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1. LA VARIAZIONE E IL CAMBIAMENTO
1.1. SINCRONIA PIÙ DIACRONIA
Le lingue non sono entità monolitiche e inalterabili: in modo analogo ad altre
creazioni umane, come le istituzioni e le mode, sono intrinsecamente mutevoli, nello
spazio e nel tempo.
- Due prospettive nello studio dei fatti linguistici (distinzione di matrice saussuriana
1967, riflette una semplificazione metodologica che riguarda il punto di vista e la
prassi dei linguisti, ma nella realtà dell’oggetto di studio, la separazione tra sincronia
e diacronia è di fatto impossibile, perché ogni stato di lingua e intrinsecamente
dinamico. Si tratta di antinomia apparente che è senz’altro utile superare, soprattutto
quando si considera la dimensione della variazione linguistica.):
La linguistica sincronica: che descrive le lingue e le strutture linguistiche per come
si presentano in un determinato momento (non necessariamente il presente),
prescindendo dai processi che hanno portato al loro costituirsi
La linguistica diacronica: che studia le lingue e i fenomeni linguistici lungo l’asse
temporale, cioè considerandone le vicende storiche e ricostruendone i percorsi
evolutivi
2. LA LINGUISTICA STORICO-COMPARATIVA
- Lingue greche:
→ un tempo suddivise in vari dialetti, ionico-attico, eolico, dorico, arcadico-
cipriota, panfilio.
→ si tratta di lingue di antichissima attestazione: al II millennio a.C.
→ Grazie alle conquiste e alla politica di Alessandro Magno (365-323 a.C.), le
varietà dialettali del greco antico finirono per unificarsi in una lingua comune,
detta appunto koinè: varietà, basata sul dialetto dell’Attica, è oggi continuata
nel neoellenico/greco moderno
- Lingue latine:
→ documentazione inizia in tempi senz’altro più recenti, primi testi epigrafici
datano intorno al VI-V sec. a.C.
→ inizialmente parlate da una sparuta comunità insediata intorno al basso
corso del Tevere, ben presto divenne la lingua di Roma e del suo impero,
nonché, in seguito, la lingua della cristianità.
→ decisamente rilevante, nella vicenda della lingua, il divario crescente tra
varietà dello scritto e del parlato: dal dibattito iniziale tra la norma
codificata dall’urbanitas (proprie del latino di Roma) e le forme connotate
dalla rusticitas (proprie delle aree rurali ed extraurbane in genere), si passa
infatti a una separazione via via più netta tra la lingua standardizzata dei testi
scritti e degli autori classici da un lato, e la lingua d’uso dall’altro.
→ il latino volgare, cioè il lat. colloquiale, finirà per allontanarsi dal lat.
classico e, attraverso prolungati percorsi di diversificazione territoriale,
diverrà la base da cui si formeranno le varie lingue neolatine.
- Lingue italiche:
→ il nucleo si identifica l’insieme costituito da osco e ombro, di cui resta una
buona documentazione
→ altre tradizioni linguistiche minori sono: falisco, sabino, equo, peligno,
volsco, marrucino, sudpiceno, marsico e vestino, di cui rimangono
frammentarie attestazioni
→ ancora altre: greco delle colonie, il messapico, il siculo, l’elimo a sud
→ infine il venetico, il leponzio e il gallico a nord
→ le tradizioni linguistiche generalmente conosciute come non indoeuropee
che sono l’etrusco, il retico, il camuno, il punico e il sicano.
→ tutte queste lingue costituiscono il panorama dell’Italia antica di un
variegato mosaico in cui numerose lingue coesistono.
- Le lingue indo-iraniche
→ lingue iraniche 伊朗语支 documentate fin da VI sec. a.C.
1) L’avestico (Zarathustra)
2) L’antico persiano (nel periodo achemenide)
che poi si evolvono in medio persiano e nel persiano moderno (o farsi,
lingua dell’attuale Iran)
3) Il curdo
4) Il pashto
5) Il baluchi
→ lingue indoarie 印度-雅利安语支
1) Il vedico (la lingua di Veda)
2) Il sanscrito (la lingua letteraria dell’India e ancora in uso, scritto in
alfabeto devanagari come lo hindi)
3) I dialetti pracriti: da cui derivano
→ le lingue dell’India moderna: lo hindi – scritto in alfabeto
devanagari
→ le lingue del Pakistan: tra cui l’urdu – scritto in alfabeto arabo
→ le numerose lingue zingariche, giunte fino in Europa
- L’Armeno: una lingua documentata dal V sec. d.C. e tuttora parlata nella
Repubblica di Armenia. Territorialmente e linguisticamente prossimo al greco,
l’armeno si trova al confine con l’albanese, altra lingua isolata.
→ ci sono anche altri fattori linguistici che accomunano armeno alle lingue
baltiche, documentate anche esse solo dal Cinquecento, comprendono:
1) Il lituano
2) Il lèttone
3) Nonché l’antico persiano (estinto intorno al Settecento)
- Terminologia:
→ unità linguistiche intermedie: Cf. balto-slavo, indo-iranico
→ protolingue: Cf. proto-celtico, proto-germanico
(Ipotizzate convenzionalmente e in parte ricostruibili tramite la
comparazione.)
母 (dal III sec. d.C., in area scandinava) e vengono suddivise in 3 sotto gruppi
→ germaniche orientali
1) In realtà un ramo ‘secco’, poiché la più longeva di esse, parlata dai Goti di
Crimea, si è estinta intorno al 1600.
2) Il gotico del IV sec. d.C. (conservato nella traduzione della Bibbia curata
dal vescovo Wulfila), rappresenta un punto di riferimento fondamentale
per la ricostruzione e la comparazione linguistica
3) Altre lingue, come il burgundo e il vandalico, abbiamo tracce solo
nell’onomastica tramandata nei resoconti storici.
→ germaniche occidentali includono
1) L’inglese
2) Il tedesco, suddiviso in basso tedesco (parlato nel nord) e alto tedesco
(parlato nelle regioni montuose del sud, nonché in Austria, Svizzera e
Trentino Alto-Adige)
3) Il frisòne, nell’area costiera e insulare tra Olanda e Germania
4) Il neerlandese, che include olandese e fiammingo, lingua ufficiale in
Belgio
5) L’afrikaans, la lingua delle colonie boere giunte in Africa nel 1600,
tuttora parlata nella Repubblica del Sudafrica
6) Lo yiddish merita un accenno, la lingua degli ebrei ashkenaziti, un
dialetto alto tedesco con elementi lessicali e morfologici dell’ebreo: a
rischio di estinzione in Europa, è invece ancora attiva nelle comunità
emigrate negli USA.
→ germaniche settentrionali, globalmente anche dette lingue scandinave,
includono:
1) Lo svedese: parlato nella Finlandia meridionale
2) Il norvegese:
3) Il danese: un tempo esteso come lingua di superstrato in Norvegia e
Islanda, ha contribuito molto all’unità linguistica di Scandinavia.
4) L’islandese, lingua isolata per eccellenza, che conserva molti tratti
ereditati dal norreno (idioma della Scandinavia dell’era vichinga)
5) Il feroese: parlato in un’area un tempo occupata dai Norvegesi e ora
parlato in Danimarca, che è più evoluto dell’islandese.
- Lingue romanes / romanì: come detto prima, le lingue parlate dai zingari
appartengono alle lingue indoeuropee e derivano dal ramo indoario. Dopo il
mille, gli antenati degli attuali rom, sinti e kalé cominciano a spostarsi dall’India
settentrionale e, seguono lunghi itinerari che arricchiscono le loro parlate di
prestiti, si spargono in tutta l’Europa.
- La storia dell’ungherese: inizia nel IX sec., quando gli Ungari 马扎尔人 invasero
Pannonia, incuneandosi tra gli slavi meridionali e occidentali. Una volta
cristianizzati, rafforzarono la loro organizzazione statale con ampie conquiste,
consolidando la loro tradizione culturale e linguistica: le prime testimonianze
dell’antico ungherese risalgono al 1200. La lingua si sviluppa accogliendo prestiti
dal latino (da sempre lingua di grande cultura), dalle lingue slave e dal turco. La
transizione all’ungherese moderno (magyar), iniziata nel Quattrocento, è
influenzata prima dalla lunga dominazione turca (fino al Settecento), e poi
dall’annessione dell’Ungheria all’Impero austriaco, che determina rilevante
impronta del tedesco nella formazione del lessico intellettuale.
- Il finlandese affiora nel periodo della Riforma con una serie di testi religiosi.
Fino all’Ottocento la lingua intreccia rapporti di bilinguismo e diglossia con lo
svedese, ma quando la Finlandia passa sotto l’Impero russo, il nazionalismo
romantico innesca il risveglio della tradizione finnica, che culmina con la
creazione dell’epopea nazionale, il Kalevala (lett. Terra di Kaleva). → L’opera,
pubblicata da Lonnrot nel 1849, promuove una koiné letteraria in cui il finlandese
converge con i dialetti orientali, e soprattutto il careliano.
- L’estone: Da sempre contesa per la sua posizione strategica sul Baltico, l’Estonia
conosce una lunga dominazione economica e culturale da parte della borghesia
mercantile tedesca. Come per il finlandese, anche per l’estone la prima
documentazione è legata al periodo della Riforma, mentre per l’unità linguistica
bisogna attendere l’Ottocento, con la norma fissata dal poema nazionale, il
Kalevipoeg (lett. Il figlio di Kàleva).
- Il basco, o euskara, una lingua isolata per eccellenza, un ramo senza l’albero.
Il basco che, racchiuso nel dominio della Romània occidentale, fra Francia e
Spagna, è riuscito a conservare la propria individualità, resistendo anche ad ogni
tentativo di affiliazione genetica. Il popolo dei baschi, che i romani menzionano
come gens vasconum, fu cristianizzato relativamente tardi e resistette sia
all’invasione dei Visigoti che alla conquista araba, costituendo il regno di Navarra
che fu annesso alla Spagna solo nel Cinquecento. In quest’epoca inizia anche la
documentazione scritta del basco, le cui complesse strutture morfologiche di tipo
agglutinante hanno alimentato varie ipotesi di apparentamento, soprattutto con le
lingue del Caucaso.
- Gli apporti e influssi di altre lingue in Europa:
per es. l’arabo, lingua di grande cultura, che si intreccia infatti con le lingue
dell’occidente in una linea di continuità che va dai numerosi prestiti di epoca
medievale fino alla presenza attuale nel maltese in cui si mescola con il siciliano,
l’italiano, e l’inglese.
Parimenti l’ebraico, che dal I sec. d.C. segue gli ebrei della diaspora come lingua
della religione (come lingua parlata è in disuso già da 2000 anni fa, sostituita
dall’armanico), è variamente diffuso nella cultura europea.
E il turco, afferente al ramo turcico delle lingue altaiche, accompagna
l’espansione dell’Impero ottomano (dal 1299 fino al 1922), lasciando importanti
tracce nel lessico di molte lingue (soprattutto slave) con cui viene in contatto;
comunità turcofone sono ancora presenti in Montenegro, Macedonia e Grecia.
4. IL MUTAMENTO FONOLOGICO
La ricerca ottocentesca è l’indagine sui cambiamenti di suono che definiscono
caratteri specifici delle lingue figlie nel graduale allontanamento dalla lingua
madre.
→ il compendium di Schleicher – il primo ambizioso trattato della fonologia
comparata
→ i neogrammatici promuovono lo sviluppo delle conoscenze in questo ambito,
grazie all’individuazione di procedure di confronto rigorosamente codificate dalle
cosiddette ‘leggi’ fonetiche.
Second i neogrammatici, il cambiamento dei suoni può avvenire in due modi
principali:
→ mutamento sistematico: che modifica con regolarità un dato tipo di
articolazione e a sua volta, può avvenire in due modi:
→ mutamento non condizionato: cioè in condizioni indipendenti dal contesto
→ mutamento condizionato: cioè in condizioni che sono influenzate dal
contesto, ad es., dai fonemi vicini, o dall’accento della parola.
→ mutamento non sistematico (sporadico): che si verifica occasionalmente nelle
singole parole, o in una serie limitata di vocaboli
4.1.1. IL MUTAMENTO SISTEMATICO NON CONDIZIONATO
L’individuazione di corrispondenze sistematiche
→ fondamento scientifico di comparazione e ricostruzione;
Proto-indoeuropeo: PIE, ipotesi sulla lingua originaria
a:
→ esempi di passaggio intermedio più specifico, i cambiamenti nella
pronuncia delle vocali:
medio.ing. ing.moderno
time /i:/ /aɪ/
meet /e:/ /i:/
meat /ɛ:/ > /e:/ > /i:/
name /a:/ > /æ:/ > /ɛ:/ > /eɪ/
home /ɔ:/ /o:/ > /oʊ/ > /ǝʊ/
food /o:/ /u:/
house /u:/ /aʊ/
→ a questo punto sarà evidente il motivo per cui nella lingua inglese ci
sono così forti incongruenze tra pronuncia e scrittura: mentre nella
prima si evolve costantemente per un lungo arco di tempo, la seconda
rimane legata alle consuetudini ortografiche fissate nel tardo Quattrocento,
finendo quindi per rendere quasi imprevedibile la corrispondenza tra
grafemi e fonemi.
4.2.2. IL SISTEMA VOCALICO DELL’ITALIANO
- La tradizione latina considera un inventario di 10 fonemi in cui
l’opposizione tra vocali brevi e lunghe (ĭ/ī, ĕ/ē, ă/ā, ŏ/ō, ŭ/ū) aveva valore
fonologico, ovvero serve a distinguere significati (fŭgit ‘fugge’, fūgit
‘fuggì’; rosă nom. vs. rosā abl.)
- Nell’evoluzione del latino,
quando le vocali si trovano nelle posizioni atone, l’opposizione fondata
sulla lunghezza tende a neutralizzarsi, cosicché il sistema si riduce
gradualmente fino ad arrivare alla serie di cinque vocali (atone) che ci
sono familiari:
La constatazione che il basco è privo del suono /f/, sostituito con /h/ nei
prestiti “per equivalenza acustica” costituisce una teoria importante sulle cause
del mutamento.
→ le prime testimonianze del mutamento si registrano al confine con le aree
bascofone (Castiglia settentrionale) e dall’altro lato dei Pirenei in Guascona,
→ l’ipotesi del sostrato (l’influsso di lingue preesistenti al latino) ha trovato
molti sostenitori.
→ tuttavia i detrattori di questa teoria fanno notare che lo stesso mutamento si
trova anche in altre parti neolatine (rumeno, piemontese, calabrese), e quindi il
postulato di una specifica relazione con il basco perde fondamento.
→ CAUSE INTERNE:
alcuni studiosi propongono di fare riferimento a cause interne, strutturali,
della lingua, come la mancata integrazione di /f/ nell’opposizione con la
sonora /v/, o la semplice perdita del tratto articolatorio della labialità. In
questa prospettiva, il fenomeno dello spagnolo ricade in un complesso di
mutamenti fonologici diffusi e accomunati da indebolimento e riduzione. In
generale per le consonanti è frequente che le occlusive diventino
fricative, che le fricative perdano l’articolazione sopraglottale per ridursi,
nel caso delle sorde, a una semplice frizione glottale, cioè /h/ che, essendo
debolmente articolata e acusticamente poco saliente, tende a perdersi.
→ /p/ > /f/ > /h/ > Ø
Fenomeno registrato in varie lingue del mondo;
tipo lat. pes, pedis > ing. foot; oltre a lat. formosus > sp. hermoso
(questo percorso di lenizione converge con altri due che vedono la
creazione e la successiva perdita di /h/)
→ a. /k/ > /x/ > /h/ > Ø
Noto nelle lingue germaniche, cf. lat. nox, noctis > ted. nacht, ing. night
Frequente anche nel sud della Spagna e nelle varietà ispano-americane.
b. /s/ > /h/ > Ø
Oltre che nel greco antico cf. gr. ant. hals, halósi > lat. sal, salis
È attestato di recente anche nel Messico e Andalusia.
- È evidente che l’affiorare del fenomeno in diversi momenti e ambiti testimonia
trattorie diacroniche universali, a cui sottostanno le stesse forze in tutte le
lingue. Anche il mutamento dello spagnolo, non è dovuto all’influsso di altri
lingue, ma alla riduzione dei movimenti articolatori che si attua quando l’uso
automatizza la produzione dei suoni. La fonologia è un settore in cui gli
universali diacronici hanno notevole potenziale e rilevanza.
5. IL MUTAMENTO MORFOLOGICO
Il nostro linguaggio può essere considerato come una vecchia città, un dedalo di
stradine e di piazze, di case vecchie e nuove, e di case con parti aggiunte in tempi
diversi; e il tutto circondato da una rete di nuovi sobborghi con strade dritte e regolari, e
case uniformi.
Ludwig Wittgenstein
5.2. ANALOGIA
- Analogia per Saussure:
L’analogia implica un modello e la sua imitazione regolare. Una forma analogica
è una forma fatta a immagine d’una o più altre secondo una regola determinata.
L’analogia tende ad agire in favore della regolarità e tende a unificare i
procedimenti di formazione e di flessione.
- In generale
L’analogia tende a conformare gli elementi asimmetrici di un sistema a un
modello simmetrico, rendendo più simili nella loro struttura le forme che sono
percepite come morfologicamente, sintatticamente, semanticamente correlate.
- due meccanismi analogici:
1) analogia proporzionale: che omologa la singola forma a uno schema
morfologico preesistente
2) analogia non proporzionale: che omologa una serie di forme all’interno di un
paradigma
5.3. GRAMMATICALIZZAZIONE
Il mutamento morfologico contempla due meccanismi principali:
1) L’analogia: ampiamente discusso sopra
2) La grammaticalizzazione: questo tipo di mutamento comporta la creazione di
nuove forme e/o categorie grammaticali, e si manifesta come un complesso
intreccio di fenomeni per cui, in certi contesti, un elemento lessicale perde
gradualmente il suo significato proprio e assume funzione grammaticale; una volta
grammaticalizzato, l’elemento può sviluppare nuove funzioni grammaticali.
Gli elementi lessicali appartengono a classi aperte (nomi, aggettivi, verbi) e in
generale denotano oggetti, proprietà ed eventi.
Gli elementi grammaticali, diversamente, a classi chiuse (congiunzioni, pronomi,
articoli, adposizioni, affissi flessivi e derivazionali, clitici, etc.) e, in generale,
indicano relazioni tra le entità denotate degli elementi lessicali.
- Ad es. in latino, il nome mens, mentis ricorre con frequenza in sintagmi in cui la
forma all’ablativo si unisce a un aggettivo, come nel celebre verso di Catullo sed
obsinata mente perfer, obdura ‘ma con animo saldo, tu resisti’
A partire da contesti simili, il termine perde gradualmente il significato lessicale
pieno per assumere la funzione di elemento derivazionale, tutt’oggi produttivo
nella creazione degli avverbi di modo in varie lingue romanze (eccetto il romeno,
in cui gli avverbi hanno di solito la stessa forma dell’aggettivo):
lat. clara mente ‘con mente chiara’ > it. chiaramente, fr. clairement, etc.
- L’origine di alcuni suffissi dell’inglese è un po’ più articolata, ma comunque
simile, in cui gli antichi vocaboli:
had ‘carattere, condizione’
dom ‘ambito, dominio’
lic ‘somiglianza, aspetto’
vengono grammaticalizzati come elementi derivazionali a partire dalla
reinterpretazione di composti come quelli in:
a. ant. ing. cild-had > ing. mod. childhood
b. ant. ing. freo-dom > ing. mod. freedom
c. ant. ing. man-lic > ing. mod. manly
→ questi esempi confermano l’idea che la grammaticalizzazione, laddove determina
la nascita di elementi morfosintattici, sia schematicamente rappresentabile come un
continuum:
entità lessicale autonoma > elemento grammaticale autonomo > clitico > affisso
- stratificazione di livelli
certi elementi possono conservare la forma e la funzione lessicale originaria
accanto all’esito grammaticalizzato; in uno stesso ambito è inoltre frequente la
competizione e/o la coesistenza tra strutture di differente antichità e origine.
L’it. avere è usato come verbo lessicale autonomo nel significato di possedere,
nonché come elemento grammaticalizzato in funzione di ausiliare nel passato e
nel futuro.
Circa la sovrapposizione tra diverse strutture, basti citare il caso dell’inglese, in
cui l’espressione del futuro è affidata a tre costrutti diversi: il tipo be going to,
il tipo con shall, e quello con will.
- ciclicità e rinnovamento
quando gli elementi perdono trasparenza e sostanza fonetica
si può osservare che il ciclo di grammaticalizzazione che ha portato da germ.
*likam ‘corpo, apparenza e forma’ > ant. ing. lic(e) > ing. –ly
si rinnova nella parziale concorrenza tra, ad es. manly e manlike, dove
l’elemento –like si presenta nella sua forma completa e contribuisce
all’espansione del lessico con una nuova serie di composti trasparenti:
godly/godlike, friendly/friendlike, etc.
di particolare interesse è inoltre il cosiddetto ‘ciclo della negazione’ che
riguarda il francese, ma è attestato anche in alcune varietà italiane:
1. In fr. ant. la negazione standard ne si accompagnava a sostantivi indicanti
quantità nulle o minime, come rien ‘niente’, point, pas ‘passo’. Con il
tempo, e a partire da contesti semanticamente coerenti Jean ne marche pas,
l’unione di ne e pas divenne obbligatoria anche in altri ambiti Jean ne
mange pas.
→ a seguito di erosione semantica e di rianalisi, pas è stato quindi integrato
nella forma di negazione standard, fino a diventare unico elemento per la
negazione nel registro colloquiale tipo Je sais pas. lett. ‘So mica’.
2. La parola mica (< lat. mica ‘briciola’), ha subito un destino analogo, ed è
forma diffusa (non necessariamente rafforzativa) della negazione in alcune
varietà dell’italiano: in questo caso, i contesti che hanno innescato la
grammaticalizzazione saranno stati del tipo non mangio mica.
3. Il toscano conosce anche l’uso di punto, sia nella negazione enfatica non mi
piace punto, che come quantificatore non ho punta fame, non ho punti
amici.
Nel riordino della flessione nominale, certi plurali neutri resistono al livellamento in
quanto frequenti e ‘non marcati’; inoltre, e contro ogni previsione, il morfema –a si
estende a partire da un nucleo omogeneo che designa entità cognitivamente rilevanti.
Nell’italiano antico la categoria si espande perché risolve la tensione tra quei
contenuti (come il duale e il collettivo) che non si integrano nei nuovi schemi
formali (come l’opposizione binaria del numero): così, rifunzionalizzato a partire dal
latino tardo, lo ‘strano’ plurale in –a mantiene ancor oggi la sua ragion d’essere e il
suo ‘statuto speciale’ nella flessione.
In questo caso come nel mantenimento di forme allomorfiche e suppletive (si pensi
ai verbi ‘essere’ e ‘andare’ di molte lingue), si deve tenere conto di motivazioni che
sono in competizione con le logiche dell’analogia e del livellamento, o con le
tendenze alla ‘regolarità’ e alla trasparenza. Tra queste: la frequenza e la
marcatezza delle forme, gli equilibri specifici dei sistemi, il bilanciamento tra i
meccanismi della memoria e l’organizzazione dei paradigmi, tra il vantaggio
delle regole e l’immediatezza degli ‘schemi’, che individuano costanti e
corrispondenze anche tra le forme ‘irregolari’.
6. IL MUTAMENTO SINTATTICO
“si chercherà di sciogliere le sintassi, di spezzare i modi vincolanti di parlare, di
volgere le parole in direzione di tutto ciò che si dice per loro tramite e nonostante esse”
- Michael Foucault
6.1. I CARATTERI DEL MUTAMENTO SINTATTICO
1. Oggetti di analisi del mutamento sintattico:
- L’uso degli elementi morfologici in funzione sintattica
- La combinazione ordinata degli elementi sintattici nei costrutti e nelle frasi
- La strutturazione delle frasi nelle complesse architetture del periodo
- Le specifiche funzioni semantiche e comunicative dei costrutti e delle strutture
2. Lo studio generativista della sintassi, la linguistica storica e i Neogrammatici
- Lo studio della sintassi ha conosciuto progressi considerevoli nell’ambito della
teoria generativa, il cui orizzonte è però limitato alla prospettiva sincronica
- D’altro canto la linguistica storica ha tradizionalmente riservato maggiore
attenzione all’indagine dei fenomeni fonologici e morfologici, lasciando un po’ in
disparte la sintassi.
- L’interesse per gli aspetti diacronici della sintassi, pur presente nella vasta
riflessione dei Neogrammatici, è dunque uno sviluppo assai recente e promettente
della ricerca linguistica.
6.2. RIANALISI
- Il concetto di rianalisi:
è sotteso a parecchi dei fenomeni analizzati nel capitolo precedente, ovvero quei
mutamenti di carattere analogico che presuppongono la ‘rilettura’ e ‘reinterpretazione’
delle forme.
→ Come ad esempio, a livello morfologico
nel caso della retroformazione, la creazione di un singolare analogico pea sottende la
rianalisi del segmento finale di pea-s come marca di plurale, e processi simili che
motivano anche gli episodi di concrezione o discrezione, peraltro indicativi della
potenziale bidirezionalità dei percorsi di rianalisi.
- La rianalisi a livello sintattico:
la reinterpretazione dei costrutti è un fenomeno più complesso, e in parte anche meno
visibile.
La rianalisi, nella definizione di Harris e Campbell, è un meccanismo che interessa
la struttura ‘sottostante’ di uno schema sintattico, senza produrre alcuna
modifica intermedia o intrinseca nella sua espressione superficiale, cioè si tratta
di un mutamento che in partenza ha un carattere non manifesto.
→ Come ad esempio, l’inversione tra soggetto e verbo nella frase interrogativa
del fr. standard:
Già dalla metà del XV sec. sono quindi possibili strutture come quelle in
a. aime il? lett. in it. ‘ama egli?’
b. dort il? lett. in it. ‘dorme egli?’
→ in (b), e nelle altre forme di terza persona singolare, anche frequenti
come est ‘è’, il verbo termina come –t. Nella pronuncia del fr. colloquiale,
la riduzione del pronome personale favorisce una rianalisi che isola
l’elemento [ti], reinterpretato come particella interrogativa, utilizzabile
nelle varietà substandard:
a. Ton pèreSN partV-ilPRON? lett. in it. ‘Tuo padre parte egli?’
> Ton pèreSN par[Ø]VtiPTCL ?
→ In questo caso, l’espressione superficiale al livello di pronuncia delle
due interrogative in (a) non cambia, e la rianalisi diventa manifesta solo
quando solo quando il suo prodotto si diffonde anche a contesti che non
implicano la terza persona singolare:
b. TuPRON vasV tiPTCL? lett. in it. ‘Tu vai?’
→ Inoltre si può osservare che qui non si verifica un processo di
grammaticalizzazione, poiché il passaggio da pronome a particella non
implica transizione dal lessico alla grammatica, irrigidimento strutturale o
perdita di autonomia, e poi non si ha una continuazione diretta dello
stesso elemento e neanche continuità sul piano semantico.
- Differenza tra la rianalisi & la grammaticalizzazione
Esempi simili invitano a considerare la rianalisi come un fenomeno distinto dalla
grammaticalizzazione che, a sua volta, può aver luogo anche in assenza di rianalisi.
Nello specifico Haspelmath (1998) indica alcune differenze basilari tra i due processi:
la grammaticalizzazione - comporta la perdita di autonomia degli elementi
linguistici, è graduale e tendenzialmente unidirezionale (ovvero irreversibile); non
implica ambiguità ed è riconducibile alle dinamiche dell’uso linguistico.
la rianalisi - invece non causa la perdita di autonomia delle espressioni linguistiche, è
istantanea e potenzialmente bidirezionale (ovvero reversibile); si fonda sull’ambiguità
strutturale del costrutto di partenza ed è imputabile alle dinamiche dell’acquisizione
linguistica.
6.3. ESTENSIONE
- Estensione in morfologia
Ne abbiamo visto come mutamento sporadico, dove si intreccia con i processi
analogici, che vede la diffusione di morfemi a contesti diversi e più ampi di quelli
originali
- Estensione in sintassi
Pur non essendo equiparabile all’analogia tout court, anche in sintassi l’estensione si
fonda sulla percezione della somiglianza strutturale tra due o più elementi, categorie,
costrutti.
Nella definizione di Harris/Campbell (1995), il concetto di estensione è speculare alla
rianalisi: è un meccanismo che cambia l’espressione superficiale di uno schema
sintattico, ma non implica alcuna modifica immediata o intrinseca della sua struttura
‘sottostante’.
Inteso come estensione analogica o generalizzazione, questo processo introduce
nuove costruzioni in un ambito concettuale inizialmente codificato da altre: in quanto
desumibile da alterazioni nella struttura dei costrutti, costruisce dunque un
mutamento manifesto.
- Esempi di estensione in sintassi.
1. Le incertezze nell’uso del caso che accompagna la preposizione (originariamente
posposizione) wegen ‘per, a causa di’ risalgono al XVII sec., finché nel XVIII sec.
si impone l’uso del genitivo nella lingua standard, e il dativo viene stigmatizzato
come scorretto. Oggi il suo uso è generalmente ritenuto colloquiale, ma accettabile:
Er hat sie wegen ihres Geldes (GEN) / wegen ihrem Geld (DAT) geheiratet
‘Lui l’ha sposata per i suoi soldi’
→ esempi come i precedenti testimoniano appunto l’estensione del costrutto
dativale in ambiti precedentemente riservati a quello genitivale, e l’attuale fase di
coesistenza tra le due opzioni sintattiche, equivalenti nella sostanza anche se
diverse nella forma.
2. In inglese, il cambiamento dell’espressione different from in different than/to
L’innovazione è stata accolta nell’ing. amr., e si sta diffondendo anche in quello
brit., probabilmente perché favorisce la concisione:
Things are different than they were a year ago.
vs.
Things are different from the way they were a year ago.
→ Evidentemente, con l’estensione analogica le strutture subiscono dei lievi
aggiustamenti che le rendono correlabili (anche in articolate costellazioni) con altre
simili.
In effetti, la visione della lingua come (e della sintassi) come un sistema monolitico,
sincronicamente strutturato in base a regole, appare oggi meno attuale rispetto
all’idea di un insieme eterogeneo di costruzioni, ciascuna con specifiche affinità
rispetto a certi contesti e tutte in costante adattamento strutturale rispetto
all’uso. In questa prospettiva, il parlante e le sue esigenze comunicative acquistano
un ruolo centrale, che relativizza l’esistenza delle strutture linguistiche a una
dimensione di costante risistematizzazione, su cui incide anche la frequenza.
corrispettivo
Gli studiosi hanno inoltre precisato altri caratteri strutturali di questo ambito
lessicale: in generale, un colore di base:
a. non è sussunto dalla definizione di un altro termine: cf. scarlatto ‘rosso intenso e
brillante’ > rosso ‘dello stesso colore del fuoco e del sangue, uno dei sette colori
fondamentali dell’iride’;
b. è codificato da etichette monomorfemiche (forme morfologicamente semplici): cf.
giallo vs. giallastro oppure giallo canarino;
c. non ha restrizioni nella gamma collocazionale; cf. giallo vs. biondo (capelli, pelo,
barba, baffi, testa)
d. è di uso frequente, cioè è tra le parole di ‘rango’ elevato nei lessici di frequenza.
In effetti, tutta la frequenza gerarchica dei nomi dei colori, interpretata nel quadro
funzionale secondo cui le strutture della grammatica riflettono l’uso della lingua,
sembra diacronicamente modellata da fenomeni di frequenza. Nel senso che, da un
lato, i cromonimi tipologicamente più diffusi (bianco e nero) sono anche quelli usati
più spesso, e per questo tendono a rimanere stabili nel lessico delle lingue, e
dall’altro lato, la creazione di etichette basiche per nuovi colori che vanno a
completare la sequenza può riflettere la fusione e riduzione (da poli a
monomorfemiche) normalmente subita dalle parole più usate dai parlanti.
La frequenza riveste un ruolo importante nelle dinamiche del mutamento, ma tra i
meccanismi che lo innescano, il contatto linguistico ha conseguenze sicuramente più
immediate e vistose.
8. IL CONTATTO TRA LE LINGUE
8.1.1. L’INTERFERENZA
- cos’è l’interferenza:
la manifestazione del contatto linguistico prende il nome di interferenza.
L’interferenza consiste nell’imitazione degli elementi di una lingua modello in un
contesto diverso da quello di pertinenza, ovvero quello di una lingua-replica.
(Gusmani, 1993)
- fenomeno di interferenza: il code-switching
il passaggio involontario da un codice linguistico ad un altro nella produzione di un
messaggio;
i forestierismi/xenismi, ovvero le citazioni occasionali di termini appartenenti ad
altre lingue;
a livello fonologico e soprasegmentale, la pronuncia errata di una lingua secondaria
da parte di parlanti bilingui imperfetti.
- cambiamento della lingua-replica:
in concreto, tale modificazione stabile si registra solo quando l’influenza del
modello si estende e, sotto forme di innovazione diffusa, interessa progressivamente
un numero sempre maggiore di parlanti.