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Riassunto Linguistica Storica

1. LA VARIAZIONE E IL CAMBIAMENTO
1.1. SINCRONIA PIÙ DIACRONIA
Le lingue non sono entità monolitiche e inalterabili: in modo analogo ad altre
creazioni umane, come le istituzioni e le mode, sono intrinsecamente mutevoli, nello
spazio e nel tempo.
- Due prospettive nello studio dei fatti linguistici (distinzione di matrice saussuriana
1967, riflette una semplificazione metodologica che riguarda il punto di vista e la
prassi dei linguisti, ma nella realtà dell’oggetto di studio, la separazione tra sincronia
e diacronia è di fatto impossibile, perché ogni stato di lingua e intrinsecamente
dinamico. Si tratta di antinomia apparente che è senz’altro utile superare, soprattutto
quando si considera la dimensione della variazione linguistica.):
La linguistica sincronica: che descrive le lingue e le strutture linguistiche per come
si presentano in un determinato momento (non necessariamente il presente),
prescindendo dai processi che hanno portato al loro costituirsi
La linguistica diacronica: che studia le lingue e i fenomeni linguistici lungo l’asse
temporale, cioè considerandone le vicende storiche e ricostruendone i percorsi
evolutivi

1.2. LA VARIABILITÀ DELLE LINGUE


Le coordinate che individuano il contesto tridimensionale del cambiamento
linguistico:
1) il tempo – variazione diacronica
2) lo spazio – variazione interlinguistica
3) la società – variazione intralinguistica

1.2.1. LA VARIAZIONE DIACRONICA


- Le analisi della variazione diacronica richiedono molte cautele:
Nel caso di materiali linguistici molto antichi, si incontrano difficoltà di
decifrazione, interpretazione, contestualizzazione dei dati.
La normalizzazione dei testi operata dai scribi ( 古 代 誊 写 人 ), copisti e tipografi si
somma alla naturale lentezza con cui la lingua scritta si adegua ai mutamenti
avvenuti nella lingua parlata.
Infine, come talora accade anche nell’uso degli alfabeti moderni, può non esserci la
perfetta corrispondenza tra grafia e pronuncia.
→ Compito del linguista storico, suggerisce Aitchison:
“La ricostruzione della pronuncia somiglia al lavoro di un detective, nel
senso che i linguisti devono rilevare e assemblare una congèrie di minuti
indizi. Devono seguire il consiglio di Sherlock Holmes che afferma: «è
sempre stato un mio assioma che le piccole cose sono infinitamente le più
importanti». Come nel lavoro di detective ogni singolo elemento di prova
vale poco, preso di per sé. È l’effetto cumulativo che conta.”
Es.1. l’incoerenza grafica dell’inglese moderno nella resa dei suoni vocalici
in questione
ant. ing. /a:/ → ing. mod. /əʊ/
ant. ing. bat ban ham rad stan hal
ing. mod. boat bone home road stone whole
→ nel confronto tra i sistemi linguistici del passato e del presente, si
fa spesso riferimento a principio di uniformità, mutuato dalla
filosofia della scienza, il cui afferma che «i processi naturali che
hanno operato nel passato sono gli stessi osservabili nel
presente: in altre parole, ieri come oggi, le stesse cause
producono gli stessi effetti, e dunque il presente può essere la
chiave per comprendere il passato (e viceversa)».

1.2.2. LA VARIAZIONE INTERLINGUISTICA


- Riguardo alla dimensione dello spazio, per Saussure: “ciò che colpisce anzitutto
nello studio delle lingue è la loro diversità, le differenze linguistiche che appaiono
quando si passa da un paese all’altro o perfino da un circondario a un altro. Se le
divergenze nel tempo sfuggono spesso all’osservatore, le diversità nello spazio
saltano immediatamente agli occhi.”
1.2.3. LA VARIAZIONE INTRALINGUISTICA
- Riguardo alla dimensione sociale, secondo Saussure “la lingua non è libera, perché
il tempo permetterà alle forze sociali esercitantisi su di essa di sviluppare i loro
effetti”;
- Inoltre, “essendo un’istituzione sociale, può pensarsi a priori che essa sia regolata
da prescrizioni analoghe a quelle che reggono la collettività”
- Queste dinamiche sono l’ambito di indagine specifico della sociolinguistica, un
settore che studia le modalità con cui la lingua di una comunità di parlanti si
diversifica:
→ Nello spazio geografico – variazione diatopica
→ In base ai gruppi e alle classi sociali – variazione diastratica
→ In rapporto alle situazioni comunicative – variazione diafasica
→ In base al mezzo comunicativo – variazione diamesica
- Diasistema: Nella pratica dell’uso, i parlanti rivelano la padronanza di molteplici
registri linguistici: ad es. l’uso del dialetto accanto alla lingua standard, espressioni
colte accanto a forme colloquiali, termini tecnici accanto a parole di uso comune, e
così via. La nozione di diasistema si riferisce a un sistema di livello superiore che
riunisce vari sottosistemi rappresentati dalle varietà di una lingua, insomma: “ un
insieme di sistemi presenti nella competenza dei parlanti che in parte si
sovrappongono e in parte divergono.”
Es.1. it. io domani vado / io andrò
→ In queste due frasi si riscontra la costante variabilità sincronica nella vita e
nel funzionamento delle lingue. La struttura che affida la referenza temporale a
espressioni lessicali (domani) è tipica dell’it. parlato, in cui il ‘corretto’
impiego del tempo futuro è da tempo divenuto scarso e tendenzialmente
confinato a contesti e usi più formali.
→ Esempi del genere sono facilmente moltiplicabili, e la consapevolezza delle
dinamiche che motivano la coesistenza e la concorrenza tra le diverse forme e
strutture in un diasistema è utile per cercare di capire se gli errori di oggi
diventeranno la grammatica di domani o, meglio se (e come) la variazione di
oggi potrà essere il mutamento di domani.
1.2.4. I MODI DI CAMBIAMENTO

1.3. GLI AMBITI DELLA LINGUISTICA STORICA


- Gli obiettivi della disciplina:
→ Descrivere la storia delle comunità linguistiche;
La raccolta di informazioni sulle particolari vicende dei gruppi linguistici.
→ riconoscere e interpretare i mutamenti osservati nel confronto tra le diverse fasi
di una lingua;
La conoscenza dei termini e dei criteri con cui classificare e analizzare le differenze tra
stati di lingua successivi, e nei diversi livelli del sistema, al fine di proporre una
tipologia generale del mutamento fonologico, morfologico, sintattico e semantico.
→ definire modelli e teorie generali del cambiamento linguistico;
Capire i meccanismi e i principi generali che regolano la costante trasformazione delle
lingue.

1.3.1. IL CONTATTO TRA LE LINGUE


- Il contatto tra le lingue costituisce una delle cause più immediate e vistose di
cambiamento.
Per es. nel rinnovamento del lessico, si effettuano degli episodi di prestito, come
quelli esemplificati sotto:
a. ing. street e ted. Straße < lat. strata ‘via lastricata (石板铺的路面)’
b. ing. river ‘fiume’ < fr. rivière
→ Tra le tante guerre e conquiste che hanno accompagnato fondazioni e
disfacimento di regni e imperi, i Paesi europei hanno conosciuto molteplici
confronti anche fra le lingue che travalicando le frontiere, hanno permesso lo
scambio e la condivisione di vocaboli e strutture.
→ Gli effetti del contatto sono infatti meno evidenti e immediati, ma forse più
profondi e duraturi quando le comunità che gravitano intorno a una certa area
linguistica cominciano a condividere non solo il lessico ma anche le strutture
delle loro lingue.
→ Nella riflessione sul mutamento è ovvio il ruolo centrale dei processi di
interferenza che, sia al livello macroscopico delle lingue circolanti nei vari paesi,
sia al livello microscopico della competenza multipla nel singolo individuo,
trasformano incessantemente vocaboli e grammatiche.

1.3.2. LA DIFFUSIONE DEL MUTAMENTO LINGUISTICO


Le trasmissioni di caratteri innovativi sono legate alla modulazione e interazione di
alcune variabili, tra cui:
→ Fattori geografici: i confini nazionali e gli ostacoli naturali possono rallentare la
trasmissione delle innovazioni da un gruppo all’altro
→ Fattori politici: la diffusione di popoli dominanti può ridisegnare il panorama
linguistico di interi continenti: si pensi al latino e all’arabo che accompagnano
rispettivamente e successivamente, l’espansione territoriale dell’Impero Romano e
dell’Islam.
→ Fattori sociali: il prestigio di individui o gruppi può decretare il successo di
un’innovazione, attraverso l’imitazione e l’adozione da parte degli altri membri della
comunità.

1.3.3. LE TENDENZE E I PRINCIPI LINGUISTICI UNIVERSALI


Diversi studi tipologici sugli universali hanno verificato che: nell’organizzazione dei
sistemi linguistici,
→ certi tratti o costrutti sono più frequenti e/o correlati ad altri,
Ad es. riguardo alla categoria del numero, è stato notato che nessuna lingua ha il
numero triale se non ha il duale, e nessuna lingua ha il duale se non ha plurale
→ Anche certi processi evolutivi paiono più diffusi e probabili di altri,
Ad es. gli elementi grammaticali (ad es. affissi, preposizioni, congiunzioni, etc.)
tendono a svilupparsi da elementi lessicali (ad es. nomi e verbi): it. chiaramente <
lat. clara mente lett. ‘cum mente lucida’ mentre il contrario non avviene (quasi)
mai
→ Considerata l’esistenza di tendenze che si manifestano sia in sincronia che in
diacronia, è possibile ipotizzare che le proprietà strutturali e sincroniche delle
lingue modellino i percorsi del mutamento, che quindi concorrono a rafforzare i
caratteri diffusi a livello interlinguistico.
→ È altrettanto plausibile sostenere che, alla base delle generalizzazioni tipologiche,
vi siano traiettorie evolutive convergenti e che i veri universali del linguaggio
siano per loro natura diacronici.
→ Tra l’approccio sincronico strutturale, e quello diacronico evolutivo, si innesta
infatti un terzo punto di vista, che contempla anche fattori esterni alla lingua in cui le
pressioni sincroniche di tipo funzionale, cognitivo e biologico sono le forze che
pilotano mutamenti convergenti.
→ Il rapporto tra cambiamento linguistico e universali linguistici è il filo
conduttore che, di volta in volta, concluderà i capitoli sull’analisi dei fenomeni
fonologici, morfologici, sintattici, semantici e interlinguistici.

2. LA LINGUISTICA STORICO-COMPARATIVA

3. IL PANORAMA DELLE LINGUE IN EUROPA


3.1. STAMMBAUMTHEORIE
3.2. I RAMI DELL’ALBERO DELLE LINGUE INDOEUROPEE
3.2.1. RAMI PICCOLI E ANTICHI
- Lingue anatoliche:
→ un tempo parlate nel territorio dell’attuale Turchia
→ include il palaico, il luvio, il lidio, il licio, il cario, e il preminente ittita
(diffuso nell’impero della penisola anatolica)
→ la lingua ittita, che è tra quelle indoeuropee di più antica attestazione
(prime testimonianze risalenti agli inizi del II millennio a.C.), è nota attraverso
documenti in scrittura cuneiforme, distribuiti dal XVII al XIII sec. a.C. L’ittita
presenta vari elementi che, considerata anche la precoce separazione dalla
lingua comune e la probabile commistione con altre lingue, inducono a
supporre importanti innovazioni e semplificazioni di strutture in origine più
complesse.

- Lingue greche:
→ un tempo suddivise in vari dialetti, ionico-attico, eolico, dorico, arcadico-
cipriota, panfilio.
→ si tratta di lingue di antichissima attestazione: al II millennio a.C.
→ Grazie alle conquiste e alla politica di Alessandro Magno (365-323 a.C.), le
varietà dialettali del greco antico finirono per unificarsi in una lingua comune,
detta appunto koinè: varietà, basata sul dialetto dell’Attica, è oggi continuata
nel neoellenico/greco moderno

- Lingue latine:
→ documentazione inizia in tempi senz’altro più recenti, primi testi epigrafici
datano intorno al VI-V sec. a.C.
→ inizialmente parlate da una sparuta comunità insediata intorno al basso
corso del Tevere, ben presto divenne la lingua di Roma e del suo impero,
nonché, in seguito, la lingua della cristianità.
→ decisamente rilevante, nella vicenda della lingua, il divario crescente tra
varietà dello scritto e del parlato: dal dibattito iniziale tra la norma
codificata dall’urbanitas (proprie del latino di Roma) e le forme connotate
dalla rusticitas (proprie delle aree rurali ed extraurbane in genere), si passa
infatti a una separazione via via più netta tra la lingua standardizzata dei testi
scritti e degli autori classici da un lato, e la lingua d’uso dall’altro.
→ il latino volgare, cioè il lat. colloquiale, finirà per allontanarsi dal lat.
classico e, attraverso prolungati percorsi di diversificazione territoriale,
diverrà la base da cui si formeranno le varie lingue neolatine.

- Lingue italiche:
→ il nucleo si identifica l’insieme costituito da osco e ombro, di cui resta una
buona documentazione
→ altre tradizioni linguistiche minori sono: falisco, sabino, equo, peligno,
volsco, marrucino, sudpiceno, marsico e vestino, di cui rimangono
frammentarie attestazioni
→ ancora altre: greco delle colonie, il messapico, il siculo, l’elimo a sud
→ infine il venetico, il leponzio e il gallico a nord
→ le tradizioni linguistiche generalmente conosciute come non indoeuropee
che sono l’etrusco, il retico, il camuno, il punico e il sicano.
→ tutte queste lingue costituiscono il panorama dell’Italia antica di un
variegato mosaico in cui numerose lingue coesistono.

- Lingue celtiche: in tempi remoti era diffuso su un territorio vastissimo, con


insediamenti sparsi dalla penisola anatolica a quella iberica, tradizionalmente
divise in due sotto gruppi:
→ il celtico continentale, si è estinto intorno a V-VI sec. d.C.
1) Varietà parlate in Gallia
2) Varietà parlate in Iberia
→ il celtico insulare, varietà parlate nelle isole britanniche, sopravvissute
fino ai giorni nostri
1) Lingue gaeliche / goideliche: irlandese, scozzese, manx(estinto)
2) Lingue britanniche: gallese, cornico (in Cornovaglia), bretone (nella
Bretagna francese nel medioevo)

- Il tocario: la più orientale tra le lingue indoeuropee, anticamente parlata nel


Turkestan cinese 突厥斯坦 , area che oggi corrisponde a Xinjiang, e tramandata
attraverso testi religiosi redatti tra la metà e la fine del I millennio d.C. e
suddivisa in tocario A e tocario B.
Nella figura riportata sopra, si nota una branca sottile in basso a destra, (la cui
origine forse si può avvicinare alla stessa appartenenza di italico e proto-
celtico)

- Le lingue indo-iraniche
→ lingue iraniche 伊朗语支 documentate fin da VI sec. a.C.
1) L’avestico (Zarathustra)
2) L’antico persiano (nel periodo achemenide)
che poi si evolvono in medio persiano e nel persiano moderno (o farsi,
lingua dell’attuale Iran)
3) Il curdo
4) Il pashto
5) Il baluchi
→ lingue indoarie 印度-雅利安语支
1) Il vedico (la lingua di Veda)
2) Il sanscrito (la lingua letteraria dell’India e ancora in uso, scritto in
alfabeto devanagari come lo hindi)
3) I dialetti pracriti: da cui derivano
→ le lingue dell’India moderna: lo hindi – scritto in alfabeto
devanagari
→ le lingue del Pakistan: tra cui l’urdu – scritto in alfabeto arabo
→ le numerose lingue zingariche, giunte fino in Europa
- L’Armeno: una lingua documentata dal V sec. d.C. e tuttora parlata nella
Repubblica di Armenia. Territorialmente e linguisticamente prossimo al greco,
l’armeno si trova al confine con l’albanese, altra lingua isolata.
→ ci sono anche altri fattori linguistici che accomunano armeno alle lingue
baltiche, documentate anche esse solo dal Cinquecento, comprendono:
1) Il lituano
2) Il lèttone
3) Nonché l’antico persiano (estinto intorno al Settecento)

- L’Albanese: una lingua isolata che presenta due varietà


1) Il ghego (a nord)
2) Il tosco (a sud)
→ la lingua albanese è una lingua documentata in tempi decisamente recenti,
presente anche negli stati confinanti, presente anche in Italia dalle varie
comunità arbereshe diffuse tra Calabria, Sicilia, Molise, Puglia, Campania e
Lucania.

- Terminologia:
→ unità linguistiche intermedie: Cf. balto-slavo, indo-iranico
→ protolingue: Cf. proto-celtico, proto-germanico
(Ipotizzate convenzionalmente e in parte ricostruibili tramite la
comparazione.)

3.2.2. RAMI GRANDI E NUOVI


Sezione del percorso delle tre ramificazioni più maestose, a partire dalla fase unitaria
che precede la proliferazione delle sottofamiglie più diffuse e vitali nel panorama
delle lingue europee moderne.
- Lingue baltiche: per cui si postula una fase di relativa vicinanza e affinità con il
gruppo di lingue slave (←derivate dalle proto-slave e suddivise in slave
occidentali, slave orientali e slave meridionali)
- Lingue slave: ←derivate dalle proto-slave e suddivise in 3 sottogruppi
→ slave occidentali
Scritte in alfabeto latino, includono
1) Il polacco: segnato da un plurisecolare influsso del latino, il dominio
linguistico dello slavo è piuttosto omogeneo, con suddivisioni che
riflettono vicende storico-politiche più che motivazioni linguistiche
2) Il ceco
3) Lo slovacco
4) Il sòrabo (o serbo-lusaziano, in Germania nella regione di Lusazia)
→ slave orientali scritte in alfabeto cirillico, comprendono
1) Il russo
2) Il bielorusso
3) L’ucraìno
→ slave meridionali
Tra le quali sono scritte in alfabeto latino:
1) Lo sloveno (presente anche in Italia, nelle province di Gorizia e Trieste)
2) Il croato
Usano invece l’alfabeto cirillico:
1) Il serbo (la denominazione serbo-croato, in uso fino alla fine del secolo
scorso, accostava la varietà scarsamente differenziate tra loro e solo di
recente promosse al rango di lingue nazionali)
2) Il macedone: è un dialetto bulgaro
3) Il bulgaro: è la prima lingua di cui si ha testimonianze scritte: nel IX sec.
fu infatti redatta in antico bulgaro la prima traduzione slava della Bibbia e
della liturgia greca

- Le lingue germaniche: presentano un panorama assai più articolato. Si sono


progressivamente separate e distinte a partire da una fase comune, denominata
per convenzione proto-germanico, a cui si avvicinano le iscrizioni runiche 盧恩字

母 (dal III sec. d.C., in area scandinava) e vengono suddivise in 3 sotto gruppi
→ germaniche orientali
1) In realtà un ramo ‘secco’, poiché la più longeva di esse, parlata dai Goti di
Crimea, si è estinta intorno al 1600.
2) Il gotico del IV sec. d.C. (conservato nella traduzione della Bibbia curata
dal vescovo Wulfila), rappresenta un punto di riferimento fondamentale
per la ricostruzione e la comparazione linguistica
3) Altre lingue, come il burgundo e il vandalico, abbiamo tracce solo
nell’onomastica tramandata nei resoconti storici.
→ germaniche occidentali includono
1) L’inglese
2) Il tedesco, suddiviso in basso tedesco (parlato nel nord) e alto tedesco
(parlato nelle regioni montuose del sud, nonché in Austria, Svizzera e
Trentino Alto-Adige)
3) Il frisòne, nell’area costiera e insulare tra Olanda e Germania
4) Il neerlandese, che include olandese e fiammingo, lingua ufficiale in
Belgio
5) L’afrikaans, la lingua delle colonie boere giunte in Africa nel 1600,
tuttora parlata nella Repubblica del Sudafrica
6) Lo yiddish merita un accenno, la lingua degli ebrei ashkenaziti, un
dialetto alto tedesco con elementi lessicali e morfologici dell’ebreo: a
rischio di estinzione in Europa, è invece ancora attiva nelle comunità
emigrate negli USA.
→ germaniche settentrionali, globalmente anche dette lingue scandinave,
includono:
1) Lo svedese: parlato nella Finlandia meridionale
2) Il norvegese:
3) Il danese: un tempo esteso come lingua di superstrato in Norvegia e
Islanda, ha contribuito molto all’unità linguistica di Scandinavia.
4) L’islandese, lingua isolata per eccellenza, che conserva molti tratti
ereditati dal norreno (idioma della Scandinavia dell’era vichinga)
5) Il feroese: parlato in un’area un tempo occupata dai Norvegesi e ora
parlato in Danimarca, che è più evoluto dell’islandese.

- Le lingue romanze: o lingue neolatine, terzo gruppo linguistico in Europa.


 Un modello ideale per la ricostruzione e la comparazione, perché:
in primo luogo sono un raro esempio di un ramo di lingue genealogicamente
affini di cui si è conservato l’antecedente comune;
in secondo luogo il periodo intercorso tra la fase di unità latina e la comparsa
di idiomi indipendenti non è troppo lungo;
 Le lingue romanze si sono sviluppate e diffuse su un vasto territorio
tradizionalmente detto Romània, il confine tra le due aree linguistiche
seguendo una linea ideale che corre da Massa a Senigallia:
Romània orientale: dialetti italiani centro-meridionali + il rumeno
Romània occidentale: dialetti italiani settentrionali + tutte le altre romanze
(il sardo compreso)
 I sottogruppi sono:
→ lingue ibero-romanze:
1) Il portoghese
2) Il castigliano (spagnolo tout court)
3) Il gallego (lingua co-ufficiale nella regione nord-occidentale spagnola)
4) Il catalano (lingua co-ufficiale in Catalogna e nelle Baleari, parlata anche
nel Rossiglione in Francia e ad Alghero in Sardegna)
→ lingue gallo-romanze:
1) Il francese (la più importante, conosciuta come lingua ufficiale anche in
Belgio, Svizzera e Valle d’aosta)
2) L’occitano (una delle lingue letterarie medievali)
→ il provenzale: la più vitale nel sud della Francia, e in Piemonte
→ il franco-provenzale: in Valle d’Aosta
→ il guascone: propria della regione sud-occidentale della Francia
→ l’aranese: nella Valle d’Aran della Spagna
→ L’italo-romanzo:
1) l’italiano, lingua ufficiale in Italia e in Svizzera, e i suoi dialetti
2) il còrso, lingua parlata in Corsica, fortemente affine al toscano
→ Il reto-romanzo:
1) il romancio svizzero, parlato nel Cantone dei Grigioni e quarta lingua
ufficiale della Svizzera
2) il ladino, parlato nelle province di Belluno, Bolzano, Trento
3) il friulano, parlato in Friuli, eccetto la zona costiera
→ Il sardo: riconosciuto in Sardegna come lingua co-ufficiale con l’italiano.
Data le condizioni storiche e ambientali di isolamento, la lingua sarda si
caratterizza come la più conservativa delle lingue neolatine, suddivisa in tre
varietà dialettali:
1) il campidanese: a sud
2) il logudorese: al centro
3) il gallurese: a nord
→ Il rumeno: la più orientale tra tutte le lingue romanze, ha statuto di lingua
ufficiale in Romania e in Moldavia, propaggini dialettali diffuse nella
penisola balcanica, fino all’Albania e alla Grecia.
1) il daco-rumeno (Romania e Moldavia)
2) il macedo-rumeno / arumeno (Balcani)
3) il megleno-rumeno (Grecia e intorno a Salonicco)
4) l’istro-rumeno (in Istria)

- Lingue romanes / romanì: come detto prima, le lingue parlate dai zingari
appartengono alle lingue indoeuropee e derivano dal ramo indoario. Dopo il
mille, gli antenati degli attuali rom, sinti e kalé cominciano a spostarsi dall’India
settentrionale e, seguono lunghi itinerari che arricchiscono le loro parlate di
prestiti, si spargono in tutta l’Europa.

- La storia dell’ungherese: inizia nel IX sec., quando gli Ungari 马扎尔人 invasero
Pannonia, incuneandosi tra gli slavi meridionali e occidentali. Una volta
cristianizzati, rafforzarono la loro organizzazione statale con ampie conquiste,
consolidando la loro tradizione culturale e linguistica: le prime testimonianze
dell’antico ungherese risalgono al 1200. La lingua si sviluppa accogliendo prestiti
dal latino (da sempre lingua di grande cultura), dalle lingue slave e dal turco. La
transizione all’ungherese moderno (magyar), iniziata nel Quattrocento, è
influenzata prima dalla lunga dominazione turca (fino al Settecento), e poi
dall’annessione dell’Ungheria all’Impero austriaco, che determina rilevante
impronta del tedesco nella formazione del lessico intellettuale.

- Il finlandese affiora nel periodo della Riforma con una serie di testi religiosi.
Fino all’Ottocento la lingua intreccia rapporti di bilinguismo e diglossia con lo
svedese, ma quando la Finlandia passa sotto l’Impero russo, il nazionalismo
romantico innesca il risveglio della tradizione finnica, che culmina con la
creazione dell’epopea nazionale, il Kalevala (lett. Terra di Kaleva). → L’opera,
pubblicata da Lonnrot nel 1849, promuove una koiné letteraria in cui il finlandese
converge con i dialetti orientali, e soprattutto il careliano.

- L’estone: Da sempre contesa per la sua posizione strategica sul Baltico, l’Estonia
conosce una lunga dominazione economica e culturale da parte della borghesia
mercantile tedesca. Come per il finlandese, anche per l’estone la prima
documentazione è legata al periodo della Riforma, mentre per l’unità linguistica
bisogna attendere l’Ottocento, con la norma fissata dal poema nazionale, il
Kalevipoeg (lett. Il figlio di Kàleva).

- Le lingue sami: appartengono anche loro alla famiglia uralica, frammentate e in


parte prossime all’estinzione, sono parlate presso piccole comunità diffuse nei
territori settentrionali di Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia.

- Il basco, o euskara, una lingua isolata per eccellenza, un ramo senza l’albero.
Il basco che, racchiuso nel dominio della Romània occidentale, fra Francia e
Spagna, è riuscito a conservare la propria individualità, resistendo anche ad ogni
tentativo di affiliazione genetica. Il popolo dei baschi, che i romani menzionano
come gens vasconum, fu cristianizzato relativamente tardi e resistette sia
all’invasione dei Visigoti che alla conquista araba, costituendo il regno di Navarra
che fu annesso alla Spagna solo nel Cinquecento. In quest’epoca inizia anche la
documentazione scritta del basco, le cui complesse strutture morfologiche di tipo
agglutinante hanno alimentato varie ipotesi di apparentamento, soprattutto con le
lingue del Caucaso.
- Gli apporti e influssi di altre lingue in Europa:
per es. l’arabo, lingua di grande cultura, che si intreccia infatti con le lingue
dell’occidente in una linea di continuità che va dai numerosi prestiti di epoca
medievale fino alla presenza attuale nel maltese in cui si mescola con il siciliano,
l’italiano, e l’inglese.
Parimenti l’ebraico, che dal I sec. d.C. segue gli ebrei della diaspora come lingua
della religione (come lingua parlata è in disuso già da 2000 anni fa, sostituita
dall’armanico), è variamente diffuso nella cultura europea.
E il turco, afferente al ramo turcico delle lingue altaiche, accompagna
l’espansione dell’Impero ottomano (dal 1299 fino al 1922), lasciando importanti
tracce nel lessico di molte lingue (soprattutto slave) con cui viene in contatto;
comunità turcofone sono ancora presenti in Montenegro, Macedonia e Grecia.

4. IL MUTAMENTO FONOLOGICO
 La ricerca ottocentesca è l’indagine sui cambiamenti di suono che definiscono
caratteri specifici delle lingue figlie nel graduale allontanamento dalla lingua
madre.
→ il compendium di Schleicher – il primo ambizioso trattato della fonologia
comparata
→ i neogrammatici promuovono lo sviluppo delle conoscenze in questo ambito,
grazie all’individuazione di procedure di confronto rigorosamente codificate dalle
cosiddette ‘leggi’ fonetiche.
 Second i neogrammatici, il cambiamento dei suoni può avvenire in due modi
principali:
→ mutamento sistematico: che modifica con regolarità un dato tipo di
articolazione e a sua volta, può avvenire in due modi:
→ mutamento non condizionato: cioè in condizioni indipendenti dal contesto
→ mutamento condizionato: cioè in condizioni che sono influenzate dal
contesto, ad es., dai fonemi vicini, o dall’accento della parola.
→ mutamento non sistematico (sporadico): che si verifica occasionalmente nelle
singole parole, o in una serie limitata di vocaboli
4.1.1. IL MUTAMENTO SISTEMATICO NON CONDIZIONATO
 L’individuazione di corrispondenze sistematiche
→ fondamento scientifico di comparazione e ricostruzione;
 Proto-indoeuropeo: PIE, ipotesi sulla lingua originaria

 Caso 1. Situazione ideale


lat. mater
gr. meter
sscr. matar
PIE *mater
→ in questo caso si rivelano paralleli evidenti nella forma e nel significato dei
termini
→ le somiglianze non solo depongono a favore della parentela tra le lingue, ma
facilitano anche le ipotesi sulla lingua originaria, PIE.
→ Aitchison, ‘Quando svariati indizi puntano tutti nella medesima direzione, un
linguista può essere più sicuro che la ricostruzione operata è plausibile.’

 Caso 2. Situazione non così lineare


lat. pedis
gr. podos
got. fotus
PIE ???
→ spesso l’inserimento delle forme di lingue germaniche ti complica la vita,
specie per ciò che concerne le consonanti, come ad. es. il gotico, che è la lingua di
più antica attestazione nella sottofamiglia.

 Caso 3. Cambiamenti regolari nelle consonanti del germanico


a. lat. dent- duo decem
ing. tooth two ten
b. gr. hydor kardia
ing. water heart
c. sscr. yugam bhid- rudhira
ing. yoke 牛轭 bite red
→ questo cambiamento riguardo non solo le labiali, le dentali e le velari, ma
anche le occlusive sorde (a), le occlusive sonore (b) e le occlusive sonore aspirate
(c)
→ il punto è che le consonanti nelle germaniche sono regolarmente diverse da
quelle delle altre lingue, caratterizzate da un mutamento non condizionato.

4.1.1.1. LA PRIMA MUTAZIONE CONSONANTICA DEL GERMANICO, LEGGE


DI RASK-GRIMM
- La legge di Grimm: codifica la complessa serie di mutamenti che nell’arco
del I sec. a.C. causano una profonda ristrutturazione del sistema delle
occlusive nel PGerm: (mutazione consonantica del germanico)
1) PIE occlusive sonore aspirate > PGerm occlusive sonore
PIE */bh/, */dh/, */gh/ > PGerm */b/, */d/, */g/
sscr. garbhah ‘grembo’ > ted. kalb ‘vitello’
sscr. madhya ‘medio’ > ing. middle
sscr. stighnoti ‘camminare’ > ted. steigen
→ le occlusive sonore aspirate nella PIE sono occlusive articolate con
un’emissione d’aria al momento del rilascio, con la conseguente
sensazione uditiva di un soffio alla fine del suono (conservata ancora in
sscr.). In PGerm esse perdono questo tratto distintivo dell’aspirazione,
trasformandosi nelle occlusive sonore semplici.
2) PIE occlusive sonore > PGerm occlusive sorde
PIE */b/, */d/, */g/ > PGerm */p/, */t/, */k/
lat. dubus > ing. deep
lat. edo > ing. eat
lat. ager > ing. acker ‘campo’
→ nell’evoluzione della PGerm, si ipotizza che le occlusive sonore
ereditate dalla PIE (conservate nel latino e nel lituano) perdono il tratto
distintivo di sonorità, trasformandosi nelle corrispondenti occlusive sorde.
3) PIE occlusive sorde > PGerm fricative sorde
PIE */p/, */t/, */k/ > PGerm */f/, */θ/, */x/ (fricativa velare)
(*pet-na >) lat. penna > ing. feather
lat. tenuis > ing. thin
gr. kyon > ted. hund ‘cane’
→ le occlusive sorde originarie nella mutazione consonantica del
germanico perdono il tratto distintivo dell’occlusività, trasformandosi
nelle corrispondenti fricative, cioè fonemi non più momentanei ma
continui.

4.1.2. MUTAMENTO SISTEMATICO CONDIZIONATO


- Concezione dei Neogrammatici: per loro il mutamento fonetico è in linea di
principio, un processo meccanico assolutamente regolare e le leggi che lo
codificano operano senza eccezioni. Ma…

4.1.2.1. LE OSSERVAZIONI LOTTNER


- Background: alcuni casi problematici segnalati da Grimm presentavano il
mantenimento delle occlusive sorde originarie in luogo dell’attesa
trasformazione nelle fricative sorde
- Nel 1863, Lottner è giunto alla conclusione speculativa che:
le occlusive sorde del PIE si conservano immutate in PGerm qualora esse
siano precedute da una fricativa primaria o secondaria
a lat. piscis got fisks
b gr. aster ing. star
a lat. nox, noctis ted. nacht
b lat. captus got hafts
→ quindi le forme aberranti analizzate da Lottner presentano un “mancato
cambiamento”, in cui il contesto impedisce la trasformazione di una sequenza
di due fricative.
→ da un lato, limita l’applicazione della legge di Grimm
→ dall’altro lato, dimostra che le ‘eccezioni’ sono solo apparenti, in quanto a
loro volta vincolate da un altro principio di regolarità.
4.1.2.2. La legge di Verner
lat. pater
gr. pater
sscr pitar
.
got. fadar
→ in gotico, il fonema centrale della parola per ‘padre’, non mostra la
fricativa /θ/, bensì l’occlusiva /d/
- Nello specifico: per la “mancata trasformazione di fricative”, le consonanti
sorde
→ se non precedute immediatamente dall’accento, erano pronunciate con
meno energia
→ e se erano anche tra vocali, diventavano sonore per un processo di
assimilazione bidirezionale
→ quindi dà importanza a due fattori contestuali rilevanti: l’influsso
dell’accento (l’ambito pretonico) e quello delle vocali adiacenti (l’ambito
sonoro).
→ in sintesi, in PGerm, l’ambito sonoro e pretonico innesca la
sonorizzazione delle consonanti sorde. (p.s. nella spiegazione di Verner,
questo processo investe tutte le fricative sorde, sia quelle secondarie che
quelle primarie)
- Rotacismo:
ted. ziehen (pres.) / gezogen (part. pass.) ‘tirare’
ing. was / were (part. pass.)
→ fenomeni leggibili nelle alternanze di paradigmi dei cosiddetti verbi
‘irregolari’
→ questi esempi si spiegano come relitti dell’antica alternanza di accento che
ne prevedeva lo spostamento sull’ultima sillaba nelle forme del passato. In b.
la trafila /s/ >/z/ > /r/ è un fenomeno detto rotacismo.
4.1.3. IL MUTAMENTO NON SISTEMATICO
- Il concetto di mutamento sporadico fa riferimento a cambiamenti occasionali
e scarsamente diffusi nel lessico, spesso indotti da processi attivi sia in
diacronia che in sincronia (ad es. nei processi di formazione di parola). I più
importanti riguardano la tendenza degli elementi fonici (contigui o distanti) a
diversificare o, al contrario, ad avvicinare i loro coefficienti articolatori.
- Dissimilazione 语音异化: la diversificazione fra due suoni simili o uguali, di
solito non contigui
a. lat. peregrinus > it. pellegrino, fr. pélerin
b. ing. turtle > ant.fr. turtre
c. lat. natare > lat.volg. notare > it. nuotare
- Assimilazione 语音同化: i suoni adiacenti tendono ad acquisire, in tutto o in
parte, tratti articolatori comuni
1) assimilazione progressiva/perseverativa 顺行同化
l’elemento che precede influenza quello che segue
a. lat. mundus > nap. múnnǝ
b. ing. want to > wanna
2) assimilazione regressiva/anticipatoria 逆行同化
l’elemento che segue influenza quello che precede
a. lat. scripsi > it. scrissi
b. lat. octo > it. otto
3) assimilazione bidirezionale
in cui il cambiamento è indotto dall’influsso di due elementi adiacenti
→ lenizione: si tratta di vocali che provocano acquisizione di sonorità e/o
perdità di occlusività
a. lat. lupus, toto, locus > spag. lobo, todo, luego
b. lat. ripa > it. riva
→ /p/, /t/, /k/ > /β/, /ð/, /ɣ/
4) assimilazione parziale o totale: parziale come nel caso della
‘palatalizzazione’ per cui una consonante anticipa il punto di articolazione
della (semi)vocale palatale anteriore che segue, cambiando anche il modo di
articolazione.
a. lat. centum [‘kentum] > it. cento [‘tʃɛnto]
b. ted. kinn, ing. chin ‘mento’
5) dilazione: un processo assimilatorio che interessa elementi fonici a distanza
→ metafonia: un caso particolare che caratterizza la formazione di certi
plurali nelle lingue germaniche, per cui una vocale all’interno di parola si
modifica per effetto di una vocale finale
6) aplologia: è la perdita di una sillaba interna identica o simile ad una
adiacente
a. lat. *nutrī-trīx > nutrīx
b. ing. *gentle-ly > gently
7) sincope: è la perdita di elemento vocale spesso atone all’interno della parola
a. ant.ing hlāford > med.ing, lord
b. lat. calidus > it. caldo
8) aferesi: è la perdita di vocali o sillabe in posizione iniziale di parola
a. ing. escape + goat > scapegoat ‘capro espiatorio’
b. lat. instrumentum > it. strumento
9) apocope: è la perdita di elementi, anche sillabe, in posizione finale di parola
a. it. poco > po’
b. ant.ing. singan > ing. sing
10) epentesi: è l’introduzione di un elemento consonantico non etimologico
all’interno di parola
a. lat. pono > it. pongo
b. ing. Thom-son > Thompson
11) anaptissi: è l’introduzione di un elemento vocalico non etimologico
all’interno di parola
12) pròstesi: è l’aggiunta di elemento fonici non etimologici all’inizio di parola.
In certe lingue romanze è sistematica nei gruppi consonantici con /s/
iniziale.
a. lat. spatha, schola > sp. espada, escuela; fr. épée, école
b. lat. laurum > it. alloro
13) epìtesi: è l’aggiunta di elementi fonici non etimologici alla fine di una
parola.
a. lat. esse > it. essere
b. lat. iam diu > fr. jadis ‘anticamente’
14) metàtesi: è lo scambio nell’ordine di successione di due suoni distanti o
contigui
a. lat. parabola > spag. palabra
b. ant.ing. frist > ing. first
- I processi di tipo non fonetico → che possono ‘interferire’ nel mutamento
fonologico, sono legati a fenomeni come:
1) Il prestito
2) L’analogia (13)
→ questi sono i due fattori che i Neogrammatici invocano per spiegare talune
eccezioni al regolare funzionamento delle ‘leggi fonetiche’.
3) L’onomatopea può produrre deviazioni rispetto agli esiti previsti, come nel
caso di:
ant.ing. pipen ‘pigolare’ > ing. peep [pi:p], mentre l’atteso e regolare pipe
[paip] ha altri significati
4) La tabuizzazione linguistica può produrre effetti inattesi nelle distorsioni
eufemistiche di termini scurrili o imprecazioni (consistono nell’augurare un
male), come
it. madosca, cribbio
ing. darn, darned, durn, durned in luogo di damn, damned
freaking, flipping, fudging in luogo di fucking
o anteposizione di [f] ad altra parola generando un ‘blend’: fugly = fucking
+ ugly, floser = fucking + loser

4.2. GLI EFFETTI E LE CAUSE DEL MUTAMENTO FONOLOGICO


- Ricapitolando i paragrafi precedenti: ovvero i cambiamenti sistematici
che interessano il sistema consonantico delle lingue germaniche.
1. ‘Legge di Grimm’
I processi codificati da questa legge descrivono un cambiamento non
condizionato dal contesto;
2. ‘Legge di Verner’
I processi codificati da questa legge descrivono un cambiamento
condizionato dal contesto che, nello specifico, dipende dall’accento della
parola e riflette l’assimilazione bidirezionale esercitata dai fonemi
vocalici adiacenti alla consonante in questione.

4.2.1. IL GREAT VOWEL SHIFT


- Dobbiamo al linguista danese Otto Jespersen la prima descrizione
dettagliata del Great Vowel Shift, che interessa l’inglese a partire dagli inizi
del Quattrocento fino al Settecento.
- Si tratta di una complessa serie di mutamenti a catena che, nel passaggio
dal medio inglese all’inglese moderno.
- Trasforma completamente l’inventario delle vocali lunghe.
- medio inglese
→ Il sistema delle vocali brevi toniche – stabile, semplice, articolato su tre
gradi soli di apertura
i u
ɛ ɔ
a
→ Il sistema delle vocali lunghe – più complesso, articolato su quattro
gradi di apertura
i: u:
e: o:
ɛ: ɔ:
a:
- La tendenza a distribuire le toniche lunghe in sillaba aperta (cioè di tipo
CV) e le toniche brevi in sillaba chiusa (CVC) → garantiva il
funzionamento dell’opposizione fondata sulla lunghezza. Con la sola
eccezione delle vocali brevi alte /i/ e /u/, che potevano occorrere non solo
in sillaba chiusa (fil-len ‘riempire’ e put-ten ‘mettere’), ma anche in sillaba
aperta (dri-ven, lu-ved ‘amato’)
- Forse proprio per evitare i fenomeni di omofonia dovuti alla confusione tra
vocali alte in sillaba aperta,
→ le due vocali alte lunghe /i:/ e /u:/ furono presto trasformate in
dittonghi,
→ mentre le altre vocali vedono un progressivo innalzamento.
→ il riassetto finali delle vocali lunghe dell’inglese:
i: >aɪ aʊ< u:
↖ ↗
e: o:
↖ ↗
ɛ: ɔ:

a:
→ esempi di passaggio intermedio più specifico, i cambiamenti nella
pronuncia delle vocali:
medio.ing. ing.moderno
time /i:/ /aɪ/
meet /e:/ /i:/
meat /ɛ:/ > /e:/ > /i:/
name /a:/ > /æ:/ > /ɛ:/ > /eɪ/
home /ɔ:/ /o:/ > /oʊ/ > /ǝʊ/
food /o:/ /u:/
house /u:/ /aʊ/
→ a questo punto sarà evidente il motivo per cui nella lingua inglese ci
sono così forti incongruenze tra pronuncia e scrittura: mentre nella
prima si evolve costantemente per un lungo arco di tempo, la seconda
rimane legata alle consuetudini ortografiche fissate nel tardo Quattrocento,
finendo quindi per rendere quasi imprevedibile la corrispondenza tra
grafemi e fonemi.
4.2.2. IL SISTEMA VOCALICO DELL’ITALIANO
- La tradizione latina considera un inventario di 10 fonemi in cui
l’opposizione tra vocali brevi e lunghe (ĭ/ī, ĕ/ē, ă/ā, ŏ/ō, ŭ/ū) aveva valore
fonologico, ovvero serve a distinguere significati (fŭgit ‘fugge’, fūgit
‘fuggì’; rosă nom. vs. rosā abl.)
- Nell’evoluzione del latino,
quando le vocali si trovano nelle posizioni atone, l’opposizione fondata
sulla lunghezza tende a neutralizzarsi, cosicché il sistema si riduce
gradualmente fino ad arrivare alla serie di cinque vocali (atone) che ci
sono familiari:

Quando le vocali si trovano in posizione tonica, l’evoluzione segue un


percorso più articolato, che vede il mantenimento di alcuni fonemi, la

collisione di certi, lo sdoppiamento di altri. Il risultato è il sistema


eptavocalico dell’italiano standard.

+ gli esiti finali di ĕ e ŏ in italiano risultano ulteriormente complicati


dal fatto che le vocali ɛ e ɔ quando si trovano in sillabe aperte si
evolvono in dittonghi jɛ e wɔ.
→ Esiti romanzi del vocalismo tonico latino:
1) TIPO ARCAICO: presente in Sardegna, e parte della Lucania
2) TIPO A ADSTRATO GRECO: presente in Sicilia, Calabria e parte
della Puglia
3) TIPO ITALICO: presente nel resto della Romània, e mutatis
mutandis accomuna l’italiano, lo spagnolo, il francese e il
portoghese.

4.2.3. LA RISTRUTTURAZIONE DEI SISTEMI FONOLOGICI


- Ristrutturazioni importanti come quelle che abbiamo visto possono
produrre effetti considerevoli sul sistema fonologico di una lingua perché
modificano l’inventario dei fonemi, la loro distribuzione e le loro
correlazioni. In casi simili si attivano processi di vario tipo, che possono
dare luogo a creazioni di nuovi fonemi, istituzione di nuove opposizioni, o
perdita di fonemi.
- Tre principali dinamiche di mutamento.
1. Fonologizzazione
2. Rifonologizzazione
3. Defonologizzazione
- Fonologizzazione: è il processo per cui un elemento fonetico assume
valore fonologico.
→ Tradizionalmente il concetto fa riferimento alla trasformazione di
allofoni in fonemi, quando vengono meno i contesti che determinano la
realizzazione delle varianti.
Ad es. Nel ant.ing. il fonema /f/ prevedeva gli allofoni [f], [v]. Quindi sing.
wulf [wulf], plur. wulfas [‘wulvas] con la variante sonora realizzata in
contesto sonoro.
→ Quando la perdita delle vocali finali ha annullato il contesto
sonoro che condiziona la variazione, la fricativa sonora [v] ha
cominciato ad assumere statuto fonematico nel contrasto /f/ ≠ /v/
→ Per questo motivo la relazione tra gift e give risulta attualmente
opaca; e sono ormai sincronicamente immotivate le alternanze wolf,
wolves.
→ La fonologizzazione può riguardare anche l’evoluzione di tratti
prosodici, come l’accento che in italiano assume valore distintivo (cf.
àncora vs. ancòra) in seguito alla perdita delle opposizioni fondate sulla
lunghezza vocalica che, in latino condizionava automaticamente la
posizione dell’accento.

- Rifonologizzazione: è il processo per cui un elemento fonologico muta le


relazioni oppositive con gli altri elementi del sistema.
→ Dopo la mutazione consonantica del germanico, le opposizioni
istanziate dai fonemi consonantici originari non si perdono, ma dal
momento che il sistema è cambiato, vengono affidate a correlazioni diverse
di tratti distintivi. Così:
PIE: occlusive sonore aspirate / occlusive sonore / occlusive sorde
PGerm: occlusive sonore / occlusive sorde / fricative sorde

- Defonologizzazione: è il processo per cui un elemento del sistema perde


valore fonologico. Il caso canonico è quello in cui un fonema si trasforma
in una variante allofonica.
→ ES. l’opposizione fondante del sistema vocalico del latino era basata
sulla quantità, ma in italiano questo tratto è regolato meccanicamente dalla
struttura della sillaba: le vocali lunghe si trovano sempre nelle sillabe
aperte e brevi in quelle chiuse. Quindi la lunghezza vocalica ha perso
valore distintivo e si realizza solo come variante combinatoria, cioè
dipendente dal contesto.
→ anche la defonologizzazione implica una modifica nell’inventario dei
fonemi che, nel caso di fonologizzazione si accresce, nel caso di
defonologizzazione si riduce. Più precisamente si può avere perdita
completa di fonemi, oppure fusione completa di fonemi.
→ tuttavia è possibile anche la perdita parziale di fonemi, oppure la
fusione parziale di fonemi. In questi casi il numero di fonemi non cambia,
ma si modifica la loro distribuzione, mentre con la Rifonologizzazione si
modifica il sistema delle loro correlazioni.
→ la fusione di due o più fonemi è detta coalescenza (ad es. lat. filius > it.
figlio; monottongazione di lat. aurum > oro), il suo opposto, chiamato
scissione, rompe la continuità del movimento articolatorio nella produzione
di un segmento (ad es. dittongazione di lat. bonum > buono)

4.2.4. IL MUTAMENTO A CATENA


- Quando all’interno di un sistema fonologico si verifica una serie di
spostamenti correlati, si parla di mutamento a catena.
→ l’assunto di base è che l’inventario dei fonemi di una lingua tende a
costruire strutture bilanciate, per cui un eventuale dissimmetria prodotta in
una parte del sistema viene riequilibrata attraverso un opportuno riassetto.
→ il mutamento a catena si può verificare in due tipi di reazioni a catena:
1) Catena di propulsione:
se si suppone che il mutamento sequenziale sia dovuta alla pressione
esercitata dallo spostamento di un suono, si parla di catena di
propulsione.
→ che si motiva con l’esigenza di mantenere adeguata distanza e
riconoscibilità tra i fonemi.
2) Catena di trazione:
riassetto innescato da una ‘casella vuota’ che attrae un segmento attiguo
nel sistema.
- Es. Mutazione consonantica del germanico, leggibile:
→ sia in termini di catena di propulsione: innescata dalla deaspirazione
delle occlusive sonore aspirate
/bh/ → /b/ → /p/ → /f/
→ che in termini di catena di trazione, innescata dal passaggio delle
occlusive sorde a fricative.
/p/→/f/, /b/→ /p/, /bh/→ /b/
- Es. the great vowel shift, anche essi rappresentabili:
→ sia in termini di propulsione, che sviluppa la pressione esercitata
dall’innalzamento delle vocali medio base
→ che come trazione, che colma il vuoto lasciato dalla dittongazione
delle vocali alte.

4.3. LA CRONOLOGIA DEL MOVIMENTO


4.3.1. L’USO DELLE FONTI SCRITTE
- Materiali epigrafici, riflessioni dei grammatici, indagini filologiche e
fonti storiche sono strumenti ‘utili’ e spesso complementari, per
precisare la comparsa e l’estensione dei fenomeni.
→ Così può capitare che un grammatico come Varrone ci offra indizi su un
mutamento del latino: in mutis verbis, in quo antiqui dicebant s, postea
dicunt r, “in molte parola in cui gli antichi pronunciavano s, in seguito
dicono r” → ma è poi il dato storico che aiuta a definire una datazione
plausibile: sappiamo infatti che P. Crasso, dittatore nel 339 a.C. è il primo
della sua gens ad abbandonare il nome Papisius, quindi l’accoglimento del
cosiddetto ‘rotacismo’ nel registro formale si può collocare verso la metà
del IV sec.
- Al riguardo va precisato che la prima documentazione scritta di un
cambiamento linguistico non coincide necessariamente con l’esordio del
fenomeno, perché in genere la norma grafica si adegua con lentezza alle
innovazioni che la lingua parlata ha già accolto in precedenza.
“il mutamento, finché in atto che si configura come una deviazione
dalla norma standard, solo eccezionalmente viene registrato dalla
scrittura” e in certi casi l’uso scritto non registra neanche i
cambiamenti avvenuti.
→ Questo è il motivo per cui molti degli alfabeti moderni rivelano carenze
più o meno evidenti nei rapporti tra grafemi e fonemi:
→ ES. per tornare all’italiano, la ben nota ambiguità del grafema <c> che
indica:
1) sia l’occlusiva velare di cane
2) sia l’affricata alveo-palatale di cena
→ è dovuta alla ‘mancata registrazione’ dei fenomeni di assimilazione
che hanno portato alla palatalizzazione delle consonanti velari
→ ES. anche la vicenda del Great vowel shift è istruttiva: il riassetto del
sistema vocalico dell’inglese si è protratto per circa tre secoli, ma la
tendenza a conservare le consuetudini ortografiche fissate con la diffusione
della stampa ha impedito l’adeguamento della grafia alla pronuncia,
generando vistose in coerenze.

4.3.2. IL METODO COMPARATIVO: LE NORME AREALI DI BARTOLI


- Gli studi di Matteo Giulio Bartoli sulla geografia linguistica
1. Norma dell’area isolata
Di solito le aree meno esposte alle comunicazioni conservano la norma
linguistica anteriore.
→ così per l’Islanda, la cui lingua conserva parecchio tratti ereditati dal
norreno
→ un discorso analogo vale per il sardo che mantiene le velari
ereditate dal latino anche dinanzi a palatale:
sd. cena [‘ke:na] > lat. cena [‘ke:na] ma it. [tʃe:na]
sd. pilu > lat. pĭlum ma it. Pelo

2. Norma delle aree laterali


Di solito le aree laterali conservono forme più antiche rispetto all’area
centrale (a meno che questa non sia più isolata)
→ considerando la Romània, ciò è spesso vero per lo spagnolo e il
rumeno (rispetto all’italiano che ha conservato le forme relativamente
più recenti), aree laterali dell’Impero Romano.
lat. circus (forma più antica) > sp. cerco, rum. cerc
lat. circulus (forma più recente) > it. cerchio

3. Norma dell’area maggiore


Di solito conserva forme più antiche rispetto all’area minore (a meno
che questa non sia più isolata, o laterale)
lat. et (forma più antica) > fr. et, it. e
lat. sic (forma più recente) > rum. Şic

→ Confrontando gli es. di 2. e 3., la situazione è resa complessa dal


possibile conflitto fra le norme: l’antica Dacia, in cui oggi si parla il
rumeno, era area seriore, ma anche area minore dell’Impero Romano,
quindi in parte conserva e in parte innova rispetto al patrimonio
linguistico ereditato dal latino.
→ Del resto, le norme sono frutto di considerazioni sulla frequenza dei
fatti, e quindi riflettono tendenze e probabilità: non sono le ‘leggi’ rigide
dei Neogrammatici, con cui Bartoli è in aperta polemica.
4. Norma dell’area seriore
Di solito le zone in cui la lingua dei ‘colonizzatori’ è arrivata più tardi,
conservano le forme più antiche
ing.amer. car [kɑr], part [pɑrt]
ing.brit. car [kɑ:], part [pɑ:t] con la perdita di /r/ in coda di sillaba

4.3.3. LA RICOSTRUZIONE INTERNA: L’ORDINE DEI FENOMENI


- I rapporti di implicazione all’interno di una stessa lingua, considerato
l’ordine tra due mutamenti A e B, nei seguenti esempi si osserverà che B
presuppone A e che B può aver esercitato su di esso effetti in incremento
(feeding order) o effetti di riduzione (bleeding order).
1. B alimenta A, se B crea o allarga il campo di applicazione di A
→ A: L’aggiunta della vocale finale alla forma del nominativo
lat. /-C#/ mĕl, mellis > lat.volg. /-CV#/ mele
B: La dittongazione della vocale in sillaba aperta
lat. /-ɛ/ mele > it. /-jɛ/ miele
→ l’aggiunta della vocale finale alla forma del nominativo (A) precede
la dittongazione della vocale in sillaba aperta (B), e (A) amplia il campo
di applicazione di (B) a nuovi contesti → cf. lat. fĕl, fellis > fele > it.
fiele e anche lat. cǒr, cordis > core > it. cuore
2. B riduce A, se B annulla o limita il campo di applicazione di A
→ A: la palatalizzazione della velare /k/ seguita dalla vocale /a/
lat. cantare /ka-/ > fr. chanter /ʃa-/
B: monottongazione del dittongo /aw/
lat. causa /kaw/ > fr. chose /ʃo/
→ l’esempio riguarda lo sviluppo del francese (A) è antecedente a (B) e
(A) riduce di seguito i contesti di applicazione di (B)
3. Rotacismo
Si è visto che il latino conosce il mutamente /-s-/ > /-r-/ in posizione
intervocalica. Ma il rotacismo è inibito in vari casi, tra cui
1) I prestiti da altre lingue (cf. asinus, casa, rosa, etc);
2) La dissimilazione con /r/ già presente in attacco di sillaba successiva
(cf. Caesar, Caesaris, o miser, misera, miserum, etc.);
3) La presenza di /-s-/ di origine secondaria.
Questa mutazione si sviluppa, dopo dittongo o vocale lunga, per
semplificazione di una geminata originaria o derivata da assimilazione
di nessi con dentali.
Il fatto che il sostantivo causa non sia diventato *caura fa supporre che
il rotacismo abbia cessato la sua azione prima della degeminazione di
/-ss-/.
Il fenomeno in questione è in realtà assai più complicato, perché risulta
inibito da e intrecciato a fattori morfologici, come si può vedere nelle
alternanze del tipo es-t ‘egli è’ / er-at ‘egli era’ / es-se ‘essere’. In ogni
caso, la forma esse permette di applicare efficacemente il metodo della
ricostruzione interna, e di ritrovare la desinenza originaria *-se in tutti
gli infiniti attivi del latino: non solo amāre (> *amā-se), ma anche velle
‘volere’ (> *vel-se), ferre ‘portare’ (> *fer-se), etc.

4.4. LA GRADUALITÀ DEL MUTAMENTO FONOLOGICO


Il confronto tra un abito con crinolina e una minigonna suggerisce l’impressione di
una trasformazione radicale e sistematica nel vestire femminile. Ma prima che
l’innovazione fosse accettata, è stata necessaria la progressiva riduzione di strutture
e lunghezze, e una fase intermedia in cui le nuove tendenze hanno coesistito con le
vecchie forme (che ancora riemergono in contesti particolarmente formali, come i
matrimoni!). E poi, come spesso accade, la novità può avere una diffusione limitata
nel suo tempo e nello spazio, oppure stabilizzarsi in un sistema che accetta e
normalizza la variazione: nella lunghezza delle gonne come nelle scelte
linguistiche.
I prossimi paragrafi mostrano le coordinate su cui si manifesta la diffusione di vari
mutamenti: il piano articolatorio, grafico, sociale e infine il lessico.

4.4.1. LA GRADUALITÀ A LIVELLO ARTICOLATORIO


- Un mutamento del tipo A > B, come il mutamento tipico dal latino al
castigliano:
lat. folia, filius, făbulari > sp. hoja, hijo, hablar
→ la sua schematizzazione potrebbe essere: lat. f- > sp. h-. Tale schema
descrive fenomeni puramente grafici, se da un lato sembra che l’ortografia
dello spagnolo conservi traccia di una fricativa glottale sorda [h], dall’altro è
vero che la pronuncia attuale prevede [‘ɔxa], [‘ixo], [a’βlar].
→ quanto alla fricativa del latino, la scrittura non rende conto del punto di
articolazione, che in territorio iberico poteva essere labiodentale, cioè [f], ma
anche bilabiale, cioè [ɸ].
→ è plausibile supporre una fase in cui [f] in posizione iniziale si realizza con
tre allofoni, distribuiti in rapporto al tipo di vocale seguente:
1) [h] davanti alle posteriori /o/, /u/
2) [hɸ] davanti alla semivocale /w/
3) [ɸ] in tutti gli altri contesti.
→ quindi la generalizzazione del primo allofono, e il successivo passaggio /h/
> /Ø/ avvengono in modo graduale non solo nel tempo, ma anche sul piano
delle opzioni articolatorie.

4.4.1.1. PALATALIZZAZIONE SLAVE E ROMANZE


- Palatalizzazione: raggruppa una serie di processi accomunati
dall’assimilazione di consonanti attigue a segmenti vocalici anteriori: come
nel lat. cena [‘ke:na] > it. cena [‘tʃe:na]. L’assimilazione è in genere
anticipatoria (o anche regressiva) e all’inizio risulta governata:
1) da una serie di restrizioni: restrizioni che interessano le consonanti velari
o dentali, di rado le labiali
2) da una gerarchia di contesti, l’adiacenza con la vocale /æ/.
In prima istanza si tratta di processi di variazione articolatoria, che tendono
ad assumere rilevanza fonologica in seguito al dileguo del contesto, cioè per
fonologizzazione.
- Polarizzazione: questa tendenza segnala la crescente rilevanza fonologica
con l’aumento della specificità fonetica: in altre parole, i segmenti
palatalizzati si spostano verso il punto di articolazione palatale.
- Assibilizzazione: per cui l’articolazione del suono affricato si scinde in un
nesso consonantico (/d/ + /ʒ/ che in genere, si semplifica con la perdita
dell’elemento occlusivo).
- Palatalizzazione nelle lingue slave:
il fenomeno è ben noto nelle lingue slave, dove registrano diverse serie di
palatalizzazioni.
- Palatalizzazione nelle lingue romanze:
tradizionalmente nell’evoluzione delle velari /k/ e /g/ ereditate dal latino si
distinguono in due fasi:
1) La prima, è comune a tutto il dominio romanzo (a parte il sardo) e vede la
nascita delle affricate alveo-palatali /ʧ/, /ʤ/.
2) La seconda fase interessa solo il dominio occidentale e vede lo
spostamento /ʧ/ → /ʦ/, che in seguito al processo di assibilazione evolve
in fricativa interdentale /θ/ nello spagnolo.
Così al lat. caelum [‘kaelum] corrispondono it. cielo [‘ʧɛ:lo] e rum. cer [ʧɛr],
ma fr. ciel [‘sjɛl], cat. sel [sɛl] e sp. cielo [‘θjelo].
Quanto alla gerarchia di contesti a cui si accennava sopra, è il caso di
ricordare che solo l’area gallo-romanza estende i fenomeni di
palatalizzazione alle combinazioni meno favorevoli, ma con esiti diversi dai
precedenti: come si è già visto /ka-/ > /ʃa-/ e quindi lat. centum > fr. cent
[sã-], ma lat. cantum > fr. chant [ʃã-]
Come nelle lingue slave, anche nelle lingue romanze si producono nuovi
suoni palatali e post-alveolari per effetto della coalescenza tra varie
consonanti e /j/ seguente ad es. /ɲ/ (lat. somnium > sp. sueño), /ʎ/ (lat. folia >
it. foglia), e poi /ʃ/ (lat. Bestia > it. biscia), e /ʒ/ (lat. diurnus > fr. jour), /ts/
(lat. vitium > it. vizio) e /dz/ (lat. medius > it. mezzo)

4.4.2. LA DIFFUSIONE DELLO SPAZIO GEOGRAFICO


- Oggetto di studio della geografia linguistica e della dialettologia.
- Mutamento lat. f- > sp. h- > Ø
1) I documenti più antichi che segnalano i cambiamenti in atto provengono
dalla Castiglia: qui in un testo del 863 il nome forticus compare come
ortiço e in un testo del 927 forticus compare come hortiz e poi nel 1100
come ortíz.
2) Altre testimonianze conformano che il fenomeno si propaga costantemente
dal centro di irradiazione, arrivando a nord-est (la rioja, navarra), e nord-
ovest (león)
3) mentre l’espansione territoriale della Castiglia durante i secoli della
Reconquista ne asseconda la diffusione verso sud.
(si tratta di un periodo di 750 anni durante il quale i musulmani, nati nella
penisola iberica a partire dall’VIII sec., vennero conquistati dai sovrani
cristiani. Terminò nel 1492 quando los Reyes catolicos Ferdinando
d’Aragona e Isabella di Castiglia espulsero l’ultimo dei governanti
musulmani da Granada, unendo gran parte del paese sotto il lor potere.)

4.4.2.1. LA ‘SECONDA MUTAZIONE CONSONANTICA’ DELL’ALTO TEDESCO


- La prima legge di Grimm:
la successiva diversificazione all’interno del gruppo riflette l’emergere dei
tratti peculiari e specifici di ciascuna lingua, alcuni di essi si palesano anche ad
un rapido confronto. Per es., l’ing. hundred e il ted. hundred mostrano il
doppio effetto della ‘legge di Grimm’ (*/k-/ > /h-/) e della ‘legge di Verner’
(*/-t-/ > */-θ-/ > */-ð-/ > /-d-/)
→ mutamento inspiegabili da Grimm e Verner:
ing. ten vs. ted. zehn o ing. two vs. ted. zwei?
- La seconda mutazione consonantica: il tedesco ha subito un’ulteriore fase di
riassetto del sistema consonantico. Secondo quanto descrive Grimm, questa
serie di cambiamenti si articola soprattutto nello spazio.
→ La maggiore parte di essi ha come centro di irradiazione le regioni
meridionali della Germania, è corretto specificare che il fenomeno è proprio
dell’alto tedesco (su cui si basa varietà standard)
→ mentre la sua diffusione consente di identificare una zona di transizione
(medio tedesco) verso il nord, che rimane indenne dal mutamento (ovvero il
basso tedesco)
→ schematicamente, è possibile individuare tre fasi principali che investono
fonemi in posizione iniziale / interna / finale di parola.
1. Dal IV sec. d.C., alto e medio tedesco
/-p-, -t-, -k-, -p-, -t-, -k-/ > /f(f), s(s), x(x)/
→ ing. water, make, deep, eat
→ ted. wasser, machen, tief, essen
2. fino all’VIII sec. d.C. alto tedesco
/p-, t-, k-, -pp-, -tt- -kk-/ > /pf, ts, kx/
→ ing. apple, tongue
→ ted. apfel, zunge
3. VIII – IX sec. d.C. alto tedesco
/b, d, g/ > /p, t, k/
→ ing. door, do, god
→ ted. tür, tun, gott ma kot in bavarese
4. Un’ulteriore e recente trasformazione:
IX – X sec. d.C. tedesco e olandese
/θ, ð/ > /d/
→ ing. thin, think, thorp, that
→ ted. dünn, denken, dorf, das
→ Questo passaggio non propriamente pertiene alla ‘seconda mutazione
consonantica’, in quanto non esclusivo dell’alto tedesco
4.4.2.2. Le isoglosse del ‘ventaglio renano’
- Isoglosse in dialettologia: linee che congiungono i punti della superficie
terrestre corrispondenti ai contorni di un dato fenomeno.
→ per es. la linea Massa-Senigallia in Italia, le isoglosse relative ai fenomeni
comuni ai dialetti settentrionali vanno a coincidere nella cosiddetta linea M-S,
sotto la quale si situano i dialetti centro-meridionali e che a sua volta è parte
del lungo confine tra Romània orientale e occidentale.
- Aneddoto di Georg Wenker:
uno degli scopi di Wenker nella sua indagine sui confini dei dialetti tedeschi
osservando la propagazione dei fenomeni dell’alto tedesco era dimostrare la
tesi neogrammatica dell’ineccepibilità delle leggi fonetiche con la proiezione
cartografica del mutamento. Ma inaspettatamente, le risposte al questionario
inviato ai maestri elementari della Renania, rivelarono che ciascuna delle
parole scelte per rappresentare l’omogeneità della ‘seconda mutazione
consonantica’ seguiva un proprio percorso.
- Quindi, le linee tracciate sui territori lungo il fiume Reno non si
sovrappongono nell’atteso fascio di isoglosse, ma divergevano, aprendosi nel
cosiddetto ‘ventaglio renano’.

Dall’alto verso il basso, si possono individuare quattro isoglosse principali che


segnano il confine di diverse forme del tedesco corrispondenti alle parole “io
(ik/ich), fare (maken/machen), villaggio (dorp/dorf) e mela (appel/apfel)”
- Linea ik/ich (Linea Ürdingen) tra Essen e Düsseldorf;
- Linea maken/machen (Linea Benrath) tra Düsseldorf e Colonia
→ divide tra basso e medio tedesco
- Linea dorp/dorf (linea Bad Honnef) tra Colonia e Coblenza
- Linea appel/apfel (Linea Speyer) tra Saarbrücken e Strasburgo
→ divide tra medio e alto tedesco
- Panorama linguistico della Germania:
ovviamente tale panorama non è rimasto statico, e se si considera che i dialetti
basso tedeschi sono in costante regresso di fronte all’espansione del tedesco
standard, si può dire che gli esiti di un mutamento linguistico iniziato
millecinquecento anni fa si stanno ancora diffondendo.
D’altro canto, l’intreccio della linea di Benrath con le altre dell’area renana,
dimostra che la diffusione variabile del cambiamento complica le
idealizzazioni teoriche dei linguisti.
→ o meglio, dimostra che il mutamento è in rapporto con la variazione, che a
sua volta si articola non solo sull’asse diatopico, ma anche su quelli diastratico
e diafasico.

4.4.3. LA DIFFUSIONE NELLE COMUNITÀ DI PARLANTI


- In generale, il principio di uniformità suggerisce che mutatis mutandis, le
dinamiche variazionali osservabili nel presente siano le stesse che hanno
operato nel passato delle comunità linguistiche.
- Aggiungiamo un altro tassello alla vicenda del mutamento lat. f- > sp. h- >
Ø
→ Nell’antica Castiglia, la nuova pronuncia è un tratto tipico della parlata
rurale: ma quella che per i castigliani è una variante bassa, è invece una
variante alta per i parlanti delle regioni limitrofe.
→ Con l’ascesa politica e culturale della Castiglia, l’innovazione acquisisce
prestigio e si diffonde nella penisola iberica, fino ad affiorare anche nella
grafia dei documenti letterari castigliani, conservando una connotazione
‘rustica’ fino al XIV sec., per poi normalizzarsi nel XVI sec.
- Ieri come oggi, la lingua di una comunità di parlanti non è omogenea e la
diffusione di un mutamento riflette il prestigio del gruppo sociale che la
introduce.

4.4.4. LA DIFFUSIONE NEL LESSICO


- Secondo il punto di vista ‘diffusionista’, il mutamento ha origine in un gruppo
limitato di parole, per poi trasmettersi in modo graduale ad altre serie di
elementi lessicali con cui intrattengono correlazioni di tipo fonetico,
morfologico, sintattico, semantico. (Ma i termini progressivamente interessati
dalla variazione possono risultare connessi anche in quanto pertinenti allo
specifico registro di un gruppo sociale.)
- Mutamento lat. f- > sp. h- > Ø
È dimostrabile che il mutamento, iniziato nel registro delle classi sociali più
basse della Castiglia, investe in primo luogo i termini del lessico comune:
facěre, femĭna, ferrum, farĭna, fumus > hacer, hembra, hierro, harina, humo
→ prevedibilmente, le eccezioni riguardano invece parole come fiesta, fin, fe,
fiel, fiebre, febrero, cioè di uso ‘specialistico’ o meno frequenti.
- Fenomeno più recente della cancellazione di /t, d/ dell’inglese americano
La tendenza alla cancellazione di /t, d/ in posizione postconsonantica e finale è
più elevata nelle forme di uso frequente, come what, just, and.
→ il riferimento alla frequenza propone un altro fattore correlato alla
propagazione delle innovazioni nel lessico: il mutamento colpisce prima le
parole più usate.
- Un altro fenomeno di cancellazione dell’inglese americano
Nello specifico riguarda il suono schwa atono seguito da /r, l, n/ non finali di
parola. È stato notato che la mancata realizzazione di /ə/:
1) È comune prima di /r/: memory
2) È meno comune prima di /l/: family
3) È ancor meno comune prima di /n/: opener
→ la diffusione graduale del fenomeno si manifesta anche nel fatto che le
parole di uso più frequente presentano la cancellazione di schwa in misura
maggiore e più coerente di quelle meno usate, così accade che:
1) every sia di norma pronunciato [‘ɛv(ə)rɪ]
2) memory [‘mɛm(ə)rɪ], come salary, summary, nursery che ammettono
un’oscillazione con /ə/ e /Ø/
3) Per mammary [‘mǣmərɪ] invece è del tutto esclusa l’oscillazione, come
per celery, summery, cursory, artillery etc.
- Se il mutamento manifesta diffusione graduale sul piano dell’articolazione e
del lessico, cioè se il vocabolario di una lingua muta gradualmente e ogni
parola muta secondo il proprio ritmo, allora la specifica gamma di variazione
sincronica di ogni elemento lessicale sarà interpretabile come un indizio di
variazione diacronica.

4.5. MUTAMENTO FONOLOGICO E UNIVERSALI


- La linguistica storica: ha inaugurato il metodo scientifico della comparazione,
indagando l’origine delle famiglie linguistiche e le relazioni tra le diverse lingue.
→ la classificazione genealogica delle lingue del mondo
→ il linguista storico: verifica le ipotesi ricostruttive in base all’osservazione di
ciò che è realmente attestato e ‘possibile’ nelle lingue del mondo.
- La tipologia linguistica: attua invece una comparazione centrata su aspetti
prevalentemente sincronici, nonché la loro interrelazione.
→ la classificazione tipologica delle lingue
→ l’individuazione degli universali linguistici
→ il tipologo: interpreta le regolarità a livello interlinguistico come riflessi di
processi evolutivi

4.5.1. UNIVERSALI FONOLOGICI


- Universali assoluti (o non-implicazionali)
Colgono la diffusione e la frequenza di singole proprietà
Es.
Tutte le lingue hanno consonanti e vocali.
Tutte le lingue hanno vocali orali.
- Universali implicazionali
Riguardano la relazione e i vincoli di dipendenza tra due parametri
- Universali sensu stricto
Fenomeni presenti in tutte le lingue del mondo
- Tendenze universali
Fenomeni attestati con regolarità e frequenza
Es.
Il contrasto tra cinque vocali è la norma, e i sistemi linguistici più comuni sono quelli che
si approssimano a questo numero di vocali basiche.
La tendenza diacronica alla simmetria fonologica è universale.

4.5.2. IL CICLO DELLE VOCALI NASALI


- La nozione di marcatezza: distingue il membro strutturalmente più semplice e/o
frequente (non marcato) di un’opposizione da quello più complesso e/o meno
frequente (marcato)
ES.
Le vocali orali sono non marcate rispetto alle vocali nasali.
Se una lingua ha un suono marcato come fonema, avrà come fonema anche il corrispettivo
non marcato.
- La marcatezza nella linguistica generativa:
le relazioni di marcatezza, e in generale le regolarità riscontrate a livello
interlinguistico negli stati sincronici delle lingue, riflettono le dinamiche che si
attivano durante l’acquisizione.
Il fatto che il tipo di vocale più diffuso sia orale, limita la complessità della
grammatica poiché i bambini non devono apprendere il tratto [+ nasale].
Quindi la semplicità sul piano acquisizionale si proietta nelle strutture innate della
Grammatica Universale
- La Tipologia diacronica di Greenberg
Considera le regolarità osservabili a livello interlinguistico come il prodotto del
cambiamento, cercando di cogliere il nesso storico fra fattori funzionali e stati
sincronici.
La constatazione che tutte le lingue hanno vocali orali e solo poche possiedono
vocali nasali è motivata dal fatto che le seconde si sviluppano dalle prime quando
seguite da consonante nasale. Sul piano tipologico, il dato suggerisce che ogni
lingua del mondo può trovarsi in uno dei quattro stadi sincronici del seguente
percorso diacronico:
VN > [Ṽ]N > Ṽ > V
1 2 3 4
Evidentemente, in almeno tre stadi su quattro i fenomeni vocalici saranno solo di
tipo orale (nello stadio 2 le vocali nasali sono ancora varianti allofoniche nel
contesto VN), mentre le vocali nasali saranno fonematiche solo per le lingue che si
trovano nello stadio 3 (come il francese). Così si capisce perché le lingue
possiedono fonemi vocalici di tipo nasale sono statisticamente solo un quarto del
campione.
Quindi, il nesso tra tipologia e diacronia offre un buon modello esplicativo, che
sottrae la riflessione sulla marcatezza e la frequenza dei fenomeni alla circolarità
delle spiegazioni esclusivamente sincroniche (semplice = ‘universale’ e viceversa),
per ricondurla alla ciclicità (e universalità) dei processi evolutivi. La spiegazione
di tutti gli universali linguistici ha una dimensione diacronica e in fondo, i veri
universali del linguaggio non sono le strutture sincroniche, ma i meccanismi del
cambiamento che le creano.

4.5.3. I PROCESSI DI LENIZIONE


- Il mutamento lat. f- > sp. h- > Ø dello spagnolo è stato oggetto di vari tentativi

di spiegazione incentrati sul contatto con altre lingue.

La constatazione che il basco è privo del suono /f/, sostituito con /h/ nei
prestiti “per equivalenza acustica” costituisce una teoria importante sulle cause
del mutamento.
→ le prime testimonianze del mutamento si registrano al confine con le aree
bascofone (Castiglia settentrionale) e dall’altro lato dei Pirenei in Guascona,
→ l’ipotesi del sostrato (l’influsso di lingue preesistenti al latino) ha trovato
molti sostenitori.
→ tuttavia i detrattori di questa teoria fanno notare che lo stesso mutamento si
trova anche in altre parti neolatine (rumeno, piemontese, calabrese), e quindi il
postulato di una specifica relazione con il basco perde fondamento.
→ CAUSE INTERNE:
alcuni studiosi propongono di fare riferimento a cause interne, strutturali,
della lingua, come la mancata integrazione di /f/ nell’opposizione con la
sonora /v/, o la semplice perdita del tratto articolatorio della labialità. In
questa prospettiva, il fenomeno dello spagnolo ricade in un complesso di
mutamenti fonologici diffusi e accomunati da indebolimento e riduzione. In
generale per le consonanti è frequente che le occlusive diventino
fricative, che le fricative perdano l’articolazione sopraglottale per ridursi,
nel caso delle sorde, a una semplice frizione glottale, cioè /h/ che, essendo
debolmente articolata e acusticamente poco saliente, tende a perdersi.
→ /p/ > /f/ > /h/ > Ø
Fenomeno registrato in varie lingue del mondo;
tipo lat. pes, pedis > ing. foot; oltre a lat. formosus > sp. hermoso
(questo percorso di lenizione converge con altri due che vedono la
creazione e la successiva perdita di /h/)
→ a. /k/ > /x/ > /h/ > Ø
Noto nelle lingue germaniche, cf. lat. nox, noctis > ted. nacht, ing. night
Frequente anche nel sud della Spagna e nelle varietà ispano-americane.
b. /s/ > /h/ > Ø
Oltre che nel greco antico cf. gr. ant. hals, halósi > lat. sal, salis
È attestato di recente anche nel Messico e Andalusia.
- È evidente che l’affiorare del fenomeno in diversi momenti e ambiti testimonia
trattorie diacroniche universali, a cui sottostanno le stesse forze in tutte le
lingue. Anche il mutamento dello spagnolo, non è dovuto all’influsso di altri
lingue, ma alla riduzione dei movimenti articolatori che si attua quando l’uso
automatizza la produzione dei suoni. La fonologia è un settore in cui gli
universali diacronici hanno notevole potenziale e rilevanza.

5. IL MUTAMENTO MORFOLOGICO
Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città, un dedalo di
stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi
diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade dritte e regolari, e
case uniformi.
Ludwig Wittgenstein

5.1. I CARATTERI DEL MUTAMENTO MORFOLOGICO


per la natura organizzata e strutturata dei morfemi, i mutamenti morfologici sono
intrinsecamente circoscritti a categorie definite, e mai pervasivi come talora sono
quelli fonologici. Tuttavia è possibile osservare una tendenziale distinzione tra
- Mutamento che produce regolarità:
cioè modifica in modo coerente un dato tipo o classe di morfemi
- Mutamento che non produce regolarità:
cioè modifica occasionalmente i singoli morfemi, o un numero limitato di parole
vedremo inoltre che il cambiamento morfologico contempla due meccanismi
principali:
- Analogia:
che può essere di due tipi, proporzionale e non proporzionale
- Grammaticalizzazione:
che presenta sequenze articolate di cambiamenti

5.1.1. INTERAZIONI TRA MUTAMENTO FONOLOGICO E MORFOLOGICO


L’interazione tra questi due tipi di mutamenti si può esplicare in due direzioni
- Morfologizzazione: un mutamento fonologico ha conseguenze nella struttura
interna delle parole interessate che si riflettono sul piano morfologico
ad es. in alcune lingue, l’alternanza vocalica nel morfema lessicale che si
produce con la metafonesi assume funzione morfologica
a. Marca di numero: ant.a.ted. gast ‘ospite’, gasti ‘ospiti’ > ted. gast, gäste
b. Marca di genere: nap. russə ‘rosso’ (russu < rossu), russə ‘rossa’ (rossa)
→ Nel caso di morfologizzazione, e della metafonesi nelle lingue germaniche in
particolare, è evidente che il mutamento fonologico è responsabile delle
cosiddette ‘eccezioni’ in inglese, dove ha causato irregolarità. In tedesco la cui
morfologia nominale usa anche l’Umlaut come marca di plurale.

- Demorfologizzazione: detta anche fonogenesi, un mutamento morfologico ha


conseguenze sulla struttura fonetica delle parole quando i morfemi che perdono
significato e funzione, si trasformano in puri segmenti fonici, o vengono del
tutto eliminati
ad es. in irlandese ciò accade per l’erosione degli elementi preverbali
Ant. Irl. Irl. Mod.
Frith-to-theg ‘contro ad andare’ friotag ‘resistere’
Fo-ad-gab ‘sotto a prendere’ fog ‘andare via’
Fo-gab ‘sotto prendere’ faigh ‘ottenere’
Ad-ro-ber ‘a per portare’ abair ‘dire’
→ in effetti, il modo in cui il mutamento genera irregolarità e/o regolarità sui
due piani della fonologia e morfologia è diverso, per non dire conflittuale.

5.1.2. I PARADOSSI DI STURTEVANT


Edgard H. Sturtevant:
 Phonetic laws are regular but produce irregularities.
→ il mutamento fonologico è spesso regolare ma produce irregolarità.
Ad es. la complicazione di paradigmi originariamente lineari,
l’opacizzazione di relazioni semantiche, etc.
 Analogic creation is irregular but produces regularity.
→ il mutamento morfologico è irregolare e sporadico, ma produce
regolarità.
Ad es. l’eliminazione di alternanze, allomorfi dei morfemi lessicali, etc.
→ pertanto lo specifico mutamento morfologico che ‘ripara il danno
causato dalle leggi fonetiche’ e produce regolarità è la ‘creazione
analogica’. Il termine analogia individua uno dei principali meccanismi
del cambiamento morfologico, e al suo interno si distinguono processi di
tipo differente, che comportano livelli più o meno elevati di sistematicità e
diffusione, anche a seconda dell’ambito in cui si attivano.

5.2. ANALOGIA
- Analogia per Saussure:
L’analogia implica un modello e la sua imitazione regolare. Una forma analogica
è una forma fatta a immagine d’una o più altre secondo una regola determinata.
L’analogia tende ad agire in favore della regolarità e tende a unificare i
procedimenti di formazione e di flessione.
- In generale
L’analogia tende a conformare gli elementi asimmetrici di un sistema a un
modello simmetrico, rendendo più simili nella loro struttura le forme che sono
percepite come morfologicamente, sintatticamente, semanticamente correlate.
- due meccanismi analogici:
1) analogia proporzionale: che omologa la singola forma a uno schema
morfologico preesistente
2) analogia non proporzionale: che omologa una serie di forme all’interno di un
paradigma

5.2.1. ANALOGIA PROPORZIONALE


L’analogia proporzionale estende e generalizza un modello di relazione
morfologica tra date forme a un’altra che in origine non lo prevedeva. Il
principio di base è quello del ‘quarto proporzionale’, per cui:
a : a’ = b : X, DOVE x = b’
Ovviamente l’ambito in cui si applica la proporzione deve prevedere una
relazione prestabilita e omogenea tra le forme:
in genere un rapporto basico vs. derivato (come quello che lega il sing. e il
plur.)
- Regolarizzazione dei morfemi flessionali.
Ad es. nell’ant. ingl.
a. sg. stan– Ø ‘pietra’ → pl. stan-as ‘pietre’
→ questo primo tipo rappresenta uno schema di formazione del plurale già
molto esteso. In effetti, la produttività di un modello è tra le proprietà più
favorevoli all’allineamento analogico per cui è plausibile che i parlanti
abbiano i rapporti tra le forme in questo modo: ad es. nell’ingl. mod. stone :
stones = cow : X, DOVE X = cows
b. sempre nell’ant. ing., sg. cu ‘mucca’ → pl. cyna ‘mucche’
→ il secondo tipo (b) è senz’altro meno trasparente e produttivo del primo
(a)
- Omologazione dei morfemi lessicali.
Ad es., in italiano, ciò è avvenuto, dove nei primi decenni del secolo scorso il
superlativo novìssimo, esito di lat. novissimus, in cui la prima vocale è atona e
quindi non soggetta a dittongazione, diversamente da lat. novus > it. nuovo.
Nella situazione di partenza, l’azione di una ‘legge fonetica’ regolare provoca
irregolarità tra le forme che derivano i diversi gradi dell’aggettivo:
alto → altissimo
nuovo → novissimo
Ma a questo punto, la ‘creazione analogica’, per dirla con Sturtevant, ‘ripara il
danno’ risolvendo in modo prevedibile una proporzione del tipo:
alto : altissimo = nuovo : X, DOVE X = nuovissimo
E lo stesso vale per bonissimo, ormai rimpiazzato da buonissimo che in
concorrenza con ottimo, conferma che l’analogia proporzionale spesso
funziona sottraendo forme a uno schema morfologico poco frequente per
inserirle in uno più produttivo.
Naturalmente la tendenza dei parlanti a istituire analogie proporzionali non è
sempre coronata dal successo. O meglio, non dà luogo a mutamenti stabilmente
accolti dalla grammatica, specie quando si tratta di quegli esperimenti
assolutamente ‘geniali’ dei bambini, che gli adulti stigmatizzano e liquidano
come errori come in questo facile parallelo tra francese e italiano:
nous lisons ‘noi leggiamo’: vous lisez ‘voi leggete’ QUINDI
nous disons ‘noi diciamo’ : *vous disez ‘voi dicete’, anziché vous dites!
5.2.2. ANALOGIA NON PROPORZIONALE o LIVELLAMENTO PARADIGMATICO
- Livellamento paradigmatico: consiste nella completa o parziale eliminazione di
alternanze morfofonemiche (allomorfiche) nella flessione
Ad es. il verbo inglese choose presenti un’alternanza allomorfica che chiama in
causa i suoni [s] (in posizione finale), [z] (per sonorizzazione in posizione
intervocalica) e [r] (per ‘rotacizzazione’ in posizione anticamente pretonica)
sanscrito antico inglese inglese moderno
pres. 1 sg. jose ceo[z]u choo[z]e
pass. 1/3 sg. jujosa cea[s] cho[z]e
pass. 3 pl. jujusuh cu[r]on cho[z]e
part. pass. jujusana- (ge-)co[r]en cho[z]en

→ Evidentemente in inglese moderno il morfema lessicale del verbo è stato


livellato, e attualmente mantiene una forma univoca e stabile per tutta la
coniugazione.
Un altro es. anche l’antico alto tedesco ha manifestato una precoce tendenza al
livellamento. La generalizzazione del verbo küren ‘scegliere’ ha seguito un percorso
diverso:
antico alto ted. ted.
pres. 1 sg. kiu[s]u kü[r]en
pass. 1/3 sg. ko[s] ko[r]
pass. 3 pl. ku[r]un ko[r]en
part. pass. (gi-)ko[r]an geko[r]en
→ è stato osservato che nel livellamento, come nell’analogia proporzionale, si
manifesta il principio di isomorfismo (riassumibile in one word, one meaning) in
base a cui i parlanti tendono a istituire relazioni biunivoche tra significati e forme, e
quindi tendono a eliminare le alternanze formali che non si correlano a differenze di
significato rilevanti.
→ da un lato, il livellamento analogico che investe i paradigmi può avere
conseguenze estese e produrre considerevole regolarità
→ dall’altro è evidente che non è possibile prevedere la direzione del mutamento:
come si è visto, in inglese e in tedesco si impongono soluzioni diverse allo stesso
problema.
→ Ugualmente, non è possibile prevedere la coerenza dei processi che, mentre
nella fase di transizione ammettono la coesistenza di ‘doppioni’, una volta terminati
possono lasciare forme relittuali, come nel caso dell’inglese was e were.

5.2.3. INTERAZIONE TRA I DUE TIPI DI ANALOGIA


come si diceva l’analogia proporzionale e il livellamento non sono sempre facili da
distinguere.

Il processo comparativizzazione nelle lingue germaniche:


Tipo in it. alto > altissimo, in ingl. old > older che sostituisce elder (con un relitto
rimasto con il significato specificato di ‘maggiore di età’)
→ Prima interpretazione
il processo può essere reinterpretato in termini di livellamento delle alternanze
metafoniche del morfema lessicale, peraltro eliminate anche nelle forme derivate da
lang ‘lungo’
ant. ing. lang ‘lungo’ : leng-ra ‘più lungo’ = eald ‘vecchio’ : ield-ra ‘più vecchio’
ing. mod. long : lenger > longer = old : elder > older
→ Seconda interpretazione
Tuttavia è altrettanto plausibile l’interpretazione di older in termini di quarto
proporzionale nell’analogia con le forme di warm, il cui comparativo proto-
germanico “*warm-o-za”, diversamente da *ald-i-za > ieldra, non prevedeva la
metafonesi:
ant. ing. wearm : wearmra > ing. mod. warm : warmer
QUINDI

ing. mod. warm : warmer = old : X, DOVE X = older

Rotacismo nel latino


Se in casi simili non è semplice definire quale specifico processo determini il
mutamento, in altri casi pare invece che l’analogia proporzionale e il livellamento
cooperino in modo articolato.
→ Per quanto riguarda il rotacismo nel latino, si può osservare che esso si propaga
anche grazie all’analogia che espande il modello dei temi polisillabici in –r (come
soror ‘sorella’) ai temi in –s (come honos ‘onore’)
nom. soror, gen. soror-is
nom. honos, gen. honor-is > honor, honor-is
→ Il livellamento paradigmatico elimina dunque l’alternanza nella declinazione, ma
nei nomi neutri il meccanismo risulta meno coerente:
→ mentre la forma arcaica robus ‘forza’ si allinea al modello diventando robur,
roboris
→ il sostantivo per ‘corpo’ mantiene la flessione alternante corpus, corporis. Allo
stesso modo si comportano tutti i temi monosillabici, che restano estranei al
livellamento: il maschile flos, floris ‘fiore’, ad esempio, non cambia il nominativo in
*flor.
→ La spiegazione risiede nel fatto che nei temi in –r non ci sono né neutri, né
monosillabi, quindi in queste categorie di nomi il mutamento non si verifica, perché
il livellamento non trova il supporto dell’analogia proporzionale.

5.2.4. ‘LEGGI’ E TENDENZE DELL’ANALOGIA


La questione dei principi generali e direzionalità definita dell’analogia, che si
collega al problema più ampio della comprensione del cambiamento linguistico, è
stata esplorata nel secolo scorso dal linguista polacco, Jerzy Kurylowicz, le cui
generalizzazioni sono formulate in termini di vere e proprie ‘leggi’

1. Una marca bipartita tende a sostituire un morfema isofunzionale costituito da


uno solo dei due elementi: cioè, le marche complesse rimpiazzano quelle
semplici.
- Ciò e confermato, ad es., dal riassetto degli schemi di formazione del plurale in
tedesco, dove il bipartito (con –i + metafonesi) sostituisce il tipo semplice (con
-a):
ant.a.ted. gast, gest-i > ted. gast, gäst-e, ‘ospite, ospiti’
MA

gast : gäst-e = baum : X, DOVE X = bäum-e


- Ma la tendenza opposta si potrebbe realizzare via la generalizzazione di marche
meno complesse a discapito di quelle bipartite
ant. ing. lang ‘lungo’ : leng-ra ‘più lungo’ = eald ‘vecchio’ : ield-ra ‘più vecchio’
ing. mod. long : lenger > longer = old : elder > older

2. I mutamenti analogici seguono la direzione forma basica ↔ forma derivata


- Ciò è confermato, ad es., dal percorso di omologazione delle forme inglesi che
allineano quelle del passato al consonantismo del presente:
ant.ing. ceozu, ceas, curon, (ge)coren > ing. choose, chose, chosen
- Ma in tedesco la direzione del livellamento segue il percorso esattamente
opposto, rimodellando le forme del presente su quelle del passato:
ant.a.ted. kiusu, kos, kurun, (gi)koran > ted. küren, kor, gekoren

3. Quando, a seguito di un mutamento analogico, una forma si diversifica, la nuova


assume la funzione primaria, la vecchia si conserva in una funzione secondaria
- Ciò è confermato dalla vicenda di ing. older/elder vista sopra, cioè
ing. mod. long : lenger > longer = old : elder > older
- Ed anche da altri esempi:
ing. sg. brother : pl. brethren > brother : brothers, ma brethren = ‘confratelli’
- In questo caso i controesempi sono pochi, tuttavia certi ‘nuovi’ plurali analogici
dell’italiano (uovo - uova) sembrano sottrarsi alla ‘legge’:
a. Il braccio: le braccia ma i bracci (del fiume)
b. Il corno: le corna ma i corni (del dilemma)
c. Il membro: le membra ma i membri (del consiglio, etc.)

4. Per ristabilire una distinzione di rilevanza centrale, le lingue ne abbandonano


una di rilevanza marginale.
- Ciò è confermato, ad es., dallo sviluppo della flessione nominale in spagnolo,
dove l’analogia finisce per preservare la distinzione del numero a discapito del
caso:
a. lat. sp.
sg. nom. clavis > *llaves > llave
sg. acc. clavem > llave
pl. nom. claves > llaves
pl. acc. claves > llaves
b. acc. pl. llave = nom. pl. llaves : nom. sg. X DOVE X = llave
- Tuttavia si può obiettare che, in casi simili, può essere difficile stabilire in modo
univoco quali siano le distinzioni più basiche e quali siano meno rilevanti.

5. Il primo e il secondo termine di una proporzione possono appartenere a sistemi


originariamente diversi: una alla varietà di prestigio, l’altra alla varietà che la
imita
- Ciò è confermato, ad es., dal fatto che in latino il fenomeno dell’ipercorrettismo
diffonde foni aspirati non etimologici ad alcuni prestiti dal greco, tanto che, sul
modello di machina (dal gr. dor. machana), anche per ancora (dal gr. ankyra) si
dà spesso la grafia anchora. Ma l’analogia non si ferma qui:
ancora : anchora = pulcer : X = pulcher

6. A differenza Kurylowicz, la riflessione di Manczak (1978) mette in luce ‘tendenze’


ricavate su base statistica, che comunque confermano o completano le ‘leggi’ viste
sopra.
→ La tendenza a rimodellare parole o marche flessionali lunghe sulla base di quelle
brevi, concorda con la constatazione che l’analogia muove dall’elemento basico
all’elemento derivato.
→ La tendenza a rimpiazzare i morfi zero con morfemi pieni o polisillabici collima
con la generale preferenza verso marche esplicite.
→ La tendenza ad eliminare le alternanze del morfema lessicale nei paradigmi è
comprovata dai molti esempi di processi di livellamento, ma conosce anche vistosi
controesempi che, se da un lato invitano a considerare il ruolo di fattori in
competizione nel mutamento, dall’altro suggeriscono di riprendere la discussione
sulla regolarità indotta dal cambiamento morfologico.

5.2.5. I MUTAMENTI MORFOLOGICI SPORADICI


L’individuazione di rapporti tra le invenzioni linguistiche dei bambini confermano
che l’istituzione di analogie implica una certa dose di creatività, che non sempre
produce mutamenti sistematici
1. Estensione: consiste nell’uso di un morfema in contesti più ampi rispetto a quelli
originari
- La diffusione delle desinenze verbali dal lat. in it.:
ind. pres. 1sg.: lat. amo > it. am-o
ind. impf. 1sg.: lat. amabam > it. amav-a > amav-o
- In medio inglese, dove il morfema di plurale –en (cfr. ox, oxen ‘bue, buoi’), viene
applicato a nomi che in origine non lo prevedevano, come ant. ing. broper
‘fratello’, bropor ‘fratelli’
E nel med. ing. ox : oxen = brother : brethren
Il processo, attivo soprattutto nell’Inghilterra meridionale, dà origine a forme di
plurale che in seguito saranno abbandonate a favore di strutture più regolari,
come brethren > brothers, housen > houses, shoon > shoes, o variamente
rielaborate childen > children

2. Risegmentazione: è un processo di rianalisi che interessa la struttura fonologica


dei morfemi, ma non la loro funzione
- La rifunzionalizzazione di morfi o segmenti non più funzionali. I nomi latini
come tempus, ad es., sono neutri che sfuggono al livellamento visto prima,
mantenendo una flessione in cui si alternano due temi: nom. sg. tempus, gen. sg.
tempor-is, nom. pl. tempor-a.
lupus ‘lupo’ : lupi ‘lupi’ = tempus ‘tempo’ : X, DOVE X = tempi
Nella fase di coesistenza con i nuovi plurali del tipo temp-i, le forme del tipo
tempora vengono rianalizzate come temp-ora. La risegmentazione permette
quindi di estrapolare la marca di plurale –ora che si diffonde già nel latino tardo,
è brevemente vitale nell’italiano antico (pratora, campora, etc.), e ancora ben
conservato nei dialetti (pugl. vratts∂r∂ ‘braccia’, camp. dét∂r∂ ‘dita’, etc.),
nonché nel corrispettivo morfema rumeno –uri (vint ‘vento’, vinturi ‘venti’)

3. Fusione (o blending): consiste nello sviluppo di un compromesso morfologico


tra due forme con significato uguale o simile
- L’antico alto tedesco, ad es., aveva due suffissi di diminutivo che si fondono in un
nuovo suffisso:
a. –il- : nift > niftila ‘nipotina’
b. –in- : magad > magadin ‘ragazzina’
c. –il- + -in- > -ilin- : fräu > fräulein ‘signorina’
- Spesso le forme soggette a contaminazione sono sentite come in competizione tra
loro. Ciò accade nell’black vernacular english, dove feet entra in concorrenza con
il plurale analogo foots con cui si fonde generando la forma di compromesso
feets, che virtualmente fa da modello anche per men-s, women-s, etc.
- Mutatis mutandis, qualcosa di simile è avvenuto nel medio inglese, che eredita
dall’antico inglese il morfema di plurale –(e)n, lo estende ad altri nomi
a. ant. ing. child ‘bambino’, pl. cidlru ‘bambini’ > med. ing. childer
b. med. ing. child-er + child-en > children
- così, anche il termine equivalente in olandese ha un doppio plurale: kind, kind-er-
en

4. Retroformazione: come l’analogia ha carattere proporzionale e generalizza un


modello di relazione morfologica, ma in questo caso la base di derivazione è il
prodotto di una rianalisi, e il processo derivativo procede in senso inverso rispetto
a uno già esistente
- In antico inglese pisan pl. regol. di pise ‘pisello’, un singolare che, come rice
‘riso’, era la forma più usata e intesa come collettivo. >> in seguito, divenne
peas, viene reinterpretato come pea-s e posto in relazione con le forme di plurale,
motivandolo così un nuovo singolare analogico:
ing. bean-s : bean = pea-s : X DOVE X = pea
- Prevedibilmente, i risultati della retroformazione possono dare atto a esperimenti
che in sincronia incontrano la resistenza ‘normativa’ delle forme diacronicamente
regolari, come nel caso di it. redarre, formato sul modello dei verbi in –arre e
ancora concordemente stigmatizzato nei dizionari e nelle grammatiche
esatto : esigere = redatto : redigere E NON
tratto : trarre = redatto : redarre (!)
5. Contaminazione (o attrazione antonimica): come la fusione coinvolge forme
semanticamente correlate, di cui una diventa foneticamente più simile all’altra
- L’italiano possiede due agg. simili: grave e greve, ma il secondo è
un’innovazione del latino tardo, e deve il proprio vocalismo all’influsso
dell’antonimo levis ‘leggero’:
lat. levis : gravis > levis : grevis
- I termini inglesi per ‘maschio’ e ‘femmina’ sono mutuati dal francese male e
femelle, ma il secondo subisce un’alterazione che rende più trasparente la
relazione antonimica:
fr. male : femelle > ing. male : female
- Il caso dei numerali russi

6. Concrezione/discrezione: sono processi opposti di agglutinazione o


deglutinazione di una forma, di solito di tipo grammaticale, con un’altra di tipo
lessicale
- I fenomeni interessano preposizioni e più spesso, articoli, anche nella sincronia
dell’italiano popolare, cf. l’aradio per la radio o l’apis per lapis:
a. it. l’usignolo < lat. lusciniolus, dim. di luscinius
b. it. ninferno < (i)n + inferno
- anche l’art. inglese può essere interessato da processi di concrezione e
discrezione
a. ing. nickname < med. ing. an eke-name
b. ing. an apron ‘un grembiule’ < ant. fr. naperon, dim. di nape (fr. nappe
‘tovagliolo’)

7. Etimologia popolare: rende trasparenti gli elementi opachi di un termine (spesso


composto o derivato) tramite associazioni con altri lessemi, che sono
foneticamente simili e/o parzialmente compatibili nel significato.
- Il processo può applicarsi a termini tecnici oppure obsoleti, che risultano
pertanto scarsamente comprensibili:
lat. postumus ‘postumo’ (superl. di post ‘dopo’) > lat. volg. posthumus
→ in questo caso l’associazione con humus ‘terra’ modifica la struttura fonetica e
le relazioni morfologiche dell’agg., che viene reinterpretato come ‘(nato) dopo la
sepoltura del padre’ e, nella forma posthumous, mantiene la trasparenza anche
come prestito all’inglese.
→ in effetti, la paretimologia riveste un ruolo interessante proprio nelle
dinamiche del prestito, che talora viene chiarito tramite l’accostamento a parole
note: ma di questo aspetto del fenomeno diremo meglio nel capitolo sul contatto
linguistico.

5.3. GRAMMATICALIZZAZIONE
Il mutamento morfologico contempla due meccanismi principali:
1) L’analogia: ampiamente discusso sopra
2) La grammaticalizzazione: questo tipo di mutamento comporta la creazione di
nuove forme e/o categorie grammaticali, e si manifesta come un complesso
intreccio di fenomeni per cui, in certi contesti, un elemento lessicale perde
gradualmente il suo significato proprio e assume funzione grammaticale; una volta
grammaticalizzato, l’elemento può sviluppare nuove funzioni grammaticali.
Gli elementi lessicali appartengono a classi aperte (nomi, aggettivi, verbi) e in
generale denotano oggetti, proprietà ed eventi.
Gli elementi grammaticali, diversamente, a classi chiuse (congiunzioni, pronomi,
articoli, adposizioni, affissi flessivi e derivazionali, clitici, etc.) e, in generale,
indicano relazioni tra le entità denotate degli elementi lessicali.
- Ad es. in latino, il nome mens, mentis ricorre con frequenza in sintagmi in cui la
forma all’ablativo si unisce a un aggettivo, come nel celebre verso di Catullo sed
obsinata mente perfer, obdura ‘ma con animo saldo, tu resisti’
A partire da contesti simili, il termine perde gradualmente il significato lessicale
pieno per assumere la funzione di elemento derivazionale, tutt’oggi produttivo
nella creazione degli avverbi di modo in varie lingue romanze (eccetto il romeno,
in cui gli avverbi hanno di solito la stessa forma dell’aggettivo):
lat. clara mente ‘con mente chiara’ > it. chiaramente, fr. clairement, etc.
- L’origine di alcuni suffissi dell’inglese è un po’ più articolata, ma comunque
simile, in cui gli antichi vocaboli:
had ‘carattere, condizione’
dom ‘ambito, dominio’
lic ‘somiglianza, aspetto’
vengono grammaticalizzati come elementi derivazionali a partire dalla
reinterpretazione di composti come quelli in:
a. ant. ing. cild-had > ing. mod. childhood
b. ant. ing. freo-dom > ing. mod. freedom
c. ant. ing. man-lic > ing. mod. manly
→ questi esempi confermano l’idea che la grammaticalizzazione, laddove determina
la nascita di elementi morfosintattici, sia schematicamente rappresentabile come un
continuum:
entità lessicale autonoma > elemento grammaticale autonomo > clitico > affisso

5.3.1. FENOMENI DI RIDUZIONE


Gli studiosi hanno osservato che la trasformazione delle entità lessicali coinvolte
nella grammaticalizzazione implica una progressiva diminuzione di autonomia, che
si manifesta su tre livelli:

- riduzione semantica – desemanticizzazione


è l’indebolimento semantico.
Un es. è il verbo ‘avere’, usato come ausiliare nelle forme perifrastiche.
In latino, e nelle fasi più antiche delle lingue romanze, il costrutto [habere + part.
pass.] esprimeva il possesso di un’entità posta nello stato descritto dal participio
passato risultativo: cf. habeo litteras scriptas ‘ho una lettera scritta’.
 In seguito, il participio perde l’accordo con l’oggetto e il costrutto significa il
compimento dell’azione espressa dal participio anteriore: quest’ultimo diventa
forma invariabile che veicola informazioni di carattere lessicale,
 mentre nell’it. ho scritto la lettera ‘avere’ diventa mezzo flessivo che veicola
informazioni di carattere morfologico, ma non l’idea di ‘possesso’

RIASSUNTO della trasformazione


[habere + part. pass.] possesso di entità nello stato descritto dal part. pass.
 Il part. perde l’accordo con l’oggetto
 Il costrutto significa il compimento dell’azione espresso dal part. anteriore
(quest’ultimo diventa forma invariabile che veicola informazioni di carattere
lessicale)
 Nell’it. ho scritto la lettera ‘avere’ diventa mezzo flessivo che veicola info.
morfologica

- riduzione morfologica – decategorizzazione


è la perdita di alcune proprietà morfosintattiche. Ciò si verifica:
 ad es., con certe forme verbali usate come avverbi o preposizioni, come it.
tranne, < che è in origine una forma di imperativo tràine ‘togline’
 oppure fr. pendant, ing. during che, come it. durante, sono forme di part. pres.
oramai privi di legame con il proprio paradigma
 un altro es. è il dimostrativo ing. that che grammaticalizza come marca di
proposizione relativa, perde la categoria del numero cf. the book that I know e
the boys that I know

- riduzione fonetica – erosione


è la diminuzione di ‘peso’ e sostanza fonica.
 Il futuro da lat. alle lingue romanze
- L’italiano e le lingue romanze inizialmente hanno sostituito le forme
sintetiche del futuro latino (cf. amabo ‘amerò’, legam ‘leggerò’) con una
costruzione perifrastica costituita da [infinito + habere]
nel tempo, l’erosione ha portato dalla forma analitica [infinito + habere] a
quella sintetica attualmente in uso, con una serie di passaggi del tipo:
cantare habeo > *cantar ào > cantarào > cantarò > canterò, in cui
l’originaria presenza del verbo ‘avere’ è ormai irriconoscibile.

5.3.2. E PERCORSI DI ESPANSIONE


infatti, gli elementi interessati dalla grammaticalizzazione vedono un crescente
ampliamento di funzioni e di impiego relativo ai seguenti processi e operazioni
cognitive
- inferenze pragmatiche
in certi contesti, particolari condizioni semantiche e comunicative innescano la
convenzionalizzazione di inferenze pragmatiche, con conseguente
reinterpretazione delle forme, generalizzazione degli ambiti d’uso e diffusione a
nuovi contesti.
Una vicenda interessante è quella dell’ing. go, usato per esprimere il futuro nella
perifrasi progressiva con il verbo ‘essere’
 una vicenda interessante è quella dell’ing. go, usato per esprimere il futuro
nella perifrasi progressiva con il verbo ‘essere’: be going to. Qui la
grammaticalizzazione avviene con un verbo di moto generico, e non con altri
più specifici (e meno frequenti) come travel, ride, etc. Inoltre, la sequenza che
porta alla definizione del costrutto futurale è grosso modo quella esemplificata
dalle frasi in:
a. He is going to London.
> movimento direzionato nello spazio
b. He is going to eat.
> direzionalità e intenzionalità
c. He is going to do his best to win.
> intenzionalità e posteriorità
d. The rain is going to come.
> predizione e futurità
→ in questi esempi, non c’è discontinuità di significato ma uno slittamento
progressivo: il movimento (fisico e spaziale) descritto in a) è marginale in
b), che veicola soprattutto intenzionalità, come del resto c), in cui è
totalmente perso il senso del movimento, mentre in d) l’unico significato
plausibile è la predizione, perché il soggetto è privo di intenzionalità.
→ l’inferenza temporale e l’idea di posteriorità cominciano a fissarsi nel
XVI sec. e, nei secoli successivi, lo ‘scolorimento’ del verbo di moto si
accompagna all’estensione dei contesti, via via più ampi rispetto alla
semantica dell’uso originario, anche perché diminuiscono le restrizioni
selettive sul soggetto: soggetto animato, agentivo, intenzionale >
esperiente > soggetto inanimato.
→ contestualmente, la forma verbale perde categorie morfosintattiche e
variabilità, fissandosi nella sequenza ‘obbligatoria’ going to, a cui compete
una posizione precisa nella frase. Infine, nel XX sec., l’erosione che
conduce alla forma colloquiale gonna, completa la grammaticalizzazione di
questo tipo di futuro.
- metafora e metonimia
i percorsi di estensione semantica più diffusi recedono dai domini più concreti a
quelli più astratti, spesso secondo una sequenza unidirezionale del tipo: PERSONA
> OGGETTO > ATTIVITÀ > SPAZIO > TEMPO > QUALITÀ. Il percorso
opposto non si verifica quasi mai.
 In molte lingue del mondo si segnala il passaggio di natura metaforica da nomi
che designano parti del corpo ad adposizioni o locuzioni preposizionali che
indicano concetti spaziali di relazione, cf. in front of the house, di fronte alla
casa, ai piedi del monte, etc.
 L’approdo da significati spaziali a significati più astratti, è inoltre tipico delle
forme che diventano significanti di relazioni grammaticali

- stratificazione di livelli
certi elementi possono conservare la forma e la funzione lessicale originaria
accanto all’esito grammaticalizzato; in uno stesso ambito è inoltre frequente la
competizione e/o la coesistenza tra strutture di differente antichità e origine.
 L’it. avere è usato come verbo lessicale autonomo nel significato di possedere,
nonché come elemento grammaticalizzato in funzione di ausiliare nel passato e
nel futuro.
 Circa la sovrapposizione tra diverse strutture, basti citare il caso dell’inglese, in
cui l’espressione del futuro è affidata a tre costrutti diversi: il tipo be going to,
il tipo con shall, e quello con will.

- ciclicità e rinnovamento
quando gli elementi perdono trasparenza e sostanza fonetica
 si può osservare che il ciclo di grammaticalizzazione che ha portato da germ.
*likam ‘corpo, apparenza e forma’ > ant. ing. lic(e) > ing. –ly
si rinnova nella parziale concorrenza tra, ad es. manly e manlike, dove
l’elemento –like si presenta nella sua forma completa e contribuisce
all’espansione del lessico con una nuova serie di composti trasparenti:
godly/godlike, friendly/friendlike, etc.
 di particolare interesse è inoltre il cosiddetto ‘ciclo della negazione’ che
riguarda il francese, ma è attestato anche in alcune varietà italiane:
1. In fr. ant. la negazione standard ne si accompagnava a sostantivi indicanti
quantità nulle o minime, come rien ‘niente’, point, pas ‘passo’. Con il
tempo, e a partire da contesti semanticamente coerenti Jean ne marche pas,
l’unione di ne e pas divenne obbligatoria anche in altri ambiti Jean ne
mange pas.
→ a seguito di erosione semantica e di rianalisi, pas è stato quindi integrato
nella forma di negazione standard, fino a diventare unico elemento per la
negazione nel registro colloquiale tipo Je sais pas. lett. ‘So mica’.
2. La parola mica (< lat. mica ‘briciola’), ha subito un destino analogo, ed è
forma diffusa (non necessariamente rafforzativa) della negazione in alcune
varietà dell’italiano: in questo caso, i contesti che hanno innescato la
grammaticalizzazione saranno stati del tipo non mangio mica.
3. Il toscano conosce anche l’uso di punto, sia nella negazione enfatica non mi
piace punto, che come quantificatore non ho punta fame, non ho punti
amici.

5.4. GLI EFFETTI E LE CAUSE DEL MUTAMENTO MORFOLOGICO


A questo punto è opportuno tornare alla prospettiva generale per riflettere sugli effetti
dei processi e sulla loro classificazione funzionale.
In sintesi, i fenomeni evolutivi che interessano le strutture morfologiche di una lingua
possono produrre:
 Mutamento nell’inventario o nella funzione dei morfemi
- Episodi di sincretismo che interessano i sistemi casuali > riducendo il numero
dei morfemi (Ad es. il greco antico ha perso l’ablativo (uno dei casi della
declinazione nominale), il latino lo conserva, ma non ha più lo strumentale e il
locativo, che invece sono ancora funzionali in sanscrito) e ridistribuendo le
funzioni dei casi recessivi tra quelli superstiti.
 Mutamento nell’inventario o nella struttura delle classi flessionali
- Ciò è avvenuto, tra l’altro, nel passaggio dal latino alle lingue romanze, che
hanno conosciuto un massiccio riassetto della flessione nominale in seguito alla
perdita del sistema basato su cinque classi di declinazione.
 Mutamento nell’inventario o nella struttura delle categorie flessionali
- Nell’ambito del riassetto sopra menzionato, ha avuto un ruolo considerevole
anche riorganizzazione della flessione in base alla categoria del genere
grammaticale, che in latino prevedeva un sistema tripartito con maschile,
femminile e neutro.

5.4.1. MUTAMENTI INNOVANTI E CONSERVANTI


Mutamenti innovanti: i mutamenti che non solamente modificano l’inventario di
strutture di una lingua causando la scomparsa o la nascita di elementi formali (o
categorie), ma innescano anche la ridistribuzione delle forme e l’istituzione di
diverse correlazioni tra di esse.
Mutamenti conservanti: i mutamenti che vedono la sostituzione di forme e
strutture con altre nella medesima funzione. Gli unici mutamenti veramente
‘conservanti’ sembrano quelli che si limitano al piano della forma, come nel caso
dell’imperfetto italiano, in cui la desinenza di prima persona singolare –a è sostituita
da –o.
→ E spesso, come osserva Lazzeroni, si ha l’impressione che i processi evolutivi
delle categorie linguistiche siano innescati proprio dalla tensione tra il piano del
contenuto, tendenzialmente scalare, non discreto, e il piano dell’espressione, per
sua natura discreto.

5.4.1.1. IL NEUTRO NELLE LINGUE ROMANZE


 I plurali in –a dell’it. del tipo le ossa.
Questa vicenda si inquadra nel processo di riorganizzazione della flessione nominale, in
cui, a partire dal latino tardo, si vanno delineando tre classi nominali:
1) La classe dei nomi in –a (pl. -e) > che continua sostanzialmente la prima
declinazione latina e accoglie i femminili (lat. filia > it. figlia)
2) La classe dei nomi in –o (pl. in -i) che continua la seconda declinazione latina e
accoglie i maschili (lat. lupus > it. lupo)
3) E infine la classe dei nomi in –e (pl. in -i) che continua la terza declinazione latina,
senza preferenze riguardo al genere (lat. mater, pater > it. madre, padre)
4) Nel nuovo sistema, che concilia la tendenza all’omologazione dei morfemi finali
con le scelte pilotate dalla rilevanza cognitiva del genere naturale gli antichi neutri
latini vengono di norma assegnati alla classe nei nomi in –o (lat. regnum > it.
regno).
5) Le forme residuali sono rappresentate dai neutri plurali in –a, che rimangono
come:
- Resti ‘fòssili’, rianalizzati come femminili singolari:
lat. sg. folium → pl. folia > it. foglia, sp. hoja, fr. feuille, rum. foaie
- Resti ‘vitali’, usati nel plurale dei cosiddetti nomi di genere ‘misto’
lat. ossa, brachia, ova, milia > it. le ossa, le braccia, le uova, le miglia
in origine c’è un manipolo di plurali di uso frequente che resiste al livellamento: i
neutri latini che designano membra corporee doppie sono il nucleo archetipico e
prototipico di una categoria che, durante la ristrutturazione del sistema flessionale
e per tutta la fase dell’it. ant., non solo accoglie i plurali ‘non marcati’ in –a che
condividono qualche tratto con il prototipo, ma attrae costantemente nuovi
elementi.
Seguiamo le tappe di questo imprevedibile sviluppo a partire dal gruppo iniziale
di neutri latini che designano membra del corpo doppie:
sg. bracchium, pl. bracchia ~ le braccia
sg. calcaneum, pl. calcanea ~ le calcagna
sg. cilium, pl. cilia ~ le ciglia
sg. cornu, pl. cornua ~ le corna
sg. genu, pl. genua ~ le ginocchia
sg. labium, pl. labia ~ le labbra

Nella prima fase, la categoria si consolida accogliendo anche originari neutri


latini che designano membra del corpo intese come insieme, come nomi
collettivi:
sg. cerebellum, pl. cerebella > le cervella
sg. corium, pl. coria > le cuoia
sg. membrum, pl. membra > le membra
sg. intestinum, pl. intestina > le intestina
sg. os, pl. ossa > le ossa
sg. tergum, pl. terga > le terga

Inoltre, l’italiano antico testimonia l’attrazione di nuovi elementi ‘duali’, che


derivano da nomi maschili del latino:
sg. cubitus, pl. cubiti, ma it. le gomita
sg. pugnus, pl. pugni, ma it. le pugna

come le occhia, le orecchia, le guancia, le coglia, le ditella(ascella), le


ciondola(orecchini), questi termini si conservano non solo nelle espressioni
idiomatiche (cf. un lavoro fatto con le gomita), ma anche nella lingua dei testi
letterari (E ‘l duca mio distese le sue spanne / prese la terra, e con piene le pugna
/ la gittò dentro alle bramose canne, Dante Inf. VI, 25 ss.), arrivando fino a
Manzoni e Leopardi.

Contemporaneamente, in italiano antico si registra l’inclusione di altri nomi,


derivati da maschili latini che designano membra del corpo ‘collettive’:
sg. digitus, pl. digiti: ma it. le dita
sg. botulus, pl. botuli: ma it. le budella
sg. articulus, pl. articuli: ma it. le artiglia

E stavolta da originari femminili latini, nascono anche: le crina, le midolla, le


minugia, le unghia, le nocca (longobardo. ‘giuntura’). Tra i sostantivi che
designano coppie ‘naturali’, si segnalano il numerale dua, le paia, le uova, le
lenzuola(che si contano a coppie!). E tra i collettivi: le fila, le fondamenta, le
legna, le castella, le molina, le vizia, le vestimenta, le vestigia, le demonia, le
materassa(forse dall’arabo). E poi i numerali e le unità di misura: le decina, le
centinaia, le migliaia, le miglia, le carra, le sacca, le staia, le passa. E infine: le
anella, le frutta, le rama, le letta, le mura, le risa, che forse attraggono anche le
grida, le strida, le urla. Ovviamente non tutte le forme sono ugualmente stabili e
longeve, ma considerando il diasistema romanzo, è indubbio che il loro numero si
accresce, mentre nei dialetti italiani e in rumeno la loro vicenda si intreccia con
quella dei plurali in –ora e in –uri.

5.4.2. REGOLE E SCHEMI


La storia dei plurali in –a dell’italiano è alquanto complicata ma istruttiva, dimostra
che nel mutamento entrano in gioco dinamiche articolate, che vanno oltre l’azione di
‘leggi’ o tendenze. Ciò che tiene in vita categorie e forme in apparenza obsolete (il
neutro latino è recessivo) e/o irregolari (plurali femminili per singolari maschili) è
una concomitanza di fattori quali la frequenza d’uso, la marcatezza, le funzioni
semantiche.

Nel riordino della flessione nominale, certi plurali neutri resistono al livellamento in
quanto frequenti e ‘non marcati’; inoltre, e contro ogni previsione, il morfema –a si
estende a partire da un nucleo omogeneo che designa entità cognitivamente rilevanti.
Nell’italiano antico la categoria si espande perché risolve la tensione tra quei
contenuti (come il duale e il collettivo) che non si integrano nei nuovi schemi
formali (come l’opposizione binaria del numero): così, rifunzionalizzato a partire dal
latino tardo, lo ‘strano’ plurale in –a mantiene ancor oggi la sua ragion d’essere e il
suo ‘statuto speciale’ nella flessione.
In questo caso come nel mantenimento di forme allomorfiche e suppletive (si pensi
ai verbi ‘essere’ e ‘andare’ di molte lingue), si deve tenere conto di motivazioni che
sono in competizione con le logiche dell’analogia e del livellamento, o con le
tendenze alla ‘regolarità’ e alla trasparenza. Tra queste: la frequenza e la
marcatezza delle forme, gli equilibri specifici dei sistemi, il bilanciamento tra i
meccanismi della memoria e l’organizzazione dei paradigmi, tra il vantaggio
delle regole e l’immediatezza degli ‘schemi’, che individuano costanti e
corrispondenze anche tra le forme ‘irregolari’.

5.4.2.2. IL PASSATO REMOTO IN ITALIANO


Come è noto, il passato remoto dell’italiano raccoglie l’eredità del perfectum
latino, una categoria eterogenea che annovera quattro diversi tipi di formazione:
i tipi recessivi:
cf. lat. pres. facio > perf. feci (con allungamento della vocale radicale)
cf. lat. pres. cado > perf. cecidi (con raddoppiamento)
i tipi rizotonico (con flessione allomorfica e accento sulla radice nella prima
persona singolare e nella terza dei due numeri: dissi, disse, dissero)
cf. lat. pres. dico > perf. dixi (con suffisso –s-)
i tipi arizotonico (con flessione regolare e accento fisso sulla desinenza: amai,
amasti)
cf. lat. pres. amo > perf. amaui (con –u-)
1) In molte forme rizotoniche è presente:
una forma geminata talora dovuta a regolare sviluppo fonologico: assimilazione
regressiva di nessi: lat. scripsi > it. scrissi
una forma geminata talora spiegata come: allungamento davanti a [w]: lat. aqua >
it. acqua, lat. placui > it. piacqui
→ in base a questa spiegazione, gli studiosi hanno postulato una serie di forme
ricostruite ma non attestate, per dare ragione di passati remoti come it. ruppi < lat.
(*rupui) rupi, it. venni < lat. (*venui) veni, it. stetti < lat. (*stetui) steti, it. ebbi <
lat. (*hebui) habui, it. seppi < lat. (*sepui) sapii
→ a parte incoerenza nel trattamento della semivocale (mantenuta in piacqui, ma
perduta in ruppi), va detto che i pretèriti ricostruiti sono quasi l’unica prova dello
sviluppo di geminate dai nessi consonante + [w], ma se le forme ipotetiche servono
a confermare il processo fonologico ad hoc che le spiega, evidentemente siamo di
fronte ad un ragionamento circolare.
2) L’ipotesi alternativa muove dall’individuazione di uno ‘schema’ che governa
l’irregolarità.
I pretèriti rizotonici dell’it. presentano un set di tratti fonologici collegati da
‘somiglianze di famiglia’: -s-, -Cs-, -ss-, -CC-. Questi tratti si manifestano come
prodotto di regolare sviluppo dai perfetti del latino, oppure come effetto di
estensione a serie analogiche. In sintesi:
- Poche forme in it. presentano –s- scempia ereditata dal lat.:
lat. risi > it. risi
lat. rasi > it. rasi
lat. clausi > it. chiusi
lat. persuasi > it. persuasi
lat. remansi > it. rimasi
- Poche forme dei tipi recessivi di perfectum si allineano a questo modello per
analogia:
lat. fudi ma it. fusi
lat. tetendi ma it. tesi
lat. respondi ma it. risposi
lat. prehendi ma it. presi
lat. offendi ma it. offesi
- Alcune forme rizotoniche conservano nessi –Cs- già presenti in latino:
lat. finxi > it. finsi
lat. arsi > it. arsi
lat. torsi > it. torsi
lat. tersi > it. (de)tersi
lat. indulsi > it. indulsi
lat. fulsi > it. (ri)fulsi
- Alcuni preteriti vengono rinnovati estendendo ‘creativamente’ il medesimo tipo
di nesso:
lat. pupugi ma it. punsi
lat. perdidi ma it. persi
lat. cucurri ma it. corsi
lat. momordi ma it. morsi
lat. collegi ma it. colsi
lat. sustuli ma it. tolsi
lat. volui ma it. volsi
lat. exsolvi ma it. sciolsi
- Molte di più sono forme che sviluppano regolarmente la geminata –ss-:
lat. afflixi > it. afflissi
lat. coxi > it. cossi
lat. cessi > it. (con)cessi
lat. dixi > it. dissi
lat. duxi > it. (con)dussi
lat. excussi > it. Scossi
lat. fixi > it. (af)fissi
lat. flexi > it. flessi
lat. frixi > it. frissi
lat. scripsi > it. scrissi
lat. traxi > it. trassi
lat. vixi > it. vissi
- Alcune forme mostrano il nesso –CC-
lat. iacui > it. giacqui
lat. placui > it. piacqui
lat. nocui > it. nocqui
lat. tacui > it. tacqui
→ a partire dalle ultime due serie, si può ipotizzare la rifunzionalizzzione del
segmento –CC- come nuova ‘marca’ del passato remoto italiano, e la sua diffusione
lessicale nei tanti verbi ‘irregolari’, interpretabili senza ricorrere agli espedienti di
forme asteriscate e ‘leggi’ fonetiche ad hoc:
lat. movi ma it. mossi
lat. veni ma it. venni
lat. tenui ma it. tenni
lat. volui ma it. volli
lat. cecidi ma it. caddi
- Il fenomeno di exaptation
Sembra muovere da un manipolo di verbi frequenti, legati da connessioni di
inter-paradigmatiche: i verbi con terza persona regolare del presente
monosillabica, a cui corrisponde un passato remoto ‘irregolare’, con consonante
geminata non etimologica e /o con vocale ‘diversa’:
è → fu
fa → fece
dà → dette
sta → stette
ha → ebbe
sa → seppe
→ in questo quadro si capiscono anche le curiose forme arcaiche e/o dialettali
citate da Rohlfs: ette( e sette), fette, vette( e andette), potte( o posse) in relazione ai
presenti è, fa, va, può. E i molti ‘esperimenti’ perduti nel tempo, come devvi e
debbi (per i moderni dovei/dovetti), seddi (per sedei/sedetti), e viddi (per
vedei/vedetti). Se da un lato ‘nella lingua attuale –etti guadagna terreno su -ei’,
dall’altro i complicati intrecci di relazioni tra le forme rivelano che l’analogia di
per sé non spiega l’innovazione, ma è spesso l’epifenomeno di processi più
profondi, che si attivano in relazione al controllo, alla costruzione e
all’acquisizione dei paradigmi da parte dei parlanti.

5.5. LA GRADUALITÀ DEL MUTAMENTO MORFOLOGICO


Si manifesta anche al livello delle categorie. (Il contenuto semantico e talora anche le
forme a cui si associano le funzioni morfosintattiche, possono infatti organizzarsi
come categorie di tipo scalare, provviste di un nucleo prototipico che si espande
accogliendo membri via via più marginali ma collegati tra loro da ‘somiglianze di
famiglia’.)
- La categoria dei plurali in –a:
nasce da un prototipo rappresentato dalle membra corporee doppie → si
rafforza includendo le membra corporee che formano insiemi → quindi si
espande accogliendo elementi che designano coppie naturali (paio > paia,
miglio > miglia, mille > mila, uovo > uova) e i nomi collettivi.
La rilevanza cognitiva del contenuto semantico, sommata alla frequenza d’uso
dei plurali ‘non marcati’, identifica una funzione talmente peculiare che la
forma resiste al livellamento analogico.
- Le disiecta membra del perfetto latino:
mantengono l’unità di contenuto e funzione (il preterito) identificando due percorsi
di rinnovamento formale:
1) La produzione di forme regolari (i pass. rem. arizotonici del tipo amai, amasti,
etc.)
2) La produzione di forme irregolari (i pass. rem. rizotonici e allomorfici del tipo
scissi, scrivesti, etc.)
→ questi secondi acquisiscono trasparenza morfosintattica coagulando le varie
forme in uno ‘schema’ di sub-regolarità, cioè l’esibizione di un tratto formale
che si approssima variamente alla marca prototipica e saliente: -s-, -Cs-, -ss-,
-CC-. La diffusione analogica dello ‘schema’ riflette quindi una rete di
connessioni tra le forme che si estrinseca nell’acquisizione e
nell’organizzazione del paradigma flessionale, e che riflette il livello di
autonomia, frequenza, marcatezza delle singole forme.
CONCLUSIONE: Nella nascita e nella diffusione delle innovazioni, gli aspetti
cognitivi connessi all’analisi e alla rianalisi di contenuti e forme (e dei loro
rapporti) assumono una rilevanza centrale. Nell’evoluzione della morfologia, e
in generale nella riflessione sul mutamento, si ripropone non solo la
dimensione della gradualità, ma soprattutto il ruolo dei parlanti.

5.5.1. DIREZIONALITÀ, MARCATEZZA E ACQUISIZIONE


- Gli studiosi che si occupano di acquisizione (fenomeni che si accompagnano
l’apprendimento spontaneo di una prima o di una seconda lingua) hanno confermato
l’esistenza di uno sviluppo generalmente direzionato lungo un gradiente di
marcatezza che privilegia le categorie più semplici e frequenti, o con valore più
ampio, rispetto a quelle più complesse, o più ristrette nell’uso e nella funzione.
→ Così nelle varie fasi dell’interlingua, gli stranieri tendono non solo a introdurre
nuovi elementi e strutture secondo sequenze ordinate e di complessità crescente, ma
anche a omologare le classi di forme e i paradigmi: ad es., per l’it. di stranieri il
problemo per il problema, la moglia per la moglie, il solo participio in –to per le
azioni passate e concluse. In tal modo si verificano sovraestensioni di tratti o
funzioni che seguono i principi della cosiddetta ‘morfologia naturale’, cioè gli stessi
che abbiamo visto all’opera nelle ‘invenzioni dei bambini.’
- Gli studi (Andersen, 2001) hanno fornito prove che anche nel mutamento linguistico
lo sviluppo e la diffusione delle innovazioni procede dalle categorie non
marcate verso quelle marcate.
→ Ad es., considerando il v., il cambiamento tende a manifestarsi nei tempi del
presente prima che in quelli del passato, nel modo indicativo prima che negli altri
modi, nelle forme del singolare e poi in quelle del plurale, nella terza e prima
persona e poi nella seconda, nella frase principale e poi in quella subordinata;
inoltre relativamente ai contesti extralinguistici, si manifesterà nel parlato prima che
nello scritto, nel registro informale prima che in quello formale, nella prosa prime
che nella poesia.
- La presenza della DIREZIONALITÀ che accomuna il percorso di acquisizione e
quello del mutamento, sembra indicativa di strategia parallele nel farsi e nel
trasformarsi della lingua
- I principi generali con cui i parlanti organizzano e riorganizzano forme e
categorie nelle fasi di fluidità e creatività, sembrano:
1) la ricerca di tratti sovraordinati,
2) la rilevazione di relazione trasparenti e
3) la replicazione di procedure univoche
→ in breve, la diffusione di sistematicità che, nella misura in cui allevia il
lavoro della memoria, facilita l’acquisizione di ciò che è nuovo.
→ Queste osservazioni aprono uno spiraglio su un ambito di ricerca promettente
che, dall’apprendimento delle conoscenze sui meccanismi di acquisizione, trae
indizi sui possibili percorsi del divenire linguistico.
(Tuttavia se si considera che le lingue sono sistemi ‘progettati’ non solo per
essere acquisiti, ma anche e soprattutto essere usati, appare evidente che si tratta
di una prospettiva parziale, perché proprio nel mutamento emerge con chiarezza
sia la tendenza alla sistematicità che aiuta a organizzare e immagazzinare le
nuove informazioni, sia il vantaggio della frequenza e della ‘riduzione’ che
assecondano l’impiego efficiente dei dati raccolti.)

5.2.2. UNIDIREZIONALITÀ E DEGRAMMATICALIZZAZIONE


1. I casi di degrammaticalizzazione:
processo inverso rispetto alla grammaticalizzazione
 ll caso dei suffissi derivazionali italiani –anta, -ismo
si sono lessicalizzati come parole indipendenti in italiano, come ad es. ha
passato gli anta (gli quarant’anni), oppure non supporto questi ‘ismi’ rivelano
un processo inverso rispetto alla grammaticalizzazione.
 L’elemento –teen in inglese
estrapolato per rianalisi dai nomi dei numerali come eighteen, è stato utilizzato
prima come sostantivo, ovvero abbreviazione di teenager ‘adolescente’ e poi
come aggettivo teen idol
 Le preposizioni down, up e anche altre
possono essere usate come verbi to down a plane, nomi ups and downs o
aggettivi down escalator
 Il morfema possessivo dell’ing., ovvero il cosiddetto ‘genitivo sassone’
Oggi il genitivo sassone ha funzione di clitico, separabile dalla testa nominale,
come in the queen of England‘s crown. Supponendo che il morfema derivi da
una desinenza flessiva di genitivo dell’antico inglese nel tempo esso ha
acquistato maggiore libertà sintattica. Tuttavia, accentano la spiegazione
alternativa secondo cui il morfema nasce da una reinterpretazione di costruzioni
pronominali possessive del tipo the king, his castle si dovrà riconoscere invece
un caso di grammaticalizzazione (Wischer, 2006)
 Le forme di participio presente usate come nomi: il tipo calmante, cantante
in italiano e spagnolo:
come per gli infiniti sostantivati del tipo lavorare stanca, entra in gioco non solo
l’instabilità categoriale dei nomi verbali (che oscillano appunto tra verbo,
aggettivo e nome), ma anche la labilità dei confini tra grammaticalizzazione
e lessicalizzazione
→ Entrambi i processi comportano la perdita di autonomia e la fusione di
elementi che in precedenza erano liberamente giustapposti ma si differenziano
per gli obiettivi, che sono rispettivamente la creazione di forme grammaticali e
di entrate lessicali.
→ Evidentemente, in diacronia le relazioni tra grammatica e lessico possono
modificarsi, nel senso che può verificarsi una ridistribuzione del contenuto,
ovvero la grammaticalizzazione di ciò che era solo lessicale, oppure la
lessicalizzazione di ciò che era solo grammaticale. (Stante la fluidità di questi
processi, anche il confine tra grammaticalizzazione e lessicalizzazione non
appare netto, ma piuttosto come un’area di indeterminatezza e di scambio.)
2. Conclusione
In ogni caso, i controesempi validi all’ipotesi dell’unidirezionalità non sono molti e
nel complesso, non inficiano la rilevanza della grammaticalizzazione come insieme di
processi pervasivi nelle vicende di tante lingue, e centrali per la comprensione del
mutamento linguistico.

5.6. MUTAMENTO MORFOLOGICO E UNIVERSALI


5.6.1. UNIVERSALI MORFOLOGICI
1. Gli universali morfologici sono generalizzazioni sulla struttura morfologica
delle lingue umane possibili. Gli universali sono affermazioni esplicite che
rilevano le restrizioni alla variazione interlinguistica in questo ambito.
2. Gli 45 universali di Greenberg riguardano la morfologia e ricadono in quattro tipi
principali di generalizzazioni
- Generalizzazione sulla natura e l’ordine degli affissi:
Universale 28: Se sia la flessione che la derivazione seguono la radice, o se esse
la precedono entrambe, la derivazione si trova sempre tra la radice e la flessione.
- Generalizzazione sui morfemi e le loro correlazioni:
Universale 34: nessuna lingua ha un numero triale se non ha un duale. Nessuna
lingua ha un numero duale se non ha un plurale.
- Generalizzazione sulla distribuzione delle categorie morfologiche tra le classi di
parole
Universale 43: Se una lingua ha categorie di genere nel nome, ha categorie di
genere nel pronome
- Generalizzazione sulla relazione tra le categorie e i loro esponenti flessionali
Universale 38: Quando c’è un sistema di casi, l’unico caso che ha sempre e
soltanto allomorfi zero è quello che include tra i suoi significati quello di
soggetto del verbo intransitivo.
Universale 39: se i morfemi che veicolano le categorie di numero (A) e caso (B)
ricorrono nella stessa parola, allora A sarà più vicino alla radice di B, quindi
saranno ammissibili le strutture [radice-A-B] e [B-A-radice], e invece
inammissibili le strutture *[radice-B-A] e *[A-B-radice]
3. Da un lato, gli universali indicano i limiti alla variazione possibile. Dall’altro lato,
la tipologia di Greenberg origina una serie di aspettative circa il mutamento,
identificando gerarchie di tipo implicazionale nelle categorie o correlazioni tra
fenomeni morfologici e sintattici.
Tuttavia, l’idea che i mutamenti esprimano coerenza con le tendenze universali va
considerata con cautela, nello specifico, l’impressione che il mutamento dal tipo SOV
a SVO si correli alla perdita dei casi sembra confermata dall’inglese e dalle lingue
romanze, ma esistono lingue come il finlandese, il russo, l’antico inglese o il tedesco
che presentano una sintassi SVO pur mantenendo il sistema casuale. E cautele anche
maggiori si devono adottare passando alle ipotesi sulla transizione da un tipo
morfologico all’altro.

5.6.2. TIPOLOGIA ED EVOLUZIONE: STRUTTURE SINTETICHE E


ANALITICHE
1. La riflessione ottocentesca:
la proiezione dei tipi morfologici nella dimensione diacronica, ipotizza che al picco
evolutivo della fase preistorica

6. IL MUTAMENTO SINTATTICO
“si chercherà di sciogliere le sintassi, di spezzare i modi vincolanti di parlare, di
volgere le parole in direzione di tutto ciò che si dice per loro tramite e nonostante esse”
- Michael Foucault
6.1. I CARATTERI DEL MUTAMENTO SINTATTICO
1. Oggetti di analisi del mutamento sintattico:
- L’uso degli elementi morfologici in funzione sintattica
- La combinazione ordinata degli elementi sintattici nei costrutti e nelle frasi
- La strutturazione delle frasi nelle complesse architetture del periodo
- Le specifiche funzioni semantiche e comunicative dei costrutti e delle strutture
2. Lo studio generativista della sintassi, la linguistica storica e i Neogrammatici
- Lo studio della sintassi ha conosciuto progressi considerevoli nell’ambito della
teoria generativa, il cui orizzonte è però limitato alla prospettiva sincronica
- D’altro canto la linguistica storica ha tradizionalmente riservato maggiore
attenzione all’indagine dei fenomeni fonologici e morfologici, lasciando un po’ in
disparte la sintassi.
- L’interesse per gli aspetti diacronici della sintassi, pur presente nella vasta
riflessione dei Neogrammatici, è dunque uno sviluppo assai recente e promettente
della ricerca linguistica.

3. Gli ambiti di pertinenza della sintassi


- le relazioni sintattiche: le relazioni tra le parole all’interno di una frase
- i mezzi di codifica delle relazioni: i vasi modi in cui tali relazioni vengono
espresse
- grammaticalizzazione: in senso ampio, che include non solo la trasformazione di
entità lessicali in morfemi grammaticali, ma anche
l’ulteriore spostamento di espressioni linguistiche verso il
polo funzionale, quindi l’incremento di funzioni
grammaticali, e il passaggio di strutture ‘sciolte’ a
strutture più ‘legate’
- rianalisi: il mutamento nella struttura di un’espressione che non produce
modifiche immediate o intrinseche nella sua manifestazione superficiale
- estensione: l’introduzione di nuove costruzioni per codificare un ambito
concettuale inizialmente espresso mediante altre costruzioni

6.1.1. INTERAZIONI TRA MUTAMENTO MORFOLOGICO E SINTATTICO


1. morfosintattico:
- nel passaggio da classe aperta a classe chiusa (inserimento di un paradigma)
- nella perdita di autonomia (obbligatorietà)
- nell’irrigidimento posizionale (fissazione)
→ che può portare alla fossilizzazione attraverso la seguente trafila:
costrutto composizionale e analizzabile >
costrutto non composizionale e analizzabile >
costrutto non composizionale e non analizzabile
2. semantico-funzionale:
- nella riduzione dei significati lessicali che conduce allo sviluppo di significati
grammaticali
- nella conseguente espansione di funzioni, che spesso si correla alla polisemia
degli elementi grammaticalizzati.
3. I processi morfosintattici e quelli funzionali sono interrelati e sembrano
rinforzarsi reciprocamente.
In effetti, la natura stessa di molti dei mutamenti che ricadono nell’ambito della
grammaticalizzazione, implica l’esistenza di percorsi trasversali e operazioni
comuni tra morfologia e sintassi. Tra queste, la rianalisi ha un ruolo pervasivo e,
per alcuni studiosi, centrale sia nella grammaticalizzazione, sia nell’evoluzione
della sintassi.

6.2. RIANALISI
- Il concetto di rianalisi:
è sotteso a parecchi dei fenomeni analizzati nel capitolo precedente, ovvero quei
mutamenti di carattere analogico che presuppongono la ‘rilettura’ e ‘reinterpretazione’
delle forme.
→ Come ad esempio, a livello morfologico
nel caso della retroformazione, la creazione di un singolare analogico pea sottende la
rianalisi del segmento finale di pea-s come marca di plurale, e processi simili che
motivano anche gli episodi di concrezione o discrezione, peraltro indicativi della
potenziale bidirezionalità dei percorsi di rianalisi.
- La rianalisi a livello sintattico:
la reinterpretazione dei costrutti è un fenomeno più complesso, e in parte anche meno
visibile.
La rianalisi, nella definizione di Harris e Campbell, è un meccanismo che interessa
la struttura ‘sottostante’ di uno schema sintattico, senza produrre alcuna
modifica intermedia o intrinseca nella sua espressione superficiale, cioè si tratta
di un mutamento che in partenza ha un carattere non manifesto.
→ Come ad esempio, l’inversione tra soggetto e verbo nella frase interrogativa
del fr. standard:
Già dalla metà del XV sec. sono quindi possibili strutture come quelle in
a. aime il? lett. in it. ‘ama egli?’
b. dort il? lett. in it. ‘dorme egli?’
→ in (b), e nelle altre forme di terza persona singolare, anche frequenti
come est ‘è’, il verbo termina come –t. Nella pronuncia del fr. colloquiale,
la riduzione del pronome personale favorisce una rianalisi che isola
l’elemento [ti], reinterpretato come particella interrogativa, utilizzabile
nelle varietà substandard:
a. Ton pèreSN partV-ilPRON? lett. in it. ‘Tuo padre parte egli?’
> Ton pèreSN par[Ø]VtiPTCL  ?
→ In questo caso, l’espressione superficiale al livello di pronuncia delle
due interrogative in (a) non cambia, e la rianalisi diventa manifesta solo
quando solo quando il suo prodotto si diffonde anche a contesti che non
implicano la terza persona singolare:
b. TuPRON vasV tiPTCL? lett. in it. ‘Tu vai?’
→ Inoltre si può osservare che qui non si verifica un processo di
grammaticalizzazione, poiché il passaggio da pronome a particella non
implica transizione dal lessico alla grammatica, irrigidimento strutturale o
perdita di autonomia, e poi non si ha una continuazione diretta dello
stesso elemento e neanche continuità sul piano semantico.
- Differenza tra la rianalisi & la grammaticalizzazione
Esempi simili invitano a considerare la rianalisi come un fenomeno distinto dalla
grammaticalizzazione che, a sua volta, può aver luogo anche in assenza di rianalisi.
Nello specifico Haspelmath (1998) indica alcune differenze basilari tra i due processi:
la grammaticalizzazione - comporta la perdita di autonomia degli elementi
linguistici, è graduale e tendenzialmente unidirezionale (ovvero irreversibile); non
implica ambiguità ed è riconducibile alle dinamiche dell’uso linguistico.
la rianalisi - invece non causa la perdita di autonomia delle espressioni linguistiche, è
istantanea e potenzialmente bidirezionale (ovvero reversibile); si fonda sull’ambiguità
strutturale del costrutto di partenza ed è imputabile alle dinamiche dell’acquisizione
linguistica.

6.2.1. RIANALISI E GRAMMATICALIZZAZIONE


Secondo molti studiosi, essi intrecciano relazioni strette.
- Il caso del futuro inglese con be going to.
a. I am going to London. (go come v. di MOTO)
b. I am going to see the queen. (go usato in unione con frasi finali)
→ Sul piano sintattico, go può essere usato come verbo di moto nella perifrasi
progressiva con il verbo essere (a), oltre che in unione con frasi finali (b)
a. [I am going [to marry Bill]] → [I [am going to] marry Bill]
b. [I [am going] [to marry Bill]] → [I [am going to marry Bill]]
→ Il passaggio che conduce dal senso di intenzione all’inferenza di futurità (sto
andando a sposare → Bill sposerò Bill) implica una rianalisi che consiste nello
‘spostamento di parentesi’, ovvero rebracketing in (a) comporta la fusione di una
sequenza bifrasale in una monofrasale, ovvero clause fusion, come in (b).
→ In ogni caso, la rianalisi diventa manifesta solo quando il verbo che segue be
going to è incompatibile con il significato finale/intenzionale (I am going to London)
cioè quando si ampliano i contesti di impiego.
→ Il che fa pensare che il concetto di rianalisi è un contenitore di fenomeni vari e
difficilmente isolabili, frequentemente riconducibili (ma non indispensabili) nel
contesto più ampio della grammaticalizzazione che, a sua volta, può sussumere
anche l’estensione.

6.2.2. GRAMMATICALIZZAZIONE SENZA RIANALISI


Ad esempio, in molte lingue, alcune congiunzioni temporali ammettono inferenze
di tipo causale in determinati contesti, in base alla ‘logica’ del post doc, ergo
propter hoc (lett. in it.‘dopo di ciò, quindi a causa di ciò’).
- L’ing. after
After [= because] we heard the lecture, we felt greatly inspired
- L’ing. since
a. I have done quite a bit of writing since we last met. (TEMPORALE)
b. Since Susan left him, John have been very miserable. (TEMPORALE/CAUSALE)
c. Since you are not coming with me, I will have to go alone. (CAUSALE)
→ Il fatto che since ammetta l’interpretazione causale indipendentemente da
quella temporale, dimostra che l’implicazione si è convenzionalizzata
→ In tal modo un elemento già funzionale acquisisce ulteriori funzioni, si
irrigidisce sul piano posizionale, ma amplia anche i contesti di impiego,
rivelando quindi gli inevitabili intrecci tra processi di grammaticalizzazione e
fenomeni di estensione.

6.3. ESTENSIONE
- Estensione in morfologia
Ne abbiamo visto come mutamento sporadico, dove si intreccia con i processi
analogici, che vede la diffusione di morfemi a contesti diversi e più ampi di quelli
originali
- Estensione in sintassi
Pur non essendo equiparabile all’analogia tout court, anche in sintassi l’estensione si
fonda sulla percezione della somiglianza strutturale tra due o più elementi, categorie,
costrutti.
Nella definizione di Harris/Campbell (1995), il concetto di estensione è speculare alla
rianalisi: è un meccanismo che cambia l’espressione superficiale di uno schema
sintattico, ma non implica alcuna modifica immediata o intrinseca della sua struttura
‘sottostante’.
Inteso come estensione analogica o generalizzazione, questo processo introduce
nuove costruzioni in un ambito concettuale inizialmente codificato da altre: in quanto
desumibile da alterazioni nella struttura dei costrutti, costruisce dunque un
mutamento manifesto.
- Esempi di estensione in sintassi.
1. Le incertezze nell’uso del caso che accompagna la preposizione (originariamente
posposizione) wegen ‘per, a causa di’ risalgono al XVII sec., finché nel XVIII sec.
si impone l’uso del genitivo nella lingua standard, e il dativo viene stigmatizzato
come scorretto. Oggi il suo uso è generalmente ritenuto colloquiale, ma accettabile:
Er hat sie wegen ihres Geldes (GEN) / wegen ihrem Geld (DAT) geheiratet
‘Lui l’ha sposata per i suoi soldi’
→ esempi come i precedenti testimoniano appunto l’estensione del costrutto
dativale in ambiti precedentemente riservati a quello genitivale, e l’attuale fase di
coesistenza tra le due opzioni sintattiche, equivalenti nella sostanza anche se
diverse nella forma.
2. In inglese, il cambiamento dell’espressione different from in different than/to
L’innovazione è stata accolta nell’ing. amr., e si sta diffondendo anche in quello
brit., probabilmente perché favorisce la concisione:
Things are different than they were a year ago.
vs.
Things are different from the way they were a year ago.
→ Evidentemente, con l’estensione analogica le strutture subiscono dei lievi
aggiustamenti che le rendono correlabili (anche in articolate costellazioni) con altre
simili.

6.3.1. ESTENSIONE, FREQUENZA E RIPETIZIONE


- L’importanza dei processi di estensione
È facilmente intuibile, anche in rapporto alle dinamiche cognitive che presiedono
all’uso della lingua, nonché al ruolo della frequenza nella ‘gestione’ delle forme
sintattiche.
→ In particolare, sembra che la ripetizione di certi elementi, o stringhe di elementi,
determini il modo in cui la lingua viene segmentata in sequenze che, immagazzinate
nella memoria, si correlano variamente ad altro materiale memorizzato, risultando
quindi più o meno facilmente accessibili e recuperabili.
- Il caso degli ausiliari inglesi be e have nella formazione del perfetto.
Nel’ant. ing. è possibile l’uso di entrambi gli ausiliari, con una distribuzione
semantico-funzionale analoga a quella attuale in tedesco e olandese: ‘essere’ per i
v.i. (soprattutto quelli di MOTO), ‘avere’ per tutti gli altri v.
→ quindi se già in ant. ing. la variazione sincronica tra i due costrutti è condizionata
dalla maggiore frequenza del tipo con have, non sorprende che nel XIX sec., tra i
verbi analizzati da Smith (2012), quelli con be rappresentino il 3% a livello di type e
che il 4% a livello di token corrisponda alle occorrenze ripetute dei v. di MOTO, tra
cui i prototipici go e come.
Mentre oggi anche come si è omologato al tipo emergente (have), go mantiene
invece una curiosa duplicità costruzionale: l’arcaico be gone si è fissato per la
ripetizione del token, e l’innovazione have gone si è imposta per la frequenza del
type.
→ Ma la sopravvivenza per entrambi i costrutti è dovuta anche alla specializzazione
semantico funzionale: John is gone codifica l’aspetto risultativo, cioè descrive il
risultato presente di un’azione passata, mentre John has gone codifica l’anteriorità,
cioè descrive un’attività completata nel passato, con conseguenze ancora rilevanti
nel presente.
Peraltro, nella sua antichità formale e semantica, il costrutto be gone conferma una
diffusa tendenza diacronica, il percorso risultativo > anteriore, rintracciabile anche
nell’evoluzione delle forme perifrastiche con habeo + part. pass.
→ Il caso appena visto rivela gli effetti contradditori della frequenza e della
ripetizione nel pilotare l’estensione delle strutture sintattiche: un tipo frequente può
diffondere l’innovazione nel lessico, ma un’occorrenza ripetuta può stabilizzare la
conservazione nelle relazioni paradigmatiche a vari livelli.
- Ovviamente, nella misura in cui riguarda lo sviluppo di forme grammaticali, la
vicenda dell’ausiliare have concerne non solo l’estensione ma anche la
grammaticalizzazione, che a sua volta rivela importanti legami con la frequenza.
- In particolare, è facilmente intuibile che l’incremento di significati generali e funzioni
astratte accresce le possibilità di impiego delle forme e dei costrutti. Ma il
conseguente aumento della frequenza, e la ripetizione che rafforza la
memorizzazione, come il riconoscimento e la prevedibilità delle strutture, fanno sì
che la facilità di produzione predomini sulla facilità di percezione, motivando quindi
la riduzione fonetica: per questo si arriva a I’ve gone, I’m gonna, I wanna, etc.

6.3.2. LA ‘GRAMMATICA EMERGENTE’


L’attenzione ai processi di ripetizione e routinizzazione corrisponde all’interesse
degli studiosi verso i contesti naturali di impiego dei costrutti e, più in generale,
verso i modi in cui i parlanti trasformano la lingua per e con l’uso che ne fanno.
Questa impostazione teorica sviluppa alcune implicazioni derivate dalla ricerca
sulla grammaticalizzazione.
1) in primo luogo, si conferma l’artificiosità della distinzione tra sincronia e
diacronia, perché se la lingua si trova in un costante stato di variazione e
mutamento, non solo si tratta di due prospettive sullo stesso oggetto, ma in effetti
non si può capire la struttura sincronica senza considerarne anche l’evoluzione
diacronica nella lingua.
2) per gli altri versi, nella consapevolezza del continuo ‘vibrare’ delle strutture, la
crisi delle grammatiche tradizionali comincia dalle fondamenta, e cioè dalle
categorie, perché quelle tradizionali (a partire da nome, verbo, aggettivo, etc.) si
rivelano spesso inadeguate a classificare gli elementi coinvolti nei processi di
grammaticalizzazione, che registrano appunto la compresenza e la sovrapposizione
di proprietà e comportamenti.

In effetti, la visione della lingua come (e della sintassi) come un sistema monolitico,
sincronicamente strutturato in base a regole, appare oggi meno attuale rispetto
all’idea di un insieme eterogeneo di costruzioni, ciascuna con specifiche affinità
rispetto a certi contesti e tutte in costante adattamento strutturale rispetto
all’uso. In questa prospettiva, il parlante e le sue esigenze comunicative acquistano
un ruolo centrale, che relativizza l’esistenza delle strutture linguistiche a una
dimensione di costante risistematizzazione, su cui incide anche la frequenza.

L’approccio funzionale allo studio della sintassi elaborato da Hopper (1987),


muove appunto dal rifiuto del ‘postulato’ della grammatica apriori, intesa come
insieme di regole prestabilite e innate che preesistono all’uso delle strutture,
secondo quanto previsto dai modelli di stampo generativista e dall’ipotesi della
‘Grammatica Universale’ di Chomsky.
La proposta alternativa di Hopper è la cosiddetta ‘grammatica emergente’, ovvero
un quadro teorico in cui la sintassi delle lingue è concepita come un insieme
non delimitato di forme, che viene via via sistematizzato, durante l’uso e
ristrutturato dai parlanti in base alle esigenze dei processi comunicativi.
L’abbandono della grammatica come stabile architettura sincronica è dunque
coerente con una visione della sintassi come continuo processo di
grammaticalizzazione.

6.4. LA GRADUALITÀ MUTAMENTO SINTATTICO


In tempi recenti il concetto di gradualità è divenuto un argomento centrale nel
dibattito che oppone la visione ‘tradizionale’ alle ipotesi sulla sintassi storica
formulate dai generativisti. Le divergenze tra gli approcci funzionali e quelli formali
non sono insanabili, ma certamente riguardano aspetti cruciali della teoria sulla
variazione diacronica: cioè quando, dove e come nascono le innovazioni linguistiche.
I nostri ripetuti accenni sulla gradualità dei fenomeni linguistici sono coerenti con un
punto di vista che assume il ruolo centrale dei parlanti e dell’uso linguistico nel
modellare le forme del cambiamento. Tuttavia, la discussione sulla rianalisi proposta
in questo cap., suggerisce la possibilità che, specie nella sintassi, il mutamento non sia
graduale, ma improvviso e articolato in un dialogo, non sempre percettibile, tra
struttura profonda e superficiale.
L’assunto implicito, in questo caso è che la centralità dei meccanismi di rianalisi
rifletta una sorta di tensione tra input e output che individua il locus del cambiamento
nell’acquisizione delle forme linguistiche anziché nel loro uso.

6.4.1. MUTAMENTO SINTATTICO E ACQUISIZIONE


- Principi di Hermann Paul, 1880
La trasmissione della lingua da una generazione all’altra rappresenta un momento
cruciale nella variazione diacronica delle lingue. Secondo Hermann, i processi di
apprendimento linguistico sono di enorme importanza per la spiegazione dei
cambiamenti che si verificano nell’abito linguistico (Sprachusus), e ne sono le
cause principali. Per lo studioso tedesco, il locus del mutamento è l’idioletto, cioè
una rappresentazione psicologica individuale, una sorta di grammatica interiore
del parlante: l’accumularsi dei cambiamenti paralleli negli idioletti definisce un
nuovo abito linguistico.
- I generativisti e Chomsky, 1980
La linguistica generativa sviluppa un quadro teorico in cui matura anche l’idea
che il mutamento linguistico avvenga proprio ad opera del bambino che acquisisce
la lingua dai genitori.
Secondo la ‘teoria dei principi e parametri’, elaborata negli anni ’80 da Chomsky,
la lingua non è un organismo sovraindividuale , ma un oggetto psicologico
presente nella mente del parlante, un meccanismo di conoscenze innate e
principi (internal language, grammar, competenza) che pilota la fissazione dei
parametri (external language, language, esecuzione) sulla base dei dati
ambientali.
- Due possibili scenari dell’ipotesi sul rapporto tra apprendimento e variazione
→ In una prospettiva incentrata sulla lingua interna e individuale, il mutamento può
verificarsi esclusivamente nello stadio di trasmissione della lingua e, pertanto, nel
modo in cui il singolo apprendente fissa i parametri.
L’assunto di base è che il modulo della sintassi rimane inerte finché non è
sollecitato da mutamenti verificatisi all’interfaccia con altri moduli (fonologico,
lessicale, etc.), o da interferenze causate da fattori extralinguistici (contatto con
altre lingue e conseguente variazione nel corpus primario su cui si basa
l’acquisizione.)
1) variazione nell’input: considerati due parlanti, le esperienze iniziali non sono
mai identiche e possono variare in modi impercettibili. Se un tipo di costruzione
diventa più frequente, magari per fattori comunicativi, si ha un cambiamento
nell’uso della grammatica, ma non nella grammatica stessa. E tuttavia così che si
genera anche un cambiamento nei dati linguistici primari per la generazione
successiva.
2) grammatiche in competizione: quando c’è un mutamento in corso, i parlanti
che apprendono la lingua possono interiorizzare due serie di principi per certi
sottosistemi della grammatica. Nel tempo, le pressioni associate all’uso escludono
una delle due alternative, mentre l’innovazione si stabilizza aumentando la
frequenza in maniera costante nel tempo.

6.4.2. GRADUALITÀ E GRADIENZA


‘changes always manifested in synchronic variation’. – Anderson, 2001
- La grandienza e i gradienti
si manifestano:
1) a livello intracategoriale: non solo nella scalarità delle categorie prototipiche
2) a livello intercategoriale: ma anche nel continuum di proprietà che crea
convergenze e sovrapposizioni tra categorie

- Il caso dell’agg. ing. utter, completo, assoluto


Utter si situa ai margini della categoria aggettivale, poiché manifesta solo una delle
varie proprietà morfosintattiche pertinenti
ATTRIBUTIVO an utter disgrace

PREDICATIVO *the disgrace is utter

INTENSIFICAZIONE *very utter

GRADAZIONE *utter, utterer, utterest (raro)

NEGAZIONE CON PREFISSO *UNUTTER

- Il caso dell’ambiguità tra agg. e avv.


i confini sfumati tra le categorie dell’avv. e dell’agg. si riflettano nel
comportamento ambiguo di certi elementi:
a. it. veloce AGG → AVV cammina veloce
b. ing. now ‘ora, adesso’ AVV → AGG the now generation
→ Questo tipo di ambiguità e di oscillazioni sincroniche → può dar luogo a piccoli
mutamenti discreti e percettibili che riguardano l’uso e la struttura di forme e
costrutti,
→ e una serie di micro-cambiamenti può a sua volta dare origine ad un macro-
cambiamento.
→ Di conseguenza:
gradualità → proprietà di mutamento sul piano diacronico

corrispettivo

gradienza → proprietà di mutamento sul piano sincronico


→ è il contesto e il risultato del mutamento, su cui può fornire indizi in
retrospettiva

- Il ruolo di gradienza sintattica: intrecci con grammaticalizzazione


la gradienza di solito riguarda l’intera costruzione formata dalle relazioni
sintagmatiche dell’elemento coinvolto. In tal senso, i fenomeni di gradienza
intracategoriale e intercategoriale possono interessare il comportamento di un
elemento all’interno di una costruzione e/o i confini tra tipi di costruzione.
→ Quindi può capitare che:
1) una certa ‘stringa’ manifesti livelli variabili di somiglianza con una costruzione
prototipica,
2) o che due costruzioni tendano a convergere verso una terza con cui condividono
alcune proprietà (non solo sintattiche, ma anche semantiche e funzionali).
→ Vediamo meglio con una ‘stringa’
in it. l’anello d’oro è simile a l’amico di Mario, ma non codifica una relazione di
possesso prototipica
in lat. l’equivalente, come in russo, lituano e in altre lingue, usa l’aggettivo
derivato aureo.
in ing. sono possibili sia ring of gold, sia golden ring ma anche gold ring;
in ing. i composti non possessivi, cf. [the boy band] formano un continuum con:
- i composti possessivi, cf. [the boy’s shirt] ‘la camicia da ragazzo’
- i possessivi prenominali, cf. [the boy]’s shirt ‘la camicia del ragazzo’
→ In questo ambito, la variazione sincronica è pilotata da istanze complesse,
come per esempio:
1) animazione e definitezza
driver’s seat → una persona specifica
passenger seat → una persona qualsiasi
2) oscillazioni, specie a livello grafico
driver’s licence/driver licence
queste ultime sembrano essere indicative di percorsi diacronici, come nel
caso di woman’s logic/women’s logic/women logic in cui confluisce l’eredità
multipla di proprietà del costrutto possessivo e di proprietà del composto
[Nome + Nome], all’intersezione tra sintagmi nominali e composti, e tra
sintassi e morfologia.

6.5. MUTAMENTO SINTATTICO E UNIVERSALI


- Un po’ di storia sullo studio tipologico:
 1844, Henry Weil, confrontava l’ordine delle parole nelle lingue antiche con quello
delle lingue moderne, correlando il crescente incremento di restrizioni con il
cambiamento nella prospettiva comunicativa della frase e nella pragmatica delle
lingue;
 1890s, Jacob Wackernagel & Otto Behaghel, importanti osservazioni sull’ordine
delle parole nella frase; le leggi omonime che precisano tendenze verificate nelle
lingue indoeuropee, ma la cui validità si è dimostrata decisamente più ampia; per ciò
che attiene la struttura del periodo, ci sono studi sul rapporto tra ipotassi e paratassi, e
sullo sviluppo della subordinazione, interpretata come fenomeno secondario e
specifico di ciascuna lingua indoeuropea.
 1963, Greenberg, ha aperto un nuovo filone sull’ordine dei costituenti frasali;

6.5.1. UNIVERSALI SINTATTICI


- Fattori rilevanti per la classificazione tipologica:
1). Ordine basico dei costituenti nell’enunciato transitivo assertivo non marcato
identifica i tipi linguistici principali (SOV, SVO, VSO)
2). Ai tipi principali, in base agli universali implicazionali, si aggiungono diversi
tipi di adposizione (Pr e Po)
3). Al tipo linguistico si correlano anche regolarità pertinenti alla struttura dei
sintagmi, cioè all’ordine delle teste nominali e dei rispettivi modificatori (come i
aggettivi attributivi (A), sostantivi dipendenti espressi al genitivo (G) nelle
lingue a casi, frasi relative (Rel).)
→ così nelle lingue SOV, emerge la tendenza all’uso di posposizioni e la prevalenza
di modificatori prenominali
Tipo (S)OV: Po & GN & AN & RelN
→ mentre nelle lingue SVO si riscontrano di solito preposizioni e modificatori che
seguono la testa nominale
Tipo (S)VO: Pr & NG &NA & NRel
- Il quadro della classificazione delle principali lingue europee in base ai parametri
della tipologia sintattico
SVO & Pr & NG & NA: lingue romanze, albanese, neogreco, maltese;
SVO & Pr & NG & AN: parte delle lingue germaniche (ted., ned., isl.), lingue slave;
SVO & Pr & GN & AN: lingue germaniche del gruppo settentr. (sv., nor., dan.);
SVO & Po & GN & NA: finlandese, estone;
SOV & Po & GN & AN: le restanti lingue ugro-finniche, turco;
SOV & Po & GN & NA: basco;
VSO & Pr & NG & NA: lingue celtiche (escluso il bretone)
- Tipologia sintattica delle lingue del mondo
SOV: lingue indoeuropee orientali (Indiano), latino, lingue altaiche (turco e
giapponese), lingue dravidiche (lingue dell’India meridionale), lingue del ramo
tibetano della famiglia sino-tibetana, lingue khoisan in Africa, il basco in Europa;
SVO: lingue indoeuropee occidentali (lingue romanze), lingue bantu in Africa,
gruppo sinitico della famiglia sino-tibetana;
VSO: lingue celtiche, lingue semitiche arcaiche, lingue austronesiane,
polinesiane: tongano e maori;
VOS: malgascio e qualche altra lingua austronesiana;
OVS: qualche raro esempio nei caraibi: hishkaryana;
OSV: wik ngathana, lingua australiana
→ L’ordine di distribuzione e frequenza proposta da Tomlin (1986)
SOV = SVO > VSO > VOS = OVS > OSV
→ Si vede che ben poche lingue si inquadrano con assoluta coerenza in un tipo
sintattico, in parte perché l’ordine dei costituenti è spesso regolato anche da
fattori legati alla pragmatica e alla struttura informativa dell’enunciato: le
funzioni sintattiche e semantiche a livello della frase, si sommano alle funzioni
comunicative a livello del contesto e del discorso.
→ A tal proposito, va precisato che esistono lingue in cui l’ordine dei costituenti
frasali è completamente vincolato alle condizioni pragmatiche: quindi il
primo distinguo tipologico dovrebbe riguardare proprio la separazione tra:
lingue con un ordine normato da fattori grammaticali e sintattici;
lingue con un ordine normato da fattori pragmatici (di per sé relativamente
elastico e flessibile, come in lat.);
→ Tre modi diversi di guardare ai confini della variazione sintattica tra le lingue e ai
fenomeni relativi all’ordine degli elementi e delle strutture:
1. sintattico: che individua rapporti gerarchici, relazioni grammaticali e di
dipendenza;
2. pragmatico: che focalizza l’interazione comunicativa tra parlante e ascoltatore;
3. cognitivo: che indaga il ruolo dei processi e/o vincoli mentali, ma anche le
operazioni con cui il parlante integra le informazioni e sviluppa
rappresentazioni mentali

6.5.2. TIPI IN TRANSIZIONE


-L’idea di una ‘tipologia dinamica’, Greenberg:
suggerisce di considerare l’incoerenza tipologica delle lingue con un possibile
riflesso di processi di cambiamento.
-Il caso del possessivo in inglese
L’inglese è una lingua SVO che presenta la caratteristica rara di due costrutti con
ordine speculare GN/NG (cf. John’s book/the book of John) per l’espressione del
possesso
 Interpretazione in chiave della tipologia dinamica:
Attribuendo il cosiddetto ‘genitivo sassone’ a uno stadio linguistico
antecedente, in cui vigeva il tipo SOV, l’aporia sembra risolversi.
 Interpretazione in chiava pragmatica:
d’altro canto è plausibile il costrutto ‘disarmonico GN (cf. John’s book)’ abbia
una diversa origine. Il mantenimento delle due opzioni si correli a differenze
semantico-funzionali, che chiamano in causa l’ordine di tipo pragmatico, che
pone seri dubbi sull’idea che i fenomeni di incoerenza tipologica riflettano
sempre degli stadi di transizione verso un tipo armonico.
 Interpretazione in chiave di Lehmann, 1973 e Hawkins, 1983
I diversi tipi linguistici, come in:
Tipo (S)OV: Po & GN & AN & RelN
Tipo (S)VO: Pr & NG &NA & NRel
istanzino un parametro ‘olistico’ di posizionamento del modificatore,
materializzino un principio di ‘serializzazione naturale’, o realizzino una sorta
di ‘armonia intercategoriale’
 Interpretazione in chiave di Dryer, 1992
Propone ‘la teoria della direzione della ramificazione’, la coerenza tipologica
nei costrutti che si correlano ai tipi VO e OV è rispettata solo dai costituenti
che hanno una struttura (micro)sintattica interna e che quindi, in una
rappresentazione ad albero, esibiscono una ‘ramificazione’ (a destra o a
sinistra).
Invece i costituenti di tipo lessicale, cioè privi di struttura sintattica, come ad
esempio l’agg., sono meno propensi ad occupare rigidamente una specifica
posizione.
Quindi, in ingl. il costrutto NG book of John ramifica a destra,
coerentemente con il tipo OV, mentre i costrutti GN John’s book e AN
black dog sono disarmonici perché non ramificano.
-Questi modelli hanno importanti ricadute sul piano dell’acquisizione linguistica e del
mutamento sintattico, poiché le lingue ‘coerenti’ dovrebbero essere più facili da
apprendere, nonché più stabili che statisticamente predominanti, mentre il
cambiamento tipologico dovrebbe avvenire ‘a cascata’ nei vari costrutti,
rovesciando rapidamente l’ordine tra teste e modificatori.
-Ma la scarsità delle lingue tipologicamente pure, e la lentezza con cui avviene il
riassetto diacronico, peraltro ciclico, invitano a una revisione delle aspettative sulla
tipologia sintattica che tenga conto anche di fattori pragmatici, cognitivi e
funzionali.

7. IL MUTAMENTO SEMANTICO - LESSICALE


7.3. I CARATTERI DEL MUTAMENTO SEMANTICO
- Citazione di Saussure
‘Una lingua è radicalmente impotente a difendersi contro i fattori che spostano
ad ogni istante il rapporto tra significato e significante. È una delle conseguenze
dell’arbitrarietà del segno. Le altre istituzioni umane – i costumi, le leggi, ecc. –
sono tutte basate, in gradi diversi, sui rapporti naturali delle cose: vi è in esser
una congruenza necessaria tra i mezzi impiegati e i fini da perseguire. Perfino
la moda che fissa il nostro abbigliamento non è interamente arbitraria: non ci si
può allontanare oltre un certo limite dalle condizioni dettate dal corpo umano.
La lingua, al contrario, non è affatto limitata nella scelta dei suoi mezzi, perché
non si vede che cosa impedirebbe di associare una qualunque idea a una
qualunque sequenza di suoni’.
Saussure, 1916
 Il ruolo dell’arbitrarietà nel mutamento linguistico
 Il parallelo tra i fenomeni linguistici e quelli sociali

- I caratteri del mutamento semantico


Se da un lato è vero che l’arbitrarietà rende questo rapporto virtualmente elastico,
dall’altro è vero che nelle parole, come negli abiti, il cambiamento è vincolato da
condizioni:
1. In primis, ci sono le condizioni dettate dai meccanismi della memoria e dai processi
cognitivi, che organizzano il lessico in classi e categorie ordinate, come i cassetti e gli
scomparti di un guardaroba.
2. In secondo luogo, il mutamento semantico spesso travalica il livello ‘atomico’ del
singolo segno e, nell’intreccio con la morfologia e la sintassi, rimodula relazioni
paradigmatiche e sintagmatiche che a loro volta ne definiscono i percorsi, come nel
caso della grammaticalizzazione.
3. infine, la libertà di collegare idee e sequenze di suoni menzionata da Saussure, è a
sua volta condizionata dai nessi associativi che di solito, nel mutamento, collegano il
vecchio significato con quello nuovo.

7.1.1. IL CONTENUTO DEL CAMBIAMENTO


- Gli aspetti del mutamento semantico
Riguarda il cambiamento di significato, inteso come cambiamento dei concetti
associati con una parola, che interessa diversi aspetti, quali:
1. Denotazione: ciò a cui il termine si riferisce
it. galera ‘nave a remi’ > ‘prigione’
2. Connotazione: ciò che un termine evoca
ant. ing. w íf ‘donna’ > ing. wife ‘moglie’
3. Registro: l’ambito o il contesto d’uso di un termine:
ing. thou, thee, thy, thine: forme arcaiche o dialettali per you, you, your, yours
- Etimologia: cambiamento in ambito semantico-lessicale, ricostruendo l’origine delle
parole attraverso l’analisi delle forme
→ Onomasiologia: studio sulle diverse realizzazioni lessicali (significanti) del
medesimo concetto (significato) in una o più lingue
→ Semasiologia: analisi sui vari significati assunti da uno stesso significante in un
dato sistema linguistico
- Definizione di Ullmann, 1957
Il mutamento semantico avviene quando un nuovo significante è riferito a un
significato e quando un nuovo significato è riferito a un significante.

7.2. MECCANISMI DEL MUTAMENTO SEMANTICO


- La classificazione del mutamento semantico di Ullmann
La nascita di un’innovazione non avviene ex abrupto, ma presuppone un legame di
continuità tra il vecchio segno e quello nuovo. Secondo Ullmann, questo legame si
può manifestare come associazione tra i sensi (significati), o come associazione tra
i nomi (significanti). In entrambi i casi è inoltre possibile che l’associazione avvenga
per somiglianza o per contiguità.
→ A livello di sensi, la contiguità e la somiglianza danno luogo rispettivamente a:
somiglianza dei sensi → metafora
contiguità dei sensi → metonimia / sinéddoche
→ A livello di nomi, la contiguità e la somiglianza danno luogo rispettivamente a:
etimologia popolare
ellissi

7.2.1. TIPI DI MUTAMENTO: I SENSI E I NOMI


- I sensi
Il mutamento semantico avviene quando la catàcresi (l’impiego sovraesteso) svuota
le figure retoriche di espressività fino a intrappolarle nell’uso corrente e
normalizzato, dove vanno a colmare lacune del lessico.
→ Legami associativi a livello di significato: La somiglianza tra i sensi
> determina la metafora
- Rapporto paradigmatico che interessa: prevalentemente nomi, verbi e aggettivi
- Tipologia di metafora:
1. tipo antropomorfo: il collo della bottiglia, i piedi del
monte, i denti del pettine
2. tipo zoomorfo: il cane del fucile, l’ala del parlamento, il
ruggito del motore
3. tipo materiale: ragazzo d’oro, fare il duro
4. tipo spaziale: avere luogo, venirsi incontro
5. dal concreto all’astratto: mani bucate, idea illuminante
6. per nesso sinestetico: dall’udito al tatto voce calda;
dall’olfatto al gusto odore dolciastro
- Sul piano diacronico: la complessità di recupero etimologico di certe metafore
‘spente’:
1) come l’it. testa: il termine lat. testa, da cui deriva it. testa, significava in
origine ‘guscio di tartaruga’, e fu inseguito esteso a indicare contenitore di
coccio, quindi anche il cranio, come metafora per caput ‘testa’.
2) una vicenda simile anche per il corrispettivo ted. kopf, che si sviluppa dal
termine di prestito latino cuppa ‘coppa’;
3) la relazione storica tra i due significati di fr. voler, ‘volare’ e ‘rubare’, si
capisce solo con il riferimento alla pratica medievale della falconeria e alla
metafora del rapace che ghermisce la preda in volo.
4) in tempi recenti, ing. mouse ‘topo’ e ‘dispositivo associato al computer’
→ Quando viene meno la consapevolezza dell’associazione che ha prodotto la
polisemia, si produce lo sdoppiamento tra entità lessicali ormai percepite come
omofone.

→ Legami associativi a livello di significato: La contiguità tra i sensi


> determina invece la metonimia e la sineddoche
- Rapporto sintagmatico che può presuppore:
1) la vicinanza materiale, come nella parte per il tutto cf. una vela
all’orizzonte; sono al volante; i sacri bronzi ‘le campane’
2) il simbolo per la cosa desiderata, cf. tenere fede alla propria bandiera
3) la cosa per la persona cf. il discorso della corona
4) il concreto per l’astratto o viceversa cf. avere fegato; l’umanità; eludere la
sorveglianza ‘le sentinelle’
5) la causa per l’effetto o viceversa cf. sentire le campane ‘ricevere notizie
brutte’, guadagnare con il sudore, vivere del proprio lavoro ‘di ciò che si
guadagna lavorando’
6) il contenitore per il contenuto cf. bersi un buon bicchiere
7) l’autore per l’opera cf. leggo Leopardi
8) il luogo di produzione/origine per la cosa prodotta un fiasco di Chianti
- la ricostruzione etimologica, in questo caso, è istruttiva e permette di recuperare
legami semantici fondati sulla contiguità materiale dei referenti.
1) il caso di lat. bucca ‘guancia’
lat. bucca ‘guancia’> it. bocca, sp. boca, cat. boca, port. boca, fr. bouche
mentre da fr. joue ‘jaw’ > med. ing. jaw ‘guancia’ > ing. jaw ‘mandibola’
2) un altro caso di pars pro toto:
nel lat. visus ‘vista’ > it. viso, fr. vis
3) la trafila di passaggi metonimici di moneta:
lat. moneta nella Roma antica indicava la zecca, in quanto sita sul Campidoglio,
presso il tempio di Iuno Moneta (da moneo ‘ammonire, avvisare’): dalla zecca >
si passa al conio, ovvero alla moneta coniata > e oggi al denaro tout court
→ Legami associativi a livello dei nomi: la somiglianza tra i nomi
> può dare luogo all’etimologia popolare (paretimologia)
- Il caso del fr. essuyer ‘asciugare’
che sviluppa il significato di ‘subire’ per l’accostamento fonetico a essayer
‘provare’, che fino a XVI sec. significava anche ‘soffrire’
- Il caso del lat. postumus (fenomeno di rianalisi)
Termini tecnici o obsoleti, non molto comprensibili come:
lat. postumus > lat. volg. posthumus
In questo caso, l’associazione con humus ‘terra’ modifica la struttura fonetica e
le relazioni morfologiche dell’agg., che viene reinterpretato come ‘(nato) dopo
la sepoltura (del padre)’e, nella forma posthumus, mantiene la trasparenza anche
come prestito all’inglese.
In effetti, la paretimologia riveste un ruolo interessante proprio nelle dinamiche
del prestito, che talora viene chiarito tramite l’accostamento a parole note.

→ Legami associativi a livello dei nomi: la contiguità tra i nomi


> può motivare l’ellissi, ovvero l’omissione dei termini di un sintagma che si
possono sottintendere
- Il caso di it. giornale
Per una trafila di ellissi, da foglio giornale > si è passati al semplice giornale e,
in tempi più recenti, da giornale quotidiano > si è arrivati al semplice
quotidiano.
- Il caso dell’ing. car
L’ing. car ‘automobile’ < presuppone l’ellissi nel sintagma motor car.

7.3. GLI EFFETTI E LE CAUSE DEL MUTAMENTO SEMANTICO


- Conseguenze di segno opposto
1. Estensione: Ampliamento dell’ambito semantico e dei contesti di impiego
- capita ai termini settoriali che si generalizzano
- il nome lat. panarium ‘cesta per il pane’ > it. paniere indica
genericamente ‘cesto di vimini’, che può contenere di tutto;
- il lat. rivalis, in origine ‘vicino che attinge allo stesso corso d’acqua’
> diventa poi it. ‘concorrente, avversario’;
- e il lat. egregius designava ‘il capo di bestiame che risalta nel gregge’
> prima di assumere il valore di ‘esìmio, eccellente’
2. Restrizione: Riduzione dell’ambito semantico e dei contesti d’uso
- capita ai vocaboli che si specializzano in un valore più specifico
- il v. lat. cubare ‘giacere’ nel lessico rurale si restringe al significato
conservato dall’it. covare e dal fr. couver.
- così l’ant. ing. mete perde il valore generico di ‘cibo’ nel passaggio
all’ing. meat, che designa solo la ‘carne commestibile’
- e anche hound in ing. passa dal significato di ‘cane’ a quello di ‘cane
da caccia, segugio’;
- mentre skyline in ing. un tempo usato in riferimento generico alla
linea dell’orizzonte, oggi descrive quasi esclusivamente un panorama
urbano caratterizzato dalla presenza di grattacieli.
- Effetti sul piano qualitativo
1. Miglioramento: Innalzamento in positivo della valutazione associata ad un
termine, come accade a:
- Il lat. minister ‘servo’, oggi continuato nell’it. ministro
- L’ing. knight ‘ragazzo, servo’, poi ‘cavaliere, nobile’
2. Peggioramento: Abbassamento in negativo della valutazione associata ad un
vocabolo, come nei casi di:
- Il lat. villanus, ‘abitante di una fattoria’, oggi ‘villano, zotico’
- L’ing. knave, ‘ragazzo, servo’, poi ‘disonesto, mascalzone’

- La classificazione proposta da Bloomfield, 1933: due fenomeni opposti


1. Iperbole: il passaggio da un significato più debole a uno più forte
- L’ing. kill ‘colpire, tormentare’, poi ‘uccidere’
- L’it. eliminare il cui antecedente lati. Significava ‘far uscire, mettere
fuori dalla porta’
2. Litote: il cambiamento contrario, da un significato più forte a uno più debole
- Il fr. étonner ‘stupire’, derivato dal lat. *ex-tonare ‘colpire con il
tuono’

7.3.1. L’EVOLUZIONE DELLE CATEGORIE E DELLE STRUTTURE


- L’organizzazione del lessico nell’ambito di una tassonomia:
1. La generalizzazione semantica > un percorso verso l’alto
→ Dal tipo al genere:
nell’ing. Kleenex per ‘fazzoletto di carta’
nell’ing. Hoover per ‘aspirapolvere’
2. La specializzazione semantica > un percorso verso il basso
→ Dal genere al tipo:
nell’ing. corn che perde il valore generico di ‘cereale’ e va a designare il
prodotto tipico di una certa area:
- Vale ‘mais’ negli Stati Uniti;
- Ma ‘frumento, grano’ in Inghilterra;
- E invece ‘avena’ in Scozia
3. Il trasferimento coiponimico > un percorso orizzontale
la confusione tra mascella e mandibola, o tra topo e ratto, oppure mouse e
rat in certi dialetti italiani e inglesi
- La semantica diacronica strutturale di Coseriu, 1964
Il mutamento del segno linguistico può interessare:
- il piano del contenuto
- il piano dell’espressione
1. l’organizzazione del contenuto può restare invariata in caso di semplici
sostituzioni sul piano dell’espressione, come accade a:
- il lat. femur ‘coscia’> rimpiazzato da lat. coxa > a sua volta sostituito in
it. anca e fr. hanche < dal germ. *hanka.
2. l’organizzazione del contenuto varia invece in caso di modificazioni sul
piano dell’espressione, come accade a:
- lat. albus ‘bianco’ e candidus ‘bianco brillante’ > it. bianco
- lat ater ‘nero’ e niger ‘’nero brillante > it. nero
→ in seguito alla perdita del tratto ‘brillante’, che modifica
l’organizzazione nel lessico dei colori
- lat. puer > it. ragazzo / bambino, fr. enfant / garçon
→ in seguito all’acquisizione del tratto ‘piccolo’, che modifica e complica
il contenuto che descrive l’essere umano giovane

7.3.2. LE MOLTE CAUSE DEL MUTAMENTO SEMANTICO


- Ullmann, lista di sei cause del mutamento semantico:
1. Fattori di ordine linguistico
2. Fattori di ordine storico
3. Fattori di ordine sociale
4. Fattori di ordine psicologico
5. Influenza di altre lingue
6. Creazione di parole nuove
- Blank, 1999, lista di due ordini principali di fattori motivatori del mutamento
semantico:
Muovendo dalle riflessioni di Coseriu sul ruolo centrale dell’efficienza
comunicativa del mutamento linguistico, Blank osserva che l’indafine sulle
motivazioni in ambito semantico-lessicale deve riunire le cause dei mutamenti
specifici in tipi generali e chiarire le basi cognitive di questi tipi:
1. fattori linguistici: che determinano cambiamenti in relazione a particolari
condizioni sintagmatiche o paradigmatiche.
→ Il mutamento semantico è infatti parte integrante dei processi di
grammaticalizzazione, come quello per cui:
es. Il fr. pas, usato in correlazione con ne, sviluppa poi da solo il valore di
negazione nel fr. colloquiale
→ Il lessico è strutturato in categorie semantiche, il cambiamento di un
elemento può investire anche gli altri, come nel caso di:
es. ing. fowl passa dal valore generico di ‘uccello’ > a quello specifico di
‘pollame’, cede la posizione di taxon sovraordinato a
> bird che prima indicava ‘pulcino’ e adesso ‘uccello’ in generale, tipo
quello:
→ Inoltre, può verificarsi un conflitto omonimico (omofonico)
es. fr. hui ‘oggi’, che per la brevità e la sovrapposizione con oui ‘sì’, > è stato
sostituito da aujourd’hui ‘al giorno d’oggi’, > a sua volta espressa dalla
locuzione de nos jour

2. fattori extralinguistici: che chiamano in causa motivazioni e cambiamenti


esterni alla lingua, principalmente negli ambiti socio culturale, storico e
psicologico.
→ Fattori socioculturali:
1. il caso curioso di antonimia interlinguistica:
dal lat. plicare ‘piegare’ derivano > il rum. a pleca ‘partire’
> lo sp. llegar ‘arrivare’
> il port. chegar ‘arrivare’
→ Probabilmente i significati opposti si motivano con il fatto che, presso la
società pastorale rumena, ‘piegare le tende’ era sinonimo di ‘partenza’,
mentre nel mondo marinaro della penisola iberica, ‘piegare le vele’ era
sinonimo di ‘arrivo’.
2. il caso della denominazione dei pasti francese:
Certi cambiamenti sociali si riflettono nell’organizzazione degli ambiti
lessicali, come la denominazione dei pasti in francese, che passa da un
sistema bipartito a quello quadripartito oggi in uso.
Infatti, fino al XVI sec. l’usanza prevedeva due pasti:
- Il principale a metà mattina: disner/desjeüner > dal lat. volg. *disjejunare
‘interrompere il digiuno’
- E un altro leggero a metà pomeriggio: souper
In seguito, la nobiltà, imitata dalla borghesia urbana, cominciò a
consumare il pasto principale a mezzogiorno, con conseguente
introduzione della colazione (déjeuner), seguita dal pasto principale a
mezzogiorno (dîner) e dal pasto serale (souper).
Ma nel XIX sec., l’organizzazione lavorativa della società urbana favorì lo
spostamento del pasto principale alla sera (dîner), eventualmente seguito
da uno più leggero, magari dopo gli spettacoli (souper), e mentre il paso
del mattino diventa il pranzo (déjeuner), fu creato un nuovo termine per la
prima colazione (petit déjeuner).
→ Fattori storici:
sono quelli che in relazione alla scomparsa di determinate realtà materiali,
isolano significati e/o determinano sdoppiamenti semantici:
1. così la scomparsa della penna d’oca per scrivere determina variamente il
destino di it. penna, ted. feder e fr. plume.
2. E poiché la lingua si evolve più lentamente della cultura scientifica e
ideologica, l’atomo è rimasto tenacemente ‘indivisibile’ (< gr. átomos) anche
dopo la scoperta delle particelle subatomiche.
→ Fattori psicologici:
sono quelli che riguardano la tendenza all’enfasi espressiva, come ad es.:
1. nel termine med. alto ted. sére ‘ferito, dolorante’ > ted. sehr ‘molto’
2. nel lat. male hab ǐtus ‘in cattiva condizione’ > fr. malade, ‘malato’
→ questo tipo di mutamento è particolarmente frequente nell’ambito
dell’esperienza emotivamente rilevanti, come mangiare e bere, sesso,
morte, paura, rabbia, bellezza, speranza, grande quantità e/o intensità,
orientamento nel tempo e nello spazio.
→ Interazione tra fattori socioculturali e psicologici:
Alcuni di questi ambiti sono soggetti al tabu e all’eufemismo, in cui le
dinamiche psicologiche si intrecciano con quelle socioculturali. La tendenza
ad evitare il riferimento diretto a concetti spiacevoli o stigmatizzati,
determina sostituzioni (talora a catena) di parole: così metafore, metonimie,
ellissi, restrizioni semantiche e antifrasi (anche ironiche) creano innovazioni
nel lessico motivate da timore, pudore o reverenza.
1. un noto es. è la tabuizzazione del nome dell’orso che, nelle lingue slave,
baltiche, germaniche e celtiche, ha etimologie indipendenti ma accomunate
dalla denominazione indiretta dell’animale (cf. ant. sl. medvěd ǐ ‘mangiatore
di miele’, med. gall. melfochyn ‘porco da miele’, irl. maith ‘buono’).
2. così anche il fr. belette ‘bellina’, il port. doninha ‘donnina’, lo sp.
comadreja ‘piccola comare’ e l’it. donnola designano gentilmente il feroce
mustelide che fa strage di polli e conigli.
3. altri ambiti privilegiati di tabu e eufemismo sono la morta, o meglio
l’ultimo viaggio, e la malattia, o meglio l’infermità. Infatti il termine lat.
infirmus ‘debole’ diventa in it. malato e in sp. enfermo, mentre il
corrispettivo rum. l ǐnced deriva dal lat. languidus ‘fiacco’.
4. infine, la volgarità di certe espressioni si può evitare con circonlocuzioni
attenuative come l’ing. four-letter word, f-word oppure solo What the eff, e
altre forme sostitutive f-bomb; mentre in it. la perifrasi donnina allegra un
tempo era sinonimo di lucciola, cioè quella che oggi, con un prestito, è
diventata escort.

7.3.3. TENDENZE DEL MUTAMENTO SEMANTICO


-Le tre tendenze principali:
1. significati basati sulla situazione esterna
> significati basati sulla situazione interna (livello valutativo, percettivo, cognitivo)
→ il passaggio da concreto ad astratto, da fisico a mentale:
conferme interessanti al riguardo si ricavano dai verbi che significano
‘capire, comprendere’. In questo ambito, le metafore o metonimie
tendono a opacizzarsi e perdono il loro significato concreto:
a. lat. comprehendĕre ‘afferrare’ > it. comprendere ‘capire’
b. lat. capĕre ‘prendere’ > it. capire
quando si perde la percezione cognitiva della conoscenza mentale acquisita
mediante un atto fisico, la lingua rinnova il legame creando una nuova
metafora:
a. it. afferrare > ‘capire’
b. ing. grasp > ‘capire’
→ Ma la comprensione richiede anche la vicinanza fisica alla realtà che è
oggetto di conoscenza:
nell’ing. understand traspare etimologicamente lo ‘stare sotto’ (ma
under in origine significava anche ‘tra’),
e il ted. verstehen è lett. ‘stare intorno o davanti’,
ma già nel gr. epìstamai ‘so’ equivale a ‘sto sopra’, mentre l’immagine
spaziale lascia il posto alla conoscenza veicolata dalla percezione fisica
nel gr. òida ‘ho visto’ > ‘so’
2. significati basati sulla situazione esterna o interna
> significati basati sulla situazione testuale e metalinguistica
→ es. i v. di azioni fisiche o percezioni che producono stati mentali tendono
a sviluppare il significato e le funzioni dei v. di dire (speech act verbs)
ing. observe ‘guardare attentamente, percepire’ > ‘affermare, dichiarare’
→ es. di while in ing.
ant. ing. hw íl ‘periodo del tempo’,
ant. ing. sintagma avverbiale pá hw íle pe ‘al tempo che’, dalla cui
abbreviazione nasce l’uso come congiunzione;
> ing. while ‘mentre’: quindi si sviluppa il valore di connettivo temporale
‘mentre’ (rilevante nella dimensione testuale della narrazione);
> ing. while ‘sebbene’, da cui in seguito si arriva al significato connettivo
‘benché, sebbene’.
→ Nella vicenda di while, l’emergere della valenza concessiva, porta in
primo piano anche la valutazione soggettiva del parlante, a conferma
dell’intreccio dei significati testuali e proposizionali con quelli pragmatici
3. Significati basati in modo crescente su credenze/stati/attitudini del parlante
> verso la proposizione
il ruolo dell’esperienza del parlante nel mutamento semantico è evidente nella
nascita di significati soggettivi
→ es. lo sviluppo della modalità epistemica a partire dalla modalità deontica
nelle lingue che possiedono verbi modali polisemici (ad es. l’it., il fr.,
l’ing., etc.).
ant. ing. magan ‘avere la forza di’, significato concreto di abilità fisica
> ing. may ‘potere’, significato deontico di possibilità come permesso
(sociale);
> infine al senso epistemico di possibilità logica
he may come ‘è capace di venire’ > ‘ha la facoltà di venire’ > ‘può
darsi che venga’
→ È evidente che questa riflessione sulle tendenze del mutamento
semantico, riconduce all’evoluzione dei significati e delle funzioni
nell’ambito di grammaticalizzazione, in cui come si è visto, assume
particolare rilievo anche la dimensione della gradualità.

7.4. LA GRADUALITÀ DEL MUTAMENTO SEMANTICO


7.4.1. LA GLOTTOCRONOLOGIA E LA LESSICOSTATISTICA
-Glottocronologia
Fondata da Morris Swadesh, studioso di lingue amerindiane, è un ambito di
indagine fondato su due assunti:
 Che le lingue del mondo possiedano un ‘lessico di base’ relativamente stabile
 Che la velocità con cui si modifica il patrimonio lessicale sia costante nel
tempo, in modo simile alla catena di decadimento degli elementi radiottivi.
1. La tecnica di valutazione:
si fonda su una lista di circa 200 parole, possibilmente indipendenti
dall’ambiente e dalla cultura: quindi i pronomi, le parti del corpo, i primi
numerali, le grandezze, alcuni verbi basilari, etc.
→ quindi il confronto statistico del lessico fondamentale di due lingue mira a
ottenere il tempo durante il quale esse si sono sviluppate indipendentemente.
→ in sostanza, più è alta la percentuale di parole correlate etimologicamente
nelle liste di parole, più è recente il momento di separazione tra le lingue e da
una lingua madre comune.
2. La critica
in generale, a prescindere dalle difficoltà insite nell’individuazione di un
appropriato campione di lessico, gli studiosi guardano con cautela all’idea di un
vocabolario di base, perché la persistenza dei significati, quanto poi alla
costanza del ritmo di cambiamento, misurare la sostituzione del lessico sembra
del tutto inattuabile: non solo perché ‘chaque mot a son histoire’, ma soprattutto
perché le lingue possono essere influenzate da eventi socio-storici (guerrre,
invasioni, crisi culturali, etc.) per loro natura imprevedibili e, quindi, non
computabili.
Peraltro, oltre ai mutamenti sistematici, le lingue sono sotto poste a
cambiamenti casuali e sporadici, come quelli che si manifestano nel prestito,
nell’onomatopea, nella deriva semantica, nelle irregolarità flessionali, nei
processi fonologici, e analogici che investono singoli termini o gruppi ristretti di
forme. Inevitabilmente, l’accumulo di tali percorsi erratici e ‘disordinati’ induce
un livello di entropia tale da inficiare la ricostruzione di fasi molto remote,
annullando le prove di relazioni genetiche collocabili oltre i 10,000 anni di
distanza.
Il metodo di Swadesh risulta non solo impraticabile per la comparazione fra
proto lingue ricostruite, ma si dimostra anche poco affidabile quando applicato a
lingue derivate da un antenato molto remoto, e quindi imparentate alla lontana,
nonché agli ambiti caratterizzati da un numero molto ampio di lingue. Tuttavia,
recenti miglioramenti della metodologia statistica, suggeriti dalla branca della
biologia che studia i mutamenti diacronici del DNA e la sostituzione dei geni,
hanno rinnovato l’interesse per questo tipo di ricerche: ad es., si è cercato di
calibrare i calcoli in base ad eventi storici noti e di abbandonare l’assunto del
ritmo costante di cambiamento. Altri tentativi di aggirare le criticità si fondano
sull’idea che il confronto tra gli elementi del lessico può prescindere dai dettagli
ricostruttivi, e che un campione sufficientemente ampio di vocabolario può
comunque condurre a conclusioni statisticamente significative.
-Lessicostatistica
1. L’obiettivo della ricerca:
l’obiettivo della più recente lessicostatistica e della mass lexical comparison (un
modello di confronto multilaterale elaborato da Greenberg), non è anto il
recupero di stadi linguistici ancestrali, ma la rilevazione e la misurazione del
grado percentuale di somiglianza fra le lingue, in particolare le circa 500
della macrofamiglia amerindiana, la cui classificazione è ancora oggetto di
dibattito.

7.5. MUTAMENTO SEMANTICO E UNIVERSALI


Una sintesi delle acquisizioni più stimolanti e dei percorsi che, negli ultimi anni,
sembrano comunque indicativi di un interesse crescente verso il sodalizio tra
semantica e universali.

7.5.1. SEMANTICA UNIVERSALE E UNIVERSALI SEMANTICI


- Semantica universale
È la parte della teoria semantica che studia le proprietà semantiche generali del
linguaggio in confronto alle proprietà semantiche specifiche delle lingue
- Universali semantici
Sono proprietà che le semantiche di tutte le lingue hanno in comune. Dunque per
universale semantico si intende qualunque aspetto del significato che sia
rappresentato in tutte le lingue.
1. gli universali semantici possono essere:
- le scale di animatezza
- le scale di individuazione
- la gerarchia nella sfera dei colori
2. l’animatezza:
è una proprietà dei nomi che si riflette nella grammatica di moltissime lingue,
governando l’uso dei pronomi, dei classificatori, delle categorie flessionali.
→ una delle possibili versioni della gerarchia di animatezza:
pron. 1a pers. > pron. di 2a pers. > pron. di 3a pers. > n. proprio
umano > n. comune umano > n. animato > n. inanimato
3. il lessico e la semantica
- Quanto al lessico
recenti studi sui ‘primitivi semantici’, ovvero i concetti elementari in cui si
suppone possa essere scomposto il significato di tutte le unità lessicali
- Quanto alla semantica
l’indagine sulla categorizzazione dei significati ha esplorato in chiave tipologica
domini concettuali come l’ambito dei colori, le relazioni di parentela, la
percezione, il movimento, la dimensione, le parti del corpo.
Infine tra gli elementi con significati più grammaticali, sono stati studiati in modo
sistematico e in chiave tipologica i pronomi indefiniti, gli avverbi di frase, le
adposizioni spaziali, la quantificazione.
→ Tendenze assolute per i nomi di parti del corpo
a. Tutte le lingue hanno una parola per ‘corpo’
b. La maggior parte delle lingue ha termini dedicati per ‘testa’,
‘tronco’, ‘braccio’(che può includere ‘mano’), ‘occhio’, ‘naso’,
‘bocca’;
c. Il lessico per la parte superiore del corpo è più specifico,
variegato e di uso frequente rispetto a quello per la parte
inferiore;
→ Tendenze implicazionali per i nomi di parti del corpo
a. Se una lingua ha un termine per designare il piede, allora ha anche un
termine per designare la mano;
b. Se una lingua ha parole per designare le singole dita del piede, allora ha
parole per designare anche le singole dita della mano (cf. it. pollice,
indice, medio, anulare, mignolo per la mano, alluce per il piede; ted. per la
mano: daumen, zeigefinger, mittelfinger, ringfinger, kleiner finger, ma
nessun n. specifico per le dita del piede.)
7.5.2. I NOMI DEI COLORI
- Studi sui cromonimi
Nel secolo scorso, l’ambito dei cromonimi ha attratto l’interesse degli antropologi
che ne hanno fatto il terreno empirico su cui testare le ipotesi sulla relatività
linguistica e culturale. Già dagli anni ’20 e ’30 le idee elaborate da Boas e Sapir
avevano cominciato a diffondersi, e negli anni ’40 Whorf descriveva il mondo
‘come un flusso caleidoscopico di impressioni che deve essere organizzato dalle
nostre menti, il che vuol dire che deve essere organizzato in larga misura dal sistema
linguistico delle nostre menti.’ Ma se è vero che la lingua fornisce le categorie
mediante le quali la mente umana struttura la realtà, allora lingue diverse dovrebbero
veicolare e pilotare diverse modalità di organizzazione percettiva. Per dimostrare
ciò, negli anni ’50 e ’60, gli studi sui nomi dei colori condotti dai sostenitori del
relativismo miravano a mettere in luce le differenze nei sistemi di cromonimi.
Curiosamente, però, questo ambito lessicale si collega ad uno dei pochi domini
percettivi per cui gli esseri umani possiedono recettori periferici dedicati: infatti,
nella retina, i bastoncelli e almeno tre diverse famiglie di coni servono per
identificare variazioni relative alla lunghezza d’onda e alla luminosità del colore.
Dunque non sorprende che qui abbia invece trovato conferma l’idea opposta:
l’esistenza di universali semantici prodotti da universali percettivi.
Nel 1969, Berlin e Kay hanno confrontato i nomi dei colori in un centinaio di lingue,
arrivando alla conclusione che ciascuno dei termini, in tutte le lingue analizzate, era
riconducibile a uno tra i seguenti undici colori di riferimento: bianco, nero, rosso,
verde, giallo, blu, marrone, viola, rossa, arancione e grigio. Gli studiosi hanno poi
rilevato delle restrizioni distribuzionali e una precisa sequenza nello sviluppo del
lessico cromonimico: stabilito che tutte le lingue possiedono termini per il bianco e
il neo, si può ipotizzare che una gerarchia implicazionale secondo cui, se una lingua
ha un dato termine di colore, allora avrà anche il termine che si trova alla sua sinistra
nella gerarchia. In base alla sequenza evolutiva di Berlin e Kay, il nero e il bianco
precedono il rosso, che a sua volta precede il verde e/o il giallo, i quali precedono il
blu, mentre quest’ultimo precede il marrone, a cui seguono il viola e/o il rosa e/o
l’arancio e/o il grigio
In breve gli studi sull’argomento si sono moltiplicati:
a partire dal 1978, due importanti indagini: il World Color Survey e il Middle
American Color Survey, hanno confermato l’esistenza di una gerarchia universale
che organizza la categoria e permette di identificare dei ‘tipi linguistici’ in base al
numero di cromonimi
a. NERO, BIANCO: jalé, dani (Papua Nuova Guinea)
b. NERO, BIANCO, ROSSO: tiv (Nigeria)
c. NERO, BIANCO, ROSSO, GIALLO: ibo (Nigeria)
d. NERO, BIANCO, ROSSO, VERDE: ibibio (Nigeria)
e. NERO, BIANCO, ROSSO, GIALLO, VERDE: tzelal (Messico)
f. NERO, BIANCO, ROSSO, GIALLO, VERDE, BLU: tamil di pianura (India)
g. NERO, BIANCO, ROSSO, GIALLO, VERDE, BLU, MARRONE: nez percé (USA)

Gli studiosi hanno inoltre precisato altri caratteri strutturali di questo ambito
lessicale: in generale, un colore di base:
a. non è sussunto dalla definizione di un altro termine: cf. scarlatto ‘rosso intenso e
brillante’ > rosso ‘dello stesso colore del fuoco e del sangue, uno dei sette colori
fondamentali dell’iride’;
b. è codificato da etichette monomorfemiche (forme morfologicamente semplici): cf.
giallo vs. giallastro oppure giallo canarino;
c. non ha restrizioni nella gamma collocazionale; cf. giallo vs. biondo (capelli, pelo,
barba, baffi, testa)
d. è di uso frequente, cioè è tra le parole di ‘rango’ elevato nei lessici di frequenza.
In effetti, tutta la frequenza gerarchica dei nomi dei colori, interpretata nel quadro
funzionale secondo cui le strutture della grammatica riflettono l’uso della lingua,
sembra diacronicamente modellata da fenomeni di frequenza. Nel senso che, da un
lato, i cromonimi tipologicamente più diffusi (bianco e nero) sono anche quelli usati
più spesso, e per questo tendono a rimanere stabili nel lessico delle lingue, e
dall’altro lato, la creazione di etichette basiche per nuovi colori che vanno a
completare la sequenza può riflettere la fusione e riduzione (da poli a
monomorfemiche) normalmente subita dalle parole più usate dai parlanti.
La frequenza riveste un ruolo importante nelle dinamiche del mutamento, ma tra i
meccanismi che lo innescano, il contatto linguistico ha conseguenze sicuramente più
immediate e vistose.
8. IL CONTATTO TRA LE LINGUE

8.1. I CARATTERI DEL CONTATTO LINGUISTICO


- Linguistica del contatto
Un settore che indaga processi di tipo prevalentemente sincronico, ma con evidenti
ricadute anche nell’orizzonte diacronico.
Gli argomenti di studio:
- Le dinamiche di sovrapposizione e/o conflitto tra codici linguistici;
- Il modo in cui una lingua accoglie, diffonde e scambia elementi;
- L’individuazione e la datazione dei materiali alloglotti;
- Definizione del contatto
- Secondo Weinreich, 1953: due o più lingue si diranno in contatto se sono usate
alternativamente dalle stesse persone. Il luogo di contatto è quindi costituito dagli
individui che usano le lingue.
- Secondo una visione più ampia: oltre alle singole persone, il luogo di contatto può
essere sia la comunità sociale nel suo insieme, sia una determinata area
geografica.
- Multilinguismo
è una condizione da sempre diffusa presso le comunità di parlanti, l’interazione stabile
e protratta tra locutori di lingue diverse determina influssi che, nel dettaglio
dell’interazione, interessano i diversi livelli delle strutture linguistiche, mentre su
larga scala, alterano i rapporti tra i codici in contatto.
→ Un continuum di fenomeni delle dinamiche del contatto:
adozione di elementi del vocabolario;
scomparsa delle varietà minoritarie;
creazione di lingue miste e lingue nuove;

8.1.1. L’INTERFERENZA
- cos’è l’interferenza:
la manifestazione del contatto linguistico prende il nome di interferenza.
L’interferenza consiste nell’imitazione degli elementi di una lingua modello in un
contesto diverso da quello di pertinenza, ovvero quello di una lingua-replica.
(Gusmani, 1993)
- fenomeno di interferenza: il code-switching
il passaggio involontario da un codice linguistico ad un altro nella produzione di un
messaggio;
i forestierismi/xenismi, ovvero le citazioni occasionali di termini appartenenti ad
altre lingue;
a livello fonologico e soprasegmentale, la pronuncia errata di una lingua secondaria
da parte di parlanti bilingui imperfetti.
- cambiamento della lingua-replica:
in concreto, tale modificazione stabile si registra solo quando l’influenza del
modello si estende e, sotto forme di innovazione diffusa, interessa progressivamente
un numero sempre maggiore di parlanti.

8.1.2. LE FORME DELL’INTERFERENZA: IL PRESTITO E IL CALCO


- Due processi principali: le forme di interferenza si esplicano sia a livello del
significato che a livello del significante
1. prestito:
interessa parole e sintagmi, di cui riproduce oltre al significato anche il
significante, con eventuali adattamenti alle strutture della lingua-replica
es. ing. shoeshine > it. sciuscià ‘lucidascarpe’
2. calco:
interessa parole e sintagmi, di cui riproduce solo il contenuto semantico, mentre il
significante viene replicato tramite le risorse della lingua ricevente
es. ing. basketball > it. pallacanestro
- Un confronto tra prestito vs. calco:
1. Requisiti
Per il prestito, è sufficiente una conoscenza approssimativa del modello;
Per il calco, è necessaria una competenza tale da permetterne un’analisi formale e
semantica;
2. cultural borrowing e intimate borrowing
-il prestito culturale:
riguarda l’influsso di una comunità linguistica su un’altra in caso di bilinguismo
sporadico e circoscritto
→ l’interferenza linguistica assumerà più facilmente la forma del prestito nella
situazione di bilinguismo sporadico e circoscritto
-il prestito profondo:
riguarda i casi di uso contemporaneo di più lingue da parte della stessa comunità,
quindi il bilinguismo esteso e stabile
→ i processi di calchi si diffonderanno probabilmente nel bilinguismo esteso e
stabile, dove l’uso di una lingua diversa da quella primaria è sistematico.
- La determinazione della forma prevalente di interferenza in una lingua ricevente
1. l’atteggiamento:
dipende dall’atteggiamento della comunità dei parlanti dell’ambiente che
veicola il modello.
Se il modello gode di prestigio riconosciuto, allora sarà molto probabile il
prestito;
al contrario, se la comunità si sente ‘minacciata’, saranno diffuse tendenza
puriste e l’interferenza si orienterà verso il calco, in cui è meno visibile
l’apporto straniero.
2. la comodità d’uso:
la comodità d’uso (ad es. it. basket al posto di pallacanestro) oppure la volontà
di mantenere la connotazione originale del termine straniero (ad es. it. lapin
dal termine fr. del ‘coniglio’, un tempo usato per indicare non solo la specifica
pelliccia, ma anche il richiamo alla moda d’oltralpe), che una resa tramite
materiale indigeno annullerebbe.
8.1.3. LE MOTIVAZIONI DELL’INTERFERENZA
1. Il prestigio:
Il prestigio di cui gode la comunità della lingua-modello contribuisce sicuramente a
diffondere calchi e prestiti presso fasce sempre più ampie di parlanti della lingua-
replica.
2. La necessità di riempire le lacune lessicali:
Ma spesso è la necessità di designare realtà materiali o concettuali prima sconosciuti
che favorisce l’ingresso di nuovi termini stranieri.
Ad es. la cristianizzazione della Gran Bretagna, conclusa nel VII sec., introduce in
ing. molte novità, tra cui devil, altar, priest < lat. diabolus, altare, presbyter
3. I fattori di ‘comodità’
I fattori di comodità possono promuovere le forme importate:
Ad es. in ing. la sostituzione degli antichi pronomi di terza pers. plur. hy, he, hem >
con le forme di origine scandinava they, them, è dovuta al fatto che quelle native
erano diventate troppo simili ai singolari he e him.
4. La particolare espressività
Ad es. ted. blitzkrieg ‘guerra-lampo’ > it. blitz ‘operazione militare rapida e
improvvisa’
5. La tendenza a evitare la menzione esplicita
Al contrario del caso precedente, può essere decisiva anche la tendenza a evitare la
menzione esplicita di certe realtà:
Ad es. it. accoglie dal fr. toilette
6. Le mode xenofile
Da considerare anche queste, che promuovono la formazione di neologismi ricavati
da modelli stranieri.

8.2. PRESTITI E CALCHI


- Precisazione
È la riproduzione di un elemento linguistico alloglotto semanticamente autonomo,
sotto il punto di vista del significato e del significante: il fenomeno si può accertare
solo in presenza di un reale rapporto di imitazione, mentre non è sufficiente basarsi
solo sull’aspetto esteriore, talora ingannevole.
- Falsi prestiti
1. Derivati e composti creati autonomamente con materiale straniero:
ad es. it. snob è un anglicismo, ma it. snobbare è una creazione dell’it.
indipendente dall’ing.
2. Retroformazioni su veri prestiti
come ing. difficult, < tratto da difficulty a sua volta deriva dal fr. difficulté secondo
lo stesso rapporto avvertito tra termini come honest e honesty.
3. Combinazioni originali (semantemi + morfemi che risalgono a modelli stranieri)
come it. motocross, autogrill
4. falsi esotismi derivati dalla presupposizione di un modello straniero
come it. recordman che non ha corrispettivo in ing., pur essendo virtualmente
possibile.
- L’aderenza imperfetta dei prestiti
L’imitazione che avviene nel prestito non implica necessariamente una perfetta
aderenza alla semantica del modello, si osservano in molti casi:
1. un restringimento o un totale fraintendimento del significato rispetto alle parole del
modello:
per es. l’it. gol riproduce solo il significato sportivo di ing. goal, che indica ‘meta,
scopo’
2. discrepanze al livello di significante fra modello e replica
per es. il serb. herceg [ˈhert͡seg], < non proviene da il ted. herzog, ma presuppone
l’intermediazione dell’ung. herceg, in cui ha agito l’armonia vocalica.
→ Queste discrepanze possono indicare che il prestito è veicolato da una
lingua che, per motivi geografici, culturali, commerciali, etc., funge da
mediatrice.
- Il prestito diretto e il prestito a distanza
1. prestito diretto:
di solito il prestito è diretto, cioè si trasmette per via orale in seguito a fenomeni di
contatto all’interno di aree mistilingui (nei contesti storici)
2. prestito a distanza:
ma oggi il contatto con il modello può avvenire anche tramite la stampa e altri
mezzi di comunicazione che connettono aree lontanissime. Questo tipo di prestito
rivela la sua origine nei modelli di tipo scritto attraverso le imprecisioni di carattere
fonetico:
Ad es. l’it. quiz viene pronunciato con /ts/ al posto di /z/ dell’ing.
- Il prestito di ritorno:
il caso in cui un elemento prestato in precedenza, rientra in seguito nella lingua-
modello, ma con alterazioni di pronuncia e semantica:
Ad es. lat. testum > ant. fr. test ‘recipiente di terracotta per provare la purezza dei
metalli’ > nell’epoca medievale giunto nel vocabolario ing. test ‘verifica, prova’ >
fr. test

8.2.1. L’ASSIMILAZIONE DEI PRESTITI


dato che la lingua-replica non ricopre quasi mai un ruolo totalmente passivo, ma
reagisce adattando i materiali allotri alle proprie strutture in misura variabile, sia in
rapporto al grado di diffusione tra i parlanti, sia in base al livello di conoscenza della
lingua-modello
- Due aspetti del processo di assimilazione:
1. acclimatamento: (uso)
è determinato dall’uso protratto del termine e si manifesta nella produttività
che permette, ad es., la creazione di forme derivate, come it. baretto da bar, che
è di origine inglese.
2. integrazione: (forma)
consiste nell’adattamento del prestito alla lingua-replica sul piano:
- grafico (fr. liqueur > ted. likör)
- fonologico (ant. a. ted. theodisk /θ/ > it. tedesco /t/)
- morfologico (ing. flirt > it. flirtare)
- lessicale, con la stabilizzazione nel vocabolario della lingua ricevente.
- Spesso un prestito altamente integrato nella lingua-replica è anche acclimatato, ma
non sempre:
per es. it. sciuscià è altamente integrato, ma non altrettanto acclimato, cioè non è né
di dominio, né di uso comune; al contrario, il termine bar è ampiamente conosciuto
e usato, ma non è integrato formalmente nelle strutture dell’italiano.

8.2.1.1. L’INTEGRAZIONE FONOLOGICA


- l’adattamento ricorre a diverse strategie di sostituzione dei foni allotri
1. approssimazione:
la lingua-replica ricorre a (combinazione di) fonemi sentiti come più simili al
modello: come ad es. nel caso del suono /y/ del fr., sostituito da /u/ nell’it.
menu e da /ju/ nel rus. bjuro < fr. bureau
2. adeguamento meccanico:
si verifica soprattutto nel caso di nessi non contemplati dalle regole
fonotattiche vigenti nella lingua-replica, come il ted. streik < ing. strike, che
sostituisce [st-] con [ʃt-] perché il nesso grafematico riflette pronunce
differenti nelle due lingue;
3. analogia:
in una situazione di ripetuti scambi interlinguistici, certe corrispondenze si
consolidano e si estendono ad ogni episodio di prestito che le ripropone: così,
la relazione fr. meilleur /j/ > it. migliore /ʎ/ si conferma anche nel verbo
deragliare, > prestito dal fr. dérailler
- bilinguismo:
Quando tra due comunità si istituiscono scambi stabili, o si ha una situazione di
bilinguismo, l’attitudine a riprodurre fedelmente il significante del modello può
favorire l’introduzione di fonemi nuovi.
A questo proposito, è interessante osservare il ruolo dei prestiti nel processo di
fonologizzazione della fricativa sonora nell’inglese medievale: la presenza di /v/
in posizione iniziale nei termini di origine francese come very, vain, e veal ha
senz’altro contributo ad annullare i vincoli contestuali del suono e a conferirgli lo
statuto di fonema.

8.2.1.2. L’INTEGRAZIONE MORFOLOGICA


- esiste una vasta gamma di strategie di interpretazione e adattamento che i parlanti
possono mettere in campo per assimilare l’innovazione alle strutture della lingua-
replica.
- Nel caso delle lingue affini
1. un’opzione consiste nell’individuazione della classe flessionale che presenta
morfemi più simili a quelli del prestito:
ad es. fr. brioche > it. brioscia
2. un altro tipo di percorso consiste nell’ampliamento ‘meccanico’ del termine
d’influsso straniero per mezzo del formante indigeno più frequente e regolare:
ad es. ing. flirt > it. flirtare
3. ci sono anche scelte più articolate pilotate dalla percezione di somiglianze:
ad es. il fr. estriver ‘sforzarsi’ > viene accolto nella forma del v. med. ing. str í
ven che, in virtù del parallelo con wr íten ‘scrivere’ e r íden ‘cavalcare’, si
integra nel paradigma irregolare strive, strove, striven, adeguandosi quindi alle
strutture flessionali del modello indigeno: write, wrote, written.
un altro caso analogo è il lat. scr íbo ‘scrivere’ > che il tedesco ha integrato
come verbo forte perché la somiglianza tra ant. a.ted. scr íban e tr íban
‘condurre’ ha indotto la condivisione della tipica alternanza apofonica: ted.
treiben, trieb, getrieben, e quindi scheibe, schrieb, geschrieben.
- Nel caso delle lingue che hanno categorie solo apparentemente sovrapponibili,
come il genere grammaticale:
curiosamente il lat. numerus maschile, e palatium neutro > in ted. diventano
femminili die nummer e die pfalz per analogia con i sinonimi indigeni die zahl
‘numero’ e die burg ‘castello’;
- In altri casi, la distanza tra le lingue induce un’analisi errata della struttura
morfologica del prestito:
come l’it. serafino è veicolato < dal latino cristiano che, < nel prestito dall’ebr. ser
áf ím, non riconosce la forma plurale.
con una vicenda analoga, i nostri maccheroni e zucchini > passano come n. sing.
al fr. macaroni e all’ing. zucchini (pl. anche zucchinis)
e neanche l’ing. cakes viene riconosciuto nel ted. keks ‘biscotto’
mentre al contrario, l’ing. cherry ‘ciliegia’ si spiega con la reinterpretazione come
plur. dell’ant. fr. cherise.
- Prestito di secondo grado o induzione:
Insomma, in determinate circostanze, un morfema presente in più prestiti può
essere identificato, estrapolato e reso produttivo per dare vita a nuove creazioni,
nella funzione percepita dal parlante della lingua-replica.
Il processo – presuppone la compresenza di più coppie di prestiti formate da
un termine base e da un derivato tramite un morfema segmentabile
Come ad es. la vicenda del suf. ing. –age, presente in alcuni n. astratti di origine fr.
come marriage ‘matrimonio’, coinage ‘conio’, etc., e riconoscibile grazie al
confronto con le relative basi, parimenti importate: i v. marry ‘sposare’ e coin
‘coniare’. Sul modello di marry → marriage, il morfema –age è stato estrapolato e
riutilizzato per derivare nuovi n. astratti da basi inglesi, come ad es. stop ‘fermare’
→ stoppage ‘blocco, cessazione’.
8.2.1.3. L’INTEGRAZIONE LESSICALE E SEMANTICA
- Integrazione lessicale:
ovvero il processo di adattamento che determina la ‘mimetizzazione’ del prestito
nel vocabolario indigeno
→ si manifesta nella formazione di parole complesse, in cui un elemento della
lingua-replica interviene per motivare e chiarire il termine alloglotto.
Così lat. pávó ‘pavone’ > ant. ing. péa > ing. peacock, si osserva che la prima
parte deriva dal termine latino, ma grossolanamente specificato come tipo di
uccello dal termine nativo cock ‘gallo’;
→ tale forma di integrazione può scomporre un prestito, accostandone i segmenti
ad altri del sistema linguistico che lo riceve. In entrambi gli esempi la prima parte
rimane opaca e rende difficile il riconoscimento del prestito.
In tal modo, ant. fr. crevice, fr. écrevisse ‘gambero’ > ing. crayfish, si osserva che
il suo elemento finale indica approssimativamente che tipo di animale è il
gambero, cioè una sorta di fish.
Mentre nel ted. steinbock > it. Stambecco lett. ‘caprone delle rocce’, si recupera il
riferimento al maschio della capra (it. becco)
- Integrazione semantica:
in questo processo, nel prestito viene riprodotta solo la referenza, ossia il
riferimento a una certa idea o realtà materiale
→ mentre vanno persi tutti i tratti connotativi che caratterizzano un termine
modello, perché è impossibile riprodurre quella parte del significato determinata
dai peculiari rapporti intercorrenti tra le unità di un sistema linguistico.
→ allo stesso tempo, il prestito tende ad acquisire nuove connotazioni, sfumature,
che rivelano l’atteggiamento positivo o negativo nei confronti dell’ambiente con
cui si realizza il contatto.
Ad es. il tur. çorap ‘calza’ > ngr. tsurapi designa un modesto calzettone di lana
rustica, mentre è invece il prestito dall’it kaltsa che indica il capo d’abbigliamento
più elegante, in forza del prestigio della moda italiana.
→ ma quanto ai termini tecnici, fenomeni di questo tipo sono rari, perché essi
designano spesso realtà nuove in cui significato e referenza coincidono, creando
una sorta di nomenclatura neutra,
insomma it. jet o computer non si distaccano affatto dal significato dei rispettivi
modelli inglesi.
- La situazione di conflitto e instabilità tra lessico indigeno e prestiti
Una volta entrato nel lessico della lingua-replica, il prestito va a coprire un’area
semantica determinata, talora sovrapponendosi a termini nativi con cui condivide
una parte del campo referenziale: in tal senso viene a determinarsi una situazione
di conflitto e instabilità tra lessico indigeno e prestiti, che la lingua tende ad
appianare col tempo secondo due modalità:
1. neutralizzazione tra termini sinonimi
ovvero l’abbandono del prestito, o al contrario, la sostituzione del concorrente
indigeno.
Ad es. i termini indigeni dell’ant. ing. niman, here, ár > sono stati sostituiti con i
prestiti dalle varietà scandinave takan > ing. to take e poi quelli dal fr. armée,
honneur > ing. army, honour
2. polarizzazione tra termini concorrenti
ovvero differenziazione funzionale, per cui il prestito diventa periferico rispetto al
termine indigeno, in virtù del restringimento semantico o delle sfumature che
assume.
Un es. noto è costituito dai nomi degli animali per la carne cucinata in ing. pork,
beef, veal, mutton < derivano da termini fr. porc, boef, veel, moton, mentre per gli
animali vivi si usano gli indigeni pig (o swine), cow, calf, sheep.
8.2.2. TIPI DI CALCO
- Calco: è imitazione della ‘forma interna’ di un modello alloglotto
Analizzabile sul piano del significato e/o della struttura;
inoltre è necessario che il parlante ne comprenda l’articolazione e abbia a
disposizione nella lingua-replica elementi che rendano possibile un’imitazione
almeno approssimativa.
- Varie tipologie di calco strutturale: se il modello è interpretabile sia dal punto di
vista semantico che sul piano della struttura, allora si parla di calco strutturale.
1. calco di derivazione:
prevede la resa di un derivato formato da un termine base e da un affisso
come fr. orangeade > it. aranciata
2. calco di composizione:
prevede la resa di composti stranieri
come ing. redskin > it. pellerossa, fr. peau-rouge;
oppure ted. kettenrauncher (ketten ‘catena’ + raucher ‘fumatore’) > ing. chainsmoker
3. calco sintagmatico:
prevede la resa di gruppi sintagmatici,
come ing. white collar ‘impiegato’; oppure ing. cold war > it. guerra fredda;
4. calco fraseologico:
prevede la resa di intere frasi
come fr. il va sans dire > ing. it goes without saying, ted. 5
- Calco sintattico
Replica uno schema strutturale produttivo, cioè riproduce un costrutto della lingua-
modello ma non la referenza semantica.
Un es. è l’interrogativa multipla del tipo chi fa cosa? in it., a suo tempo segnalata
come fenomeno nascente nel 1993. Questo tipo di struttura a doppio fuoco di
interrogazione, normalmente usato in ing. è estraneo alla sintassi dell’ant. it.,
tuttavia si sta diffondendo nella lingua attuale, e sembra appunto riprendere il titolo
del noto repertorio biografico di celebrità who’s who?
- Le imitazioni imperfetta:
il calco non si risolve sempre con un’imitazione perfetta e l’inesattezza può
prendere due forme:
1. calco imperfetto
manifesta una resa inadeguata della struttura del modello da parte della lingua-
replica, oppure una corrispondenza semantica imprecisa
come parole in it. che risolvono i composti N+N nelle combinazioni N+A e N+SP
it. guerra mondiale > ted. weltkrieg, it. luna di miele > ing. honey-moon
oppure l’inversione degli elementi,
coerente con la struttura dell’it. ragazza-squillo > ing. call girl, si somma alla
corrispondenza approssimativa tra call e quillo;
2. semicalco
è riconoscibile quando, pur rimanendo plausibile il rapporto di filiazione, si
riscontrano divergenze sia sul piano formale che semantico, come in it.
fantascienza < ing. science-fiction.
- Calco semantico:
se la relazione con il modello si esplica solo sul piano semantico, ma non su quello
strutturale, si parla di calco semantico.
Poco riconoscibile, ma assai diffuso, corrisponde alla polisemia indotta da una
parola della lingua-modello, che trasferisce uno o più dei suoi significati secondari
nel termine che, nella lingua-replica, copre la medesima area semantica primaria.
Un es. attuale è l’acquisizione del nuovo significato di ‘memorizzare digitalmente’
nell’it. salvare, come calco semantico < di ing. save, che oggi prevede anche questa
accezione. Il gergo dell’informatica abbonda di casi simili.
l’influsso dell’ing. è riconoscibile anche nel recente sviluppo dell’agg. it.
intrigante che, dal senso originario di ‘proprio della persona dedita a raggiri e
imbrogli’, ha registrato un miglioramento semantico nell’uso come sinonimo di
‘affascinante, interessante’ per calco dall’ing. intriguing.
Un altro caso dell’influsso anglico è riconoscibile nel recente sviluppo del v. it.
realizzare che dal senso originario di ‘far diventare reale, tradurre in realtà’, ha
registra un ampliamento semantico nell’uso come sinonimo di ‘rendersi conto,
comprendere’ per calco dall’ing. realize.

8.3. I PERCORSI E LA CRONOLOGIA DEGLI ELEMENTI ALLOGLOTTI


- Criteri e indizi per conoscere il percorso dello scambio e datare il materiale alloglotto
1. storia culturale
il termine it. patata < mediato dallo sp. patata < è un prestito dalle lingue
amerindiane e la trafila è confermata dal fatto noto che il vegetale è stato
importato dalle Americhe.
2. evidenza cumulativa
3. documentazione
4. anomalie del significante
- anomalia fonetica
Ad es. il fono /ʒ/ dell’it. garage e beige è atipico, ← a ragione si può pensare a
prestiti dal fr.
Ma lo stesso ragionamento non è valido per it. autostop, la cui insolita
terminazione consonantica non prova l’origine inglese, dove il termine è hitch-
hike: in effetti si tratta di una creazione autonoma.
- anomalia strutturale
Nei calchi è inutile cercare indizi fonetici nel significante, ma possono invece
essere istruttive le discrepanze rispetto alle strutture tipiche della lingua-
replica.
Ad es. la sequenza ‘decine + unità’ nei numerali cardinali dell’ing. cf. twenty-five
contrasta con l’ordine inverso delle altre lingue germaniche cf. ted. funf und
zwanzig e dell’ant. ing. cf. fif ond twentig, il sistema dell’attuale numerazione
inglese è infatti un calco sintattico dal fr., accolto durante la fase
anglonormanna.
5. fonetica storica
è un criterio di analisi decisamente valido, a condizione che l’episodio di
interferenza sia rapportabile ad un mutamento fonetico caratteristico o della lingua-
replica o della lingua-modello.
Ad es., la nostra lingua letteraria presenta il v. obliare < lat. oblitáre: l’eliminazione
del dentale intervocalica è fenomeno sconosciuto all’it., ma normale in fr., quindi si
può ipotizzare un percorso del tipo it. obliare < fr. oublier < lat. oblitáre.

8.1.3. LA CRONOLOGIA RELATIVA DEI PRESTITI


- Assunto di base:
una volta che un prestito si è integrato e/o acclimato tramite i processi di
adattamento formale, esso viene trattato alla stregua delle forme native della lingua
replica, risultando quindi coinvolto negli eventuali mutamenti fonetici successivi al
suo arrivo.
→ stabilito un mutamento della lingua ricevente, sarà databile ad una fase anteriore
il prestito che ne mostra gli effetti, mentre sarà posteriore il prestito che non ne
reca traccia, perché il suo ingresso nella lingua è verosimilmente avvenuto quando
l’azione del mutamento si era ormai esaurita.

Il prestito P(A) che Un certo mutamento Il prestito P(B) che


mostra gli effetti di linguistico della non reca nessuna
M(x) lingua-replica traccia di M(x)
M(x)
- Mutamento della lingua replica come modello
Es. del pepe
→ Origine dell’India del ovest
La parola per ‘pepe’ in lat. è piper, piperis e la remota storia culturale suggerisce
che il nome, come la spezia, provenga dall’India Occidentale, perché nell’India
Orientale la denominazione differisce leggermente cf. pippal í.

→ Il latino come tramite per il prestito inglese pepper


L’ing. perpper è un prestito dal latino, la cui riprova è costituita dalla bilabiale
sorda: se si fosse trattato di un vocabolo di ascendenza indoeuropea, la ‘prima
mutazione consonantica’ avrebbe inevitabilemente trasformato l’occlusiva /p/ >
nella fricativa /f/. Il mancato effetto di un mutamento onnipresente nelle lingue
germaniche conferma che l’episodio di interferenza è posteriore all’azione della
prima legge di Grimm (circa I millennio a.C.).
→ Diffusione in Germania
Il corrispettivo ted. pfeffer ‘pepe’ non solo avvalora le osservazioni precedenti, ma
rivela anche che il prestito è anteriore alla ‘seconda mutazione consonantica’ alto
tedesca, per cui /p/ diventa /pf/ in posizione iniziale di parola (o dopo consonante) e
/ff/ in posizione interna (dopo vocale breve). Gli effetti di questo secondo passaggio
in particolare, consentono quindi di collocare l’arrivo del pepe in Germania in
un’epoca precedente al IV sec. d.C. La comparazione consente di precisare meglio
la cronologia del contatto tra il latino e le lingue germaniche.

Il prestito P(D) che reca le


Il prestito P(C) che non Un certo mutamento linguistico tracce di M(Y)
mostra gli effetti di M(Y) della lingua-modello
- Mutamento (fonetico) della lingua modello
M(Y)
come riferimento:
sarà databile ad una fase posteriore il prestito
che ne mostra gli effetti, mentre sarà anteriore il prestito che non ne reca traccia,
perché la sua uscita dalla lingua modello è verosimilmente avvenuta prima che
l’azione del fenomeno iniziasse.
→ ant. fr. /ʃ/ di chief, chiere, roche > it. /tʃ/ di ceffo, cera, roccia
La pronuncia delle parole it. citate sopra con /tʃ/ è testimone della stessa pronuncia
per il grafema <ch> del fr., ma prima che un cambiamento fonetico ne determinasse
la realizzazione come fricativa ʃ; quindi si tratta di prestiti anteriori a tale processo
nella lingua-modello.
→ l’antroponimo fr. Charles è stato accolto in inglese prima che avvenisse il
mutamento del fr. in questione (/xʃ/ > /ʃ/), e quindi suona [tʃɑːlz]; invece il
femminile Charlotte è arrivato dopo, e questo spiega perché la pronuncia è
[ˈʃɑɹlət]

8.3.1.1. DATARE I MUTAMENTI CON I PRESTITI


è possibile precisare la cronologia dei fenomeni fonetici, sia della lingua donatrice
che di quella ricevente sulla base della conoscenza dell’epoca di un prestito.
- N. proprio del condottiero unno Attila
è attestato in forme varie nelle diverse lingue:
l’ung. Attila, Atilla, Etele, il tur. Attila, Atilla, Atilay, Atila, l’ant. norvg. e l’isl.
Atle, Atili. È interessante la vers. ted. del nome Etzel (personaggio nel
Nibelungenlied), si osserva infatti gli esiti /-tt-/ > /-ts-/ della ‘seconda mutazione
consonantica’ e quindi ulteriore prova che questo mutamento fonetico era attivo
dopo l’invasione unna del V sec. d.C.
- Influsso fr. sull’ing. nel XIII-XIV sec.
Dall’ant. fr. beste, feste (fr. bête, fête) derivano > i prestiti ing. beast, feast,
→ la scomparsa di /s/ seguita da /s/
anche ant. fr. masle, blasme, disner (fr. mâle, blâme, dîner) > prestiti ing. male,
blame, dine
→ la seconda trafila testimonia gli effetti del mutamento fonetico che provoca la
scomparsa di /s/ anteconsonantica nella lingua-modello fr.: nel francese l’accento
circonflesso è una spia grafica dei nessi originariamente presenti in molte parole
ereditate dal lat. Ma il confronto tra le due serie di prestiti rivela anche la
diffusione graduale del mutamento, che ha interessato in primo luogo (seconda
trafila) /s/ seguita da consonante laterale o nasale (/l/, /m/, /n/), e solo
successivamente (prima trafila) /s/ seguita da occlusiva /t/.

8.3.1.2. DATARE I PRESTITI CON I MUTAMENTI


Allo stesso modo, il mancato indizio di un mutamento fonetico atteso, può servire
a identificare una determinata forma come prestito.
- L’es. del ted. kaiser
Nel ted. kaiser ‘imperatore’, deriva < dal lat. caesar [kaisar], al contempo, la
prova che l’interferenza riferibile al I sec. a.C. è sicuramente dopo la fine della
‘prima mutazione consonantica’, ma comunque prima della monottongazione
di <ae> e della palatalizzazione della velare latina.
- Il confronto tra ted. keller e zelle
Mentre il ted. keller ‘cantina’ < viene dal ant. a.ted. kellari < lat. cellarium, il ted.
zelle ‘cella (monastica)’ < viene dal lat. cella, che approda in ted. solo nel IX sec.,
e con una pronuncia (/tʃ/ > /z/) ormai simile a quella dell’italiano
→ tale confronto conferma la datazione del mutamento dell’es. precedente
- Il prestito ‘tardo’ ted. palast
Il termine ted. palast > deriva dal lat. palatium, entrato nel lessico ted. nel XII
sec. d.C., è anomalo perché non presenta gli effetti /p-/ > /pf-/: poiché si tratta di
un prestito ‘tardo’ che è stato accolto (dal lat.) quando la seconda mutazione
consonantica aveva ormai esaurito la propria azione. Un ipotetico passaggio
sarebbe: lat. palatium > ant. fr. palais > ted. palast
- L’ingresso del sos. ted. pfalz
Diversamente, l’ingresso del sostantivo ted. pfalz ‘reggia’ e ‘palatinato’, si può
collocare contestualmente alla seconda mutazione: per la precisione, il secondo si
data all’VIII sec. d.C.

8.4. LINGUE IN CONTATTO NELLA STORIA DELL’EUROPA


8.4.1. IL LATINO E LE LINGUE GERMANICHE
- La presenza del latino in Germania
Si ricorda che la provincia romana così denominata, divisa in Germania inferior e
Germania superior, copriva un territorio relativamente ristretto a occidente del
fiume reno, che costituisce il confine naturale fra il mondo romano e quello
germanico.
→ In effetti, i lasciti più copiosi del lat. si trovano nelle province renane e in parte
dell’Olanda, oltre che in Baviera, Tirolo e Svizzera, e affiorano sia nella
toponomastica (cf. lat. Colonia > ted. Köln, lat. Confluentes > ted. Koblenz), sia nel
lessico.
- I rapporti con le popolazioni germaniche
I rapporti si estendevano anche oltre limes territoriale, e la conoscenza del lat. era
piuttosto diffusa tra i Germani, che sempre più numerosi, contribuivano a ingrossare
le file dell’esercito romano.
→ Da Tacito apprendiamo infatti che il principe Arminio (I millennio d.C.)
comprendeva il latino;
→ mentre Plinio il Giovane sostiene che in Germania gli editti dell’imperatore
venivano compresi senza bisogno di interprete;
→ ma già Cesare menziona la presenza di commercianti romani presso gli Ubi e
gli Svevi
- Termini della pratica del commercio e della monetazione romana
A questo settore si collegano prestiti come:
→ lat. moneta > ant. a.ted. muniza > ted. münze
→ lat. pondus o pondo ‘peso, libbra’ > ted. pfund, got. pund, ing. pound
→ lat. caupo ‘oste, piccolo commerciante’ era ben noto nelle lingue germaniche,
quindi non sorprende che ted. kaufen ‘comprare’ derivi dal lat. cauponor
‘trafficare’
→ lat. cauponor > da. købe, che affiori nel toponimo Copenhagen (København
‘porto dei commercianti’)
→ le tracce del lat. arrivano fino all’ing. cheap ‘a buon mercato’;
- Termini della tecnica edilizia e della civilizzazione romana
A questo settore di termini si legano prestiti come:
→ lat. (via) strata ‘via lastricata’ > ted. straße, ing. street
→ lat. tegula ‘tegola’ > ted. ziegel, ing. tile
→ lat. vallum ‘vallo’ > ted. wall, ing. wall
- Termini dell’arte della vinificazione e del piacere del vino
→ lat. vinum > ted. wein, ing. wine
→ lat. acetum > per metatesi (*atecum) entra nell’ant. a.ted. ezzih > ted. essig
→ nonché lat. calix ‘calice’ > ant. a.ted. kelik > ted. Kelch
- Termini che riferiscono alla casa e alla vita domestica, come:
→ lat. discus ‘vassoio, piatto’ > che passa al ted. tisch ‘desco, tavolo’, ing. dish
‘piatto’
→ lat. furca ‘forca’ è alla base dell’ing. fork ‘forchetta’
→ lat. cuppa ‘coppa’, a cui risale > l’ing. cup ‘tazza’, e anche il ted. kopf ‘testa’ per
catàcresi;
per restare in cucina, sappiamo che
→ lat. coquina > lat. tardo. cocina > ted. küche, ing. kitchen
dove certo non mancava:
→ lat. patina ‘l’antenata della moderna padella’ > che continua nel ted. pfanne e
nell’ing. pan.
- Ipotesi:
alcuni elementi del vocabolario latino siano penetrati nelle varietà germaniche
parlate dagli angli e dai sassoni prima delle loro migrazioni verso la Britannia,
quando essi occupavano ancora sedi non troppo lontane dal Reno, che era una delle
grandi vie di comunicazione nell’Europa antica.

8.4.2. IL LATINO E LE LINGUE CELTICHE


- Il dominio romano e i territori celtici
1. Verso le regioni occidentali dell’Impero Romano, incontriamo i territori
anticamente dominati dal più grande dei popoli europei dell’antichità. Ecco quindi:
→ La Gallia: rimane stabilmente inglobata nell’orbita della Románia linguistica
→ L’antica Britannia: è dominio perduto della latinità
2. La colonizzazione dell’isola, iniziata da Cesare (58 a.C. – 51 a.C.), procede con
alterne vicende, che vedono comunque il progressivo spostamento verso Nord del
limes romano, segnato dal Vallo di Antonino (139 d.C.).
3. Al principio del V sec., gli eserciti imperiali si ritirano definitivamente, lasciando
in mano alle popolazioni indigene un territorio attraverso una rete di strade che
collega città fortemente romanizzate. (Però al di fuori dei centri urbani, il latino era
rimasto una lingua straniera per le popolazioni celtiche che, per la maggiore distanza
da Roma e per la durata relativamente breve della dominazione avevano resistito
all’interferenza linguistica meglio di quelle continentali.)
- Le tracce della presenza romana
→ I lasciti latini si trovano nei sintagmi toponomastici:
dal lat. castra (pl. di castrum ‘accampamento’), > derivano i prestiti dell’ant. ing.
cæster, ceaster, poi nell’ing. –chester e –caster, come Manchester e Lancaster;
→ mentre nei nomi:
dal lat. colonia > derivano i nomi che finiscono in –coln, come lincoln;
- La ricerca dei relitti latini nelle lingue celtiche insulari: più complicata che altrove
Perché la loro documentazione comincia solo nel periodo medievale, e poi perché
non è agevole distinguere i pochi lasciti latini risalenti alla conquista romana dai ben
più copiosi prestiti veicolati dal cristianesimo e dai centri monastici
1. lasciti latini probabilmente risalenti alla conquista romana:
→ lat. bestia > cimr. bwyst(fil)
→ lat. carcer > cimr. carchar
→ lat. cippum ‘bastoncino’ > cimr. cyff
→ lat. vinum > irl. fin
2. prestiti veicolati dal cristianesimo e dai centri monastici:
→ lat. diabolum > cimr. diaul
→ lat. propheta > cimr. proffwyd
- La ricerca dei relitti latini nelle lingue celtiche continentali
I prestiti latini più antichi rivelano caratteri arcaici dal punto di vista fonetico, ad es.:
1. <j> rimane semivocale,
→ lat. iovem ‘giovedì’ > cimr. dydd iau > corn. deyow > bret. (jiz)iaow, (diz)iou
2. le occlusive velari <k, g> non subiscono la palatalizzazione
→ lat. certum ‘fissato’ > cimr. certh ‘evidente’, irl. cert ‘giusto’
→ lat. crucem ‘croce; pena’ > cimr. crog, irl. croch
3. il dittongo <au> si conserva senza monottongazione
→ lat. aurum > cimr. aur, corn. our
4. il fatto che l’evoluzione del nesso dal lat. ct > it si trovi anche in alcune lingue
romanze, contribuisce all’ipotesi del sostrato celtico per una parte della Románia.
- I galli e il loro influsso sulle lingue romanze
Prima dell’espansione romana i galli avevano infatti occupato, oltre ai territori
corrispondenti all’attuale Francia, anche la maggior parte dell’Italia settentrionale
(IV – II sec. a.C.), cacciandone i Liguri, gli Etruschi e le altre popolazioni minori.
→ Ciò considerato, alcuni attribuiscono un’origine celtica al sistema di numerazione
vigesimale rispecchiato dal fr. quatre-vingt: in effetti esso trova interessanti
paralleli in cimrico, ma non mancano es. anche in altri domini culturali
→ Anche il passaggio [u:] > [y], attestato in Francia, nei dialetti gallo-italici
dell’Italia settentrionale e in parte nella Ladinia (le cinque valli dolomitiche
ladine a cavallo tra le regioni trentino-alto adige e veneto), cf. fr. lune, mil. lüna,
così come i toponimi in –ago, Assago, e –ate, Lambrate, sembrano tracce del
sostrato celtico presente nella Gallia cisalpina e transalpina in età romana.
→ Tuttavia, fenomeni come la tendenza all’indebolimento e/o caduta delle vocali
non sembrano prove solide per dimostrare alcuna ipotesi sostratista.
- È invece innegabile che, col passare del tempo e il succedersi delle invasioni, i gruppi
di popolazioni celtiche perdono il possesso dei loro territori, e sono quindi costretti a
ritirarsi verso le zone costiere e le estremità nord-occidentali dell’Europa.

8.4.3. LE LINGUE SCANDINAVE E L’INGLESE


- V sec. d.C. progressivo avvicendamento tra popolazioni celtiche e germaniche, dopo
ripetute migrazioni, finiscono a spartirsi il territorio;
- V – XII sec. d.C. La fase dell’antico inglese
Carattere principale: Frammentazione linguistica che riflette le distinte presenze di
Angli (intorno a Schleswig), Sassoni (fiumi Elba e Weser) e Frisoni (Frisia,
l’odierna Olanda settentrionale);
- XII sec. d.C. La distruzione del monastero di Lindisfarne (793)
Sono iniziate le scorrerie dei Vichinghi, che in breve arrivano a controllare tutti i
territori del nord.
- IX sec. d.C. Alfredo il Grande
La politica culturale del re Alfredo il Grande di Wessex (871-899) promuove lo
sviluppo di una vera koiné letteraria anglosassone.
→ Alfredo il Grande è riuscito ad arginare i Vichinghi (prevalentemente i danesi),
stabilendo un confine entro il quale vige la legge degli invasori: questi sono i
territori del Danelaw (regioni nord-orientali);
→ così il IX e X sec. vedono un intenso lavoro di scrittura, o riscrittura, delle
maggiori opere poetiche (si datano circa il 1000 il manoscritto del Beowulf e il
libro di Exeter), nonché di traduzione dal latino (i Vangeli, il De Consolatione
philosophiae di Boezio, la Historia ecclesiastica gentis Anglorum di Beda, le
Historiae di Orosio)

- Interferenze linguistiche delle lingue scandinave sull’inglese


Una volta insediati, i danesi cominciano a fondersi con gli anglosassoni,
inaugurando una lunga fase di bilinguismo, in cui gli scambi sono facilitati dalla
mutua comprensibilità tra parlate di origine germanica.
→ Nelle regioni di Danelaw (regioni nord-orientali), i nomi dei luoghi testimoniano
la presenza degli scandinavi:
Nei sintagmi toponomastici ricavati con le forme norrene
–by ‘villaggio’, cf. Derby, Whitby, Grimsby
-thorp ‘insediamento’, cf. Grimsthorpe
-topt ‘terreno dissodato, fattoria’, cf. Langtoft
-pveit ‘radura, pascolo’, cf. Twaithe
→ L’influsso scandinavo sulla trasformazione dell’ing. si palesa con lentezza
VIII – X sec., circa due secoli dopo l’inizio della dominazione, ovvero quando i
prestiti che hanno arricchito la lingua parlata nelle regioni nord-orientali
cominciano a diffondersi nelle varietà meridionali, arrivando anche nella lingua
scritta da cui si forma lo standard. In questo caso si assiste principalmente alla
trasmissione di vocaboli d’uso nella quotidianità di genti affini e stretttamente
legate.
→ Il contatto con il latino si palesa in modo più immediato
Diversa mente dall’apporto scandinavo, nel contatto con il latino che penetra
nelle lingue germaniche per il prestigio e la superiorità culturale dei romani, si
assiste all’adozione di nuovi oggetti, tecniche o nozioni.
→ Individuazione dei prestiti scandinavi in ing.: gli indizi fonetici sono di
considerevole aiuto.
1. in ant. ing. le occlusive velari hanno subito il processo di palatalizzazione,
per cui /k/ > /ʧ/ cf. ing. chin vs. ted. kinn, /g/ > /j/ cf. ing. yellow vs. ted. gelb
ecco che sarà doveroso sospettare che termini comuni come give, get, gift, egg
rechino traccia dalla pronuncia scandinava
2. parimenti, la precoce evoluzione del nesso /sk/ > /ʃ/ (che spiega ing. fish e
got. fisks) in ing., è lecito sospettare una provenienza scandinava nelle parole
ing. come skill, skin, skull, skip, scare, scream, mentre riconosceremo la
vicinanza etimologica nella ‘strana’ coppia skirt e shirt, entrambi collegati a
short.
→ Spesso gli scandinavismi hanno scalzato i termini sinonimi nel lessico indigeno
anglosassone:
call ha rimpiazzato hatan (ted. heißen);
take ha sostituito niman (ted. nehmen) > la radice, però, sopravvive nell’agg. ing.
numb ‘preso’ nel senso di ‘ottenebrato, intorpidito’;
die ha relegato steorfan (> ing. mod. starve) al senso di ‘morire di fame’;
ill ha innescato il passaggio di yfel > ing. mod. evil al significato di ‘malvagio’;
sky ha causato l’innalzamento di heofon > ing. mod. heaven al valore di
‘paradiso’
(si ricorda i fenomeni di restrizione, peggioramento e miglioramento in semantica
§ 7.3.)
→ Penetrazione di elementi che modificano le strutture linguistiche dell’ant. ing.
1. i nuovi termini come ill, ugly, odd iniziano a produrre derivati come illness,
uglyness, oddity
2. il gusto per le parole composte favorisce l’abbandono di fenester (< lat.
fenestra), rinnovando l’ant. ing. eag-pyrel lett. ‘occhio + buco’ (anche ing.
nostril > ant. ing. nos-pyrel ‘buco nel naso, narice’) con il norr. vindauga lett.
‘occhio del vento’ > ing. window.
3. spiega anche l’arrivo di fellow ‘seguace, compagno’ < norr. félagi, formato da
fé ‘quota, tassa’ (cf. ing. fee) + *laʒ (radice di ing. lay) lett. ‘colui che versa la
quota’.
4. mentre l’inventario di elementi funzionali si arricchisce di congiunzioni e
preposizioni (cf. though, till, until), alla serie di forme pronominali si aggiungono
they, them, their.
- Tuttavia, tracciando un bilancio comprensivo, i prestiti che l’ant. ing. ha accolto dalle
lingue scandinave sono poca cosa in confronto al massiccio rinnovamento
linguistico indotto dagli eventi (La Battaglia di Hastings, 1066) che sconvolgono la
seconda metà del XI sec., facendo da spartiacque nel Medioevo inglese.

8.4.4. LE LINGUE ROMANZE E LE LINGUE GERMANICHE


- Normanni dal IX sec. d.C.
La Francia nord-occidentale era stata colonizzata dai Vichinghi che, identificati
come ‘uomini del nord’ o, appunto Normanni, avevano dato nome alla Normandia.
Una volta insediati, gli invasori nordici si erano convertiti al Cristianesimo, avevano
contratto matrimonio con gli indigeni adottandone la cultura e, in breve, avevano
trasformato la varietà d'oïl locale nella lingua normanna.
- La battaglia di Hastings, 1066
Nel 1066, l’esito della battaglia di Hastings, che vede il sovrano sassone Aroldo II
sconfitto dal duca di Normandia Guglielmo il Conquistatore, segna la fine
dell’influenza scandinava e l’inizio della presenza in Inghilterra, con il graduale
avvio di una fase di trilinguismo da cui l’inglese uscirà come ‘la più romanza
delle lingue germaniche’.
- La conseguenza linguistica post-hastings
Questa, che innesca elementi norreni su una base romanza, è la lingua che viene
portata e imposta in Inghilterra dai conquistatori.
Così quasi da un giorno all’altro, la corte e la nuova nobiltà parlano normanno,
mentre il sassone viene relegato a lingua popolo e quasi scompare dalla
documentazione scritta, in cui il latino mantiene comunque il monopolio in
quanto lingua della religione e della cultura.
- Le dinamiche socio-linguistiche del periodo anglo-normanno
Le dinamiche sottese all’articolata situazione del periodo anglo-normanno sono
facilmente intuibili e si riflettono nell’ingresso di prestiti che seguono le dinamiche
di prestigio.
Nel tramonto delle istituzioni, delle forme amministrative, delle tradizioni legali e
culturali anglosassoni, il bisogno di termini per i concetti e le realtà della nuova
epoca, trova facile espressione nella lingua dei dominatori, che quindi esercita la
propria supremazia e il proprio influsso in ambiti semantici specifici.
→ Dal XIII al XV sec. si assiste all’arrivo di molti francesismi che, nella forma
attuale, si concentrano
- nel vocabolario della politica e dell’amministrazione:
authority, chancellor, council, country, crown, governement, nation, reign, state,
parliament, peace, people, poor, power, property, rich;
- nei termini della gerarchia nobiliare:
baron, king, queen, earl, knight, lady, lord;
- nel lessico giuridico (il fr. resta la lingua dei tribunali fino all’età moderna):
accuse, attorney, cause, case, court, crime, debt, judge, jury, justice, heir, penalty,
prison, prove, punish, sentence, verdict;
- nei nomi delle istituzioni e valori sociali:
family, marriage, religion, honour, virtue, etc.
→ Distribuzione dei francesismi
In alcuni ambiti lessicali di particolare interesse, trova conferma l’impronta
aristocratica dei francesismi:
- Le realtà connesse alla vita quotidiana del popolo tendono infatti a mantenere i
nomi di origine germanica:
house, home, maid;
- Mentre sono prestiti le parole che designano beni e status symbols delle classi
superiori:
fr. manor ‘tenuta’ cf. fr. manoir ‘castello’ < lat. manere, e palace
fr. butler ‘maggiordomo’ cf. fr. bouteiller ‘coppiere’ < fr. bouteille ‘bottiglia’, e
servant
- Ma soprattutto ecco come si spiega il curioso sdoppiamento dei nomi degli
animali che, da vivi, sono chiamati calf, ox, sheep e swine dai contadini sassoni,
ma diventano veal, beef, mutton e pork quando arrivano, cucinati e conditi, sulle
tavole dei nobili normanni.
→ Coesistenza dei quasi-sinonimi di origine germanica e corrispettivi di origine
francese:
- Termini in germ. sono di uso corrente
- Termini in fr. risultano più formali e raffinati
Folk vs. nation, stench vs. odour, holy man vs. saint, hearty vs. cordial, lonely vs.
solitary, begin vs. commence;
→ Integrazione dei termini di origine francese
- Si nota che i v. di origine fr. sono stati prevedibilmente inseriti nella coniugazione
più regolare e produttiva (cf. serve, served)
- I nuovi agg. hanno facilmente accolto il sistema di comparazione delle forme
indigene (cf. noble, nobler, noblest)
- L’integrazione complessiva degli elementi allotri è segnalata anche dalla
possibilità di applicare prefissi e suffissi di origine germanica ai francesismi (cf.
secret-ness, court-ship, power-ful) o viceversa, di creare derivati da forme inglesi
mediante affissi di origine fr. (cf. dis-belief, un-believ-able, godd-ess, enlighten-
ment, etc.).
- La fine dell’egemonia francese
La Guerra dei Cento Anni (1347-1453) e la contemporanea Peste Nera (1346-
1353) segna la fine della lunga egemonia francese, decimando il 40% della
popolazione e sconvolgendo il sistema feudale, favoriscono l’emergere dei ceti
anglofoni e quindi lo sviluppo di una lingua comune in Inghilterra.

8.4.5. LE LINGUE GERMANICHE E LE LINGUE ROMANZE


- La disgregazione dell’Impero Romano V sec. d.C.
→ Gli spostamenti e le invasioni di popolazioni germaniche contribuirono ad
aumentare dei lasciti germanici nel latino medievale e nei volgari che si andavano
gradualmente formando. In realtà, già nel lat. classico e volgare, sono
documentati paleogermanismi come ganta ‘oca bianca’, e alcuni prestiti antichi
in it. come sapone, uosa e vanga, i nomi degli animali come tasso, alce euro,
nonché nomi di colori come bianco, bruno e grigio, ma anche termini come
guerra, guardare, guidare.
- Classificazione tradizionale dei germanismi:
→ Gotismi: in genere i vocaboli accolti anche della Francia meridionale e nella
penisola iberica si riducono a gotico;
- In effetti, al contatto con il gotico (intorno al VI sec.) si riducono pochi vocaboli
del lessico militare, come bando, elmo, guardia albergo > con dissimilazione da
*haribergo ‘alloggiamento dell’esercito’
- Alcuni termini della vita domestica, come fiasco, nastro, rocca, spola, e anche il
verbo arredare
→ Longobardismi: di norma per i termini attestati esclusivamente in Italia si
postula un’origine longobarda; quanto agli indizi fonologici, si osserva che anche
la presenza della ‘seconda mutazione consonantica’ depone a favore della
provenienza longobarda: ad es. in panca e palla a confronto con banca e balla.
- Alla dominazione longobarda (VI-VIII sec.) che si vede il nucleo più
consistente di germanismi in italiano, tra cui balcone, bara, biacca, federa,
gruccia, ricco, scaffale, schermire, scranna, sgherro, sguattero, staffa, strale,
zuffa, zolla
- La serie dei nomi delle parti del corpo: schiena, stinco, milza, anca, zazzera
- Inoltre non mancano abbondanti tracce nella toponomastica e nell’antroponimia
→ Franconismi
Infine, i prestiti riconducibili ai Franchi (databili alla fine del VIII sec.), come
guanto e trappola, sono pochi e problematici da valutare, perché quando questa
popolazione arrivò in Italia, dopo oltre due secoli in Gallia, doveva essere
bilingue, già romanizzata: pertanto, nella trasmissione dei vocaboli si deve spesso
postulare la mediazione dal latino medievale o del provenzale.
→ Ma complessità del quadro rende spesso difficile la precisa attribuzione dei
termini, come nei casi di tregua, guancia. Secondo Migliorini (1991), di solito i
prestiti senza attestazione in sardo e romeno non sono ritenuti antichi.
- Tedeschismi veri e propri nell’italiano
Col passar dei secoli, l’it. ha cominciato ad accogliere veri e propri tedeschismi
come ghibellino, guelfo, piffero, storione.
Mentre nel Quattrocento e Cinquecento sono arrivati alabarda, borgomastro,
brindisi, lanzichenecco, tallero (< ted. t(h)aler che nella pronuncia [‘daler] del basso
ted. diventerà poi l’amer. dollar).
- Prestiti germanici nel francese
→ Vicende analoghe di migrazioni e invasioni, hanno determinato anche
l’arricchimento del vocabolario fr., in cui una serie di prestiti reca traccia della
perduta fricativa dell’iniziale nella norma che inibisce la liason (cf. hache ‘ascia’,
haie ‘siepe’, halle ‘mercato’, hanche ‘anca’, harde ‘bianco’, honte ‘vergogna’
housse ‘fodera’, hutte ‘capanna’, etc.)
→ Nel fr. il legamento fonosintattico è possibile con i prestiti dal lat. (in cui <h-> era
da sempre solo grafica): quindi les hommes [le’zɔm] ‘gli uomini’ e le heures
[le’zœʁ] ‘le ore’, ma inammissibile con quelli dal germ. (in cui <h> era in origine
/h/): quindi les halles [le ‘al] e les haches [le ‘a∫]
→ Una spia di influsso germanico si trova nella toponomastica, o meglio, nella
struttura dei sintagmi toponomastici:
ipotes
- Nelle lingue romanze, quelli che contengono un agg. presentano l’ordine NA
(regioni centro-meridionali)
It. Castelnuovo come fr. Châteauneuf
- Nelle lingue germaniche, quelli che contengono un agg. presentano l’ordine AN
(regioni nord-orientali)
Ing. Newcastle come fr. Neu(f)châtel
Questo tipo di toponimi riflettono gli spostamenti dei popoli germanici, si scopre
allora che la distribuzione delle coppie speculari racconta la storia delle invasioni
nel territorio francese, con la concentrazione del tipo NA nelle regioni centro-
meridionali, e del tipo AN nelle regioni nord-orientali.
Ad es. Champlong/Longchamp, Montclair/clermont, Villefranche/Francheville,
Vauclair/Clairvaux
- Gli apporti linguistici dei popoli germanici nell’Hispania
Mentre i Franchi impongono la loro presenza nell’antica Gallia, gli Svevi, i Vandali
e i Visigoti puntano invece verso l’Hispania: i primi arrivano fino alla Galizia e alla
Lusitania, e gli altri invadono il resto della penisola iberica, instaurando regni di
lunga durata e in parte pacifici, come quello dei Visgoti (409-711).
→ Se nel portoghese attuale l’apporto dell’elemento germanico appare modesto, nel
castigliano la quantità dei lasciti è stata invece aumentata grazie alla mediazione
del francese:
- da cui i germanismi robar, guisa, tregua,
- oltre ai prestiti diretti dal visigoto come falda ‘gonna’, ganso ‘oca’.
→ In castigliano l’eredità visigota traspare anche in una serie di elementi
onomastici, quali Rodrigo, Fernando, Alfonso, Alvaro, etc.,
→ mentre nel lessico dei colori i prestiti germanici, come blanco e gris, si
mescolano ai cromonimi venuti dall’oriente come azul ‘azzurro, blu’.

8.4.6. L’ARABO E LE LINGUE ROMANZE


- L’unificazione del mondo islamico
Dopo la morte di Maometto (632, VII sec. d.C.), il consolidamento della Umma,
la comunità di fede musulmana, dà origine a un vastissimo impero teocratico che
riunisce arabi, turchi, persiani, berberi, curdi, e in cui la lingua araba assolve
funzioni religiose, istituzionali e veicolari, diventando varietà di superstrato. In
questo processo di espansione, la fulminea islamizzazione di buona parte del
Mediterraneo determina l’infittirsi dei rapporti con l’Occidente cristiano, le cui
lingue accolgono moltissimi arabismi attraverso vari mezzi e canali.
- L’influsso islamico nell’Europa del sud
Nella penisola iberica la penetrazione dell’elemento islamico è precoce (VIII sec.),
duratura (la Reconquista si conclude alla fine del XV sec.) e profonda;
come anche in Sicilia (dove le incursioni si intensificano dal IX sec., interessando
poi il resto del meridione), si sviluppano insediamenti e fasi di bilinguismo
piuttosto stabili.
→ La presenza dell’elemento islamico testimoniata dai toponimi
1. con jabal ‘monte’
ar. Jabal Tariq (in ricordo di Tariq ibn Ziyad, il condottiero berbero che vi sbarcò
nel 711) > it. Gibilterra, Gibilmanna, Gibellina
2. con qal’a ‘rocca, castello’
ar. Al-q’ala > sp. Alcalá ‘fortezza’, con il termine perceduto dall’art. arabo al
ar. Qal’at Fimi ‘la rocca d’Eufemio’ > it. Calatafimi
ar. Qal’at al-ballut ‘il castello delle querce’ > it. Caltabellotta
3. con rahl ‘casale’ cf. it. Racalmuto
4. con wadi ‘fiume’
ar. Wadi al-kabir ‘grande fiume’ > sp. Guadalquivir
ar. Wadi al-hajara ‘fiume delle pietre’ > sp. Guadalajara
5. da nomi come sp. Rambla < ar. ramla ‘arenile’, sp. Alhambra < ar. al-hamra
‘la rossa’, sp. Favara < ar. fawwara ‘le fonti’, sp. Marsala < ar. Marsa’Ali ‘porto
di Ali’, etc
→ Prestiti arabi accolti e integrati dalle lingue romanze in vari campi semantici
1. il lessico alimentare:
ar. naranj > it. arancio; ar. limun > it. limone; ar. al-barquq > it. albicocca; ar.
xarsuf > it. carciofo; ar. sukkar > it. zucchero;
2. gli oggetti di uso comune:
ar. garrafa > it. caraffa; ar. qutn > it. cottone; ar. jubba > it. giubba;
3. gli strumenti musicali:
ar. al-‘ud > it. liuto; ar. tunbur > it. tamburo; ar. naqqara > it. nacchera;
4. il lessico del commercio:
ar. maxzan > it. magazzino; ar. diwan > it. dogana; ar. qabala > it. gabella; ar.
ta’rifa > it. tariffa, ar. sikka > it. zecca;
5. i termini scientifici:
ar. al-jabr > it. algebra, ar. al-kimiya > it. alchimia, ar. sifr ‘zero’ > it. cifra
→ Spagna come un crogiolo di genti e culture
Questo breve elenco di arabismi può espandersi parecchio se si includono quelli
diffusi in spagnolo, portoghese e francese. In effetti, anche laddove l’assenza di
relazioni dirette o la distanza etnoculturale hanno impedito la commistione con le
comunità arabofone, i contatti sono stati comunque mediati dalle pratiche delle
transazioni commerciali e delle traduzioni scientifiche.
La spagna arabizzata è un crogiolo di genti e culture, in cui fioriscono
importanti centri di studio:
- prima Cordoba, in cui opera Avicenna e nel 1126 nasce Averroè
- poi Toledo, alla cui scuola di traduttori convergono studiosi arabi ed ebrei.
- All’attività di scriptorium tolosano che si intensifica straordinariamente durante
il regno Alfonso X il saggio (dal 1252 al 1282), dobbiamo il recupero e la
diffusione di gran parte della scienza greca, attraverso la versione in castigliano
delle maggiori opere.
- L’emergere del castigliano e il tramonto della cultura araba e ebraica
Questa politica culturale che promuove la circolazione di saperi e discipline in tre
diverse lingue, favorirà l’emergere del castigliano, ufficialmente codificato nella
grammatica di Antonio de Nebrija nel 1492, ma in Spagna quello stesso anno
sancirà anche il definitivo tramonto della cultura araba (annientata con la caduta del
sultanato di Granada) e di quella ebraica (espulsa con l’editto di Isabella di
Castiglia). Naturalmente, la diaspora degli ebrei sefarditi, che diffondono il giudeo-
spagnolo per tutto il Mediterraneo, apre nuove fronte frontiere di contatti e di
scambi linguistici.

8.5. UNA TIPOLOGIA DELL’INTERFERENZA


- Alcune affermazioni riguardo all’interferenza
 I nomi sono più facilmente oggetto di inter