Dipartimento di Medicina
Tesi di Laurea
CAPITOLO 2 ................................................................................................................. 23
CAPITOLO 3 ................................................................................................................. 27
CAPITOLO 4 ................................................................................................................. 67
CONCLUSIONI ............................................................................................................. 77
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................ 79
Allegati ........................................................................................................................... 85
1
Abstract
3
INTRODUZIONE
5
del Centro di Salute Mentale (CSM), organo principale del Dipartimento di Area di Salute
Mentale (DASM), a cui fa capo la gestione dell'assistenza infermieristica territoriale.
Il secondo capitolo spiega in che modo è stata condotta la ricerca in letteratura, elencando
le banche dati consultate, le stringhe di ricerca utilizzate e i quesiti di ricerca (uno di
background e uno di foreground) a partire dai quali sono stati raccolti tutti i dati citati.
Il terzo capitolo fornisce una sintetica ma il più possibile esaustiva rassegna degli studi
selezionati, utili ad indagare più approfonditamente i temi attorno ai quali è costruito
l'intero lavoro.
Il quarto ed ultimo capitolo contiene un confronto critico delle diverse evidenze
scientifiche, per offrire una lettura il più possibile obiettiva ed attendibile dei risultati
ottenuti.
6
CAPITOLO 1
7
Si fornisce ora una breve descrizione della patologia, elencando le principali
classificazioni elaborate a partire dal XX secolo sino ai giorni nostri, dando vita ad una
sintetica time-line dell'evoluzione storica della malattia.
Emil Kraepelin (1856-1926), psichiatra tedesco, dà la prima definizione di schizofrenia,
denominandola dementia praecox, per sottolineare il precoce deterioramento a cui va
incontro la personalità del paziente (Pancheri, 2007; Tatarelli, 2009).
Eugen Bleuler (1857-1939), psichiatra svizzero, conia il termine “schizofrenia”
utilizzando due termini greci, “schizein” (dividere, seprarare) e “phren” (mente).
Contrariamente al medico tedesco, Bleuler ritiene che le persone affette da schizofrenia
non vadano incontro a demenza, bensì ad una sorta di dissociazione/scissione tra le
diverse funzioni psichiche, per cui l'individuo è vittima di una disgregazione della
personalità (Pancheri, 2007; Tatarelli, 2009).
Kurt Schneider (1887-1967), psichiatra tedesco, ipotizza l'esistenza di una malattia
somatica all'origine della patologia psicotica; egli distingue i sintomi in due categorie:
sintomi di prim'ordine (eco del pensiero, allucinazioni uditive, esperienze di
influenzamento somatico, furto del pensiero, deliri), necessari per fare diagnosi di
schizofrenia; e sintomi di second'ordine (intuizione delirante, appiattimento affettivo,
alterazioni del tono dell'umore), di frequente riscontro diagnostico ma non sempre
presenti (Tatarelli, 2009).
L'International Statistical Classification of Desease and Related Health Problem (ICD-
10), attuale sistema di classificazione delle sindromi e dei disturbi psichiatrici e
comportamentali proposta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), definisce
la schizofrenia una malattia caratterizzata da alterazioni del pensiero e della percezione,
e da un'affettività inappropriata o appiattita. La persona che soffre di schizofrenia ha una
coscienza intatta e capacità intellettive solitamente inalterate, sebbene, con il passare del
tempo e con l'aggravarsi della patologia, possano insorgere dei deficit cognitivi (Tatarelli,
2009).
La più recente edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-
V), edita in Italia nel 2014 (Biondi & Cortina, R., 2014), parla di “disturbi dello spettro
della schizofrenia” elencando diversi tipi di disturbi (delirante, psicotico breve,
schizofreniforme, schizoaffettivo, disturbo psicotico indotto da sostanze, disturbo
psicotico dovuto ad una condizione medica, catatonia), che si distinguono tra loro per
8
esordio e sintomatologia prevalente; in questa sede si discute la schizofrenia intesa in
senso lato, senza entrare nel merito di ciascun disturbo patologico. La ragione che sta alla
base di questa scelta è il rimanere fedeli all'obiettivo di ricerca, ossia indagare quali
interventi l'infermiere psichiatrico territoriale può mettere in atto per migliorare la qualità
di vita di tutte le persone che sono affette da psicosi schizofrenica.
Quest'ultima classificazione fornisce una distinzione clinica dei sintomi della
schizofrenia, suddividendoli in tre macro categorie:
1. sintomi positivi (ossia sintomi “produttivi”, che si manifestano in maniera
evidente e producono atteggiamenti insoliti; fanno parte di questa categoria le
allucinazioni e i deliri) (Biondi & Cortina, R., 2014; Tatarelli, 2009; Won, Lee,
Lee, & Choi, 2012);
2. sintomi negativi (ovvero sintomi che coinvolgono la sfera interiore della persona,
che alterano la dimensione umorale, caratteriale e spirituale dell'individuo; essi
sono povertà dell'eloquio, appiattimento affettivo, apatia, avolizione, anedonia,
isolamento sociale) (Biondi & Cortina, R., 2014; Tatarelli, 2009; Won et al.,
2012);
3. sintomi di tipo disorganizzato (ossia alterazioni della forma del pensiero, eloquio
disorganizzato, comportamento disorganizzato e incongruità affettiva) (Biondi &
Cortina, R., 2014; Tatarelli, 2009; Won et al., 2012).
Esistono diverse tipologie di trattamento utili per affrontare questa grave malattia, tra le
quali spicca l'utilizzo di farmaci specifici, gli antipsicotici; queste sostanze hanno la
capacità di inibire i sintomi, aiutando la persona malata e la sua famiglia a raggiungere
stati di salute e di qualità della vita migliori.
La loro somministrazione rappresenta uno degli interventi infermieristici principali
all'interno dell'ambito della salute mentale, sia in ambito ospedaliero che territoriale (essa
può avvenire sia in ambulatorio sia a domicilio); in questa tesi, l'assunzione della terapia
antipsicotica (soprattutto di farmaci long acting di seconda generazione) viene
considerata un presupposto necessario per garantire l'efficacia di possibili interventi
educativi infermieristici volti ad aumentare la qualità di vita del paziente e della sua
famiglia.
9
Per questa ragione, si ritiene opportuno proseguire fornendo alcune informazioni utili a
descrivere, seppur in maniera sintetica e generale, le principali caratteristiche di questi
agenti farmacologici.
10
l'attivazione (Cella, S.G., 2010). I farmaci antipsicotici, in qualità di sostanze antagoniste,
“occupano” i siti recettoriali destinati alla dopamina, impedendo a quest'ultima di
interagire con i propri recettori, senza permettere a questi di attivarsi.
Tuttavia, l'assunzione di antipsicotici di prima generazione provoca effetti collaterali
rilevanti: il blocco dopaminergico dà origine a reazioni extrapiramidali (distonie acute,
acatisia, parkinsonismo, discinesia tardiva) e ad alterazioni del movimento (Cella, S.G.,
2010; Tatarelli, 2009).
La maggior parte delle reazioni extrapiramidali possono essere attenuate
farmacologicamente attraverso l'utilizzo di farmaci muscarinici anticolinergici; tuttavia,
l'uso di queste sostanze provoca ulteriori effetti collaterali come, ad esempio, la sedazione
(Cella, S.G., 2010).
Negli anni Settanta, grazie al progredire della ricerca, si sintetizza una nuova classe di
antipsicotici: gli “atipici” o di “seconda generazione” (Spina et al., 2015).
Gli antipsicotici di seconda generazione risultano più tollerabili rispetto ai precedenti, in
quanto meno propensi a far insorgere problemi di tipo motorio (Park et al., 2013); tuttavia,
la loro assunzione può essere associata ad aumento di peso, dislipidemia, diabete e altri
fattori di rischio cardiaci (Laursen et al., 2014).
Il primo antipsicotico atipico è la clozapina, sintetizzata negli anni Settanta e ritirata dal
mercato nel 1975 perché nel 2-3% dei pazienti provoca una grave forma di agranulocitosi;
successivamente, la Food and Drug Administration acconsente al suo reinserimento sul
mercato con la precisa indicazione di utilizzarla solo nel trattamento di pazienti refrattari
agli altri antipsicotici, ma con l'obbligo di monitorare frequentemente la crasi ematica
(AA.VV., 2008; Park et al., 2013). La clozapina rappresenta il prototipo per la
realizzazione dei successivi antipsicotici di seconda generazione, che vengono realizzati
negli anni Novanta: essi hanno proprietà simili alla clozapina, ma non mostrano la
tendenza a causare agranulocitosi (Park et al., 2013).
Gli antipsicotici di seconda generazione si differenziano da quelli di prima generazione
per una minore attività antidopaminergica (con la conseguente riduzione del rischio di
effetti collaterali di natura extrapiramidale e motoria), e per una maggiore affinità, in veste
di antagonisti, per i recettori 5HT2A del neurotrasmettitore serotonina (Cella, S.G.,
2010).
11
Nella realtà clinica, i farmaci antipsicotici vengono utilizzati per la gestione di numerose
patologie psichiatriche:
schizofrenia
disturbo schizofreniforme
disturbo schizoaffettivo
disturbo bipolare con sintomi psicotici o mania
disturbo delirante
depressione con sintomi psicotici
disturbo psicotico indotto da sostanze o da malattia organica generale
Data la considerevole vastità d'uso di queste sostanze e le differenze che intercorrono tra
i diversi disturbi, si precisa che in questa sede si prende in considerazione l'impiego di
farmaci antipsicotici (con particolare attenzione per quelli di seconda generazione, nella
loro formulazione long acting), nel trattamento della sola schizofrenia. Tale scelta è
dovuta a due ragioni: in primo luogo, si vuole evitare di compiere un lavoro
eccessivamente vasto, correndo il rischio di ottenere risultati superficiali e parziali nel
vano tentativo di trattare ciascuna malattia con la dovuta attenzione; in secondo luogo,
dato il peso rivestito dalla schizofrenia quale patologia altamente invalidante, si ritiene
opportuno concentrarsi esclusivamente sul suo trattamento, utile a ridurre le gravi
ripercussioni sul piano umano, clinico ed economico (AA.VV., 2008; Pancheri, 2007).
Nella gestione della schizofrenia, le principali finalità dell'intervento farmacologico si
possono riassumere nella remissione dell'episodio psicotico in fase acuta, nonché nella
prevenzione delle ricadute e della cronicizzazione del disturbo (Spina et al., 2015).
Stando alla letteratura, e alla personale esperienza maturata durante il periodo di tirocinio,
le formulazioni di antipsicotici attualmente disponibili sono due: orale e iniettabile, ed
entrambe possono essere prescritte in forma long acting, ovvero a rilascio prolungato;
essa permette intervalli di tempo più lunghi tra un'assunzione e l'altra.
La tabella sottostante (Tabella 1) presenta in maniera schematica le informazioni
essenziali riguardo gli antipsicotici.
12
Tabella 1 – Informazioni essenziali riguardo gli antipsicotici (AA.VV., 2008; Geerts,
Martinez, & Schreiner, 2013; Pancheri, 2007; Tatarelli, 2009)
Data la particolare importanza attribuita in questa tesi al ruolo svolto dagli antipsicotici
long acting nella cura delle persone affette da psicosi schizofrenica, si è ritenuto
opportuno trattare separatamente questo tipo di farmaci, riportandone, in maniera
semplice e chiara, quelle che la letteratura individua come principali caratteristiche
(Tabella 2).
13
Tabella 2 – Principali caratteristiche farmaci antipsicotici long acting
Alla luce di quanto detto sinora, risulta chiaro il motivo per cui si è deciso di prestare
particolare attenzione all'utilizzo di antipsicotici depot di seconda generazione nel
trattamento di persone affette da psicosi schizofrenica: essi presentano alcuni vantaggi
che potrebbero influire positivamente sulla qualità di vita del paziente che li assume,
qualora fossero accompagnati da strategie educative efficaci. È sulla base di questa
premessa che si ritiene opportuno fornire alcune informazioni riguardanti il profilo del
paziente-tipo a cui, di norma, vengono prescritti e somministrati farmaci antipsicotici
long acting iniettabili.
La maggior parte dei documenti fornisce una sorta di identikit del paziente-tipo a cui, di
norma, vengono prescritti e somministrati farmaci antipsicotici depot: si tratta di persone
che presentano una scarsa o nulla compliance terapeutica, che hanno alle spalle una lunga
storia di ricadute e riospedalizzazioni e che, a causa della loro scostanza nell'assumere la
terapia orale , possono diventare pericolose per se e per gli altri (Besenius, Clark-Carter,
& Nolan, 2010). Questo profilo è riportato in diversi studi che indagano i motivi che
inducono i medici a prescrivere questo genere di sostanze; tra le ragioni che portano
all'impiego di formulazioni depot spicca la bassa (o nulla) compliance, seguita dalla
14
necessità di porre un limite alla serie di riospedalizzazioni vissute dal paziente e
dall'importanza di evitare atti auto od eterolesivi (Correll, 2014; Llorca et al., 2013).
E' altresì vero che gli antipsicotici iniettabili a lunga durata d'azione possono essere
impiegati anche per quelle persone malate, sprovviste di un adeguato supporto sociale,
oppure che presentano disturbi legati all'abuso di sostanze, o che, a seguito di una rapida
guarigione dal loro primo episodio psicotico, ritengono di non dover più assumere la
terapia (Correll, 2014).
Di recente, però, lo studio realizzato da P.M. Llorca et al (2013) parla di un'altra tipologia
di pazienti eleggibili a questo tipo di trattamento, oltre a quelli che rispondono al classico
profilo del paziente a cui solitamente vengono proposte formulazioni depot: si tratta di
individui che hanno una buona consapevolezza della propria malattia, che sono
complianti e che hanno instaurato un'alleanza terapeutica solida con il team sanitario. Per
queste persone l'utilità dei depot non consiste in un miglioramento della compliance,
bensì in un miglioramento della qualità di vita derivante dal non dover assumere
quotidianamente sostanze per via orale (Llorca et al., 2013; Samalin, Charpeaud, Blanc,
Heres, & Llorca, 2013).
In questa tesi si pone l'attenzione sulla persona affetta da schizofrenia in terapia con
farmaci antipsicotici depot, senza operare una netta distinzione tra coloro che seguono
tale trattamento perché poco complianti, oppure a seguito di una precisa scelta personale:
l'obiettivo è quello di proporre interventi infermieristici ad ampio raggio, che giovino a
tutte le persone che soffrono di questa grave patologia.
Tuttavia, si ritiene opportuno ribadire che gli interventi infermieristici educativi presi in
esame in questa sede si svolgono esclusivamente all'interno di un contesto assistenziale
territoriale, che vede nell'ambiente ambulatoriale e domiciliare i settings principali in cui
il professionista sanitario agisce, in collaborazione con il paziente.
Nel paragrafo successivo si forniscono alcune informazioni riguardanti la centrale
operativa territoriale del Dipartimento di Area di Salute Mentale: il Centro di Salute
Mentale (CSM), quale responsabile dell'assistenza erogata sul territorio.
15
1.4 Ambito psichiatrico territoriale: il Centro di Salute Mentale (CSM)
Il Centro di Salute Mentale (CSM) è un servizio facente parte del Dipartimento di Area
di Salute Mentale (DASM), realtà sanitaria che racchiude in sé diverse strutture integrate
tra loro, al fine di accogliere, curare e riabilitare le persone affette da disagi o disturbi
psichici.
Il CSM costituisce di per sé un la “porta d'ingresso” al DASM: esso è il luogo di “primo
contatto” tra l'utente, la sua famiglia e il personale sanitario; rappresenta l'area territoriale
del dipartimento, il centro di coordinamento delle attività di presa in carico ambulatoriale
e domiciliare, ed è il luogo in cui vengono pensati ed attuati i progetti terapeutico-
riabilitativi personalizzati che poi vengono messi in atto all'interno dei diversi servizi, per
rispondere ai molteplici bisogni di salute della persona.
Stando al D.P.R. (Decreto del Presidente della Repubblica) del 14 gennaio 1997,
documento in cui si elencano i requisiti strutturali e tecnologici delle strutture del
Dipartimento di Salute Mentale, e dove si identificano i requisiti minimi che ogni servizio
di salute mentale deve possedere, il CSM è caratterizzato da (Supplemento ordinario n°
37 alla gazzetta ufficiale n° 42 - 20/02/1997.20 febbraio 1997; Raucci & Spaccapeli,
2013):
presenza di personale medico ed infermieristico per tutto l'orario di apertura;
presenza di altre figure professionali in relazione alla popolazione del territorio
servito;
apertura prevista 12 ore al giorno per 6 giorni la settimana;
organizzazione di attività a livello territoriale;
funzione di collegamento con il Dipartimento di Emergenza-Urgenza e con altre
strutture per la tutela della salute mentale.
Il Centro di Salute Mentale assicura i seguenti interventi (Raucci & Spaccapeli, 2013):
trattamenti psichiatrici e psicoterapici, interventi sociali, inserimenti dei pazienti
nei centri diurni, day hospital e strutture residenziali;
coordinamento delle necessità di ricoveri sia in SPDC (Servizio Psichiatrico di
Diagnosi e Cura, ovvero il reparto per acuti) sia in altre unità operative
ospedaliere;
attività diagnostiche attraverso visite psichiatriche e colloqui psicologici per la
definizione di appropriati programmi terapeutico-riabilitativi e socio-riabilitativi
16
nell'ottica di un approccio integrato, con interventi ambulatoriali, domiciliari e
residenziali nella strategia della continuità terapeutica;
attività di raccordo con i medici di medicina generale per fornire consulenza
psichiatrica e per condurre, in collaborazione, progetti terapeutici e attività
formativa. In alcuni CSM è attiva anche una linea telefonica dedicata ai medici di
famiglia per il counselling, durante l'orario di apertura;
consulenza specialistica per servizi di confine (alcolismo, tossicodipendenza,
ecc...), nonché per le strutture residenziali per anziani e disabili;
attività di filtro ai ricoveri e di controllo della degenza nelle case di cura
psichiatriche private accreditate, ai fini di assicurare la continuità terapeutica;
valutazione, ai fini del miglioramento continuo, della qualità delle pratiche e delle
procedure adottate.
Dopo questa breve panoramica sull'attuale struttura dei servizi sanitari psichiatrici
territoriali , nel prossimo paragrafo si presenta la figura dell'infermiere di salute mentale,
fornendo alcune informazioni sull'evoluzione storica di tale professione, sui compiti
principali che è chiamata a svolgere e sulle diverse modalità di attuarli.
17
occupandosi quindi degli aspetti specifici della salute mentale ma anche degli altri, quelli
che più comunemente vengono definiti “organici”. Inoltre, egli possiede le competenze
per occuparsi anche di altri ambiti trasversali, tra i quali spicca quello dell'accoglienza,
un processo influenzato da rapporti interpersonali, dalle informazioni, dal comfort
ambientale e dall'organizzazione del lavoro (Raucci & Spaccapeli, 2013).
L'infermiere psichiatrico del CSM è colui che maggiormente intrattiene relazioni con i
pazienti, ed è al contempo responsabile della gestione e della somministrazione
ambulatoriale e domiciliare della terapia iniettabile long acting. Si tratta di un ruolo
complesso, che richiede professionalità e competenze tecniche, relazionali ed educative.
L'atto della somministrazione del farmaco depot rappresenta un momento in cui il
professionista sanitario è chiamato a spendere tutte le proprie capacità per attuare
correttamente la procedura di somministrazione (come, ad esempio, saper scegliere la
sede corporea più adatta, attuare interventi che allevino il dolore e la sensazione di disagio
del paziente); per far ciò, è necessario che il professionista sia a conoscenza dei
meccanismi psicopatologici che stanno alla base del disturbo, delle proprietà terapeutiche
degli antipsicotici long acting e degli effetti collaterali che possono eventualmente
insorgere.
È inoltre essenziale che l'infermiere sia capace di instaurare una relazione terapeutica con
l'assistito, per cogliere eventuali segni di disagio o preoccupazione ed indagare aspettative
e desideri.
Nell'agire professionale, l'infermiere psichiatrico territoriale è chiamato quotidianamente
a mettere in atto quelle che sono le peculiarità del nursing psichiatrico (accoglienza, presa
in carico, continuità terapeutica, progetto terapeutico, follow-up e multiprofessionalità);
ogni qual volta egli somministra la terapia (anche depot), in ambito ambulatoriale o
domiciliare, non si deve limitare alla mera esecuzione dell'atto tecnico, ma deve effettuare
attento esame del paziente (le sue condizioni fisiche, psicologiche, sociali e relazionali) e
del contesto di vita (condizioni dei familiari o dei caregivers, stato di ordine presente
nell'ambiente, eventuali problemi di natura economica o lavorativa, ecc...) (Tatarelli,
2009).
Ecco quindi che, sulla base di quanto detto sinora, si è ritenuto opportuno indagare quali
sono gli interventi che l'infermiere può mettere in atto per migliorare la qualità di vita
della persona affetta da schizofrenia, in terapia con depot.
18
Durante la fase di raccolta dei documenti, è emerso però un dato piuttosto significativo:
nella maggior parte degli studi riguardanti l'assistenza alla persona affetta da psicosi
schizofrenica, due termini, “adherence” e “compliance”, vengono utilizzati come
sinonimi.
Tra gli outcomes presi in considerazione per definire il concetto di “qualità di vita” in
questa tesi, vi è quello riguardante il raggiungimento e mantenimento di un livello
sufficiente di compliance farmacologica. Compliance e aderenza sono due concetti affini
ma non identici (Tatarelli, 2009).
Nel prossimo paragrafo, si desidera fornire qualche delucidazione circa il significato
attribuito ai due termini in questa sede.
Roberto Tatarelli, nel suo manuale di psichiatria e salute mentale, fornisce chiare
definizioni delle due parole: “compliance” indica la capacità di un paziente di eseguire
fedelmente la terapia prescrittagli; “aderenza terapeutica”, invece, indica il grado di
consapevole adesione del paziente ad un piano terapeutico concordato con il clinico e la
sua effettiva attuazione (Tatarelli, 2009).
Come è stato precedentemente segnalato, oggi, in letteratura, i due termini presentano
significati identici, e gli studi centrati su questi concetti riportano risultati analoghi, in
quanto ambedue costituiscono dei predittori di outcomes di salute favorevoli (Tatarelli,
2009).
In questo studio, al concetto di compliance (terapeutica o farmacologica) si attribuisce il
significato proprio del termine “compliance”, ovvero capacità di un paziente di eseguire
fedelmente la terapia prescrittagli.
La non compliance è associata ad un alto tasso di recidive e ripetuti ricoveri sia
nell'ambito delle malattie mentali che organiche; essa influisce negativamente sul decorso
della malattia e sugli esiti di salute del paziente, aumentando il rischio di recidive,
riammissioni ospedaliere e di burden familiare.
Nelle malattie psichiatriche, la compliance è ridotta rispetto alle malattie organiche,
soprattutto a causa della riduzione di insight, una diminuzione della consapevolezza del
19
paziente di essere malato o di dover necessariamente seguire un regime terapeutico
(Tatarelli, 2009).
La non compliance farmacologica è un fenomeno che colpisce circa il 41%-50% delle
persone affette da schizofrenia, ed è un fattore predittivo del rischio di recidive e di
ricoveri, tanto che i pazienti non aderenti hanno un rischio 5 volte superiore di
riacutizzazioni di malattia rispetto a coloro che assumono regolarmente la terapia
(Petretto et al., 2013).
I motivi per cui una persona non riesce ad essere compliante possono essere i seguenti
(Tatarelli, 2009):
dimenticanza nell'assumere regolarmente i farmaci (questo rischio aumenta se il
piano terapeutico è complesso);
mancanza di fiducia nei confronti dei professionisti sanitari;
esperienze spiacevoli in passato rispetto alla terapia prescritta;
delusione per quanto riguarda i risultati attesi.
Nei disturbi psicotici, specie nella schizofrenia, i fattori di rischio che possono causare
una scarsa/nulla compliance sono (Tatarelli, 2009):
basso livello di insight del paziente, inteso come scarsa/nulla consapevolezza dei
sintomi della malattia e della necessità di assumere un trattamento;
effetti collaterali della terapia antipsicotica (in particolar modo disturbi del
movimento, incremento ponderale e disturbi metabolici, presenti con le vecchie
fenotiazine ma spesso associati anche ai nuovi antipsicotici);
scarsa conoscenza della patologia, associata a convinzioni errate del paziente sui
farmaci antipsicotici;
gravità della sintomatologia;
gravità delle disfunzioni cognitive.
Per aiutare la persona affetta da schizofrenia a raggiungere e mantenere livelli di
compliance migliori, i professionisti sanitari possono agire su alcuni fattori (Matsuda &
Kohno, 2016; Tatarelli, 2009):
informazioni sui meccanismi della malattia e della terapia;
livello di comprensione/insight riguardo la patologia;
livello di comprensione/insight riguardo la necessità dover seguire un regime
terapeutico;
20
buona alleanza terapeutica, basata su stima e fiducia tra le parti in causa (clinico
e paziente).
Stando a quanto detto sinora, il clinico può aumentare la compliance del paziente
assumendo atteggiamenti collaborativi, mostrandosi disponibile ad informare paziente e
familiari sulla malattia e sulla terapia, ed aiutandoli ad avere più fiducia nel trattamento
sanitario proposto (Tatarelli, 2009).
Come si è visto, la farmacoterapia è un intervento terapeutico importante nella gestione
della schizofrenia: il raggiungimento e mantenimento di un buon livello di compliance
terapeutica garantisce una prognosi più favorevole, riducendo il rischio di riacutizzazioni
e di ricoveri, entrambi fattori che aumentano in maniera considerevole il livello di burden
dei caregivers, e diminuiscono la qualità di vita dell'intero nucleo familiare (Petretto et
al., 2013).
Come si vedrà in seguito, la letteratura suggerisce che le formulazioni long acting possono
migliorare la compliance grazie ad un maggiore controllo da parte dei professionisti
sanitari e dei familiari sul comportamento del paziente, ma non influiscono in alcun modo
sull'aderenza terapeutica (Tatarelli, 2009).
Vi sono numerose evidenze che sottolineano come la sola somministrazione della terapia
antipsicotica, anche in formulazione depot, non garantisca al paziente il raggiungimento
di esiti di salute soddisfacenti; essa esige di essere affiancata da interventi di natura
educativa che completino ed implementino l'efficacia dei farmaci, al fine di permettere
alla persona malata di vivere una vita migliore.
21
CAPITOLO 2
Per la stesura del presente lavoro, è stata condotta una ricerca in letteratura all'interno
delle seguenti banche dati internazionali: Chocrane Library (il materiale è stato reperito
all'interno delle sezioni Cochrane Central Register of Controlled Trials e Cochrane
Database of Systematic Review-“Mental Health”), Elsevier, Pubmed.
Le stringhe di ricerca utilizzate sono:
((("Antipsychotic Agents/therapeutic use"[Mesh]) AND "Delayed-Action
Preparations"[Mesh]) AND "Schizophrenia/drug therapy"[Mesh]) AND
"Treatment Outcome"[Mesh]
(("Antipsychotic Agents/therapeutic use"[Mesh]) AND "Schizophrenia/drug
therapy"[Mesh]) AND "Schizophrenia/prevention and control"[Mesh]
(("Antipsychotic Agents"[Mesh]) AND "Delayed-Action Preparations"[Mesh])
AND "Patient Compliance"[Mesh]
Antipsychotic medication adherence AND psychiatric nursing interventions AND
stigma
Mental Health-Schizophrenia & psychosis (in CDSR-Cochrane Database of
Systematic Review-“Mental Health”)
Schizophrenia AND psichoeducation (in Cochrane Central Register of Controlled
Trials)
Alla base di questo studio vi sono i seguenti quesiti di ricerca (di seguito riportati in forma
narrativa):
1) La terapia depot migliora la qualità di vita della persona affetta da psicosi
schizofrenica? (quesito di background)
23
2) Quali strategie educative l'infermiere può mettere in atto per migliorare la qualità di
vita del paziente affetto da psicosi schizofrenica, in terapia con farmaci long acting di
seconda generazione, in un contesto assistenziale territoriale? (quesito di foreground)
24
2.4 Criteri di selezione
La raccolta degli articoli all'interno delle diverse banche dati è avvenuta nel rispetto dei
seguenti criteri di selezione:
coerenza con il quesito di ricerca;
periodo di pubblicazione: 6 anni (gennaio 2010-settembre 2016);
tipologia di documento: RCTs, meta analisi, revisioni sistematiche, articoli di
revisione, studi comparativi, studi osservazionali, studi multicentrici;
presenza dell'abstract;
tipo di patologia: schizofrenia;
genere dei partecipanti: maschile e femminile;
età dei partecipanti: tra i 18 e i 65 anni;
regime di cura dei partecipanti: ambulatoriale;
contesto assistenziale: territoriale.
25
CAPITOLO 3
Gli studi selezionati sono stati organizzati in tre paragrafi: il primo raccoglie documenti
riguardanti i farmaci antipsicotici (long acting ed orali, di prima e di seconda
generazione); il secondo riunisce studi concernenti interventi educativi infermieristici
rivolti al singolo paziente; il terzo raggruppa documenti inerenti interventi educativi
infermieristici rivolti a paziente e familiari.
27
l'efficacia in termini di numero di riacutizzazioni della malattia, numero di ricadute a
distanza di 3,6,12 mesi, eventuali fallimenti del trattamento, numero di ricoveri, tasso di
abbandono dello studio, intollerabilità.
Descrizione
E' stata condotta una ricerca in letteratura all'interno delle seguenti banche dati: Medline,
Pubmed, Cochrane Library, PsychINFO.
Stando ai criteri di inclusione dichiarati dagli autori, i documenti selezionati sono:
studi controllati randomizzati, della durata di almeno 6 mesi, che mettono a
confronto antipsicotici di prima (First Generation Antipsychotic, FGA) e di
seconda generazione (Second Generation Antipsychotic, SGA) per misurare la
loro efficacia nel prevenire le recidive e nel mantenere un buon livello di
compliance farmacologica in adulti affetti da schizofrenia;
studi che forniscono dati riguardanti numero di riacutizzazioni di malattia e
numero di ricoveri.
Gli outcomes adottati dagli autori sono:
numero di riacutizzazioni di malattia (misurate in termini di numero di ricoveri);
numero di riacutizzazioni di malattia negli ultimi 3,6 e 12 mesi;
fallimento del trattamento (inteso come presenza di una riacutizzazione di malattia
e/o della discontinuità nell'assunzione dei farmaci dovuta a qualsiasi causa);
numero di ricoveri/di abbandoni dovuti ad una qualsiasi causa, alla mancanza di
compliance, alla mancanza di tollerabilità.
I farmaci antipsicotici di seconda generazione sono stati posti a confronto con quelli di
prima generazione sia singolarmente, sia come classe farmacologica.
Risultati
La revisione prende in considerazione 19 studi controllati randomizzati, per un totale di
4.504 partecipanti.
In base ai dati raccolti nel corso della revisione, gli autori osservano che:
gli antipsicotici di seconda generazione, se considerati come gruppo/classe
farmacologica, sono più efficaci rispetto agli antipsicotici di prima generazione
nel prevenire le riacutizzazioni di malattia (p=0,003);
gli antipsicotici di seconda generazione, se considerati come gruppo/classe
farmacologica, sono più efficaci nel ridurre il numero di recidive, rispetto agli
28
antipsicotici di prima generazione, in tutti gli intervalli di tempo stabiliti (i dati
riportati all'interno delle parentesi si riferiscono al numero di persone che vivono
delle recidive nel corso del trattamento antipsicotico):
- a 3 mesi [13,8% (SGA) vs 17,4% (FGA); p=0,04];
- a 6 mesi [21% (SGA) vs 28,1% (FGA); p<0,0001];
- a 12 mesi [31,4% (SGA) vs 37,1% (FGA) ; p=0,0001];
per quanto riguarda il tasso di persone che hanno smesso di assumere la terapia
in seguito ad un fallimento del trattamento, solo l'olanzapina sembra essere l'unico
antipsicotico atipico che, preso singolarmente, è superiore rispetto agli
antipsicotici di prima generazione nel ridurre questo fenomeno (p=0,03); se
considerati come insieme/classe farmacologica, gli antipsicotici di seconda
generazione sono nettamente più efficaci rispetto a quelli di prima generazione
anche in questo frangente (p=0,003);
per quanto riguarda il numero di ricoveri conseguenti ad una mancata
compliance farmacologica, gli antipsicotici di seconda generazione, come gruppo
farmacologico, sono superiori a quelli di prima generazione (i dati riportati
all'interno delle parentesi si riferiscono al numero di persone, espresso in
percentuale, che mostrano una scarsa/nulla compliance nel corso del trattamento
antipsicotico: 12,1% (SGA) vs 16,9% (FGA); p=0,004);
se considerati come gruppo, gli antipsicotici di seconda generazione risultano
ancora una volta superiori a quelli di prima generazione solo per quanto riguarda
il numero di abbandoni dovuto a qualsiasi ragione (p=0,06); non per quanto
concerne la mancanza di compliance (p=0,20) o l'intolleranza (p=0,05).
29
Long acting injectable versus oral antipsychotics in schizophrenia: a systematic
review and meta analysis of mirror image studies - T. Kishimoto et al. 2013 –
Università di Medicina Keio di Tokio (Giappone; con esponenti del team di ricerca
provenienti dagli USA)
Revisione sistematica
Obiettivo
Il presente studio intende fornire una revisione delle principali evidenze scientifiche che
operano un confronto tra farmaci antipsicotici long acting e farmaci antipsicotici orali,
al fine di verificare quale sia la formulazione più efficace nel trattamento delle persone
affette da psicosi schizofrenica.
Descrizione
E' stata condotta una ricerca in letteratura all'interno delle seguenti banche dati: Medline,
Pubmed, Cochrane Library, Web of Science, PsycINFO e Cinhal.
In base ai criteri di selezione dichiarati dagli autori, i documenti inclusi in questa revisione
sono:
studi osservazionali-mirror image che mettono a confronto farmaci antipsicotici
long acting e le rispettive formulazioni orali nel trattamento di adulti, affetti da
schizofrenia o da disturbi ad essa correlati, che hanno iniziato una terapia
antipsicotica depot in seguito all'assunzione di farmaci orali e che sono stati
seguiti per un periodo di follow up superiore a 12 mesi (campione degli studi con
più di 30 elementi);
studi che forniscono dati riguardanti il numero di ricoveri e di riacutizzazioni di
malattia della popolazione presa in esame.
Gli outcomes presi in considerazione dagli autori sono:
rischio di ospedalizzazione (definito come “numero di pazienti che sperimentano
1 o più ricoveri in un anno”);
numero totale di ricoveri (numero di ricoveri per persona/anno);
durata dei ricoveri.
Risultati
La ricerca in letteratura ha permesso di individuare 5.483 documenti; di questi, ne sono
stati scelti ed ispezionati per intero 607; in seguito a questa prima analisi, 582 studi sono
stati esclusi per i seguenti motivi: dati inutilizzabili, nessuna informazione riguardante il
30
periodo di trattamento con antipsicotico orale prima del trattamento depot; nessun dato
originale; studi non riguardanti antipsicotici long acting; studi non mirror-image; studi di
durata troppo breve.
Alla fine, sono stati selezionati e revisionati 25 studi, per un totale di 5886 pazienti.
Le sostanze long acting analizzate all'interno degli studi revisionati sono: ripseridone
(antipsicotico di seconda generazione); flufenazina (antipsicotico di prima generazione);
antipsicotici long acting sia di prima che di seconda generazione non specificati;
clopentixolo, perfenazina, flupentixolo (antipsicotici di prima generazione).
In base ai dati raccolti nel corso della revisione, gli autori osservano che:
i farmaci antipsicotici long acting sono più efficaci rispetto a qualsiasi
antipsicotico orale nel ridurre il rischio di ospedalizzazione (16 studi, 4.066
partecipanti, p<0,001);
gli antipsicotici depot si dimostrano nettamente superiori rispetto agli
antipsicotici orali nel diminuire il numero di ricoveri (15 studi, 6.342
partecipanti, p<0,001).
Per quanto riguarda la durata dei ricoveri (numero di giorni), i revisori segnalano che:
i farmaci antipsicotici depot sono significativamente più efficaci nel diminuire i
giorni dei pazienti in ospedale (7 studi, p<0,0001); gli autori fanno presente il
motivo del numero ridotto di studi a supporto di tale risultato, dovuto al fatto che
raramente gli studi riportano la lunghezza dei ricoveri.
Infine, gli autori segnalano la presenza di uno studio, tra quelli scelti ed analizzati in
questa revisione, il quale riferisce che l'uso di antipsicotici long acting riduce in maniera
significativa il rischio di non compliance (dal 79% al 33%, p<0,001).
A nationwide cohort study of oral and depot antipsychotics after first hospitalization
for schizophrenia - J. Tiihonen et al. 2011 – Niuvanniemi Hospital di Kuopio (Finlandia;
con esponenti del team di ricerca provenienti dal Regno Unito)
Studio di coorte
Obiettivo
Scopo principale di questo studio è fornire una stima del rischio di ricovero, di mancanza
di compliance farmacologica e di mortalità delle persone affette da psicosi schizofrenica,
che assumono terapia antipsicotica orale o depot.
31
Per fare ciò, gli autori operano un confronto tra antipsicotici long acting ed antipsicotici
orali al fine di individuare quale sia il tipo di farmaco più efficace nell'aumentare la
compliance farmacologica e nel ridurre il numero di ricoveri; entrambi questi fattori,
infatti, sono legati al verificarsi di riacutizzazioni di malattia (recidive).
L'ipotesi iniziale avanzata dai ricercatori è che non esistano differenze tra i diversi tipi di
antipsicotici, siano essi depot o orali, per quanto concerne l'efficacia nel ridurre il numero
di recidive.
Descrizione
In base ai criteri di inclusione dichiarati dagli autori, lo studio coinvolge persone di età
compresa tra i 18 e i 65 anni, che hanno vissuto il loro primo ricovero psichiatrico tra il
2000 e il 2007, in occasione del quale è stata loro diagnosticata la schizofrenia. I soggetti,
selezionati all'interno del Finnish National Hospital Discharge Register (database
amministrato dall'Istituto Nazionale della Sanità finlandese), presentano scarsa/nulla
compliance al trattamento farmacologico prescritto (sia esso depot od orale) nei sei mesi
precedenti il reclutamento per lo studio.
Tra gli outcomes presi in considerazione dagli autori si segnalano:
grado di non compliance;
numero di ricoveri in seguito a riacutizzazioni dei sintomi psicotici.
Risultati
La consultazione del Finnish National Hospital Discharge Register ha permesso di
individuare 33.318 persone che hanno vissuto un ricovero per gravi disturbi mentali; di
queste, 7.434 hanno vissuto il loro primo ricovero psichiatrico tra il 2000 e il 2007, e
2.588 hanno riportato una diagnosi di schizofrenia, a seguito della quale è stata loro
prescritta una terapia antipsicotica depot o orale.
In base ai risultati ottenuti, gli autori osservano che:
i farmaci antipsicotici long acting riducono del 59% il rischio di scarsa/nulla
compliance rispetto alle corrispettive formulazioni orali (p<0,0001); in particolar
modo, tre antipsicotici depot (due di prima generazione, aloperidolo e
perfenazina; uno di seconda generazione, risperidone) sono associati ad un
significativo aumento della compliance rispetto alle corrispondente forma orale
(rispettivamente: p=0,03; p<0,0001; p<0,0001);
32
dal confronto tra agenti antipsicotici depot ed orali risulta che le formulazioni
long acting sono associate ad una riduzione significativa del rischio di ricovero
(p=0,007);
l'uso di una qualsiasi forma di antipsicotico, rispetto alla sua mancata assunzione,
in termini di numero di decessi/anno, viene associata ad una riduzione del rischio
di mortalità.
33
→ si compone di 4 sedute, una alla settimana, ciascuna della durata di 60-90
minuti;
→ si svolge all'interno di gruppi chiusi;
→ affronta quattro tematiche:
1. sintomi della malattia psicotica;
2. correlazione tra malattia psicotica e stress;
3. farmaci antipsicotici: effetti benefici e collaterali;
4. come imparare a convivere con la propria malattia all'interno della comunità;
→ la figura responsabile del programma (colei che conduce gli incontri) è
l'infermiere;
→ il personale infermieristico abilitato all'esecuzione degli interventi previsti dal
Nursing Psychoeducation Program (NPE) ha partecipato ad un workshop di
formazione basato sui principi-chiave di un altro programma educativo, lo
Psychoeducational Pratictioner Training Program (PPTP), sviluppato dagli
autori dello studio nel 2015;
→ per la corretta conduzione del programma, l'infermiere è tenuto a seguire un
manuale suddiviso in 5 sezioni principali:
a) relazione tra malattia psicotica, stress, terapia antipsicotica, riabilitazione
psichiatrica;
b) il passato e la situazione attuale del paziente: modi per discuterne;
c) effetti benefici e collaterali dei farmaci antipsicotici;
d) domande e risposte utili per alleviare le paure dei pazienti;
e) prevenzione delle recidive: cosa può fare il paziente.
Risultati
Lo studio coinvolge 56 pazienti, assegnati in maniera casuale a due gruppi: il gruppo
sperimentale (gruppo NPE; n=31), i cui componenti partecipano al Nursing
Psychoeducation Program , e il gruppo controllo (gruppo CS; n=25), i cui componenti
ricevono le cure standard.
Stando ai dati raccolti, gli autori osservano che:
i componenti del gruppo che ha preso parte al Nursing Psychoeducation Program
(NPE) mostrano un miglioramento in tutti gli outcomes dichiarati:
→ compliance (MPS: gruppo NPE: da 18 a 23,17; p<0,01);
34
→ risposta ai farmaci assunti (DAI-10: gruppo NPE: da 2,79 a 5,54; p<0,01);
→ conoscenza della patologia (KIDI: gruppo NPE: da 12,13 a 14,29; p<0,01).
I ricercatori sottolineano che tali benefici non si registrano all'interno del gruppo
controllo, che ha ricevuto le sole cure standard ambulatoriali: anzi, stando ai
risultati conseguiti, gli autori evidenziano come i componenti di questo gruppo
vadano incontro ad un progressivo peggioramento rispetto alla loro condizione
iniziale.
Adherence therapy versus routine psychiatric care for people with schizophrenia
spectrum disorders: A randomised controlled trial - W.T. Chien et al. 2016 - School
of Nursing, Faculty of Health and Social Sciences, Polytechnic University di Hong Kong
(Cina; con esponenti del team di ricerca provenienti dal Qatar)
Studio randommizzato controllato
Obiettivo
Lo studio intende valutare l'efficacia di un programma educativo, la Adherence Therapy
(AT), proposto insieme alle cure standard, rispetto al solo trattamento convenzionale
ambulatoriale, nel migliorare gli esiti di salute di persone affette da schizofrenia.
Descrizione
Stando ai criteri di inclusione dichiarati dagli autori, lo studio coinvolge individui che
soffrono da più di 3 anni di schizofrenia o disturbi dello spettro schizofrenico; si tratta di
soggetti di età compresa tra 18 e 64 anni, che non presentano malattie fisiche croniche,
gravi disabilità o deficit cognitivi, e che mostrano una scarsa o nulla compliance
farmacologica (ad esempio, riferiscono episodi di cessata assunzione del farmaco
antipsicotico, associati a ricovero psichiatrico, per un numero di volte maggiore o uguale
ad 1 al mese, oppure più di 3 dosi settimanali dimenticate nei tre mesi precedenti).
Gli outcomes adottati dagli autori sono:
livello di consapevolezza (insight) della malattia e della necessità di trattamento
(misurato con l'Insight and Treatment Attitudes Questionnaire; ITAQ)
funzionamento globale (misurato con la Specific Level of Functioning Scale;
SLOF)
stato mentale (misurato con la Positive and Negative Syndrome Scale; PANSS)
compliance farmacologica (misurata con la Adherence Rating Scale; ARS)
35
numero e durata (n° di giorni) dei ricoveri nei 4 mesi successivi al termine
dell'intervento.
La strategia educativa messa in atto nel corso di questo studio è il programma di
Adherence Therapy:
→ dura 12 settimane; si compone di 6 sedute, di due ore ciascuna, una ogni due
settimane;
→ prevede l'utilizzo dell'intervista motivazionale, una tecnica utile a:
- migliorare la conoscenza della patologia;
- ridurre eventuali atteggiamenti ambivalenti verso la terapia;
- superare le difficoltà nella compliance farmacologica;
→ impiega tecniche cognitivo-comportamentali e di problem solving, che aiutano
il paziente a:
- cambiare il proprio comportamento;
- riconsiderare, in maniera più obiettiva e razionale, le proprie opinioni e
convinzioni riguardanti la patologia e i farmaci;
- affrontare preoccupazioni e prevenire le recidive;
→ è tenuto da un infermiere di salute mentale che lavora in ambito territoriale;
→ avviene durante le visite domiciliari;
→ prevede l'impiego di un approccio non giudicante, empatico, per far emergere
eventuali discrepanze evitando discussioni, aggirando le resistenze e sostenendo
l'auto efficacia del paziente;
→ persegue un obiettivo finale: discutere con i pazienti i loro atteggiamenti e le
loro opinioni riguardo la malattia e l'importanza dell'aderire al trattamento, per
coinvolgerli nella risoluzione delle proprie ambivalenze e dei problemi di vita
quotidiana.
Risultati
Inizialmente, sono stati identificati 3000 pazienti affetti da schizofrenia e disturbi affini;
di questi, 1200 sono risultati eleggibili. Dei 1200 pazienti eleggibili, 650 sono stati
contattati per partecipare allo studio; 134 hanno accettato firmando il consenso informato.
Dopo una prima valutazione, i partecipanti sono stati assegnati in maniera casuale a due
gruppi: il gruppo intervento (gruppo AT; n=67), i cui componenti hanno partecipato al
36
programma educativo di Adherence Therapy (AT), e il gruppo controllo (gruppo CS;
n=67), i cui componenti hanno ricevuto le sole cure standard.
In base ai dati raccolti, gli autori osservano che:
coloro che hanno preso parte al programma di Adherence Therapy (AT),
mostrano significativi miglioramenti:
→ nel livello di consapevolezza (insight) della malattia e della necessità di
trattamento (ITAQ: gruppo AT: da 13,3 a 24,8; gruppo CS: da 14,3 a 15; p=0,001)
→ nel funzionamento globale (SLOF: gruppo AT: da 139,8 a 183,2; gruppo CS:
da 139,8 a 129,1; p=0,005);
→ nello stato di salute mentale (gravità dei sintomi) (PANSS: gruppo AT: da 80,6
a 59; gruppo CS: da 81,6 a 82,8; p=0,003);
→ nella compliance farmacologica (ARS: gruppo AT: da 1,3 a 2,5; gruppo CS:
da 1,3 a 1,5; p=0,005);
→ nel numero e nella durata dei ricoveri (N° ricoveri: gruppo AT: da 2 a 1;
gruppo CS: da 2 a 2; durata ricoveri: gruppo AT: da 9,9 a 7; gruppo CS: da 9,2
a 15; p=0,005).
I ricercatori sottolineano che tali migliorie sono presenti anche a distanza di 18
mesi dalla fine del programma; tali benefici non si registrano all'interno del
gruppo controllo, che ha beneficiato delle sole cure standard; anzi, stando ai
risultati conseguiti, gli autori evidenziano come i componenti di questo gruppo
riportino trascurabili miglioramenti, oppure vadano incontro ad un progressivo
peggioramento rispetto alla loro condizione iniziale.
37
Per questa ragione, gli autori effettuano un duplice confronto, comparando il programma
sperimentale sia con un intervento psicoeducativo convenzionale sia con il solo
trattamento standard ambulatoriale.
Descrizione
Stando ai criteri di inclusione dichiarati dagli autori, lo studio coinvolge persone di età
superiore ai 18 anni, affette da schizofrenia da almeno 5 anni, che non presentano ulteriori
patologie mentali o eventuali disturbi cerebrali di natura organica.
Gli outcomes presi in considerazione dagli autori sono:
livello di insight (misurato con con l'Insight and Teatment Attitude Questionnaire;
ITAQ)
capacità di vivere in un contesto sociale comunitario (misurato con la Specific
Level of Functioning Scale; SLOF)
stato mentale (misurato con la Brief Psychiatric Rating Scale; BPRS)
livello di supporto sociale e funzionale ricevuto (misurato con il Social Support
Questionnaire a 6 items; SSQ6),
numero di ricoveri.
Le strategie educative messe in atto all'interno del presente studio sono:
il Mindfulness-based Psychoeducation Programme (MBPP):
→ dura 6 mesi, si compone di 12 sedute, bisettimanali, di due ore ciascuna;
→ è programma educativo basato su alcune tecniche di auto consapevolezza;
→ mira a ridurre lo stress vissuto dalla persona affetta da psicosi schizofrenica
attraverso l'uso di tecniche di meditazione e discussione;
→ intende cambiare il modo in cui il paziente si relaziona con i propri pensieri e
sensazioni negative, insegnando ad osservarli in maniera più distaccata e
consapevole, di modo da accettare la propria malattia, aumentare il proprio
empowerment e raggiungere uno stato di maggiore relax emotivo;
→ i pazienti che vi prendono parte sono suddivisi in gruppi di 11-13 persone;
→ le sedute sono condotte da un infermiere, che veste i panni del terapeuta: egli
a) aiuta a diventare più consapevoli delle difficoltà correlate alla patologia;
b) conduce a rapportarsi in maniera diversa con pensieri, sentimenti, sensazioni,
deliri ed allucinazioni;
c) educa a non confondere le allucinazioni con la realtà;
38
→ si suddivide in tre fasi:
1. fase I: orientamento e coinvolgimento dei pazienti; aumento dell'empowerment e
della concentrazione sulle esperienze vissute, sulle sensazioni corporee, sui
pensieri; esercizi di autoconsapevolezza guidati; compiti per casa;
2. fase II: educazione alla cura della schizofrenia; esplorazione delle difficoltà
derivanti da sintomi psicotici; attuazione di pratiche di problem solving;
3. fase III: attuazione di strategie per la prevenzione delle recidive; utilizzo delle
risorse messe a disposizione dalla comunità; progetti per il futuro;
→ i partecipanti sono invitati a praticare regolarmente (quotidianamente) esercizi
di auto consapevolezza , concentrandosi sulle sensazioni corporee, sui pensieri e
sui sentimenti, adottando strategie di auto-empowerment per gestire meglio
pensieri e sensazioni negativi, cause di stress emotivo.
il programma psicoeducativo convenzionale (CPEP):
→ dura di 6 mesi, si compone di 12 sedute, bisettimanali, della durata di due ore
ciascuna;
→ i pazienti destinati a prendere parte al programma sono suddivisi in gruppi di
11-13 persone;
→ prevede l'attuazione di interventi psicosociali ed educativi;
→ si suddivide in 4 fasi:
1. fase I: coinvolgimento ed empowering del paziente (orientamento e
coinvolgimento dei partecipanti; discussione degli obiettivi; 2 sedute);
2. fase II: educazione e workshop su aspetti chiave della schizofrenia, situazioni
stressanti della vita quotidiana e strategie di coping che possono essere messe in
atto (4 sedute);
3. fase III: prevenzione delle recidive attraverso un training della pratica del problem
solving (4 sedute);
4. fase IV: valutazione delle conoscenze e capacità apprese e pensare a progetti per
il futuro (2 sedute).
Gli autori segnalano che entrambi i programmi sono condotti da infermieri di salute
mentale, con pregressa esperienza nell'ambito, adeguatamente formati mediante una
partecipazione ad un workshop di 3 giorni, durante il quale hanno appreso contenuti e
modalità di svolgimento delle rispettive strategie.
39
Risultati
I pazienti risultati eleggibili sono 107, selezionati in maniera casuale e assegnati, sempre
in maniera casuale, a tre gruppi:
1. il gruppo sperimentale (gruppo MBPP; n=36) , i cui componenti hanno partecipato
al programma Mindfulness-based Psychoeducation Programme (MBPP);
2. il primo gruppo controllo (gruppo CPEP: n=36), i cui componenti hanno preso
parte al programma psicoeducativo convezionale;
3. il secondo gruppo controllo (gruppo CS; n=35), i cui componenti hanno ricevuto
le cure standard.
Alla luce dei dati raccolti, gli autori osservano che:
le persone che prendono parte ai due programmi educativi (il Mindfulness-based
Psychoeducation Programme-MBPP e il programma psicoeducativo
convenzionale-CPEP) mostrano un miglioramento progressivo:
→ del livello di insight (ITAQ: gruppo MBPP: da 14,3 a 21,3; gruppo CPEP: da
14 a 16,3; p=0,001);
→ della capacità di vivere in un contesto sociale comunitario (SLOF: gruppo
MBPP: da 138,1 a 176,9; gruppo CPEP: da 135,9 a 146,1; p=0,004);
→ dello stato mentale (BPRS: gruppo MBPP: da 30,6 a 17; gruppo CPEP: da 32
a 28,1; p=0,005).
Gli autori sottolineano come tali riprese non si verificano all'interno del gruppo
che ha beneficiato delle sole cure standard: stando ai risultati ottenuti, si osserva
un miglioramento trascurabile se non, addirittura, un peggioramento rispetto alla
condizione iniziale;
per quanto riguarda il numero dei ricoveri, coloro che partecipano al programma
educativo Mindfulness-based Psychoeducation Programme (MBPP), vivono un
minor numero di ricoveri rispetto a coloro che prendono parte al programma di
psicoeducazione convenzionale o alle sole cure standard, tuttavia si tratta di dati
non statisticamente significativi (N° ricoveri: gruppo MBPP: da 2,8 a 1,8; gruppo
CPEP: da 2,5 a 2,3; gruppo CS: da 2,7 a 3; p=0,096);
per quanto concerne la durata delle riammissioni ospedaliere, invece, i
componenti dei gruppi che partecipano ad entrambi i programmi educativi
proposti (il Mindfulness-based Psychoeducation Programme-MBPP e il
40
programma psicoeducativo convenzionale-CPEP) vivono ricoveri più brevi
rispetto all'inizio dei trattamenti (Durata ricoveri: gruppo MBPP: da 19 a 11
giorni; gruppo CPEP: da 18,5 a 16,1 giorni; p=0,004).
I risultati dello studio mostrano come tale miglioria non si verifichi all'interno del
gruppo che ha beneficiato delle sole cure standard, anzi: i ricercatori registrano un
aumento del numero di giorni di ricovero (Durata ricoveri: gruppo CS: da 19,2 a
21).
41
frequenza d'uso dei servizi sanitari psichiatrici (misurato con il Family Support
Service Index modificato, M-FSSI)
numero/durata dei ricoveri.
La strategia educativa messa in atto nel corso dello studio è il programma educativo
individuale Needs-based Psychoeducation Programme (NPEP):
→ dura tre mesi, si compone di 6 sedute, bi settimanali, di un'ora ciascuna;
→ è costituito da una serie di interventi educativi e di supporto, e si basa sui
principi di valutazione ed educazione infermieristica;
→ affronta sette tematiche:
1. introduzione alla tema della salute mentale;
2. comprensione della salute mentale e della malattia mentale;
3. igiene del sonno e alleviamento dell'ansia;
4. trattamenti psichiatrici e farmacologia;
5. strategie di coping per gestire i disturbi mentali;
6. abilità relazionali;
7. risorse di supporto messe a disposizione dalla comunità e progetti per il futuro;
→ prevede l'effettuazione di una valutazione iniziale dei bisogni educativi di
ciascun paziente utilizzando uno strumento apposito: l'Educational Needs
Questionnaire;
→ figura chiave del programma è l'infermiere di salute mentale; egli è colui che,
in collaborazione con il paziente:
- ordina per priorità i bisogni educativi individuali;
- formula un programma educativo personalizzato;
- gestisce l'approfondimento di ogni singola tematica;
→ le prime due sedute si focalizzano sull'accettazione dei ruoli sociali e
sull'adozione di nuove modalità di comunicazione con i membri della famiglia; si
indagano poi le abilità nel risolvere i conflitti e i disturbi comportamentali che
emergono durante la vita quotidiana;
→ il modo di eseguire gli interventi educativi viene valutato attraverso
registrazioni audio delle sedute, che vengono ascoltate e discusse
sistematicamente; per le registrazioni, è stato ottenuto il consenso dei partecipanti.
42
Risultati
Inizialmente, sono stati identificati 234 pazienti eleggibili; di questi, 150 hanno
acconsentito a partecipare allo studio, e, al termine della selezione iniziale, 96 sono stati
scelti per costituire il campione di ricerca.
Dopo aver firmato il consenso informato, i 96 partecipanti sono stati assegnati in maniera
casuale a due gruppi: il gruppo sperimentale (gruppo NPEP; n=48), i cui componenti
hanno partecipato al programma Needs-based Psychoeducation Programme (NPEP), e il
gruppo controllo (gruppo CS; n=48) , i cui componenti hanno ricevuto le cure standard.
Alla luce dei dati raccolti, gli autori osservano che:
coloro che partecipano al programma educativo Needs-based Psychoeducation
Programme (NPEP) registrano un progressivo miglioramento:
-> dello stato mentale (BPRS: gruppo NPEP: da 4,7 a 3; gruppo CS: da 4,5 a 4,8;
p<0,001);
-> dell'insight (ITAQ: gruppo NPEP: da 9,1 a 15,2; gruppo CS: da 10,1 a 12,4;
p<0,01);
-> del livello di autoefficacia, associato ad una migliore capacità da parte del
soggetto malato di gestire le situazioni stressanti della vita quotidiana (PSS:
gruppo NPEP: da 16,9 a 27,5; gruppo CS: da 15,6 a 15; p<0,001).
I ricercatori sottolineano che tali migliorie sono presenti anche a distanza di 6
mesi dalla fine del programma;
le persone che prendono parte al programma educativo Needs-based
Psychoeducation Programme (NPEP), mostrano una riduzione del numero e
della durata dei ricoveri nell'arco di tutto il periodo dello studio, sino a 6 mesi
dopo la fine del programma (N° ricoveri: gruppo NPEP: da 1,2 a 1,1; gruppo
CS: da 1,3 a 2,7; Durata ricoveri: gruppo NPEP: da 8,3 a 5,2; gruppo CS: da
9,2-a 14,1; p<0,01).
Gli autori sostengono che tali osservazioni non possono essere estese a coloro che
ricevono le sole cure standard: dai risultati si osserva, infatti, come essi, vadano
incontro, con il passare del tempo, ad un graduale peggioramento rispetto alle loro
condizioni iniziali.
43
3.1.1.3 Interventi educativi infermieristici rivolti a paziente e familiari
Psychoeducation (brief) for people with serious mental illness – S. Zhao et al. 2015 –
Università di Tianjin (Cina)
Revisione sistematica
Obiettivo
Scopo principale di questo studio è fornire una revisione delle evidenze riguardanti
programmi brevi di psicoeducazione (della durata di 10 sedute o meno), erogati insieme
alle cure standard, al fine di verificare l'effettiva efficacia di questo tipo di intervento
educativo nella presa in carico della persona affetta da psicosi schizofrenica e dei suoi
caregivers.
Obiettivo secondario è valutare l'esistenza di un particolare tipo di intervento
psicoeducativo breve (individuale, familiare, di gruppo) che sia più efficace rispetto ad
altri.
Descrizione
Per la stesura della presente revisione è stata condotta una ricerca in letteratura all'interno
del Cochrane Schizophrenia Group Register; stando ai criteri di inclusione dichiarati dagli
autori, i documenti inclusi in questo lavoro sono studi controllati randomizzati,
riguardanti esclusivamente programmi psicoeducativi di breve durata rivolti a persone
affette da gravi patologie mentali (gli autori precisano che si tratta per la maggior parte di
persone malate di schizofrenia) e ai loro caregivers. I pazienti hanno un'età compresa tra
i 18 e i 65 anni, non presentano doppia diagnosi (ossia grave patologia mentale
accompagnata da abuso di sostanze), demenza o deficit cognitivi importanti.
Gli outcomes considerati dai revisori sono:
livello di compliance;
numero di recidive;
livello di conoscenza della malattia e dei farmaci antipsicotici;
comportamento;
stato complessivo;
funzionamento globale;
grado di utilizzo dei servizi sanitari;
stato mentale;
funzionamento sociale;
44
capacità di esprimere emozioni;
qualità di vita;
soddisfazione rispetto alle cure ricevute;
effetti collaterali;
costi.
I ricercatori suddividono gli interventi individuati nel corso della revisione in due macro
categorie:
i programmi brevi di psicoeducazione:
→ definiti dagli autori come “progetti educativi, individuali o di gruppo, che
prevedono un'interazione tra paziente e professionista sanitario”;
→ affrontano la malattia mentale da molteplici punti di vista, prendendo in
considerazione l'ambito familiare, sociale, biologico e farmacologico;
→ perseguono i seguenti obiettivi:
- garantire supporto emotivo;
- dare informazioni riguardanti la malattia e i farmaci antipsicotici;
- fornire indicazioni utili per adottare strategie di gestione efficaci;
le cure standard:
→ definite dagli autori come l'insieme dei trattamenti standard ambulatoriali
trattati nei singoli documenti selezionati e rivolti a persone affette da schizofrenia;
→ prevedono sostanzialmente terapia cognitivo-comportamentale, trattamento
farmacologico, forme di educazione standard, riabilitazione standard.
Risultati
La ricerca in letteratura ha permesso di individuare 268 documenti; di questi, 211 sono
stati esclusi in quanto non rispondenti ai criteri di inclusione dichiarati; i 57 rimanenti
sono stati valutati. Questa valutazione ha portato all'esclusione di altri 37 studi (le ragioni
che hanno portato alla loro estromissione sono: mancata randomizzazione; riguardare
solo i caregivers; trattare interventi psicoeducativi superiori alle 10 sedute; trattare altri
tipi di interventi psicosociali; essere ancora in fase di svolgimento).
Alla fine, sono stati inclusi 20 studi, per un totale di 2337 partecipanti.
Nel corso della revisione, gli autori hanno potuto osservare che i programmi
psicoeducativi di breve durata :
45
migliorano la compliance delle persone affette da schizofrenia nel breve (a
distanza di 12 settimane dal termine del programma) e nel medio termine (a
distanza di 13-52 settimane dalla fine del programma);
riducono il rischio di recidive nel medio termine (a distanza di 13-52 settimane
dalla fine del programma);
aumentano il livello di conoscenza dei pazienti riguardo la schizofrenia;
migliorano il funzionamento sociale complessivo dei pazienti (comprese le loro
abilità relazionali e lavorative);
migliorano la qualità di vita dei pazienti e dei caregivers nel breve termine (a
distanza di 12 settimane dalla fine del programma).
Si ritiene opportuno segnalare che gli autori non forniscono alcuna informazione circa
eventuali risultati riguardanti l'obiettivo secondario della revisione, ossia l'individuazione
di un particolare tipo di intervento psicoeducativo breve (individuale, familiare, di
gruppo) che sia più efficace rispetto ad altri.
46
Obiettivo
Scopo principale di questo studio è fornire una revisione delle evidenze che analizzano
l'efficacia di interventi psicoeducativi in generale, erogati insieme alle cure standard,
rispetto ai soli trattamenti convenzionali, nella presa in carico di persone affette da gravi
patologie mentali e dei loro caregivers.
Obiettivo secondario è verificare l'esistenza di un particolare tipo di intervento
psicoeducativo (individuale, familiare, di gruppo; breve o lungo) migliore rispetto ad altri.
Descrizione
Per la realizzazione della presente revisione, è stata condotta una ricerca di letteratura
all'interno della banca dati on line Cochrane Library (nella sezione sezione Cochrane
Schizophrenia Group Trial Register); stando ai criteri di inclusione dichiarati dagli autori,
questo lavoro include studi controllati randomizzati, che trattano interventi di
psicoeducazione, sia individuali sia di gruppo, rivolti a persone che soffrono di gravi
disturbi della sfera affettiva (schizofrenia, disturbo schizofreniforme, disturbo
schizoaffettivo, disturbo schizotipico) e ai loro caregivers.
Gli outcomes presi in considerazione dai revisori sono:
livello di compliance
numero di recidive
livello di conoscenza della malattia
comportamento
funzionamento sociale
funzionamento globale
utilizzo dei servizi sanitari
stato globale
stato mentale
livello di emozioni espresse
qualità di vita
grado di soddisfazione delle cure ricevute
effetti collaterali
costi.
47
I ricercatori suddividono gli interventi individuati nel corso della revisione in due macro
categorie:
interventi di psicoeducazione:
→ definiti dagli autori come “interventi educativi, individuali o di gruppo, che
prevedono un'interazione tra paziente e professionista sanitario”
→ affrontano la malattia mentale da molteplici punti di vista, prendendo in
considerazione l'ambito familiare, sociale, biologico e farmacologico;
→ perseguono i seguenti obiettivi:
- garantire supporto emotivo;
- dare informazioni riguardanti la malattia e i farmaci antipsicotici;
- fornire indicazioni utili per adottare strategie di gestione efficaci.
Si noti come questo studio presenta una continuità di temi ed obiettivi con la
ricerca successiva, ad indicare la stretta correlazione tra i due: il secondo riprende
ed approfondisce un aspetto del primo.
cure standard:
→ definite dagli autori come l'insieme dei trattamenti standard ambulatoriali,
contenuti nei singoli documenti selezionati, rivolti a persone affette da
schizofrenia e ai loro caregivers, in un contesto assistenziale territoriale;
→ prevedono sostanzialmente terapia cognitivo-comportamentale, trattamento
farmacologico, forme di educazione standard, riabilitazione standard.
Risultati
La revisione include 44 studi, per un totale di 5142 partecipanti; tali documenti sono stati
prodotti in un periodo compreso tra il 1988 e il 2009.
Nel corso della revisione, gli autori hanno potuto osservare che gli interventi
psicoeducativi, in generale:
migliorano la compliance nel breve, medio e lungo termine (ovvero a distanza di
12, 13, 52 settimane dalla conclusione dell'intervento);
riducono il numero di recidive;
promuovono un miglior funzionamento globale e sociale della persona affetta da
psicosi schizofrenica;
incrementano il grado di soddisfazione per i servizi di salute mentale e migliorano
la qualità di vita della persona malata e dei suoi caregivers;
48
limitano il bisogno di un aumento del dosaggio dei farmaci, ed aumentano la
durata dei periodi di stabilità e di benessere nelle persone affette da schizofrenia;
riducono il verificarsi di fenomeni di ansia e depressione; permettono una
riduzione statisticamente significativa delle emozioni espresse dai familiari nel
breve termine; tuttavia, gli autori affermano che non ci sono dati sufficienti per
poter dire lo stesso a medio e lungo termine;
portano benefici sul piano economico conseguenti ad una riduzione del numero di
recidive e di accessi ai servizi sanitari.
49
salute mentale generale dei caregivers (misurato con il General Helath
Questionnaire, nel format di 28 items- GHQ-28, e con la Center for Epidemiologic
Studies Depression Scale -CES-D).
La strategia educativa messa in atto all'interno di questo studio è lo Psychoeducational
Intervention Program (PIP):
→ nasce dalla collaborazione di psichiatri, psicologi ed esperti della salute
mentale (tra cui anche infermieri) con esperienza nel lavoro a contatto diretto
con pazienti e caregivers;
→ persegue l'obiettivo di:
a) aiutare il caregiver a focalizzarsi sulle proprie convinzioni negative al fine di
identificarle e modificarle;
b) permettere al caregiver di sviluppare un nuovo atteggiamento di coping per
gestire meglio il carico assistenziale richiesto da una persona affetta da
schizofrenia.
→ riprende l'approccio cognitivo-comportamentale e i principi-base di un altro
programma educativo, sviluppato e proposto in uno studio precedente, risalente al
2003 (studio REACH-II): si tratta di un progetto educativo rivolto a caregivers di
persone affette da demenza, successivamente riadattato per essere proposto a
caregivers di persone affette da schizofrenia (lo Psychoeducational Intervention
Program-PIP è frutto di tale arrangiamento). Il programma educativo proposto
nello studio REACH-II fornisce ai caregivers educazione, capacità di gestione dei
comportamenti difficili, supporto sociale, strategie per rielaborare stati emotivi
negativi, per aumentare comportamenti salutari e per gestire lo stress;
→ si compone di 12 sedute di gruppo, settimanali, di 90-120 minuti ciascuna; per
evitare che fatica e disattenzione vanifichino l'efficacia degli interventi messi in
atto, è prevista una pausa di 15 minuti a metà di ogni seduta; ogni seduta propone:
a) un momento introduttivo, in cui si rivede quanto è emerso durante le
esercitazioni assegnate “per casa”;
b) una lezione frontale, in cui si forniscono informazioni sul tema principale;
c) un momento dedicato ad esercizi pratici, utili per mettere in pratica conoscenze
ed abilità acquisite;
50
→ nel corso di ogni seduta, il caregiver riceve informazioni sul decorso clinico
della schizofrenia e partecipa a percorsi di apprendimento di abilità assistenziali,
di comunicazione, utili per creare situazioni piacevoli/di relax, per cercare
supporto; apprende inoltre tecniche di rilassamento;
-> richiede una partecipazione attiva da parte dei caregivers (ad esempio, i
partecipanti sono invitati a prendere parte a giochi di ruolo, in cui devono mettere
in pratica le nuove abilità apprese per gestire i conflitti, ecc...);
-> è condotto da professionisti della salute mentale preparati dagli stessi
ricercatori che hanno elaborato il programma.
Si segnala che sono attualmente disponibili due libri di testo: un manuale per il terapista,
e un libro per il caregiver che segue il corso (http://www.fundacion-iip.org/IIP/.).
Risultati
Per lo studio sono stati reclutati 223 caregivers, assegnati in maniera casuale a due gruppi:
il gruppo sperimentale (gruppo PIP; n=119), i cui componenti, oltre a ricevere il
trattamento standard, hanno partecipato al programma Psychoeducational Intervention
Program (PIP), e il gruppo controllo (gruppo CS; n=104), i cui componenti hanno
ricevuto le sole cure standard.
Stando ai risultati ottenuti al termine dello studio, gli autori osservano che:
i caregivers che hanno preso parte allo Psychoeducational Intervention Program
(PIP) registrano una riduzione del livello di burden rispetto a coloro che hanno
ricevuto il solo trattamento standard ambulatoriale; tale miglioramento permane
nel corso di tutto il periodo di follow up; esso si osserva nella misurazione
effettuata con la Zarit Burden Interview (ZBI) (p=0,006). Anche la misurazione
effettuata con l'Involvement Evaluation Questionnaire (IEQ) riporta una
diminuzione del livello di burden, tuttavia si tratta di un dato non statisticamente
significativo (p=0,118).
Gli autori affermano che tale discrepanza tra i due valori può essere dovuta ai
diversi parametri di misurazione: mentre la Zarit Burden Interview (ZBI) si
focalizza sulle componenti soggettive del burden, percepite e riferite dal
caregiver, l'Involvement Evaluation Questionnaire (IEQ) prende in
considerazione anche aspetti oggettivi.
51
Gli autori, riconoscendo nel burden un fenomeno principalmente soggettivo,
attribuiscono maggiore peso al dato ottenuto mediante l'uso della Zarit Burden
Interview (ZBI), sostenendo quindi l'efficacia dello Psychoeducational
Intervention Program (PIP) nel ridurre il livello di burden del caregiver che vi
partecipa;
i caregivers che hanno preso parte allo Psychoeducational Intervention Program
(PIP) riportano un miglioramento dello stato di salute complessivo rispetto a
coloro che hanno ricevuto il solo trattamento standard ambulatoriale; si segnala
infatti una riduzione dei sintomi depressivi in base ai risultati ottenuti utilizzando
la Center for Epidemiologic Studies Depression Scale (CES-D) (p=0,023);
tuttavia, non è possibile giungere alle stesse conclusioni se si osserva il dato
ottenuto mediante l'utilizzo della General Helath Questionnaire, nel format di 28
items (GHQ-28) (p=0,109).
Anche in questo caso, tale discrepanza può essere spiegata, secondo gli autori,
facendo riferimento ai diversi metri di misura adottati: la General Helath
Questionnaire, nel format di 28 items (GHQ-28) valuta solo i sintomi permanenti
di depressione severa, mentre la Center for Epidemiologic Studies Depression
Scale (CES-D) prende in considerazione anche altri aspetti della depressione,
sensibili agli interventi previsti dal programma PIP (come, ad esempio, sintomi
motori e psicologici).
Per questa ragione, i ricercatori sostengono l'efficacia dello Psychoeducational
Intervention Program (PIP) nel migliorare lo stato di salute generale dei
caregivers.
52
programma educativo, erogato insieme alle cure standard, e il solo trattamento
convenzionale ambulatoriale.
Descrizione
Stando ai criteri di selezione dichiarati dagli autori, lo studio coinvolge persone affette da
schizofrenia (o da disturbo schizoaffettivo), di età superiore ai 18 anni, in cura presso
centri di salute mentale, che non presentano disabilità di apprendimento, disturbi mentali
di natura organica e dipendenza da sostanze stupefacenti. Sono individui che vivono in
famiglia o a stretto contatto con il loro caregiver, e che non hanno partecipato in
precedenza ad altri interventi educativi. I caregivers coinvolti assistono solo il paziente,
e non si occupano di altre persone affette da patologie psichiche.
Gli outcomes dichiarati dagli autori sono:
conoscenza della malattia (dei pazienti e dei caregivers; misurata con il
Knowledge about Schizophrenia Questionnaire; KASQ)
stato mentale (del paziente; misurato con la Positive and Negative Symptom
Scale; PANSS);
livello di burden del caregiver (misurato con la Family Burden Interview Scale;
FBIS)
qualità di vita dei caregivers (misurata con la Schizophrenic Carers' Quality of
Life Scale; S-CQoL)
numero di ricoveri.
La strategia educativa messa in atto nel corso dello studio:
→ dura 12 settimane;
→ consiste nella distribuzione di un opuscolo informativo, uno ogni 15 giorni,
accompagnata da un follow up telefonico rivolto ai caregivers, per rispondere ad
eventuali domande. Gli opuscoli sono a colori, stampati su due fogli formato A4,
pensati per agevolare la lettura di coloro che soffrono di difficoltà di
concentrazione; ogni informazione in essi contenuta è accompagnata da tabelle ed
immagini, per agevolarne la comprensione;
→ fornisce notizie, selezionate da tre psichiatri, sei infermieri e sei partecipanti,
riguardanti:
- diagnosi e miti sulla schizofrenia;
- sintomi principali di malattia;
53
- strategie di coping utili per un'efficace gestione dei sintomi;
- opzioni di trattamento possibili;
- consigli per vivere meglio nonostante la malattia.
Risultati
Lo studio coinvolge 121 persone affette da schizofrenia, assegnate in maniera casuale a
due gruppi: il gruppo intervento (gruppo GI; n=58), i cui componenti hanno partecipato
al programma educativo sperimentale, e il gruppo controllo (gruppo CS; n=63), i cui
componenti hanno ricevuto le cure standard. Coloro che hanno preso parte al programma
educativo sperimentale sono stati invitati dagli autori a non condividere le informazioni
con altri pazienti.
Stando a quanto emerso, gli autori osservano come:
le persone che prendono parte al programma educativo sperimentale mostrino un
miglioramento progressivo:
→ della conoscenza della malattia (KASQ: gruppo GI-pazienti: da 7,97 a 14,50;
gruppo GI-caregivers: da 9,45 a 16,74; p<0,001);
→ dello stato mentale (PANSS: gruppo GI-pazienti: da 97,22 a 61; p<0,001);
→ del livello di burden dei caregivers (FBIS: gruppo GI: da 28,26 a 18,84;
p<0,01);
→ della qualità di vita dei caregivers (S-CQoL: gruppo GI: da 59,93 a 77,07;
p<0,01).
I ricercatori sottolineano come tali migliorie siano presenti anche a distanza di 3
mesi dalla fine del programma;
le persone che prendono parte al programma educativo sperimentale mostrino
una netta riduzione del numero di ricoveri (gruppo GI: da 23 a 4; p<0,001) e
della percentuale di interruzioni del trattamento (gruppo GI: da 39,7% a 24,1%;
p<0,001);
Gli autori sostengono che tali osservazioni non possano essere estese a coloro che
ricevono le sole cure standard: dai risultati, infatti, si osserva come essi, vadano
incontro ad un lento peggioramento.
54
An RCT with three-year follow-up of peer support groups for Chinese families of
persons with schizophrenia - W.T. Chien et al. 2013 - School of Nursing, Faculty of
Health and Social Sciences, Polytechnic University di Hong Kong (Cina; con esponenti
del team di ricerca provenienti dall'Australia)
Studio controllato randommizzato
Obiettivo
Questo studio intende verificare l'efficacia di un programma sperimentale di gruppi di
auto aiuto, rivolto a familiari e caregivers di persone affette da psicosi schizofrenica, nel
migliorare lo stato mentale e la compliance del paziente, e nel risanare il funzionamento
dell'intero nucleo familiare, riducendo il numero di ricoveri e migliorando l'utilizzo dei
servizi di salute mentale.
Per fare ciò, i ricercatori operano un duplice confronto, comparando il programma
sperimentale sia con un programma psicoeducativo convenzionale, sia con le cure
standard ambulatoriali erogate presso il centro di salute mentale. Gli autori precisano che
coloro che hanno preso parte ai programmi di gruppi di auto aiuto e di psicoeducazione
convenzionale, hanno beneficiato comunque del trattamento standard ambulatoriale.
Descrizione
Stando ai criteri di inclusione dichiarati dagli autori, lo studio coinvolge individui affetti
da schizofrenia, di età superiore ai 17 anni che, al momento del reclutamento, vivono in
famiglia, non presentano alcuna comorbidità psichiatrica e sono assistiti, da meno di 3
mesi, da caregivers sani.
Gli outcomes adottati da ricercatori sono:
funzionamento globale del paziente (misurato con la Specific Level of
Functioning Scale; SLOF)
livello di burden dei caregivers (misurato con il Family Assessment Device;
FAD)
frequenza d'uso dei servizi sanitari psichiatrici (misurato con il Family Support
Services Index; FSSI);
numero e durata dei ricoveri.
55
Le strategie educative messe in atto nel corso di questo studio sono:
il programma sperimentale di gruppi di auto aiuto:
→ dura 9 mesi, si compone di 14 sedute, ciascuna di 2 ore, una ogni 2 o 3
settimane;
→ si rivolge ai caregivers e ai familiari delle paziente;
→ incoraggia i partecipanti ad interagire tra loro e a condividere attività anche al
di fuori delle sessioni terapeutiche;
→ nel corso della prima seduta viene eletto un leader, una persona che abbia già
maturato una certa esperienza nell'assistenza a persone affette da schizofrenia; tale
figura viene successivamente istruita sulla corretta gestione del gruppo, in
osservanza delle norme del programma, e viene affiancata dai ricercatori;
→ utilizza tecniche di problem solving ed affronta temi difficili come lo stigma
sociale, spesso associato alla malattia mentale e all'uso dei servizi sanitari
psichiatrici;
il programma psicoeducativo convenzionale:
→ si compone di 14 sedute, della durata di 2 ore ciascuna, una ogni due o tre
settimane;
→ è tenuto da un infermiere;
→ punta al coinvolgimento della famiglia/del caregiver;
→ fornisce informazioni riguardo la malattia e il suo trattamento;
→ suggerisce strategie di problem solving e tecniche di caring;
→ illustra metodi di comunicazione efficace;
→ attua interventi utili ad aumentare la compliance farmacologica;
→ insegna a gestire in maniera efficace le crisi.
Gli autori segnalano che nella conduzione di entrambi questi gruppi (psicoeducazione e
gruppi familiari di autoaiuto), ai pazienti viene chiesto di partecipare solo alle ultime 5
sedute, durante le quali vengono affrontati i seguenti argomenti:
conoscenza della malattia e del trattamento;
compliance farmacologica;
possibilità di frequentare servizi di salute mentale.
I pazienti possono partecipare alle restanti sedute in accordo con i propri familiari.
56
I ricercatori continuano spiegando che sette esperti di salute mentale (psicologici,
psichiatri ed infermieri) hanno monitorato l'andamento di entrambi i programmi
visionando, di volta in volta, videotapes delle sedute e cercando di risolvere eventuali
problemi insorti.
Risultati
Lo studio ha coinvolto 106 partecipanti, assegnati in maniera casuale a tre gruppi di
studio:
1. il gruppo intervento (gruppo GI; n=35), i cui componenti hanno partecipato al
programma sperimentale di gruppi di auto aiuto;
2. il primo gruppo controllo (gruppo PC; n=35), i cui componenti hanno preso parte
al programma di psicoeducazione convenzionale;
3. il secondo gruppo controllo (gruppo CS; n=36) costituito dai pazienti che hanno
ricevuto le sole cure standard.
Dai risultati ottenuti, gli autori osservano che:
coloro che partecipano al programma sperimentale di gruppi di auto aiuto e al
programma di psicoeducazione convenzionale mostrano:
→ un miglioramento del funzionamento globale dei pazienti (SLOF-punteggio
totale: gruppo GI: da 128,3 a 170,8; gruppo PC: da 125,9 a 141,1; p<0,001);
→ una riduzione del livello di burden dei caregivers (FAD: gruppo GI: da 29,4 a
39,3; gruppo PC: da 28,9 a 30,1; p<0,005).
Tali miglioramenti permangono anche a distanza di 36 mesi dal termine del
programma.
Per quanto concerne coloro che beneficiano delle sole cure standard, non si
osservano cambiamenti particolarmente importanti; in alcuni casi si assiste invece
ad un progressivo peggioramento delle condizioni iniziali (FAD: gruppo CS: da
28,4 a 26,5);
non vi sono cambiamenti significativi nell'accesso ai servizi psichiatrici da parte
dei pazienti e delle loro famiglie;
il numero e la durata dei ricoveri dei pazienti i cui familiari partecipano al
programma di gruppi di auto aiuto diminuiscono in maniera significativa nel
corso dei 36 mesi dal termine del programma (n° ricoveri: gruppo GI: da 2,1 a
57
1,3; gruppo PC: da 2,1 a 2; p<0,01; durata ricoveri: gruppo GI: da 19 a 14;
gruppo PC: da 20 a 18,9; p<0,01).
58
La strategia educativa messa in atto nel corso dello studio è il programma sperimentale
psicoeducativo PIPE:
→ adopera tre tipi di interventi:
1. psicoeducazionale:
- durata: 4 sedute;
- contenuto: fornire al paziente e alla sua famiglia informazioni riguardanti la
patologia;
- obiettivi:
a) aiutare il paziente ad essere consapevole della propria malattia, per renderlo
maggiormente partecipe nella riduzione del rischio di riacutizzazioni e di
isolamento sociale;
b) ridurre eventuali sensi di colpa nei familiari, e rinforzare la loro motivazione
ad assistere la persona malata;
2. cognitivo-motivazionale individuale:
- durata: 20 sedute ( inizia durante la terza settimana del programma);
- contenuto: fornire al paziente gli strumenti necessari per affrontare deliri ed
allucinazioni;
3. cognitivo-motivazionale familiare:
- durata: 10 sedute (in alcuni casi partecipano tutti i componenti della famiglia, in
altri, invece, prendono parte alle sedute solo alcuni membri, dipende dal parere di
chi conduce gli incontri);
- contenuto: insegnare modi di comunicare ed atteggiamenti che permettano
l’instaurarsi di relazioni positive tra la persona malata e i membri della sua
famiglia;
- obiettivi: come l'intervento cognitivo motivazionale individuale, anche quello
familiare intende migliorare lo stato di salute del paziente e dei familiari in tutti i
suoi molteplici aspetti;
→ persegue i seguenti obiettivi:
- motivare al cambiamento;
- acquisire la capacità di risolvere le ambivalenze;
- promuovere la compliance ai trattamenti farmacologici e educativi;
- aumentare le attività di vita quotidiane;
59
- maturare e mantenere abitudini che favoriscano una migliora cura ed igiene di
sé;
→ dura 12 mesi, si compone di 34 sedute, 1 alla settimana, ciascuna della durata
di 45 minuti, svolte presso il centro di salute mentale;
→ è attuato da un professionista sanitario adeguatamente preparato;
→ viene monitorato mediante registrazioni audiovisive delle sedute.
Risultati
Inizialmente, sono stati identificati 67 pazienti affetti da schizofrenia di recente
insorgenza; di questi, 5 si sono trasferiti, 7 sono stati irraggiungibili, 19 non hanno
accettato di partecipare allo studio e 2 si sono rivelati non schizofrenici.
Il campione dei partecipanti allo studio è quindi di 34 persone: 21 costituiscono il gruppo
intervento (gruppo GI): essi, oltre a ricevere la terapia consueta, prendono parte anche al
programma sperimentale PIPE; 13 fanno parte del gruppo controllo (gruppo CS), e
ricevono le sole cure standard.
Dai risultati ottenuti, gli autori osservano che:
coloro che partecipano al programma psicoeducativo PIPE mostrano
miglioramenti (che perdurano anche a distanza di 6 mesi dalla fine
dell'intervento) per quanto concerne:
→ lo stato mentale (PANSS: gruppo GI: da 23,42 a 6,58;p=0,000);
→ il funzionamento globale (GAF: gruppo GI: da 48,95 a 65,79 p=0,002; CGI:
gruppo GI: da 4,54 a 3,57; p=0,002).
I ricercatori sottolineano come tali migliorie non si verificano nel gruppo
controllo: i componenti che beneficiano delle sole cure standard mostrano, anzi,
un progressivo peggioramento del proprio stato di salute globale;
coloro che prendono parte al programma sperimentale PIPE, rispetto a coloro
che ricevono il solo trattamento ambulatoriale convenzionale, mostrano, a
distanza di 6 mesi dal termine dell'intervento, una riduzione statisticamente
significativa:
→ dell'aumento del dosaggio farmacologico (Aumento della terapia: gruppo GI:
13,34; gruppo CS: 20,21; p=0,016);
→ del numero complessivo di riacutizzazioni (Numero complessivo
riacutizzazioni: gruppo GI: 13,37; gruppo CS: 20,17; p=0,022).
60
Gli autori notano dei miglioramenti, seppur non statisticamente significativi,
anche in altri ambiti:
→ numero di ricoveri (N° ricoveri: gruppo GI: 14,97; gruppo CS: 17,63;
p=0,217);
→ durata dei ricoveri (Durata ammissioni ospedaliere: gruppo GI: 1,5; gruppo
CS: 4; p=0,076);
→ numero di accessi al pronto soccorso (N° accessi pronto soccorso: gruppo GI:
14,26; gruppo CS: 18,75; p=0,105).
What support can community mental health nurses deliver to carers of people
diagnosed with schizophrenia? Findings from a review of the literature - S.H.
Macleod et al. 2011 – Università di Dundee, a Tayside (Regno Unito)
Articolo di revisione
Obiettivo
Lo studio intende individuare quali interventi concreti l'infermiere psichiatrico territoriale
può mettere in atto per aiutare familiari/caregivers di persone affette da psicosi
schizofrenica nel gestire in maniera efficace il burden.
Descrizione
Per la realizzazione della presente revisione, è stata condotta una ricerca in letteratura
all'interno delle banche dati: Cinhal, Medline, Embase, PsycINFO, Web of Knowledge
Social Sciences Citation Index e Cochrane Library. Sono state inoltre consultate riviste
importanti del settore, come il Schizophrenia Bullettin. I documenti presi in
considerazione sono pubblicati tra il 1980 e il 2008, e riguardano solo interventi
infermieristici rivolti a caregivers adulti che assistono persone affette da schizofrenia.
Stando ai criteri di inclusione dichiarati dagli autori, i documenti inclusi sono diversi
(RCTs, studi quasi sperimentali, studi non randomizzati, studi comparativi); tutti
forniscono analisi quantitative degli esiti degli interventi infermieristici messi in atto nei
confronti di familiari/caregivers che assistono persone affette da schizofrenia, e tutti
riportano outcomes rilevanti (livello di burden, conoscenza della malattia, stato di salute,
strategie di coping e di managment).
61
Risultati
La ricerca in letteratura ha permesso inizialmente di individuare 545 articoli eleggibili;
successivamente, sono stati esclusi 396 articoli in quanto non rispondenti ai criteri di
inclusione dichiarati. Sono stati quindi individuati 149 articoli; dopo un'ulteriore
valutazione, 68 sono stati definitivamente inclusi.
Al termine della revisione, gli autori hanno suddiviso gli interventi educativi
infermieristici individuati in 6 categorie:
1. Interventi educativi rivolti al singolo familiare/caregiver:
→ 10 studi riguardano questa prima tipologia di intervento terapeutico: di questi,
6 sono RCT;
→ il loro scopo è aumentare la conoscenza dei caregivers; tuttavia, essi
permettono il raggiungimento anche di altri obiettivi importanti come: migliorare
le strategie di coping o migliorare gli outcomes di salute dei familiari/caregivers;
→ sono eseguiti da un terapista, eccetto in due studi, in cui sono eseguiti
rispettivamente da:
- un infermiere all'interno di un team di cura;
- dal solo infermiere esperto in materia;
→ hanno un'influenza sul livello di burden limitata: nei 5 studi che la discutono,
solamente 1 studio quasi sperimentale riferisce che il distress provato dai
caregivers si riduce nell'arco di 4-6 settimane di interventi educativi; nessuno dei
restanti 4 studi riporta alcun effetto rilevante sullo stress;
→ sono ottimi per quanto riguarda l'aumento della conoscenza: 9 studi su 10
studi riferiscono un aumento delle conoscenze dei caregivers riguardo la
schizofrenia e la sua gestione;
→ 1 studio non randomizzato valuta l'impatto di questi interventi sui sintomi,
sull'ansia, sull'insonnia, sulla disfunzione sociale e sulla depressione dei
caregivers, ma non riferisce alcun miglioramento.
2. Interventi educativi rivolti all'intero nucleo familiare:
→ 13 studi riguardano questa seconda tipologia di intervento terapeutico; di
questi, 4 sono RCT;
→ sono eseguiti da un terapista, eccetto in 3 studi, in cui sono eseguiti da un
infermiere quale membro di un team multidisciplinare;
62
→ 6 studi valutano il livello di burden del familiare/caregiver; 4 si concentrano
sul grado di conoscenza della malattia, e i restanti studi valutano lo stato di salute
mentale e fisica dei familiari;
→ sebbene non tutti gli studi siano concordi nel sostenere l'efficacia di tali
interventi, gli autori della revisione affermano che i risultati ottenuti sono
comunque incoraggianti in tal senso: il maggiore impatto è quello sull'aumento
della conoscenza e sulla riduzione del livello di burden, presupposti per un
aumento delle capacità di coping da parte dei membri della famiglia;
→ 1 studio riporta un aumento dell'auto efficacia e una riduzione del burden nei
familiari/caregivers;
→ 2 dei 4 RCTs riportano una riduzione del livello di burden; i revisori
sottolineano come la mancanza di un sistema di valutazione unico e validato per
questo outcome generi delle difficoltà nel trovare risultati significativi sul piano
statistico;
3. Interventi di supporto generico:
→ 29 studi riguardano questa terza tipologia di intervento terapeutico; di questi,
19 sono RCT;
→ sono stati eseguiti tutti da infermieri, sia in autonomia, che in qualità di
membri di una equipe multidisciplinare;
→ l'evidenza più importante proviene da un intervento di terapia
comportamentale familiare di Ian Faloon, psichiatra neozelandese (1940-2006),
durato 23 ore, grazie al quale si è verificata una riduzione del livello di burden
dei familiari/caregivers; tuttavia, solamente questo studio riferisce una riduzione
del burden dopo un intervento cognitivo comportamentale familiare, per cui i
revisori giungono alla conclusione che non vi sia alcuna prova evidente
dell'efficacia di tale approccio nel trattamento del burden;
→ 3 studi riferiscono un aumento del coping;
→ 8 studi riferiscono un aumento del livello di conoscenza della malattia da parte
del familiare/caregiver se l'intervento dura un anno;
→ 3 studi affermano che questi interventi migliorano lo stato di salute del
caregiver (si registra una riduzione dei sintomi depressivi e un aumento del
benessere).
63
4. Interventi educativi domiciliari:
→ 9 studi trattano questo argomento;
→ gli infermieri sono coinvolti nell'esecuzione di tutti gli interventi, e si tratta di
interventi adatti a settings infermieristici territoriali;
→ 7 studi valutano il livello di burden del caregiver: di questi, 5 riferiscono una
riduzione del burden a seguito dell'esecuzione del trattamento assertivo di
comunità (ACT), del clinical case management, dell'home counseling e del
supporto multidisciplinare.
5. Gruppi di auto aiuto tra pari:
→ 4 studi riguardano questo argomento;
→ sono condotti da infermieri;
→ incoraggiano l'adozione di strategie di problem solving e di coping;
→ i revisori riportano un aumento della conoscenza della malattia e un
miglioramento dello stato di salute complessivo nei caregivers.
6. Interventi educativi giornalieri:
→ 3 studi affrontano tale argomento;
→ i revisori sottolineano che esiste un consistente numero di evidenze secondo
cui tali interventi terapeutici aumenterebbero la conoscenza della schizofrenia nei
caregivers; tuttavia, si tratta di interventi limitati, che non affrontano questioni
essenziali dell'assistenza come, ad esempio, l'aumento delle strategie di coping,
la riduzione del livello di burden o migliorare lo stato di salute.
64
3.2 Sintesi dei risultati
Stando a quanto emerso dalla revisione dei 14 articoli selezionati, le strategie più efficaci
che un infermiere psichiatrico può mettere in atto per migliorare la qualità di vita della
persona affetta da psicosi schizofrenica e dei suoi familiari, all'interno di un contesto
assistenziale territoriale, sono:
utilizzare programmi di PSICOEDUCAZIONE che permettano al paziente e ai
suoi familiari di:
→ conoscere la malattia e i trattamenti farmacologici disponibili;
→ mettere in atto tecniche di coping, che di mantenere un livello di compliance
accettabile;
→ ricorrere a tecniche di problem solving, utili nella gestione dei sintomi di
malattia ed eventuali momenti di crisi;
→ riconoscere i segni indicatori di recidiva, in modo tale da prevenire eventuali
riacutizzazioni di malattia;
proporre ESERCIZI di AUTOEFFICACIA (come, ad esempio, giochi di ruolo
oppure la stesura di un diario o l'utilizzo di tecniche di autoconsapevolezza
corporea) che consentano agli assistiti di acquisire un ruolo attivo nella gestione
della malattia;
attuare un attento MONITORAGGIO degli outcomes di salute raggiunti dal
paziente e dall'intero nucleo familiare, avvalendosi dell'uso di apposite scale di
misurazione, di follow up telefonici e di interviste durante le visite domiciliari.
65
CAPITOLO 4
4.1 Discussione
Gli studi selezionati sono stati condotti in Paesi differenti: alcuni provengono
dall'Estremo Oriente (Cina, n=5; Giappone, n=2); altri dall'Occidente europeo
(Finlandia= 1; Spagna, n=2; Regno Unito, n=3) ed extra europeo (USA=1); si tratta di
documenti diversi sul piano scientifico: vi sono revisioni sistematiche (n=4); studi
controllati randomizzati (n=9); articoli di revisione (n=1).
Nonostante l'eterogeneità geografica e il diverso peso nell'ambito delle evidenze, è stato
possibile effettuare un confronto tra i diversi studi: tale operazione ha permesso
innanzitutto di verificare l'esistenza di una possibile correlazione tra l'efficacia delle
strategie educative infermieristiche che possono essere messe in atto sul territorio e
l'azione farmacologica delle sostanze prescritte al paziente (con particolare riguardo per
le sostanze antipsicotiche long acting di seconda generazione).
Le ricerche condotte da T. Kishimoto et al. (2013) e J.Tiihonen et al. (2011) dimostrano
come i farmaci antipsicotici long acting siano più efficaci rispetto a qualsiasi altra forma
di antipsicotico nel ridurre la mancanza di compliance ed il conseguente rischio di
riospedalizzazione; inoltre, essi sono associati ad una diminuzione del numero e della
durata dei ricoveri (Kishimoto, Nitta, Borenstein, Kane, & Correll, 2013; Tiihonen et al.,
2011).
I dati forniti da J.Tiihonen et al. (2011) acquistano una certa rilevanza alla luce delle
dichiarazioni fatte dagli autori, secondo cui questo sarebbe il primo studio (compiuto con
un campione di grandi dimensioni, costituito interamente da pazienti non selezionati,
affetti da schizofrenia, in cura presso centri di salute mentale) in cui verrebbero messi a
confronto specifici trattamenti antipsicotici (orali vs depot) per verificarne l'effettiva
efficacia clinica (in termini di aumento della compliance farmacologica e riduzione del
numero di ricoveri) (Tiihonen et al., 2011). Una seconda revisione realizzata da T.
Kishimoto et al. (2013), mette invece in evidenza come gli antipsicotici di seconda
generazione, se considerati come classe farmacologica, siano più efficaci rispetto a quelli
di prima generazione nel prevenire le riacutizzazioni di malattia (anche a distanza di 12
67
mesi) e nel diminuire il numero di ricoveri conseguenti ad una mancata compliance
farmacologica (Kishimoto et al., 2013).
Considerate nel loro insieme, queste osservazioni supportano l'ipotesi secondo cui
l'impiego di antipsicotici long acting di seconda generazione migliora la qualità di vita di
chi li assume, in quanto riduce significativamente il numero di riacutizzazioni di malattia
(e, di conseguenza, anche il numero di ricoveri ospedalieri) ed aumenta il livello di
compliance farmacologica. La somministrazione di antipsicotici depot rappresenta un
intervento infermieristico proprio del contesto assistenziale territoriale; esso permette di
alleviare la gravità della sintomatologia psicotica e migliorare lo stato complessivo del
paziente: la formula long acting consente un'assunzione del farmaco più dilazionata nel
tempo (liberando il paziente dall'obbligo di dover osservare un regime terapeutico
quotidiano) e garantisce una concentrazione ematica del principio attivo più costante nel
periodo che intercorre tra una somministrazione e l'altra (Park et al., 2013; Spina et al.,
2015). I farmaci antipsicotici di seconda generazione, inoltre, hanno la capacità di agire
direttamente sulla dimensione interiore della persona, andando ad attenuare quei sintomi
che maggiormente influenzano la sfera personale e relazionale. Tuttavia, come sottolinea
G. Rossi et al. (2012), la sola somministrazione di farmaci antipsicotici, anche di quelli
depot di seconda generazione, non assicura il raggiungimento di una migliore qualità di
vita da parte del paziente e dei caregivers : è necessaria un'attività educativa
complementare, che aumenti l'aderenza terapeutica e riduca il livello di burden (Rossi G,
Frediani S, Rossi R, Rossi A., 2012).
La ricerca ha permesso di individuare una serie di interventi educativi che l'infermiere di
salute mentale territoriale può mettere in atto per migliorare la qualità di vita della persona
affetta da schizofrenia e dei suoi familiari; si tratta di strategie rivolte sia al singolo
paziente, sia all'intero nucleo familiare.
Gli studi dedicati alle strategie educative rivolte al singolo paziente, indicano come
risultati infermieristici finali l'attuazione di interventi di psicoeducazione individuali o di
gruppo (Chien & Leung, 2013; Matsuda & Kohno, 2016); l'esercizio di interventi
psicosociali ed educativi (Chien & Thompson, 2014; Chien, Mui, Gray, & Cheung,
2016); l'impiego di tecniche di problem solving (Chien & Thompson, 2014; Chien et al.,
2016), di counselling e dell'intervista motivazionale (Chien et al., 2016); l'organizzazione
di giochi di ruolo (Matsuda & Kohno, 2016); l'utilizzo di esercizi di auto consapevolezza
68
(controllo del respiro, esplorazione guidata delle sensazioni corporee) (Chien &
Thompson, 2014); la stesura di un diario di auto monitoraggio (Chien et al., 2016).
Lo studio condotto da W.T.Chien et al. (2013) analizza il programma Needs-based
Psychoeducation Programme (NPEP), una strategia psicoeducativa basata sui principi di
caring infermieristico, condotta da un infermiere di salute mentale che consente al
paziente di raggiungere una maggiore autoefficacia , ossia una migliore capacità di gestire
autonomamente situazioni stressanti quotidiane e ridurre il numero di ricoveri. Utile
sottolineare un aspetto interessante di questo intervento: esso prevede una valutazione
iniziale dei bisogni di salute di ciascun paziente, alla quale segue una pianificazione
condivisa tra paziente ed infermiere degli interventi necessari per rispondere alle esigenze
individuate, ordinandole per priorità (Chien & Leung, 2013).
La ricerca svolta da W.T.Chien et al. (2016), riferisce invece significativi miglioramenti
in coloro che hanno beneficiato degli interventi previsti dal programma educativo
Adherence Therapy (AT), costituito da una serie di interventi psicosociali ed educativi
messi in atto da un infermiere psichiatrico territoriale durante le visite domiciliari. Un
dato interessante per la sua attinenza con i temi discussi in questa tesi, riguarda un
miglioramento avvenuto in coloro che hanno partecipato al programma di Adherence
Therapy nella sfera dei sintomi positivi (p<0,001) e in quella dei sintomi negativi
(p<0,005) (Chien et al., 2016).
Gli studi riguardanti le strategie educative che coinvolgono paziente e familiari, invece,
suggeriscono come risultati infermieristici finali l'attuazione di interventi di
psicoeducazione individuale, familiare, di gruppo (anche di breve durata, ovvero
massimo 10 incontri) (Macleod, Elliott, & Brown, 2011b; Martin-Carrasco et al., 2016;
Palma-Sevillano C. et al., 2011; Xia, Merinder, & Belgamwar, ; Zhao et al., 2015);
l'organizzazione di gruppi di auto aiuto (Chien & Leung, 2013); l'utilizzo di opuscoli
informativi accompagnato da un follow up telefonico (Hasan, Callaghan, & Lymn, 2014);
l'insegnamento di modi di comunicazione efficaci (Martin-Carrasco et al., 2016) e di
tecniche di caring corrette (Chien & Leung, 2013; Martin-Carrasco et al., 2016);
esercitazioni pratiche e giochi di ruolo (Martin-Carrasco et al., 2016); l'attuazione di
tecniche cognitivo-motivazionali individuali e familiari (Palma-Sevillano C. et al., 2011).
Lo studio condotto da J. Xia et al. (2011) afferma che qualsiasi intervento psicoeducativo
(di breve o lunga durata, individuale o familiare) limita il bisogno di un aumento del
69
dosaggio dei farmaci ed allunga i periodi di stabilità e di benessere (si assiste infatti ad
una riduzione dei fenomeni di ansia e depressione in tutti i soggetti coinvolti
nell'assistenza). Si evidenzia inoltre un incremento del grado di soddisfazione per i servizi
di salute mentale e di un miglioramento la qualità di vita della persona malata e dei suoi
caregivers (Xia et al., ). Interessante notare poi come la proposta educativa di A.A.Hasan
et al. (2014) offra ai partecipanti l'opportunità di leggere le informazioni a proprio
piacimento, permettendo alle persone di adattare le informazioni alle proprie necessità
(Hasan et al., 2014).
La ricerca condotta da S.H.Macleod et al. (2011) fornisce una stima degli interventi
educativi eseguiti dagli infermieri nel territorio (Macleod et al., 2011b):
1% interventi educativi rivolti al singolo familiare/caregiver;
25% interventi educativi rivolti all'intero nucleo familiare di supporto e gruppi di
auto aiuto tra pari;
32% interventi di supporto familiare generico;
100% interventi educativi domiciliari e giornalieri (gli interventi domiciliari sono
tra i più efficaci nel ridurre il livello di burden dei familiari).
Un'analisi complessiva dei risultati riportati dai singoli studi permette di osservare come
l'attuazione degli interventi infermieristici individuati consenta un miglioramento della
compliance farmacologica (Chien et al., 2016; Matsuda & Kohno, 2016; Xia et al., ; Zhao
et al., 2015), del funzionamento globale (Chien & Leung, 2013; Chien et al., 2016; Palma-
Sevillano C. et al., 2011; Xia et al., ; Zhao et al., 2015), della capacità di vivere all'interno
di un contesto sociale comunitario (Chien & Thompson, 2014) e della qualità di vita
(Hasan et al., 2014; Xia et al., ; Zhao et al., 2015); si osserva poi una riduzione del livello
di burden riferito dai caregivers (Chien & Leung, 2013; Hasan et al., 2014; Martin-
Carrasco et al., 2016) e del numero e della durata dei ricoveri (Chien & Leung, 2013;
Chien & Thompson, 2014; Chien et al., 2016; Hasan et al., 2014; Palma-Sevillano C. et
al., 2011; Xia et al., ).
La rassegna delle evidenze scientifiche prese in esame supporta l'ipotesi secondo cui
l'infermiere di salute mentale può migliorare la qualità di vita della persona affetta da
psicosi schizofrenica e dei suoi familiari, attraverso interventi educativi messi in atto
all'interno di un contesto assistenziale territoriale (ambulatoriale o domiciliare); inoltre,
70
permette l'identificazione di una comune strategia d'intervento, a sottolineare
l'omogeneità dei risultati.
In particolar modo, si vuol mettere in evidenza l'importanza attribuita alla
psicoeducazione, approccio educativo presente in tutti i testi analizzati, compresi quelli
non selezionati. La ricerca in letteratura sottolinea il crescente interesse che questa forma
di educazione desta presso i ricercatori e le diverse figure che operano nell'ambito della
salute mentale, non ultima quella dell'infermiere.
71
presa in esame in questa sede che, nel suo insieme, attribuisce valore scientifico ad un
agire clinico già consolidato.
Si è prestata particolare attenzione agli interventi educativi infermieristici già in atto nella
realtà clinica di riferimento, al fine di stilare un progetto che ne valorizzi i punti di forza
(numerosi corsi ricreativi; presenza di un gruppo familiare) mediante l'integrazione di
interventi semplici, nuovi ed evidence based, concretamente attuabili e capaci di suscitare
un effettivo interesse da parte degli operatori coinvolti.
La proposta non vuol essere uno studio approfondito ed esauriente di tutti i possibili
interventi educativi infermieristici attuabili nella presa in carico territoriale di persone
affette da schizofrenia e dei loro caregivers, bensì intende proporre uno spunto di
riflessione, un piccolo esempio di come azioni messe in atto quotidianamente trovino la
loro ragion d'essere nella letteratura scientifica, la quale conferma la correttezza e la
professionalità dell'agire dell'operatore.
Gli interventi generici proposti appartengono all’ambito della psicoeducazione
individuale/di gruppo rivolta al paziente e ai familiari; essi sono:
effettuare lezioni frontali in cui l'infermiere fornisce informazioni semplici, chiare
ed esaustive sulla malattia, sugli interventi terapeutici (farmacologici e non) per
affrontarla e gestirla in maniera efficace, sui servizi socio sanitari offerti, sul
fenomeno del burden dei caregivers;
utilizzare manuali o testi di riferimento, necessari per condurre in maniera
coerente e coesa gli incontri formativi e per permettere a coloro che lo desiderino
di poter accedere personalmente a fonti d'informazione attendibili;
insegnare tecniche di problem solving;
ricorrere al counselling;
avvalersi dell'utilizzo di supporti audio/visivi (DVD; slides, filmati) durante gli
incontri terapeutici per aumentare il coinvolgimento dei partecipanti;
insegnare tecniche di autoconsapevolezza (esercizi di respirazione controllata; di
esplorazione delle sensazioni corporee);
invitare i partecipanti a prendere parte a giochi di ruolo e ad esercitazioni pratiche
di quanto appreso durante le sedute;
suggerire ai partecipanti di scrivere un diario di auto monitoraggio.
72
Tale proposta educativa intende correggere idee sbagliate riguardanti la patologia e i
farmaci antispicotici, garantire supporto emotivo, fornire informazioni semplici ed
attendibili sulla malattia (elencandone segni e sintomi) e sui trattamenti possibili, aiutare
pazienti e caregivers ad adottare strategie di gestione efficaci che riducano senso di
impotenza, paure e preoccupazioni. Per tale ragione, si suggerisce l'insegnamento di
tecniche di caring corrette, di modalità di comunicazione efficaci e di strategie utili al
cargiver per gestire lo stress, recuperando l'importanza del tempo libero e degli hobbies.
Gli esiti di salute riguardanti il paziente perseguiti dalla strategia educativa proposta
consistono in un aumento della compliance farmacologica e del livello di insight,
accompagnato da una riduzione del numero di recidive e di riospedalizzazioni attraverso
il raggiungimento di un funzionamento individuale globale migliore (anche sul piano
sociale).
Gli esiti di salute riguardanti familiari e caregivers, invece, prevedono un aumento della
conoscenza della malattia, un miglioramento dello stato mentale associato ad una
riduzione del livello di burden.
La strategia punta ad un generale miglioramento della qualità di vita della persona malata
e dell'intero nucleo familiare.
4.3 Limitazioni
Il presente lavoro mostra le seguenti limitazioni: in primo luogo, alcuni studi prendono in
considerazione pazienti “di recente diagnosi”, ovvero soggetti che, in seguito ad un primo
episodio psicotico, vivono delle riacutizzazioni di malattia; i documenti dimostrano che
anche tali individui traggono beneficio dagli interventi educativi infermieristici messi in
atto, a sottolineare la possibilità per l'infermiere di poter intervenire da subito per
migliorare il decorso della malattia.
In secondo luogo, una revisione selezionata prende in considerazione solo studi
osservazionali; lo studio condotto da P.M.Llorca et al. (2013) pone in evidenza come,
sebbene gli studi controllati randomizzati siano ritenuti il “gold standard” nell'ambito
della ricerca scientifica, l'utilizzo di tale modello nell'analisi dell'efficacia di una sostanza
farmacologica solleva alcuni dubbi, in quanto esso altera la realtà clinica in cui i farmaci
sono abitualmente utilizzati (ad esempio, il campione è costituito da pazienti che
73
rispondono a determinate caratteristiche, e vi è uno stretto monitoraggio degli esiti di
salute raggiunti). Per questo motivo, gli autori l'uso suggeriscono l'utilizzo del modello
proprio degli studi osservazionali, in quanto più aderente alle reali condizioni cliniche in
cui tali sostanze sono prescritte, somministrate ed assunte (Llorca et al., 2013).
In terzo luogo, non si può dimenticare l'eterogeneità geografica dei diversi studi presi in
considerazione; molti studi sono stati condotti in realtà culturalmente molto diverse da
quella italiana, il che potrebbe influire sul grado di efficacia degli interventi educativi
descritti.
Un'ulteriore limitazione riguarda la mancata dichiarazione, da parte di alcuni studi, del
professionista sanitario che mette in atto gli interventi educativi considerati: si tratta di
documenti che non riportano alcun riferimento diretto ad uno specifico profilo
professionale, per cui sono stati inclusi partendo dal presupposto che qualsiasi
professionista sanitario, adeguatamente formato, sia in grado di mettere in atto le strategie
educative analizzate.
La maggior parte degli studi analizzati non dichiara esplicitamente il coinvolgimento di
persone in terapia con farmaci antipsicotici long acting (anche di seconda generazione),
tuttavia tutti i documenti scelti riguardano pazienti seguiti in un contesto assistenziale
territoriale, prevalentemente ambulatoriale, senza alcuna restrizione circa il regime
farmacologico assunto.
Alcuni studi incentrati sulle strategie educative rivolte all'intero nucleo familiare non
mostrano significativi miglioramenti dello stato di salute dei caregivers (sebbene vi sia
una lieve diminuzione del livello di burden); inoltre, essi si basano su livelli di burden
riferiti da un solo familiare (è possibile che i valori riferiti non rispecchino il burden
provato dagli altri membri della famiglia).
Infine, si ritiene opportuno sottolineare alcuni aspetti critici sollevati dalla revisione
realizzata da J. Xia (2011). Essa fa riferimento a studi molto datati, che non sempre
dichiarano il metodo di randomizzazione utilizzato, e che presentano risultati talmente
eterogenei da sollevare dubbi sul loro grado di rappresentatività clinica (in particolar
modo, in riferimento all'efficacia degli interventi psicoeducativi nel migliorare lo stato
mentale, il funzionamento globale e la qualità di vita). Gli autori dello studio sottolineano
la necessità di effettuare ulteriori ricerche a proposito, utilizzando sistemi di misurazione
validati ed omologati, per trarre conclusioni più attendibili. Di fatto, questo studio
74
contraddice i risultati dichiarati in questa sede, sollevando dubbi sull'effettiva efficacia
clinica degli interventi psicoeducativi in generale. Si tratta di un punto di vista diverso,
che offre una chiave di lettura critica dell'argomento principale, e che proprio per questa
ragione è stato inserito. Fine ultimo di questo lavoro è offrire al professionista gli
strumenti utili per agire in maniera consapevole, informata e il più possibile basata sulle
evidenze scientifiche.
75
CONCLUSIONI
77
basati sulla relazione terapeutica ed un processo decisionale condiviso, egli fornisce
l'aiuto ed il supporto necessari per contrastare i fenomeni dell'autostigmatizzazione e della
stigmatizzazione sociale, aumentando al contempo i livelli di autoefficacia di tutti i
soggetti coinvolti (Guo et al., 2010; Macleod et al., 2011a; Tatarelli, 2009).
78
BIBLIOGRAFIA
AA.VV. (2008). Enciclopedia medica italiana: III aggiornamento della seconda edizione,
Torino, UTET
Besenius, C., Clark-Carter, D., & Nolan, P. (2010). Health professionals' attitudes to
2850.2010.01550.x [doi]
Biondi, M., & Cortina, R. (a cura di). (2014). DSM-5: Manuale diagnostico e statistico
Cella, S.G. (a cura di). (2010). Farmacologia generale e speciale per le lauree sanitarie,
Padova, Piccin
doi:10.1111/ijn.12015 [doi]
Chien, W. T., Mui, J., Gray, R., & Cheung, E. (2016). Adherence therapy versus routine
79
controlled trial. BMC Psychiatry, 16, 42-016-0744-6. doi:10.1186/s12888-016-
0744-6 [doi]
up. The British Journal of Psychiatry : The Journal of Mental Science, 205(1), 52-
Correll, C. U. (2014). Recognition of patients who would benefit from LAI antipsychotic
treatment: How to assess adherence. The Journal of Clinical Psychiatry, 75(11), e29.
doi:10.4088/JCP.13024tx3c [doi]
Geerts, P., Martinez, G., & Schreiner, A. (2013). Attitudes towards the administration of
Guo, X., Zhai, J., Liu, Z., Fang, M., Wang, B., Wang, C., . . . Zhao, J. (2010). Effect of
Hasan, A. A., Callaghan, P., & Lymn, J. S. (2014). Evaluation of the impact of a psycho-
80
controlled trial. BMC Psychiatry, 14, 17-244X-14-17. doi:10.1186/1471-244X-14-
17 [doi]
Kishimoto, T., Nitta, M., Borenstein, M., Kane, J. M., & Correll, C. U. (2013). Long-
Lafeuille, M. H., Laliberte-Auger, F., Lefebvre, P., Frois, C., Fastenau, J., & Duh, M. S.
doi:10.1186/1471-244X-13-221 [doi]
10.1146/annurev-clinpsy-032813-153657 [doi]
Llorca, P. M., Abbar, M., Courtet, P., Guillaume, S., Lancrenon, S., & Samalin, L. (2013).
244X-13-340 [doi]
Macleod, S. H., Elliott, L., & Brown, R. (2011a). What support can community mental
health nurses deliver to carers of people diagnosed with schizophrenia? findings from
doi:10.1016/j.ijnurstu.2010.09.005 [doi]
81
Macleod, S. H., Elliott, L., & Brown, R. (2011b). What support can community mental
health nurses deliver to carers of people diagnosed with schizophrenia? findings from
doi:10.1016/j.ijnurstu.2010.09.005 [doi]
[doi]
Matsuda, M., & Kohno, A. (2016). Effects of the nursing psychoeducation program on
doi:10.1016/j.apnu.2016.03.008 [doi]
Okpokoro, U., Adams, C. E., & Sampson, S. (2014). Family intervention (brief) for
controlled trial of cognitive motivational therapy program for the initial phase of
Park, E. J., Amatya, S., Kim, M. S., Park, J. H., Seol, E., Lee, H., . . . Na, D. H. (2013).
82
schizophrenia. Archives of Pharmacal Research, 36(6), 651-659.
doi:10.1007/s12272-013-0105-7 [doi]
Petretto, D. R., Preti, A., Zuddas, C., Veltro, F., Rocchi, M. B., Sisti, D., . . . SPERA-S
Rossi G, Frediani S, Rossi R, Rossi A. (2012). Long-acting antipsychotic drugs for the
Samalin, L., Charpeaud, T., Blanc, O., Heres, S., & Llorca, P. M. (2013). Clinicians'
doi:10.1097/NMD.0b013e31829829c4 [doi]
Spina, E., Canonico, P. L., & de Bartolomeis, A. (2015). Antipsicotici iniettabili a lunga
Padova, Piccin
Tiihonen, J., Haukka, J., Taylor, M., Haddad, P. M., Patel, M. X., & Korhonen, P. (2011).
A nationwide cohort study of oral and depot antipsychotics after first hospitalization
83
for schizophrenia. The American Journal of Psychiatry, 168(6), 603-609.
doi:10.1176/appi.ajp.2011.10081224 [doi]
Uchino, T., Maeda, M., & Uchimura, N. (2012). Psychoeducation may reduce self-stigma
Won, M. R., Lee, K. J., Lee, J. H., & Choi, Y. J. (2012). Effects of an emotion
www.epicentro.iss.it.Retrieved from
http://www.epicentro.iss.it/problemi/schizofrenia/schizo.asp
Zhao, S., Sampson, S., Xia, J., & Jayaram, M. B. (2015). Psychoeducation (brief) for
people with serious mental illness. The Cochrane Database of Systematic Reviews,
84
Allegati
Allegato 1 – Tabella risultati della ricerca
Banche dati Parole chiave Articoli trovati Articoli selezionati Titoli articoli selezionati
Pubmed ((("Antipsychotic Agents/therapeutic 147 1 A nationwide cohort study of oral and depot
use"[Mesh]) AND "Delayed-Action antipsychotics after first hospitalization for
Preparations"[Mesh]) AND schizophrenia, Tiihonen J., Haukka J., Taylor M., Haddad
"Schizophrenia/drug therapy"[Mesh]) P.M., Patel M.X., Korhonen P., Giugno 2011
AND "Treatment Outcome"[Mesh] Doi: 10.1176/appi.ajp.2011.10081224
Filtri: 10 anni
(("Antipsychotic Agents/therapeutic 53 1 Relapse prevention in schizophrenia: a systematic
use"[Mesh]) AND "Schizophrenia/drug review and meta-analysis of second generation
therapy"[Mesh]) AND antipsychotcs versus first generation antipsychotics,
"Schizophrenia/prevention and Kishimoto T., Agarwal V., Kishi T., Leucht S., Kane J.M.,
control"[Mesh] Correll C.U., Gennaio 2013
Doi: 10.1038/mp.2011.143
Filtri: 5 anni
(("Antipsychotic Agents"[Mesh]) AND 136 1 Long acting injectable versus oral antipsychotics in
"Delayed-Action Preparations"[Mesh]) schizophrenia: a systematic review and meta analysis of
AND "Patient Compliance"[Mesh] mirror image studies, Kishimoto T., Nitta M., Borenstein
M., Kane J.M., Correll C.U., Ottobre 2013
Filtri: 10 anni Doi: 10.4088/JCP.13r08440
Elsevier Antipsychotic medication adherence 194 2 Effects of the Nursing Psychoeducation Program on the
AND psychiatric nursing interventions Acceptance of Medication and Condition-Specific
AND stigma Knowledge of Patients with Schizophrenia, Matsuda M.,
Kohno A., Ottobre 2016
Doi: 10.1016/j.apnu.2016.03.008
What support can community mental health nurses
deliver to carers of people diagnosed with
schizophrenia? Findings from a review of the literature,
Macleod S.H., Elliot L., Brown R.,
Banche dati Parole chiave Articoli trovati Articoli selezionati Titoli articoli selezionati
Gennaio 2011
Doi: 10.1016/j.ijnurstu.2010.09.005
Chocrane Library Mental Health-Schizophrenia & 268 2 Psychoeducation (brief) for people with serious mental
psychosis (in CDSR-Cochrane Database illness, Zhao S., Sampson S., Xia J., Jayaram M.B.,
of Systematic Review-“Mental Health”) Aprile 2015
Doi: 10.1002/14651858.CD010823.pub
Psychoeducation for schizophrenia, Xia J., Merinder
L.B., Belgamwar M.R.,
Giugno 2011
Doi:10.1002/14651858.CD002831.pub2
Schizophrenia AND psichoeducation (in 143 7 A randomized trial to assess the efficacy of a
Cochrane Central Register of Controlled psychoeducational intervention on caregiver burden in
Trials) schizophrenia,
Martin-Carrasco M., Fernandez-Catalina P., Dominguez-
Panchon A.I., Goncalves-Pereira M., Gonzalez-Fraile E.,
Munoz-Hermoso P., Ballesteros J.,
Marzo 2016
Doi: 10.1016/j.eurpsy.2016.01.003
Adherence therapy versus routine psychiatric care for
people with schizophrenia spectrum disorders: A
randomised controlled trial, Chien W.T., Mui J., Gray
R., Cheung E., Febbraio 2016
Doi: 10.1186/s12888-016-0744-6
Effects of a mindfulness-based psychoeducation
programme for Chinese patients with schizophrenia: 2-
year follow-up, Chien W.T., Thompson D.R.,
Luglio 2014
Doi: 10.1192/bjp.bp.113.134635
Banche dati Parole chiave Articoli trovati Articoli selezionati Titoli articoli selezionati
Evaluation of the impact of a psycho-educational
intervention for people diagnosed with schizophrenia
and their primary caregivers in Jordan: A randomized
controlled trial, Hasan A.A., Callaghan P., Lymn J.S.,
Gennaio 2014
Doi: 10.1186/1471-244X-14-17.
An RCT with three-year follow-up of peer support
groups for Chinese families of persons with
schizophrenia, Chien W.T., Thompson D.R., Ottobre 2013
Doi: 10.1176/appi.ps.201200243
A controlled trial of a needs-based, nurse-led
psychoeducation programme for Chinese patients with
first-onset mental disorders: 6 month follow up, Chien
W.T., Leung S.F.,
Febbraio 2013
Doi: 10.1111/ijn.12015
Randomized controlled trial of cognitive motivational
therapy program for the initial phase of schizophrenia:
a 6-month assessment, Palma-Sevillano C., CaneTe-
Crespillo J., Farriols-Hernando N., Cebria-Andreu J.,
Michael M., Alonso-Fernandez I., Fernandez-Vargas M.,
Segarra-Gutierrez G.,
2011
//