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IL PADRE MATERNO SINTESI

INTRODUZIONE
Tra le trasformazioni della famiglia degli ultimi anni, ne va segnalata una positiva: quella del padre
capace di assumere tutte le funzioni del maternage, senza imbarazzo e con grande attenzione e
sensibilità (parità di trattamento nei congedi, ad esempio). Seppur ignorata dalla psicanalisi (più
interessata al rapporto padre/figlio), questa modificazione del tradizionale assetto familiare è stata
oggetto di un’attenzione soprattutto sociologia e mediatica (non sempre positiva).
Domande:
1. il padre materno è frutto della modernità?
2. Quali sono gli assetti psichici del giovane uomo?
3. Che effetto per i bambini?
4. C’è una relazione tra la nuova forma genitoriale e la crisi della sessualità di coppia?
Freud ha visto nel padre colui che promuove il conflitto e la crescita, fulcro del complesso edipico e
depositario della legge. Il suo senso, tuttavia, è stato visto solo in relazione allo sviluppo cognitivo del
figlio, in particolare maschio. Dopo Freud, sono stati Green, Rosenfeld, Lacan, Fornari e Gaddini a
studiare questo tema nonché varie correnti attente a miti, storia e filosofia. Più raramente ci si è
interessati alle vicissitudini dell’identità e degli effetti che accompagnano un giovane uomo nella
paternità (gelosia, abbandono, rivalità, invidia).
Da quando Mitscherlisch, sociologo, ha pubblicato “Verso una società senza padre”, la retorica
occidentale vive nell’assenza della figura paterna e del principio di autorità. Il femminismo ha vissuto
con sgomento il passaggio quasi immediato tra il padre padrone e il padre assente (es. anni ’70,
Pennisi). La questione è complessa e incide su profili giuridici, sociologici, fenomenici e psicologici.
Mentre esce di scena il padre tiranno, deputato al mero sostentamento, entra quello “fuggiasco” o,
recentemente, “emarginato” (talora lieto, altre rancoroso).
Il padre materno può rappresentare una risposta a quella delusione della realtà cui sono esposti i
bambini e che arriva dopo il “primo amore” rappresentato dalla madre. Tale figura deve essere forte e
protettiva, ma anche tenera e buona, esente da aggressività e conflitti.
I nuovi padri capaci di svolgere le “funzioni di accudimento primario” sono un fenomeno positivo per
tutti e un valore ormai acquisito. Si tratta di un frutto delle rivoluzioni sessuali degli anni ’70 e ’80 e
dell’economia che ha costretto al lavoro di entrambi i coniugi.
L’esigenza di farsi carico dei figli, però, è anche un piacere, ovvero un bisogno sintonico e naturale.
Secondo alcuni ciò si spiega in base al concetto di “istinto paterno”…ma è un equivoco basato
sull’illusione che gli istinti siano assoluti. Il rapporto con i figli diventa l’occasione per appagare un
bisogno di intimità, di contatto e tenerezza che più difficilmente si realizza nella coppia. Ciò che si cerca
non è la perfezione, comunque, ma il sufficientemente buono.
Ci sono, tuttavia, dei problemi: casi in cui il rapporto padre/figlio è un pretesto per eludere altri dilemmi
o in cui si commettono pasticci, seppur in buona fede. Per esempio, ci sono padri presenti durante
l’accudimento, ma assenti nella fase adolescenziale. Inoltre, la madre stessa può contribuire a favorire
od ostacolare la rete delle funzioni genitoriali congiunte.
CAPITOLO 1. FAMIGLIE SACRE, LAICHE E PROFANE

a. Giuseppe, padre materno (quadro con Maria che legge e usa mente/parola, Giuseppe che accudisce)

Giuseppe è oggetto di un’alta ambivalenza: venerato e svalutato. Le sue virtù cristiane sono le meno
apprezzate dal nostro contesto storico e culturale. Dalle sacre scritture è quasi lasciato fuori, destituito
dal connotato preliminare del maschio, ovvero il logos. E’ portatore del fare, in antitesi al dire che spetta
a Dio.
Gli apocrifi, invece, restituiscono a Giuseppe una cifra sessuale, presente anche nei sonetti del Belli. Ciò
aprì una discussione in ambito teologico: da un lato i difensori della sacralità assoluta, dall’altro i
tentativi di restituire a Giuseppe una forma biologica e legale (così da inserire Gesù nella stirpe di
Abramo e Davide, vd. ebraismo). In alcune opere Giuseppe è protagonista, come nel “Annuncio” a
Giuseppe di Torelli.
Anche sul piano iconografico vi è un’evoluzione: prima santo idealizzato, poi vecchio umile e modesto,
quasi accessorio per rinforzare il mito della generazione senza peccato. In alcune rappresentazioni, però,
è anche impegnato in incombenze materiali che sottolineano la sua funzione materna.
E’ dal XVI secolo che Giuseppe ringiovanisce e assume dignità (es. Sposalizio della Vergine di Raffaello),
grazie agli accadimenti che accompagnano la controriforma quando la Chiesa intende enfatizzare la
sacralità del matrimonio e della famiglia: Giuseppe deve rivestire il ruolo di figura capofamiglia agli occhi
dei fedeli.
La prima interazione padre/bimbo viene raffigurata da Bartolomé Esteban Pérez Murillo nella
“Immagine di Giuseppe con Gesù”: il padre gioca, è giovane e forte, sostiene il Cristo in verticale – come
padri che sostengono in alto i bimbi e conducono il “gioco del volo”. E’ un carattere tipico, sul piano
neuropsichiatrico, dei genitori maschi: le madri tendono a cullare in orizzontale (holding)…ciò produce
diversi effetti nei bimbi: eccitato o rilassato. E’ una differenza biologica o culturale? E’ bene sottolineare
che per essere efficace l’holding deve coniugare saldezza e dolcezza e contenimento psicologico, mentre
i giochi “maschili” devono integrare una dimensione emotiva.
I padri, inoltre, secondo la Pennisi, tendono a rivolgere i bimbi che hanno in braccio…verso l’esterno.
Per ogni bambino, insomma, è importante alternare al nido caldo dell’abbraccio il piacere di un gioco
nuovo, vertiginoso, di sperimentazione spaziale. Winnicot per spiegarlo è ricorso alla filastrocca di
Humpty Dumpty, che si pone in una posizione fragile e precaria – di devozione.
Sul piano dello holding, invece, l’iconografia sacra ci consegna una madonna che non contiene il bimbo
tra le braccia, ma lo tiene tra le ginocchia, rigidamente, mentre nell’Adorazione del bambino con la
Madonna, San Giuseppe e Angeli di Tiepolo compare un Giuseppe materno e contenitivo.
Nel corso dei secoli, molti teologi e pensatori si sono occupati di celebrare il falegname come patrono
della Chiesa Universale, uomo saggio e giusto. Più di recente papa Benedetto XV ne ha raccomandato la
devozione come rimedio ai problemi del dopoguerra e Pio XI lo ha posto come modello degli operai da
opporre alla minaccia comunista.
Il folklore ha caricato di raffigurazioni diverse l’immagine di Giuseppe: grottesco per alcuni, vecchio per
altri, derelitto ancora…collegandolo a celebrazioni antiche e riferite a tempi molto più antichi della
narrazione cristiana.
La qualità principale di Giuseppe, comunque, è la capacità di difendere Maria e il sacro bambino, nonché
tutte le ragazze da marito. E’ il connotato che più ha stimolato la fantasia degli autori delle varie arti. Per
la psicoanalisi è una protezione che assomma la preoccupazione materna primaria, il contenere
(holding) e l’affidabilità assoluta (reliability). La madre contiene il bimbo e il padre contiene lei. E’ un
aspetto ben approfondito dall’iconografia sulla fuga in Egitto.

Giuseppe, quindi, è l’immagine tipica del padre materno, forte ma protettivo e tenero. Un padre
deficitario, anatomicamente maschio ma privato di istinti e incapace di suscitare inquietudini sessuali e

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aggressive. Secondo la Argenteri, il padre materno è l’opposto della “madre fallica”: donna minacciosa,
provvista di tutti gli attributi pulsionali vissuti come maschili.

b. …e Maria?

Nel contesto dell’ambiguo miscuglio di elementi maschili e femminili della Sacra Famiglia, la Madonna
che legge è una rappresentazione che non esprime alcun tentativo di emancipazione: è un’immagine
rara, ma non arbitraria – tipica dell’Alto Medioevo. Inoltre, l’alfabetizzazione è legittimata nella
tradizione cattolica dalla fede. Spesso Maria è raffigurata allegoricamente come un libro, scritto dallo
Spirito Santo e dal Verbo Divino – che l’ha concepita tramite l’orecchio (es. MarienKapelle di Wurzburg).
A Giuseppe, il suo sposo, è affidato il nuovo libro.
Altro elemento ambiguo è l’equivalenza tra latte della Madonna e sangue di Cristo o la doppia qualità di
Chiesa e Papa, madre e padre dei fedeli. Il latte di Maria è un’allegoria che nasce nel Medioevo, fonte di
sapere e saggezza – in particolare dal XIV secolo. Tale stereotipo, a volte, è alleggerito dall’immagine
della donna che porge il seno al bimbo, dando una sfumatura di intimità umana.

c. Il romanzo familiare

Le vicende della Sacra Famiglia si possono leggere, allora, come una particolare versione mitico-religiosa
del “romanzo familiare” che Freud (1908) considerava la radice inconscia di tante narrazioni:
costellazioni di fantasie eroiche – consce e inconsce – intorno ai propri nobili natali, quando, durante
l’adolescenza, i genitori reali risultano deludenti rispetto alle idealizzazioni infantili. In particolare i
giovani, feriti per l’affetto non corrisposto e alla fallimentare ricerca di un’accettazione surrogata,
immaginavano di non essere figli dei loro genitori, ma di altri potenti cui erano stati sottratti con
l’inganno. Alla fine di affascinanti traversie i figli riuscivano a riconquistare la loro identità. La variante
femminile sviluppava il romanzo in un senso maggiormente passivo, affidando la narcisistica
realizzazione del lieto fine all’incontro amoroso. In concreto questi romanzi potevano subire tante
variazioni individuali.
Oggi tale concetto ha perso di peso clinico e teorico, trovando fortuna invece in ambito letterario: come
equivalente di saga.
Un interessante contributo fu offerto da Melanie Klein, che, nel 1920, scrisse “Il romanzo familiare in
statu nascendi” analizzando il proprio figlio di 5 anni.

L’aspetto importante della intuizione di Freud fu riconoscere che tali fantasie non erano patrimonio
specifico della patologia, bensì appartenevano allo sviluppo psicologico di ognuno. Nel processo di
crescita è necessario distaccarsi psicologicamente dai genitori e raggiungere una propria identità. Il
motore sono le delusioni genitoriali che vengono compensate da una storia capace di appagare la
propria megalomania. L’uccisione simbolica consente l’idealizzazione, l’odio e abbassa la temperatura
delle angosce per le pulsioni incestuose. In questo senso il romanzo familiare ha di positivo che:
- Stimola la fantasia,
- Sfida l’autorità genitoriale,
- Aiuta l’emancipazione,
- Favorire la costruzione dell’identità,
- Orienta i desideri verso gli altri, sfuggendo il complesso edipico.
Le tematiche del romanzo hanno molto in comune con il mito e le favole, anche se in forme più o meno
mascherate. Il successo dei racconti deriva dal piacere che il lettore per delega, a livello inconscio, dalla
narrazione delle fantasie. Comunque, la struttura del romanzo familiare è storicizzabile, anzi deve
esserlo in quanto materia viva e legata al reale. Possiamo così analizzarne le variazioni temporali e tra
aree diverse. Nella letteratura e nella fantascienza, in particolare, il romanzo familiare non è più
nevrotico…ma psicotico (con un termine distruttivo, vd. Philip K. Dick).
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Anche Gesù, crescendo, respinge ogni forma di autorevolezza genitoriale: Giuseppe è lasciato alla figura
di modesto umano putativo, mentre Dio è il vero padre onnipotente – il quale è pure triplice, lasciando
madre e figlio in un rapporto chiuso e di refrattaria idealizzazione. Giuseppe resta un padre materno,
inteso come versione maschile della madre. La trinità terrestre è sopraffatta da quella sacra: nella Sacra
Famiglia si scompaginano i due cardini del processo di sviluppo edipico, riconoscendo le differenze
orizzontali e verticali, tra sessi e generazioni.

Le costellazioni religiose, insomma, possono alimentare problemi psicologici, tra cui quello del padre
materno che non è un secondo oggetto, ma una variazione difensiva del primo. Giuseppe condensa
aspetti maschili e femminili, ma solo dell’area nutritiva e di contatto, per assolvere una funzione di
protezione idealizzata e fragile: tutti gli aspetti inquietanti sono lasciati fuori (disprezzo, confusione e
persecuzione).

d. Depressione e calvizie.

La distribuzione pilifera è un carattere secondario codificato per distinguere uomo e donna: ogni
modifica del codice tradizionale può essere vissuta con sentimenti di inadeguatezza in entrambi i sessi.
Anche in quest’ambito si possono ritrovare delle conferme a proposito del processo di svirilizzazione di
San Giuseppe. Così la Sacra Famiglia di Da Vinci e nella Sacra Famiglia con San Giuseppe Imberbe di
Sanzio (alopecia). Tali raffigurazioni dipendono dal costume della rasatura del tempo o si tratta di
un’allusione al trauma dell’assunzione di una paternità atipica?

e. Nuovi padri e madri.

Il quadro di partenza può essere considerato un’illustrazione della rivoluzione dei ruoli genitoriali e della
famiglia in genere. Le tante raffigurazioni di San Giuseppe come padre materno sembrano testimoniare
il bisogno clandestino di un’immagine maschile tenera e capace di eludere la dimensione del conflitto:
esigenza di protezione che è solo una difesa. Allo stesso modo molti genitori di oggi faticano a
distinguere la parità dall’indifferenziazione.

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CAPITOLO 2. IL TRAVAGLIO DELLA PATERNITA’

L’arrivo di un figlio è un momento delicato per le coppie e i loro componenti. Ci sono cambiamenti,
materiali e non, da affrontare.
Centrale per la psicoanalisi fu il ruolo del padre: il passaggio dalla teoria traumatica delle nevrosi – i
cattivi sono gli adulti – all’idea di porre le fantasie interne al centro della genesi patologica – i cattivi
sono i figli – è stato collegato alle fasi dell’autoanalisi di Freud. Egli passò dal considerare il padre come
causa della propria nevrosi al recuperarlo in un depressivo tentativo di riparazione dopo la morte. Sono
solo ipotesi che, però, riescono a descrivere bene l’interesse dei terapeuti per la figura paterna nella
valutazione del mondo interno degli adulti.
Anche recenti studi confermano l’importanza di una buona relazione precoce padre/bimbo.
Pochi sono stati, però, gli studi sul significato del diventare padre e, in genere, sulla dimensione
posteriore alle esperienze infantili.
Gli eventi successivi sono stati spesso considerati soprattutto razionalizzazioni che tentavano di spiegare
in modo contingente e illusorio la sofferenza o le difficoltà in atto (tendenza tipica delle persone a
trovare ex post le risposte). Si cerca così di negare il ruolo specifico del soggetto, manovra utile a
superare l’angoscia dell’ignoto e del non compreso.
Avendo svelato la natura difensiva di queste manovre che hanno il fine di negare la dimensione
inconscia, la psicoanalisi si è interessata sia ai meccanismi di creazione di questa dimensione, sia al
disvelamento dei suoi contenuti.
Un’osservazione clinica attenta mostra, però, l’esistenza di travagli importanti nei padri, soprattutto se
lo diventano per la prima volta. Tali difficoltà si manifestano variamente sul piano delle condotte, dei
vissuti e dei sintomi psichiatrici. Il problema è che a differenza di quelle materne non sono studiate (es.
delitti).

a. L’inibizione della tenerezza

Leon Battista Alberti ne “I libri della famiglia” (‘400) si dibatte della questione attraverso il dialogo tra
quattro personaggi. Lorenzo, padre dei protagonisti, evidenzia il ruolo di guida della famiglia, che
assume una funzione pedagogica funzionale al bene comune. Egli nasconde le proprie esigenze per
adeguarsi a quelle altrui – oggi tale visione viene vista come esercizio di “imperio” e pare che sia
percepita principalmente la distanza affettiva. La difesa del bene comune è stata delegata alle
istituzioni. Ciò pone i padri in una situazione di conflitto.
Dialogo tra Adovardo e Lionardo esprimono la fiducia nell’uomo e nella possibilità che la dimensione
dialettica possa scoprire negli individui una sorta di pluralismo ante litteram: emergono il timore di
ferire il bimbo e difese specifiche trasformate in norme pedagogiche. Diventare padre comporta
accogliere o reprimere certi sentimenti di tenerezza? I due personaggi impersonano modi diversi di
vedere le malinconie e i travagli, incarnando il conflitto intrapsichico dei padri. Emergono sia il problema
della cura materiale sia della partecipazione affettiva alle difficoltà della crescita.

Talora la futura paternità è vista come un legame che porta alla prigione del matrimonio, ai vincoli e pesi
della vita coniugale e all’assunzione di responsabilità. Ironia e negazione vengono usati spesso per
distanziarsi dalla comprensione dei seri problemi affettivi ed emotivi, ma finiscono per far sì che i padri
se li trascinino dietro. Il problema è che le debolezze ci sono e, se non accettate, causano sofferenza
aggravata dal senso di vergogna.

Sul piano psicologico maternità e paternità sono occasioni di modificazione del ruolo sociale e del
mondo interno, determinando la cosiddetta terza individuazione connessa al lavoro di diventare
genitori. La capacità di entrare in rapporto con gli altri in modo adeguato richiede un processo di

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maturazione che prosegue per tutta la vita e si scontra con il bisogno di rispondere a nuove sfide non
risolte dalle precedenti generazioni.
Diventare padri comporta un’esperienza complessa che si accompagna all’acquisizione di un nuovo
ruolo, una nuova funzione, immagine di sé nei rapporti con sé stessi e gli altri. Si affronta il paragone con
la famiglia d’origine e ci si apre a nuove responsabilità.

b. Paternità come crisi.

I nuovi padri possono provare sul piano psicologico tenerezza e desiderio di protezione, ma anche
sentimenti complessi e di senso contrario come gelosia, aumento dell’ambivalenza verso i genitori o
invidia per le capacità generative femminili. Ciò può causare conflitti circa l’identità di genere, con
fantasie, desideri o agiti omosessuali.
La nascita del figlio può far rivivere al padre timori di abbandono e riesumare conflitti sepolti nel
passato. Inoltre, il marito può iniziare a sentirsi “terzo” anche nei confronti del partner – più forte se
l’uomo si trova in una condizione di dipendenza dalla moglie/madre (con il rischio di una “regressione”).
La maternità sembra attivare anche la “doppia natura sessuale” dell’uomo. Secondo Freud in ogni
coppia ci sono almeno 4 personaggi. L’invidia per la maternità rimanda a dei conflitti con la madre e al
senso d’inferiorità provato anche in relazione ai desideri edipici dell’infanzia.
Ciò provoca una situazione psicologica complessa che chiede di tollerare la frustrazione di essere
estromesso da una relazione, pur partecipando alle sue interazioni e svolgendo il ruolo di intermediario
con la realtà. A questa situazione segue l’inserimento progressivo del padre nella diade. Man mano che
si aprono spazi di autonomia è fondamentale che l’uomo sappia mantenere il legame con la donna-
madre e costruire relazioni precoci con il figlio.
Una buona funzione paterna è tollerare l’esclusione dalla coppia e continuare a partecipare alla
relazione senza farsi sopraffare dalla parte aggressiva dei sentimenti ambivalenti, legati al compito di
mediare l’accesso alla realtà e impedire la regressione totale alla simbiosi.
Il padre, insomma, è esterno, ma non estraneo. Anzi, è necessario, garantendo spazi di autonomia nella
mente della madre. Tramite l’identificazione il padre stimola, poi, nel figlio lo sviluppo di capacità
autonome nella ricerca dell’oggetto, nella percezione dei differenti bisogni e nella ricerca di oggetti
diversi e adeguati agli stessi bisogni. Favorisce, insomma, l’indipendenza sia per quanto riguarda la
percezione che la soddisfazione autonoma dei bisogni. Ha una funzione normativa, di guida e limite di
realtà all’onnipotenza infantile.
E’ un lavoro difficile e alcuni incontrano più ostacoli di altri o che falliscano.

c. La sindrome della “couvade”.

Comportamento rituale descritto in molte popolazioni primitive in occasione della nascita di un figlio. Il
padre, per esempio, durante il parto simula movimento analoghi, cercando di alleggerirle le doglie
(pseudomaterna), oppure dal momento del concepimento si sottopone a limitazioni alimentari
(dietetica). Nella nostra cultura lo sono considerata evenienze somatiche, viste spesso come sindromi
psicogene (perdita appetito, nausea, vomito, mal di denti, dolori renali, orzaiolo, coliche, herpes). Per
alcuni sono meri sintomi di stress, per altri di identificazione: in ogni caso i diretti interessati non paiono
percepirne l’origine e il significato. Perciò è difficile raccogliere indagini mediche, emergono dalla
“chiacchiera”.
E’ un fenomeno comune, normale, di natura difensiva, un modo quasi fisiologico di esprimere una serie
di angosce che si attivano e riattivano in un uomo che sta per diventare papà. Tali situazioni sembrano
riassumere i conflitti con la moglie, il bimbo e i genitori, ma anche alcuni più attuali nei disturbi di
carattere patologico, come l’acting, le depressioni e le psicosi della paternità.

d. “Acting” e depressioni della paternità.


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Acting: estensione del termine acting out, con cui si indicano azioni compiute non alla fine di una
riflessione, ma proprio per evitarla. Nel caso della paternità sono l’espressione di una conflittualità non
elaborata e rifuggita a livello mentale, agita in modo sostitutivo. Le azioni – transitorie, in contrasto con
le abitudini – riflettono proprio il comportamento che si vorrebbe evitare: si tratta di fughe, lotte e
attività sessuali. Si esprimono in:
- Lotte > iperattività fisica, frequenza di incidenti, atteggiamenti a carattere etero e auto
aggressivo (famiglia, moglie e personale ospedaliero);
- Fughe > gettarsi nel lavoro, cambio lavoro o casa, scomparsa, desideri suicidi e fantasie,
autodistruzione;
- Attività sessuali > interruzione, angosce connesse alla castrazione, relazione extraconiugali,
omosessualità, travestitismo, esibizionismo, riattivazione della figura edipica.
Ciò esprime anche i sentimenti aggressivi che la maternità attiva nell’uomo, senza indirizzarli verso la
compagna.

Insomma, l’angoscia della paternità può essere rimossa o negata con modalità più o meno accettate, ma
può anche accadere che tali tentativi falliscano dando luogo a manifestazioni psicopatologiche di varia
gravità. La depressione, per esempio, è molto frequente in chi è alla prima paternità: si manifesta in
atteggiamenti tipici della couvade e dell’acting, ma con sentimenti di colpa e inadeguatezza, gelosia e
rancore, svalorizzazione e inutilità. Le angosce, quindi, vengono non negate, ma sperimentate sotto altre
forme.

Queste manifestazioni si caratterizzano per il fatto di essere comprensibili, anche se esagerate o


bizzarre. Portano a una perdita di libertà – non posso non farlo –, ma conservano un senso apparente.

e. Le psicosi puerperali paterne.

In altri casi, il rischio è quello di una rottura del rapporto con la realtà condivisa. Le psicosi della
paternità sono disturbi acuti nei quali eventi, fantasie e struttura di personalità interagiscono in un
sistema dinamico, il cui disfunzionamento porta alla comparsa di esperienze che possono essere
collegate all’evento stesso sia al collasso dell’organizzazione caratteriale del soggetto. Tale psicosi
implica sempre uno scompenso nell’equilibrio fra stimoli della realtà esterna, avvenimenti e loro
inclusione – affettiva e cognitiva – nel mondo mentale del soggetto. Ecco perché la psicopatologia ha
considerato le psicosi come un gruppo autonomo di disturbi psichici contraddistinti da:
1. Durata limitata ed esordio acuto, con discreto recupero del livello precedente di funzionamento,
2. Sintomatologia caratterizzata da disorganizzazione del pensiero,
3. Alterazioni più o meno marcate dello stato di coscienza,
4. Presenza frequente di eventi traumatici,
5. Risposta solitamente buona ai trattamenti e prognosi favorevole.
Nelle psicosi della paternità accanto a queste caratteristiche generali si riscontra anche l’assenza di
disturbi psichiatrici precedenti, la presenza di sintomi somatici e preoccupazioni ipocondriache,
depressione, gelosia più o meno strutturata (fino al convincimento del tradimento), autosvalutazione,
idee deliranti di riferimento e persecuzione, esordi in occasione della prima paternità, conflitti con le
figure genitoriali.
Prima dello scompenso tali soggetti sembrano avere delle relazioni basate su rapporti difficili coi
genitori, legame preferenziale con la madre, un ruolo dipendente nella coppia. L’incapacità di modificare
questo sistema relazionale può ostacolare l’assunzione della funzione paterna e la capacità di
fronteggiare la conflittualità edipica con i propri genitori. Si può pensare, allora, che gli episodi psicotici
alla prima paternità rappresentino una messa in scena, un agire un conflitto edipico e pre-edipico
evitato o represso, che si attiva acutamente di fronte all’idea o all’immagine di un figlio. Nel mondo
simbolico di tali pazienti la figura del padre è carente, lontana o persecutoria. Esiste un deficit specifico
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che si mostra nel periodo in cui la biologia e gli eventi li costringono a confrontarsi con le proprie
mancanze. La compagna e il figlio possono essere considerati come i colpevoli della sofferenza.

f. Le paternità “impossibili”

Caratteristiche simili alle precedenti si possono trovare in forme più subdole in casi di paternità
desiderate, ma impossibili per fattori psicologici o relazionali. La paternità infatti è legata a reminiscenze
consce e inconsce. E’ nella precocità della vita che si origina la consapevolezza che gli esseri umani si
differenziano per genere sessuale e generazioni secondo la situazione edipica freudiana (padre come
oggetto di ammirazione e strapotere da togliere di mezzo: ambivalenza emotiva). Nel caso di
comportamenti ostili l’odio verso il padre può accentuarsi e scatenare il timore di essere a propria volta
oggetto di aggressione da parte del proprio figlio.
Troppa poca attenzione è stata dedicata a questo aspetto, sacrificando l’aspirante padre al modello
dell’uomo forte e togliendo loro spazio di libertà.
A un livello di sofferenza intermedio rispetto a quello delle psicosi, si può verificare l’esperienza di una
paternità biologica ma impossibilitata di elaborazione psichica…anche con estremi come la rottura della
coppia e la regressione dell’uomo a ruolo dipendente, oppure in una dipendenza infantile dalla moglie
con una rivalità verso il figlio/fratello. In altri casi ancora i padri seminano relazioni con i figlio che poi
non coltivano.

Quello del padre di oggi è un lavoro difficile. Scaduto il modello dell’uomo forte e distaccato, sofferente
silenzioso, il padre inizia a elaborare la sua esperienza solo a livello mentale, in modo labile e sottoposto
all’attivazione di difese negatrici come la distanza emotiva.

Accettati tali aspetti come umani e riconosciuta la continuità tra psicologia normale e patologica, si
superano le dicotomie a favore dell’osservazione dello studio. Occorre rappresentare il tutto tramite le
giuste rappresentazioni, la cui applicazione al materiale greggio dell’osservazione faccia sorgere ordine e
previdenza.
La rappresentabilità della psicopatologia della paternità può aprire alla comprensione dei padri materni:
frutto di necessità e opportunità, ma anche indicatori di una dimensione psicologica da accogliere come
una conquista.

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CAPITOLO 3. TRA UOMO E DONNA: C’È UN NESSO TRA PROBLEMI DI COPPIA E GENITORIALITÀ?

Un fenomeno particolare è quello delle coppie bianche…giovani e giovanissimi che si vogliono bene, ma
non hanno una vita sessuale. Un comportamento che suscita valutazioni contrastanti: talora la sessualità
non viene considerata, talaltra è bilanciata da una lieve attività rassicuratrice. L’idea più diffusa, ma che
non convince l’autrice, è che la ragione dell’indebolimento delle passioni sia da addebitare
all’emancipazione femminile – che ha portato le donne a esigere il loro spazio nella sessualità, mettendo
i compagni in difficoltà e portandoli a rifugiarsi nella privazione dello slancio erotico. Tale spiegazione,
pur fondata, non da ragione del perché lo stesso calo avvenga nelle donne o tra persone dello stesso
sesso.
Spesso comunque le coppie bianche non rinunciano alla mera procreazione, a volte anche tramite
fecondazione assistita (motivata da infertilità psicologica).

La scelta di avere un figlio dovrebbe nascere dal progetto di vita comunque costruito da una coppia
dopo l’unione e la scoperta della propria intimità (due step). Tuttavia, in alcuni casi può essere
antecedente o indipendente dalla formazione della coppia. Ciò in una cultura come la nostra ha
generato paradigmi diversi: figli senza sesso o sesso senza figli…e l’amore è una variabile indipendente.
In alcuni casi è proprio la nascita del figlio a spegnere la passione. E’ un problema, però, che il figlio si
ponga quale costituzione dell’intero senso della vita di un genitore e realizzazione della sua identità.

Ciò, peraltro, introduce altre domande: cosa significa per un figlio avere un padre che ha abdicato
all’esercizio della sessualità? Come si declinerà il processo edipico in un bimbo che non deve scontrarsi
con la sessualità genitoriale? E che accade ai figli di genitori single (in cui la scelta della solitudine
dipende da fattori di repressione e inibizione)? Per rispondere a questo occorre fare un passo indietro e
chiedersi: come nasce il desiderio di avere un figlio?

a. La relazione di coppia.

Difficile studiare la coppia, perché costringe a un lavoro interpersonale e intrapsichico moltiplicato per
due. La personalità di ognuno si organizza in un intricato processo di introiezioni e identificazioni,
secondo codici relazionali che dipendono dai modelli che ci ha proposto la vita o che derivano dalle
distorsioni difensive e nevrotiche che ciascuno ha costruito a partire dalle esperienze reali (es. donna
che ha vissuto l’abbandona e cerca nel compagno fedeltà e stabilità, ma allo stesso tempo cerca
conferma della sua tendenza segreta a tradire per confermare le sue paure; l’uomo può reagire
trovando nella compagna l’immagine della madre castrante).
La coppia, insomma, è lo specchio di tanti disagi psichici che infettano la vita individuale e che possono
originare forme di conflittualità aggressiva.
Sono gli incastri nevrotici a spiegare perché tante coppie infelici continuano a stare insieme o ad
abbandonarsi e ritrovarsi. Rinunciare all’altro, infatti, significa doversi ricongiungere con la parte di sé,
scissa e ripudiata, che è stata proiettata nel partner. Rimanendo aggrappati all’altro, stabili, senza reale
necessità oggettiva, in un’unione anti-libidica serve a non affrontare la separazione. In tal senso i legami
di ferro discendono dalla stessa inabilità al rapporto che vive chi cambia continuamente partner.

La nostra epoca è caratterizzata da un falso movimento, un dinamismo solo apparente: ci scegliamo in


base a motivazioni misteriose, ma tutt’altro che cieche, alla ricerca di un’immagine idealizzata che è
inscritta dentro di noi. Trovare un oggetto d’amore è ritrovare un oggetto perduto, un completamento
narcisistico di sé. Tutti cogliamo fin dai primi momenti le caratteristiche dell’altro che più si adattano al
gioco interiore.

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L’arrivo di un figlio è tutt’altro che un evento capace di risolvere i problemi di coppia. Bisogna saper
distinguere l’amore narcisistico, che cerca nell’altro il rispecchiamento di sé, e il sano amore oggettuale,
capace di tollerare la diversità, l’imprevedibilità e la reciprocità dei bisogni – e quindi la distanza.

La coppia, quindi, è la più complessa delle relazioni umane, il modo in cui si costituisce l’unione è un test
rivelatore del grado di maturità raggiunto da ognuno – implicando l’intera personalità – nella
coesistenza e reciprocità di tutti i livelli del processo di sviluppo: riconoscere nell’altro la sua realtà,
interezza e diversità, regredire ai livelli arcaici della fusione, integrare istinti e sentimenti in sé e nella
relazione anima e corpo, godere della seduzione, vivere l’eccitazione e mettere in gioco la sana
aggressività che comporta la piena sessualità (e che si rischia di andare a cercare fuori dalla coppia
tradizionale), modulare equilibrio tra la continuità del rapporto e la possibilità di separazione e
cambiamento. Sono, ovviamente, solo modelli astratti, cui nessuno riesce ad aderire appieno.

Capire quanto detto serve a concepire il collegamento tra il modo di essere padre e quello di essere
partner: quindi sì, un nesso c’è. Essere genitore, infatti, è determinato da come siamo dentro, da come
costruiamo la relazione, da come stiamo nel rapporto di coppia e da come siamo stati figli.

2. Tradimento e castità: una contrapposizione apparente.

In contraddizione solo apparente si assiste alla coesistenza di situazioni di castità senza conflitto e tante
infedeltà – episodiche o sistematiche a seconda della difficoltà di unire affetto, legame, continuità e
passione sessuale. Si tratta di un meccanismo difensivo maschile oggi praticato anche dalle donne.
Spesso ciò avviene in forme coatte o recidive. Le fughe vengono spacciate come esuberanza, ma si tratta
di espedienti ripetitivi per cercare una conferma alla propria autostima, per rassicurarsi circa le proprie
performance e rafforzare l’identità.
Per questo l’autrice non accetta l’attribuzione di responsabilità a meri fenomeni sociali o ideologici: sua
idea è che i problemi psicologici di donne e uomini sono sempre gli stessi, ovvero la paura dell’alterità, le
angosce della dipendenza e della solitudine, la precaria ricerca di una distanza di sicurezza nel rapporto
tra ansie claustrofobiche e agorafobiche. Quelli che cambiano sono solo i meccanismi di difesa messi in
gioco.

La Argentieri si rammarica che il maschio non abbia risposto consistentemente al femminismo e alle
critiche vitali fatte ai modelli del passato. Gli uomini del post-femminismo, rancorosi o virtuosi per
inerzia, non si pongono come interlocutori. L’esercizio della sessualità è l’unico espediente per dare
senso alla vita, anche per intellettuali di sinistra spesso finiti per invidiare i più anziani protagonisti
dell’epoca trascorsa. Il male è che non ci sia altro a riscattare l’identità del maschio in crisi, rinunciando
all’idea dell’uomo nuovo.
Troppo spesso la molla del disordine dell’eros non è il piacere…ma la compensazione precaria dell’ansia
e dell’incertezza di sé. Altre volte possiamo vedere in controluce ai comportamenti sessuali promiscui i
bisogni infantili del contatto.

Senza rigidi modelli sociali a contenimento le ragioni dello stare insieme sono sempre più interne alla
coppia e le sorti del rapporto sono lasciate alla responsabilità dei singoli. Sono legami fragili e turbolenti,
non per forza infelici.

3. Di padre in figlio.

L’elemento unificante che funge da scenario alle mutazioni di coppia e famiglia è la generale tendenza
verso la regressione all’indifferenziazione. Ne sono una dimostrazione le patologie dei pazienti sempre
più vicine al borderline, alla debolezza dell’Io, all’ansia e ai deficit caratteriali di base. Occorre, però, una
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vigilanza rispetto alla tendenza acritica e difensiva spacciata per progresso e superamento dei
condizionamenti culturali (es. asilo/ideologia): altrimenti si finisce per pagare con un Io plastico e fragile
ed un Super-Io meno severo ma anche meno protettivo.

Il declino della passione porta a questo: senza genitore da sfidare, il bimbo consegue un’immeritata e
prematura vittoria. Se il padre cede il suo posto nel lettone, il piccolo verrà gratificato…ma pagherà in
seguito con il prezzo della debolezza di carattere e dell’ipersensibilità alla frustrazione.
Lo sviluppo psicologico – anziché confrontarsi con lo scoglio del complesso di Edipo – si attesta a stadi
precedenti di non ancora avvenuta differenziazione, nei quali il faticoso garbuglio che porta a
distinguere tra grande e piccolo, maschile e femminile, non viene superato, ma eluso.

E’ sicuro che tali schemi si stanno trasmettendo di padre in figlio, di genitore in genitore. Silvio Zucconi
ha evidenziato che venire a patti con il destino monosessuale è un affronto alla megalomania infantile,
una ferita all’infanzia che ha un corrispettivo nella precoce scoperta dell’alterità e nella tardiva
rivelazione dell’ineluttabilità della morte.
Il valore del complesso edipico come momento riorganizzatore dello psichismo consiste nel fatto che il
bimbo a partire dal vissuto di fusione con la madre sperimenta progressivamente la frustrazione e il
senso del limite alla fantasia onnipotente di essere il centro del mondo. Il momento è drammatico è
sancito dall’entrata in scena del padre, dall’intuizione oscura del figlio che tra i genitori esiste una
complicità da cui è escluso. La sensazione di armonia originaria non è vissuta per forza con la madre e
non è per forza il padre a scatenare la crisi separativa…contano l’età, il momento della consapevolezza, il
passaggio dal due al tre.
Ai giorni nostri tali passaggi inevitabili sono sfumati e labili, a fronte anche della timidezza dei nuovi
padri a proporsi in modo netto verso i figli.

Il complesso edipico è uno dei pilastri che si sono indeboliti dando vita all’organizzazione indifferenziata,
che evita il conflitto e si impoverisce di spinte istintuali. Se il genitore manca, è il bimbo a doversi auto-
dominare: compito così difficile da spingerlo verso l’inibizione.

Nicoletta Gosio ha detto che oggi si assiste a una prevalenza degli stati di restrizione dell’Io, ovvero a
uno spostamento verso meccanismi di difesa più immaturi anche nella normalità della nostra vita. Un
allevamento dolce non diminuisce le spinte distruttive del bimbo, ma rende debole la capacità di
controllo dell’Io. Il Super-Io può essere meno severo, ma si perde anche la funzione interiore di
protezione. Per contro se l’inibizione impoverisce i desideri, non garantisce un efficace controllo degli
impulsi aggressivi – capaci di esprimersi in forme subdole e indirette di violenza.

4. Il gioco delle identificazioni.

La capacità di distinguere tra padre e madre, quindi, è frutto di un processo durante il quale i bambini
devono imparare a stabilire i confini tra sé e non sé nella dimensione duale, poi a riconoscere i genitori
come “separati” e “diversi”, non omologhi. Il padre, infatti, anche se presente alla nascita, non viene
riconosciuto subito come tale sul piano intrapsichico.
E’ un percorso complesso, in un gioco di identificazioni/disidentificazioni nel corso del quale ciascuno
costruisce la propria identità di genere e quella dell’altro come una rete dinamica di relazioni. L’identità
maschile/femminile è il risultato di una più o meno felice integrazione di vari livelli: anatomico,
metaforico, biologico, senso psicologico, ruoli sociali e pulsioni.
Tuttavia, nel corso della crescita si possono organizzare scissioni difensive e ricomposizioni artificiose,
invece di reali differenziazioni. Per esempio gli aspetti pulsionali sessuali e aggressivi possono essere
scissi e proiettati sul padre e su tutti i maschi – vissuti come minacciosi e ostili – mentre sulle donne si
fissano quelli teneri, o viceversa: sono scissioni che possono resistere tutta la vita e si organizzano come
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teorie su proprietà naturali. Su di questo pesano le influenze dei pregiudizi, delle vicissitudini relazionali
precoci e delle reali caratteristiche genitoriali.
Sul piano clinico è significativo che l’adulto erediti, nei rapporti di coppia, sia le fantasie sul sesso
opposto sia quelle del rapporto primario con la madre (per entrambi i membri il partner rappresenta la
madre e si carica dei conflitti irrisolti). In questo gioco le donne trovano difesa più facilmente
nell’anatomia diversificata del marito, mentre per l’uomo può evocare paure di annichilimento,
castrazione e impotenza: ecco perché di solito la donna cerca un partner più adulto nel quale far
confluire i propri desideri inconsci di avere padre, madre, amante e compagno.

5. “Crossdressing” infantile.

Termine usato per indicare adulti che amano vestirsi con abiti del sesso opposto, secondo una tendenza
solitamente collegata alla sessualità. E’ una versione moderna del travestitismo, oggi considerato un
tratto della personalità sul quale è genite non indagare e che permette una continuazione del rapporto
con il partner.
E’ stato messo in evidenza, però, anche il fenomeno di bimbi che si esprimono secondo un linguaggio
ambiguo verso sé stessi (Sono maschia!). Se accade nelle bambine desta meno preoccupazione.
Mancano studi dettagliati sul fenomeno ad ora e le ipotesi diagnostiche sono ferme agli anni ’50 (e da
ascrivere a casi di disordine grave della personalità).
Secondo la Argentieri, invece, tali tendenze non sono inquietanti, ma l’effetto di un clima sociale,
psicologico e culturale che permette l’emergere di aspetti compositi dei processi di crescita, in passato
rigidamente repressi o codificati.
Oggi si tratta di fenomeni diversi che non devono allarmare e che non hanno valore predittivo. Non
vanno né repressi né incoraggiati: i bimbi devono cercare e trovare la loro strada. Un elemento
significativo che consente di capire se si tratta di un gioco o di un disturbo è la qualità ossessiva,
obbligata, del travestimento e l’angoscia che scatena il suo impedimenti.

6. Padre materno e madre fallica.

Palumbo ha scritto che il percorso della crescita ed emancipazione femminile è lungo, ma anche
contorno e discontinuo. Le conquiste non sono ereditarie né garantite e persistono ad oggi stereotipi
sommersi come quello della donna fallica (già usata da Freud e Abraham): dizione usata come insulto
per indicare una persona di sesso femminile che possiede attributi del genere maschile…anatomici,
come il pene, o sostituti, come il naso adunco. A volte si usa anche per indicare una donna con certi
aspetti psicologici o caratteriali (es. sopraffazione, forza, logica, ecc…). E’ sempre inquietante e
pericolosa, anche se non per forza brutta.
Tali pregiudizi si radicano in una fase precoce dello sviluppo psicologico, durante il quale il bambino non
ha ancora chiara la distinzione tra sé e gli altri: né è prova il fatto che le caratteristiche di potere della
madre fallica sono presenti sia nei maschi che nelle femmine. Le vicissitudini della fantasia hanno però
sviluppi diversi. Proprio svelando la natura arcaica della donna possiamo sperare di toglierle forza.

Le paure infantili che stanno dietro la donna fallica, spesso ricacciate nell’inconscio, sono alla base di
tante difficoltà sessuali e amorose di uomini adulti che possono vedere rievocata nella loro compagna
l’antica minaccia di sopraffazione.

Melanie Klein parla a questo proposito di figura paternale combinata, alla ricerca di una nuova parità tra
i sessi e in ragione della precocità dell’esplorazione psicanalitica. Sia maschio che femmina devono fare i
conti con l’invidia del seno da cui dipendono: il niente contro il tutto. Tutti si portano dietro questo
bagaglio, ma i maschi lo sopportano peggio per ragioni storiche, psicologiche e fisiologiche.

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La donna fallica può essere vista in tal senso come l’antitesi del padre materno, figura asessuata e
rassicurante, maschio solo anatomicamente ma destituito di istinti sessuali e aggressivi.

7. Invidia buona, invidia cattiva.

L’invidia della generatività è stata opposta spesso all’invidia del pene, legata a questa dal senso di
inferiorità e mancanza. Alcuni genitori accusano di slealtà la partner per usare il seno come fonte di
contatto intimo, al di là delle esigenze nutritive.
Un’incarnazione codificata di uomini che vivono e agiscono l’invidia del seno è rappresentata…dai
pediatri. La loro invidia è buona e al servizio del bimbo. In alcuni casi, però, esercitano la loro scienza in
competizione con le madri (e pure con altri professionisti, come i ginecologi).

Il sunto, allora, è che sì, c’è un nesso, anche se complesso, più circolare che lineare, tra le trasformazioni
delle relazioni di coppia e il fenomeno dei padri materni, come la tendenza all’indifferenziazione,
favorisce l’ingresso degli uomini nella nursery: una variazione non irrilevante nella costruzione
dell’identità di genere e della gestione istintuale, trasmessa di padre in figlio.

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CAPITOLO 4. PADRI E FIGLIE

Non c’è il rischio che un’intimità fisica con il padre fin dalla tenera età possa attivare un’indebita
erotizzazione del rapporto?
In effetti, i maschi adulti sono stati tradizionalmente esclusi dalle funzioni di accudimento per
proteggere i bimbi da possibili abusi sessuali. Un’apprensione che si è amplificata negli ultimi anni, a
fronte del fatto che la maggior parte degli incesti ancora riguarda il rapporto padre/figlio. Una prima
obiezione a tali timori è che simili atti venivano perpetrati anche prima della comparsa del padre
materno.
Le motivazioni di un uomo autore della violenza sessuale possono essere diverse:
- Brutale esercizio di sopraffazione
- Forme subdole di aggressività e possesso > sessualità usata per mantenere il dominio psicologico
su una creatura svantaggiata
In ogni caso alla base c’è l’incapacità di un uomo di sostenere il confronto alla pari con una donna
adulta.
La vittima, invece, subisce un blocco dello sviluppo psicologico anche se in lei c’è stata una forma di
collusione, piacere o contorto consenso. Freud ebbe il merito di evidenziare la complessità del problema
della seduzione, mettendone in luce danni immediati e a distanza.

Oltre agli abusi reali, c’è il problema delle fantasie verso i genitori: ogni bimbo immagina di essere
sedotto dagli adulti e nell’infanzia il confine tra realtà e immaginazione è molto labile. Con una delle
tipiche capriole dell’inconscio, però, la fantasia è ribaltata: la mente infantile non pensa io desidero, ma
sono desiderato. Si tratta di riflessioni che riaffiorano in sogni o in alcuni comportamenti nevrotici.
Districare abusi subiti e deformazioni è il compito della psicoanalisi, difficile peraltro a fronte degli effetti
patogeni simili.
La radice delle fantasticherie va ricercata in vissuti di per sé semplici e normali. Si dice che la madre sia la
prima seduttrice, perché è suo felice e naturale compito offrire contatto e intimità (stimolazione
genitale per la pulizia). Non è un effetto secondario, ma una benefica e appagante esperienza,
necessaria per il processo di sviluppo.

Il problema dell’effetto nocivo può nascere solo se il genitore ha dei problemi psicologici irrisolti
riversati addosso ai piccoli. Ma anche se un genitore blocca i suoi istinti si possono verificare, obbligando
all’esperienza della privazione.

In conclusione, la domanda è mal posta: una seduzione paterna può esserci sia verso i figli maschi sia
verso le femmine e si pone anche con riguardo alla donna (Welldon). I padri non possono temere di
diventare pedofili solo perché fanno il bagnetto ai figli…sono ubbie sessuofobiche che inibiscono la
spontaneità di un rapporto naturale. Se i problemi ci sono, non sono in relazione al fenomeno del padre
materno.

1. My heart belongs to daddy.

Secondo Matteo De Simone (2010) oggi siamo chiamati di nuovo a riflettere sul ruolo del padre per la
sua antica tirannia e la sua proclamata assenza, ma anche per lo sviluppo di nuove famiglie. Gli
psicanalisti devono cogliere tali cambiamenti ed elaborarne senso e non-senso. Il rapporto padre-figlia,
in particolare, secondo De Simone è in bilico tra autorità e riconoscimento, odio e amore, spesso
dominato dal silenzio e dell’amara memoria di gesti negati, da sguardi che scivolano nel vuoto o dal
bisogno di mantenere un contatto tenero senza eccitazione. Il problema è che i casi sono tanti da
impedire la generalizzazione: da qui un’immagine composita. Il punto più delicato è il bilanciamento tra
tenerezza ed erotismo, ovvero la giusta distanza da modulare di volta in volta.
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Il bambino esposto precocemente a turbamenti senza la protezione del senso del limite adulto sarà
costretto a difendersi da solo dall’ansia e la tensione sessuale sarà vissuta come una minaccia
destabilizzante per la psiche immatura che metterà in moto strategie difensive drastiche (blocco della
sessualità). Secondo la teoria classica dovrebbe essere il padre a fornire la funzione normativa del senso
del divieto, ma troppe volte sono proprio i padri a non saperla amministrare perché per primi non
l’hanno interiorizzata. Così le figlie devono confrontarsi con padri incestuosi o sotterraneamente
seduttivi o ancora lontani e distaccati.
Non è raro che per evitare fraintendimenti i padri lascino le figlie in balia della soffocante possessività
materna o sfruttino il rapporto con loro per compensare le rispettive fragilità e attaccare la moglie. Tale
subdola configurazione nevrotica, che paralizza lo sviluppo della femminilità della figlia in una sterile
idealizzazione del padre, rientra nella Sindrome di My Heart Belongs To Daddy.
Paola Camassa ha evidenziato che le pazienti anoressiche hanno stabilito spesso un patto segreto con il
padre di rifiuto del seno materno: l’anoressia è funzionale a passare l’idea di una resurrezione in un
corpo superiore, autosufficiente.

2. Eludere il conflitto con la tenerezza.

In passato il padre era deputato alla repressione sessuale e al controllo della libertà intellettuale, oggi,
invece, il gioco edipico è scompaginato. Le funzioni genitoriali sono scambievoli, ma spesso i figli vivono
situazioni monogenitoriali (con il padre delle vacanze) o di conflitto aperto. Il compito del padre
dovrebbe essere quello di favorire la crescita emotiva e sessuale della figlia senza abdicare al proprio
ruolo di autorità, di lasciarle esprimere il gioco infantile della seduzione senza essere a sua volta sedotto,
di non reprimerla né gratificarla troppo così da portarla verso una serena relazione con un uomo. Tutto
ciò è complicato se non ci sono serenità e stabilità.
La situazione di contrasto può portare a far sì che il padre cerchi di recuperare familiarità tramite la
tenerezza. Quando la figlia diventa adolescente, però, la possibilità di esercitare un controllo sulle sue
azioni diventa minima. Per questo può essere più agevole ricercare la complicità, senza imporre troppe
regole.
Non è un caso se le ragazzine si interessano spesso a uomini più grandi: anche questa è una
conseguenza tutt’altro che rara della carenza della funzione paterna. Per sfuggire all’intimità, quando si
ha un padre estraneo, assente nella quotidianità, il complesso di Edipo viene agito fuori.

3. Incestuoso e incestuale.

Racamier ha introdotto il termine incestuale per distinguere i comportamenti ambigui, al limite con
quelli esplicitamente sessuali (es. giornalista/eccitazione per le coccole).
La miglior risposta ai deliri argomentativi di alcuni arriva da Ferenczi, che nel 1933 ha pubblicato
“Confusione delle lingue tra adulti e bambini”: il tragico malinteso si verifica ogni volta che il bimbo parla
con il linguaggio della tenerezza e l’adulto risponde con quello della passione. Secondo Freud il bimbo è
un meraviglioso giocattolo erotico e ha il diritto di esercitare la seduzione, sta all’adulto accoglierla e
contenerla. Un bimbo che riesce a sedurre un grande è in realtà lui a essere sedotto e condannato alla
confusione tra sessualità e affetto, perdendo ogni protezione. In tali ipotesi incestuali egli non ha
nemmeno il diritto di veder riconosciuto il danno ricavato.

Secondo Freud il bimbo alla nascita è bisessuale: attraverso le esperienze con noi e con il mondo
si orienta, superando il modello edipico. Tale orientamento avviene in modo spontaneo e
seduttivo: il problema è che se il genitore risponde a sua volta seduttivamente si crea confusione
tra sessualità e affettività.

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Nei rari casi in cui il padre vive da solo con la figlia deve provvedere a tutti i suoi bisogni e insorgono
ancora altre difficoltà nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza (es. assorbenti).

La situazione è tanto complessa da spaventare qualunque aspirante genitore, ma le insidie della


relazione madre/figli non sono da meno. Eppure, molti padri continuano a svolgere la loro funzione
come sempre. Del resto non ricerchiamo un padre perfetto…ma sufficientemente buono. Il problema,
comunque, non è nei gesti, ma nell’atteggiamento psicologico autentico del genitore. Probabilmente, la
soluzione è imparare a coniugare affetto e buon senso.

4. Un caso insospettato di padre materno: Freud.

Anna Freud, ultima di sei figli, rifiutata da una madre stremata, maschio mancato, fu la figlia più vicina al
padre della psicanalisi. Sigmund e Anna condivisero l’idea che lei fosse nata direttamente dalla mente di
lui, come Atena da Zeus. Il loro rapporto fu rinforzato da una sorta di “incesto analitico”. Freud parlava
di lei ammettendo la sua affettuosa tirannia e paragonando il bisogno di lei a quello dei suoi sigari: un
legame di dipendenza che aveva poco di sessuale e che si muoveva non sul piano triangolare, ma duale
dei bisogni fusionali primari. Anna si fece complice di tale rapporto, scalzando gli altri membri della
famiglia dal ruolo di compagna e infermiera. Rivelò poi che il conflitto fondamentale della sua esistenza
era uno: rivolgere la libido su un altro uomo avrebbe significato per lei tradire il padre e perderlo per
sempre. In questo senso la relazione con una donna rappresentò un modo di conciliare il suo bisogno
d’amore con il legame che la inchiodava al padre. L’arrivo di Dorothy, la compagna, fornì una spinta
verso l’inclusione, caratterizzata da un intreccio di amore e psicanalisi (in cui la colleganza è più forte del
sangue).
Difficile capire quanto di ciò fossero consapevoli i protagonisti della vicenda, ma sicuramente la storia
testimonia quanto possa essere totalizzante il rapporto padre/figlia.
Anna non solo si occupò di psicanalisi, ma lasciò in ombra lo sviluppo psicosessuale femminile e
l’ambivalenza orale nel rapporto con la madre primaria indifferenziata.
Chiudendosi da anziana nel cappotto del padre parve voler suggerire la qualità protettiva e materna del
padre: era stato proprio Freud, poco prima, a parlare del simbolismo del mantello, che a suo parere
rappresentava l’uomo non per forza in senso sessuale. Oggi si possono intendere i significati regressivi
materni rappresentati dal mantello.
I due Freud hanno rappresentato la preziosa opportunità di sperimentare la fusione delle origini,
l’unione senza confini e conflitti con l’immagine materna indifferenziata: avvolgente sentimento
oceanico di armonia totale di cui lo psicanalista parlava in altri contesti.

5. Le due figlie di Lacan.

La figlia Judith ha pubblicato come omaggio alla sua memoria il volume “Album Jacques Lacan. Visages
de mom père”, firmandosi Miller – dal marito anch’egli psicanalista ed erede di Lacan. Ella è la figlia di
seconde nozze della moglie di Lacan, prima sposata a tale Bataille. Il riconoscimento avvenne solo
quando aveva già 21 anni. La testimonianza è, però, ricca di omissioni, ignorando la prima parte della
vita del padre, il suo matrimonio e i tre figli che ne sono nati.
A riempire tale vuoto ci ha pensato tre anni dopo Sibylle con il libro “Un père”, firmato con il cognome
Lacan, e ricco di dettagli dolenti, di disamore e di menzogna. Solo a 17 anni la figlia sa della doppia vita
del padre e di Judith (“incidente” della svista > rimozione). Sibylle è affetta da una patologia psichica e
richiede di essere seguita dal padre come paziente: l’unico conforto, dopo due fallimenti, arriva con una
terapista scelta dalla ragazza stessa.
Lacan nell’ultima parte della vita esibisce solo Judith e solo la sua foto sta nel suo studio.

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Quale delle figlie ha subito il danno maggiore? Difficile dirlo: una è negletta, l’altra costruita a propria
immagine e sedotta. Sorprende comunque il confronto tra il padre reale e quello simbolico descritto da
Lacan.

6. Il papà di Giovanna e quello di Lorchen.

“Il Papà di Giovanna” è un film di Pupi Avati del 2008, che mette in scena il caso del padre materno
patologico. Lui è un professore di liceo mite e frustrato, lei, bella e ambiziosa, tradisce il marito con un
amico di famiglia. La figlia, timida e bruttina, abbandonata dalla madre, si trova con un padre che fa
fuori la moglie dal ruolo materno e occupa tutti gli spazi nel rapporto con la bambina. Giovanna è
insicura e solitaria, protetta dall’amore asfissiante del padre che l’ha allevata nell’illusione di poter
sfuggire al conflitto e cerca di modificare la vita per adattarla a lei. Sino alla fine il padre resta
premuroso, ma senza capacità autocritica: si accusa solo di non esser stato capace di proteggere la sua
illusione, non di aver alimentato il delirio della ragazza (che finisce in un manicomio criminale).

“Disordine e dolore precoce” è un romanzo breve di Mann, che parla all’opposto della capacità del
padre di affrontare il lutto della perdita della figlia. Protagonista è il professore di storia Cornelius,
teneramente appassionato alla figlia Lorchen da cui è ricambiato. Durante una sera di festa, la piccola
resta affascinata dal Max che la invita a ballare: lei accetta, divincolandosi dalle braccia di Cornelius.
Costretta ad andare a letto si abbandona al pianto e il padre, ferito, non riesce a consolarla. Solo il
compiaciuto e fatuo Max la placa. Cornelius lo odia perché ha straniato la figlia da sé e per il suo amore
“non del tutto irreprensibile”…tuttavia, accetta di farsi da parte. Lorchen in questo caso affronta uno dei
nodi del complesso edipico – il riconoscimento della differenza maschio/femmina – e deve fare i conti
con la differenza tra adulti e bambini (il giovane Max va a ballare con una vera donna). Il padre soffre,
ma sa di non poterla consolare.

8. Speriamo che sia femmina?

In un passato non troppo remoto gli uomini desideravano fortemente un figlio maschio per ragioni
economiche o dinastiche. Le donne facevano altrettanto per compiacerli e compensare la mancanza
originaria (castrazione). L’interpretazione di Freud in merito è stata tra le più contestate e riformulate.
Comunque, secondo l’autrice, questa “immagine” nascondeva una situazione più complessa, in cui il
desiderio inconscio era quello di generare una figlia femmina.

Il gioco del desiderio si è rovesciato e ora la preferenza appare invertita espressamente. E’ una
conquista della dignità femminile? In verità le motivazioni profonde sono assai variabili: in una donna
tale desiderio può esprimere il bisogno di una figura in cui rispecchiarsi escludendo la presenza dell’altro
maschile; per un uomo quello di trovare una donna tenera e docile, adorante, che scongiura il timore di
un rivale e del confronto con un altro maschio, veicolo di potenziali sfide.

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CAPITOLO 5. FUNZIONE MATERNA E PATERNA OGGI

1. La pubblicità.

Oggi più dell’arte si fa specchio degradato, ma puntuale dell’aria che tira. Negli anni ’90 spot di creme e
profumi propagandavano un’immagine del padre materno ideale e ben lontana da quella canuta di
Giuseppe. Pochi anni prima la stessa raffigurazione di stampo pubblicitario, invece di un padre elegante
e sicuro, portava in scena un uomo trasandato e non avvenente. Ciò fa comprendere quanto l’immagine
paterna dell’immaginario collettivo sia cambiata nel giro di pochi anni.

Le immagini avevano alcuni lati in comune: il bimbo paffuto era nudo e voltato per non far capire di che
genere fosse; il padre era a petto nudo. In tal modo si faceva appello alla tenerezza sensuale del
cucciolo, al piacere sensoriale del contatto e al benessere immediato evocato dalla prima età (giocattolo
erotico arcaico). Siccome i prodotti reclamizzati non facevano appello alla funzione materna o paterna,
ma a prodotti per l’adulto il riferimento era chiaramente al piacere autoerotico e alla regressione.

A volte mettere al mondo i figli non esprime un desiderio, ma ad appagare i desideri narcisistici derivati
dal proprio senso di inadeguatezza e dal vuoto di identità. Dopo tante battaglie per la parità e di
revisioni della psicanalisi circa la costruzione dell’identità di genere, la pubblicità ha svelato l’appeal che
il bambino può avere per i maschi moderni…quale oggetto narcisistico. In nessuna delle immagini
precedenti compariva, infatti, una donna.

2. Giocattoli narcisistici.

Nel 1999 il binomio padre/bimbo venne messo in campo per reclamizzare un orologio e un automobile.
Perché? Uno dei meccanismi di base della percezione occulta è quello associativo: oggetto da acquistare
e desiderabile al fine di suscitare voglia di comprare (es. donna in costume/pneumatico). Si è passati
dalla donna come oggetto sessuale al bambino come oggetto autoerotico narcisistico…nonostante le
apparenze non sono stati fatti grandi progressi.
Oggi, però, tutto questo è quasi sparito: predomina la famiglia. Del resto il turnover delle immagini che
stuzzicano l’interesse deve essere rapido. Una possibilità è che il padre materno potrebbe essere ormai
divenuto normale, perdendo il potere di richiamo pubblicitario; oppure la colpa è della tendenza a
utilizzare spudoratamente la parola emozione e passione con riferimento a oggetti inanimati. Si
tratterebbe di una deriva ulteriore e regressiva del narcisismo (sex appeal dell’inorganico).

3. Il romanzo “familiare” oggi.

Nel cinema qualche esempio di padre materno inizia a comparire negli anni ’80: la nuova
contrapposizione uomo/donna fa ripiegare il figlio maschio verso il padre, quale alternativa e
consolazione (Kramer contro Kramer). Il vero “mammo” arriva solo con “Mrs Doubtfire” nel 1993. Altri
esempi sono “Uno strano scherzo del destino”, “Mio padre, che eroe!” e “Ma dove è andata la mia
bambina?”. Negli ultimi anni è però sparito (salvo “Alla ricerca di Nemo” del 2003).
Nelle trame letterarie è meno frequente trovare esempi espliciti di padre materno, per cui è più
conveniente cercarli tramite le variazioni del cosiddetto romanzo familiare. Nei libri il tema della
violenza e dell’incesto sono diventati comuni, ma non come espressione dell’abuso quanto come
strategia per l’abolizione dei confini. Si celebrano i rapporti duali anziché triangolari, il lavoro e l’identità
professionale delle eroine. E’ molto significativo, in tal senso, il successo di Banana Yoshimoto, capace di
mettere in scena romanzi familiari post-moderni con protagonisti senza radici, sospesi in atmosfere
rarefatte di sensorialità e blanda depressione. La famiglia diventa una invenzione o astrazione
(Kitchen/travestito). Un tempo sembrava qualcosa di assurdo un padre materno travestito, invece la
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realtà ha confermato che tutto è possibile (es. donna inglese). In “Middlesex”, il protagonista
ermafrodito difende la sua identità e rivendica il diritto di essere creatore di sé stesso, rinnegando i
genitori.
Oggi non serve cercare gli stereotipi o le trame messi in luce da Freud e altri; non si trovano più i rigidi
canoni del maschile e femminile. Le linee di conquista non passano più per le fantasie eroiche della
regalità, seppure sia utile conservare il paradigma del romanzo familiare come fase della crescita. La fase
di edipo non si intende più come amore per il genitore del sesso opposto e odio per l’altro, ma come
nodo evolutivo in cui acquistano o meno senso le differenze verticali e orizzontali (generazioni e
uomo/donna). Il nucleo non è nel dramma istintuale tra eros e thanatos, ma nel travaglio del pensiero,
della conoscenza di sé e delle proprie origini.
Il problema più inquietante della nostra epoca – segnata dal narcisismo e dalla fretta – potrebbe essere
la tendenza a non fantasticare, ma ad agire il romanzo familiare con dolorose e fallimentari ricerche dei
veri genitori. La tematiche si inserisce nel reale, ma senza lieto fine e senza promuovere la crescita.

4. Da Pinocchio a Spielberg.

L’arte riesce a cogliere le fantasie del tempo e della cultura. Si tratta di un patrimonio comune che
supplisce alle mere vicende cliniche.
Si pensi, allora, a “Pinocchio”. Geppetto è un vecchio, incapace di mettersi in gioco e costruirsi una
famiglia vera, che ripiega su un figlio tutto suo e cui da il suo nome (diminutivo di Giuseppe). E’ un padre
solo, che cerca qualcuno con cui giocare il ruolo dell’amore incondizionato e antiautoritario. La funzione
punitiva è assolta, infatti, dalla Fata Turchina, immagine della donna fallica e crudele.
In chiave moderna la favola viene riletta da Spielberg con “A.I.”, del 2001. La madre ha scelto David il
mecca perché vuole un figlio programmato ad amarla e rimandarle un’immagine acritica e adorabile…il
problema è che lui vuole lo stesso.
Entrambi i personaggi desiderano diventare veri, proprio come mezzo per essere amati e non subire
l’abbandono. Se la crisi esistenziale di Pinocchio è motivata dal senso di colpa e dalle leggi normative e
punitive del Super-Io, quella di David è segnata dalla separazione: la prima finisce in lieto fine, l’altra no.
Nel mondo di A.I. è però difficile dire chi provi vere emozioni e quali siano i ruoli. Il padre di David è chi
lo ha creato, non l’acquirente, lo scienziato visto come dio minore, mentre i genitori non fanno che
chiudersi in una prospettiva in cui il figlio non può diventare altro da sé.
Tutte e due le storie raccontano di false genitorialità, mancando la filiazione simbolica, mai disgiunta
dall’assunzione di responsabilità. Come diceva Lacan, non c’è paternità se non adottiva. Roman Gary ne
“La promessa dell’alba” sceglie di non avere figli, definendosi buon padre per astensione.

5. Essere o avere un padre materno.

La trasformazione è ormai avanzata. Tanti giovani uomini si stanno rivelando in grado di assolvere
funzioni di cura e trarne appagamento. Ciò testimonia che anche i maschi hanno beneficiato della
rivoluzione femminile, acquistando la possibilità di convivere con una parte di sé negletta e ripudiata:
quella delle sensualità primitiva, della tenerezza, dei livelli simbolici arcaici senza conflitto.
Insomma, poco importa chi culla e come: il bisogno di cure c’è e l’importante è che qualcuno lo assolva.
La funzione genitoriale primaria è contenere e tenere i figli nella mente, sia quando ci si occupa di loro
sia quando si fa altro. Le donne riescono più facilmente a tenere nella mente tutte le parti della loro vita
e dei loro affetti, a conciliarli anche equilibratamente; gli uomini sono più settoriali. Però la cronaca
testimonia che la tragedia non distingue i sessi.
Che ruolo ha il genere dell’analista durante una terapia? In ragione della natura dei fenomeni di
transfert – che consentono di rivivere con lo psicanalista, inconsciamente, le trame relazionali del
passato – è possibile che un paziente trasferisca l’immagine paterna sulla psicanalista donna. La Mehlr
ha scritto che nel corso di una cura il conducente è chiamato a svolgere una funzione genitoriale,
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materna e paterna, accogliere e contenere, ma anche promuovere, mirando a non rischiare di
accomodarci nel ruolo difensivo e compiacente dell’indulgenza. Comunque il transfert è un fenomeno
ubiquitario per cui tutti inconsapevolmente e di continuo riviviamo gli antichi schemi relazionali con le
nuove persone con cui entriamo in contatto, proiettando su di loro desideri e conflitti del passato. La
situazione analitica può evocare e rendere conscio tale processo. L’importante è che l’analista sia
disponibile ad assolvere tutte le proiezioni per restituirle al paziente dipanate e decantate dalla
confusione…per questo contano più le qualità individuali del genere.

Per nessuno è facile trovare il centro nella famiglia moderna. Nelle coppie si possono stabilire nuove
collusoni inconsce, in cui le madri fuggono il contatto primario e gli uomini riempiono lo spazio vacante,
eludendo la fatica di esprimere la loro incerta mascolinità. Il problema non è il fenomeno del padre
materno in sé, ma delle possibili derive e usi distorti. Le conquiste paterne sono andate a detrimento di
altri livelli un tempo considerati a torto specificatamente maschili e che, invece, sono funzioni adulte al
servizio del conflitto sano e vitale, delle passioni, della strutturazione della personalità e della crescita
psicologica.
Nel mondo indifferenziato, insomma, tutti vogliono fare le mamme, nessuno il padre…ma chi interverrà
a spezzare la dualità? Gli uomini secondo Pazzagli sembrano praticare tre soluzioni: fuggono, fanno i
bambini o fanno le mamme.
Circola attualmente anche un’altra versione del padre materno, simpatica ma degradata: il padre
bambino, che non è né un buon marito né un buon padre secondo i canoni classici. E’ inaffidabile, senza
lavoro fisso o remunerativo, infantile e disordinato. Eroga una bassa funzione protettiva e cerca
protezione nella moglie. I figli sono affezionati e si divertono, ma senza riconoscergli autorevolezza.
Possono diventare ottimi mammi, ma non vogliono esercitare il castigo e l’autorità scaricandola sulla
compagna. Sono poco interessati alle donne, perché quel che vogliono non è un amore adulto e
paritario, ma il rassicurante rapporto con l’infanzia.

6. Due desideri che non si incontrano.

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