afferma che gli universi di tutta la creazione
sono circa due miliardi. Tra di essi, per livello di evoluzione, in una scala da
1 a 100, la terra può essere collocata intorno al 25. “Ogni universo ha il suo
grado di evoluzione”, scrive Egidio, “e tutti procedono in armonia fra loro, e i
più evoluti aiutano i meno evoluti. Ecco spiegato il mistero delle piramidi
egizie, dei disegni trovati in esse, ove vengono raffigurati degli uomini con
caschi e fucili. Ecco il mistero della tecnologia degli aztechi e dei maya.
Erano semplicemente in contatto con popoli di altri universi, ovviamente più
evoluti, i quali suggerivano straordinarie tecnologie. Così facendo,
inducevano al ragionamento e allo sviluppo, su precise indicazioni di Dio, al
fine di far evolvere la terra più velocemente”.
Egidio prosegue però dicendo che questi contatti vennero sospesi intorno al
1200 a.C. per volere di Dio, in quanto Lucifero “cominciò a creare generando
confusione e disordine nella mente degli uomini. A tutt’oggi si parla di
avvistamenti di UFO, ma non può più avvenire alcun contatto, perché Dio
non vuole. Quindi questi extraterrestri vengono in veste di ospiti furtivi, non
più per aiutarci nell’evoluzione, ma per pura curiosità”.
Egidio aggiunge poi che “la nostra terra è diventata lo zimbello di tutti gli
universi”, in quanto è l’unico pianeta dell’intera creazione a contenere
un’immensa energia negativa derivante da Lucifero. Anche in questo mi
sembra di poter rilevare un collegamento molto interessante con la prima
serie di scritti di G.I. Gurdjieff, I racconti di Belzebù a suo nipote (Neri
Pozza), in cui l’extraterrestre Belzebù illustra al suo nipotino le assurdità nel
comportamento degli esseri umani.
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stessa energia torna a far parte dell’energia cosmica mantenendo
la propria esperienza. In seguito, questa stessa energia tornerà ad
accompagnare nella vita moltissime altre forme di vegetazione,
accumulando tantissima esperienza e conoscenza, fino a
evolversi al punto tale da poter accompagnare nella vita un
animale”.
Praticamente, alla fine di ogni esistenza di un qualunque essere
vivente nella materia, l’energia di questo essere torna a far parte
dell’energia cosmica, accrescendone sempre di più la
conoscenza e l’esperienza. Ogni forma di vita vissuta risulta
fondamentale per l’esperienza che riesce ad accumulare. In
questo modo, dopo aver acquisito abbastanza esperienza
nell’accompagnare la vita di un animale, l’energia evoluta,
sempre col consenso di Dio, potrà accompagnare la vita di un
essere umano, che si incarnerà di continuo, come vedremo in un
prossimo capitolo, fino alla sua completa evoluzione, ossia fino
a quando riuscirà a riportare a Dio, in energia pura, sia la propria
essenza spirituale sia la propria parte fisica, materiale.
Tanto per capirci meglio, l’unico esempio di questa evoluzione
completa di cui siamo a conoscenza è rappresentato da Gesù, il
quale, attraverso la sua resurrezione, riportò a Dio, insieme alla
propria avanzatissima essenza spirituale, anche il proprio corpo
fisico, che in effetti, come dimostra la Sacra Sindone, in pratica
si smaterializzò apparentemente nel nulla.
63
“Questo era il primo disegno di Dio per l’evoluzione della
materia”, prosegue Egidio nel suo libro, “e ogni cosa esistente al
mondo è stata creata per far capire Dio e la strada che riporta a
Lui. Il cielo e la terra; il giorno e la notte; il caldo e il freddo;
l’uomo e la donna; l’odio e l’amore. Ogni cosa ha il suo
contrario e crea il contrasto, che è indispensabile per
l’evoluzione dello spirito, in quanto fa nascere il ragionamento
dal quale dipende la scelta dei pensieri da sviluppare e, di
conseguenza, la strada da percorrere”.
In questo senso, lo scopo dell’incarnazione nella materia è
quello di far capire all’uomo, in quanto creatura spirituale, la
differenza tra il bene e il male, passando attraverso le sofferenze
materiali. Se dunque, dopo un ciclo completo di evoluzione,
un’anima riesce a tornare a Dio, Egli avrà la certezza che
quest’anima non possa più sbagliare in seguito, in quanto ha già
provato e superato la sofferenza legata alla materia.
Ecco perché la sofferenza, nella visione di Egidio, è così
importante. Ma su questo torneremo ancora più volte nel corso
del nostro viaggio. Adesso mi sembra importante capire meglio
l’essere umano e la funzione del “diavolo” o “male”.
Satana e Lucifero
Cominciamo dal male che, secondo Egidio, ha origine da
un’enorme forma di energia negativa catalizzatasi intorno alla
figura di Lucifero, “il primo pensiero del Signore incarnato su
64
questa terra” che, dopo la sua esistenza terrena, al momento del
trapasso, non riconoscendo gli angeli del Signore che lo
attendevano e spaventato dalla loro luce, riuscì a sfuggire loro,
evitando così il sonno riparatore. Si rifugiò allora nelle infuocate
viscere della terra, dove creò la sua dimora e si sentì al sicuro,
dato che gli angeli non potevano addentrarsi troppo nella
materia per non oscurare la loro luce.
“Da quel momento”, scrive Egidio, “non ha fatto altro che
assorbire ogni tipo di energia che percepiva simile alla sua, ma
ora ha acquisito talmente tanta forza da riuscire persino a creare,
e quindi a insidiarsi nelle menti degli esseri umani”.
Diversa è invece, secondo Egidio, la funzione di Satana, figura
alla quale è stata ingiustamente attribuita la responsabilità per la
perdita delle anime. Si ritiene comunemente, infatti, che sia
colpa di Satana se un’anima viene tentata e si perde, e si crede
sempre che sia lui a farle poi subire atroci supplizi nel suo
inferno.
“E se invece si dovesse scoprire che Satana è una Santa creatura
del Nostro Signore e ottempera con amore a ogni suo ordine?”,
si chiede Egidio nel suo secondo libro. “Sarebbe sconvolgente
come lo è stato per me, ma è la realtà. Sin dal principio, Satana è
stato creato da Dio per svolgere un preciso compito, quello cioè
di accompagnare tutta l’evoluzione della terra insidiando le
menti delle anime incarnate. Quello che lui fa è creare un
dubbio, un’incertezza, nient’altro! Al resto pensa l’essere
65
umano. Satana non farebbe male a una mosca, e svolge la sua
ingrata missione con devozione e amore verso Dio”.
Insomma, quando dobbiamo prendere una decisione o ci
troviamo di fronte a una scelta, sarebbe Satana a entrare nella
nostra mente e suggerirci dubbi tipo “Ma sei proprio sicuro…”,
“Non sarebbe meglio se invece…” o “Ma che t’importa, fallo,
tanto lo fanno tutti!”. Alla fine è l’essere umano a scegliere e ad
agire di conseguenza. Il contrasto offerto da Satana non fa che
rafforzare la sua decisione.
Dopodiché, sulla base delle nostre decisioni e delle nostre scelte,
elaboriamo dentro di noi dei pensieri e dei ragionamenti che
creano delle vibrazioni che, come scrive Egidio, “vengono
trasmesse allo stato d’animo, attirando a sé ogni altra forma di
energia latente che vibra in sintonia”.
Pertanto, al momento del trapasso, la dimensione dove andremo
sarà semplicemente “la risultanza dei ragionamenti di un’intera
esistenza, sulla base di elaborazioni dei pensieri scelti.
“Quindi”, ribadisce Egidio, “Satana non c’entra. Il suo compito
è solo quello di inserire il dubbio in una mente e, nel momento
in cui l’ha fatto, il suo compito è terminato. Poi è l’essere umano
che dovrà saper scegliere la strada giusta, seguendo le leggi e i
messaggi che Dio ha mandato. Ma se sceglie invece una strada
diversa, diventa lui stesso il male e, sulla base delle sue scelte, si
creerà una sua dimensione”.
66
Se adesso risulta ancora più difficile per un essere umano
riuscire a percepire l’energia divina è perché nella sua mente
non c’è più soltanto Satana a creare dei dubbi, ma anche
“l’energia di Lucifero che, con mille insidie, distrae l’uomo
generando in lui il male e facendolo rimanere legato alle
sensazioni emanate dalla materia”.
Il vero inferno
In questo senso, secondo Egidio, l’inferno non è, come
comunemente si crede, un luogo in cui si va dopo morti se si è
stati “cattivi”, bensì una dimensione che ognuno di noi crea in
questa vita con i suoi ragionamenti e le sue scelte, e di cui
continua a pagare le conseguenza al momento del distacco dal
corpo fisico.
“Se si rifiuta Dio a ogni Sua chiamata e si sceglie il piacere di
vivere profondamente le sensazioni emanate dalla materia”,
spiega infatti Egidio, “al trapasso non si fa altro che rimanere
prigionieri della materia stessa, perché si cercherà di rivivere le
sensazioni che essa provocava. Ma uno spirito si nutre e vive di
sensazioni spirituali e non può provare sensazioni materiali. È
questo l’inferno: il voler vivere costantemente le sensazioni
della materia, senza considerare le sensazioni che vengono dal
mondo spirituale”.
Si tratta di un inferno in cui, secondo Egidio, viviamo
costantemente ogni giorno e che fa sì che, al momento del
67
trapasso, la nostra parte immateriale cerchi la vibrazione a lei
affine e, una volta trovatala, vi si unisca. E se questa vibrazione
è più forte della sua, l’assorbe rubandole l’energia.
“Questa è la legge degli spiriti volti al male”, afferma Egidio.
“L’energia più forte prevale sulla più debole annullandone la
volontà. Ma se, al contrario, un’energia è positiva, al suo
trapasso cercherà le forme di energia che vibrano in sintonia
unendosi a loro, ma ognuno conserverà il suo Io nel profondo
rispetto dell’altro, indipendentemente dalla sua forza. In Dio
succede questo, in quanto c’è il profondo amore che lega al
proprio prossimo e crea l’armonia e la pace, e le anime sono in
Lui come Lui è in ognuna di esse”.
Altrimenti, se un’anima in evoluzione, durante la sua esistenza
terrena, non ha imparato a capire Dio e a percepirne
profondamente l’energia attraverso l’amore per lo spirito, ma ha
imparato solo a essere egoista e a prevalere sul suo prossimo, al
momento del trapasso cercherà energie simili alla sua e ne verrà
assorbita, perché le energie negative latenti, che fanno
simbolicamente capo a Lucifero, sono estremamente forti.
69
originale6 e da ogni altra forma di energia negativa che
l’attraversa. È questo lo scopo dell’uomo: far accendere in sé la
luce della conoscenza e dell’amore verso lo spirito, di modo che,
al suo trapasso, riporterà a Dio sia il proprio corpo trasformato
in spirito sia la propria anima, fusi in un’unica energia, ricchi di
conoscenza ed esperienza evolutiva della materia. Solo in questo
modo l’anima può tornare a Dio, ove manterrà il suo io e avrà
una sua dimensione”.
Quest’anima di cui parla Egidio, ovvero la nostra parte spirituale
che si incarna per volontà divina, in realtà, come diceva anche
Gurdjieff, va formata. Egidio concorda infatti perfettamente col
maestro caucasico quando dice che l’uomo non ha un anima già
formata dalla nascita, come comunemente si crede, bensì ha
dentro di sé i materiali necessari per formare un’anima
individuale in grado, alla morte del corpo fisico, “di tornare a
Dio, ove manterrà il suo io e avrà una sua dimensione”, come
scrive appunto Egidio nel suo secondo libro.
Vedremo più chiaramente la natura e l’origine di questi materiali
in un capitolo successivo in cui affronteremo il delicato tema
della reincarnazione. Per il momento, basti pensare che le
energie che formano l’identità provvisoria (nel senso che si
tratta di un’identità non in grado di sopravvivere alla morte)
racchiusa nel nostro corpo fisico possono essere affinate, se c’è
6
Del significato del peccato originale si parla nel capitolo VI, al sottocapitolo
Tradimento: il peccato originale.
70
la volontà di lavorare su di sé per la trascendenza, attraverso le
esperienze che la vita stessa ci mette di fronte.
In questo modo è probabilmente possibile “formare la nostra
anima” e in un certo senso, come diceva anche Gurdjieff,
diventare “aiutanti di Dio”. È come se la vita nell’universo, e
sulla Terra in particolare, fosse teatro di un grande esperimento
cosmico in cui Dio continua a perfezionare la sua creazione
servendosi sia di collaboratori inconsapevoli, ossia tutti gli
esseri viventi non dotati di coscienza individuale e gli esseri
umani non coscienti che perseguono effimere finalità materiali,
sia di collaboratori consapevoli, ovvero di esseri umani coscienti
che si offrono a Dio e scelgono di farsi strumento della Sua
volontà
7
Questo pensiero o principio divino che viene, in un certo senso, “innestato”
nell’essere umano per dargli la capacità di evolversi nel tentativo di far
ritorno alla sua fonte divina mi fa pensare alla potente immagine del grande
monolite nero la cui presenza, simbolo dell’intervento di una forza superiore,
contrassegnava, nell’indimenticabile film di Stanley Kubrick 2001: Odissea
nello spazio, le svolte principali nell’evoluzione dell’essere umano, fino al
suo superamento attraverso un nuovo essere ancor più evoluto. Egidio
sostiene che questo principio divino si è attualizzato negli esseri umani
perché a un certo punto Dio ha visto in loro, tra tutte le Sue creature, le
migliori potenzialità di sviluppo all’interno dell’attuale sistema evolutivo
terrestre, ma oltre che in un altro universo o sistema, anche sulla terra stessa
in passato, Dio può essersi “innestato” in esseri diversi dall’uomo, o potrà
farlo in futuro.
72
“Nell’incarnarsi”, scrive Egidio, “l’anima aleggia assopita
sull’essere umano e non può trasmettergli l’esperienza
immagazzinata nella sua memoria”.
Si tratta di un punto poco chiaro, secondo me, del libro.
Soprattutto, come può l’essere umano avere un’anima che
aleggia su di lui se non ne ha ancora formata una?
Egidio mi ha spiegato che la sua frase si può leggere in due
modi. In un senso è un riferimento a “una forza fuori tempo che
dà degli input alla nostra forza e può darci un aiuto per formare
l’anima”, ovvero un “essere di luce” come quello che si è
manifestato a lui, visto che ne abbiamo tutti uno assegnatoci
come guida e “angelo custode”.
Da un altro punto di vista, quest’anima che aleggia su di noi è la
nostra anima potenziale, assopita perché non ancora formata. “In
questo senso”, spiega Egidio, “è come c’è chi dice che noi siamo
Dio, che Dio è dentro di noi. In effetti, c’è in noi una scintilla
divina, come un seme di quercia, che può svilupparsi in una
quercia se ci sono le condizioni giuste. Ma non è ancora una
quercia”.
Però c’è già un modello di quercia… “Esatto, è per questo che si
dice che Dio ha creato l’uomo a Sua immagine e somiglianza,
perché abbiamo la possibilità di svilupparci a Sua immagine, il
che vuol dire che un’immagine di Dio c’è già in noi. Abbiamo
dentro un embrione divino, in cui il progetto divino esiste già,
ma non è detto che si realizzi. Come nell’embrione c’è un
73
ipotesi di uomo, che dopo cresce e si sviluppa se va tutto bene.
Quindi, possiamo dire che abbiamo una scintilla di anima da
sviluppare”.
Tornando a quel che Egidio rivela nel suo libro, le tre forze che
compongono l’anima, intanto, si dispongono nell’uomo nel
modo seguente: la volontà e lo stato d’animo si trovano nel
fulcro dell’essere umano, il plesso solare, e servono
rispettivamente ad agire e a percepire; la mente spirituale,
invece, è situata nel cranio, e serve, come scrive Egidio, “per
creare il ragionamento e guidare l’essere umano sulla strada che
porta a Dio”.
In tutto quindi, secondo la visione offerta da Egidio Ricci, sono
cinque le forze principali di cui un essere umano dispone per la
sua evoluzione: l’inconscio, la mente analitica, la mente
spirituale, la volontà e lo stato d’animo. Insieme, come scrive
Egidio, funzionano così: “tutti i pensieri che attraversano la
mente provocano delle sensazioni che, se ragionate e trasformate
in azioni, provocano delle vibrazioni che vengono trasmesse allo
stato d’animo, e il tutto viene memorizzato nell’inconscio”.
In quest’ottica, lo scopo dell’evoluzione umana è proprio quello
di unificare in sé queste cinque forze, “fondendole in un unico
ideale e facendole operare in collaborazione”. Questa fusione
non è che un altro modo di definire la formazione dell’anima.
74
Ma anche se operano in collaborazione, queste forze hanno
compiti diversi. Vediamoli.
La volontà occupa il posto più importante perché, se viene
espressa al massimo grado, ha la capacità di comandare ogni
altra forza.
La mente analitica serve per risolvere i problemi legati alla
materia, ma non deve prevalere sviluppando continui
ragionamenti sugli aspetti materiali della vita. È indispensabile,
piuttosto, che venga comandata dalla volontà e utilizzata
soltanto lo stretto tempo necessario a risolvere un problema
nella materia, dopodichè va messa a tacere, altrimenti impedisce
di sintonizzarsi su frequenze più elevate. È quello che, nella
meditazione, si chiama “fare il vuoto mentale”, e per questo è
così importante.
La mente spirituale, invece, serve per creare il ragionamento su
ogni cosa o situazione, e bisogna mantenerla continuamente in
attività, senza mai giudicare, liberandola dal fardello dei pensieri
analitici, ossia cercando sempre un fine spirituale in ogni cosa e
scartando qualunque pensiero legato alla materia.
Lo stato d’animo è un recettore estremamente sensibile in grado
di percepire ogni sensazione o vibrazione. Se, per esempio, un
pensiero negativo non viene passato attraverso il filtro dei
ragionamenti creati dalla mente spirituale, può provocare una
profonda sofferenza. In questo senso, il filtro della mente
75
spirituale è molto importante, perché consente di trasmettere allo
stato d’animo soltanto le sensazioni provenienti dallo spirito.
L’inconscio, infine, “è l’energia che riveste tutto il corpo, ove
viene memorizzato ogni attimo di vita, e con l’aiuto della mente
spirituale va purificato da qualunque vibrazione negativa”.
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Un compito decisamente impegnativo, a dir poco, per il quale è
meglio mettersi subito all’opera, se si decide di farlo.
Proseguiamo, dunque, nel nostro viaggio. Ci sono delle tappe
molto importanti e molto impegnative che ci aspettano. Tanto
impegnative da richiedere forse, a questo punto, un piccolo aiuto
“esterno”. Siete pronti per uno… shock addizionale?
78
Shock addizionale 1: La “Via nuova” e le “vie vecchie”
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Per una trattazione più dettagliata della Legge dell’Ottava, o Legge del
Sette, consiglio la lettura del mio libro G.I. Gurdjieff: Danze Sacre per il
Ben-Essere (Venexia), oppure, se opportunamente si desidera risalire
direttamente alla fonte, di Frammenti di un insegnamento sconosciuto di P.D.
Ouspensky (Astrolabio).
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musicale, in certi punti, corrispondenti sulla scala di do
maggiore al mezzo tono segna il passaggio tra il Mi e il Fa e tra
il Si e il Do dell’ottava successiva, il mezzo tono mancante
determina un rallentamento delle vibrazioni che, per essere
corretto e consentire il passaggio alla nota successiva, richiede
uno “shock addizionale”, ovvero un input capace di riportare le
vibrazioni alla frequenza necessaria per continuare il corretto
sviluppo dell’ottava.
Per capire l’importanza della Legge dell’Ottava e intuire almeno
in minima parte le enormi possibilità di applicazione che offre,
basta applicare il concetto di ottava musicale a una qualunque
attività umana: l’arrivare dal Do al Si rappresenta il corretto
completamento di tale attività; se, invece, arriviamo soltanto dal
do al mi e poi, quando ci vorrebbe uno shock addizionale per
andare avanti, lasciamo perdere tutto, interrompiamo l’ottava
per cominciarne magari un’altra, di solito inconsapevolmente.
Un piccolo esempio pratico per comprendere meglio: se
vogliamo prepararci un piatto di pastasciutta, dobbiamo
innanzitutto decidere di farlo (Do), quindi procurarci gli
ingredienti e gli utensili necessari (Re) e mescolarli e prepararli
per la cottura (Mi). A questo punto, si rende necessario uno
“shock addizionale”, ovvero l’intervento di un fattore esterno
determinante, in questo caso il fuoco, per far sì che l’ottava della
preparazione del piatto di pastasciutta vada avanti correttamente.
Altrimenti, senza il fuoco, si deve buttar via tutto. Poi, una volta
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cotti la pasta e il sugo (Fa), condita la pasta (Sol), prepariamo la
tavola (La) e ci predisponiamo a mangiare (Si). L’ottava della
preparazione del pasto risulta completata, grazie all’intervento di
uno shock addizionale esterno, ossia il fuoco. Sta a noi decidere
se vogliamo fermarci qui o se, mangiando il cibo, vogliamo dare
inizio all’ottava successiva, quella della sua trasformazione e
assimilazione. Lo shock addizionale, stavolta, è interno, dipende
dalla nostra volontà.
Torneremo alla fine su quest’immagine dell’ottava. Adesso,
dopo il Do-Re-Mi dei primi tre capitoli di questo libro, vi offro
uno shock addizionale “esterno”, rappresentato dai collegamenti
che, secondo me, esistono tra l’insegnamento di Egidio Ricci e
altri insegnamenti spirituali già noti. Credo sia legittimo infatti,
soprattutto per chi, nella sua personale “ricerca della Verità”, ha
letto molti libri più o meno “spirituali”, cercare, di fronte a un
“insegnamento sconosciuto” come quello che vi sto proponendo
su queste pagine, dei collegamenti con i messaggi di altre
dottrine spirituali più note.
D’altronde, come abbiamo visto nel capitolo dedicato alla sua
esperienza, a un certo punto lo stesso Egidio Ricci, di fronte ai
messaggi che riceveva, chiese alla sua entità di luce se poteva
leggere dei libri per cercare dei collegamenti tra quei messaggi e
gli insegnamenti religiosi della tradizione cristiana, racchiusi
soprattutto nei Vangeli.
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In effetti, proprio nei Vangeli si possono trovare i collegamenti
più evidenti alle cose di cui parla Egidio. Ma oltre a questi
riferimenti più ovvi, ne ho trovato anche qualcun altro che
potrebbe magari rafforzare internamente la credibilità delle cose
“nuove” che state leggendo su queste pagine
Quindi, per motivarvi ulteriormente ad “accedere il fuoco”, vi
consiglio di leggere quanto segue. Non vorrete certo fermarvi
qui e lasciare che dalla vostra cucina esca un piatto di pasta
cruda…
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IV
Il sesso, l’amore e la “coppia sacra”
Uno scopo elevato come quello che, secondo l’entità di luce che
ha parlato a Egidio Ricci, Dio ha assegnato all’essere umano
richiede una totale offerta di sé al proprio Creatore. Vedremo
più avanti in che modo ciò si realizza specificamente nella
preghiera. Per il momento, è importante sottolineare che questa
offerta richiede, da parte dell’essere umano, una vera e propria
espansione, ovvero un’uscita da sé per donarsi, mettersi al
servizio di qualcosa al di fuori di sé, in questo caso un’entità
divina.
A questa espansione si contrappone in noi una contrazione, che
si verifica invece quando, spinti dall’egoismo, ci chiudiamo in
noi stessi e prendiamo invece di donarci. E lo facciamo non
soltanto nei confronti degli esseri umani e della natura, ma
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anche nei confronti di Dio, quando la preghiera, così come viene
comunemente intesa, diventa non un offrirsi a Dio, ma un
chiedere a Dio qualcosa che egoisticamente ci farebbe comodo.
Nei primi anni di vita e durante l’infanzia e l’adolescenza, un
simile atteggiamento egoistico o contratto è fondamentale, come
vedremo nel prossimo capitolo, perché la contrazione è
principalmente espressione del nostro istinto di conservazione,
ci permette di crescere fisicamente e di acquisire la forza e la
conoscenza di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Ecco
perché i viaggi iniziatici cominciano sempre in età adulta,
perché di solito è solo dopo aver raggiunto il massimo della sua
crescita a livello di capacità fisiche e mentali attraverso la
contrazione, in questo senso sana, che l’uomo può cominciare ad
espandersi, ossia a dedicarsi a uno scopo trascendente.
Altrimenti, se manteniamo un atteggiamento contratto,
continuando a vivere al servizio del nostro egoismo, rimaniamo
nella materia, dove ci attende soltanto un declino magari lento
ma inesorabile, con la vecchiaia, la malattia e, infine, la morte.
Tuttavia, una delle prime manifestazioni di questa potenzialità di
espansione che abbiamo non si verifica, di solito, verso Dio, ma
verso un’altra persona, generalmente del sesso opposto, tramite
quello che comunemente chiamiamo amore. Spesso quando ci
innamoriamo, soprattutto da giovani, sentiamo che faremmo
qualunque cosa per la persona amata, quasi ci dimentichiamo di
noi stessi per dedicarci a qualcuno fuori di noi. E non a caso,
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infatti, questa spinta in espansione si verifica in genere dopo la
fase di contrazione fisiologicamente utile per l’essere umano,
ovvero nell’adolescenza, un’età in cui, intorno ai quattordici
anni, un essere umano comincia a formare una propria
individualità “fuori dal tempo”, come vedremo più in dettaglio
nel prossimo capitolo. Torniamo all’”amore”, adesso, perché
scopriremo delle cose molto interessanti…
Produrre amore
Innanzitutto, cos’è davvero quello che chiamiamo amore, ossia
quel trasporto che proviamo verso un’altra persona?
Cominciamo col riesaminare quanto spiega Egidio nel suo libro
Il male… come combatterlo e vincerlo!!! a proposito del
funzionamento delle energie in contrazione e in espansione
dell’essere umano in rapporto al sentimento amoroso.
“Uno spirito puro”, scrive Egidio, “è energia di Dio che vibra in
espansione nell’amore e nella pace, attirando a sé forme di
energia che vibrano in sintonia, creando armonia.
“Il corpo di un essere umano”, prosegue il capitolo del libro
dedicato all’amore e al sesso, “è compenetrato da due flussi di
energia: uno positivo e l’altro negativo. Se si coltiva un pensiero
negativo dandogli forza, questo vibra contraendosi e,
allontanandosi dal corpo, viene lanciato sulla persona o cosa alla
quale è riferito, fino alla completa soddisfazione del desiderio,
dopodichè cessa di esistere.
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“L’amore, invece, è in espansione ed è una potente energia
controllabile che può compenetrare ogni cosa. Quindi l’amore è
un’energia spirituale indipendente dalla materia, ma in
espansione la compenetra rientrando in colui che l’ha
sprigionato e generando armonia in modo permanente. Invece,
un sentimento provocato dalle sole sensazioni materiali ha un
tempo ed è fine a se stesso, in quanto vive solo per quello scopo
che, nel ripetersi, man mano perde forza e cessa di esistere,
mettendo fine a quel sentimento che apparentemente poteva
sembrare spirituale”.
Bene. Ma cosa avviene esattamente dentro di noi?
“La cosa principale”, risponde Egidio, “credo non sia tanto
l’oggetto che abbiamo di fronte, al di fuori di noi, anche se può
sembrar brutto definire una persona un oggetto. Quel che ci fa
star bene, in realtà, è ciò che produciamo noi, senza rendercene
conto. Sembra che ci faccia star bene l’altra persona, mentre
invece quel che ci fa star bene è ciò che produciamo noi, la
nostra necessità di uscire da noi stessi e basta, di donarci e di
essere coinvolti in qualcosa che è fuori di noi. E quindi nella
fase in cui uno produce questa cosa, che di solito viene definita
dell’innamoramento, è tutto bellissimo, si sta bene. La
sofferenza comincia, invece, nel momento successivo, quando
cerchiamo di gestire quel che proviamo. È allora che comincia il
tormento”.
92
Già, credo proprio che la maggior parte di noi ne sappia
qualcosa… Anche perché di solito non è detto che il sentimento
che si prova sia corrisposto, oppure che lo si provi nello stesso
modo. Spesso tra due “innamorati” capita che uno provi più
forte la spinta “espansiva” a donare e nell’altro prevalga, invece,
l’impulso “contratto” a prendere.
“Sì, può capitare così”, annuisce Egidio. “Però direi che l’inizio
del mutamento di quell’energia in espansione che una persona
riesce a produrre al momento dell’innamoramento si verifica
quando uno cerca di controllare l’altro. Perché quando una
persona si trova nella fase in cui vuole semplicemente
incontrarsi con l’altra persona in qualunque situazione, a
qualunque condizione, pur di riuscire a vederla, allora in questa
fase si sta bene. Invece, quando poi magari i rapporti tra queste
due persone si rinsaldano e si comincia a stare vicini più spesso
o addirittura a vivere insieme, almeno uno dei due comincia a
dire ‘questo non mi sta bene, non mi piace, quest’altro non lo
devi fare…’ Insomma, comincia una sorta di controllo e un
lavoro in contrazione. È a questo punto che inizia la rovina di
tutto. Muta quella frequenza in espansione, che producevamo
all’inizio, la frequenza libera che fa bene. Da lì è il principio
della fine di una relazione. Quando si cominciano a fare quei
pensieri lì, può essere pure che il rapporto duri tormentato per
chissà quanto tempo, però è destinato a finire”.
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Ma esiste un modo per evitare il passaggio dall’espansione alla
contrazione e magari far continuare un rapporto?
“Bisogna lottare contro se stessi, contro la propria voglia di
gestire. Conservando magari la capacità di ragionare sulle varie
cose, ma annullando in sé la voglia di gestire, quindi frenando
l’intolleranza”.
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arrabbia, ci si rende conto di non aver ragionato con la testa ma
con qualcos’altro”.
Nel suo secondo libro, Egidio scrive: “Il sesso va praticato con
profondo amore e non per l’atto in se stesso, ma con espansione
e amore verso l’anima. Nel compiere l’atto sessuale si
sprigionano delle energie che, se sono positive, si espandono e
poi rientrano in sé, generando e alimentando l’armonia e
l’amore. Se invece si compie l’atto sessuale senza amore, o
comunque facendo prevalere i pensieri riferiti alla sola
sensazione materiale che quest’atto può provocare, si muovono
delle energie che vibrano in modo negativo, alimentando la
parte negativa della persona e condizionandone i successivi
pensieri”.
Insomma, non si può dire che “non c’è sesso senza amore”,
come canta qualcuno, ma il sesso senza amore nuoce all’anima,
in un certo senso.
“Quindi”, continua Egidio, “compiere un atto sessuale non
dev’essere riferito alla propria soddisfazione, ma quest’ultima
dev’essere una conseguenza di un gesto d’amore e non lo scopo
dell’atto stesso, altrimenti è puro egoismo e questa forma di
energia che viene sprigionata è negativa. Allora, il piacere che si
prova nel compiere l’atto sessuale dev’essere un evento
imprevedibile, che giunge solo dopo aver amato una persona
nello spirito, donando prima la propria essenza. Questo porta al
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trasporto dei sensi, e nel donare anche il corpo, ma sempre e
soltanto nel donare, si giunge al piacere fisico.
“Questo piacere, quindi, deve giungere come evento ultimo e
inatteso, senza alcuna premeditazione, ma il suo verificarsi
dev’essere una cosa naturale che avviene solo dopo aver donato
la propria essenza e il proprio corpo alla persona amata, perché
amare vuol dire donare”.
Pertanto, se lo si compie donandosi, anche nell’atto sessuale ci
può essere un’espansione, seguita da un ritorno di forze
benefiche a sé.
“Sì”, conferma Egidio, “è un donarsi reciprocamente. Ma anche
nella realtà di coppia, se io dono quel senso di libertà a te
rispettandoti e tu fai lo stesso con me, non c’è bisogno di dirsi
cosa piace o non piace, ognuno si autogestisce, cerca di capire e
va avanti. Oggi, invece, anche se non si fanno dei veri e propri
patti, c’è sempre uno che domina e l’altro che subisce, e quando
uno non è più disposto a subire c’è la rottura della coppia,
mentre invece ci si potrebbe aiutare l’un l’altro e andare avanti
nel capirsi e nel capire e affrontare se stessi in relazione a quel
che è la coppia”.
Ma qual è la funzione più profonda dell’atto sessuale?
Espansione? Purificazione di energie?
“Innanzitutto, non dimentichiamoci che si tratta di un atto
riproduttivo”, risponde Egidio. “Per riprodurre bisogna
concentrare tutte le forze, quindi, anche non volendo,
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nell’espansione amorosa si vanno a contattare altre forze che si
muovono per dar vita a un’altra vita. Pertanto, la cosa primaria è
proprio la riproduzione”.
C’è chi dice, però, che quella sessuale sia un’energia creativa,
che può creare nella materia, producendo un altro essere umano,
oppure dentro di sé, dando vita a qualcos’altro, magari uno di
quei “corpi sottili” di cui parlano certe tradizioni esoteriche…
Insomma, il desiderio di unione che si realizza con un’altra
persona, invece che dirigerlo all’esterno verso la materia, si può
provare a dirigerlo all’interno…
Egidio scrolla le spalle. “Beh, se uno sente che questa può essere
una cosa buona, la via migliore consiste nell’applicarla. Però
non è una regola. Perché esistono tante pratiche, soprattutto
orientali, che tentano di far questo attraverso delle tecniche. Così
magari uno pensa di riuscire ad arrivare a Dio entrando in una
pratica e attraverso di essa. A mio avviso, si tratta di una
decentrazione totale perché, se si parla di un’altra dimensione, di
Dio, l’unico modo per avere un rapporto col proprio Dio è
quello di donarsi in una preghiera, in un’assenza di sensazioni,
un donarsi e basta. Non si può pensare di arrivarci attraverso
delle pratiche magiche o naturali. È un’illusione, una forte
illusione che non fa arrivare nessuno da nessuna parte.
“Invece, a Dio si giunge annullando le sensazioni. Poi magari
può capitare che ogni cosa possa servire da incremento, però la
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via primaria consiste nell’assenza del desiderio delle sensazioni,
nel creare quel vuoto per donarsi a Dio”.
Allora l’annullamento non è tanto delle sensazioni, perché
quelle continuano ad esserci, ma piuttosto del desiderio di
sensazioni…
“Sì, vuol dire andare fuori frequenza rispetto agli istinti, alle
sensazioni, e stabilizzarsi su una condizione di quiete. Quella è
la cosa principale. Poi se si riesce a ricondurre lì ogni cosa, ben
venga.
“Le sensazioni possono essere accettate e mutate. Se sei in
quiete, appena arriva un istinto che vuol generare distonia, puoi
sentire il sopraggiungere di questa distonia ma riportarla nella
quiete, cioè non turbarti. Quindi, anche senza saperlo, quella
forza muta. Il senso di accettazione fa proprio questo.
Altrimenti, è quella forza contratta a mutare te. Non c’è una via
di mezzo”.
103
104
V
Famiglia, figli, lavoro, religione: una palestra per l’anima
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Parlando, Egidio mi ha fatto alcuni esempi di questi “spicchi di verità”. Uno
è rappresentato dalla teoria dei chakra. “Forse quello che ha scoperto i
chackra ne aveva sette di vortici energetici così”, mi ha detto, “ma adesso
magari una persona ne ha 70 di questi ‘punti vitali’, che io chiamo ‘punti
mortali’ perché vi ristagna l’energia, creando dei problemi. E quando c’è una
forza che ristagna, farla risalire, farla fluire è dura. Però, ripeto, uno magari
ne ha 70 di punti così ma va avanti con la convinzione e la regola di quello
che 5000 anni fa ne aveva 7. Pensi di averne 7, ma ne hai 70. Quindi non vivi
del tuo capire, vivi di quello che qualcun altro aveva capito di sé. Era uno
spicchio di verità, ma dopo la cosa, in realtà, è molto più ampia. Come
l’alimentazione: in una certa fase del percorso spirituale è importante, ma se
uno pensa di mangiare certe cose per tutta la vita e diventare spirituale non è
vero, ha utilizzato uno spicchio di verità senza capirla e se ne è fatta una
regola. L’uomo tende alle regole che gli danno sicurezza e, rispettandole,
pensa di essere a posto. Come uno che magari crede nella confessione. Si
confessa e poi continua a fare le cose peggiori. Si dice di credere, ma in realtà
non si crede, perché, se uno credesse veramente nell’amore di Dio,
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Tornando all’importanza dell’avere dei figli, Egidio spiega che
“una cosa importante è quella che ti porta a capire delle cose
importanti. A una persona può servire una cosa, a un’altra una
cosa diversa. Quel che conta è lo scopo finale, che consiste
nell’uscire dalla materia e nel donarsi al proprio Dio. Poi se a
questo ci si arriva coi figli o con un’altra cosa non importa,
fondamentale è soltanto la capacità che uno sviluppa nel
donarsi. Quindi, non è che se uno non ha figli non può farcela.
Magari ha un’esperienza evolutiva in meno, perché in questa
vita non ha potuto provare quell’attaccamento che si prova nei
confronti dei figli, e da cui poi bisogna distaccarsi per potersi
donare a Dio. Però chiunque abbia un minimo di possibilità
evolutive è in grado di sviluppare quella capacità di donarsi,
figli o non figli”.
Ma se un figlio arriva, per scelta consapevole o no, come è
opportuno porsi di fronte a questo nuovo essere che, in un certo
senso, sembra ti appartenga, almeno in parte, ma in realtà non ti
appartiene affatto? Come seguirne la crescita con amore? Tutto
questo non comporta comunque una grossa responsabilità, anche
a livello spirituale?
Per rispondere a queste domande, Egidio ritiene necessario
stabilire prima cosa sia l’amore. “Per esempio”, spiega, “l’amore
per una pianta significa donargli attenzione e lasciare che si
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tante volte non c’è bisogno parlare tanto. E non solo coi
bambini.
“Diciamo, comunque”, conclude Egidio, “che in una fase
iniziale della vita, della crescita di un figlio, è fondamentale che
ci siano alla base delle regole. Certo, non si può crescere senza
regole. Però bisogna ricordarsi che le regole servono per
crescere, non per vivere. Una volta che una persona ha capito
delle cose, non ha più bisogno di regole”.
Per far capire come effettivamente, quando sopraggiunge la
comprensione, non ci sia più bisogno di regole, Egidio ricorre al
classico esempio di Babbo Natale. “I bambini ci credono, ma
sono i genitori che, per tradizione, per cultura, gli insegnano a
crederci, pur sapendo che non esiste. Però, a un certo punto della
crescita, i bambini si rendono conto da soli che Babbo natale
non esiste, e allora superano quella fase e passano a una fase
successiva senza tanti problemi. A quel punto potrebbero
accusare i genitori di averli ingannati, e invece non ci pensano
più e semplicemente vanno avanti”.
In effetti i bambini, che pure possono apparire così fragili e
indifesi, riescono a superare certe cose in modo sorprendente.
“Certo”, conferma Egidio, “anche degli eventi traumatici come
la separazione dei genitori, per esempio, i bambini sanno
superarli in una maniera straordinaria. Quando hanno problemi,
di solito, è perché assorbono la sofferenza dei genitori, quello sì.
Se il genitore vive la separazione con sofferenza, allora il
112
bambino è nei guai. Ma se invece il genitore riesce a vincere se
stesso, a superare la propria sofferenza, i bambini superano tutto
senza tanti problemi. Per un bambino non è un problema vivere
in un posto piuttosto che in un altro, non gli importa neanche
sapere chi siano i suoi veri genitori. A creargli problemi sono i
pesi che gli mettono addosso i grandi. Infatti, un bambino
adottato, per esempio, ha dei problemi nella crescita soltanto se
qualcuno gli fa pesare questa sua condizione, altrimenti no”.
I sacramenti imposti
Da questo punto di vista, l’imposizione a un bambino di
sacramenti come il battesimo, la comunione e la cresima appare
particolarmente inopportuna. “Questi sacramenti sono resi tali
dall’uomo che, cercando di interpretare i messaggi che Dio ha
lasciato, ne ha arbitrariamente modificato il significato,
riducendo ogni cosa a un semplice rito”, scrive infatti Egidio nel
suo secondo libro, prima di passare in rassegna, uno per uno,
questi tre sacramenti, che di solito vengono somministrati
soprattutto a bambini e adolescenti.
“Il battesimo cattolico, più che un sacramento, è un benvenuto a
una nuova vita che entra a far parte della comunità, quindi è
giusto accoglierla con l’amore di DIO, auspicando che percorra
in Lui il suo cammino.
“La comunione è un atto che ognuno deve fare ogni volta che
ingerisce qualcosa, perché ogni cosa è parte di Dio e,
115
nell’ingerirla, bisogna prima purificarla allontanando ogni altra
forma di energia che l’attraversa. Il cibo non è un gusto della
vita, ma una necessità per sopravvivere e, nell’assumerlo,
bisogna averne il massimo rispetto, perché si ingerisce parte di
Dio.
“Gesù, con l’ultima cena che fece con i suoi discepoli, voleva
che venisse ricordato quel momento non perché lui diventasse
ostia, ma perché la materia è già parte di Dio, e bisogna ingerirla
con il massimo rispetto solo per nutrirsi, dopo averla benedetta
ringraziando Dio. Cercò inoltre di far capire che il pane e il vino
sono la base del nutrimento per un essere umano, e che devono
essere usati per fare una cena nel Suo nome, riunendosi in
comunione spirituale con i propri fratelli. E mentre si mangerà
un pezzo di pane e si berrà un sorso di vino in armonia con lo
spirito, Lui sarà lì in spirito ed ognuno avvertirà la sua presenza
nel proprio cuore.
“La cresima è il momento in cui un’anima ha terminato il suo
ciclo evolutivo e, se con tutte le sue forze cerca Dio, viene
compenetrata dalla Sua energia. Da questo momento, dopo aver
percepito l’energia Divina, dovrà capire il suo cammino da
iniziato e, nel fare questo, avrà bisogno di una guida spirituale
esperta che sappia aiutarla e consigliarla”.
In questo senso, sembra particolarmente assurdo che la cresima,
ossia il sacramento di conferma dell’appartenenza del fedele alla
chiesa, venga fatta fare a degli adolescenti che ancora non hanno
116
sviluppato la capacità di proiettarsi fuori dal tempo e quindi non
possono comprendere veramente concetti come Dio e fede.
“L’energia di Dio”, scrive infatti Egidio, “non è un’imposizione,
ma Divino amore nell’assoluto rispetto del libero arbitrio.
Nessun uomo o divinità può imprimere l’energia di Dio in un
essere umano iniziandolo a un cammino di fede, a meno che
questi non l’abbia espressamente richiesto con tutte le sue forze.
Com’è possibile, per esempio, imprimere lo Spirito Santo in un
bambino e pretendere di iniziarlo a un cammino di fede, se in
realtà l’anima di questo bimbo è al principio della sua
evoluzione? È giusto, invece, seguire un bambino facendogli
percepire l’amore e cercando di guidare i suoi ragionamenti sui
pensieri che portano a Dio. Quindi bisogna insegnare a non
giudicare trasmettendogli i valori morali, la correttezza e le leggi
che Dio ci ha dato. Su queste basi si costruisce la fede che
ognuno, quando si sentirà pronto, dovrà chiedere a Dio con tutte
le sue forze. E quando avrà percepito la Sua energia, ma solo
allora, la persona stessa chiederà la benedizione e la guida di un
padre spirituale”.
11
Della reincarnazione si parla in dettaglio nel capitolo VII.
123
bisogna prostrarsi umilmente al Suo cospetto e non bisogna
identificarlo in un oggetto, ma si deve sentire la Sua presenza
nel proprio tempio”.
Tutto questo perché, come conclude Egidio in un altro passo del
libro, la strada per tornare a Dio è rappresentata dalla
conoscenza, dall’amore per lo spirito e dal distacco totale dalla
materia, “rivolgendo con forza i propri ragionamenti solo verso i
Suoi pensieri. Non solo la domenica ma giorno per giorno, ora
per ora, attimo per attimo”.
Sembra un compito tutt’altro che facile, ma nel prossimo
capitolo cercheremo comunque di capire come sia possibile
adempierlo…
124
VI
La “salute spirituale” e la costruzione dell’anima
125
“spiritualmente sana”. Ecco alcuni spunti fondamentali suggeriti
da Egidio per farlo, suddivisi lungo l’arco di una normale
giornata. Occhio, però. Vedrete che non saranno certo le regole
tipiche dei regimi salutistici o religiosi. Anche perché, come
dice spesso Egidio, le regole sono la tomba della spiritualità…
129
pensieri che l’attraversano e, ragionando su ognuno di essi, si
riesce a capirne l’origine”.
132
Nella quotidianità, queste energie negative latenti sono molto
diffuse. Oltre che trovarsi nei luoghi, possono essere sprigionate
da una persona, “da come parla o anche solo da come guarda, se
è molto negativa. In questo caso, con gli occhi riesce a
trasmettere un’energia molto pericolosa se incrocia un altro
sguardo”.
Sembra, insomma, che siano molti i pericoli da cui guardarsi
sull’impervio sentiero che porta a Dio. Egidio lo conferma in
pieno. “Se uno si immerge in un vero percorso spirituale, deve
prestare un’attenzione particolare a tutto quel che accade e, in
certi momenti, se uno si lascia prendere da certe cose, rischia
molto. E nel momento in cui ci si dedica a Dio è molto
importante non farsi prendere da pensieri e forze negativi”.
“Scacciare le tentazioni”, però, non è sufficiente. I pensieri
negativi, secondo Egidio, “non vanno scacciati e basta, vanno
ragionati, sviscerandoli. Il ragionamento su una cosa, abbinato al
proprio sistema di giustizia, fa sì che quelle forze si smussino,
così che poi uno le possa lasciar andare. Se invece una persona
non ci ragiona e le lascia lì, quelle forze continuano a lavorarle
dentro. E non è solo il fatto di pensarle certe cose: il problema si
aggrava quando al pensiero si abbina una volontà. È il desiderio
che fa dei danni irreparabili, perché ti fa mettere in funzione
cervello, mente e volontà, unendole. E desiderare qualcosa di
materiale, in un percorso spirituale, è molto grave. In certi
momenti, anche quella che a un altro può sembrare una banalità,
133
può essere una cosa di vitale importanza per una persona che sta
cercando di sviluppare il suo contatto con Dio”.
Tutti questi accorgimenti, conclude Egidio nel suo libro, “sono
da adottare, valutandoli con molta attenzione, se una persona
intraprende la conoscenza del pensiero. Ovviamente, per chi
intraprende la conoscenza nella spiritualità, conoscendo il valore
dei pensieri, la vita cambia, e la quotidianità verrà affrontata con
serenità, sempre con la pace nel cuore. La mente imparerà a non
divagare mai più e molte cose che prima si facevano verranno
evitate, e si sentirà la necessità di stare vicino a persone positive,
in quanto si comincerà a intuire la vera essenza delle persone e i
discorsi vaghi e futili non saranno più un’attrattiva. La mente,
nella quotidianità, cercherà sempre un contatto con Dio”.
Prepararsi al sonno
Nella vita di tutti i giorni, l’occasione principale di contatto con
Dio è rappresentata, come abbiamo visto, dalla meditazione,
intesa come tentativo di fermare il lavorio logorante della mente
analitica, abbinata alla preghiera, intesa come offerta di sé a Dio.
Perciò Egidio raccomanda di iniziare sempre la giornata con
questo tipo di meditazione. Ma la giornata, naturalmente,
comincia molto meglio se si è riposato bene. Un corretto riposo
è fondamentale già se si conduce una vita normale, ma lo è
ancor più in un percorso spirituale, sia pure in un senso diverso.
Da un punto di vista spirituale, infatti, non conta la quantità del
134
riposo, che può essere anche minima, ma piuttosto la qualità,
che dipende da una buona preparazione al sonno proprio
attraverso la meditazione prima di coricarsi. Nel suo secondo
libro, infatti, Egidio sostiene che il riposo “va ben preparato
facendo sempre prima la meditazione e rivolgendo i
ragionamenti a Dio. La meditazione è molto importante per
poter scaricare ogni forma di energia negativa accumulata
durante il giorno. Quindi è importante che nessuna tensione
occupi la mente prima di addormentarsi, e bisogna sempre
ricordarsi di rivolgere a Dio l’ultimo pensiero; così facendo, lo
spirito si ritempra durante il sonno”.
A livello pratico, Egidio mi ha spiegato che prima di
addormentarsi, dopo aver raggiunto una condizione di silenzio
mentale, è molto importante ripercorrere con la mente i fatti
salienti della giornata, soffermandosi su quelli che hanno
generato in noi una particolare carica emozionale, sia positiva
sia negativa, e “ragionandoli”, come usa dire Egidio, fino ad
eliminare quella carica, ossia fino a quando non riusciamo a
ripensarli senza provare emozioni particolari.
Questo è importante perché, se non lo facciamo, le cariche
accumulate durante la giornata ci rimangono attaccate addosso
e, mentre siamo addormentati, possono agire più indisturbate e,
spesso attraverso i sogni, condizionarci negativamente, al punto
da farci svegliare, il mattino seguente, con uno stato d’animo
negativo.
135
Ma c’è anche un altro motivo fondamentale per cui è importante
imparare a neutralizzare le nostre cariche emozionali. Lo
scoprirete leggendo, nei prossimi tre sottocapitoli, la trascrizione
di un mio colloquio con Egidio sull’argomento.
136
improvvisamente si trova a rivivere uno stato d’angoscia, di
paura. Quando arriva quello stato, è necessario mutarlo.
“Pertanto, lo stato consapevole di quiete che si cerca di
stabilizzare porta all’accettazione delle forze che vengono fuori
e, quando riesci a tenerle lì, queste forze mutano nello stato di
quiete che uno riesce a costruire. In questo senso, la meditazione
è proprio un ripercorrere se stessi, il proprio vissuto, per
risentire tutte le cariche che vengono fuori”.
- Quello però non è veramente il momento in cui vengono fuori,
quindi è come un allenarsi con le cariche accumulate in passato
per riuscire poi a mutare le cariche che arrivano nel momento
presente.
“Esatto. È come creare dentro di sé delle basi per poterlo fare”.
- Ma un certo tipo di carica può tornare in un’altra occasione e
fregarti di nuovo.
“Certo. Perciò l’attenzione dev’essere continua. Quando si
prende coscienza di un percorso che si vuol fare, l’attenzione è
fondamentale, perché in un attimo ci si può stabilire su un’altra
frequenza e succede un disastro”.
- A volte le cariche emozionali possono essere provocate da
delle ingiustizie. Possono essere frutto di reazioni giuste, o
giustificate…
“Sì, magari la reazione a certe cose potrebbe effettivamente
essere giusta, ma dobbiamo imparare a scorporarci dal nostro
carico di giudizio, perché il carico di giudizio non preclude che
137
una cosa possa essere giusta. La cosa giusta c’è. E il carico che
non va bene. Ci facciamo del male perché produciamo qualcosa
che non va bene, anche se lo facciamo per una cosa giusta. E
l’unico modo di disattivare il carico consiste nel farlo nel
momento di quiete, nel compiere un’analisi successiva. E lì che
avviene il cosiddetto perdono. In realtà, perdoni te stesso
mutando quella forza. Non è fare una cosa e poi dirla a qualcun
altro che ti perdona, perché in questo modo non muti alcuna
carica. Quando ci si rende conto che sale una carica, si deve
riuscire a dirle di no e a mutarla. Il prendere coscienza di questo
porta a mutare, pian piano, tutte le cariche che uno accumula,
finché a un certo punto, quando si ripresentano circostanze
simili a quelle che in passato hanno generato delle cariche, uno
non le carica più”.
- Anzi, le scarica…
“Già, è come i bambini che agiscono senza pensare. Poi però,
crescendo, una persona agisce e poi pensa se ha fatto bene o
male. I passi successivi consistono nel cercare di capire se una
cosa sia giusta mentre la fai, quindi nel capirlo prima ancora di
farla. In questo modo, magari, s’impara poi a dirigere le proprie
azioni.
“Una cosa, però, non si scarica con le parole, con l’analisi. Si va
a stati d’animo. Si prende coscienza di una cosa senza
scacciarla, senza vergognarsene, ma si esprime la volontà di
comportarsi in modo diverso quando ricapiterà una situazione
138
analoga. Così si crea una base, da tener presente quando accade
qualcosa, per riuscire a scindere il forte impulso energetico che
viene su da quel che riteniamo giusto o sbagliato. Quando non si
riesce a far questo, forse è meglio non fare nulla, perché
altrimenti si complicano soltanto le cose. Il senso di giustizia
non si deve legare mai a una carica emozionale, sennò si sfalsa
tutto”.
- Magari si può agire con fermezza, o anche in modo molto
duro, ma senza carica. In proposito, mi viene in mente la
vecchia storiella orientale del samurai che deve uccidere l’uomo
che ha assassinato il suo padrone. Quando riesce a trovarlo e a
metterlo con le spalle al muro, l’assassino, sapendo di non avere
scampo, gli sputa in faccia in segno di disprezzo. Allora il
samurai rinfodera la sua spada già sguainata e pronta a colpire,
gira i tacchi e fa per andarsene. L’assassino, stupefatto, non può
trattenersi dal chiamarlo per chiedergli perché lo abbia
risparmiato. Al che il samurai gli risponde: “Perché mi hai fatto
arrabbiare…”. Il samurai deve uccidere l’assassino del suo
padrone perché il suo codice d’onore, il suo senso di giustizia,
glielo impongono. Ma deve farlo senza che ci sia alcuna carica
emozionale da parte sua, altrimenti l’azione non è più pura, è
inquinata dalla rabbia…
“Esatto, perché quel che conta è ciò che produciamo a livello di
pensieri, emozioni e stati d’animo. Lo stesso vale per le
intuizioni. Molti sensitivi ne hanno, così come puoi averne
139
anche tu, ma se non riesci a mutare le cariche dentro, a volte
un’intuizione può essere confusa con una tua sensazione e
viceversa, e si fonde tutto in maniera impropria. Allora, quando
arriva un’intuizione, uno ci aggancia un carico emozionale. Se
una persona non riconosce quel carico, non potrà mai fare la
separazione e non potrà mai cominciare la lotta. Perché la
spiritualità è una lotta contro se stessi. Ci sono delle cose che
sono giuste e che uno può vedere, ma dopo le si utilizzano
erroneamente come catalizzatori per tirar fuori le cariche che
uno ha dentro. Se una persona è concentrata sull’amore, trova lo
spunto per produrci amore. Se invece ha dentro molta rabbia,
allora le usa come strumento per caricare la rabbia. L’evento
catalizzatore, però, è sempre lo stesso.
“Questo è quel che avviene comunemente. Invece, di fronte a
una cosa giusta bisogna riuscire a scaricare le proprie forze. In
questo senso, uno stato continuo di preghiera è come crearsi
sopra la testa una nuvoletta, una cosa neutra, scorporata dalle
sensazioni. La preghiera è un donare questa forza neutra, che
non è dettata dalle sensazioni. Quindi, quando riesci a creare
questa condizione di neutralità, poi sei costretto a lottare per
mantenerla. E più lotti e più la rafforzi, la concentri. Questo fa
parte proprio del percorso di costruzione dell’anima. Quella
forza neutra deve rimanere alla base della nostra vita e guidarci.
Quando ciò accade, si vive la stessa vita, ma con un’altra
consapevolezza. All’occhio della mente analitica, sembra che
140
uno debba diventare fesso. Invece, sviluppando nel silenzio la
capacità di accettazione, quando si capisce che una cosa è giusta
o ingiusta, non è importante manifestare questo senso di
giustizia. L’importante è guardare se stessi e moderare se stessi
in relazione alla cosa giusta o ingiusta”.
- Non dev’essere un subire qualcosa, però, perché il subire crea
una carica fortissima dentro…
“È vero. Ma scegliere di ‘subire qualcosa’ è totalmente diverso,
anche se può sembrare simile”.
- Le cariche che si accumulano dentro possono manifestarsi
anche generando delle malattie?
“Certo, perché si creano delle disarmonie, delle rigidità. Quando
ti succede una cosa brutta e la metti da parte perché la vuoi
dimenticare, in realtà non dimentichi un bel niente. Quelle
cariche che la cosa brutta ti ha suscitato rimangono lì e dopo
magari, senza che tu te ne accorga, vengono fuori da sole mentre
stai facendo qualcos’altro che non c’entra niente. In una
circostanza diversa, si tira fuori nuovamente quella forza per
simbiosi, perché c’è una carica simile che l’attrae. Tutto va per
simbiosi. Il simile attira il simile. Dipende dalla frequenza su cui
ti sintonizzi. Se ti sintonizzi sulla frequenza della rabbia, anche
se parli d’amore la frequenza è sempre quella della rabbia.
“Le malattie si creano, dicevo, perché, sulla base delle frequenze
che emaniamo, creiamo delle rigidità. Si generano delle forze
che vogliono rimanere in un punto, e così si crea un ristagno
141
energetico… Sì, perché ci sono delle cose che noi, dentro la
nostra testa, non vogliamo far circolare. Per esempio, quando
vedi una brutta notizia in tv, magari vuoi cambiare canale per
non sentirla e non turbare il tuo buonumore. Se una cosa la
rifiuti, però, non puoi farla circolare, lasciarla passare e rimanere
fermo dentro, senza caricarla e senza scacciarla. Dentro abbiamo
dei sistemi che fanno sì che uno si crei come una pallina
energetica che ha imparato a gestire la vita della persona con
quelle quattro cose che sa fare. Allora questa piccola forza,
davvero minima, che uno si crea gestisce la sua vita, fa delle
cose e sta bene, diciamo. Però questo benessere è un’illusione,
perché se entri in contatto con un mondo in cui accadono tante
altre cose, la pallina non riesce più a gestirle. Quando una
circostanza ti costringe a far venir su altre cose, altre forze,
quella pallina non riesce ad affrontarle. Allora si mette da parte e
tutto il resto viene fuori come un fiume in piena, senza più una
diga che lo freni. Da questo avvengono gli omicidi, le stragi. E
se guardi negli occhi uno che ha commesso qualcosa di molto
brutto, quello magari neanche se lo ricorda, o comunque non
capisce perché l’ha fatto. Semplicemente non è riuscito a
controllarsi. Invece, quando la carica è leggermente inferiore a
quella della pallina e quindi non riesce a prevalere, la pallina la
scaccia via e quella si va mettere in qualche punto di quello che
chiamiamo l’inconscio, che in realtà si trova sia dentro sia fuori
di noi, e ristagna lì. Poi ogni tanto torna su e la pallina la
142
ricaccia giù13. Questo, a distanza di tempo, può provocare dei
disturbi nella materia stessa, che ci mette un po’ a reagire.
“Ognuno, insomma, si costruisce un suo sistema dove sembra
star tranquillo, ma qualunque cosa gli proponi dall’esterno che
non rientri in quel sistema lo fa agitare. Si tratta quindi di un
sistema estremamente debole, vulnerabile.
“Ecco perché serve la logica. Uno in condizioni di quiete può
elaborare una cosa e scoprire che sia vera, o giusta. Dopo però
bisogna farla diventare obiettivo di vita, e allora è dura. È una
fatica esagerata mantenere sempre la mente ferma in un punto,
bisogna andare contro se stessi, contro le proprie sensazioni, in
sostanza contro quel che ci ha dato la vita, cioè l’egoismo.
“L’egoismo, la spinta in contrazione, come abbiamo visto in
precedenza, è fondamentale. Se un bambino non è egoista,
muore dopo sei mesi. Basta vederli i bambini, quando non
hanno quel che vogliono piangono, strillano, non sentono
ragioni. È un istinto di conservazione fortissimo che agisce in
loro. Dopo però, quando uno cresce, si sviluppa ed entra in
funzione quel sistema che va oltre la propria materialità, i propri
bisogni, quando uno comincia a produrre quella forza fuori
tempo con la mente, allora pian piano bisogna far prevalere quel
13
Questo discorso della “pallina” è riconducibile secondo me, sia pure con
terminologie diverse, sia alla teoria freudiana relativa al Super-io e ai suoi
conflitti con l’Es, sia soprattutto a ciò che diceva Gurdjieff sulla molteplicità
dei “piccoli io” che si alternano al governo della nostra coscienza
addormentata (cfr. i già citati libri G.I. Gurdjieff: Danze Sacre per il Ben-
Essere e Frammenti di un insegnamento sconosciuto).
143
che si elabora dentro su quel che si sente. Ed è una lotta molto
dura. Dunque, quando uno sceglie di immergersi in un percorso
spirituale nel tentativo di capirsi e di capire, dopo utilizza la vita
per andare contro se stesso. Agli occhi degli altri magari sembra
matto. In realtà ha compiuto una scelta tanto difficile quanto
importante”.
- Mi viene in mente che, se già è difficile neutralizzare la carica
delle cose brutte, annullare la carica delle cose belle lo è ancora
di più, perché di solito tendiamo a rimanere più attaccati alle
cose belle. Allora andarsi contro diventa ancora più
complicato…
“Ma quando capisci che tutte le sensazione sono materiali e che
la via dello spirito consiste proprio nel fermare queste
sensazioni, allora ti accorgi che tutto quel movimento creato
dalle sensazioni, belle o brutte che siano, va contro lo spirito.
Certo, non si può dire a un bambino di non vivere le sue
sensazioni. Non potrebbe vivere e crescere se non lo facesse.
Dopo però, se qualcuno, crescendo, capisce che è importante
andare contro le proprie sensazioni, allora deve farlo lui. E
invece, per come vanno le cose nel mondo, sembra che quel che
uno riesce a elaborare dentro di sé debba costringere gli altri a
farlo. E così che nascono giudizi come ‘Questo è peccato’,
‘Questo è brutto’.
144
“Pure nel mio libro dico che è più difficile allontanarsi da una
cosa bella che da una cosa brutta 14, però non è che per lo spirito
una cosa bella sia diversa da una brutta. Sono tutte uguali.
Perché per lo spirito bisogna sintonizzarsi su una frequenza
neutra, che vada al di là delle sensazioni. Dopo, andando avanti
su questo percorso, si arriva a vivere le cose ‘belle’ e le cose
‘brutte’ nello stesso modo, a livello emozionale”.
Fede e perseveranza
- Normalmente, però, siamo troppo legati alle sensazioni. Credo
sia per questo che, finché rimaniamo legati a queste sensazioni,
non possiamo comprendere davvero una dimensione di quiete
come potrebbe essere quella che comunemente chiamiamo
paradiso. In assenza di sensazioni, ci sentiremmo letteralmente
come dei pesci fuor d’acqua. Non riusciremmo a respirare e
quindi non potremmo sopravvivere, secondo me.
14
In effetti nel suo secondo libro, nel capitolo intitolato “Sensazioni
materiali”, Egidio scrive che la vibrazione apparentemente positiva generata
da un evento materiale appagante, “anche se provoca una vibrazione
piacevole e sembra far gioire lo spirito, in realtà lo danneggia più di una
vibrazione negativa, in quanto da questa ci si vuole comunque staccare
perché provoca sofferenza, mentre dall’altra no. Perché, se il corpo rimane
invaso dalle vibrazioni positive che provoca la materia, si resta fortemente
legati ad essa, impedendo così allo spirito di cercare nutrimento alla vera
fonte di energia che è Dio”. E conclude: “Per intraprendere un vero cammino
spirituale, è indispensabile che la volontà abitui la mente spirituale ad
annullare ogni tipo di emanazione della materia, vivendo profondamente le
vibrazioni provocate dalle sensazioni dell’energia proveniente dall’infinito
spirituale”.
145
“È vero. Perciò è molto importante il processo di costruzione
dell’anima. E perciò Gesù diceva ‘Vi manderò lo spirito
paraclito, consolatore, che vi guiderà alla verità per intero’. Non
dice ‘ve la rivelerà’, ma ‘vi ci guiderà’. La rivelazione non serve
a niente. Se una cosa non l’hai raggiunta tu, se non ci sei
arrivato, non puoi capirla. Non può porgertela qualcun altro su
un piatto d’argento. Perciò la costruzione dell’anima parte da
degli input sui cui poi tu devi lavorare. In questo senso, la fede
non è una religione che basta giurare di crederci per essere a
posto. L’affermazione continua di una fede è la negazione della
fede stessa. In realtà, la fede è un riflesso, un effetto della tua
perseveranza. Se tu perseveri nel tuo presente, alla fine ottieni la
fede, che è sì una forza, ma è una forza che è frutto di una
costruzione. Ci sono delle persone che sono state come folgorate
da qualcosa di forte, ma anche loro, da lì, devono cominciare a
camminare, a fare. Perché se non fai e non ti capisci, non capisci
che dentro siamo fatti di tante cose, non capisci che proprio
grazie ai contrasti che la vita ci offre abbiamo la possibilità di
creare la nostra anima. Se non ci fossero i contrasti, non ci
sarebbe la vita”.
- Che differenza c’è tra sviluppare un ragionamento, come
consigli di fare tu, e proiettarsi col pensiero da qualche parte,
che invece è negativo?
“Può arrivarci un impulso sotto forma di pensiero e, se gli
andiamo dietro seguendo il pensiero, perdiamo forze. Invece il
146
ragionamento serve a fermare questa attivazione e a guardare
dove un impulso, un pensiero vanno a parare. Se si vede il fine
di un pensiero, se ne capisce l’origine. Se il fine è materiale e tu
stai facendo una cosa che non c’entra niente col materiale, tipo
una meditazione, allora il pensiero va richiamato, altrimenti si
perde forza andandogli dietro.
“Sul momento, la proiezione verso una cosa bella, come una
vacanza, sembra un piacere, ma in realtà stai già generando la
sofferenza successiva, perché quando avrai l’impatto con la
realtà soffrirai. Invece il ragionamento che aiuta è: ‘A che mi
serve pensare a questo adesso che sto qua?’
“Su delle cose, come la scelta di un lavoro, si può anche
riflettere, ma poi, dopo aver valutato mentalmente i termini della
questione, è fondamentale una pausa di silenzio, affidandosi a
Dio durante la meditazione e la preghiera, perché così si può
generare un’ispirazione.
“Bisogna però sempre guidare gli impulsi che arrivano col
ragionamento, evitando di esserne trascinati. Spesso uno dice
‘Penso tutto il giorno’, mentre in realtà quel che fa non è un
pensare ma un lasciare andare la testa dietro cose che non
portano da nessuna parte. A certi livelli questo può provocare
una dissociazione totale. Uno vive praticamente della realtà
virtuale che si continua a proiettare e non riesce più ad accettare
la vita. E da lì nascono l’intolleranza, la rabbia verso il mondo,
147
perché uno vorrebbe vedere il mondo come se lo immagina, e
invece è tutta un’altra cosa”.
150
- Una delle frasi dei tuoi libri che mi hanno più colpito è
“L’amore rallenta il pensiero, facendolo unire ad altre forme di
energia che vibrano in sintonia”.
“Perché l’amore, l’espansione e basta, si può espandere finché
vuole, però comunque sia rallenta il pensiero, perché ciò che fa
mettere fortemente in funzione una parte del cervello è la
contrazione, quindi c’è come un viavai che ti dà una sorta di
agitazione interiore, mentre il concentrarsi sempre
sull’espansione fa rallentare tutto questo movimento. Però non
basta aver capito mentalmente questi concetti per essere a posto.
Bisogna metterli in pratica, ed è sempre durissimo, ma soltanto
dopo che si riesce a farlo ci si rende conto di quel che si è fatto.
Perché, al momento, uno può dire ‘lavoro in espansione e sono a
posto’, e invece magari lo fa e soffre più di prima, perché c’è un
passaggio da compiere, e quindi la sofferenza è fondamentale”.
152
Spesso, purtroppo, non percepiamo questa guida nella nostra
vita, soprattutto perché pretendiamo sempre di capire tutto e,
quando ci accade qualcosa che non comprendiamo, la
attribuiamo subito al caso, alla sfortuna, al destino crudele…
Abbiamo l’arroganza di pensare che tutte le cose debbano
andarci bene, altrimenti vuol dire che non c’è giustizia o che
qualcuno ce l’ha con noi. E invece, magari, dovremmo cercare
di sviluppare la pazienza necessaria per accettare le cose, anche
quelle che ci fanno soffrire, senza giudicarle o catalogarle
subito, ma con la fiducia che possa un giorno rivelarsi proprio in
esse il progetto divino per la nostra evoluzione spirituale.
La preghiera mattutina
Tornando agli accorgimenti fondamentali per predisporsi alla
costruzione dell’anima nella quotidianità, il sonno o riposo,
come dicevamo, può essere molto importante per rigenerare le
16
Anche Gurdjieff, in Frammenti di un insegnamento sconosciuto, afferma
che il lavoro su di sé, o lavoro per la costruzione della propria anima,
“consiste nel sottomettersi volontariamente a una sofferenza temporanea per
rendersi liberi dalla sofferenza eterna”. In un altro punto del libro, il maestro
caucasico ribadisce che la sofferenza è inevitabile per chi cerca la verità,
perché “il risveglio della sua coscienza si accompagnerà a tutti i disagi e a
tutte le sofferenze immaginabili”.
155
nostre forze non solo fisiche ma anche e soprattutto spirituali.
Dev’essere preparato correttamente, però, come abbiamo visto.
“Dato che la costruzione dell’anima è fatta di pensieri”,
ribadisce Egidio, “se uno ha la mente immersa nelle
preoccupazioni, anche quando si addormenta la sua essenza
rimane lì, quindi come può pensare di riposarsi? È solo lo
staccarsi dai pensieri legati alla materia che può creare una
condizione ideale di rigenerazione. Ma ci vuole una volontà per
farlo, quindi se uno lo fa da sveglio e poi si addormenta è
meglio. Ecco perché la preparazione al sonno è fondamentale,
perché si richiama la mente staccandola dalla materialità e dalle
sue forze. Altrimenti, in assenza di questa preparazione, durante
il sonno si riposa soltanto il corpo”.
Secondo quanto scrive Egidio nel suo secondo libro, dal punto
di vista spirituale l’orario ideale per il riposo notturno è dalle
dieci della sera alle cinque della mattina, dopodichè è
fondamentale alzarsi e “meditare rivolgendo i ragionamenti ai
pensieri del Signore”, perché “dalle 5 alle 7 si muovono delle
energie negative latenti che, durante il sonno, possono oscurare
la luce di colui che ha percepito l’energia di Dio”.
Questi movimenti sono legati alle energie delle persone che, per
la maggior parte, si svegliano in quelle due ore e mettono in
moto la loro forza pensiero, generalmente in modo
inconsapevole e quindi negativo, legato alle preoccupazioni
della giornata. “Per questo”, spiega Egidio, “al risveglio bisogna
156
ricompattare in fretta la propria volontà, la propria forza, la
propria essenza. Soprattutto chi è all’inizio di un percorso
spirituale e sta cercando di compattare una forza che gli faccia
da guida è importante che si riconcentri subito per non cadere
preda di tutte le cose che ci sono in giro. In questo senso la
preghiera al mattino, appena svegliati, aiuta a ricompattare la
propria essenza per far da guida a se stessi. Se invece questo non
viene fatto, durante il sonno la forza dentro si disperde, e poi
non è facile per tutti ricompattarla. La preghiera mattutina è
sempre un’offerta di sé dopo una meditazione. Ma in qualunque
momento, se chiudi gli occhi, ci sono dei pensieri che ti girano
dentro e che vanno valutati attentamente e guidati, ragionati.
Bisogna farlo per tutta la giornata, ma se si comincia bene al
mattino, ricompattando al meglio la propria forza dopo le
dispersioni che si possono creare durante il sonno, può riuscire
molto meglio”17.
17
Sul valore della preghiera, che rappresenta l’elemento centrale
dell’insegnamento trasmesso dalla sua entità di luce, Egidio torna molte volte
nei suoi libri. Soprattutto nel secondo in cui, nel capitolo intitolato “Amore:
Energia vitale”, scrive: “Nella materia è impossibile arrivare a comprendere
la bellezza dell’infinito spirituale, in quanto è un mondo di vibrazioni e di
sensazioni percettibili solo con lo stato d’animo e non si può capire né con le
parole né con i fatti. L’unico modo per riuscire a comprendere vagamente la
sua bellezza è raggiungere un certo stato d’animo e riuscire a percepirne le
vibrazioni. Nel raggiungere questo stato d’animo, liberando il corpo e la
mente da tensioni e da ogni altra forma di energia negativa, al massimo
dell’espansione si riesce a percepire l’energia e l’amore per lo spirito […] Il
mondo spirituale ha un’unica vibrazione, l’amore Divino per lo spirito e per
Colui che ne è l’origine. Non è possibile né vederlo né toccarlo, ma bisogna
avvertirlo con lo stato d’animo. […]
“Percepire questa energia nella sua vera forma non è facile. Bisogna avere un
distacco totale con la mente dalle energie che legano alla materia, alle sue
157
Cibo per lo spirito
Di solito, una delle prime cose che le persone fanno al risveglio
è mangiare. Una buona colazione, si dice, è molto importante
per soddisfare il fabbisogno energetico del corpo nell’affrontare
gli impegni della giornata. Ma quel che si mangia può essere
importante anche per lo spirito?
“Sì”, risponde Egidio, “quando uno è all’inizio di un percorso
spirituale, ci sono dei cibi contenenti delle forze veramente
micidiali che bisogna evitare. Però penso che, quando uno ha un
desiderio di trascendenza, lo segue e capisce il sistema, certe
cose poi gli vengano quasi automatiche, le senta senza sapere
perché. Ma è un problema scrivere di queste cose, perché
l’uomo ha la tendenza a farsi una regola per poi sentirsi a posto
rispettandola. Nella spiritualità non funziona così, perché tu puoi
trovare una tua regola che in quel momento magari è
indispensabile, ma poi devi avere altrettanta forza per sovvertire,
quando è necessario, quella regola, quel sistema che pure in un
certo momento ha funzionato, sempre privilegiando la forza
sensazioni, ed espellere dal corpo ogni tipo d’energia negativa. Dopo aver
fatto questo, bisogna espandersi cercando Dio con tutta la forza del cuore e
della mente. Quando si comincia ad avvertire una strana sensazione interiore
di pace, allora è avvenuto il contatto e si comincia a percepire l’energia
dell’amore Divino. A questo punto, quanta più forza e quanto più amore si
chiedono a Dio e tanto più lui ne manda.
“Questa è la vera preghiera: sentire questo amore dentro, questa energia che
attraversa tutto il corpo facendolo vibrare al suo passaggio”.
158
fuori tempo che ti guida. Se uno riesce a far questo, può
mangiare quel che vuole e non succede niente.
“Io prima mangiavo di tutto, ma poi quando ho sentito questo
amore per Dio, ho fatto delle cose che mi sono state dette, anche
a livello di alimentazione, e che sono servite per prepararmi, ma
non sono delle regole che basta rispettarle tutti per essere a
posto. Bisogna capire e andare oltre”.
Intanto, però, per farsi un’idea, Egidio offre, nel suo secondo
libro, delle “linee guida” relative anche all’alimentazione in
funzione dello spirito. Innanzitutto, dato che ogni cosa, cibo
compreso, contiene un’energia vitale in evoluzione, bisogna
ingerire degli alimenti “solo ed esclusivamente per nutrirsi e mai
per il gusto di farlo”. Ma la cosa fondamentale è “purificare ogni
cosa prima di ingerirla, in quanto, come tutto ciò che esiste,
contiene energia positiva ed energia negativa”.
Prima di cominciare a mangiare, prosegue Egidio, “bisogna
benedire il cibo scacciando ogni forma di energia negativa,
invocando Dio e dicendo all’alimento che non lo si mangia per il
gusto di farlo, ma solo perché sia di nutrimento e si trasformi in
energia per il proprio corpo”.
Questo perché “tutto ciò che si mangia e si beve è energia di Dio
e bisogna averne il massimo rispetto, in quanto si usa
quell’energia per un fine proprio. Ogni alimento quindi è vivo e,
nell’ingerirlo, non va mescolato ad altro, in quanto in ognuno di
essi è presente un tipo di energia che richiede un diverso tipo di
159
trasformazione nel proprio corpo. Allora, per una giusta
alimentazione, ogni cibo bisogna ingerirlo lontano dall’altro, per
far sì che questa trasformazione avvenga in un modo corretto”.
Gli unici alimenti che, secondo la ‘dieta spirituale’ suggerita da
Egidio si possono assumere contemporaneamente ad altri sono il
pane e il vino, perché in essi “ci sono delle forme di energia
indispensabili per il corpo umano, e quindi vanno assunti
quotidianamente”.
Tra gli altri alimenti che contengono forme di energia
indispensabili per il corpo umano, Egidio cita la verdura e la
frutta, mentre altri cibi, tipo la carne, oltre a non essere
indispensabili, “contengono energie che possono arrecare
disturbo allo spirito”.
Il digiuno
Spesso, nel percorso spirituale, più del mangiare in un certo
modo può risultare importante il non mangiare, ovvero il
digiuno. “Sì, in certi momenti può essere indispensabile”,
conferma Egidio. “All’inizio di un percorso, quando è
fondamentale l’offerta di sé, la preghiera, è importante non
immettere nulla nell’organismo, perché il nostro sistema è fatto
in modo tale che, appena gli metti dentro qualcosa, comincia a
lavorare. Quindi una parte energetica è impegnata a elaborare il
cibo, per poi distribuire nel corpo quel che acquisisce. Se invece
lasciamo che il corpo consumi quel che ha già mentre
160
impegniamo tutta la nostra energia nella preghiera, nel cercare di
emettere quell’essenza fuori tempo, cominciamo ad abituare il
nostro sistema energetico a raffinare le energie e a proiettarsi
oltre”.
Anche riguardo al digiuno, però, non esistono regole precise
relative al momento in cui può essere particolarmente benefico
praticarlo. “Non può essere qualcosa tipo ‘giovedì trippa,
venerdì digiuno’. Puoi sentire quando è il momento di digiunare,
oppure ti può venir detto, o può arrivare la circostanza che ti
porta a farlo. È una cosa soggettiva, individuale. Il principio
generale è che bisogna riuscire a valorizzare quella forza che si
produce in una condizione di debolezza fisica. Perché la forza
dello spirito è essenzialmente in contrasto con la forza fisica.
Quando uno si sente al top della forza fisica, vuol dire che
spiritualmente non produce niente di buono. Come i culturisti,
che hanno un fisico perfetto, al massimo della forza, avendo
curato l’allenamento, l’alimentazione, ma a livello mentale e
spirituale magari non producono granché di buono, concentrati
come sono sulla materialità... Il concentrarsi sullo star bene
fisicamente determina la debolezza dello spirito, perché in tal
caso, quando non stai bene fisicamente, ti sembra di perdere
anche la tua forza mentale, spirituale, dato che ti vengono a
mancare i tuoi punti d’appoggio esteriori e ti senti perso.
Insomma, quella che, a livello di manifestazione, sembra una
forza, in realtà è una debolezza dello spirito”.
161
Nel suo libro, Egidio conclude il discorso sull’alimentazione con
un parallelo tra l’interdipendenza tra le creature nel mondo
materiale e quella tra le anime nel mondo spirituale. “Nella
materia si vive con il peccato originale insito in essa, e quindi
con una forma di energia negativa dentro, per questo è
necessario benedire il cibo prima di ingerirlo. Vivere nella
materia vuol dire crescere ed evolversi a discapito del proprio
prossimo, nutrendosi per accumulare l’energia necessaria.
Quindi nella materia ogni forma vivente necessita di un’altra
forma vivente e la uccide per trasformarla a seconda delle
proprie necessità. Nel mondo spirituale il principio è identico,
ogni anima per vivere ha bisogno dell’altra, con la differenza
però che non la uccide, ma usa l’esperienza e l’energia del suo
prossimo nel massimo rispetto e con la massima espressione
d’amore”.
162
Egidio gli dedica un capitoletto del suo secondo libro e spiega
che “Dio, prima della creazione degli universi, utilizzando la
Sua energia diede vita a una forma di energia simile alla sua.
Siccome ogni creatura usufruisce del libero arbitrio, questa
energia, per sua scelta, cominciò a generare pensieri negativi,
opponendosi all’amore di Dio.
“Tutto ciò che è in Dio”, continua Egidio, “ha un’unica
vibrazione e si espande con profondo amore. Al contrario,
un’energia che vibra in negativo si contrae isolandosi da tutto
ciò che la circonda. Fu questo il motivo per cui la prima forma
di energia creata da Di si allontanò da Lui lanciandosi in
velocità e dando origine alla materia e al tempo.
“Dio, nel vedere parte della Sua energia disgregata nel tempo,
generò in essa la vita, creando un ciclo d’evoluzione nella
materia per dare la possibilità all’energia materializzatasi di
tornare a lui in spirito. Per poter fare questo, quando nella
materia si raggiunge il massimo grado di evoluzione, si devono
combattere e vincere quelle forme di energie negative primarie
che la materia contiene”.
Si parla dunque di peccato originale in quanto “nella materia
stessa, già dalla nascita di ogni essere vivente, è contenuta la
prima forma di peccato: il tradimento!”
Tale tradimento, continua Egidio, è stato causato da forme di
energia negative come “l’invidia, la vanità, l’egoismo, la
prepotenza e il forte desiderio di supremazia su ogni cosa,
163
soprattutto sul proprio simile”, ed è “il peccato originale che ha
ferito Dio dando origine agli universi materiali”.
In effetti, come fa notare Egidio nel passo successivo, “se la
prima creatura di Dio non l’avesse tradito, non si sarebbe
lanciata in velocità nel tempo solidificandosi”. Perciò sulla
Bibbia si dice che l’uomo lavorerà con sudore e che la donna
partorirà con dolore: “non certo perché hanno mangiato la mela
proibita, ma solo perché la prima forma di energia tradì la
fiducia di Dio”.
Approfondendo il concetto di tradimento a livello spirituale,
Egidio mi ha spiegato che “il vero tradimento non è tanto verso
Dio quanto verso se stessi. Se hai un impulso, senti una cosa, ci
ragioni e alla fine magari pensi di doverla fare. Quando però
ometti l’azione dopo aver pensato ed elaborato una cosa e averla
considerata giusta, allora quello è un tradimento nei confronti di
te stesso. E quando tradisci te stesso è come se tradissi Dio,
perché tradisci l’opportunità di maturare una forza che serve a
Dio. Il tradimento è separazione, distacco da Dio. Dove c’è
separazione non può esserci proseguimento, si crea una
spaccatura. Questo l’uomo ce l’ha dentro, vuoi per orgoglio,
vuoi per arrivismo; si fanno dei compromessi magari per
raggiungere il successo materiale…”
Il tradimento, però, può avere anche una valenza positiva, in un
certo senso. “All’inizio”, spiega Egidio, “può rappresentare una
presa di coscienza, attraverso cui si può capire dove ci si è
164
comportati come si voleva e dove no. Quindi, se il tradimento
può servire a una riflessione, ben venga. Spesso è proprio grazie
al tradimento che si riesce a capire il valore della fedeltà.
Quando ci si accorge profondamente che, nel creare quella
spaccatura dentro, ci si fa del male, allora non serve chiedere
perdono per poi rifarlo. Quando uno prende coscienza, parte
subito l’inversione di marcia. Quindi, se hai pensato, elaborato
una cosa ma non l’hai mai fatta, adesso ne prendi coscienza e
cominci a farla. Poi da lì c’è da valutare se la cosa ti sembra
giusta o no, se quel che sembra giusto a te sia ingiusto per il
mondo, se valga la pena da farlo perché secondo te il mondo sta
sbagliando o se invece sei tu che sbagli. Sono riflessioni da fare.
Si tradisce se stessi, nonché l’origine dell’ispirazione, anche
quando si sente un’ispirazione ma non gli si dà retta per
convenienza, perché si preferisce fare qualcos’altro di più
piacevole”.
Un tradimento particolarmente grave si verifica quando l’uomo
nega Dio e si mette al Suo posto. “Se un uomo non si rende
conto di essere creatura e si sente creatore, a un certo punto dice
‘Io sono Dio’. E questo è un tradimento, perché manca il
riconoscimento del giusto abbinamento tra le forze, il che genera
anarchia. Invece, bisogna avere l’umiltà di riconoscere una forza
superiore e di assoggettarsi ad essa, di inchinarsi davanti a Dio,
perché quanto più uno si fa piccolo in questo senso, tanto più ha
l’opportunità di capire e di affrontare se stesso, nonché di
165
imparare a non tradire più, a capire in sé come e dove lavora il
tradimento”.
167
sacra”18, è che consente a chi li pratica di rendersi conto della
propria meccanicità, divenendo consapevole dei propri schemi
di movimento e tentando di spaccarli, insieme agli schemi di
pensiero ad essi collegati. Secondo il maestro caucasico,
insomma, acquisire una maggiore libertà di movimento
equivaleva all’acquisire una maggiore libertà interiore. Per
Egidio questo vale solo in parte perché, se è vero che un simile
lavoro sui movimenti può avere un certo valore propedeutico,
“non si tratta comunque un lavoro spirituale diretto. È un
qualcosa che si può utilizzare per fini spirituali, come qualunque
altra cosa della vita”.
A questo proposito, Egidio riconosce, come Gurdjieff, che può
essere importante accorgersi, in particolare, delle tensioni inutili
che spesso accumuliamo in tutto il corpo quando ci sembra di
non far niente, o addirittura di essere rilassati. “Anche questo
contribuisce a rompere un sistema di meccanicità”, spiega
Egidio, “perché di solito si fanno dei movimenti senza
accorgersene, quindi divenendone consapevoli e controllandoli,
si risparmiano delle forze che poi, al momento giusto, possono
tornare molto utili”.
Ma la cosa più utile di tutte, a livello di corpo fisico, è il
controllo della respirazione. E in questo Egidio si trova in
accordo con gli antichi saggi indiani che fecero del pranayama,
18
Sulla ginnastica sacra o Movimenti di Gurdjieff, consiglio di leggere il mio
libro citato G.I. Gurdjieff: Danze sacre per il ben-essere.
168
ossia del controllo del respiro19, la parte più importante dell’hata
yoga. “Mi rendo conto che la maggior parte delle persone non sa
respirare”, dichiara Egidio, “anche quelle che fanno molto
movimento. Quindi, se una disciplina ti insegna a respirare, ti
può essere d’aiuto nella vita. Ritengo sia importante praticare
soprattutto la respirazione addominale, facendo arrivare il
respiro fino in fondo, senza farlo rimanere soltanto nella parte
alta dei polmoni, per ossigenare bene tutto il corpo e, pian piano,
scioglierne le tensioni. Insomma, saper respirare può essere
d’aiuto, ma non si può dire che sia la cosa più importante al
mondo. Io ho scoperto il valore di una corretta respirazione
quando ho fatto il mio percorso, ma non è che scoprendo la
funzione della respirazione ho capito la spiritualità. Diciamo
piuttosto che questa conoscenza mi è stata utile perché l’ho
utilizzata per fini spirituali”.
Perciò nei momenti difficili, o in quelli di particolare sforzo
fisico, secondo Egidio, “la cosa migliore da fare è ossigenare il
corpo il più possibile. Anche nei momenti di tensione, la
respirazione aiuta a liberarsi nella mente e a fare un lavoro di
decontrazione, perché la paura fa contrarre, quindi sciogliendo la
contrazione ossigenandosi e occupandosi di sé è possibile
affrontare efficacemente la paura”.
19
Anche se, in effetti, il significato letterale del termine pranayama è
“controllo dell’energia vitale”.
169
Insomma, dato che il nostro corpo è un concentrato di energia
che può essere raffinata e che produce una forza fuori tempo,
“tutto quel che gli mettiamo dentro come nutrimento, cibo, aria
o impressioni che siano, è importante. Però se si creano delle
regole su come mangiare, muoversi e respirare, sembra che si
crei una condizione di benessere, ma in realtà si perde di vista il
vero valore della spiritualità”.
171
“Certo”, conferma Egidio, “la sofferenza costituisce un
passaggio per creare qualcosa di nuovo. Dopo però si insegna al
bambino che non bisogna farsi male, che non bisogna star male,
insomma si vuole vivere nell’illusione dello star bene. Allora,
non appena c’è qualcosa che non va, si pensa di essere malati.
Sono dei sistemi che abbiamo dentro ma inconsapevolmente,
perché non ci ragioniamo su. Non è che tutto non sia niente, ci
sono delle cose che possono creare dei problemi anche gravi, ma
almeno, non preoccupandosi troppo della propria salute, non si
generano demoni continui. Fa più male la paura di avere una
malattia che non l’averla senza saperlo. Perché la paura
distrugge proprio dentro”.
Tra l’altro, l’imparare ad accettare la sofferenza è fondamentale
anche per l’evoluzione spirituale dell’essere umano. Come
spiega Egidio, “abbiamo un fulcro, il plesso solare, che è un
trasformatore di materia in energia. Quando poi quest’energia
che circola in noi passa per la raffineria del cervello, si produce
un’essenza fuori tempo. Ma per far sì che uno cominci a
diventare un trasformatore di questo tipo di essenza, c’è da
abbinare la propria forza a Dio e imparare l’accettazione della
sofferenza, che vuol dire la mutazione in atto di un qualcosa, che
può essere di una cellula o di una forza20. Ripeto, senza
20
Anche Gurdjieff, nel ripetutamente citato Frammenti di un insegnamento
sconosciuto, usa per definire l’essere umano un’immagine analoga a questa
della raffineria usata da Egidio. “L’organismo umano”, dice Gurdjieff, “è
paragonabile a una fabbrica di prodotti chimici”, il cui lavoro “consiste nel
trasformare una quantità di materia in un’altra, vale a dire, dal punto di vista
172
sofferenza non si può fare niente. Ma purtroppo nessuno vuole
soffrire, anche se poi soffre lo stesso. È già importante imparare
a dominare se stessi di fronte anche a una piccola sofferenza.
Perché l’essere umano è costantemente alla ricerca dello star
bene, e sta male lo stesso ma inutilmente.
“In realtà”, continua Egidio, “le persone non vogliono guarire.
Perciò sono attaccate alla sofferenza, perché nella nostra cultura
non c’è l’idea che la sofferenza possa essere un passaggio da
una cosa a un’altra. C’è l’idea che la sofferenza sia una cosa
brutta, quindi da evitare. E quanto più la eviti e quanto più ce
l’hai davanti.
“Se a uno dici di accogliere la sofferenza, ti risponde ‘Non sono
un masochista’. Certo, non è che la sofferenza uno se la debba
andare a cercare, ma quando c’è bisogna affrontarla al meglio.
Se la si affronta al meglio, la sofferenza può essere un passaggio
da una parte a un’altra. La crescita interiore non viene valutata.
Ci sono delle fasi che uno deve affrontare, che la vita ti mette
davanti, e magari si cerca di evitarle a tutti i costi per non
rinnovarsi, per non rivedere i propri atteggiamenti mentali, le
proprie chiusure. Così una persona può rimanere legata a un
sistema e cercare tutte le scuse per farlo. Dentro l’essere umano
funziona così. Abbiamo quotidianamente delle occasioni per
rivedere i nostri pensieri, e non ci rendiamo conto che la
sofferenza è causata dalle nostre chiusure”.
175
poi è ovvio che, se questa persona continua a riformare certi
pensieri, anche il disturbo prima o poi si riformi.
“Sì, perché la materialità prende forma e agisce in funzione delle
cariche energetiche che ci sono; quindi, se ha preso forma in un
certo modo, è a causa di quelle cariche che gliel’hanno fatta
prendere. Dopo, togliendo la causa, c’è da lasciare che
l’organismo lavori, perché l’essere umano ha in sé delle forze in
grado di compensare gli squilibri, di mettere a posto le cose”.
L’organismo, insomma, richiede un certo tempo per adeguarsi,
mentre l’eliminazione delle cause energetiche di un disturbo può
essere immediata. “È come un ovulo fecondato”, spiega Egidio.
“Energeticamente c’è già il progetto, che si deve solo realizzare,
e magari ci vogliono vent’anni perché si realizzi. Quindi, a
livello energetico, magari una cosa è già avvenuta, ma poi, nella
materia, ci vuole lo spazio-tempo necessario per realizzarla. Di
solito di un male cerchiamo la causa nell’immediatezza, mentre
la causa non è mai nell’immediato, neanche nel caso di un
incidente, di una cosa che può sembrare improvvisa. In realtà,
sono successe tante cose per far sì che quell’evento si verifichi
in quel momento. Molte volte uno inciampa e non si fa niente,
mentre un’altra volta magari si rompe una caviglia. Magari in
quel momento una parte è fragile e succede il guaio... Anche se
poi, magari, quel ‘guaio’ è proprio ciò di cui la persona aveva
bisogno in quel momento per avere l’opportunità di capire
qualcosa”.
176
La salute globale di una persona, insomma, non è soltanto la
salute del corpo fisico, visto che la sofferenza può essere utile
per sviluppare delle cose nuove, ma è soprattutto, diciamo così,
una “salute spirituale” che si ottiene non con un regime di vita
“sano”, bensì vivendo il più possibile in espansione, ovvero
meditando, mettendo a tacere la mente analitica e offrendosi a
Dio nella preghiera. Tutto questo anche per prepararsi al
momento del distacco dal corpo fisico, ossia per affrontare la
morte o, come la definisce Egidio (e non soltanto lui), “la vita
oltre la vita”…
177
178
VII
La vita oltre la vita
179
quella che abbiamo in questa vita è un’opportunità unica di fare
qualcosa per andare consapevolmente oltre la dimensione
terrena. Anche se quando moriamo non finisce tutto, se qualcosa
di noi sopravvive, finisce comunque quella che percepiamo
come la nostra individualità, se non siamo riusciti a
cristallizzarla, durante la vita, in un qualcosa capace di
sopravvivere alla morte del corpo fisico.
Questo almeno è quanto si evince dalle mie conversazioni
sull’argomento con Egidio. E anche lui, alla mia domanda “Cosa
avviene al momento della morte?”, risponde con una battuta…
“Quando l’avrò scoperto, te lo dirò…”
“La morte è un’esperienza attraverso cui bisogna passare prima
di poter dire qualcosa di preciso”, continua serio, “ma se la
preparazione alla vita è un abbinamento al fuori tempo, posso
immaginare che la morte sia una transizione e che comporti una
sofferenza, e se uno ha capito la sofferenza, a cosa serve, magari
capisce anche che la morte è un ponte da una parte all’altra, dal
tempo al fuori tempo. Però bisogna darle il giusto valore. Il
fondamento vero di tutte le religioni è proprio dare valore allo
spirito, a qualcosa che va oltre. Altrimenti, a cosa crediamo, alle
statue nei templi, alle cose immaginarie?”
Per arrivare consapevolmente a questo passaggio, però, è
necessario aver costruito, durante la vita terrena, un veicolo che
permetta di muoversi nella dimensione della vita oltre la vita.
Questo veicolo è quell’anima che si forma, in vita, attraverso
180
l’offerta di sé a Dio, accettando consapevolmente la sofferenza.
Senza di essa, sentenzia Egidio, “al momento della morte c’è
soltanto disgregazione”.
La reincarnazione
Molte persone stemperano l’inquietante pensiero della morte
con la convinzione, di matrice perlopiù orientale, nell’esistenza
della reincarnazione. Magari da noi quello di reincarnarsi è un
pensiero che può far piacere, che può lenire la paura della morte,
ma in Oriente il samsara, ovvero la catena di morti e rinascite
cui sono sottoposti tutti gli esseri viventi in base alla legge del
karma, è considerato un fardello di cui liberarsi raggiungendo
l’”annullamento totale” del nirvana.
La posizione di Egidio rispetto alla reincarnazione è complessa,
e a tratti apparentemente contraddittoria. In Il male… come
combatterlo e vincerlo!!!, infatti, la sua visione dell’argomento
appare inizialmente piuttosto convenzionale, influenzata dalle
dottrine orientali. “Per la spiritualità”, scrive infatti, “la
reincarnazione è ovvia e indispensabile, perché è impossibile
che l’evoluzione di un’anima22 possa avvenire con una sola
22
Nei suoi libri, particolarmente nel contesto del discorso sulla
reincarnazione, Egidio usa la parola “anima” per significare la scintilla divina
che è in ognuno di noi e che cerca di far ritorno a Dio attraverso le esperienze
delle varie incarnazioni. Invece in un altro contesto, quello del lavoro di
evoluzione spirituale del singolo individuo incarnato, l’anima è una “unità
183
esistenza. Evolversi vuol dire capire nel profondo il peccato
originale e capire il valore dei pensieri, amando Dio con tutte le
forze. Solo così si può fare ritorno a Dio che, per Sua bontà e
misericordia, lascia all’anima molte opportunità per salvarsi,
concedendole la possibilità di reincarnarsi”.
Sembra un ragionamento logico, in effetti. Ed è importante che
lo sia perché, secondo Egidio, essendo impossibile dimostrare
“scientificamente” nella materia come l’energia di un essere
possa entrare in un altro essere per una nuova esistenza (anche
se è stato provato che ogni cosa vivente è compenetrata da
un’energia che apparentemente svanisce al momento del
trapasso), “l’unico modo per riuscire a provare l’esistenza della
reincarnazione è il ragionamento. Siccome Dio è buono e
soprattutto giusto, dovrebbe dare a ognuno l’opportunità di
evolversi e capire.
“Allora perché “, continua Egidio, “ci sono esseri umani che
hanno la possibilità di vivere a lungo e di capire, mentre invece
ce ne sono altri che muoiono in tenera età? O ancora, come mai
ci sono degli esseri umani che riescono a capire, a studiare, ad
avvicinarsi a una religione, mentre ce ne sono molti altri che
sono nati lontani dalle religioni e dalle culture cosiddette civili?
Sono forse lontani da Dio?