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Lessico critico petrarchesco

Amicizia
L’amicizia è categoria centrale nell’opera di Petrarca ed ha messo in ombra il
rapporto che lo lega all’antichità. Egli dà vita ad un corpo di exempla modellizzanti
e consustanziali ad ogni “sapere dell’uomo” e l’amicizia trasforma il mondo freddo
dell’erudizione antiquaria in un rapporto simpatetico e vitale. Questa amicizia fonda
una complessa nozione di natura culturale e storica che abbraccia l’intero corso
della civiltà dell’Europa e ne individua i momenti e i portatori privilegiati.
Amicizia nel progetto autobiografico: Petrarca afferma di esser sempre stato
fedelissimo alle sue amicizie, e questo è tratto caratteristico della sua personalità. A
fondamento del suo ritratto proprio la fedeltà ed il farsi garante di un nucleo etico
attorno al quale egli avrebbe costruito la trama dei suoi rapporti umani, lo porta ad
avere una fitta trama di amicizie  il suo Socrate (Ludovico di Beringen) e Lelio
(Lello dei Tosetti), Barbato, Sennuccio, Francesco Nelli, Azzo da Correggio e
ovviamente Boccaccio. Cicerone usa più volte nel “De amicitia” l’espressione vis
amicitiae = forza dell’amicizia, che è evidente nelle circostanza di vita che hanno la
forza di generare rapporti entro l’infinita società del genere umano. Petrarca
riprende l’espressione e sviluppa il concetto secondo il quale l’amicizia è una
qualità dell’animo, una forza che caratterizza innanzitutto chi la possiede. Cicerone
= amicizia come natura plurale VS Petrarca = qualità o virtù  questo caratterizza
in profondità il suo approccio al tema dell’amicizia: 1) Petrarca parla in effetti più di
sé che degli amici, tiene a presentarsi nella veste di fedele cultore dell’amicizia; 2)
la sua amicizia si nutre di presenze ma non ne dipende  vis che esalta la propria
verità nell’assenza del suo oggetto  amicizia = “desiderio di amicizia”.
Amicizia e memoria: il luogo dell’amicizia, dopo la scomparsa di tanti amici uccisi
dalla peste, è la nostalgia; dinnanzi la morte, la disposizione all’amicizia si rivela
non essere altro che amore per la virtù. Il percorso dell’amicizia petrarchesca ha tra
i suoi tratti tipici quello di innescare un corto circuito fra l’habitus (dal quale ha
origine il desiderio) e il bilancio finale che dà conto della progressiva consumazione
di un’esperienza di vita che si trasforma in memoria e che in quanto memoria della
perdita torna a riscoprire e perfeziona il segreto del suo originario valore.
Amicizia e fama: sul concetto di amicizia in assenza, si basa il concetto di amicizia
che nasce fra persone che non si conoscono e quindi sulla fama e la virtù della loro
sapienza. Cicerone, però, distingue questa “ammirazione a distanza” dall’amicizia
vera e propria e anche Agostino ammette che non si può amare ciò che non si
conosce. Petrarca, però, afferma che i sapienti, anche se non si conoscono di
persona, formano tra loro una stretta comunità. Egli vi conferisce, però, una sorta di
corpo mistico, cui aggiunge la dialettica progressiva dell’amore. Avviene così che la
fede nel vincolo che legherebbe i sapienti tra loro produce opera di trasmissione
dell’amicizia, e dunque un reale incremento della rete dei rapporti umani.
La rete delle amicizie: Petrarca è infaticabile e paziente tessitore di amicizie,
nonché loro custode, e ciò lo dimostra dinanzi la rottura tra due suoi amici,
Giovanni Barrili e Niccolò Acciaiuoli, in cui interviene e mette pace. La rete delle
amicizie, infatti, è considerata nel suo insieme come conquista preziosa da
difendere e rafforzare ad ogni costo.
Amicizia e felicità: egli esalta l’amicizia e sviluppa in senso nuovo ciò che una lunga
tradizione gli offriva; e quindi nasce un’esaltazione che la ricollega al diritto di
felicità. Le virtù sono sempre e comunque pubbliche, ma strettamente privata è la
loro ricompensa: l’amicizia vive attraverso un corredo di disposizioni e virtù proprie,
ma sembra voler premiare quei valori che agiscono nella storia. L’amico come alter
ego è infatti lo specchio attraverso il quale il soggetto ricava la certezza di aver ben
operato e questo diventa il fondamento etico che deve bastare alla sua felicità ed
alla sua gloria. L’amicizia/fiducia è una sorta di fede laica contro gli assalti
dell’accidia e della disperazione.

Amore
L’amore governa e livella le gerarchie umane tramite un impulso affettivo che
consente di vedere oltre il velame corporale, stabilendo così mutui legami basati
sull’ammirazione per le doti interiori, ma è anche fonte di guerra interiore. E’ il dio
più potente del sistema dei “Rerum vulgarium fragmenta”, colui che fra gli uomini
regna e fra gli dei. E’ il gubernator dell’Io fino alla resa dei conti del processo
celebrato di fronte a madonna Ragione (sistema triadico: Io, domina e Amore). Nei
“fragmenta” si intensifica la sua presenza come compagno inseparabile e dominus
perennamente assediante.
Amore nei RVF: mettono in scena il personaggio Amore come protagonista
indiscusso delle vicende e dei pensieri con cui l’Io rappresenta la sua storia
interiore: dalla memoria fino alla disputatio delle parti estreme e la ricapitolazione
finale. L’amante è gravato della signoria d’Amore, che lo conduce a morte. Amore
riconduce l’amante alla sua prigione antica, dopo ogni tentativo di fuga, e nessuna
umana saggezza è praticabile ed efficace contro il suo potere. Amore è il
compagno perenne della solitudine dell’Io, a cui governa e muove pensieri e parole,
guidandolo o traviandolo. Nella logica di una passione che occupa per intero le
facoltà dell’uomo, privandole di coerenza e unità e sottraendo l’arbitrio e la capacità
di governarsi secondo ragione, Amore è rappresentato come avversario, contro cui
l’amante non riesce ad abbracciare nessuna strategia. Strazia ed affligge il volto
dell’amante, esercita un gioco pesante da cui l’amante non potrà mai liberarsi,
nemmeno dopo la morte della donna  Amore è disarmato, spogliato della sua
luce, ma ancora capace di suscitare pensieri scuri e luttuosi; era dolce, ora è cosa
amara. Ma con Amore adversarius coesiste un Amore pietoso compagno che
discute e ragiona con l’amante, piange insieme a lui, prende le parti dell’amante per
difenderlo e lo conforta. Si innalza su entrambe le personae di Amore la sua
identità di divinità sovrana. Amore è infine dictator, fronte e limite alla parola,
sprona e sforza a parlare, accompagnando il dire veritiero dell’amante, spinge a
scrivere ed a dir parole sulla Vergine (RVF 366).
Il Secretum: nel libro, Francesco viene rampognato da Agostino per aver scambiato
le catene per tesori  la prima è l’amore, il cui principio è lo stupor e che riduce
l’uomo a pallido fantasma; la seconda è la gloria, o meglio l’amor di gloria,
All’argomento di Francesco che l’amore è buono se il suo soggetto è nobile,
Agostino risponde dicendo che tutto è buono, ma quando ciò che è buono viene
amato male, diviene un male. Francesco muove obiezione riguardo le virtù
dell’amata che lo hanno invitato a seguirla ed a trasformarsi in lei (vis
transformativa dell’amore), ma Agostino incalza. L’irresolutezza della lis conclude il
dialogo su una promessa di Francesco: “Sarò presente a me stesso quanto più
potrò”.
Amore amicale e amore politico: l’amore di cui si parla nelle Familiares è amicale;
si pensi al tema della dolorosa lontananza dell’amico, colmata dalla dulcedo del
colloquio epistolare e dall’amore come passione che sforza al contraccambio.
L’elemento forse più notevole è la declinazione politica del principio: amor, pietas,
fides, affectus sostengono quell’appello alla caritas che era connesso alla
predicazione di pace di età comunale, costituendosi come movente di
exhortationes rivolte a signori e regnanti.

Antichità
Il rapporto con il mondo antico rappresenta ai nostri occhi un aspetto decisivo della
figura intellettuale di Francesco Petrarca. Egli è il primo a delineare in modo
compiuto l’ideale degli studia humanitatis: amare, studiare ed assimilare le opere
letterarie degli antichi, con un desiderio insaziabile per lo studio e la collezione di
opere letterarie latine, raccolte di notizie storiche, exempla, che comportano ad un
nuovo atteggiamento nei confronti degli auctores: diffidente distanza  arguta
familiarità. La vicinanza con il mondo antico è spesso ricondotta ad una condanna
nei confronti del presente; tale concezione implica in modo paradossale, l’intendo di
scrivere opere degne degli antichi per raggiungere una gloria paragonabile alla
loro. Petrarca si offre ai contemporanei come guida sulla strada faticosa che
conduce alla gloria, una strada da tempo abbandonata dagli uomini.
Seguire le orme degli antichi: la scelta di ricevere la corona d’alloro a Roma non è
solo espressione di riverenza per i poeti antichi, ma anche rivendicazione del
desiderio di far rivivere la grandezza del passato. La riproposizione in chiave
moderna, a Roma, di una cerimonia tanto antica, rappresenta il culmine della prima
produzione petrarchesca  “classicista”. 1338 – 1339 : “De viris illustribus”
(biografie esemplari) + “Africa” (poema epico dedicato a Scipione l’Africano) +
“Rerum memorandarum libri” (exempla dedicati ad illustrare le virtù). Quest’ultima
opera enciclopedia presenta una ripartizione significativa che rispecchia la forma
mentis del Petrarca erudito  notizie da cui trapela un sincero entusiasmo nei
confronti della storia di Roma antica e una predilezione per gli eroi di età
repubblicana. Ma il tentativo di Cola accelerò la sua scelta di trasferirsi in Italia e
rappresentò il punto di partenza per una revisione sul suo ideale politico 
passaggio dal paradigma repubblicano a quello imperiale.
Cristianesimo antico e i Padri: tra il 1347 e il 1353 attraversò una crisi di carattere
spirituale e creativa  topos classico-cristiano della mutatio animi, in cui
abbandona la poesia d’amore e intraprende la nuova direzione che non comporta
l’abbandono degli studi, ma una via di mezzo secondo la quale non antepone mai
la ricerca della gloria a quella della virtù. Umanesimo improntato ad un ideale etico
definibile stoicismo cristiano. Giovinezza = classicismo intransigente  nuova
produzione improntata sulla filosofia morale. Nelle opere della maturità la
distinzione fra antichi e moderni non coincide con una netta distinzione fra pagani e
cristiani; i Padri, Agostino, Ambrogio, Lattanzio sono auctores pari ai classici. La
contrapposizione tra la virtù antica e la decadenza dei tempi moderno trova un
rispettivo nell’ambito religioso  alcune violente lettere, raccolte col titolo “Sine
nomine”, riconoscono Roma sede del papato, paragonata a Gerusalemme e
contrapposta ad Avignone, nuova Babilonia.
Triumphi: il classicismo si unisce alla tematica amorosa in una complessa
rappresentazione del rapporto tra Fama e Tempo. La drammatica rappresentazione
dei nomi degli uomini illustri è seguita dall’immagine dei beati spirti il cui nome verrà
custodita dalla memoria eterna di Dio. La narrazione della vicenda amorosa del
protagonista si alterna con la descrizione di cortei di anime illustri del mondo antico.
Il fascino esercitato dall’antica pratica del trionfo rappresenta uno dei nuclei centrali
dell’opera. La capacità di Petrarca di rievocare e ravvivare l’immaginario antico
garantì ai “Triumphi” una straordinaria fortuna nel corso del ‘400.
RVF: Nel Vat. Lat. 3195, l’opera appare col nome “Francisci Petrarche laureati
poete Rerum vulgarium fragmenta”, in cui si accosta l’appellativo che spetta
all’autore (laureatus poeta) agli sparsi componimenti in volgare. Da una parte
rappresenta il superamento della distinzione fra produzione poetica in latino e
quella in volgare, dall’altra mette in relazione la poesia amorosa agli studia
humanitatis. La tradizione romanza viene fusa con la memoria dell’antico, come
testimoniano il linguaggio poetico costruito con miti antichi e allusioni alla storia
antica. La memoria dell’antico assume notevole importanza nelle canzoni politiche
del libro, intessute di riferimenti alla storia romana  “O aspettata in ciel beata e
bella” (RVF 28), appello all’aderire alla Crociata indetta nel 1333 da Giovanni XXII
 riferimento all’antica Grecia / “Spirto gentil” (RVF 53) l’appello a continuare
l’opera di pacificazione nei confronti delle famiglie nobili di Roma  riferimento
all’amore per “le antiche mura” / “Italia mia” (RVF 128) la rampogna nei confronti
del ricorso ai soldati di ventura raggiunge il suo apice espressivo proprio nella
rievocazione delle gesta di Mario e Cesare, che nacquero e operarono su quel
suolo che ospita gli italiani contemporanei.

Biblioteca
La biblioteca è il cuore del mondo di Petrarca, simbolo del lavoro intellettuale e
punto di irradiazione dell’umanesimo europeo.
La più grande biblioteca d’Europa: la sua costituiva la più vasta collezione privata
mai assemblata a quell’epoca; molte scelte della sua vita furono determinate dalla
necessità di avere uno spazio a disposizione per i suoi libri. Fu seguace di Seneca
ma non adottò mai la massima del filosofo secondo cui una grande quantità di libri
soffoca la mente, anzi; egli però satireggia sui possessori di molti libri che si
contentano di guardarne il dorso sugli scaffali. La sua biblioteca era grande ma
selecta da un filtro che avrebbe impedito alla massa di testi inutili di entrarne a far
parte. Egli aveva formulato un sistema in base alla quale collezione dovesse
essere ordinata  discerneva le opere in maniera ignota ai lettori della generazione
precedente  egli applica principi che potremmo definire biblioteconomici  serie
ordinata per data, o con soggetto, o descrivendoli materialmente. Petrarca parla
della sua biblioteca come di una fortezza, rifugio, castello dove a nessuno è
permesso di entrare, tranne che per pochi amici eletti; essa, infatti, è tra gli scopi
stessi della vita e del suo progetto culturale. Attraverso la ricerca di opere rare
inizia a fondare quella rete intellettuale e di accademici che avrà grande peso nel
rinnovamento culturale dell’Italia e d’Europa.
Vicende della biblioteca: Petrarca provò a lasciare in eredità la biblioteca alla
repubblica di Venezia in cambio di una casa e di un vitalizio  venne accolta la
proposta; il verbale prevedeva che la biblioteca rimanesse integra, tenuta in luogo
sicuro e consultabile da uomini di ingegno e privati cittadini  ispirandosi alle
biblioteche del mondo greco e romano. Quel che resta della biblioteca è diviso in
tre sedi: Biblioteca Vaticana = manoscritti di Padova raccolti da Bembo /
Bibliotheque Nationale di Parigi = libri di Milano / British Library = manoscritti
francesi.
La rappresentazione metaforica della biblioteca: luogo simbolico con immagini e
metafore, prima fra tutte quella del topos della descrizione dei libri come amici con
cui parlare. I libri diventano personaggi di cui è esaltato l’aspetto umano ed allo
stesso tempo smantellato l’aspetto iconico. La visione idilliaca del rapporto
uomo/libro e la capacità delle letture di rendere gli uomini più dotti e felici,
corrisponde ad una finalità pedagogica e ad un desiderio umano di accrescimento
sempre presenti nelle opere etico-didascaliche di Petrarca.
Biblioteca e lettura: esistevano all’epoca 3 tipi di lettura  in silentio o tacita /
ruminatio, a bassa voce / recitazione liturgica e del canto. Petrarca pratica invece
lettura e scrittura contemporaneamente, compone leggendo; leggere, scrivere e
pensare sono per lui un unico processo  dalla ruminatio morale, ripete e
memorizza i temi oggetto di attenzione durante la lettura, si passa alla lettura
privata in cui la memoria si attiva e l’assimilazione di un testo richiede una
partecipazione che passa attraverso la fatica di scriverlo.
La biblioteca nel canzoniere: della biblioteca più grande d’Europa rimangono poche
tracce materiali nelle rime volgare, da cui sono escluse riflessioni di carattere
erudito; la stessa parola “libro”, o “volume” è assente per favorire un approccio più
laico al tema della lettura e ad una negazione del valore simbolico-sacrale. Gli unici
possibili riferimenti alla materialità delle attività legate ai libri sono rivolti alla
scrittura ed agli strumenti di essa.

Città
Petrarca è il poeta della città, ma più in linea con l’idea di rusticatio (soggiorno in
campagna) che con la vacatio (essere libero); il poeta gode ampiamente dei
vantaggi della propria estrazione borghese ma rifiuta i valori tipici della classe
sociale cui appartiene. La città è dunque idolo bifronte: luogo cruciale di
elaborazione della propria figura di intellettuale ma anche sede di tutti vizi e
dispersioni che dominano l’esistenza umana.
La città come spazio sociale: gli ambienti nei quali compie gli studi e trascorre gran
parte della vita rappresentano il cuore stesso della politica e della cultura europee.
La tradizione a cui il poeta rivolge tutti i suoi interessi era nata nel contesto urbano
e di quello era vissuta. Nelle sue opere latine si moltiplicano le città antiche e
moderne, celebrate per la felice ubicazione geografica o la salubrità del clima. Nella
lingua degli auctores: urbs = luogo fisico dell’insediamento umano VS civitas =
comunità dei cittadini. Questi due termini con Petrarca si polarizzano e si
connotano moralmente  valori positivi sul primo ed insieme di negativi sul
secondo.
Tra città di Dio e città dell’uomo: alla sua rappresentazione della società il Petrarca
maturo dà forma della moltitudine strepitante, sottendendo la critica contro la
sovrappopolazione dei centri urbani, piuttosto ricorrente nei documenti dell’epoca,
al topos letterario dell’occupatus che negli esercizi mondani sfinisce il corpo e
sciupa il tempo. Non di rado, infatti, piazze e vicoli sono sudici e come se non
bastasse, ad abitare le città sono in gran parte i malvagi  gli abitanti si
abbandonano alla perversione e le città  ricettacoli di infezione con i loro
animorum contagia.
Città ideali ed utopie comunitarie: in 4 città Petrarca abitò più a lungo che altrove 
Avignone (“Babilonia occidentale”, “labirinto”, “ergastolo) / Milano / Padova /
Venezia. Con l’eccezione della Serenissima, cui abbiamo ripetute e numerose
apologie, delle altre il poeta lascia descrizioni per nulla accurate. Sono piuttosto le
città in cui avrebbe voluto stabilirsi che meritano illustrazioni appassionate  Pavia:
città che appare in tutta la sua fastosità, in cui si decantano clima felice e posizione
favorevole / Napoli: mirabile per natura, cultura e doti umane ma ora travolta dalla
successione al trono / Roma: emblema del grande passato latino e della cristianità,
solo mito perpetuo intorno cui Petrarca vagheggia la restaurazione del primato
italiano

Conoscenza
Petrarca elogia l’umiltà e l’intelligenza del defectus (si rifà a scritti latini ed al “De
ignorantia”  “non diresti mai di essere se tu lo fossi veramente, perché il saggio si
rende conto di quanto gli manca, e perciò non si gloria, ma sospira”); la vera
sapienza è per lui l’amore di Dio quindi la Fede  esortata nella pratica della virtù.
Ha origine nella rivelazione, non nella ragione. Quest’ultima è il motore del
processo conoscitivo, donata da Dio per giungere alla salvezza. Il valore della
facoltà umana è dato dal fine: se esso è buono, è spirituale, se invece cattivo, è
terreno.
Per Aristotele la conoscenza = felicità  intesa come esclusione di Dio ed
immortalità dell’anima, che risultano aspirazioni terrene. La vera felicità è per
pochissimi eletti, poiché la vera sapienza ha natura beatificante. Concezione etica
della conoscenza.

Corpo
Il corpo è sviluppato in maniera complesso: si va dal dualismo corpo/anima al ruolo
dell’involucro esteriore nelle declinazioni della guerra amorosa fino alla
glorificazione del corpo di Sofonisba e Laura. Nel Secretum l’ossessione per la
bellezza del corpo di Laura è l’argomento principale; il rapporto con l’esteriorità non
esaurisce, però, nei campi letterari e orchestra con il proprio corpo un complesso
rapporto etico ed estetico. Riposo + alimentazione. Unico motivo di lamentela nei
confronti dell’aspetto esteriore è la canizie precoce.
Salute e malattia: Boccaccio tratteggia una descrizione fisica del maestro nella
“Vita di Francesco Petrarca”, con un ritratto di valenze positive sulla scia di una
retorica classica connotativa di pregevoli caratteristiche fisiche esteriori. Petrarca
ebbe sempre buona salute tranne qualche disavventura fisica derivata da alcuni
incidenti o poche malattie come febbre isterica o nevrotica. Nelle “Senili” il filosofo
morale, però, si mostra più attento alla bellezza della sapienza che alle vesti
splendenti, più preoccupato delle malattie dell’animo che della salute fisica. La
fronte rada, la barba e i capelli bianchi sono i fenomeni della superficialità speculari
alla saggezza interiore condivisi con i grandi personaggi e pensatori del passato. A
queste idee fa eco l’atteggiamento sprezzante verso il cibo  al contegno
alimentare corrisponde l’attuazione del codice etico del filosofo: annientamento del
superfluo, vivendo nella mediocritas.
Conflitto corpo/anima: tra anima e corpo vi è dualismo profondo ed eterogeneo, ma
comprendo l’individuo stesso avendo molti punti in contatto. La pugna articolata
sull’essere umano è individuata come duplice e condotta su due distinti campi di
battaglia  involucro del corpo e anima. La sfiducia verso il corpo non è totale, il
degrado della condizione umana non è imputabile alla materialità della carne
quanto alle continue tentazioni esterne  il peccato è un avversario potente ma
non invincibile, governabile. Le qualità del corpo sono definibili accidentali, poiché
forma e bellezza sono le prime a deteriorarsi, ed anzi sono un ostacolo sulla strada
che conduce alla verità. Il corpo è definito prima come dimora e poi come carcere
in cui ogni essere è rinchiuso. L’attenzione riservata al corpo andrà sostituita con lo
studio e la più degna palestra sarà quella della virtù. Caduta denti = valore morale:
peccatore non più soggetto alla tentazione militare godrà di condizione migliore /
perdita dell’udito = critica all’adulazione e alla conseguente presunzione : poiché è
in grado di distrarre dalla contemplazione.
I corpi di Sofonisba e Scipione: la descrizione della principessa africana (V libro
dell’”Africa”) è una sontuosa pagina ricca di elementi anatomici in grado di restituire
la maestà di Sofonisba. La descriptio della donna parte dall’alto: volto celestiale in
grado di competere con i visi delle dee + spumosa chioma che le dona aspetto
maestoso + occhi con una luce sublime e radiosa + guance come fiori + denti
bianchi come avorio + corpo intravisto attraverso una leggera veste. La maggior
vaghezza di Laura rispetto al completo e dinamico ritratto di Sofonisba
conferiscono pregio all’amata. Inoltre, Petrarca fornisce una descrizione su
Scipione ricolma di particolari morali, cercando di dare risalto alle sue qualità
interiori.
Il corpo di Laura: protagonista dei “Triumphi”; il dettaglio che viene subito esaltato è
il suo biancore e tramite il corpo della donna è già annunciato il trionfo dell’eternità.
Nel secondo trionfo, Laura definisce la morte come la fine di una prigione oscura
per le anime gentili. Il corpo è l’involucro esterno che comprende e racchiude, fino
alla morte, l’anima luminosa, finalmente in grado di librarsi in volo; il corpo è
maschera ed ostacolo alla visione diretta alla disiata forma vera di Laura.
Il corpo nei RVF: Laura = protagonista dotata di una corporalità di fatto elusiva e
sfuggente. Si cercherà invano una vera e propria descriptio e spesso i dettagli sono
sfumati in un’aggettivazione immaginifica ideale i cui referenti esterni o naturali
significano solamente questa o quella parte del corpo, impossibile un riscontro della
figura completa  inesprimibile bellezza della donna. Amante = configurazione
anatomica ancora più evasiva. La figurazione, però, è afferente alla guerra di
Amore, per poi passare al cuore, alla mente ed infine alla parte più alta, la rocca
della ragione. Quindi il corpo di Francesco, subisce gli assalti di amore, piuttosto
che agire, e che della passione amorosa porta visibili ferite.

Filosofia
Antiaristotelismo petrarchesco: la filosofia che aveva alle spalle e dinanzi era
l’aristotelismo scolastico, e contro di essa ebbe a combattere per tutta la vita. “De
ignorantia”: in cui ribatte 4 aristotelici padovani che l’avevano giudicato uomo
buono ma ignorante; egli si confessa ignorante ma solo perché condanna come
vano ed infondato il presunto sapere del quale gli avversari vanno tanto superbi.
Rivendica la sua filosofia  antiaristotelismo ed assume come modelli Cicerone e
Seneca (la filosofia non è altro che la retta maniera di vivere). E questa filosofia si
configura nell’avversione nei confronti della scolastica, la cui incancellabile macchia
sta nel mescolare la professionalizzazione della filosofia ed il tecnicismo assurdo
dei suoi contenuti. Petrarca insiste sul fatto che la consapevolezza costituisce la
nostra dimensione morale e pone l’uomo dinanzi a ciò che sta oltre il confine e lo
chiama a sé; dove manca la consapevolezza, manca la tensione e l’amore la cui
essenza sta nella disposizione ed apertura. Petrarca contesta, quindi, quell’etica di
non assumere tale ignoranza quale punto di partenza ed arrivo e di essere solo
frigida teoria dei comportamenti. Perciò nell’opera si esalta, contro la superbia
filosofica degli intellettuali, la naturale bontà e la semplice fede del contadino.
Uguaglianza degli uomini d’ogni tempo e d’ogni spazio: la comunione degli uomini
di tutti i tempi e luoghi è attraverso la comune esperienza esistenziale dell’infelicità
e dell’insufficienza di ogni sapere. Di tutti è l’ingegno naturale e la ragione, di tutti,
in punto di morte, la capacità di rileggere la propria vita e riconoscere i propri errori
e pentirsene  nel momento della morte tutti gli uomini sono uguali.
Primato di Platone: il discorso sul divorzio tra letteratura e filosofia non è così
semplice, anche perché non si può negare che la sua antifilosofia abbia caratteri
filosofici. Egli non ha mai imparato il greco, ma possedeva e venerava un codice
delle opere di Platone, nonostante il contenuto inaccessibile. In virtù di uno studio
partito dai testi di Cicerone ed Agostino, egli ha condotto una lunga battaglia per
ridimensionare l’autorità di Aristotele e sostituirla con quella di Platone, imponendo
all’umanesimo la scelta fra due filosofi e spalancando la porta al movimento del
platonismo rinascimentale. Platone è primo perché è andato più vicino alla verità
rivelata che solo per grazia divina può essere raggiunta. La grandezza di Platone è
relativa a quella verità la quale egli si è mosso e che sola garantisce ogni vero
come tale.
Sapere e felicità: tipica del mondo aristotelico era la concezione che legava
conoscenza e felicità; anche Dante, soprattutto nel “Convivio”, ha sentito il principio
secondo il quale la conoscenza è la sola vera fonte di felicità. Ma Petrarca è il
primo che disarticola virtù-conoscenza-felicità, rifacendosi alla concezione di
Agostino secondo cui la conoscenza umana approfondisce il senso di
inadeguatezza dell’uomo e lo situa sempre più in una terra nella quale si è stranieri.
Petrarca occupa un ruolo chiave perché sbarra la strada all’ideale classico di
ricerca della felicità e propone il valore esemplare di un percorso intellettuale ed
esistenziale.
Sentimento del tempo e memoria di sé: egli sviluppa con ampiezza la polemica
contro l’eternità del mondo e dei suoi cicli che era propria del paganesimo e cardine
del sistema aristotelico. La visione cristiana e lineare del tempo univocamente
orientato e chiuso tra l’alfa della creazione e l’omega della fine del mondo trova in
Petrarca il suo primo interprete. Il tempo non è più quello eterno ma quello di una
universale consumazione che si ripercuote indietro e si realizza segmento per
segmento; e la sua vita non è altro che uno dei segmenti. Petrarca non fu filosofo,
ma ha caratteri filosofici la sua scelta di non esserlo, così come li ebbe la sua
battaglia culturale contro la scolastica.

Fortuna
Fortuna, fato, provvidenza: dalla tradizione classica e medievale si ricava
un’immagine polivalente della Fortuna  divinità cieca che si regge in equilibrio su
una sfera volubile e distribuisce capricciosamente beni e mali. Fortuna = opinione
popolare / Fato = filosofica / Provvidenza = cristiana. Egli tratta il tema della fortuna
con grande duttilità; un excursus fra le sue opere latine può anzi dare impressione
di incoerenza. Ma la sua impressione favorita è quella di un progresso da una
posizione giovanile (in cui la Fortuna è entità onnipotente) a una posizione matura
(in cui quasi arriva a negarne l’esistenza). Il potere della fortuna è ampio, ma al
tempo stesso è circoscritto; solo il volgo può apprezzare i beni che essa dona e che
può togliere da un momento all’altro, mentre il saggio mira a ottenere ciò che si
trova al riparo dai suoi colpi. La missione diplomatica da lui svolta a Parigi tra la fine
del 1360 e il 1361 è importante per il discorso da lui pronunciato, in cui usa
Macrobio, che aveva notato la distanza corrente tra Omero e Virgilio sul tema della
fortuna, evitando di prendere posizione in merito. Petrarca non sembra sapersi
decidere: considera la fortuna un nudo nome ma non esclude che possa essere
vera l’opinione di coloro che vogliono la fortuna esista e sia o la provvidenza stessa
di Dio, o una ministra della provvidenza. Ed è da credere che l’incertezza non lo
abbia mai abbandonato. L’immagine che si intravede da una lettera che poi inviò
dopo il discorso al re ed al principe, indica qualcosa di diverso dal “nome vano”, ma
la identifica ad una forza razionale che indirizza nascostamente la storia secondo
certi fini. Petrarca sembra non sapersi decidere: considera la fortuna un nudo nome
ma non esclude che possa essere la vera opinione di coloro che vogliono che la
fortuna esista e sia o la provvidenza di Dio o ministra della volontà divina. Ed è da
credere che l’incertezza non lo abbia mai abbandonato.
Fortuna e virtus: se la Fortuna regge il mondo, dunque, essa ha due facce, una
buona ed una cattiva  la prima non è meno pericolosa della seconda perché
entrambe provocano un’alterazione di quell’equilibrio interiore che il sapiente
dovrebbe mantenere. L’uomo conduce dunque una continua lotta contro la fortuna,
che dimostra il suo potere particolarmente nell’abbattere chi è più in alto. Ma d’altra
parte la fortuna seve a mettere alla prova gli uomini, a mostrare quanto essi
valgono: la virtus, unica forza non soggetta alla sorte, è l’arma più efficace per
opporsi ad essa.
Fortuna nei RVF: ben poco trapassa nei RVF; manca una riflessione seria sulla
natura. E’ qualificata perlopiù da connotazioni negative con poche eccezioni che
non modificano il quadro. Insomma, la fortuna ha soprattutto la colpa di aver
condannato Petrarca ad un amore infelice e poi di avergli sottratto la vista
dell’oggetto amato.

Lis
Il bellum ubique nel pensiero di Petrarca: la sua attrazione per definizioni in forma
di contraria invicem (paradossi, ossimori, antitesi) sono quasi maniacali; e nella
Prefatio al II libro del “De remediis”, giunge a dire che la lis, la vicissitudo, la pugna
sono necessarie poiché la vità è un incessante movimento senza requie. La vita del
soggetto-io della poesia è diviso ed inchiodato all’insolubile dilemma della quies
anxia e del dulce virus. Una visione del mondo diatribica e dilemmatica che sembra
la cornice perfetta del selvoso labyrinthus errorum a cui si riduce la vicissitudine
erotica del canzoniere.
La lis dei Triumphi: la serie dei sei trionfi è mossa da un’inesorabile legge di
reciproca prevaricazione giusta la quale niente dura, e chi segue distrugge il
predecessore per essre a sua volta distrutto dal nuovo successore: nessuno
scampa. La struttura del poema volgare è fondata sull’oggettiva constatazione della
pugna quale normale modus vivendi e sul diritto del più potente che prevarica il più
debole.
Il conflitto nelle opere volgari: nei Fragmenta l’estremo trionfo di Maria Vergine non
nasconde lo smacco della ricerca di Laura oltre la morte, ma quest’ultima come
potenza si perde obliata nei Triumphi (appena terza) verso l’annientamento
universale. Come dimostrano il “De remediis”, i “Triumphi” e soprattutto i “RVF”,
Petrarca ama le summae enciclopediche  RVF: contrarietates, tutte concentrate
sulla natura di Laura e sul conflitto interiore del soggetto poetante scisso in sparsa
fragmenta ed alla ricerca di una formula di possesso che si raggruma in coaguli
verbali di pura antiteticità.
Ossimori e contrapposti nei RVF: i contraria sono connaturati al mondo stesso e
amore non se ne sottrae, inchiodato ad una stasi dinamica; la tessitura del mondo
funziona per contraria contrariis, in forma di pugna amoris, che ha sempre esito
paralizzante. Il lemma “guerra” nei RVF ben 31 volte inchioda il soggetto poetante
in mezzo ad un varco invalicabile, stato di perenne lis. La morte di Laura lo ha
lasciato in guerra, tanto che la lis sembra addirittura profilarsi come compagno
ineliminabile nel gioco della coniugazione ossimorica; la guerra è il privilegio degli
amanti, morti viventi consapevoli che tutto è immagine e fantasma e che la pace è
reversibile come la guerra nell’incessante ludus fluctuationis che regola il canone
dei Fragmenta.
La perenne guerra dei Fragmenta: tra vivere e morire si sigilla la vita del poeta e la
scrittura viene consegnata al destino coatto di un’occulta dissociazione, proliferante
nel sistema metaforico dei Fragmenta. Quello di Petrarca è un pensiero ossessivo,
ma ossessionato dall’ineffabile  l’enciclopedia poetica della lis conferisce a
quell’ossessione la sua innegabile funzione gnoseologica. Lo status belli è al tempo
stesso psicomachia e scrittura, conflitto onnipresente e netta scelta di campo
stilistica, un nodo inscindibile della poetica petrarchesca, niente affatto pacificata o
pacificante.

Memoria
Ricordo e trauma: la morte viene condannata anche perché impoverisce l’energia
della memoria collettiva, inducendo la progressiva dimenticanza di sé. Proiettata su
un piano storico sovraindividuale, la reazione ad un siffatto sentimento di perdita
dell’altro e conseguente smarrimento di sé, trova una multiforme espressione nella
passione memoriale che guida i Triumphi, i RVF, il De viris illustribus e il De
remediis  etica del ricordo. Il campo metaforico memoriale diviene anche il nucleo
concettuale ed immaginale fondante quella grande impresa di lettura, postillatura e
riscrittura del sapere classico e medievale che è il De remediis.
Memoria e tempo: Petrarca pensa che indipendentemente dall’età, ciò che conta è
una vigile responsabilità verso i propri ricordi, un’inesausta pratica di selezione che
sgrava la mente dai ricordi accessori e preserva i fondamentali.
La machina memorialis del Secretum: dopo aver fatto emergere i vizi che
opprimono l’animo di Francesco, nel secondo libro Agostino invita l’interlocutore a
fissare il loro colloquio nella memoria ed a conservarlo. L’atteggiamento virtuoso
che deve emergere è quello della sollicitudo, o studium, moto di affinamento e
controllo della concentrazione, propedeutico alla costruzione di una salda memoria
e di un intelletto vigile. Bona memoria e mala memoria sono due estremi della
memoria ed entro di essi si distende l’indagine esistenziale messa in scena nel
Secretum dove Francesco è reso immemore di Dio e di sé dall’ossessivo ricordo di
Laura, e Agostino sa leggere nella pagina mentale selezionando solo i dati
funzionali alla sua argomentazione.
L’ambigua natura della memoria: con violenta risolutezza, Agostino cerca di
rimuovere dalla mente di Francesco ricordi dolorosi ed al contempo di rinsaldare
alcune pratiche di bona memoria. Contro gli uncini e le catene del mondo terreno
bisogna mostrarsi previdenti del pericolo futuro.
Frammenti di memoria: il fattore coesivo e il nucleo tematico dei “Fragmenta” è la
fuga temporis che si declina nel contrasto fra fuga del tempo esteriore (oggettivo,
scaturito dal passare dei giorni) che la facoltà memoriale difficilmente argina, e
apparente stasi del tempo interiore (soggettivo, quello del mito) che la facoltà
memoriale prova a sviluppare in forma di racconto. La forza della parola
petrarchesca sta nel far percepire quasi inavvertibile la distanza tra la presenza
materiale di Laura, quale corpo, e la sua presenza memoriale, quale ricordo.
L’addensarsi delle immagini laurane nella memoria dell’Io lirico comporta anche il
sostentamento del desiderio erotico ce conduce alla ricreazione laurocentrica del
mondo. Il piano memoriale consente peraltro la constatazione di una mancata
reciprocità del sentimento e sottolinea l’incolmabile disparità affettiva tra chi ritiene
impossibile la scomparsa degli illusori fantasmi di un sogno amoroso e chi non ne
avverte neppure la presenza. Laura è una figura di intensa concentrazione
meditativa che, oltre a riflettere una volta di più l’imperfetta metamorfosi dell’amante
nell’amata, si offre come invito ad un pensiero rammemorante.

Mondo
Petrarca è fra gli autori dei primi secoli, il vero poeta del mondo terreno perché non
solo osserva, descrive, rappresenta il mondo nelle forme della sua apparenza, ma
ne è profondamente partecipe, e lo afferma lo stesso poeta. Scrive tantissimo del
mondo, in molte circostanza e secondo varie accezioni  1) mondo = il posto
dell’uomo nel cosmo, spazio geografico da percorrere, descrivere e denominare; 2)
= categoria morale perlopiù negativa, intesa come società, il vivere aggregato; 3)
categoria di ordine filosofico = serie di problemi di tipo teorico della sua epoca; 4)
punto di vista estetico = costellazione dei concetti afferenti ad un uso in funzione
poetica.
Mondo come spazio geografico: pochi fra gli autori antichi conobbero il territorio
europeo quanto Petrarca  fece spedizioni, escursioni, gite, pellegrinaggi di cui
resta testimonianza in lettere e digressioni narrative. L’esame topografico, la
pianificazione del percorso e la descrizione del territorio furono dunque per il poeta
abitudine e necessità. Ad ogni elemento del territorio, il poeta accosta un ricordo
personale; imitazione antichi + soggettivismo petrarchesco = caratteri principali
delle descrizioni, i singoli elementi sono evocati uno ad uno e si susseguono per
accumulazione.
Mondo come società: il mondo è sempre antropizzato, fatto di città, borghi,
campagne, spazi naturali. La natura del mondo è instabile e lusinghiera, insozza
l’anima e corrompe le abitudini poiché il desiderio delle cose mondane allontana e
sopprime ogni altro pensiero.
Mondo come creato: Petrarca fa spesso riferimento a temi e questioni filosofiche,
rifiutando le teorie di matrice scolastica e ponendosi in contrasto coi naturalisti. Il
poeta aderisce alla concezione di Agostino, secondo cui il cosmo, il tempo, la storia
siano stati creati dal nulla per un puro atto della volontà divina. La natura partecipa
e risponde all’intenzione di Dio; è rivelazione e provvidenza divina perché mentre
manifesta la perfezione del creatore, contribuisce alla formazione del mondo come
principio seminale insito nelle cose e procede al suo governo. Tutto ciò che esiste
nel mondo è stato creato per servire l’umanità nel compimento del proprio fine
ontologico  la beatitudine celeste; quindi in natura nulla può esser nocivo, né la
malattia, né la morte accidentale, né la peste, né la carestia. Essendo il creato
rivelazione del disegno divino, la sua interpretazione non è accessibile a chiunque,
ma solo agli individui dotati di intelligenza spirituale; gli altri cadono nella superbia e
nell’inganno.
Mondo come spectaculum: la poesia è per Petrarca il luogo privilegiato
dell’interpretazione simbolica, quella facoltà dei poeti di stabilire analogie tra creato
e rivelazione. Dunque la contemplazione della natura riveste qui una funzione
importantissima perché il poeta attribuisce precisi sovrasensi ad alcune componenti
del mondo fisico; ma questa contemplazione non è mai compiacimento. In primo
luogo, a fare di uno spazio naturale qualcosa di definibile come paesaggio sono gli
occhi del soggetto che guarda; in secondo luogo è lo stato d’animo con il quale il
soggetto si dispone all’osservazione (libera da ogni fine pratico se non il godimento
della bellezza come valore in sé). La prima condizione si verifica nella lirica
petrarchesca e trasforma l’autopsia in contemplazione e il mondo in spectaculum.
Petrarca costruisce tutti i suoi paesaggi intorno a Laura, come se la sua presenza,
reale o immaginaria, rappresentasse la componente primaria (ecco perché si trova
sempre nel paesaggio). Come ogni altra creatura, anche Laura è portatrice di un
rischio: la distrazione della visione che caratterizza ogni passione sensibile, e come
lei la natura amena che la circonda. Perciò alla fine il soggetto dovrà rinunciare
perfino al paesaggio.

Morte
L’inizio e la fine delle “Familiari” inscrivono l’opera nel segno della morte  si
delinea la doppia prospettiva petrarchesca sulla morte: da una parte come
condizione esistenziale cui ogni uomo deve misurarsi, dall’altra un trauma vissuto
soprattutto nell’annus horribilis della peste. La morte è un evento che incombe
sull’uomo ed a nessuno è concesso sottrarvisi: non sappiamo quando ma lo
dobbiamo.
Epystole: i primi versi composti furono il “funereum cantum” per la madre Eletta, in
cui si parla del trauma non elaborabile della vista del cadavere materno, cui segue
il lamento per l’abbandono nelle tempeste del mondo  assegnazione alla propria
poesia del ruolo di eternatrice della memoria della donna celeste. Le “Epystole” son
collocate in tempo postumo, quando l’experientia ha asciugato le sue lacrime e
l’amante è racchiuso in un breve marmo. Nella “Ad se ipsum” l’uomo trova uno
scenario entro il quale esercita la propria sapientia e la adotta come misura per il
distacco dalle cose del mondo. La morte recata dalla peste, sconvolge gli ordini di
entrata e di uscita dalla vita, getta senza onore il cadavere del nobile accanto al
plebeo.
La meditatio mortis nel Secretum: il pensiero della morte deve alte descendere,
insinuarsi nel cuore, lì radicarsi e offrire all’immaginazione la vicenda concreta della
morte del corpo, con la rassegna di tutte le sue parti che perdono la forza vitale, si
degradano e cessano di vivere. E’ notevole che il personaggio Francesco, ammetta
la difficoltà di tenere ferma la memoria a questo pensiero, chiedendo al maestro di
imprimergli un signum che lo metta in guardia dal ricadere nelle vecchie abitudini.
La meditazione non è sufficiente: la vita dell’uomo, con le sue speranze e la sua
considerazione della mortalità, è modellata dall’intelletto e dall’esperienza, che con
il loro peso intervengono a modificare il pensiero di sé ed a celare il memento mori
dietro il velo delle lusinghe.
Familiari: tutto il Liber è intessuto di ragionamenti sulla morte, tanto che risulta
difficile ipotizzarne un elenco; con la morte ha inizio la fama, estingue l’amore, sia
quando giunge improvvisa a rapire la causa di un ardore inopportuno sia quando
viene a spegnere una fiamma che già il tempo aveva fatto illanguidire. Certa la
morte, incerta la sua ora. Dobbiamo vivere da ospiti del nostro corpo per non dover
temere l’ora della morte, perché solo essa mette fine al desiderio perpetuo di
ricchezze; si presenta all’improvviso, giudica della vera felicità, della vita e della
fama.
I RVF: al di là e prima della sua costante presenza nella seconda parte del
canzoniere, la morte agisce largamente anche nella prima  da una parte come
morte reale, patita, immaginata ma anche quasi preannunciando la dipartita
precocissima di Laura; dall’altra come stato doloroso dell’Io. La seconda parte delle
rime vi è interamente dedicata: l’apertura sul sentimento della morte trascorre in
una riaffermazione di salda fedeltà alle catene del vivere, il lauro e la colonna, che
viene tradita dalla morte del lauro, prima solo lamentata e poi espressa a chiare e
dolorose lettere. Tutto il resto delle rime sarà dedicato all’elaborazione del lutto, con
fragmenta progressivamente dedicati a persuadere l’animo, a deprecare il potere di
Morte e ad ammettere con le proprie mebra che ciò che le faceva vivere è tolto al
mondo.

Otium
L’autore difende il proprio modus vivendi e rivendica il valore di un’esistenza spesa
nell’otium, tema cardine che attraversa l’intera produzione petrarchesca e sul quale
fonda il proprio percorso morale ed intellettuale  vita appartata, lontana da
passioni ed occupazioni (negotia) + impegno morale e civile. L’otium trova la sua
piena realizzazione in una solitudo pacifica, serena e lontana non dall’umanità, ma
dai vizi degli uomini. Nel Secretum e nei RVF la solitudine dell’Io si tramuta in
dispersione malinconica che conduce alla fuga dall’umano consorzio.
Otium vs negotium: nel De vita solitaria, si delineano le due figure opposte del
solitarius (colui che pratica l’otium fondato sulla vacatio lontano dai negotia) e
dell’occupatus (disordine di una casa affollata da falsi amici, fra lusso e corruzione,
che raffigura il negotium inteso come attività frenetica ed al male). Lega, inoltre, il
concetto di otium a diversi temi-chiave  meditatio mortis, fluctuationes, libertà, sibi
vivere (che riassume l’ideale di autosufficienza del saggio  Seneca e Agostino).
Chi pratica l’otium vive serenamente l’hodie, non ha paura della solitudine ma si
dedica alla contemplazione; l’occupatus rifugge la ricerca interiore e colma il tempo
nello strepito cittadino. L’horror vacui e il tedium in cui vive lo spingono al suicidio.
Vacatio e contemplatio: la vacatio come libertà spirituale si congiunge all’otium e
consiste nell’ozio operoso che prepara alla contemplazione di Dio. Si tratta di un
raccoglimento interiore impegnato nella ruminatio che libera l’uomo dagli affanni e
dalle tentazioni che offuscano la mente.
Otium, libertas: l’ozio inteso come libertà etica ed intellettuale è l’ideale di vita che
rivendica per se stesso Petrarca; otium e libertà divengono connessi al tema
dell’invettiva poltica ed al topos dell’aurea mediocritas campestre. Inoltre, la ricerca
interiore che si realizza nella solitudo campestre non implica un isolamento dalla
vita civile e dalla storia e non comporta una svalutazione della vita attiva.
Otium litteratum: l’ozio è inteso come esperienza esistenziale totalizzante
all’insegna della cultura, poiché una vita priva di cultura è sinonimo di barbarie e di
annichilimento interiore. Luoghi privilegiati dell’otium litteratum sono i rifugi
campestri in cui regnano silenzio e solitudine. Sul solitario raccoglimento dedito alle
humanae litterae, sul dialogo con gli antichi, sulla passione per i libri Petrarca ha
organizzato il proprio percorso esistenziale.
L’otium tra cultura pagana e cristiana: l’otium come ricerca interiore presenta il suo
progressivo evolversi verso una dimensione cristiana  affanno amoroso della
prima parte VS perfetta realizzazione della vita solitaria nella solitudo campestre,
distante dalle vane occupazioni del volgo, in cui si dedica alla meditazione e alla
lettura. Il motivo del raccoglimento interiore è volto alla ricerca della verità e si
modella su Platone, Seneca, Cicerone ed Agostino. La ricerca della verità trova il
proprio fondamento nell’interiorità dell’animo umano e nell’intimo ricongiungimento
con Cristo.
L’otium nei RVF: nel canzoniere l’ozio è concepito come solitudine; la malinconica
solitudine dell’Io spinge il poeta a vagare nei luoghi solitari e a rifuggire l’umano
consorzio; l’isolamento e la sofferenza si consumano nei luoghi campestri. Ne
consegue un dialettico rapporto con il paesaggio per cui l’Io è in antitesi alla ridente
bellezza della natura, trovando conforto alla sua pena negli spazi deserti ed
inospitali. L’autoanalisi dell’Io tramuta in solitudine assoluta.

Peregrinatio
Peregrinus ubique dall’inizio alla fine: Petrarca passò gran parte della sua vita in
viaggio, con una vera e propria smania che diviene struttura portante della sua vita:
ogni età è scandita da un viaggio, ogni evento deve fare i conti con un nuovo
itinerario.
Forme della peregrinatio tra le lettere: la peregrinatio associa il tema del motivo
classico a quello cristiano dell’esilio terreno, e dopo averne ampliato i tratti morali
ne tesaurizza la portata semantica nel campo politico.
Petrarca: Ulisse omerico o dantesco?: si staglia intorno alla figura di Petrarca
l’ombra dell’eroe omerico costretto a condurre un’esistenza perennemente in
viaggio, simbolo dell’uomo forte e sapiente, in un continuo peregrinare che ha la
sua meta finale nella sapienza. L’eroe greco riveste il ruolo dell’exemplum perfetto
di una vita condotta alla ricerca della sapienza. L’Ulisse petrarchesco, inquieto e
curioso indagatore in cui la malinconia del nostos è più forte della follia dell’andare
sostituisce all’Ulisse dantesco che era stato trascinato a morte dal suo stesso
inseguire virtute e conoscenza.
Peregrinatio e vacatio nel De otio religioso: attraverso l’esperienza del
pellegrinaggio, teso a scorgere le realtà interiori, si pacifica la concupiscenza delle
realtà celesti e si giunge ad uno stato di appagamento interiore ed intellettuale.
Il viaggio nelle opere volgari: il tema della peregrinatio invade lo spazio delle opere
volgari, soprattutto nei Triumphi e nei RVF.

Politica
Petrarca è l’archetipo del letterato italiano asservito al potere, chiuso nell’asfittico
mondo del suo egotismo lirico e alieno; la sua attività politico-diplomatica fu svolta
per lo più al servizio dei Visconti nella seconda parte della sua vita, cosa diversa
dalla ricostruzione delle sue idealità politiche legate al mito della romanitas ( Cola
di Rienzo).
Tra i palazzi del potere: ebbe rapporti con Colonna, vari papi (Benedetto XII,
Clemente VI, Innocenzo VI ed Urbano V  che riportò la sede papale a Roma dal
1367 al 1370  stima di Petry). A Genova scrisse la sua ultima lettera a Cola,
annunciandogli il definitivo distacco dalla sua causa (l’appoggio datogli non si
tradusse in comportamenti concreti, ma gli guastò i rapporti coi Colonna ma non
quelli con la curia  momento culminante di un percorso politico ispirato a Roma
antica  “Africa” e “De viriis”). Il suo impegno poi si sarebbe sempre più ispirato al
realismo.
La svolta del 1348: avvicinamento ai Visconti ed individua a Milano l’ambiente più
adatto alle sue esigenze. Institutio regia = esortazioni e consigli per ben governare
per Luchino Visconti  instaurazione del ruolo di “consigliere del principe”.
Al servizio dei Visconti: nuova stagione  interventi nelle guerre Genova VS
Venezia / Firenze VS Visconti. Firenze VS Visconti = Firenze minacciata
dall’espansione viscontea ed attaccata sul suo territorio da Luchino Visconti  si
prodigò per mettere insieme un’alleanza antiviscontea estesa anche a Venezia.
Gli avvertimenti a Venezia: il doge Dandolo stringe un’alleanza con Pietro IV
d’Aragona, Petrarca avverte i veneziani a non fidarsi dell’alleato aragonese che li
avrebbe abbandonati. Sviluppa un discorso inserito nelle divisioni “Vecchi” = ostili
alla guerra VS “Giovani” = desiderosi. Insiste contro l’incuriosa dementia,
disinformata pazzia per la quale il doge immagina già vinta una guerra che per
entrambi sarebbe persa.
Rapporto con Carlo IV: con l’imperatore ebbe lungo rapporto; la sua iniziativa di
dialogo batté i Fiorentini sul tempo che cercavano un’alleanza con Carlo IV in
funzione antiviscontea; egli indirizzava anche una manovra diversiva sulla
risanazione di Roma. Sottolinea all’imperatore come tuti ne invochino la venuta e
svuota dall’interno le mosse della diplomazia fiorentina. Il passaggio successivo di
Carlo a Milano confermò l’appoggio ai Visconti e deluse coloro che lo chiamarono.
Tra Genova e Venezia in favore dei Visconti: lettere ai Genovesi in parallelo a
quelle per il doge, in cui però manca interlocutore ed accentua il carattere
istituzionale della missiva. Enfasi sulla sola virtus dei Genovesi esaltata senza
riserve per gran parte della lettera. Impossibilità di una vera vittoria e del
conseguente rischio di collasso per le repubbliche. Li incita a trasformare una
guerra italiana ed intestina in una guerra esterna contro Aragonesi e Greci.
Stabilitosi a Milano, avvia un’attività politica di supporto alle strategie del signore di
Milano, parte visibile di un impegno che ha avuto contorni più ampi ed articolati.
La fine di una lunga carriera: continua a dare prove della sua fedeltà ai Visconti.
Ultima missione nel 1373: resistenza opposta al dominio dai Pavesi guidati dal frate
Bussolari, scrive una lettera in cui li esorta alla resa. Abilmente evita di nominare i
Visconti (visti come tiranni) ed in nome della pace si dedica senza difficoltà a
mostrare che il popolo pavese non avrebbe ricavato altro che un surplus di atroci
sofferenze da una ribellione folle e senza alcune speranze.

Potere
Petrarca fu l’unico intellettuale italiano e probabilmente europeo che abbia
conosciuto direttamente il potere  curiale e papale / monarchia / signorie /
imperiale  “teoria del potere”. Petrarca evita gli impegni di tipo teorico perché,
secondo lui, la teoria coincide con la prassi ed è destinata a rimanere implicita;
perciò il suo pensiero di potere va estratto da una somma di poteri ma non in una
costruzione unitaria. Inoltre, i risultati che ricaviamo sono di sconcertante novità e
modernità.
Il potere dev’essere di un solo principe: il potere deve essere concentrato nelle
mani di uno solo  necessaria reductio ad unum fondata sulla corrispondenza tra
l’ordine divino e l’ordine terreno, e che per sovrappiù si alimentava del mito
dell’impero romano. Prima di Petrarca, il principio del comando unico veniva
legittimato per così dire dall’alto, con il potere assoluto di Dio e con la missione
universale affidata dalla Provvidenza dell’impero romano; ma con lui non è più così
 no c’è più un superiore principio di legittimazione. La sua concentrazione nelle
mani di un uomo solo non deriva le sue ragioni dall’alto, sotto la forma di un’istanza
ideale ed assoluta rispetto alla quale il potere medesimo definisce la propria natura
trascendente, ma le trova in basso, nelle basilari esigenze del buon governo.
Brunetto Latini: l’uomo nasce cittadino e la città gli appartiene come luogo proprio
del suo essere sociale, quindi non si accetti che un uomo solo ottenga la somma
del potere. Per Petrarca invece, solo i regimi signorili, più o meno tirannici possono
ormai garantire i valori repubblicani (per questo l’adesione al tentativo di Cola di
Rienzo). La persistenza culturalmente rilevante di temi repubblicani, nonostante
l’esperienza politica di di Rienzo, non nasconde la sostanza di una visione politica
che fa centro sulla pienezza dei poteri e sull’iniziativa di un solo uomo.
Il problema della tirannide: Petrarca espone la sua consolidata opinione che il
governo ideale sia quello di un principe unico e giusto, e prosegue affermando che
ottimo è il presente regno sotto il quale vivono e che coloro che hanno il coraggio di
definire “tiranno” il re, sono in verità essi stessi altrettanti tiranni. Se il tiranno, dice
Petrarca, non è altro che un re ingiusto, un tiranno giusto non sarà altro che un re.
Petrarca e il buongoverno: messa a sordina ad ogni visione di tipo imperiale,
Petrarca vede il potere, sempre generato da un più o meno antico atto di violenza
che si legittima da sé e non importa in mano di chi sia, per il semplice fatto di
essere re.
Le forme di governo: la tirannide crede sia la più coerente forma di governo poiché
il potere monocratico rispetta meglio di altre la natura profonda del popolo. Il potere
è sempre qualcosa di estraneo e con esso occorre scendere a patti senza
identificarsi con esso e senza derogare dall’unica cosa che conta: non subire e non
essere costretto a fare il male; un male che rende percepibile il potere e che infine
lo caratterizza, qualsiasi sia la forma che ha assunto. Il popolo avrà garanzie di
sopravvivenza e serenità solo da una condizione di pace, per quanto si tratti di
cosa instabile ed a sua volta piena di rischi. Lo stato signorile è garanzia di quella
eliminazione ed all’intellettuale spetta il compito di suggerire la pace, ma
continuando pure a sottolineare come la pace sarà inevitabilmente risultato della
guerra. L’arte della fuga, è l’unica vera politica dell’individuo  questo ignori o
venga a patti con un non potere che non può fare a meno di subire, o in casi
estremi fugga. Il potere, quindi, deve essere ristretto in pochissime mani, meglio in
quelle di uno solo, così che il male non ecceda le possibilità del singolo.
“Quasi nessuno è libero: dappertutto ci sono schiavitù, carceri, catene. Volgiti come
vuoi verso qualsiasi parte della terra: nessun luogo è sena tirannide. E’ inutile
cercare quello che non esiste da nessuna parte.”

Senectus
La vecchiaia finisce per diventare non solo meta inevitabile; spesso si ritrova a
ragionare sulla topica della deprecatio senectutis per dipingerla come età
venerabile  nuova concezione dell’età senile a partire dalla lettura dei classici, dal
rilievo dato all’esperienza nella formazione del pensiero morale, e insieme dal fatto
di tirare le fila della sua considerazione del tempo, che ne ha attraversato l’opera
intera. Petrarca ragiona costantemente sulla vecchiaia, riconoscendole danni e
pregi, status di onesto decoro e matura saggezza. L’imperativo è quello di evitare
tutto ciò che essendo turpe, sfigurerebbe gli anni estremi della vita. La vecchiaia è
dunque un orizzonte incognito, a cui tutti aspirano ma che nessuno vuole abitare.
La scoperta della senectus nelle Familiari: la senectus appare sostanzialmente
come un tema indagato dal punto di vista filosofico. Si insinua il tema del cammino
percorso, guardato dalla specola dell’uomo di senno maturo, già sulle soglie della
vecchiaia. La senectus viene affrontata in modo organico, seppur con tagli
prettamente erudito. Argomenti: 1) legge di natura per la quale tutti gli uomini
invecchiano + exempla tratti dalle storie  tratti dalla Bibbia e del mondo greco e
romano (Solone / Isocrate / Augusto / Seneca); 2) contrapposizione tra questi
esempi venerabili e l’istintivo desiderio dell’uomo, conosciuto per esperienza, di
vivere a lungo senza invecchiare; 3) tema dell’insorgere della vecchiaia in
coincidenza o meno con la maturità, o senilità, dell’animo.
“Tutti vogliono invecchiare, nessuno vuol essere vecchio”: De senectute, parte del
De remediis  il pensiero di Petrarca si coglie a partire dalla relazione stabilita tra i
due dialoganti  Ratio tende a smontare i motivi della querela di Dolor mostrando
l’irragionevolezza di piangere per aver ottenuto ciò che si sperava. La vecchiezza è
infatti il segno visibile di una lunga vita toccata all’uomo. Dolor lamenta “Senui” e
Ratio risponde ricordando che quello è il traguardo sperato. Tutti vogliono arrivare
alla vecchiaia perché tutti gli uomini si augurano una vita lunga, ma nessuno però
vuole essere vecchio.
La vecchiaia esperita: le Senili: nelle “Senili” non si vede più lo specchio di un
mondo che si affolla intorno a Petrarca, ma la sua sapienza che si dilata, il suo
studio che conquista l’orizzonte  tono amaro e disilluso, soprattutto nei riguardi
della morte. Nello sfondo desolato del 1363 (morte degli amici  peste) affiora
come fase della vita affrontata a testa alta. L’ammissione della senectus è infine
indotta dalle leggi del corpo  la vecchiaia è qualcosa che si sente, che si patisce
sul corpo, e non può essere legata al semplice raggiungimento di una determinata
età anagrafica. Petrarca ribadisce i bona senectutis e la personale ferma
accettazione del suo stato: ”Perché dovrei vergognarmi più d’esser invecchiato che
d’aver vissuto?”.

Solitudine
Poesia, amore, solitudine: il rifiuto causato in Petrarca dall’amore infelice per Laura
culmina poeticamente nell’immagine della grande dannazione alla solitudine
contenuta nel sonetto 35.La solitudine che Petrarca idealizza come mezzo di
purificazione intellettuale e di ricomposizione della frattura passionale non abita qui:
ivi regna il suo doppio negativo  l’isolamento individua in questo sonetto e in tutta
la sequenza narrativa dei Fragmenta uno spazio solo naturale e terreno; anzi
conchiude tutto lo spazio terreno in una inesorabile desolazione.
Solitudine e passione: l’opera ciceroniana è dedicata al problema della felicità,
stesso tema che aveva dominato la riflessione degli intellettuali di fine ‘200; aveva
prevalso l’ideale secondo cui la felicità coincide con l’attività intellettuale. Ma la
coesistenza di attività intellettuale e passionalità non è però ammessa in Petrarca;
la tesi ciceroniana cui lui però attinge è che la filosofia, medicina dell’anima, è in
grado di curare le passioni rimuovendole poiché sono malattia dell’anima.
Petrarca e la qualità della solitudine: entrambe le solitudini petrarchesche derivano
da una lettura distorta dei contenuti aristotelici: la negazione della temperanza delle
passioni si combina alla simmetrica riduzione della vita contemplativa, al modello
stoico e cristiano della vita solitaria.
La vita in solitudine: Aristotele dice che l’uomo non vive affatto una vita solitaria,
anzi è pienamente inserito nella rete delle relazioni sociali. Petrarca, invece, esalta
la vita solitaria che Aristotele condanna e la fa coincidere con la vita contemplativa.
Altre solitudini: di famiglia fiorentina, il poeta viene alla luce ad Arezzo da una
famiglia di guelfi bianchi in esilio, ed egli fa di questa condizione la stella del proprio
destino spirituale, ed apre le “Familiares” con un autoritratto di poeta in esilio non
tanto e non solo da singoli luoghi, quanto dalla vita in quanto tale. Petrarca
trasforma la dimensione oggettiva, cristiana e dantesca, della vita terrena come
passaggio, nella radicale soggettività dell’inquietudine, sospesa tra un ideale stoico
di solitudine come atarassica distanza dal mondo e una realtà passionale e
d’ispirazione malinconica, che lo condanna alla percezione di sé come alienus in
ogni luogo.

Tempo
Il tempo costituisce la più ossessiva ricorrenza tematica e poetica nelle opere di
Petrarca; a questo incommensurabile e fuggitivo astratto, egli cerca di offrire nel
corso delle opere una concretezza spesso reificandolo o personificandolo.
Rappresentazioni del tempo: il tempo assume di volta in volta gli attributi e i
predicati più comuni che richiamano il senso dell’effimero del tempo umano: molti di
questi attributi sono affidati ad una rappresentazione dinamica, di particolare effetto
per la fugacità e la voracità. Progressivamente, però, è la rappresentazione astratta
del senso di universale fragilità delle cose umane travolte dal tempo a prevalere
nell’immaginario petrarchesco.
La scansione del tempo nelle Familiari: egli ricorda come il tempo fosse uno dei
temi preferiti dei propri florilegi giovanili e delle annotazioni che in passato aveva
posto sui propri libri, e che ora maturo contempla vedendo in esse una precoce
saggezza.
La poesia non è rimedio al tempo: nei Triumphi, la commossa elegia sui destini
umani affidata al trionfo del tempo segue il trionfo della fama, che dal tempo è
vinta, e nel percorso astratto di sostanze allegoriche che riassume i valori di
Petrarca e ne sintetizza gli ideali, precede solo quello dell’eternità, destinata a
schiantare anche il tempo.
Volontà e tempo: il tema del tempo fuggitivo si lega nelle opere ascetiche a quello,
a sua volta fondativo, dell’accidia e della fragilità della voluntas. Il legame fra
volontà e tempo è a sua volta presente nel De remediis, dove tormenta gli attanti
della drammatizzazione: da una parte con il ricordo del passato e il timore del
presente, dall’altra con il terrore del futuro. La fuga ingannevole del tempo e
l’accidia che impedisce alla volontà di scorgere il futuro sono due aspetti del
medesimo motivo. Un ulteriore tema morale legato al tempo è quello declinato in un
vero e proprio topos, il dum loquimur di oraziana e ovidiana memoria.
Il trionfo del tempo e il tempo trionfato: nei Triumphi, il tempo è rappresentato con
grande varia di attributi: corre, vola, passa leggero come del resto fa anche nel
canzoniere; il tempo è portatore di ogni male e al male si accompagna, neppure le
misere speranze dei mortali riescono a resistere alla sua forza distruttiva che
travolge ogni cosa. Nel trionfo che gli è riservato, il tempo è visto nella sua essenza
devastatrice, che non è invece il principale attributo di cui esso gode nel
canzoniere. La linearità del poema, diversa dalla circolarità della raccolta lirica,
impone una modifica alla codificazione poetica del tempo per cui da metafora tende
a farsi rappresentazione.
Il tempo nei Fragmenta: nel canzoniere il lemma tempo è tra quelli dotati di
maggiore frequenza ed il verbo che più spesso vi si accompagna è “fuggire”. A
livello strutturale, due elementi principali caratterizzano la presenza del tempo nel
canzoniere: da una parte il richiamo continuo alla sua fugacità, dall’altra la
categoria retorica di temporalità, con la serie dei sonetti dell’anniversario che
assumono funzione regolatrice della sequenza temporale e compositiva  effetto
di realismo. Il tempo astratto e continuo è corto, vola mentre fuggono gli anni,
passa, fugge. Il concetto di tempo si declina soprattutto nella scoperta della
diacronia, della mutazione delle opere, della lingua, della conoscenza di sé e dell’Io
sull’asse del tempo. La metamorfosi dell’Io lirico sull’asse del tempo è destinato a
diventare il fulcro tematico più importante del canzoniere.

Umanesimo
Il tratto principale del ritratto di Petrarca è il “tu” usato nella corrispondenza, al
posto del “vos” medievale  in ciò osserviamo: il filologo studioso dei classici,
attento ai dettagli della grammatica (tu = impiegato dai dotti antichi) + philosophus
che aspira alla coerenza interiore + artista sofisticato del “Canzoniere”, testimone
della disgregazione dovuta all’amore + individuo con piena coscienza di se stesso.
“Umanesimo” = ideale di un’intera cultura basata sulle arti del linguaggio e sul
modello dei grandi scrittori classici ma orientata anche su altre conoscenze +
concezione che riconosce la centralità dell’uomo  relazione da uomo a uomo che
si poneva come fine la scoperta di alcuni fattori costanti della condizione umana.
Uno dei primi libri da lui posseduti fu lo splendido e costoso Virgilio regalatogli dal
padre; Francesco ed il padre agivano ad Avignone, in cui si stabilirono papi,
crocevia di persone, libri ed idee. In questo contesto, Petrarca sviluppò l’amore per
i classici ed una conoscenza dei loro testi che lo collocarono presto al di sopra dei
contemporanei. Lo studio di Livio lo portò all’ideazione della figura di Scipione nel
“De viris illustribus”. Depurò, glossò e diffuse Vitruvio, aprendo la strada alle teorie
di Leon Battista Alberti; fece lo stesso col “Chorographia” di Mela ed altri geografi
latini, consolidando il clima per l’avventura di Colombo. La filologia classica fu per
lui norma di vita, arte e pensiero. La lettura gli pareva una conversazione che
trattava con amici, attraversando le frontiere del tempo  l’ultimo libro delle
“Familiares” riunisce un manipolo di lettere dirette a Cicerone, Seneca, Varrone,
Livio, ecc. Questo spirito si incarna vivacemente nel “Secretum”, con
Sant’Agostino.
Il ricorso alle fonti classiche, implica un esercizio di introspezione e un giudizio
morale sul presente. La relazione personale, da uomo a uomo, con gli antichi,
suggerisce che la ricerca mira ad aspetti umani durevoli, a qualità che definiscano
la generale condizione umana. Ricercare nell’antichità quanto c’è di umano e
comune a tutte le genti, non annulla la percezione della singolarità classica. Pur
con le sue particolarità e debolezze, Petrarca fu sempre un cattolico estremamente
devoto; non desiderava essere uno specialista in teologia, bensì in filologia
classica, ma già prima di ricevere la tonsura ed esercitare come cappellano o
canonico, possedeva una ricca conoscenza della Bibbia.
Dopo il ritrovamento delle lettere ciceroniane, l’io diviene un argomento centrale dei
suoi scritti; la vena autobiografica fluisce copiosamente, aumenta la
consapevolezza del fatto che la nostra vita sarà valutata così come l’avranno
tramandata le parole; ciò è dovuto al fatto che Petrarca era troppo immerso nella
letteratura, quindi necessariamente finisce per convertirsi in un personaggio. Non è
necessario ricercare cause aneddotiche che determinarono la maturazione di
Petrarca dalla PHILOLOGIA ad una PHILOSOPHIA con solide radici letterarie.
Tuttavia è ovvio che quando lo scrittore insiste sul fatto che con gli anni si è sempre
rivolto alla filosofia prevalentemente morale, sta ricalcando un iter simile a Cicerone
e Sant’Agostino. Egli fece rifiorire, quindi, le lettere e gli studia humanitatis,
implicandosi in corpo e anima e concependo l’istituzione di una nuova cultura non
come compito di scrittore, ma di uomo.

Verità
Il problema della verità è affrontato sotto aspetti filosofici, morali, religiosi, storici,
ma soprattutto in due nodi  verità della poesia (in rapporto con la verità della
storia e la verità fisica o morale che i testi poetici celano sotto il velo
dell’invenzione) e la verità letterale (ricostruzione filologica).
Ermeneutica petrarchesca tra libertà e verità: il suo accessus ad auctores risente
dell’esegesi biblica, il cui principio era che sotto il velo o la corteccia del senso
letterale giaceva una profonda verità spirituale, e così anche le scritture profane,
storiche e poetiche. Petrarca afferma che il compito del poeta è nascondere la
verità sotto il velo dei bei simboli e delle belle finzioni. La poesia è da sempre fonte
di conoscenza perché contiene verità fisiche, morali, storiche comprese sotto il velo
dell’invenzione; da sempre i poeti hanno inteso celare sotto l’invenzione il vero, la
cui scoperta è tanto più dolce quanto più impegnativa ne è stata la ricerca.
Il velo della verità: l’inattingibilità del significato e la difficoltà per l’interprete di
giungere alla veritas celata sotto il velamen sono temi che si prestano ad una
riflessione costante da parte di Petrarca, secondo il quale il velamento della verità e
lo sforzo necessario per scoprirla esercitano alla ricerca ed all’amore per essa
(Agostino aveva scritto che ombre ed enigmi acuiscono questo amore).
La verità della poesia: per giustificare il fronte agli attacchi la poesia e l’espressione
di essa, poeti ed umanisti hanno due alternative  sminuirne la portata o
giustificarla richiamando una sua analoga presenza nelle Sacre scritture.
L’umanesimo si contrapporrà innalzando la verità della poesia contro quella
enciclopedia della scienza e la considerazione delle questioni morali presenti nei
classici contro la filosofia naturale.
Verità e finzione: Petrarca adotta per sé la facoltà di creare fabule che contengano
verità spirituali o morali, piuttosto che di ornare la storia preesistente (compito che
invece spetta al poeta epico).
La deriva della verità: il senso allegorico, morale, etico, il vero nascosto sotto la
finzione è aleatorio e risulta sfuggente per l’autore che non può sempre controllarlo.
Nell’ermeneutica petrarchesca, la ricerca del verum diviene asse portante; il
carattere veritiero della poesia epica è scontato, ma il verum che sembra
interessare Petrarca è morale, la verità della condizione umana. La fictio poetica
diviene quindi rappresentazione di una verità integrale
Le menzogne dei poeti: Petrarca fonda l’esegesi delle fonti storiche e fornisce un
ulteriore solido contributo all’edificazione del suo lascito maggiore, l’umanesimo
filologico; inoltre, contribuisce a creare per sé e per i suoi discepoli il ruolo di fidato
consigliere diplomatico, di cui i principi necessitano.
Verità ed apparenza nel Secretum: trama  tempo imprecisato; Francesco in
meditazione sulla condizione umana, gli appare una bella donna (Verità) insieme a
Sant’Agostino. La donna prega Agostino di operare per la salvezza di Francesco
(prossimo alla morte spirituale); Agostino si chiede se non possa essere Verità ad
agire, ma ella può solo assistere al colloquio fra i due. Agostino = via della verità
contraria alle opinioni VS Francesco = che non riesce ad essere persuaso e resta
attaccato alle false opinioni. Il richiamo alla necessità di un’unica verità di fede
contro le doxai è demandato sempre all’autorità di Agostino (anche fuori del
Secretum).
Vero e verità del canzoniere: nella raccolta lirica il termine ricorre solo in locuzioni e
molto spesso si riferisce  1) vero inteso come verità della rivelazione cristiana; 2)
diritto cammino spirituale dell’Io interiore; 3) quello della poesia d’invenzione e del
mito metamorfico (RVF 23); 4) quello dei testi e della storia. La conclusione etica
del tema del vero svolto nel canzoniere è lapdaria, come non era stato nel
Secretum: la verità trionfa sulle apparenze e le illusioni, svelando quale sia la vera,
misera condizione del mondo, della vita, degli uomini, dei desideri terreni (RVF
294).

Visione
Mediante la nascita della prospettiva teorizzata da Alberti, si realizza il passaggio
da teoria della visione a teoria dell’immagine. Con Petrarca questo passaggio
accoglie in sé anche elementi di un’estetica che è erotica e metafisica. Il
canzoniere è disseminato di epifanie di Laura, ed in essa la pulsione erotica
raggiunge il proprio acme; la visione della donna può però anche essere terrifica,
come Medusa quando pietrificò Atlante. Il tema della visione connesso al desiderio
ed alla sua potente fenomenologia, è suscettibile a molteplici variazioni  immagini
artistiche, in sogno o visione di Dio.
Il dibattito sulla visione benefica: in una lettera a Colonna, compare il problema
della visione beatifica, tormentata questione teologica che aveva sconvolto la corte
di Avignone e che fu appianata con la bolla Benedictus Deus (decisione dogmatica
assunta sulla beatitudine; si divide il tempo della beatitudine in due parti  prima
dell’anima e poi del corpo con la resurrezione).
Gli effetti poetici della visione amorosa e metafisica di Laura: nel Triumphus
Eternitatis si mette in scena una visio Dei in cui Dio è pensato agostinianamente
come eternità salvifica opposta alla furia devastatrice del tempo. Il passaggio dal
simbolo dantesco alla tendenza petrarchesca si consuma anche nella diversa
rappresentazione dell’aldilà  alla mente di Petrarca appare una caleidoscopica
disfatta del mondo che viene poi ricostruito in un mondo nuovo, più bello e gioioso.
All’interno di tale cornice biblico-spaziale, Petrarca raffigura l’eternità tramite poche
immagini che sono i correlativi oggettivi di una iucunditas ineffabile: il deserto in cui
i poggi spianati segnano l’assenza della memoria, il torrente della vita che sfocia
nell’eterno. Il tema della visione beatifica si presta ad essere scomposto in tessere
liriche che divengono topoi dalle valenze mistiche.
Tra l’alienazione del desiderio, la beatitudine che provoca la visione dell’amata, la
disperazione di non poterla vedere, le speranze di una felicità piena e stabile si
tramuta di volta in volta nella passione amorosa, nella tensione escatologica, nella
spinta a conoscere, nella ricerca della verità- Seppure implicata nella sua sintassi di
visioni frammentate, mentre quelle beatificanti sono perdute o attese, la parola
letteraria si fa tensione al bello ed al vero.
Canzoniere
I parte
1. Apertura
1= Exordium / 2-3 = Loci a re / 4-5 = Loci a persona
1. Exordium dell’opera; organizzazione delle rime sparse  abbandono delle
raccolte di impianto tematico-sincronico e nuova soluzione “romanzesca”. Non più
opera incentrato sulla domina (siciliani) ma anche sull’evoluzione del poeta.
Captatio benevolentiae + forte distacco fra fronte e sirma per indicare dualismo
opera (vita e morte di Laura). Lo scrivente è un uomo adulto ravveduto sulle proprie
opere da innamorato giovanile. Sonetto proemiale.
2. Giorno dell’innamoramento: causa. Dinamica dell’innamoramento (assedio
bellico di Amore); passione amorosa suscitata da un’immagine che penetra nel
cuore attraverso gli occhi. L’assalto preclude il combattimento ed anche la ritirata in
luogo più sicuro (“rocca della ragione”).
3. Giorno dell’innamoramento: tempus. Primo incontro con Laura  evento fissato
nel giorno della passione di Cristo (6 aprile 1327). Il sonetto sembra concepito
appositamente per la sua funzione, collegato al precedente. L’incontro dà il via ad
un contrasto religioso nell’uomo. Venerdì santo.
4.Lode di Laura: patria. Elogio del luogo naturale di Laura; riprende il tema
cristologico del 3 opponendo alla morte, la nascita del Messia. 3 = nascita del
sentimento in drammatica contraddizione con la pietas religiosa VS 4 = Laura
collocata nel piano provvidenziale quindi non vi è più il dissidio precedente 
Cristo è luce che rischiara le profezie, Laura è un sole; entrambi nascono in luoghi
umili; entrambi sono doni divini. Tema cristologico + tema solare e mito dafneo +
oroscopo del giorno dell’innamoramento dominato dalla luce del Sole.
5.Lode di Laura: nomen. Elogio del nome di Laura; doppio acrostico che forma sia il
nome dell’amata, sia ha chiave simbolica (Laurea = corona d’alloro). Prima
apparizione dei miti petrarcheschi  Dafne è una ninfa di cui Apollo si innamora; la
donna riesce a salvarsi e a mantenere la verginità consacrata a Diana  il padre
Peneo la tramuta in alloro. Apollo appende alle sue fronde con faretra e cetra.
Dafne = Laura = lauro = laurea + Apollo-amante-protettore della poesia = Petrarca
amante-poeta. Versante erotico (impossibilità di prendere l’oggetto e frustrazione +
poesia vista come sublimazione del desiderio amoroso.
6.Iterazione: abitudini dell’Io; inseguimento ciclico della donna. Inizia il racconto
della storia d’amore, ma quasi subito interrotto dai 4 sonetti successivi d’occasione.
Si collega al precedente per il motivo dafneo con prevalente chiave erotica. Laura
vola guidata da un’unica volontà virtuosa; l’innamorato corre con lentezza perché
frenato dal contrasto ragione desiderio (cavaliere VS cavallo sfrenato).
2. Poesia ovidiana
Senhal  laura / lauro  lauro = produzione giovanile: Dafne (ritrosia e castità) /
desiderio erotico / incoronazione poetica VS laura = testi inseriti nel libro negli anni
’60: aurora-auro / l’aura (vento che scompiglia i capelli) / l’aura (aria respirata da
Laura  tema della lontananza).
70.Canzone delle auctoritates: il poeta si lamenta poiché nessuno ascolta i suoi
lamenti, ma chiede di poter almeno portare a termine il suo lavoro prima di morire
 riferimento ad Arnaut Daniel; e rivela che sarebbe felice se solo le sue rime
piacessero alla sua donna, e ancor di più se lei gli chiedesse di poetare 
riferimento a Cavalcanti (ma con significato mutato); ma l’amante si rende conto
che la sua donna ha il cuore duro, che non lo degna di sguardo, e decide quindi di
usare parole aspre  riferimento a Dante; si accorge che nessuno lo costringe, ma
è lui ad illudersi e ad esser sconvolto dal troppo desiderio, poiché né le stelle né
Laura lo hanno obbligato ad amarla  riferimento a Cino da Pistoia; seguono
apprezzamenti su tutto ciò che è stato creato da Dio, che è bellezza, e non può dar
colpa a lui  innamoramento (riferimento a canz. 23).
23.Canzone riepilogo delle “Metamorfosi” ovidiane: il poeta narra com’era prima
che Amore compiesse l’atto bellico e dopo aver visto Laura (cuore ghiacciato 
lacrime). Ricco di rimandi alle “Metamorfosi”: 1) rovesciamento mito di Dafne  il
poeta si identifica nel lauro (vv. 38-40); 2) Petrarca fonde il mito di Fetonte
fulminato da Giove, col mito di Cygnus, zio di Fetonte, trasformato in cigno mentre
cerca il corpo del nipote, come succede al poeta che cerca la sua speranza
d’amore, spintasi troppo in alto (vv. 54-60); lo sdegno di Laura per la verità dettagli
dal poeta lo trasforma in sasso mezzo morto  Batto, che non riconoscendolo, dice
il segreto dettogli da Mercurio proprio a lui; 4) riferimento al mito di Biblide
introdotto successivamente: ovvero come Biblide rivela a Cauno il suo amore per
mezzo di lettera, così fa il poeta (vv. 95-100). Richiamo al mito di Biblide,
trasformata in fonte (vv.118-120); 5) Eco, infelice amante di Narciso, ridotta da
Giunone a sola voce, dopo aver trasformato le membra in sasso (vv. 138-140); 6)
mito di Atteone, trasformato in cervo solitario ed errante da Diana, dopo averla vista
fare il bagno  fuga dai cani = rimorsi che seguono il poeta (vv.156-160); allusione
a 3 miti: Petrarca non riesce a farsi pioggia d’oro per possedere Danae come fece
Giove (non soddisfa il suo desiderio) / ma come Giove si trasforma in fiamma per
Egina (ovvero prova solo ardore di desiderio) / rapimento di Ganimede da parte di
Giove-aquila (il poeta non può rapirla ma solo celebrarla nei versi) (vv. 161-166).
Apollo e Dafne
30. Io vidi una giovane donna sotto un verde lauro, più candida e più fredda della
neve, non riscaldata dai raggi del sole per moltissimi anni; le sue parole, il suo bel
viso e i suoi capelli mi piacquero a tal punto che io li ho davanti agli occhi e sempre
li avrò, ovunque io sia, sulle montagne o sulla riva del mare. I miei pensieri
giungeranno al loro approdo solo quando il lauro non avrà più una foglia verde:
quando il mio cuore avrà pace, quando i miei occhi saranno asciutti, allora vedremo
ghiacciare il fuoco e ardere la neve. Non ho tanti capelli nella mia chioma, quanti
sono gli anni che vorrei trascorrere nell'attesa di quel giorno. Ma poiché il tempo
vola e gli anni fuggono, sicché in un attimo si giunge alla morte, da giovane o da
vecchio, io continuerò a seguire la dolce ombra di quel lauro, attraverso il sole più
infuocato, e attraverso le distese di neve, finché l'ultimo giorno della mia vita
chiuderò questi miei occhi. Al nostro tempo e nelle età più antiche non si videro mai
occhi belli come i suoi, che mi fanno sciogliere come la neve al sole: da essi
scaturisce quel fiume di lacrime che Amore conduce ai piedi del lauro insensibile
che ha i rami di diamante e le chiome d'oro. Io temo che cambierò il mio volto e i
miei capelli, prima che il mio idolo, scolpito in vivo lauro, mi mostri i suoi occhi colmi
di vera pietà: giacché, se non sbaglio il conto, oggi, sono già sette anni, da quando
io vado sospirando di contrada in contrada, giorno e notte, con il caldo come con la
neve. Ardendo nell'intimo di puro fuoco, fuori simile a candida neve, solo con questi
pensieri, anche quando avrò mutato le mie chiome io continuerò ad aggirarmi in
lacrime, forse per suscitare la pietà negli occhi di chi nascerà fra mille anni; se pure
potrà durare un lauro coltivato con ogni precauzione. I capelli biondi che fanno
corona a quegli occhi che mi conducono a una morte tanto rapida vincono l'oro e i
topazi esposti al sole sopra la neve.
34.Invocazione ad Apollo affinché disperda il maltempo che minaccia il lauro 
invocazione ad allontanare la malattia da Laura (poiché Apollo = Sole). Il mal
tempo, infatti, è nemico degli infermi e del lauro, che ama il buon tempo e i luoghi
caldi, e Laura deve essere aiutata dall’amante.
41.Trittico 41-42-43. 41-42: quando Laura-Dafne si allontana da Avignone il mal
tempo imperversa, nonostante sia piena estate (41) e si placa al suo ritorno (42).
43.Illustra l’eccezione a 41-42: il Sole non si avvede del ritorno della donna, non
solo perché stanco ed afflitto, ma anche perché il viso dell’amata è segnato dal
dolore (forse per il viaggio).
Motivo del lauro
24.Sia testo di corrispondenza (con Andrea Stramazzo) che discorso sulla poesia
d’amore  perfettamente inserito fra la canzone 23 e i sonetti 25-28 dedicati a
destinatari estranei dalla vicenda laurana. Contrapposizione fra laurea poetica e
simbolo dafneo: Laura lo spinge lontano dagli studi e dalla sapienza, poiché essa
presuppone la libertà interiore ed il controllo delle passioni, mentre l’amore è forza
irrazionale che aliena e spossessa.
28.Oh anima beata e bella attesa in Paradiso, che vai vestita dal corpo e non
gravata, come i più: affinché ti siano meno faticose – o obbediente ancella di Dio –
le strade attraverso le quali si passa da quaggiù al regno di Dio, ecco che di nuovo
un mite vento occidentale sospinge la barca che già si era allontanata dal cieco
mondo per dirigersi al porto della beatitudine; ora quel vento la condurrà, libera dai
legami antichi attraverso questa valle oscura in cui piangiamo i nostri e gli altrui
peccati, per la via più diretta, verso il verace oriente, cui essa è rivolta. Forse le
preghiere devote e piene d’amore e le lacrime sante, avranno raggiunto Dio; ma
forse non furono mai tante, né tali, da piegare per loro merito anche in minima parte
la giustizia divina dal suo corso; bensì Cristo misericordioso per semplice grazia,
volge lo sguardo al luogo dove fu crocifisso, cosicchè ispira nel petto del
successore di Carlo (Filippo VI) la vendetta contro gli infedeli, il ritardo della quale è
dannoso per noi cristiani, tanto che da molti anni l’Europa l’attende sospirando: così
soccorre la sua amata sposa (la Chiesa) colui che, con la sola potenza del suo
nome, fa tremare Babilonia e la fa stare in angoscia (=Cristo). Chiunque dimori fra
la Garomma e i monti e tra il Rodano e il Reno e i mari (=Francia), accompagna le
insegne cristiane; e chiunque abbia sempre avuto a cuore di ottenere la vera gloria
dai Pirenei sino alle coste occidentali della penisola iberica, sotto le insegne del re
d’Aragona, lascerà vuota la Spagna. Misericordia sprona alla crociata l’Inghilterra,
insieme con le isole bagnate dall’Oceano, fra il Polo e le Colonne d’Ercole, fin là
dove si estende la dottrina di un più santo Elicona (cristianesimo), quelle isole
diverse fra loro nella lingua, nel modo di combattere, nella foggia delle vesti.
Quando mai amore di patria tanto legittimo e degno, amore di donne o figli,
suscitarono un così giusto sdegno guerriero? V’è una parte del mondo che sempre
giace nel ghiaccio e nelle nevi gelate, assai lontana dal corso del sole: là, sotto
giorni cupi e brevi, nasce, naturalmente ostile alla pace, un popolo cui morire non
spiace. Se questo popolo, mostrandosi più devoto alla religione di quanto non sia
sciolto, si arma per la crociata con tedesco furore, potrai conoscere in quale conto
siano da tenere i turchi, gli arabi e i caldei, insieme con tutti coloro che di una dal
Mar Rosso idolatrano gli dei; una moltitudine (popoli orientali) senza armatura,
paurosa e lenta, che non combatte mai con la spada, ma affida i suoi corpi al vento
(frecce). E’ dunque giunto il momento di sottrarre il collo all’antico giogo e di
squarciare il velo avvolto attorno ai nostri occhi e che il nobile ingegno che hai
ricevuto in dono da Dio e l’eloquenza mostrino in questo frangente il loro valore per
mezzo della parola o dei già lodati scritti; poiché se non ti meravigli leggendo di
Orfeo (che attraeva fiere col canto) e di Anfione (che cantando smuoveva pietre),
assai meno ti meraviglierai che gli italiani si destino al suono delle parole, tanto da
armarsi in nome di Cristo; poiché se realmente l’Italia tende al vero bene, vedrà che
nessuna delle sue contese ha mai avuto all’origine motivazioni nobili. Tu che hai
letto, per arricchire il tuo tesoro di sapienza, sia opere antiche che moderne,
elevandoti al cielo, nonostante il peso del corpo, sai bene quante volte Roma, dal
regno di Romolo figlio di Marte, sino ad Augusto, il quale tre volte ornò la sua testa
con la corona del trionfatore fu generosa del suo sangue nel vendicatore le offese
altrui; ed ora perché non dovrebbe essere, non dico generosa, ma riconoscente e
devota a Cristo, vendicandone le spietate offese? Come può dunque sperare la
parte avversa nell’umana difesa, se Cristo milita nella schiera opposta? Pensa alla
tracotanza di Serse, che per calpestare le coste europee, fece oltraggio al mare
con un ponte mai veduto prima, e vedrai tutte le donne persiane vestite a lutto per
la morte dei mariti e il mare di Salamina macchiato di sangue. Ma non soltanto
questa misera sconfitta dello sciagurato popolo d’oriente ti promette la vittoria, ma
la stessa Maratona e le Termopili, che Leonida difese con pochi uomini ed
innumerevoli altre sconfitte di cui hai certamente sentito o letto: perciò bisogna
ringraziare Dio nell’animo e nei gesti, inginocchiandosi, quel Dio che si concede di
assistere alla liberazione della Terra Santa. Tu canzone, vedrai l’Italia e l’onorata
riva del Tevere che non un mare, un monte o un fiume nascondono ai miei occhi,
ma solo Amore che mi fa più desideroso del suo altero lume quanto più mi
distrugge nel fuoco della passione: le buone inclinazioni infatti non possono
contrastare le cattive abitudini. Ora vai, non smarrire le altre compagne, poiché
Amore, per cui si gioisce e soffre, dimora non soltanto sotto ornamenti femminili
(ovvero che anche questa canzone come le altre è dettata da Amore, ma non per
una donna, ma l’amore devoto  caritas).
31.Sonetto su una donna in grave pericolo di vita e tende all’altra vita (lauro/morte)
si ricerca quale sia la sede più beata dove possa stare.
34.Mal tempo nemico del lauro  v. 7.
41.Riferimento a Dafne umana VS Dafne “arbor”  v. 2.
51.Motivo delle trasformazioni  identificazione dell’amante con l’amata (richiamo
a 23, mito di Atteone) e quindi al lauro. Se Laura si fosse avvicinata, l’amante non
potrebbe amarla di più di quanto già la ami (“trasformami in lei”), sarebbe quindi
rimasto pietrificato di fronte al suo splendore ed anche questa si sarebbe rivelata
estrema forma di difesa nei confronti della passione (richiamo al mito di Medusa 
evocazione di Atlante “vecchio stancho”).
60.Condanna del lauro e della connessa poesia dafnea  questo sonetto
chiuderebbe il ciclo delle rime giovanili e con il 61 = proemio nuova fase poetica.
Concetto che l’amore per Laura gli fu inizialmente stimolo intellettuale ma che poi fu
anche motivo degli studi latini interrotti o ostacolati dalla produzione amorosa;
l’invettiva si spinge fino ad augurare la morte al lauro.
64.Petrarca dice che in un terreno arido come il suo cuore, non si addice una
pianta nobile come il lauro; però, al contempo, la donna è destinata a restare per
sempre nel cuore dell’amante e quindi le chiede di mutare i suoi sentimenti di odio
in sentimenti di amore.
Allegoria del lauro in chiave morale
142. Alla dolce ombra dalla bella pianta di alloro [simbolo di Laura] corsi a ripararmi
dall'influsso della stella Venere che, dal terzo cielo, diffonde la propria influenza
sino quaggiù in terra, spingendo verso le passioni amorose: il piacevole vento
primaverile di zeffiro che riporta il bel tempo, nel momento in cui mi innamorai di
Laura, già liberava le montagne dalla neve e ovunque tornavano a fiorire erbe e
rami. Il mondo non aveva mai visto rami così belli [le membra di Laura], né il vento
aveva mai mosso verdi foglie tanto piacevoli [i giovani splendidi capelli della donna]
come quelle che mi si mostrarono nella stagione primaverile. Così avendo paura
dell'influsso passionale di Venere non volli nessun'altra difesa che quella costituita
dall'alloro, pianta sacra al cielo. L'alloro mi difese allora dall'influsso del cielo di
Venere, per cui, desiderando i suoi bei rami, sono andato a cercarli per boschi e
montagne: durante le mie peregrinazioni non ho mai trovato un alloro simile a
quello da me amato, capace, per dono divino, di non modificarsi con il passare del
tempo. Perciò ogni giorno che passava sempre più costante in questo amore,
seguendo la voce di Dio e guidato dagli occhi di Laura, fui sempre devoto ai rami
del mio alloro sia nelle fredde stagioni che in quelle calde. Il trascorrere del tempo
cambia e distrugge boschi, sassi, campagne, fiumi, montagne e ogni cosa creata.
Perciò io chiedo perdono al mio alloro se, dopo molti anni, volli fuggire dai suoi rami
che mi suscitavano amore appena incominciai a comprendere la mia situazione.
Durante la mia giovinezza mi piacque così tanto la dolce luce degli occhi di Laura
che affrontai con piacere ogni difficoltà, pur di avvicinarmi ai rami dell'alloro da me
tanto amati. Ora la brevità della vita, il luogo nel quale mi trovo e il particolare
momento [probabilmente si fa allusione a Roma e al giubileo del 1350] mi mostrano
una diversa strada per salire al cielo e per realizzare opere buone e non soltanto
buoni propositi. Io cerco un amore diverso, indirizzato verso Dio, diverse fronde
[probabile allusione alla corona di spine di Gesù], occhi diversi, una strada diversa
e un diverso cammino in salita [probabile allusione all'ascesa, da parte di Cristo, del
monte Golgota], dato che è ormai il momento, e cerco di rivolgere i miei pensieri
verso la contemplazione dei rami della croce.
263.Unico testo della prima parte nel quale P. si rivolge a Laura col “tu”; la prima
parte del Canzoniere si chiude con la simbologia dafnea, prima caratterizzata da
simbolo poetico ed erotico. Il simbolo, però perde ogni connotazione negativa e la
frustrazione amorosa legata all’imprendibilità di Laura-Dafne si rovescia nella
celebrazione della castità dell’amata.
3. Solitudine
Notti insonni
Topos dell’elegia latina: notte insonne dell’innamorato che non trova pace. Nella
prima parte sono connesse al desiderio per Laura (22: sestina dedicata al contrasto
pace del riposo notturno VS affanno dell’Io / 237  in entrambe P. immagina una
notte con Laura). Solitudine dell’innamorato + notti insonni:
22.Tutti gli esseri viventi il giorno soffrono e la sera riescono a riposarsi; e il poeta
di giorno desidera la notte, e di notte va piangendo e desiderando il giorno. Prima
delle nove sestine, omaggio a Daniel e Dante e i motivi provenzali gli suggeriscono
l’incontro notturno degli amanti, con le seguenti invocazioni che il giorno non torni.
A = sotterra / E = selva / C = giorno / D = stelle / F = alba / B = sole.
Contrapposizioni e relazioni cosmologiche. Il notturno riprende suggestioni
virgiliane e dantesche. Il poeta non vorrebbe sentire la passione amorosa e lo
stimolo del desiderio; il brano del dialogo indica che l’opposizione fra animali e
uomo è più probabilmente opposizione fra sensibilità degli esseri animati
all’insensibilità della materia inanimata. Il ritorno alle stelle simboleggia l’ascesa al
paradiso in opposizione ai “tomi giù”; la selva disseccata indicherebbe un luogo
infero diverso da quello degli innamorati, prospettando un evento irrealizzabile, vale
a dire che il poeta possa morire non amando più la sua donna (stelle  che lo
hanno condannato ad un amore eterno per Laura; più probabile che esse brillino di
giorno piuttosto che Laura si conceda al suo desiderio).
50. Nell'ora in cui il sole tramonta veloce verso occidente e in cui il giorno del nostro
emisfero vola verso popoli che forse dall'altra parte lo attendono, la vecchia
pellegrina stanca cammina più svelta e si affretta sempre di più; e poi tutta sola,
alla fine della sua giornata, talvolta si consola con un breve riposo, con cui
dimentica il fastidio e la sofferenza del cammino affrontato. Ma ogni dolore che il
giorno mi procura, ahimè, aumenta quando la luce del sole si allontana dal nostro
mondo. Non appena il sole muove le ruote fiammeggiante per lasciare posto alla
notte, per cui dai molti più alti l'ombra viene proiettata più lunga, l'avido contadino
raccoglie gli attrezzi, poi con parole e con canti agresti scaccia dal suo cuore ogni
pensiero triste; quindi riempie la sua tavola di cibi poveri, simili a quelle ghiande
che tutto il mondo loda, anche se le evita. Ma chi può si rallegri di quando in
quando, dal momento che io non ho ancora trascorso neppure un'ora di riposo, non
dico di allegria, né per il passare del tempo né delle stagioni. Quando il pastore
vede calare i raggi del grande astro [il sole] verso il nido dove esso dimora, e vede
oscurarsi i luoghi a oriente, si alza in piedi e con il consueto bastone muove con
dolcezza il suo gregge, lasciando l'erba, le fonti e i gatti; poi, lontano da tutti, sparge
con verde fogliame una casetta o una grotta: qui si stende e dorme senza pensieri.
Ahimè, Amore crudele, proprio allora tu mi spingi a inseguire la voce e i passi e le
orme di una belva [Laura] che mi distrugge, invece non catturi lei che si nasconde e
fugge [da me]. E i marinai in qualche insenatura di mare si distendono sul duro
ponte [della nave] e sotto i loro ruvidi panni, quando il sole tramonta. Invece io,
anche se [il sole] si tuffa tra le onde e lascia dietro le sue spalle la Spagna,
Granata, il Marocco e le Colonne d'Ercole [va verso occidente], e anche se gli
uomini, le donne, il mondo e gli animali placano i loro affanni, non pongo fine al mio
ostinato affanno; e mi dolgo perché ogni giorno aggiunge qualcosa al danno,
poiché io vado crescendo in questo amore da quasi dieci anni, né posso indovinare
chi riuscirà a liberarmene. E poiché mi sfogo un po' parlando, vedo la sera che i
buoi tornano liberi dal giogo dalle campagne e dai colli arati: invece perché i miei
sospiri non vengono tolti a me una buona volta? perché non mi viene tolto il grave
giogo? perché i miei occhi sono bagnati [di pianto] giorno e notte? Povero me, che
pensiero fu il mio quando per la prima volta tenni gli occhi così fissi nel bel viso [di
Laura] per scolpirlo con l'immaginazione in un luogo [il mio cuore] da dove mai, né
con la forza né con l'inganno, verrà rimosso, fino a quando io non sarò dato in
preda a colei [la morte] che scioglie tutto! E non so neppure cosa pensare di lei
[della morte, se mi toglierà il pensiero di Laura]. Canzone, se il fatto di stare con me
dal mattino alla sera ti ha fatto diventare come sono [triste e misero], tu non vorrai
mostrarti da nessuna parte; e ti curerai poco delle lodi altrui, al punto che ti basterà
andare di monte in monte pensando come mi ha ridotto il fuoco di questa viva
pietra [Laura], che è il sostegno della mia vita. 
164.Contrapposizione fra la pace notturna della natura e degli animali e
l’inquietudine dell’amante (spunto virgiliano), con materiali desunti da altri classici e
dal V canto dell’Inferno. Vv. 12-13  motivo diffuso in ambito provenzale ed italiano
(anche Boccaccio).
234.Sonetto dedicato alla sofferenza del poeta  camera = rifugio e luogo adatto al
pianto segreto del poeta (motivo della “Vita Nova”). Durante la notte il poeta vi oblia
le tempeste e gli affanni amorosi di ogni giorno; si solleva quindi al di sopra delle
cose terrene  allusione all’estasi dell’amore spirituale  conseguente paura di
rimanere solo ma anche disprezzo per il volgo.
237.Sestina con schema A = onde / B = luna / C = notte / D = boschi / E = piaggia /
F = sera. Il poeta parla della sua sofferenza notturna, fatta di riflessioni sull’amore
per l’amata, paragonandosi ad Endimione, bellissimo pastore condannato al sonno
perenne, innamorato follemente della luna  Diana, che di notte andava a baciarlo
nella grotta dove egli dormiva. Quindi Laura = Diana poiché anche nel mito vi è
assoluta impossibilità di soddisfazione del desiderio.
Petrarca stilnovista  le canzoni degli occhi. Trittico di canzoni sorelle in cui si
elogiano gli occhi di Laura; il collegamento fra esse è dato nei congedi e dalla
metrica. Molte sono le riprese da Dante.
71.Se la prima parte si focalizza su due temi ricorrenti nelle canzoni: la brevità della
vita e l’esito dolente del canto, la sirma richiama gli occhi, connotati da una serie di
attributi derivanti dalla tradizione stilnovistica. La seconda stanza costituisce il
prologo vero e proprio della canzone, segnato da un “ma” avversativo e da un
vocativo. Questo canto trascina il poeta verso un oggetto smisurato. Nel desiderio
di cantare Laura il poeta non trova ragione e ne ha sempre maggiore scoramento,
in questa stanza, perciò nasce e si accampa quello struggimento che caratterizza
l’intero gruppo. La terza strofa è dominata da un lato dalla paura mentre dall’altro
Petrarca simula la continuità della scrittura, citando sia le rime petrose di Dante sia
la prima parte dello stesso Canzoniere. Nella quarta stanza ricomincia la lode, ma il
lessico impiegato testimonia una passione non così piana nel proprio svolgimento,
ed è anche attraverso la citazione di Così nel mio parlar voglio esser aspro, che
si ha un deragliamento della lode verso territori angosciosi. La quinta strofa
rappresenta un vero e proprio scoglio nell’interpretazione, si perviene a un giubilo
non misurato di autocompiacimento, risolto in parte nell’andamento positivo che il
discorso riceve nella sirma. Nella sesta stanza la lode riparte, come testimonia la
presenza del verbo dichiarativo e, se viene affermata l’intermittenza e la brevità
della felicità, si arriva a una visione mediativa tutta impregnata di riferimenti al
Secretum. L’ultima strofa si chiude circolarmente con un ritorno positivo alla lode e
alla donna che induce il miglioramento dell’uomo. Il congedo alimenta i dubbi nella
consapevolezza del poeta.
72.Rappresenta il momento più positivo all’interno del trittico come è indicato dalla
generale dulcedo che caratterizza il dettato. La prima stanza introduce un’inedita
nota di movimento nel guardare degli occhi che implica una forte innovazione in
questo tema topico. Mentre la prima stanza si colloca ancora nell’ambito della lode
della donna, nella seconda, introdotta dal dichiarativo “io penso” in relazione quindi
della stanza sesta del componimento precedente, è presente l’altrettanto topico
motivo del carcere d’amore. La terza e quarta strofa, dove la possibilità del
riverberarsi di un tema per più strofe marca la diversità di questa canzone degli
occhi dalle altre, portano all’attenzione il modulo iperbolico dell’amore per la donna,
anche se il tono positivo appare interrotto dalla presenza nel verso 55 della
menzione del “torto” che getta una luce negativa. Infatti la mano, interponendosi
tra lo sguardo della donna e il poeta, provoca il ritorno del gran desio. La quinta
stanza ribadisce il ruolo della donna che induce l’uomo a cose elevate, ma si
chiude su un finale innervato di una frustrazione espressa per via di una causale
prolettica e un’ipotetica che si contrappone alla certezza. Il congedo porta a
focalizzare nuovamente l’attenzione sulla valenza meta poetica di questa canzone.
73.Rappresenta una rottura inopinata. Il dettato è più franto e spezzato e tradisce la
perplessità crescente di mantenere la lode. Il poeta è mosso da grande desiderio e
chiede ad Amore di dargli una mano a temperare il fuoco che lo muove. Il dire
rappresenta la lode, mentre i sospiri stanno per i lamenti, dobbiamo pensare che la
prima delle strofe costituisca un impossibile sollievo e anche la seconda e la terza.
Le stanze successive conducono agli aspetti negativi che erano stati diffusi
precedentemente, anche se il poeta si ostina nel proporre la lode della donna con
toni ottativi, che sono anche propri della rappresentazione del desiderio nelle
sestine dantesche e petrarchesche, fino all’ammissione del fallimento nella sesta
strofa. Il tema che interessa questi tre componimenti, se rappresenta una sconfitta
bruciante, pur tuttavia si mostra come un’esperienza perturbante per lo stesso
lettore.Il grande impegno compositivo non è finalizzato, come altrove in Petrarca,
alla creazione di un tessuto armonico, ma piuttosto alla demarcazione di differenti e
conflittuali istanze.
Roma, Italia, Papato  testi di occasione (8-9 = doni per i Colonna / 10 = invito a
Valchiusa per Giovanni Colonna) + eventi politici (28 = crociata del 1333 / 53 =
riforma nel governo del comune di Roma / 128 = guerre fra le signorie italiane).
8. Primo di tre sonetti d’occasione inviati a destinatari storici (fratelli Colonna).
Questo e il 9 accompagnavano dei doni, il terzo era un invito. Il son. 8 prevedeva il
dono di prede venatotrie  le sue tessere lessicali sono desunte dal canto V
dell’Inferno (colombe = ricordo degli amanti danteschi). Le colombe raccontano
della loro vita passata al sicuro dalle insidie dove nacque Laura: il solo conforto
degli animali (che trascorrono una vita libera e dolce ma con il pensiero della morte
in avvicinamento) è che saranno vendicate dal poeta che si trova nelle mani di
Laura, e per questo in cattività più dura della loro.
9.Probabilmente accompagnava il dono di un frutto che è sotto terra (forse tartufi
neri); la poesia parla della rinascita della natura in primavera (associazione Toro-
corna-primavera) confrontata all’amore che suscita Laura nel poeta; ma a
differenza della natura, Petrarca non può esprimere i suoi sentimenti.
10.Invito rivolto a Giacomo Colonna da parte del poeta di raggiungerlo in Valchiusa.
Prima lo elogia, dicendo che su di lui si sorregge il nome della casata (dopo la
clamorosa presa di posizione contro Ludovico il Bavaro; infatti, incurante delle
minacce imperiali, Colonna pronunciò un’orazione contro l’imperatore, non
deviando la strada della verità  le immagini attribuite al Bavaro saranno poi
accostate a Bonifacio VIII, altro nemico dei Colonna). L’ambiente campestre si
oppone a quello urbano in cui abita Colonna; il poeta lo invita per tenere escursioni
in luoghi piacevoli dove il cuore si riempie d’Amore (ed insieme a lui lo invitano
anche gli altri enti valchiusani  vv. 14 “noi”.
28.
53. Spirito nobile che governi quelle membra dentro alle quali, mentre compie il suo
terreno pellegrinaggio, è ospitato un signore valoroso, prudente e saggio, ora che
sei giunto a ottenere lo scettro onorato con il quale governi Roma e i suoi cittadini
sviati e la solleciti a tornare alla sua condotta virtuosa di un tempo, io mi rivolgo a
te, dal momento che in altre persone non vedo un barlume di virtù, che è
scomparsa dal mondo, e non trovo chi si vergogni di comportarsi male. Non so che
cosa s'aspetti o che cosa brami l'Italia, che non pare avvertire i suoi mali: vecchia,
oziosa e indolente dormirà sempre e non ci sarà chi la svegli? Avessi io potuto
avvolgere le mani nei suoi capelli così da riscuoterla! Non credo che, per quanto la
si chiami, si distolga dal sonno indolente, tanto è immersa in un sonno profondo e
pesante; ma non senza il volere del destino, Roma, nostra capitale, è ora affidata
alle tue braccia che possono scuoterla forte e sollevarla. Afferra senza titubanza
quella venerabile chioma e le trecce scomposte così che la neghittosa esca dal
fango. Io che giorno e notte piango della sua condizione infelice, pongo in te tutta la
mia speranza: perché se il popolo romano dovesse poter alzare gli occhi per
prendersi cura del proprio onore, mi sembra che questa fortuna possa accadere
solo nel tempo del tuo governo. Le mura antiche che tutto il mondo ancora teme e
ama e guarda tremando, quando si ricorda del tempo passato e si rivolge indietro,
e i sepolcri dove furono seppellite le membra di personaggi la cui fama non cesserà
se prima non finirà il mondo, e tutti gli antichi monumenti che una rovina generale
coinvolge, sperano che da te siano riparati i loro guasti. O grandi Scipioni, o Bruto
fedele alla repubblica, come siete felici, se laggiù è già giunta la notizia dell'ufficio
messo in buone mani! Quanto, credo, Fabrizio diventa lieto, udendo questa notizia!
E dice: la mia Roma sarà di nuovo bella. E se in cielo ci si cura di qualcosa di
questo mondo, le anime dei Santi che sono cittadine lassù, e hanno abbandonato
in terra i corpi, ti chiedono pregando la fine delle prolungate ostilità civili, per le quali
la gente non si sente sicura; tanto che sono interrotte le strade dei pellegrinaggi
che conducono alle chiese a loro dedicate, le quali furono luoghi di devozione ed
ora sono diventate quasi covi di banditi, al punto che le loro porte son chiuse in
faccia solamente ai buoni, e tra gli altari e le statue disadorne sembra che si
organizzino solo imprese delittuose. Deh! Che comportamenti orribili! E poi non si
comincia una guerra senza suono delle campane, che invece furono collocate sui
campanili per ringraziare Dio. Le donne piangenti e la moltitudine indifesa dei
fanciulli, e i vecchi spossati, scontenti di sé e della vita troppo lunga, e i frati di ogni
ordine con le altre categorie di persone tormentate e bisognose gridano: O signore
nostro, aiuto, aiuto! E la povera gente sgomenta ti mostra i propri dolori a migliaia,
così da impietosire i nemici di Roma e perfino Annibale. E se osservi bene la casa
di Dio, oggi tutta in fiamme, spegnendo pochi motivi di ostilità, si placheranno le
bramosie, che ora si mostrano tanto accese, così che alla fine saranno lodate in
cielo le tue azioni. Le famiglie degli Orsini, dei conti di Tusculo, dei Savelli, dei conti
di Vico, dei Caetani si oppongono spesso alla grande famiglia Colonna e
danneggiano se stessi: di costoro si duole quella nobile Roma che ti ha chiamato
perché tu strappi le male piante, incapaci di fiorire. Son già passati più di mille anni
da che sono morte quelle anime nobili che l'avevano innalzata a quel grado di
potenza e di gloria a cui era giunta. Ahi! gente senza antenati, superba oltre ogni
limite, senza rispetto per tanta e tale madre! Tu dovrai farle da marito, da padre:
ogni aiuto si aspetta dalle tue mani, perché il pontefice è intento ad altre imprese.
Raramente accade che la fortuna maligna non si opponga alle imprese nobili, essa
che non è solita assecondare le opere magnanime. Questa volta sgombrando dai
molti ostacoli la via per la quale sei giunto a tanta autorità, mi induce a perdonarle
molte altre cattive azioni, dal momento che almeno in questo caso non segue il suo
abituale costume: perché, a memoria d'uomo, a nessuno come a te fu aperta la
strada per rendersi immortale; tu che puoi, se non m'inganno, restaurare la più
nobile signoria. Quale gloria sarà per te quando diranno: gli altri la soccorsero
quanto era giovane e forte, costui la scampò da morte nella sua vecchiaia.
Canzone, sul monte Tarpeio vedrai un cavaliere che tutta l'Italia onora, sollecito più
degli altri che di se stesso. Digli: uno che non ti ha ancora visto da vicino, e tuttavia
è entusiasta di te proprio come ci si innamora da lontano per fama, dice che Roma,
con gli occhi incessantemente umidi di pianto doloroso, ti chiede aiuto da tutti i
sette colli.
128. Italia mia, benché le parole siano inutili alle ferite mortali che vedo così
numerose nel tuo bel corpo, voglio comunque che i miei lamenti siano quelli che
sperano le popolazioni che vivono sul Tevere, sull'Arno e sul Po, dove ora risiedo
addolorato e triste. Signore del cielo, io chiedo che l'amore per gli uomini che Ti
fece scendere sulla terra Ti induca a rivolgerti al tuo paese amato e sacro. Vedi,
Signore benigno, per quali lievi cause che guerra crudele; e Tu, Padre, apri,
addolcisci e libera i cuori che Marte superbo crudele indurisce e incatena; fa' che lì,
in quei cuori, si ascolti la verità dalla mia lingua, per inadeguato che io sia. Voi,
Signori d'Italia, ai quali la Fortuna ha dato il governo sulle belle regioni d'Italia, per
le quali sembra non proviate nessun senso di compassione, che fanno qui tante
milizie straniere? affinché il verde terreno d'Italia si colori del sangue dei barbari? Vi
seduce uno inutile inganno: vedete poco e credete di veder molto, perché cercate
amore o fedeltà in un cuore venale. Chi ha maggior quantità di queste milizie,
quello è circondato da più nemici. O alluvione riunita da quali selvaggi paesi
stranieri per inondare le nostre care campagne! Se questo ce lo procuriamo con le
nostre mani, a questo punto chi sarà che ci possa salvare? Natura provvide
opportunamente alla nostra sicurezza, quando mise fra noi e la rabbia tedesca la
difesa delle Alpi; ma la cupidigia cieca e ostinata contro il proprio bene s'è
ingegnato tanto che ha fatto ammalare il corpo sano. Ora dentro una stessa
nazione, fiere crudeli (come i Tedeschi) e greggi mansuete (come gli Italiani)
convivono in modo che il miglior soffre; e, per nostro maggiore dolore, questo
popolo straniero è della stirpe di quella gente incivile, che Mario sconfisse in modo
tale che non è ancora venuto meno il ricordo di quell'impresa, quando stanco e
assetato, volendo bere, s'accorse che nel fiume scorreva non acqua ma sangue.
Trascuro di citare Cesare che, dove giunse con le nostre armi, in ogni luogo
insanguinò l'erba con il loro sangue. Ora sembra, non so per quale congiunzione
astrale ostile, che il cielo ci odi: questo grazie a voi, a quali è stato affidato un
compito tanto grande. Le vostre divisioni rovinano la più bella parte del mondo. Per
quale colpa umana, per quale condanna divina o quale fatalità danneggiare il
povero vicino e cercare di impadronirsi dei beni devastati e dispersi, e cercare
gente fuori d'Italia ed esser soddisfatti che sparga il proprio sangue e che venda
per soldi la propria vita? Io parlo per dire la verità non per partito preso per
inimicizia verso qualcuno. E non vi siete ancora accorti, dopo tante esperienze,
dell'inganno di questi mercenari tedeschi, che scherzano con la morte alzando il
dito in segno di resa? La beffa è peggio del danno, secondo me; ma il vostro
sangue si sparge più abbondantemente perché siete stimolati da un odio ben
diverso. Pensate per un breve tempo alla vostra condizione e capirete come può
aver caro un altro chi stima se stesso così spregevole. Nobile stirpe latina,
allontana da te il peso di queste milizie dannose: non sopravvalutare una fama
vuota, senza sostanza: perché è colpa nostra, non un fatto naturale che la violenza
cieca di questi popoli nordici, gente restia alla civiltà, ci vinca di intelligenza. Non è
questo il terreno che ho toccato nascendo? Non è questo la culla nella quale fui
allevato così affettuosamente? Non è questa la patria in cui mi fido, madre
benevola e devota, nella quale sono sepolti i miei genitori? Perdio, questo solleciti
talora il vostro animo, e guardate con pietà i patimenti del popolo sofferente che.
dopo Dio, aspetta solo da voi la tranquillità; e solo che voi mostriate qualche segno
di compassione, il valore prenderà l'armi contro la furia cieca e la lotta sarà breve:
perché il valore antico non è ancora morto nei cuori italiani. Signori, considerate
come il tempo passa velocemente, e come la vita fugge, e la morte è già alle nostre
spalle. Ora voi siete qui sulla terra; pensate a quando la lascerete; perché bisogna
che l'anima spoglia (dei beni questa terra) e sola arrivi a quel passaggio pericoloso.
Nel percorrere questa vita terrena vogliate metter da parte l'odio e l'inimicizia,
passioni contrarie alla vita tranquilla; e quel tempo che si spende per far male a
qualcuno si impieghi invece in qualche azione migliore, di opere o d'intelletto, in
qualche impresa lodevole, in qualche attività onorevole: così si sta bene quaggiù
sulla terra e si spalanca a noi la via del cielo. Canzone, io ti raccomando che tu
esponga amabilmente il tuo argomento, dal momento che devi presentarti da gente
orgogliosa; e gli animi sono pieni di un'abitudine pessima e antica, nemica sempre
della verità, Tenterai la tua fortuna tra pochi dall'animo grande ai quali piace il bene.
Di' loro: chi mi protegge? Io vado gridando: – Pace, pace, pace.
Sonetti babilonesi  invettiva in 3 tempi contro Avignone (sede papale) e Clemente
VI. Rime aspre + linguaggio duro + vicinanza al Dante comico infernale + richiami
all’Apocalisse e a testi dell’Antico Testamento + profezia centrale che si sviluppa
nel 137.
136.Primo dei sonetti scagliati contro la curia papale, detti “babilonesi” dalla
metafora biblica che ne costituisce il nucleo centrale. In questo, vi è l’invocazione
alla punizione inflitta a Sodoma e Gomorra; vista come nido di tradimenti e ricco di
tutti i mali del mondo, il poeta si augura che il puzzo dei suoi peccati raggiunga Dio
e ne provochi l’ira.
137.Omologazione dei cristiani avignonesi agli infedeli  ed egli intravede nel suo
futuro, in modo sarcastico, una crociata al contrario, in cui la liberazione della
cristianità dagli infedeli sarà operata dagli infedeli stessi (Baldacco = Baghdad).
Avignone, infatti, è piena di ciò che provoca l’ira di Dio, ovvero lussuria e crapula (e
non giustizia e sapienza); nel futuro egli spera nel trasferimento della sede papale a
Roma per un ritorno all’età dell’oro ed ai tempi incorrotti. Identificazione di
Clemente VI con Nembrod (primo re di Babilonia)  entrambi pensano ad ampliare
del palazzo (e della torre per quanto riguarda il re.
138.Avignone è causa di dolore ed era santa finché aveva sede a Roma, ma ora è
falsa e malvagia, ed anzi addirittura alza le corna (simbolo di superbia) contro i suoi
fondatori (Cristo e gli apostoli). E si rivolge ad Avignone-Babilonia dicendo che
Costantino non tornerà a fornirgli una seconda donazione ed anzi si porta via il
mondo corrotto che la sostiene ed alimenta.
Canzoni boscherecce  dittico; le canzoni sono entrambe nascoste nel bosco
insieme al poeta (riscrittura del genere bucolico); legami  schema metrico / stile
umile / ambientazione.
125.Asprezza del desiderio.
126.Dolcezza della visione di Laura unita al desiderio di morte. Limpide, fresche e
dolci acque dove immerse le sue belle membra colei che unica per me merita il
nome di donna; delicato ramo al quale le piacque di appoggiare il suo bel corpo
(me ne ricordo sospirando); erba, fiori che ricoprirono il suo leggiadro vestito ed il
suo corpo; aria limpida, resa sacra dalla sua presenza dove Amore, attraverso i
suoi occhi belli, mi trafisse l'animo: ascoltate voi tutti insieme le mie tristi ultime
parole. Se è mio destino dunque, ed in ciò si adopera il volere del cielo, che Amore
mi porti ad offuscare la vista con le lacrime, qualche favore divino faccia sì che il
mio corpo sia sepolto tra voi, e l'anima ritorni sciolta dal corpo al cielo. La morte
sarà meno dolorosa se reco questa speranza in vista di quel pauroso momento:
poiché l'anima stanca non potrebbe in più riposata quiete né in più tranquillo
sepolcro abbandonare il corpo travagliato da mille angosce. Verrà forse un giorno
in cui alla meta abituale ritornerà la donna bella e crudele, e a quel luogo, dove ella
mi vide nel benedetto giorno dell'incontro, volga i suoi occhi pieni di desiderio e di
letizia, cercando di me, e, divenuta pietosa, vedendomi polvere tra le pietre del
sepolcro, venga ispirata da Amore, così da sospirare tanto dolcemente e ottenere
la misericordia divina piegando la giustizia celeste, asciugandosi gli occhi con il suo
bel velo. Dai rami scendeva (dolce nel ricordo) una pioggia di fiori sul suo grembo;
ella sedeva umile in tanta festa della natura, coperta da quella pioggia di fiori,
ispiratrice d'amore. Un fiore cadeva sull'orlo della veste, un altro sulle bionde
trecce, che quel giorno a vederle parevano oro fino e perle. Un altro si posava in
terra ed un altro ancora sull'acqua; infine un fiore volteggiando nell'aria pareva
suggerire: "Qui regna Amore". Quante volte dissi, preso da grande stupore: costei
certo è nata in Paradiso. Il suo modo di procedere quasi divino; il suo volto, la sua
voce e il suo sorriso mi avevano fatto dimenticare a tal punto dove mi trovavo e
fatto allontanare talmente dalla realtà, che mi chiedevo sospirando come fossi
potuto pervenire in un luogo simile e quando vi ero giunto. Perché credevo di
essere giunto in Paradiso non in Terra dove mi trovavo. Da quel momento in poi
amo questo luogo così che non ho pace in nessun altro. Se tu, mia canzone, fossi
bella e ornata, quanto desideri, potresti coraggiosamente uscire dal bosco e andare
tra gli uomini.
4. Finale
Pianto di Laura
155.La pietà per la donna in lacrime riesce a disarmare anche Cesare e Giove; ed
Amore fa in modo che il poeta assista al pianto della donna (rapporto letterario col
“Vita Nova”  occasione biografica dello stesso tipo) che porta nel poeta sospiri
lunghi e gravi; topos di Amore che dipinge la donna nel cuore dell’amato e l’amante
che desidera scolpire nel suo animo l’immagine dell’amata. Chiavi  non del cuore,
ma dei ricordi.
156.Il poeta descrive i portamenti di Laura angelici, unici al mondo, e ciò lo giova
ma dole; il veder lacrimare i suoi occhi che fanno invidia al Sole, porta alla
disperazione anche Amore, Senno, Valore, Pietà. Rimando ai miti di Orfeo e
Anfione (che muove i sassi col suo canto).
157.Il giorno in cui Laura piange si imprime talmente nel poeta che i sonetti
riescono solo a menzionarlo, non a descriverlo. Vede i suoi sospiri come fiamme,
lacrime come di cristallo.
158.Ovunque posa gli occhi, il poeta ripensa a Laura, che Amore ha dipinto nel suo
cuore; e l’immagine della donna sembra figurarsi anche alle sue orecchie in sospiri
e voci. L’Amore e la verità concordano con il poeta nel dire che la donna sia al
mondo unica, e così anche le sue parole, le sue lacrime, i suoi occhi.
Malattia di Laura  tema della fragilità del corpo di Laura
90.Petrarca descrive la bellezza della donna; capelli d’oro che il vento avvolge +
occhi che ardono ma che hanno perso il loro splendore  probabile malattia + viso
colorato di pietà + passo non mortale ma angelico + voce con suono non umano =
angelo in carne ed ossa, anche se ora non è più così poiché una ferita aperta non
si rimargina anche se l’arco di chi l’ha provocata non è più teso.
231.Il poeta dice di non aver mai provato invidia per gli altri, nonostante forse essi
avessero avuto più fortuna, poiché i loro piaceri non valgono il suo tormento per
l’amata. Ma ora che gli occhi della donna, che tanto lo hanno fatto soffrire, sono
offuscati dalla sua malattia, egli si chiede come abbia fatto la Natura insieme a Dio
a compiere tale gesto che lo fa soffrire ulteriormente.
241.”Del vostro stato rio”  vv. 10-11.
Giorno della separazione  presagi della morte di Laura dopo la separazione (245-
254).
250.Sogno su Laura. Visione notturna (prima, perché nella prima parte non ne
figurano altre) di Laura, che lo spaventa quasi ed egli non può difendersi; occhi
pieni di pietà per il dolore che proverebbe P. e dolore per doverlo lasciare morendo.
Ultimo addio  Laura gli parla del loro ultimo addio, in cui lei morì e il poeta pianse;
la donna inoltre gli dice che non la vedrà mai più  profezia.
Trionfo della pudicizia
260.Elogio di Laura paragonata alle donne antiche, perché nessuna bella come lei
 né Elena (che arreca affanni ai Greci e la rovina a Troia), né Lucrezia (che si
diede alla morte dopo esser stata violentata dal figlio di Tarquinio il Superbo), né
Polissena (figlia di Priamo sacrificata ad Achille), né Isifile (amata da Giasone), né
Argia (sposa di Polinice).
261.Laura exemplum di virtù per le altre donne; esse infatti, se vogliono sapere chi
possegga fama, senno, valore e cortesia, onore, fede, onestà devono guardare a
lei; nessun uomo può riuscire a rappresentarla. La sua bellezza non può essere
appresa, poiché i suoi occhi sono doni del cielo.
262.Sonetto dialogato fra Laura ed una donna più anziana (che la donna chiama
“madre”) sulla virtù. La donna dice che cara è la vita e cara l’onestà; ma Laura la
prega di invertire l’ordine della frase, poiché senza onestà, la donna non è viva ed
anzi vive in modo ancora peggiore della morte. Ultima terzina = commento del
poeta: invita i filosofi ad ascoltare le sue parole, perché le altre rimarranno sempre
sotto a ciò che ha detto la donna.
263.Trionfo di Laura/lauro.
II parte
264. Sono immerso nella meditazione e, riflettendo, sono assalito da una profonda
pietà nei confronti di me stesso, che spesso mi conduce a un pianto diverso da
quello passato [ora piange per la coscienza delle proprie colpe, mentre prima
piangeva perché Laura non lo ricambiava]. Vedendo, ogni giorno che trascorre,
avvicinarsi sempre di più il momento della morte, mille volte ho pregato Dio perché
mi desse la grazia con la quale la mia anima potesse sollevarsi dal carcere della
vita mortale raggiungendo il cielo. Ma sino a questo momento niente mi giova, per
quanto io preghi, sospiri o pianga. E ciò avviene a giusta ragione, perché chi ha
avuto la possibilità di stare in piedi camminando su una giusta strada e invece è
voluto cadere durante il cammino si merita di rimanere, suo malgrado, disteso in
terra. Quelle pietose braccia del Cristo crocifisso, alle quali desidero affidarmi, le
vedo ancora aperte in segno di perdono e accoglienza, ma ho paura, soprattutto se
penso alle persone che non sono riuscite a salvarsi e perciò tremo di terrore per la
mia situazione; il desiderio di Laura e della gloria ancora mi attraggono, e ormai
sono giunto forse agli ultimi giorni della mia vita. Un pensiero virtuoso parla con la
mia mente pronunciando queste parole: "Povera mente non ti accorgi di come il
tempo passa con tuo disonore? Decidi con saggezza, sradica dal tuo cuore il
desiderio amoroso, che non rende felici e non lascia neppure vivere. Se già da
tempo sei nauseata e stanca dei falsi ed effimeri piaceri che la vita ingannatrice ti
può dare, perché continui a sperare nell'amore che allontana dalla serenità e dalla
saggezza? Finché il corpo ha vita tu mente hai la possibilità di indirizzare i pensieri
verso giuste mete: tienili a freno, perché imboccare in ritardo la giusta strada è
cosa pericolosa, ed è già tardi per incamminarsi sulla via del bene. O mente tu sai
quanta dolcezza ha dato agli occhi la visione di Laura, la quale vorrei non fosse
ancora nata: in tal caso noi avremmo certamente una pace maggiore. Ti ricordi, e
te ne devi ricordare, dell'immagine della donna, quando giunse ad imprimersi nel
cuore, là dove forse nessun altra avrebbe potuto suscitare un incendio amoroso.
Ella accese nel cuore fiamme d'amore e se la passione peccaminosa durò per molti
anni, nell'attesa del giorno dell'appagamento fisico di tale sentimento, giorno che,
per nostra salvezza spirituale, non è mai venuto, ora innalzati, o mente, verso una
speranza ultraterrena che rende più felici. Contempla il cielo, immortale e
meraviglioso, che gira intorno a te; quaggiù in terra i nostri desideri, lieti anche se
immersi nella sofferenza, si appagano di sguardi, parole, canti: ma allora quanto
grande sarà la felicità paradisiaca se questa gioia terrena è tanto intensa?" Un altro
pensiero, quello della gloria, dolce ed amaro allo stesso tempo, che dà fatica e
piacere, stando seduto all'interno dell'anima, opprime il cuore facendogli sentire un
forte desiderio e alimentandolo di speranze; tale pensiero mira solo a raggiungere
una fama gloriosa e sacra e non sente le mie difficoltà: i brividi per la paura di non
farcela e il calore del continuo impegno; non si accorge del mio pallore e della mia
magrezza. Se io cerco di reprimere questo pensiero, esso rinasce, ancor più
grande di prima. E' un desiderio che mi porto dietro sin dalla nascita, cresciuto
insieme a me giorno dopo giorno, e ho paura che esso si esaurirà solo al momento
della mia morte: un unico sepolcro calerà su entrambi. Quando l'anima si libererà
dal corpo questo desiderio non potrà seguirla. Ma se le opere che sono frutto della
mia cultura classica mi daranno fama dopo la morte, tale fama sarà di breve durata,
effimera come il vento. Perciò io atterrito dal fatto di dover sempre inseguire vani
fantasmi, destinati a scomparire in breve tempo, vorrei tanto stringere tra le braccia
cose vere, durature, abbandonando le vane apparenze. Ma l'amore per Laura che
riempie tutto il mio essere, vince ogni altro pensiero e intanto il tempo continua a
scorrere e io, scrivendo poesie che parlano di lei,non mi preoccupo di me stesso e
della mia condizione. La luce dei suoi occhi, che mi distrugge dolcemente con il suo
calore rasserenante, mi avvince in modo tale che non riesco a difendermi, né
facendo ricorso all'ingegno né alla forza. A che mi serve dunque cospargere di
grasso la barchetta, simbolo della mia esistenza, in modo che scivoli veloce
sull'acqua per arrivare alla giusta meta, se poi l'imbarcazione è trattenuta tra gli
scogli da due nodi: l'amore per Laura e quello per la gloria? Tu o mio Dio che mi
rendi completamente libero da tutti gli altri desideri terreni perché non togli dal mio
volto questa vergogna di essere invischiato in tali due nodi? Mi sento come un
uomo che vaneggia: mi sembra di vedere la morte dinanzi a me, vorrei difendermi e
non ho armi per combattere. Mi rendo conto di quello che sto facendo e non sono
ingannato da una scarsa conoscenza della verità, piuttosto sono soggiogato da
Amore, che non permette, a chi troppo si lascia dominare da lui, di seguire una
strada onorevole. Sento, momento dopo momento, giungere nel mio cuore un
positivo disappunto, crudele e severo, che porta alla luce, quasi imprimendolo sulla
fronte in modo che tutti possano vederlo, ogni pensiero nascosto; poiché amare in
modo così ostinato una creatura terrena, rivolgendole quell'amore che è dovuto
soltanto a Dio, è cosa non adatta a chi desidera essere apprezzato per le proprie
virtù. Il disappunto richiama con forza la ragione che si perde dietro alle passioni
che coinvolgono i sensi; ma per quanto essa senta il rimprovero e pensi di tornare
verso la via del bene, la consuetudine a vivere nella passione amorosa la spinge a
perseverare. Quella cattiva consuetudine inoltre mi mostra sempre davanti agli
occhi quella donna che è nata solo per farmi morire, perché mi è sempre piaciuta
troppo, come troppo è piaciuta sempre a se stessa. Non so quanti anni di vita mi
abbia concesso il cielo quando la mia anima si incarnò in questo corpo mortale, per
soffrire i dolori che io stesso mi sono procurato. Sono un uomo, e non posso
prevedere quale sarà il mio ultimo giorno di vita; ma vedo i miei capelli diventare
bianchi e sento dentro di me attenuarsi i desideri sensuali. Ora che io credo di
essere vicino, o non molto lontano, al momento della morte, come colui che diventa
saggio solo quando perde qualcosa di estremamente importante, ripenso a quando
ho lasciato la giusta strada che conduce alla salvazione: da un lato sono punto
dalla vergogna e dal dolore di aver abbandonato la retta via e mi volgo indietro a
richiamare la ragione sviata dietro alle passioni; dall'altro lato non mi libera l'amore
che da tanto tempo ormai mi domina e che ha il coraggio anche di cercare di
scendere a patti con la morte, non ritirandosi davanti a lei. Canzone, io mi trovo in
questo stato e, a causa della paura, ho il cuore assai più freddo della neve,
rendendomi conto che la mia morte è vicina; continuando a meditare senza
prendere una decisione ho trascorso ormai la mia vita quasi per intero. Non c'è mai
stata una sofferenza così grande quanto quella che sopporto in questa condizione
di dubbio e indecisione: ho ormai la morte a fianco, cerco di vivere in modo migliore
rispetto al passato; so come dovrebbe essere una vita buona e virtuosa, ma,
incapace di cambiare, continuo a seguire le mie erronee passioni.
Disperazione per la morte di Laura
267.Primo componimento dopo la morte della donna (avvenuta il 6 aprile 1348).
Egli ripensa alla bellezza di Laura, il suo portamento e al motivo stilnovista secondo
cui la donna amata perfeziona il suo amante. Ormai al poeta l’unico bene che
spetta è la morte, poiché egli viveva di lei ed era suo; di quell’ultimo incontro fra i
due rimangono desideri e speranze vane.
268.Canzone drammatica  lutto del poeta. Polemica contro Amore, che risulta
impotente come Francesco.
270.Sfida nei confronti di Amore: se vuole di nuovo legarlo a sé, deve riportare la
donna in vita. Paradosso  finalmente è libero dalle catene di Amore, ma è infelice
poiché la donna è morta.
273.Soliloquio disperato.
291.Variazione sul senhal  mito di Aurora e tema del nome. Egli all’alba vede
scendere Aurora (gioco di parole Laura ora = Aurora / Aurora dovrebbe salire,
secondo il mito, dall’oceano al cielo, ma rappresentando Laura, discende al poeta),
ed impallidisce; e chiede ad Amore come fare per riprenderla con sé. Ma le
separazioni della coppia durano poco, poiché Aurora torna a Titano; la vita del
poeta ormai è dura poiché i suoi pensieri sono fissi alla donna  solo conforto è
chiamarla.
Tema della Primavera
310.Contrasto fra la primavera che reca gioia e dolore del poeta. Sonetto scritto
forse a Valchiusa in occasione di qualche anniversario; la resurrezione ciclica del
cosmo nella primavera è il tema iniziale della maggior parte delle poesie d’amore
trobadoriche, qui enfatizzate da rimandi e citazioni di grandi latini. Ma questo
evento naturale è contrapposto alla sofferenza del poeta.
311.Il pianto è uno dei tratti fissi degli uccelli petrarcheschi  qui è indefinito il
motivo, ma riempie di dolcezza il cielo, accompagnando il poeta nella sua infinita
tristezza. P., che pensava la Morte non avesse effetto sulla donna (poiché dea),
dopo la sua scomparsa si rende conto piangendo che le cose belle e mortali
passano, e non durano.
353. Dolce piccolo uccello che canti e ti lamenti del tempo trascorso, poiché vedi
intorno a te la notte e l'inverno, mentre il giorno è ormai alle tue spalle e così pure il
tempo felice [i mesi gai], se tu conoscessi, così come conosci i tuoi dolorosi affanni,
la mia condizione, del tutto simile alla tua, verresti in grembo a questo disperato
[Petrarca stesso] per condividere con lui le tue dolorose vicende. Io non so se
saremmo alla pari, perché probabilmente quella che tu piangi è ancora viva, cosa
che la Morte e il cielo a me hanno negato; ma la stagione e l'ora più spiacevole del
giorno, suscitando il ricordo dei momenti dolci e di quelli amari, mi invitano a
parlare con te con compassione.
323. Questa è stata chiamata la «canzone delle visioni»: il poeta immagina di avere
avuto «un giorno» (precisazione temporale volutamente molto vaga, tanto più
significativa se pensiamo ad altre composizioni in cui, come abbiamo visto, il tempo
acquistava una dimensione precisa, quasi concreta) alcune visioni, stando «alla
fenestra» (precisazione spaziale anche questa volutamente vaga: è una finestra
reale, nella vita di un umanista che ama interrompere gli studi per contemplare la
natura, come in tanti quadri di san Gerolamo nel suo studio? o è la «finestra
dell'anima», una finestra interiore che guarda in dentro, nel grande libro interiore
delle immaginazioni fantastiche? o è semplicemente una cornice, un riquadro
figurativo che serve a ritagliare le successive «visioni»?). Sono, in ogni caso, sei
visioni, tutte trascrizioni fantastiche e figurate di un unico motivo: Laura è passata
repentinamente e tragicamente dalla vita alla morte, «nulla quaggiù diletta e dura».
Le sei visioni, tutte di natura chiaramente allegorica (Strumenti) sono: 1. una fera
viene addentata e uccisa da due cani da caccia; 2. una nave preziosa viene
travolta e distrutta da un'improvvisa tempesta; 3. un arboscello di lauro viene
schiantato da un fulmine; 4. in un bosco una fonte viene inghiottita da una
voragine; 5. una fenice si lascia morire; 6. una bella Donna avvolta in una nebbia
oscura viene punta al tallone da un serpentello e muore. Quel che è interessante è
che ciascuna scena si presenta senza nessuna profondità prospettica; le scene si
succedono senza stacchi l'una all'altra, anzi a un certo punto si combinano e quasi
si sovrappongono, entrano una dentro l'altra (come avviene con il boschetto della
terza strofa che diviene lo sfondo delle visioni successive). Dapprima il poeta è in
uno stato di distacco dalla realtà visiva o auditiva, è come sospeso, in uno stato di
uniforme dolore, subisce le visioni, le contempla («mira fiso»), viene catturato da
esse. Quando poi le visioni si fissano su un unico sfondo paesistico, allora entra
anche lui dentro di esse, «si asside» accanto al sasso o alla fontana, in una
posizione un po' in disparte, ma dolorosamente partecipe. Laura = Euridice.
332.
Gli incontri in sogno
340.Il poeta prega la donna di apparirgli in sonno.
341.Il desiderio è esaudito; Laura gli spiega il motivo della sua durezza durante la
vita.
342.La donna asciuga il pianto del poeta in sogno.
356.Apparizioni in sogno / senhal / aura sacra.
359.
360.
Pentimento
361.Consapevolezza del tempo che passa.
362.Petrarca giunge in cielo e prega Dio di accoglierlo in Paradiso.
363.Il poeta si dichiara pronto a rendersi a Dio.
Preghiere
364.Rievoca il suo amore e nell’ultima terzina prega Dio di perdonarlo.
365.Preghiera a Cristo. Rimpiango ora il mio tempo passato, che ho sciupato
amando una cosa mortale senza mai levarmi in volo, pur avendo le ali per
innalzarmi a cose più degne e lasciare di me un esempio non vile. Tu che conosci i
miei peccati vergognosi e odiosi, o Re del cielo invisibile e immortale, reca
soccorso all’'anima debole e sviata; e supplisci alle sue mancanze con la tua
grazia; sicché io, che sono vissuto in continua guerra e tra le tempeste, possa
morire in pace e in un porto sicuro, e se la mia permanenza nel mondo fu vana,
almeno la mia morte sia lodevole. Degnati di soccorrere con la tua mano quei pochi
giorni che ancora mi restano da vivere: tu sai bene che in altri non vi è per me
speranza alcuna.
366.Preghiera ed inno alla Vergine. Vergine bella, che sei vestita della sola
bellezza, che sei coronata di stelle, sei piaciuta tanto a Dio, il quale nascose in te
Gesù, la sua luce divina: l'amore per te mi spinge a invocarti; dato che non so
incominciare senza il tuo aiuto, e dell'aiuto di Dio, il quale per amore degli uomini
ripose se stesso in te. Invoco colei che rispose sempre benevolmente a chi la
chiamò con fedeltà. Vergine, se qualche volta l'estrema miseria delle cose umane ti
ha fatto nascere pietà, ascolta la mia preghiera, soccorri la mia vita guerreggiata,
benché io sia un uomo mortale e tu sia la regina del cielo. Vergine saggia, una fra
le molte beate vergini prudenti, anzi la prima e la più chiara luce: o salda difesa
della gente afflitta contro i colpi della morte e della Fortuna, con la quale non solo si
sopravvive ma si trionfa; o piacevole freschezza che mitiga la cieca passione che
arde qui sulla terra tra gli sciocchi: Vergine, rivolgi i tuoi bei occhi, che videro le
profonde ferite nel corpo del tuo caro figlio, a me e al mio incerto stato, il quale
indeciso viene da te per consiglio. Vergine pura, integra e perfetta, madre e figlia
del tuo nobile nato Gesù, che illumini questa vita e abbellisci quella divina per
mezzo tuo Gesù, figlio tuo e figlio di Dio, o luce sublime di Dio lucente vieni a
salvarci negli ultimi giorni; Vergine benedetta, tu sola fosti scelta fai che il pianto di
Eva si trasformi in gioia. Tu, già coronata nel regno dei cieli, poiché puoi, fai me
degno dell'infinita e beata grazia di Dio. Vergine santa piena di ogni grazia, tu, che
per altissima umiltà sei salita nel cielo da dove ascolti le mie preghiere, hai partorito
la fonte di pietà, e il sole di giustizia, il quale libera il mondo pieno di errori bui e fitti;
hai riunito in te tre parole dolci care: madre, figlia e sposa: vergine gloriosa, sposa
di Dio, che ci ha liberato dai nostri peccati e ha fatto il mondo libero e felice, prego
che tu, vera Beatrice, con le sante ferite calmi il mio cuore. Vergine unica al mondo,
senza confronti, che con le tue bellezze hai fatto innamorare Dio, della quale né la
prima né la seconda fu simile a te; i tuoi santi pensieri, i tuoi atti pietosi e puri fecero
della tua verginità per quanto fecondata un vivo tempio e consacrato a Dio. La mia
vita grazie a te può essere gioiosa, se grazie alle tue preghiere, o Maria, vergine
dolce e pia, la grazia abbonda nella mia anima, che fu abbondante di peccato.
Inginocchiato e inchinato con la mente, prego che tu sia la mia scorta e che tu
raddrizzi la mia tortuosa strada verso la giusta meta. Vergine chiara e salda in
eterno, stella luminosa di questo mosso mare, fidata guida e nocchiero di ogni
fedele, pensa in quale terribile tempesta io mi trovo solo e senza meta, e già sento
da vicino le ultime grida della morte. Ma io affido la mia anima, peccatrice, non lo
nego, a te, Vergine; ma ti prego che il diavolo non l'abbia vinta e non rida del mio
male: ricordati che il nostro peccare fece incarnare Dio nel tuo verginale ventre.
Vergine, quante lacrime ho versato e quante speranze e quante preghiere inutili ho
fatto solamente per mio danno e per mia pena! Da quando sono nato sulla riva
dell'Arno attraversando ora questa terra o quell'altra, la mia vita non è stata altro
che affanno. La bellezza, gli atti e le parole di Laura hanno riempito la mia anima.
Vergine sacra e divina non tardare, perché io sono forse all'ultimo anno della mia
vita. I miei giorni più rapidi di saette, fra miserie e peccati, se ne sono andati e solo
la morte mi aspetta. Vergine, Laura è sottoterra, ma mentre viveva ha posto il mio
cuore nel dolore, e lo teneva nel pianto, non conosceva uno solo dei miei mali: e
anche se lo avesse saputo, ugualmente sarebbe accaduto ciò che accadde, perché
ogni desiderio di Laura diverso da ciò che ella in realtà desiderò avrebbe procurato
a me la dannazione e a lei tristissima fama. Ora tu donna del cielo, tu nostra dea,
se è lecito e se conviene chiamarti così, Vergine di alto sentire, tu vedi ogni cosa
umana: tu fai ciò che Laura non avrebbe potuto fare e cioè porre fine al mio dolore:
e ciò sarà la mia salvezza e sarà onore a te. Vergine, io ho riposto in te tutta la mia
speranza, che tu possa e voglia aiutarmi nel momento di grande bisogno, non mi
abbandonare proprio ora nel momento estremo. Non guardare me, ma Dio che si
degnò di crearmi; ma ti muova a salvare un uomo così vile, non il mio valore, ma
l'alta somiglianza di Dio, che è in me. Medusa e l'amore mio giovanile mi hanno
fatto diventare un uomo di pietra che piange inutili lacrime. Vergine, tu risolleva il
mio cuore triste con le tue sante e devote lacrime, così che almeno l'ultimo pianto
sia divino e puro, privo di passioni umane, diverso dal primo, per Laura, che non fu
vuoto di insania. Vergine buona e nemica di orgoglio, l'amore della comune
umanità ti commuova ad avere pietà di un uomo umile e pentito. Se io ho ancora
un grande e mirabile amore per il corpo di Laura, pensa come possa amare te, che
sei una cosa gentile? Se io risorgo con le tue mani dal mio stato assai misero e
vile, allora io consacro e purifico i miei pensieri, il mio ingegno, il mio stile di vita, il
mio parlare e il mio cuore, le mie lacrime e le mie speranze al tuo nome. Sorreggimi
a passare a miglior vita, e accogli con piacere i miei nuovi desideri. Il giorno della
mia morte si avvicina, non può essere troppo lontano, il tempo corre e vola così
velocemente, Vergine unica e sola, e il tuo cuore ora richiama la coscienza e la
morte. Raccomandami a tuo figlio Gesù Cristo, verace uomo e verace Dio, affinché
accolga il mio ultimo spirito in pace.

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