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Raffaella Campaner - Maria Carla Galavotti La spiegazione scientifica
La spiegazione è senza alcun dubbio l’oggetto di
uno dei più vasti capitoli della filosofia della scienza,
Raffaella Campaner è ricerca-
tore confermato e svolge la Raffaella Campaner
al centro di un dibattito che dalla prima formula- sua attività di ricerca in Filo-
sofia della scienza presso
Maria Carla Galavotti
zione dei modelli di Hempel è andato sempre più
articolandosi, e arricchendosi di nuovi orienta- l’Università di Bologna. I suoi
interessi riguardano la causa-
La spiegazione
menti. Verso la fine degli anni Ottanta tale dibattito
aveva già raggiunto proporzioni tali da indurre We-
lità, la spiegazione scientifica
e la filosofia della medicina.
scientifica
sley Salmon a tracciarne la storia nel saggio 40 Modelli e problemi
FILOSOFIA
Tra le sue pubblicazioni, Spie-
anni di spiegazione scientifica (1989). A più di gazioni e cause in medicina:
vent’anni dall’uscita del testo di Salmon, il presente un’indagine epistemologica
volume si propone di offrire una panoramica del- (Gedit, 2005), La causalità tra
l’ampio ventaglio di prospettive che si sono con- filosofia e scienza (Archetipo-
frontate a proposito della natura della spiegazione Libri, 2012), Philosophy of Me-
scientifica dagli anni Quaranta a oggi, con partico- dicine. Causality, Evidence
lare attenzione alle interazioni e intersezioni tra i di- and Explanation (ArchetipoLi-
bri, 2012).
versi approcci e alle applicazioni suggerite dalle
teorie più recenti.
Maria Carla Galavotti è pro-
fessore ordinario di Filosofia
della scienza presso l’Univer-
sità di Bologna. È autrice di
circa 150 pubblicazioni, fra le
quali il volume Philosophical
Introduction to Probability
(Stanford, 2005). Ha pubbli-
cato su riviste prestigiose
come il British Journal for the
Philosophy of Science, Erken-
ntnis, Synthèse e Internatio-
nal Studies in the Philosophy
of Science. Fra i principali
temi della sua ricerca i fon-
damenti della probabilità, la
causalità, i modelli, la spiega-
zione scientifica.
ISBN 978-88-6633-119-3
€ 18,00
AB 5293
00Pag_Campaner_Galavotti.qxp:Layout 1 12-02-2013 10:29 Pagina I
Studi di epistemologia
Comitato scientifico
Giovanni Boniolo (IFOM-IEO - Milano)
Arturo Carsetti (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)
Paolo Garbolino (IUAV - Venezia)
Pierdaniele Giaretta (Università degli Studi di Padova)
Donald Gillies (UCL - London)
Alberto Mura (Università degli Studi di Sassari)
David Teira (UNED - Madrid)
Raffaella Campaner
Maria Carla Galavotti
La spiegazione scientifica
Modelli e problemi
00Pag_Campaner_Galavotti.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:17 Pagina IV
© 2012 by CLUEB
Cooperativa Libraria Universitaria Editrice Bologna
Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limi-
ti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla
SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile
1941 n. 633.
ISBN 978-88-6633-119-3
ArchetipoLibri
40126 Bologna - Via Marsala 31
Tel. 051 220736 - Fax 051 237758
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ArchetipoLibri è un marchio Clueb
INDICE
VI Indice
Introduzione
1
Chi volesse approfondire la filosofia e la storia dell’empirismo logico veda Sta-
dler [1997].
2
Si veda Hahn, Neurath e Carnap [1929, ed. it. 1979].
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VIII Introduzione
Introduzione IX
Capitolo 1
La visione ricevuta
2 Capitolo 1
nativi. Vale poi la pena di ricordare come nella prima edizione di Lo-
gik der Forschung (1934) Karl Popper avanzasse una concezione assai
vicina a quella di Hempel, tanto che il modello hempeliano di spiega-
zione viene talora citato come modello di Popper-Hempel.
Il primo saggio dedicato da Hempel alla spiegazione, dal titolo The
Function of General Laws in History, apparve nel 1942. Ad esso fece
seguito nel 1948 un altro saggio scritto in collaborazione con Paul Op-
penheim, intitolato Studies in the Logic of Explanation. Hempel è poi
andato successivamente affinando il proprio punto di vista concen-
trandosi dapprima solo sulla spiegazione deduttiva, per poi accinger-
si, intorno all’inizio degli anni Sessanta, ad elaborare anche un mo-
dello di spiegazione probabilistica. I suoi studi sull’argomento sono
culminati nel saggio del 1965 Aspects of Scientific Explanation, conte-
nente la più ampia e sistematica formulazione della visione hempelia-
na della spiegazione. Alla pubblicazione di questo saggio fece seguito
un dibattito di dimensioni tali che l’autore sentì l’esigenza di inserire
nell’edizione in lingua tedesca una lunga postfazione, intitolata Na-
chwort 1976: Neuere Ideen zu den Problemen der statistischen Erklä-
rung, contenente una lucida discussione di alcune delle più rilevanti
critiche mosse alle sue posizioni in merito alla spiegazione probabili-
stica. A beneficio del lettore, ricordiamo che tale premessa è inserita
nell’edizione italiana intitolata Aspetti della spiegazione scientifica, al
paragrafo 3.7, sotto il titolo Postfazione 1976: nuove idee sui problemi
della spiegazione statistica1.
Secondo la teoria hempeliana il procedimento esplicativo ha la
struttura logica di un argomento inferenziale composto da un insieme
di premesse, che nel loro complesso ne costituiscono l’explanans, e da
una conclusione, che ne costituisce l’explanandum. L’idea di fondo è
che il potere esplicativo riposa su leggi aventi portata empirica, che
cioè descrivono correlazioni fra fenomeni osservabili. Il ruolo di tali
leggi è quello di connettere l’explanandum alle condizioni iniziali men-
zionate, accanto alle leggi, dall’explanans. Nel caso in cui le leggi im-
piegate siano di tipo ineccepibile, o deterministico, tale connessione
appare necessaria, cosicché l’explanandum è conseguenza logica del-
l’explanans. La connessione nomica così istituita consente di conside-
rare i fatti particolari descritti dalle condizioni iniziali come forniti di
rilevanza esplicativa rispetto al fenomeno da spiegare. Per sottolinea-
re il ruolo insostituibile spettante alle leggi, Hempel denomina questo
1
Si veda Hempel [1965b, ed. it. 1986].
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La visione ricevuta 3
2
Si veda Hempel e Oppenheim [1948].
01Capitolo_1.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:18 Pagina 4
4 Capitolo 1
sizione, sostenendo che vi siano anche altri tipi di spiegazione N-D, co-
me quella mediante leggi di coesistenza – quali, ad esempio, la legge di
Boyle, o quella di Ohm – o mediante leggi di successione – come la leg-
ge di Galileo – e in generale le leggi che codificano i mutamenti di sta-
to che si verificano entro sistemi deterministici.
In sostanza, quindi, la spiegazione causale rappresenta un possibi-
le tipo di spiegazione N-D, che non riveste alcuna speciale prerogati-
va rispetto a spiegazioni di altra natura. Detto altrimenti, Hempel non
attribuisce valore particolare al fatto che una spiegazione abbia carat-
tere causale. Ciò appare in linea con la convinzione di fondo che ispi-
ra la visione hempeliana, ossia che spiegare significhi mostrare l’at-
tendibilità dei fenomeni su base nomica.
Per poter adeguatamente svolgere questo compito, una spiegazio-
ne deve avere certe caratteristiche, che Hempel esprime attraverso al-
cune condizioni di adeguatezza che devono venire soddisfatte dalle spie-
gazioni N-D. Esse includono tre condizioni di ordine logico, che ri-
chiedono che una spiegazione (1) sia un argomento deduttivo valido,
e includa un explanans che (2) menzioni almeno una legge e (3) abbia
contenuto empirico. A queste si aggiunge una condizione di ordine
empirico, che richiede che (4) gli enunciati che compongono l’expla-
nans siano veri. La condizione (1) ribadisce che l’explanandum deve
essere logicamente deducibile dall’informazione contenuta nell’expla-
nans, perché in caso contrario l’explanans non costituirebbe una base
adeguata a spiegare l’explanandum. Le condizioni (2) e (3) riafferma-
no il nocciolo della visione hempeliana, per cui spiegare significa ri-
portare i fenomeni nell’ambito di leggi aventi portata empirica, alme-
no in via di principio passibili di controllo sperimentale. La condizio-
ne (4) rispecchia l’idea, indubbiamente molto plausibile, che una buo-
na spiegazione debba fare riferimento alle leggi e alle teorie facenti par-
te del bagaglio di conoscenze condivise dalla comunità scientifica.
Il soddisfacimento o meno della condizione (4) consente a Hempel
di distinguere fra spiegazioni vere e spiegazioni potenziali: le prime ca-
ratterizzate da premesse e conclusione vere, le seconde del tutto si-
mili alle prime tranne per il fatto che non è necessario che gli enunciati
che compaiono nell’explanans siano veri. Così Hempel:
usiamo la nozione di spiegazione potenziale, ad esempio, quando ci
domandiamo se una legge o una teoria non ancora controllata po-
trebbe fornire una spiegazione di qualche fenomeno empirico, o quan-
do diciamo che la teoria del flogisto, sebbene sia ora respinta, offriva
una spiegazione di certi caratteri della combustione [Hempel 1965b,
ed. it. 1986, 26].
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La visione ricevuta 5
3
Per un esame critico del dibattito in materia si veda Pizzi [1978]. Per un reso-
conto più recente rimandiamo a Psillos [2002].
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6 Capitolo 1
4
Il lettore che desideri approfondire le differenze fra argomenti induttivi e de-
duttivi può consultare Skyrms [1966, ed. it. 1974].
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La visione ricevuta 7
p (G | F) = r explanans
Fi
–––––––––––
r
–––––––––––
Gi explanandum
dove “p (G | F) = r” sta per una legge statistica la quale afferma che “la
probabilità di G, entro la classe F, è pari a r”; “Fi” sta per l’afferma-
zione che in un certo caso i è presente la proprietà F, e “Gi” sta per
l’enunciazione del fatto che nel caso suddetto è presente anche la pro-
prietà G. Infine, “r” sta per la probabilità associata alla spiegazione, o
anche il grado di supporto induttivo che l’explanans conferisce all’ex-
planandum. Va notato come entro questa teoria compaiano due di-
stinti concetti di probabilità: la probabilità associata alla spiegazione
è infatti da intendersi come una probabilità logica, mentre le probabi-
lità relative alle leggi usate per spiegare esprimono frequenze. È pro-
prio la presenza entro questo modello di due tipi distinti di probabi-
lità: uno statistico (frequentista) e uno induttivo (logico) a ispirare la
denominazione di “modello statistico-induttivo” adottata da Hempel.
Riguardo all’interpretazione di questi due tipi di probabilità, Hempel
fa esplicito riferimento alla teoria frequentista elaborata da Richard
von Mises e Hans Reichenbach, e all’interpretazione logica elaborata
da John Maynard Keynes e Rudolf Carnap5.
Perché un argomento statistico-induttivo possa dirsi dotato di po-
tere esplicativo e previsionale, esso deve soddisfare alcuni requisiti. In
primo luogo abbiamo il requisito di specificità massimale, che impone
che l’explanans di una spiegazione menzioni tutta l’informazione rile-
vante rispetto all’explanandum che risulta disponibile entro una data
situazione conoscitiva – chiamiamola K – ovvero «tutte le leggi stati-
stiche rilevanti e quei fatti particolari che si possono connettere, me-
diante leggi statistiche, con l’evento explanandum» [ibid., 97]. Con
l’imposizione di questo requisito Hempel intende dare una risposta
al problema dell’ambiguità, che sorge in relazione al fatto che per un
argomento induttivo con premesse vere in base al quale si può affer-
mare con probabilità molto alta che un certo oggetto possiede una de-
terminata proprietà, si può avere un altro argomento, anch’esso ca-
ratterizzato da premesse vere, che porta a concludere, ancora con pro-
5
Si veda Carnap [1950] e Reichenbach [1949]. Per un’introduzione critica alle
teorie di entrambi gli autori, e più in generale sulle varie interpretazioni della proba-
bilità, si rimanda a Galavotti [2000] e [2005].
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8 Capitolo 1
La visione ricevuta 9
p (G | F · H · J) = (1 – r1)
Fb · Hb · Jb
––––––––––––––––––––
(1 – r1)
––––––––––––––––––––
non Gb
Ora, se r1 designa una probabilità prossima a 0, (1 – r1) starà per un
valore di probabilità prossimo a 1. In questo modo abbiamo ottenu-
to «due forti argomenti induttivi le cui premesse sono compatibili e le
cui conclusioni si contraddicono» [Salmon 1989, ed. it. 1992, 99]. Con
le parole di Hempel:
l’insieme totale K degli enunciati scientifici accettati contiene diffe-
renti sottoinsiemi di enunciati che si possono impiegare come pre-
messe in argomenti probabilistici della forma sopra considerata [ossia:
argomenti S-I], e che conferiscono alte probabilità a “conclusioni” lo-
gicamente contraddittorie [Hempel 1965b, ed. it. 1986, 92].
10 Capitolo 1
6
Per un approfondimento di questi concetti rimandiamo ai cenni bibliografici
contenuti nella nota 5.
01Capitolo_1.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:18 Pagina 11
La visione ricevuta 11
pel 1965b, ed. it. 1986, 84]. Con l’imposizione di un requisito tanto re-
strittivo al modello S-I, Hempel sembra volerne anzitutto garantire la
funzionalità ai fini previsionali. In effetti, il requisito in questione ha
la conseguenza di limitare drasticamente il numero degli eventi passi-
bili di spiegazione, impedendo di fatto che eventi che accadono con
bassa probabilità possano venire spiegati. Questo aspetto della teoria
hempeliana ha sollevato non poche perplessità. Così l’epistemologo
finlandese Georg Henrik von Wright ritiene «preferibile evitare di di-
re che il modello probabilistico-induttivo spiega ciò che accade, e li-
mitarsi invece a dire che esso giustifica certe aspettative e previsioni»
[von Wright 1971, ed. it. 1977, 33]. Come vedremo nel prossimo ca-
pitolo, l’opinione è condivisa da Wesley Salmon, proponente di una
teoria della spiegazione entro la quale il nesso fra spiegazione e previ-
sione si configura in modo decisamente diverso.
Lo stesso Salmon considera l’imposizione del requisito di alta pro-
babilità induttiva frutto di un modo di concepire la spiegazione pro-
babilistica come sostanzialmente subalterna rispetto a quella dedutti-
va; cioè come una sorta di approssimazione all’ideale deduttivo tanto
migliore quanto più prossimo a 1 è il valore di probabilità associato al-
l’explanandum. Salmon considera questa impostazione ancora legata
al classico ideale deterministico di spiegazione, che egli rifiuta decisa-
mente a favore di una concezione della spiegazione probabilistica non
subalterna a quella deduttiva, nella convinzione che «quando la de-
duzione non ha più il ruolo di protagonista, il determinismo assai più
difficilmente può entrare in scena» [Salmon 1974, 168]. Analoga im-
pronta deterministica è stata ravvisata nel requisito della specificità
massimale, e più in particolare della relativizzazione epistemica che
quest’ultimo comporta, da Alberto Coffa e dallo stesso Salmon. Que-
st’ultimo parla in proposito di «tacita adesione al determinismo» af-
fermando che «l’impossibilità che si diano spiegazioni statistico-in-
duttive genuine, implicita nell’affermazione che la spiegazione stati-
stico-induttiva deve essere relativizzata alla situazione conoscitiva,
sembra comportare un’adesione al determinismo» [ibidem]7. Dal can-
to suo Hempel, nel prendere le distanze dalla tesi secondo cui tutti gli
eventi sono spiegabili, che rappresenta uno dei cardini del determini-
smo laplaciano, se intesa «come un’ambigua affermazione intorno al
mondo», ne rivendica l’utilità «come massima euristica della ricerca
7
Lo scambio fra Coffa e Salmon sulla nozione di relativizzazione epistemica del-
la spiegazione S-I è reperibile in Coffa [1974] e [1977], e Salmon [1974] e [1977a].
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12 Capitolo 1
La visione ricevuta 13
8
L’esposizione che segue è stata largamente ripresa da Salmon [1989, ed. it. 1992].
9
Salmon [1989, ed. it. 1992, 85, nota 12] attribuisce questo esempio a Bromber-
ger [1966], aggiungendo che l’autore lo esprime in termini leggermente diversi.
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14 Capitolo 1
dalla lunghezza della sua ombra, poiché «un’asta di una certa altezza
causa un’ombra di una certa lunghezza, mentre l’ombra non causa
l’asta, e quindi non può spiegarne l’altezza» [Salmon 1989, ed. it.
1992, 85]. In sostanza, Salmon ci dice che benché in base alle mede-
sime informazioni si possano costruire tre diversi argomenti N-D in
grado di soddisfare i requisiti di adeguatezza fissati da Hempel, sol-
tanto uno fra essi appare plausibile sul piano esplicativo, ossia quello
che riveste carattere causale.
Esempio 3: il barometro e il temporale. Ogniqualvolta la lancetta di
un barometro che funziona correttamente si sposta bruscamente ver-
so il basso, si prevede che scoppi un temporale, ma nessuno sarebbe
disposto a dire che lo spostamento della lancetta spieghi il temporale.
Il fatto è che tanto lo spostamento della lancetta del barometro quan-
to il temporale sono il risultato di ciò che accade nelle condizioni at-
mosferiche nella zona interessata. La spiegazione in questo caso ri-
manda a una causa comune. Di questo concetto parleremo a lungo
nelle pagine che seguono.
Nel porre l’accento sulla mancanza di condizioni che impongano
alla spiegazione asimmetrie di ordine temporale e causale, gli esempi
mettono in luce una divaricazione fra previsione e spiegazione, confi-
gurando casi in cui la previsione può anche basarsi su correlazioni che
non hanno portata genuinamente esplicativa. La tesi che ogni previ-
sione sia una spiegazione potenziale non appare quindi sostenibile.
Per di più, alcuni autori sottolineano come vi siano teorie in grado di
spiegare ma non di fare previsioni. Un esempio in proposito, discus-
so da Michael Scriven, è costituito dalla teoria evoluzionistica, che for-
nisce spiegazioni del modo in cui si sono evoluti gli esseri viventi ma
non è in grado di prevedere la loro evoluzione nel futuro10. Lo stesso
Scriven propone anche un altro contro-esempio alla teoria hempelia-
na della spiegazione:
Esempio 4: la paresi e la sifilide. In base all’informazione che la pa-
resi è una forma terziaria di sifilide di cui si ammalano soltanto indi-
vidui che siano stati affetti da forme latenti di sifilide primaria e se-
condaria e non si siano sottoposti a cure, la paresi contratta da un in-
dividuo dato può essere spiegata come conseguenza di una forma di
sifilide non curata. Poiché però solo il 25% di coloro che si ammala-
no di sifilide sviluppano poi la paresi, il fatto di contrarre la paresi può
essere spiegato ex-post, ma non previsto se non con bassa probabili-
10
Si veda Scriven [1959].
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La visione ricevuta 15
11
Si veda Scriven [1963].
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16 Capitolo 1
sione nel caso della spiegazione probabilistica, laddove eventi che ac-
cadono con probabilità moderata, o addirittura bassa, in presenza del-
l’informazione nomica e circostanziale rilevante possono essere spie-
gati ex-post ma non previsti, se non con probabilità per l’appunto mo-
derata o bassa, il che farebbe propendere per la previsione contraria,
ossia relativa al non-accadimento di qualcosa, piuttosto che al suo ac-
cadimento.
Prendiamo in considerazione un ultimo esempio, dovuto a Richard
Jeffrey:
Esempio 7: la moneta truccata. Immaginiamo una moneta che è
conformata in modo tale da ricadere per il 95% dei casi su Testa e
per il rimanente 5% su Croce. Se lanciando questa moneta si ot-
tiene Testa, questo risultato può facilmente essere spiegato me-
diante un argomento S-I dotato di alta probabilità induttiva, men-
tre se esce Croce non risulta possibile fornire un’analoga spiega-
zione di questo risultato. Ciò va chiaramente contro l’intuizione
che vorrebbe che entrambi i risultati siano spiegabili in base all’in-
formazione sulla conformazione della moneta. Con le parole di Jef-
frey:
per spiegare il fenomeno che è uscita almeno una volta testa in due
lanci di una moneta, mi richiamerei al fatto che siamo di fronte a un
processo stocastico con probabilità ½ che un lancio qualsiasi dia testa,
e lanci indipendenti. Darei la medesima spiegazione se si verificasse un
fenomeno diverso: se, in modo improbabile, nessuno dei lanci avesse
dato testa [Jeffrey 1969, 1971, 27].
La visione ricevuta 17
12
Si veda Stegmüller [1973], volume 2.
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18 Capitolo 1
Capitolo 2
1
Il saggio, pubblicato dapprima nel 1970, venne poi ristampato insieme con due
saggi di Jeffrey e Greeno in Salmon, Jeffrey e Greeno [1971].
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20 Capitolo 2
peso attribuito alla causalità, che per Salmon riveste importanza fon-
damentale ai fini esplicativi.
Vediamo, in primo luogo, le obiezioni mosse da Salmon alla tesi
che le spiegazioni siano argomenti inferenziali. Un primo rilievo ri-
guarda l’asimmetria che caratterizza la spiegazione, ma non la struttura
logica dell’inferenza. Esempi come quelli dell’eclissi e dell’ombra del-
l’asta di bandiera portano Salmon a ritenere che la spiegazione genui-
na abbia carattere causale, e che l’asimmetria esplicativa derivi diret-
tamente dall’asimmetria causale, in quanto «noi spieghiamo gli even-
ti in base alle cause iniziali, non agli effetti che ne seguono» [Salmon
1977b, 158]. Altra obiezione contro la tesi che le spiegazioni siano ar-
gomenti nasce dal diverso ruolo spettante, nell’uno e nell’altro caso, al-
la nozione di rilevanza. Da un lato, infatti, gli argomenti richiedono un
requisito di evidenza totale, automaticamente soddisfatto da quelli de-
duttivi e cruciale nel determinare l’accettabilità di quelli induttivi, e
tuttavia non risentono della presenza di informazione irrilevante nel-
le premesse: l’aggiunta di una o più premesse irrilevanti a un argo-
mento – tanto deduttivo quanto induttivo – non ne muta la validità
(nel caso deduttivo) o il grado di probabilità (nel caso induttivo). D’al-
tro canto, le spiegazioni richiedono non soltanto che tutta l’informa-
zione rilevante rispetto al fenomeno da spiegare sia inclusa nell’expla-
nans, ma anche che quest’ultimo non contenga informazione irrile-
vante. Osserva in proposito Salmon: «gli elementi irrilevanti sono in-
nocui per gli argomenti, ma assai nocivi per le spiegazioni» [ibid.,
149]. Salmon condivide questa posizione con Jeffrey, il quale sulla
scorta dell’esempio della moneta truccata esaminato nel capitolo pre-
cedente, sostiene che è scorretto considerare la spiegazione di eventi
come un’inferenza, e identificare la forza di tale inferenza con quella
della spiegazione. L’esempio della moneta truccata mostra infatti che
quando si verifica un evento generato da un processo stocastico co-
nosciuto, quest’ultimo ne consente la spiegazione, indipendentemen-
te dal fatto che l’evento accada con probabilità alta o bassa.
Muovendo da queste premesse, Salmon avanza una prospettiva en-
tro la quale la spiegazione probabilistica rappresenta il caso generale,
e la spiegazione deterministica ne costituisce il caso limite. Salmon ar-
ticola la sua teoria su due livelli. Al primo colloca il modello incen-
trato sulla nozione di rilevanza statistica (S-R), al secondo la spiega-
zione propriamente causale, che contempla una particolare nozione
di causalità probabilistica.
Nell’ambito del modello di rilevanza statistica spiegare significa in-
serire l’evento explanandum in una rete di correlazioni espresse da ge-
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22 Capitolo 2
24 Capitolo 2
2
Per “peso” deve intendersi il valore della probabilità relativa a un evento (caso)
singolo.
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3
Vedi anche Salmon [1977c].
4
Chi volesse approfondire il frequentismo di Reichenbach potrà avvalersi di Ga-
lavotti [2000], [2005] e [2011].
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26 Capitolo 2
nita dalla base S-R è sufficiente per la previsione, ma non per la spie-
gazione, che deve includere conoscenza causale.
Per inciso, vale la pena di richiamare l’affermazione di Ernest Na-
gel che «la conoscenza delle cause non è coestensiva con la capacità di
prevedere» [Nagel 1965, 24]. Pur avanzando una visione della spiega-
zione vicina, nelle sue linee essenziali, a quella di Hempel, Nagel appare
assai più propenso a coniugare l’idea di generalizzazione statistica a
quella di causalità quando sostiene che «esistono leggi statistiche che
sarebbero comunemente classificate come causali» [ibid., 22]. Egli inol-
tre osserva che vi è anche un altro senso in cui spiegazione causale e
previsione non sono coestensive: si tratta di quei casi nei quali l’acca-
dimento di eventi particolari è dovuto a cause sorprendenti, di per sé
imprevedibili sulla scorta delle conoscenze nomologiche rilevanti. Men-
tre su questo punto torneremo in seguito, ricordiamo qui la conclu-
sione cui giunge Salmon agli inizi degli anni Ottanta a proposito della
tesi della simmetria, quando afferma che essa
instaura un nesso troppo forte fra spiegazione e previsione. Io non ne-
go che vi sia un’importante relazione fra questi due grandi scopi della
scienza: entrambi, a mio parere, comportano un richiamo alle leggi del-
la natura [...]. La previsione [...] è un’attività inferenziale, che richiede
la costruzione di argomenti logici in modo ovvio ed esplicito. La spie-
gazione è qualcosa di completamente diverso [Salmon 1982b, 261].
Come già rilevato più volte, per Salmon la spiegazione deve avere
carattere causale. Per ottenere ciò, si deve passare a un secondo livel-
lo di spiegazione propriamente causale, secondo cui spiegare signifi-
ca identificare i meccanismi responsabili dell’accadimento dei feno-
meni. Viene così riproposto un ideale esplicativo di tipo meccanici-
stico, calato però in una prospettiva probabilistica. La più estesa for-
mulazione di questo ideale è affidata al volume del 1984 Scientific Ex-
planation and the Causal Structure of the World, ma Salmon continuò
a lavorare alla spiegazione fino alla sua morte, modificando la propria
teoria sotto vari aspetti.
Rispetto alla spiegazione causale, il concetto di rilevanza statistica
mantiene un’importanza fondamentale, poiché le relazioni di rilevanza
statistica fungono da “indicatori” di relazioni di rilevanza causale. Un
ruolo cruciale nella ricerca di relazioni causali viene assegnato alla rela-
zione di adombramento (screening-off), definita come segue. Data una
classe di riferimento A su cui è possibile operare una partizione rile-
vante rispetto a un dato attributo B per mezzo di due attributi C e D, si
dirà che D mette in ombra C rispetto a B nella classe A se, e solo se
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28 Capitolo 2
p (B | A · C · D) = p (B | A · D) ≠ p (B | A · C).
La relazione di adombramento è caratterizzata da una peculiare
asimmetria: infatti se C e D sono entrambe statisticamente rilevanti ri-
spetto a B nella classe di riferimento A, ma D mette in ombra C, que-
st’ultima non mette a sua volta in ombra D rispetto a B in A.
Riprendiamo l’esempio del barometro e del temporale, già men-
zionato nel primo capitolo, e poniamo T = scoppio di un temporale,
A = frequenza dei temporali in estate a Bologna, B = brusco sposta-
mento della lancetta del barometro, P = abbassamento della pressio-
ne atmosferica nell’area interessata. Tanto B quanto P sono statistica-
mente rilevanti rispetto a T, ossia
p (T | B · A) > p (T | A) e p (T | P · A) > p (T | A).
Tuttavia, P, ossia l’abbassamento della pressione atmosferica nel-
l’area interessata, mette in ombra B rispetto a T, in altre parole B di-
venta irrilevante per T in presenza di P mentre B non mette in ombra
P rispetto a T:
p (T | P · B · A) = p (T | P · A) ≠ p (T | B · A).
Prendiamo ora l’esempio della paresi e della sifilide, e poniamo A
= classe dei maschi americani, B = avere relazioni sessuali con prosti-
tute, C = contrarre la sifilide, e D = contrarre la paresi. Anche in que-
sto caso, notiamo che tanto B quanto C sono statisticamente rilevanti
rispetto a D:
p (D | B · A) > p (D | A) e p (D | C · A) > p (D | A).
Tuttavia, per un qualsiasi A, C mette in ombra B rispetto a D:
p (D | C · B · A) = p (D | C · A) ≠ p (D | B · A).
Poiché in effetti sappiamo che la probabilità di D (come quella di
T, nell’esempio precedente) aumenta in presenza dell’attributo C (P
nell’esempio precedente), potremmo anche descrivere la situazione
nel modo seguente:
p (D | A) < p (D | A · B) < p (D | A · B · C) = p (D | A · C).
Ossia: la probabilità di D dato A è minore della probabilità di D
condizionata ad A e B, e questa probabilità è minore della probabili-
tà di D condizionata ad A, B e C; ma quella probabilità è uguale alla
probabilità di D condizionata ad A e C.
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30 Capitolo 2
(1) p (A · B | C) = p (A | C) × p (B | C)
(2) p (A · B | ~C) = p (A | ~C) × p (B | ~C)
(3) p (A | C) > p (A | ~C)
(4) p (B | C) > p (B | ~C)
Da queste relazioni segue
(5) p (A · B) > p (A) × p (B)
ossia l’affermazione che A e B accadono in congiunzione più fre-
quentemente di quanto non accadrebbe se fossero indipendenti. La
causa comune C “assorbe” questa dipendenza, come descritto dal-
le relazioni (1) e (2). In effetti, il principio di causa comune equivale
a due relazioni di adombramento, poiché ci dice che la causa co-
mune C adombra A rispetto a B, e B rispetto ad A. Ciò è facilmen-
te dimostrabile. Dalla proprietà moltiplicativa della probabilità –
in virtù della quale p (A · B) = p (A) × p (B | A) = p (B) × p (A | B)
– si ricava:
(6) p (A · B | C) = p (A | C) × p (B | A · C)
Dalla (1) e dalla (6) si ottiene:
(7) p (A | C) × p (B | C) = p (A | C) × p (B | A · C)
Posto p (A | C) > 0, dividendo per questo fattore entrambi i termi-
ni dell’uguaglianza si ha
(8) p (B | C) = p (B | A · C).
La (8) dice precisamente che C adombra A rispetto a B. Con un ra-
gionamento analogo si dimostra che C adombra B rispetto ad A. Inol-
tre, partendo dalla formula (2) è possibile dimostrare con lo stesso
procedimento che ~C adombra A rispetto a B e B rispetto ad A.
Nella teoria della spiegazione di Salmon, il principio di causa co-
mune funge in qualche modo da ponte fra i due livelli di spiegazione,
consentendo di riportare dipendenze statistiche a dipendenze causa-
li. Esso tuttavia non fa riferimento a eventi particolari, evidenziando
piuttosto «una comune struttura soggiacente e costante che si mani-
festa in una varietà di situazioni differenti» [Salmon 1978, ed. it. 1992,
50]. Dapprima convinto, come già Reichenbach, che la relazione di
adombramento e il principio di causa comune potessero offrire una
solida base per la spiegazione causale, Salmon fu costretto nel corso
degli anni Settanta a rivedere la sua posizione.
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32 Capitolo 2
5
Si veda Salmon [1980a, ed. it 2012] per una discussione critica delle teorie di
questi autori. Alcune osservazioni in proposito sono reperibili anche in Galavotti
[2001].
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6
Rimandiamo a Salmon [1984, 154-157] per una descrizione dettagliata della na-
tura del processo causale.
7
Russell elabora la teoria delle linee causali in Russell [1948].
02Capitolo_2.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:18 Pagina 34
34 Capitolo 2
8
Si veda Salmon [1990a] e [1990b].
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36 Capitolo 2
9
L’esempio è discusso in Salmon [1984], capitolo 5, e ripreso in altri articoli fra
i quali Salmon [1994].
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che la macchia di luce diventi rossa, e resti tale anche dopo essersi al-
lontanata dal cellofan sulla parete. In un caso simile, sembrerebbe che
il marchio fosse stato prodotto dall’interazione col cellofan, anziché
dalla lente, e risulterebbe problematico distinguere il processo causa-
le dallo pseudo-processo. Per evitare la possibile confusione fra pro-
cessi causali e pseudo-processi, Salmon si è visto costretto a porre il
criterio di trasmissione dei marchi in termini controfattuali. Come già
ricordato, secondo la definizione adottata da Salmon un processo
avente determinate caratteristiche viene modificato dall’introduzione
di un marchio in modo tale che da quel punto in poi, in assenza di ul-
teriori interazioni, esso manifesta il marchio impressogli lungo tutto il
suo percorso successivo. La definizione è controfattuale, poiché af-
ferma che un processo sarebbe rimasto invariato, se non fosse stato
impresso un marchio su di esso. La formulazione controfattuale bloc-
ca contro-esempi come quello proposto da Cartwright, poiché se-
guendo l’impostazione di Salmon si può dire che «la macchia di luce
sarebbe diventata rossa grazie all’inserimento della lente rossa, anche
se non avesse avuto luogo il mutamento di colore sul muro» [Salmon
1984, 149].
L’appello di Salmon ai controfattuali non è piaciuto a vari autori,
primo fra tutti Philip Kitcher il quale afferma che il ruolo attribuito ad
essi nella visione di Salmon è tale da farne una «teoria controfattuale
della causalità» [Kitcher 1989, 472] piuttosto che una teoria dei pro-
cessi e delle interazioni causali. L’insoddisfazione circa l’uso di con-
trofattuali è dettata dalla riluttanza ad assumere la semantica a mon-
di possibili – che viene abitualmente associata ad essi, specie in segui-
to all’opera di David Lewis – ritenuta sostanzialmente in contrasto
con un’impostazione rigorosamente empiristica. Per evitare l’appello
ai mondi possibili Salmon adotta un’interpretazione sperimentale dei
controfattuali, la cui idea di fondo è che in un esperimento spetta al-
lo scienziato decidere quali condizioni restano immutate e quali pos-
sono variare, ed è quindi il risultato dell’esperimento a stabilire quali
asserzioni controfattuali sono vere e quali false, entro date condizio-
ni. Sulla scorta di un elevato numero di esperimenti rigorosi risulte-
rebbe così possibile fondare i condizionali controfattuali sull’osserva-
zione e sul controllo sperimentale, ottenendo una base puramente em-
pirica per accertarne le condizioni di verità. In altri termini, secondo
questa impostazione i valori di verità dei condizionali controfattuali
vengono stabiliti induttivamente in base ai risultati degli esperimenti.
Questo approccio, tuttavia, non soddisfa i critici di Salmon, in par-
ticolare Phil Dowe il quale obietta che l’impostazione “sperimentali-
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38 Capitolo 2
sta” può fornire «una base solo epistemica, non ontica, alle condizio-
ni di verità dei controfattuali» [Dowe 1992, ed. it. 2012, 139]. Unita-
mente all’ammissione, fatta da Salmon, che le condizioni di verità dei
controfattuali sono pragmatiche, ciò costituisce «una minaccia all’as-
serzione che la causalità sia oggettiva» [ibidem]. Per di più, Dowe ac-
cusa la teoria di Salmon di circolarità, in quanto definisce il concetto
di “imposizione di marchio” – cioè la caratteristica peculiare del pro-
cesso causale – nei termini di “produzione di una modifica struttura-
le”: nozione che è essa stessa causale. La critica di Dowe non si ferma
qui, affermando che il criterio di trasmissione di marchi è del tutto
inadeguato allo scopo, poiché esclude casi di processi genuinamente
causali, mentre qualifica causali casi di pseudo-processi10.
Dowe contrappone a quella di Salmon una teoria dei processi cau-
sali basata sul concetto di “quantità conservata”. Ciò che caratterizza
un processo, secondo Dowe, è «il fatto di possedere una quantità con-
servata, piuttosto che non la capacità di trasmettere marchi» [Dowe
2000, 89], dove per “quantità conservata” s’intende qualsiasi quanti-
tà governata da una legge di conservazione, come l’energia, la massa,
il momento e la carica elettrica. In questa prospettiva, un’interazione
causale è un’intersezione fra due o più processi, in cui avviene uno
scambio di quantità conservate. La teoria delle quantità conservate
non fa alcun riferimento a condizionali controfattuali. Dowe ritiene
che la sua teoria permetta di distinguere in modo scientificamente pre-
ciso e non ambiguo tra processi genuinamente causali e pseudo-pro-
cessi, fornendo una caratterizzazione convincente della causalità sul-
la base di nozioni fisiche ben definite. Ad esempio, un raggio di luce
presenta energia e momento, mentre una macchia di luce non ha al-
cuna quantità conservata ad essa associata, e pertanto è uno pseudo-
processo. Poiché tutte le informazioni riguardanti le quantità conser-
vate e le leggi che le governano ci vengono fornite dalle teorie fisiche,
la nozione di causalità sviluppata da Dowe è sostanzialmente ristretta
alla fisica.
Salmon ha accolto con favore la proposta di Dowe, intravveden-
dovi un modo per evitare l’uso dei controfattuali. In un articolo del
1994: Causality without Counterfactuals, egli ha però sostituito la no-
zione di “quantità conservata” con quella di “quantità invariante”. La
differenza sostanziale fra queste due nozioni è che una quantità è con-
10
Per alcuni esempi in proposito rimandiamo a Dowe [1992, ed. it. 2012] e Do-
we [2009].
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11
Le critiche di Dowe sono contenute in Dowe [1995], e la risposta di Salmon in
Salmon [1997].
12
Si veda Woodward [1979] e [1984].
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40 Capitolo 2
42 Capitolo 2
13
Ulteriori osservazioni sulla teoria di Salmon sono reperibili in Galavotti [1999]
con commenti di Salmon in Galavotti e Pagnini [1999].
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Capitolo 3
44 Capitolo 3
1
Si veda Belnap e Steel [1976].
2
Si veda Scriven [1958] e [1962].
3 Si veda Bromberger [1962] e [1966].
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4
L’esempio è tratto da van Fraassen [1980, ed. it. 1985, 164], il quale dichiara di
riprenderlo da un dattiloscritto di Bengt Hansson, il quale a sua volta riprese idee di
Jon Dorling e Alan Garfinkel.
5
Si veda Achinstein [1977], [1981] e [1983].
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46 Capitolo 3
48 Capitolo 3
Uno dei vantaggi che van Fraassen attribuisce alla propria visione,
rispetto alle altre teorie della spiegazione avanzate in precedenza, è
che, relativizzando la spiegazione alle conoscenze di sfondo, essa ren-
de conto in modo semplice e diretto del fatto che vi sono domande di
spiegazione che in determinati contesti sono considerate non ammis-
sibili. Rifacendosi alla teoria dei paradigmi scientifici elaborata da
Thomas Kuhn, van Fraassen afferma che le opere di questo autore ab-
bondano di esempi di richieste di spiegazione che furono considera-
te legittime in alcuni periodi e rifiutate in altri. Così
Clerk Maxwell accettò come legittima la richiesta di spiegare i fenome-
ni elettromagnetici nel quadro della meccanica. Non appena la sua teo-
ria ebbe maggior successo e fu più largamente accettata, gli scienziati
smisero di vedere la mancanza di questa spiegazione come un’imperfe-
zione. Lo stesso era accaduto con la teoria della gravitazione di Newton,
la quale non conteneva (a giudizio di Newton o dei suoi contempora-
nei) una spiegazione dei fenomeni gravitazionali, ma soltanto una de-
scrizione. In entrambi i casi si arrivò ad un punto in cui tali problemi fu-
rono classificati come intrinsecamente illegittimi [...] il fatto importan-
te per la teoria della spiegazione è che non tutto ciò che appartiene al
dominio di una teoria è un argomento legittimo per domande-perché;
e che ciò che lo è non può venire determinato a priori [ibid., 148-149].
50 Capitolo 3
essa fosse vissuta, ho fatto in modo che la torre fosse alta esattamente
quello stesso numero di piedi”.
Mi ci volle un momento per comprendere la rilevanza di tutto questo.
Non essendo mai stato veloce a far le somme, dapprima mi chiesi sem-
plicemente perché la misura avrebbe dovuto venire presa in piedi; ma
naturalmente già sapevo che lui era un anglofilo. Aggiunse alquanto
ironicamente: “Non essendo modificabile il corso del sole, viaggian-
do la luce in linea retta, ed essendo le leggi della trigonometria im-
mutabili, voi capirete che la lunghezza dell’ombra viene determinata
dall’altezza della torre”. Ci alzammo ed entrammo.
Stavo ancora leggendo alle 11 di quella sera quando sentii bussare alla
porta. Aprendola trovai, vestita con un abito nero e un cappellino bian-
co di foggia piuttosto antiquata, la cameriera che quel giorno avevo vi-
sto in diverse occasioni gironzolare sullo sfondo. Molto cortesemente el-
la chiese: “Il signore vorrebbe che gli rifacessi il letto per la notte?”
Mi feci da parte, non volendo rifiutare, ma osservai che era molto tar-
di – era ancora in servizio a quell’ora? No, in realtà, rispose, mentre
voltava abilmente le coperte del mio letto, ma si dava il caso che alcuni
doveri potessero essere nello stesso tempo dei piaceri. Immersi in que-
sta e in consimili riflessioni filosofiche trascorremmo assieme qualche
ora gradevole, fino a che, alla fine, accennai casualmente a quanto mi
sembrasse sciocco il fatto che l’ombra della torre rendesse inservibile
la terrazza per chi volesse prendervi, con tutto comodo, un tè.
A questo punto, il suo viso si rannuvolò. Si mise prontamente a sede-
re. “Cosa le ha detto esattamente su questo?” Risposi allegramente, ri-
petendo la storia di Maria Antonietta, che suonava ora un po’ stirac-
chiata anche alle mie credule orecchie.
“I domestici hanno una spiegazione diversa”, disse con un sorriso bef-
fardo per niente adatto, così mi sembrava, ad un viso tanto giovane e
grazioso. “La verità è del tutto diversa, e non ha nulla a che fare con
gli antenati. Quella torre segna il punto in cui egli uccise la domesti-
ca della quale era innamorato fino alla follia. E l’altezza della torre?
Egli espresse il desiderio che l’ombra coprisse la terrazza ad ogni tra-
monto nel luogo in cui per la prima volta proclamò il suo amore – ed
è per questo che la torre dovette essere così alta”.
Ci misi un po’ prima di credere a questa storia. Non è mai facile assi-
milare verità inattese su gente che pensiamo di conoscere – ed avevo
avuto un’altra occasione per constatare ancora una volta questo fatto.
“Perché la uccise?” chiesi alla fine.
“Perché, signore, essa si trastullò con un brigadiere inglese, ospite per
una notte in questa casa”. Con queste parole si alzò, raccolse il corsetto
e il copricapo, e scomparve attraverso il muro oltre l’arco della porta.
Me ne andai di buon’ora il mattino successivo, facendo le mie scuse
come meglio mi riuscì [ibid., 169-171].
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52 Capitolo 3
6
Si vedano Cartwright [1979] e Suppes [1984, ed. it. 2012].
03Capitolo_3.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:19 Pagina 53
li una teoria ci informa sul mondo meglio di quanto non faccia un’al-
tra, non coincidono con le “virtù confermative”, che danno motivo di
credere nella sua verità7. Essendo informativa e non confermativa, la
spiegazione può fornire ragioni per accettare una teoria, ma queste
non rappresentano ragioni per crederla vera. Così come quello di “po-
tere esplicativo” non è un concetto assoluto, «non ci può essere nep-
pure alcuna richiesta di potere esplicativo inteso come qualcosa che
fornisca dell’evidenza per la verità di una teoria, la quale vada oltre
qualunque evidenza in nostro possesso circa la capacità della teoria di
fornire un’adeguata descrizione dei fenomeni» [ibid., 195].
7
Per un approfondimento di queste idee rimandiamo a van Fraassen [1983a],
[1983b] e [1985].
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54 Capitolo 3
Capitolo 4
La concezione unificazionista
58 Capitolo 4
1 Per alcune critiche alla teoria di Friedman si vedano, ad esempio, Salmon [1989,
La concezione unificazionista 59
60 Capitolo 4
La concezione unificazionista 61
62 Capitolo 4
non arriva a darne una definizione precisa, si veda Kitcher [1981, 518-519]. Nei casi
di derivazione di una proposizione dalla congiunzione della proposizione stessa con
un’altra (casi – come abbiamo visto – già problematici per Friedman, e qui definiti co-
me casi di “auto-derivazione”), siamo in presenza di “unificazioni spurie”. Su come
evitare tali casi, si veda Kitcher [ibid., 526-529].
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La concezione unificazionista 63
64 Capitolo 4
Anche Herbert Feigl sostiene che «lo scopo della spiegazione scien-
tifica attraverso le varie epoche è stato l’unificazione, ovvero la com-
prensione del maggior numero di fatti e regolarità nei termini del mi-
nor numero di concetti e assunzioni teorici» [Feigl 1970, 12]. Secon-
do Kitcher questo aspetto della prospettiva neoempirista sulla spie-
gazione scientifica è stato il tema-guida della concezione della spiega-
zione radicata nell’empirisimo logico e, pur non essendo entrato a far
parte a pieno titolo della cosiddetta “visione standard” della spiega-
zione, ne costituisce lo spunto più interessante e fecondo. Kitcher si
richiama dunque ad alcune delle posizioni prese da Hempel, pur sen-
za condividerne appieno gli esiti. L’ambizione dei modelli hempelia-
ni di costituire dei modelli di spiegazione validi per tutti i fenomeni e
in tutte le discipline risulta eccessiva, e va facilmente a infrangersi con-
tro i numerosi casi presenti nella storia della scienza in cui si sono ap-
portate significative variazioni nei metodi esplicativi. Al tempo stesso,
tuttavia, Kitcher ritiene ragionevole sostenere che «esistano alcuni
principi metodologici globali che valgono per tutte le scienze, sempre.
Man mano che un certo settore scientifico evolve, i principi metodo-
logici globali vengono soddisfatti in modi diversi, così da risultare in
modifiche autentiche a livello della metodologia locale» [Kitcher 1989,
418]. Dei cambiamenti rilevanti nelle caratterizzazioni delle domande
di spiegazione, ad esempio, possono verificarsi sullo sfondo di una
metodologia generale che resta indirizzata all’individuazione di pochi
principi esplicativi fondamentali.
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La concezione unificazionista 65
66 Capitolo 4
5
Kitcher ritiene che non ci sia in linea di principio alcuna proibizione ad usare ar-
gomenti non deduttivi nella sistematizzazione delle nostre conoscenze, ma che usare
argomenti non deduttivi renda tale sistematizzazione, nonché il confronto di possibili
sistematizzazioni alternative l’una all’altra, più difficile.
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68 Capitolo 4
La concezione unificazionista 69
6
Le critiche di Kitcher alle nozioni di processo causale e interazione causale pro-
poste da Salmon, e al suo uso di controfattuali nella definizione del criterio di tra-
smissione dei marchi, sono contenute in Kitcher [1989, 462-475].
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70 Capitolo 4
7
Kitcher annovera la meccanica quantistica, la linguistica formale e la matemati-
ca tra i settori in cui l’unificazionismo può riscuotere maggiore successo [si veda Kit-
cher 1985, 637].
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72 Capitolo 4
8
Si veda Barnes [1994, 65-66].
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La concezione unificazionista 73
9
«La mia intuizione è che questa sia una questione contingente; non è necessario
che i due tipi di unificazione siano legati in un modo o nell’altro» [Mäki 2001, 499].
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74 Capitolo 4
poiché molte delle conclusioni che la scienza trae sono derivate da ge-
neralizzazioni che descrivono entità non fondamentali, bensì di alto li-
10
Si veda anche Mäki [1990].
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La concezione unificazionista 75
11
Per l’esplicitazione di quali requisiti minimi un resoconto debba soddisfare per
essere esplicativo, in quanto “versione” o “porzione” della spiegazione ideale, si ve-
da Jones [1997, 84-92].
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76 Capitolo 4
12
Schurz sviluppa la sua proposta unificazionista sulla base di un approccio alla
spiegazione del tipo “inferenza alla miglior spiegazione”, che tratteremo nell’ultimo
paragrafo di questo capitolo.
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La concezione unificazionista 77
78 Capitolo 4
15 Woodward ritiene anche che Kitcher non chiarisca a sufficienza come i sistemi
La concezione unificazionista 79
80 Capitolo 4
La concezione unificazionista 81
82 Capitolo 4
16
Sono simili, ad esempio, l’osservazione che a è verde e quella che b è verde, e
l’osservazione che c corre più veloce di d e quella che e corre più veloce di f [Sober
2003, 206].
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La concezione unificazionista 83
17
Potrebbe essere “the best of a bad lot”. Queste tematiche si intrecciano con il
dibattito tra realismo scientifico e antirealismo. L’inferenza alla miglior spiegazione è
stata infatti invocata dai realisti: l’esistenza delle entità inosservabili costituirebbe la
miglior spiegazione del successo empirico e predittivo delle teorie scientifiche che a
tali entità ricorrono. Si vedano, ad esempio, van Fraassen [1980, ed. it. 1985]; Lipton
[1991, soprattutto cap. 9]; Psillos [1999].
18
Su questo si veda Day e Kincaid [1994].
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84 Capitolo 4
19
Si vedano, ad esempio, Barnes [1995]; Psillos [1996]; Ladyman et al. [1997];
Niiniluoto [1999].
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La concezione unificazionista 85
spiegazione non è stato molto sviluppato. È più uno slogan che una
teoria filosofica articolata [Lipton 1991, 2].
Capitolo 5
88 Capitolo 5
1
Per quanto concerne i valori di probabilità, Railton ritiene che l’interpretazione
filosofica della probabilità più promettente sia quella propensionista. Si veda, ad esem-
pio, Railton [1978, 222]. Per l’interpretazione propensionista della probabilità si ve-
da Galavotti [2000] e [2005].
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90 Capitolo 5
Una volta proposto il modello D-N-P, Railton nota come nella mag-
gior parte dei casi le informazioni di cui disponiamo non siano così
dettagliate da permetterci di costruire una spiegazione di questo tipo,
ed elabora alcune riflessioni generali sul rapporto tra i modelli espli-
cativi ideali e le conoscenze a cui di solito possiamo effettivamente at-
tingere. Egli muove dalla constatazione che spesso le spiegazioni pro-
babilistiche prodotte dalla ricerca scientifica sono incomplete: pur es-
sendo valide, esse non includono tutti gli elementi che dovrebbero
contenere secondo i modelli ideali che le rappresentano. Questo può
avvenire per diverse ragioni: «in certi contesti, una spiegazione più
elaborata può risultare fuori luogo [...], alcune leggi e fatti rilevanti
possono non essere noti, o possono essere noti solo alcuni loro aspet-
ti qualitativi; chi è chiamato a fornire la spiegazione può semplice-
mente non saperne abbastanza; e così via» [ibid., 239]. Secondo Rail-
ton, sostenere che in circostanze come queste non siamo in grado di
elaborare autentiche spiegazioni significa assumere una posizione ec-
cessivamente rigida. Un attento esame delle molteplici situazioni in
cui di fatto ci si trova ad esporre delle spiegazioni non deve portare a
segnare confini troppo netti tra “spiegazioni”, da un lato, e “non-spie-
gazioni”, dall’altro. È opportuno evitare di tracciare confini rigidi, e
concepire, invece, ciò che ha potere esplicativo come un continuum.
Ad un’estremità di tale continuum, Railton suggerisce si trovi il
“testo esplicativo ideale”. Viene battezzato in questo modo l’insieme
di tutte le conoscenze dettagliate in merito ad un certo fenomeno, tut-
te le connessioni nomiche e causali che lo riguardano. Railton ritiene
che ad ogni explanandum corrisponda un testo esplicativo ideale, con-
tenente tutte le informazioni necessarie per comprendere perfetta-
mente perché l’explanandum si sia verificato. Il testo esplicativo idea-
le risulterà il più delle volte estremamente lungo e complicato, e solo
raramente, o forse mai, saremo in grado di descriverlo completamen-
te. Dovremmo, infatti, aver accumulato innumerevoli informazioni:
«se consideriamo le miriadi di molecole, atomi, particelle subatomiche
ed interazioni coinvolte negli eventi [...], è facile capire che il testo
esplicativo è un obiettivo che forse non verrà mai raggiunto» [Salmon
1989, ed. it. 1992, 265], e che resta tuttavia l’ideale da perseguire.
Il livello di conoscenza cui normalmente ed effettivamente perve-
niamo è quello dell’“informazione esplicativa”. Disponiamo, cioè, di
insiemi di asserzioni dotate di forza esplicativa che non rispondono
perfettamente ai requisiti formali delle spiegazioni, ma che ci permet-
05Capitolo_5.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:20 Pagina 91
92 Capitolo 5
2
Questo esempio è portato dallo stesso Railton [1981, 246].
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94 Capitolo 5
96 Capitolo 5
sto esplicativo ideale» [Salmon 1989, ed. it. 1992, 267]. I pragmatisti
si sono occupati, invece, di informazione esplicativa. Questa differen-
za non necessariamente sfocia in un conflitto: grazie alle nozioni di Rail-
ton, le varie prospettive possono coesistere pacificamente.
L’ultimo Salmon riconosce un ruolo al contesto e ammette – pur
senza modificare sostanzialmente la sua posizione – alcune compo-
nenti pragmatiche anche nella sua riflessione concernente, nello spe-
cifico, la spiegazione causale. Di fronte alla domanda, ad esempio,
“quanto estesi o specifici e dettagliati devono essere i processi causa-
li invocati per spiegare un certo fenomeno?”, la risposta risulterà
fortemente pragmatica – dipenderà dalla natura delle nostre indagini.
Per un ingegnere che si occupa di mobilità e trasporti, ad esempio,
un’automobile in corsa sarà un singolo processo. Per un ingegnere che
si occupa di motori d’auto, invece, un’automobile in corsa sarà un si-
stema complesso di processi e interazioni. Per un astronomo, un pia-
neta come la terra, in orbita attorno al sole, può costituire un singolo
processo. Per un geofisico si tratterà di un sistema estremamente com-
plesso di processi e interazioni [Salmon 2002, 113].
98 Capitolo 5
100 Capitolo 5
3
Questa nozione è illustrata nel cap. 6.
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102 Capitolo 5
4
La proposta di Strevens, di carattere più ampio di quanto non si possa qui rap-
presentare e battezzata “teoria cairetica” della spiegazione, concerne esclusivamente
la spiegazione di eventi singoli.
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5
Weber e Van Bouwel fanno anche riferimento ad alcuni esempi portati in Kit-
cher [1989, 422-428] e in Berger [1998, 313-314] di spiegazioni unificazioniste non
causali, che loro ritengono, viceversa, essere spiegazioni di carattere causale. Si veda
Weber e Van Bouwel [2009, 312-313].
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Capitolo 6
Le teorie neo-meccanicistiche
106 Capitolo 6
108 Capitolo 6
prestare attenzione a che le parti non siano né mere proprietà del si-
stema nel suo complesso né solo artefatti del linguaggio descrittivo.
In sintesi, le parti devono essere oggetti [ibid., 53]1.
1 Più recentemente Glennan ha suggerito che la causalità sia in primo luogo una
relazione tra eventi, dove gli eventi sono intesi come esemplificazioni di proprietà che
comportano l’azione di uno o più oggetti [si veda Glennan 2010b].
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2
Secondo Glennan, «al livello della fisica fondamentale il problema di Hume ri-
mane» [Glennan 1996, 69. Si veda anche ibid., 50 e 68].
06Capitolo_6.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:22 Pagina 110
110 Capitolo 6
levanza causale3. La prima è una relazione che lega tra loro eventi, in-
tesi come oggetti che di fatto si comportano in un certo modo, e li
connette tramite processi causali continui, mentre la seconda traccia
rapporti di dipendenza controfattuale tra tipi di eventi. La produtti-
vità causale è locale e transitiva; la rilevanza causale viene concepita –
come abbiamo ricordato – in una prospettiva controfattuale. Se vo-
gliamo giungere alla comprensione causale completa, di carattere mec-
canicistico, di un evento dobbiamo conoscere sia gli eventi antece-
denti e i processi che hanno condotto fino a quell’evento, sia i fattori
rilevanti. In che senso è possibile, dunque, affermare che la selezione
naturale è un processo causale? Glennan sostiene che, da un lato, il ca-
rattere produttivo della selezione naturale deriva dall’aggregazione di
processi individuali attraverso i quali singoli organismi vivono, si ri-
producono e muoiono; dall’altro, una spiegazione causale della di-
stribuzione dei tratti dovrà fare riferimento alle proprietà causalmen-
te rilevanti sia dei singoli individui che delle popolazioni più vaste a cui
questi appartengono. La caratterizzazione della selezione naturale, «e
in verità quella di ogni altro fenomeno naturale complesso» [Glennan
2009a, 327], richiede dunque entrambe queste nozioni di causa, con-
nesse tra loro ma concettualmente distinte.
Glennan ritiene che anche nell’ambito della storia sia possibile
adottare modelli meccanicistici: trattandosi, in questo caso, di feno-
meni che presentano un notevole grado di variabilità, parleremo di
meccanismi “effimeri” (ephemeral mechanisms). Una spiegazione sto-
rica spiega il verificarsi di un particolare evento o di una certa situa-
zione spiegando in che modo essi si sono prodotti. Poiché l’approccio
meccanicistico è focalizzato su tipi di sistemi, che esibiscono un com-
portamento regolare e ripetibile, esso dev’essere modificato per po-
ter fornire un modello esplicativo adeguato alle connessioni causali
particolari che caratterizzano le ricostruzioni storiche. Un meccani-
smo effimero viene pertanto definito da Glennan come un insieme di
parti che interagiscono tra di loro in cui:
1) le interazioni tra le parti possono essere caratterizzate da genera-
lizzazioni dirette, invarianti, legate al cambiamento;
3
Glennan ricorda come questa distinzione sia vicina a quelle tracciate in Hall
[2004] tra produttività e dipendenza, e in Jackson e Pettit [1990] tra efficacia e rile-
vanza, e come tali posizioni si possano trovare in parte riflesse e discusse in alcuni la-
vori recenti sul pluralismo causale [Campaner e Galavotti 2007 e 2012; Hitchcock
2007; Godfrey-Smith 2009].
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4
Il fatto che i meccanismi oggetto delle spiegazioni storiche abbiano come costi-
tuenti intenzioni, ragioni e credenze umane non rappresenta, secondo Glennan, un
problema per la sua visione. Egli abbraccia una posizione naturalista, ma ritiene che
anche gli anti-naturalisti non dovrebbero avere difficoltà ad ammettere una spiega-
zione delle azioni umane di carattere meccanicistico, fatti salvi i distinguo qui espo-
sti [si veda Glennan 2010a, 265-266].
5
Si tratta in questo caso di «narrazioni generalizzate» [ibid., 263].
06Capitolo_6.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:22 Pagina 112
112 Capitolo 6
dei diversi tipi di produzione e dei diversi modi in cui essa si verifica,
poiché «parlare solo di trasmissione dei marchi o di scambio di quan-
tità conservate non esaurisce ciò che gli scienziati sanno delle attività
produttive e dei modi in cui esse risulteranno responsabili di cambia-
menti regolari nei meccanismi» [Machamer, Darden e Craver 2000,
7]6. Sebbene il rapporto tra causalità e probabilità non venga affron-
tato in modo approfondito né problematizzato, anche il meccanici-
smo di Machamer, Darden e Craver si configura come un meccanici-
smo di tipo probabilistico.
In questa posizione, i meccanismi sono caratterizzati da continui-
tà produttiva e da modularità. La prima viene rappresentata schema-
ticamente come: A → B → C → D → E, dove A indica le condizioni
di partenza; E quelle finali; B, C, e D gli stadi intermedi, e le frecce
raffigurano un rapporto di dipendenza tra le varie fasi. Nella loro in-
dividuazione è possibile procedere tanto “in avanti” (forward chai-
ning), inferendo da un punto di partenza opportunamente scelto le
fasi future di produzione causale sulla base di quelle presenti e/o pas-
sate, quanto “all’indietro” (backward chaining), dal punto di arrivo ul-
timo, o da un qualche stadio intermedio, verso quelli che l’hanno pre-
ceduto [si veda Darden 2002, S355]. Queste operazioni sono possibili
in virtù della continuità produttiva dei meccanismi. Se nei casi più
semplici e comuni essi possono essere raffigurati da una sequenza li-
neare, i casi più complessi possono includere forcelle o rapporti cir-
colari. Data la continuità produttiva delle fasi in cui si articola un mec-
canismo, la mancanza di una freccia o di una fase segnala l’incapacità
di specificare una delle attività di cui il meccanismo si compone, e
quindi rivela una nostra lacuna conoscitiva in merito al funzionamen-
to del meccanismo.
Le entità e le attività che compongono i meccanismi […] sono orga-
nizzate in modo da fare qualcosa, da portare a termine qualche com-
pito o processo, da svolgere qualche funzione o produrre qualche esi-
to finale. Ci si riferirà a questa attività o comportamento del mecca-
114 Capitolo 6
nismo nel suo insieme come al ruolo del meccanismo, che deve esse-
re spiegato dalla sua descrizione [Craver 2002, S84].
7
Ad esempio, «l’attivazione dei canali-sodio è una componente del meccanismo
della depolarizzazione, il quale è una componente del meccanismo della neurotran-
smissione chimica, il quale a sua volta è una componente dei meccanismi di più alto
livello del sistema nervoso centrale» [ibidem].
06Capitolo_6.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:22 Pagina 115
quanti e quali livelli ci siano è una questione che viene affrontata em-
piricamente, di volta in volta, a seconda del fenomeno indagato e del-
le caratteristiche dell’indagine. Si tratta, in altri termini, non di pre-
sunti “livelli di natura” reificati, bensì di diverse possibili prospettive
descrittive, dettate da ciò che si vuole spiegare, prevedere e/o con-
trollare [si veda Craver 2001, 65-67].
I molteplici livelli di cui un meccanismo si compone possono esse-
re individuati procedendo sia dai livelli inferiori a quelli superiori (bot-
tom-up), sia da quelli superiori a quelli inferiori (top-down), attraverso
procedimenti sperimentali. Gli esperimenti vengono eseguiti grazie al-
l’uso di modelli sperimentali (ad es., una cavia o un embrione), tecni-
che di intervento (ad es., stimolazione elettrica) e tecniche di raccolta
dei dati [si veda Craver 2002]. Le tecniche di intervento previste e gli
strumenti di raccolta dei dati vengono adattati ai vari livelli ipotizzati
nella gerarchia interna del meccanismo in esame: si possono così pre-
sentare situazioni in cui ad un intervento pensato per interferire con un
livello alto è associata una rilevazione di attività (o caratteristiche del-
le componenti) ad un livello inferiore (è il caso dei top-down experi-
ments), oppure, viceversa, si danno situazioni in cui si interviene ad un
livello basso e se ne osservano le conseguenze ad un livello superiore (è
il caso dei bottom-up experiments)8. Esperimenti di tipo diverso pos-
sono essere adottati nell’analisi del medesimo meccanismo; il vantag-
gio nell’utilizzo di strategie sperimentali differenti è costituito dalla pos-
sibilità di sopperire, a seconda dei casi, ai limiti di un determinato ap-
proccio mediante l’adozione di un altro. «L’integrazione dei vari livel-
li di costituzione di un meccanismo, compiuta attraverso l’utilizzo di
esperimenti tra livelli diversi, può fornire un metodo per […] colloca-
re un fenomeno nel repertorio ontico» [Craver 2002, S95] di una cer-
ta scienza. Questi autori non sostengono né che la lista delle strategie
sperimentali che forniscono sia esaustiva, né che l’adozione di tali stra-
tegie sia necessaria ai fini della scoperta di tutti i meccanismi: ciò che
conta, affermano, è che esse sono state di fatto usate nelle scienze, con-
tinuano ad essere impiegate in molti casi, e potrebbero esserlo in linea
di principio in molti altri [si veda Darden 1991 e 2002].
Sottolineare l’importanza della sperimentazione nell’individuazio-
ne dei nessi causali meccanicistici ha comportato anche da parte di
8
Craver indica come esistano, ad esempio, esperimenti di tipo bottom-up che è
possibile definire “di interferenza” (interference strategies), in cui si interviene dan-
neggiando alcune cellule, e si osservano poi gli effetti che tali danni hanno su un li-
vello superiore di funzionamento degli organi o dei tessuti coinvolti.
06Capitolo_6.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:22 Pagina 116
116 Capitolo 6
9
Un rimando al concetto di intervento usato da Woodward è presente già in Cra-
ver [2002, S91].
06Capitolo_6.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:22 Pagina 117
zione nello spazio e sulle dimensioni delle parti in cui possono essere
suddivise. Quando, invece, ci interessano i ruoli che le entità svolgo-
no, ci occupiamo di “livelli funzionali”: scomporre dal punto di vista
funzionale un livello in altri significa isolare un certo compito o una
certa capacità dell’entità e dividerla in “sotto-funzioni” o “sotto-ca-
pacità”. Il terzo livello, quello identificato come propriamente mec-
canicistico, permette di illustrare i contributi delle singole entità e at-
tività al funzionamento corretto dell’insieme. Analisi di questo tipo
permettono altresì di elaborare scomposizioni e ricomposizioni del
meccanismo. Le scomposizioni di entità e attività organizzate nello
svolgimento di un ruolo ad un certo livello in entità e attività appar-
tenenti a livelli via via inferiori contribuiscono alla comprensione del
meccanismo. Tipicamente, è possibile distinguere i diversi livelli sul-
la base delle diverse entità e attività che li popolano, e dei diversi me-
todi con cui nelle scienze si indagano tali entità e attività.
Quanti livelli ci siano e quanti tipi di entità si trovino a ciascun li-
vello sono interrogativi di carattere empirico, a cui si può rispondere
solo all’interno di un particolare programma di ricerca10. Diversi li-
velli (ad es., genetico, biomolecolare, ambientale, sociale, economico,
…) possono essere oggetto di settori disciplinari, e quindi strumenti
metodologici e concettuali, differenti. Le analisi meccanicistiche sa-
ranno dunque sia intracampo che intercampo (intrafield e interfield),
dove un “campo” può essere definito come
un’area della scienza costituita dai seguenti elementi: un problema
centrale; un dominio composto da elementi che si assume siano fatti
correlati al problema; fattori e scopi esplicativi generali che produco-
no aspettative riguardo al modo in cui si dovrebbe risolvere il pro-
blema; tecniche, metodi e, talvolta ma non sempre, concetti, leggi e
teorie che sono correlati al problema e tentano di raggiungere gli sco-
pi esplicativi [Darden e Maull 1977, 44].
10 I livelli che Craver [2002] individua nel meccanismo della memoria spaziale, ad
118 Capitolo 6
Sostenere che sono i livelli più bassi a costituire quelli più alti – co-
me compare anche in una citazione sopra riportata – non equivale dun-
que ad abbracciare necessariamente una prospettiva riduzionistica.
Sebbene non ci si possa soffermare in questa sede su questo ampio pro-
blema, ricordiamo come l’approccio meccanicistico, benché tradizio-
nalmente associato alla prospettiva riduzionistica, non sia necessaria-
mente legato a qualche forma di riduzionismo teorico. Craver [2005]
ha sottolineato, ad esempio, come sia possibile assumere una posizio-
ne anti-riduzionistica optando per un modello meccanicistico di inte-
grazione intersettoriale (mechanistic model of interfield integration).
Portando come esempio le neuroscienze e, più in particolare, le ricer-
che su alcuni processi elettrofisiologici connessi alla memoria e all’ap-
prendimento, Craver illustra come la costruzione di modelli meccani-
cistici possa avvenire attraverso le interazioni di settori disciplinari,
punti di vista, tecniche e lessici differenti, permettendo così anche una
ricostruzione corretta dei rapporti tra livelli diversi, da quello moleco-
lare a quello comportamentale. Discipline diverse individuano diversi
requisiti e forniscono diverse indicazioni relative alla struttura dei mec-
canismi in esame; rinunciare ad una visione riduzionistica permette di
integrarli in un modello meccanicistico su più livelli11.
Così come i concetti di “parte”, “interazione” “interno” ed “ester-
no” nella teoria di Glennan, anche i concetti di “entità” ed “attività”
su cui è costruita la teoria di Machamer, Darden e Craver risultano
estremamente comprensivi. Le definizioni presentate, a differenza di
quelle elaborate da Salmon e poi da Dowe, sono espresse in termini in-
formali, tanto da apparire a volte quasi intuitive o di senso comune, e
da risultare molto ampie, quasi vaghe: «entità aventi certi tipi di pro-
prietà sono necessarie perché sia possibile agire in certi modi specifi-
ci, e certi tipi di attività sono possibili solo quando ci sono entità do-
tate di certi tipi di proprietà» [Craver 2002, S93, corsivo aggiunto].
L’ontologia fondamentale sulla base della quale costruire una teoria
meccanicistica viene dettata di volta in volta dalla disciplina entro la
quale si sta lavorando e dal tipo di fenomeno che si sta considerando.
Benché siano caratterizzati da un andamento regolare in circo-
stanze simili, i meccanismi presentano spesso anche variazioni ed
eccezioni. Le generalizzazioni che li governano hanno base empiri-
ca, ma non sono semplici generalizzazioni empiriche accidentali. Al
11 Quello che viene qui escluso è un riduzionismo teorico, mentre vengono lasciati
aperti gli interrogativi relativi al riduzionismo esplicativo e metafisico. Per ulteriori rifles-
sioni su questi temi si vedano anche Craver e Bechtel [2007] e Craver e Piccinini [2011].
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12
«Non è che le cause e gli effetti non esemplifichino mai delle regolarità natura-
li; il punto è che la causalità è una cosa, la regolarità un’altra» [Bogen 2005, 399]. Sul
rapporto tra meccanismi, regolarità e leggi, si vedano, ad es., Glennan [2009b], Leu-
ridan [2010] e Andersen [2011].
13
Per alcune riflessioni sul potere esplicativo dei modelli meccanicistici, con-
trapposti ai modelli non meccanicistici, si vedano anche Craver [2006] e Darden
[2007].
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120 Capitolo 6
122 Capitolo 6
15
Viene portata come esempio particolarmente significativo la scoperta del DNA
e della sua replicazione.
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124 Capitolo 6
16
Si veda anche Bechtel [1994], [1995], [2001a] e [2001b].
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126 Capitolo 6
17
Per alcuni esempi, si veda Bechtel [1988, cap. 6, in particolare 134-136].
18
Si vedano, rispettivamente, Bechtel e Richardson [1993, cap. 2], Bechtel [2009]
e Bechtel e Abrahamsen [2006].
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128 Capitolo 6
Capitolo 7
La spiegazione manipolativo-controfattuale
Nel secondo e nel sesto capitolo di questo volume sono state pre-
sentate alcune teorie della spiegazione scientifica associate all’ap-
proccio meccanicistico alla causalità. Nell’ultimo decennio circa ha ri-
scosso notevole successo anche un approccio alla spiegazione causale
legato ad un diverso filone di studi filosofici sulla causalità, noto co-
me “prospettiva manipolativa”. Tale approccio alla causalità è incen-
trato sulla nozione di intervento. La causalità riscuote, infatti, un gran-
de interesse per ragioni non solo teoriche, ma anche pratiche: l’indi-
viduazione dei legami causali non porta unicamente alla comprensio-
ne dei fenomeni, ma ci consente altresì di interferire con il loro corso.
Ci poniamo così di fronte alle relazioni causali sia come osservatori, sia
come soggetti in grado di intervenire attivamente. È questo l’aspetto
che funge da fulcro dell’approccio manipolativo alla causalità, il qua-
le «radica il contenuto delle asserzioni causali in ciò che sappiamo in
merito alla possibilità di modificare […] la natura» [Woodward 2003,
173], sostenendo che siamo in presenza di una relazione causale al-
lorquando intervenendo sulla causa siamo in grado di produrre un
cambiamento nell’effetto. Questo approccio – che si è sviluppato al-
l’interno di una tradizione di studi molto ampia1 – è stato recente-
mente declinato anche in stretto rapporto con il tema della spiegazio-
ne principalmente da Jim Woodward, in parte in collaborazione con
Christopher Hitchcock. In questo capitolo prenderemo in esame la
loro teoria e alcuni aspetti del dibattito attualmente in corso in meri-
to alla sua formulazione e applicabilità.
1
Si vedano in particolare Collingwood [1938]; Gasking [1955]; von Wright
[1973]; Hausman [1986]; [1998]; Menzies e Price [1993]; Price [1992], [2001]. Per
alcune riflessioni su questa prospettiva, si vedano anche Galavotti [2001] e Campa-
ner [2003].
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130 Capitolo 7
2
Si veda anche Woodward [1990], [2001b], [2002b], [2004].
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132 Capitolo 7
3 «Varie condizioni cono state proposte [per definire una legge scientifica]: le leg-
134 Capitolo 7
4
Su questo si veda anche Weslake [2010].
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5
Si vedano, ad esempio, Cartwright [2001] e [2007] e Hausman e Woodward
[2004].
6
A questo proposito Woodward nota come ci siano dei punti di contatto tra la sua
posizione e quella di Darden, Machamer e Craver su cui ci siamo soffermati nel ca-
pitolo precedente. In particolare, egli ritiene che la sua nozione di modularità sia stret-
tamente connessa a quello che Darden chiama “sotto-assemblamento modulare”.
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136 Capitolo 7
7
Come efficacemente indicato da James Tabery, la cui teoria vuole coniugare
aspetti meccanicistici con aspetti dell’interventionist theory, «nature is the interven-
tionist» [Tabery 2009, 654].
07Capitolo_7.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:23 Pagina 137
8
Cfr. ad es. Bogen [2004]; Waskan [2011]; Woodward [2011].
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138 Capitolo 7
9
Si vedano anche Campaner [2006] e Campaner e Galavotti [2010].
10
Si vedano, ad esempio, Haavelmo [1944]; Holland [1986]; Hoover [1988].
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140 Capitolo 7
11
Waters poi, sottolineando come in biologia si diano perlopiù casi in cui molti
fattori causali interagiscono, distingue ulteriormente tra the actual difference maker e
an actual difference maker.
12
Se in generale l’approccio manipolativo alla causalità insiste soprattutto sulla de-
finizione della causa come fattore manipolando il quale l’effetto viene prodotto, la me-
desima prospettiva può essere adottata nel caso delle azioni preventive: la causa può
essere definita come il fattore manipolando il quale si previene il verificarsi dell’effetto.
Si tratta in questo caso non di azioni produttive, bensì preventive (avoidance actions).
Questo aspetto è stato sottolineato in particolare da Donald Gillies che nella sua “teo-
07Capitolo_7.qxp:Layout 1 5-02-2013 9:23 Pagina 142
142 Capitolo 7
paner [2011b] e [2011c]. Per delle posizioni che riconoscono i meriti della spiega-
zione manipolativo-controfattuale, ma, insieme, anche quelli della posizione mecca-
nicistica, si vedano, ad es., Galavotti [2001], [2008], [2010] e Campaner e Galavotti
[2007] e [2012]. Un ulteriore contributo recente che fa emergere la compatibilità di
approcci differenti è quello di Pâslaru [2009]. Vi si discute il caso delle spiegazioni
ecologiche, le quali comportano sia l’identificazione di relazioni causali invarianti sia
le descrizioni delle componenti meccanicistiche che rendono tali relazioni possibili.
14 Si vedano contributi quali Kaufman e Poole [2000]; Maldonado e Greenland
144 Capitolo 7
15
Campbell ammette che il riconoscimento di una variabile come variabile di con-
trollo rispetto ad un’altra è relativo al contesto, ma non ritiene questo aspetto pro-
blematico, poiché proprio di qualunque attribuzione di un ruolo causale.
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16
Si veda Harris [2000].
17
Si veda Lagnado e Sloman [2004].
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146 Capitolo 7
18
«Il termine “epigenetica” definisce tutti i cambiamenti nell’espressione geneti-
ca ereditabili tramite meiosi e mitosi che non sono codificati nella sequenza stessa del
DNA» [Egger et al. 2004, 457, citato in Baedke 2012, 154].
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Capitolo 8
La spiegazione funzionale
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1
Le ascrizioni di funzioni sono frequenti – come abbiamo già ricordato – in fi-
siologia e biologia evoluzionistica. Nella prospettiva di Wright, nei primi casi in cui,
nel corso dell’evoluzione, alcuni tratti emergono come risultato di un certo muta-
mento, a tali tratti non viene attribuita propriamente una funzione, poiché essi non
hanno un’eziologia della conseguenza. La funzione verrà riconosciuta solo dopo che
il persistere di quei tratti sarà stato determinato dalle conseguenze passate della loro
presenza.
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2
Per alcune osservazioni critiche sul rapporto tra la teoria di Wright e quella di
Bigelow e Pargetter si veda Salmon [1989, ed. it. 1992, 194-195]. Per un giudizio sul-
la teoria di Bigelow e Pargetter che intende opporsi a quello di Salmon, si veda Mit-
chell [1993].
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158 Capitolo 8
3
Bigelow e Pargetter ammettono anche la possibilità che la loro teoria venga este-
sa all’analisi delle funzioni di artefatti. Anche in quest’ultimo caso, si considereranno
le funzioni degli artefatti rispetto a un certo “processo di selezione” delle rappresen-
tazioni che essi consentono.
4
Bigelow e Pargetter riconoscono altresì che uno sviluppo della loro teoria ri-
chiederebbe l’adozione del calcolo delle probabilità per chiarire il concetto di pro-
pensità in termini formali [si veda ibid., 194].
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sere vivente di fatto non sopravviva, o non si trovi mai nel suo ambiente
naturale. Le funzioni svolgono un ruolo esplicativo poiché, nei casi in
cui effettivamente l’organismo sopravvive, la sua sopravvivenza viene
appunto spiegata nei termini dell’esistenza dei caratteri o strutture che
gli hanno conferito una certa propensità alla sopravvivenza. Concepi-
re le funzioni come disposizioni o propensità al successo entro un pro-
cesso di selezione naturale significa rivolgere l’attenzione al percorso fu-
turo del sistema5. Un possibile esito di questa teoria – è stato osserva-
to – è però che ad ogni tratto venga riconosciuta una qualche funzio-
ne, e che alla maggior parte dei tratti ne vengano riconosciute molte.
Poiché gli effetti benefici di un certo tratto potrebbero manifestarsi,
ad esempio, in un ambiente naturale futuro, o potrebbero aumentare
in misura anche minima la probabilità di sopravvivenza del sistema, o
potrebbero essere effetti solo potenziali e non effettivamente attuati, la
teoria di Bigelow e Pargetter ha «moltiplicato ulteriormente ciò che si
era ripromessa di ridurre» [McLaughlin 2001, 127]6.
Le teorie di Cummins, Bigelow e Pargetter, etichettabili some “teo-
rie disposizionali”, non hanno interesse a spiegare perché una certa en-
tità si è inizialmente presentata, o in quale modo è venuta affermando-
si rispetto ad altre entità possibili, ma solo quale funzione svolge. Giac-
ché si limitano a spiegare il comportamento dell’entità preposta a una
certa funzione, le visioni disposizionali sono state accusate di poter in-
terpretare, in linea di principio, pressoché qualunque relazione di tipo
mezzo-fine come funzionale. Secondo alcuni critici, sarebbe infatti suf-
ficiente individuare attentamente un opportuno sistema di riferimento
per poter affermare che in rapporto ad esso una certa entità svolge un
qualche ruolo strumentale. Inoltre, entro una simile prospettiva cosa re-
sta della differenza tra effetti e funzioni? Se tutti gli effetti risultanti da
un tratto strutturale o comportamentale sono anche l’esito di funzioni
svolte, potremmo giungere ad abbandonare completamente la termi-
nologia funzionale e limitarci a parlare di cause ed effetti? La peculiari-
tà dell’approccio funzionale risiede nel fatto che essa rileva un fine a cui
il sistema tende, e indaga in che modo questo fine può essere persegui-
to dall’attività di alcune parti del sistema. In quest’ottica, le attività di
parti del sistema che non partecipano a quel fine non valgono come
espletamento di funzioni, ma solo come produzione di effetti collatera-
5
Per un confronto critico della prospettiva eziologica e di quella disposizionale –
e una difesa della prima – si veda ad esempio Godfrey-Smith [1994].
6
Per una discussione di questi aspetti, si veda McLaughlin [2001, 126-128].
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7
Si veda, ad esempio, Hallpike [1986].
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162 Capitolo 8
8
Si vedano, ad esempio, Neander [1991a], [1991b]; Millikan [1984], [1989]; Mit-
chell [1993], [1995]; Brandon [1981], [1996]; Wimsatt [1972], [1976].
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164 Capitolo 8
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