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BAROCCO​ ​GIORDANO BRUNO​(​CANDELAIO​) ​ ​TOMMASO CAMPANELLA

GALILEO GALILEI​ (​POETICA​) ​GIAN BATTISTA MARINO​ ​ ROMANZO​ ​IL TEATRO


TRATTATISTICA​ ​TASSONI​ ​BASILE(LO CUNTO..)​ ​LETTERATURA DIALETTALE
L’ARCADIA​ ​METASTASIO
 1-Barocco

Per definire gran parte dell’arte e della letteratura del Seicento si usa il termine barocco. Ci
sono varie ipotesi sull’origine del termine barocco: secondo Croce, esso sarebbe stato ricavato
dalla sigla con cui si indicava, nella logica medievale, un tipo di sillogismo artificioso, cavilloso
tale da confondere il vero con il falso; secondo altri studiosi, esso deriva dal francese
“baroque”, a sua volta derivato dal portoghese “barroco”, nome di una perla irregolare e
bizzarra, con il quale ci si riferiva in genere a forme strane e inconsuete. La prima utilizzazione
del termine barocco con l’intento di definire uno stile artistico, è contenuta nell’opera dello
storico dell’arte Heinrich Wolfflin (1864-1945) “ Renaissance and Barok” ( “Rinascimento e
Barocco”, 1888); ad essa è seguita una ricca e varia applicazione del vocabolo, in primo luogo
nel campo della storia dell’arte. Per ciò che riguarda la storia della letteratura, si è fatto ricorso
al termine solo nel nostro secolo, oscillando tra usi in chiave “negativa” ( come quello di Croce
nella “Storia dell’età barocca in Italia”) e usi in chiave “positiva”.​L’arte barocca fa emergere
nuovi contenuti e modi artistici.​ ​Natura​: In primo piano c’è una nuova rappresentazione della
natura. Nella tradizione occidentale avevano sempre dominato immagini limitate, misurate,
precostituite della natura, comunque subordinate al controllo dell'uomo: ora la natura si dilata
secondo prospettive innumerevoli, fiorisce, si trasforma e si consuma. ​Fisicità dei corpi​: Forte
è l'attenzione dell'arte barocca alla fisicità dei corpi, che si lasciano avvolgere dalla natura
circostante, che vivono e pulsano in intensa unione con la luce, con gli oggetti, con gli spazi.
Erotismo​ e ​sensualità​: Erotismo e sensualità si fondono ambiguamente con le tensioni
religiose e mistiche: l'osservatore viene chiamato a contemplare le forme corporee della
divinità, a partecipare con i sensi alla visione stessa di Dio. Ciò si percepisce nell’'​Apollo e
Dafne​ di Bernini, ove l'effetto della luce, che scivola sul corpo di Dafne, trasmette una
sensazione di sensualità. ​Morte​: Ossessiva è la curiosità per il disfarsi dei corpi e della materia
terrena, costante il gusto per le scene funebri, per la putrefazione e per la ​morte​. L'orrore, il
brutto, il deforme non vengono più assunti soltanto in chiave comica, ma divengono
componenti di un nuovo, paradossale tipo di ​bellezza​: figure femminili del tutto fuori dai canoni
dell'estetica classica, le bellezze vestite di stracci o segnate da deformità fisiche. ​Quotidianità​:
Si porge attenzione alle forme più banali della quotidianità: alle figure di compiuta e composta
perfezione si preferiscono i ​particolari​ più ​insoliti​, su volti, mestieri, abiti, insomma su tutte le
cose concrete di cui è fatta la vita sociale.​Eroismo e marginalità​: Degli uomini interessano gli
aspetti più opposti e contraddittori: si esaltano l'eroismo, la forza, la dignità, l'onore, il lusso, il
coraggio, la prepotenza, ma si guarda anche con curiosità alla miseria, al - vagabondaggio, ai
comportamenti marginali e irregolari: l'immaginazione oscilla tra le due figure opposte dell'​eroe
cavalleresco​ e del ​vagabondo​. ​Teatro del mondo​: Il mondo viene visto come uno sterminato
spettacolo in cui si confondono la maschera e la verità, in cui tutte le cose si riflettono
reciprocamente:​ la maschera e lo specchio sono figure frequenti nel Barocco​, che ama anche i
personaggi doppi, inclini a scambiarsi le parti. Comunque la dimensione scenica e la
moltiplicazione teatrale dei piani di rappresentazione caratterizzano anche le forme letterarie
barocche, non soltanto il teatro. Anche nel Manierismo il teatro ha un ruolo importante ma,
mentre la scena manieristica sembra voler nascondere una realtà più interna, ripiegata su se
stessa, in una ostinata tensione critica e analitica, la scena barocca si espande verso l'esterno,
alla ricerca della sorpresa e dell'illusione, nel piacere della trasformazione continua, proiettata
verso spazi infiniti. ​POETICA BAROCCA, CONCETTISMO​ Barocco rifiuta il linguaggio
normale, i livelli più semplici e neutri della lingua; l'idea di fondo è che la poesia debba
procurare piacere e meraviglia, sfruttando gli effetti sensuali del linguaggio. La retorica viene
così svuotata di significato e ridotta a metodo per elaborare figure. Tale atteggiamento è alla
base del concettismo, un metodo fondamentale della letteratura barocca, che, attraverso l'uso
di concetti, impreziosisce ossessivamente il linguaggio esasperandone l'artificiosità e creando
degli effetti sorprendenti per colpire il lettore. Il concettismo tende appunto a suscitare la
meraviglia mediante immagini, trasferendo nella parola la pungente vivezza dell'apparenza
visiva. La facoltà di produrre concetti viene indicata col termine ingegno, che sottolinea proprio
la capacità di trasferire le cose da un ambito a un altro, di illuminarle in modo nuovo mutando i
loro normali contesti e rapporti. Altri termini molto diffusi sono acutezza e arguzia ( che rivelano
l’attitudine dei concetti a colpire l’ascoltatore) e anche spirito - il concettismo vuole essere
spiritoso, non senso di suscitare il riso, ma la meraviglia di fronte all'inaspettato. Questa grande
fiducia nella parola capace di dare vita al reale trova piena espressione nella figura della
metafora, espandendo così la potenzialità del linguaggio fino a farlo diventare strumento di
conoscenza del reale nelle sue infinite sfaccettature.La poetica barocca quindi viola le regole
del mondo classico in modo da suscitare maggiore meraviglia e gioca sull'effetto di imprevisto.
La poetica del Barocco è poetica della ricezione perché vuole​ 1)​ adeguarsi al pubblico e alle
mode, adattandosi di volta in volta alle attese dei lettori;​ 2)​ suscitare effetti di stupore e di
meraviglia sullo stesso pubblico. Non tende dunque all'immobilità delle regole classiche ma
anzi è del tutto legata alla varietà delle situazioni.Il poeta barocco quindi è in grado di provocare
piacere nel lettore, e la strada per ottenere ciò viene vista nella meraviglia che possono
appunto produrre le metafore e i concetti. Si può dire dunque che il poeta barocco cerca di
stimolare nel lettore un piacere eminentemente intellettuale, mira non a fargli "sentire"
particolari sentimenti ma a fargli pensare a cose nuove, a indurlo a collegamenti strani e
bizzarri.​LA LETTERATURA BAROCCA IN ITALIA ​La cultura del Novecento ha in vari modi
rivendicato l’interesse e la modernità del Barocco rivalutando tutta la grandezza di alcuni poeti
“concettisti”, soprattutto inglesi ( John Donne) e spagnoli ( Luis de Gongora). Così non è
accaduto per i poeti barocchi italiani, e questo perché la produzione letteraria italiana, a
differenza di quella di altri paesi europei, non annovera nessun autentico capolavoro, nessun
testo che abbia dimostrato di resistere all’usura del tempo.Una prima generazione di poeti
barocchi è strettamente legata a Marino ( ricordiamo i bolognesi Claudio Achillini e Giuseppe
Battista); un gioco inventivo più moderato si trova nei meridionali Girolamo Fontanella e
Giuseppe Battista; l’uso dei concetti e delle metafore raggiunge invece un’esasperazione in due
poeti meridionali più tardi, Giuseppe Artale e il napoletano Giacomo Lubrano. Altri autori
rifiutarono invece gli eccessi del marinismo e cercarono una poesia di tipo “morale” e razionale,
riprendendo schemi linguistici classici, ma con viva attenzione alla realtà contemporanea: a
Roma furono espresse dal Fiorentino Maffeo Barberini, dal romano Virginio Cesarini, e dal
fiorentino Giovanni Ciampoli. ​Distinguiamo innanzitutto il Barocco dal Manierismo.​ Da un punto
di vista cronologico il Manierismo è un fenomeno soprattutto cinquecentesco, che in Italia si
svolge a partire dagli anni Venti e Trenta fino alla fine del secolo e che fuori d'Italia si protrae
fino all'inizio del Seicento. Il Barocco è invece un fenomeno soprattutto seicentesco, i cui primi
segni sono individuabili negli ultimi decenni del Cinquecento e che si prolunga anche nel
Settecento. Comune al Manierismo e al Barocco è lo stravolgimento degli schemi del
Classicismo: ma il Manierismo agisce all'interno delle forme classiche, come dentro una
prigione, corrodendole;​ il Barocco tende invece a far esplodere quelle forme proiettandole
all'esterno, variandole e moltiplicandole in una ricerca ossessiva del nuovo​. Uno dei maggiori
studiosi del barocco letterario, ​Jean Rousset, ha indicato nella maga Circe e nel pavone​ le due
figure esemplari del Barocco: Circe indica la tendenza alla metamorfosi, alla trasformazione
incessante; il pavone la tendenza a far mostra di sé, a proporsi all’ammirazione del pubblico. Il
Manierismo incomincia a dissolvere l'unità spaziale soprattutto nell'assenza di gerarchie logiche
fra le proporzioni delle figure e la loro importanza in relazione al soggetto: elementi
apparentemente accessori spesso risaltano in primo piano, mentre quello che era il vero
soggetto è rimpicciolito e ricacciato nello sfondo. Il Manierismo tende a scomporre i particolari,
a separarli tra loro sovvertendo la prospettiva rinascimentale; il Barocco tende invece a
moltiplicare i particolari, in un vortice senza confini, in un movimento verso l'infinito. Il Barocco
cerca un nuovo rapporto con la natura in un intreccio reciproco in cui l'arte viene percorsa dal
flusso vitale della natura e la natura viene catturata e ricreata dalle tecniche artistiche -
indicativo è il gusto barocco per le fontane . Lo scambio reciproco fra arte e natura coinvolge
anche tutte le espressioni artistiche: architettura, scultura e pittura collaborano fra di loro nella
ricerca di effetti spettacolari e scenografici. Questi rapporti danno luogo al trionfo della
spettacolarità, degli effetti scenografici e dei giochi visivi cercando sempre di fare colpo sul
pubblico sollecitandone il piacere e la meraviglia. Il Manierismo invece, arte introversa, ha
rapporti tortuosi e difficili col pubblico, spesso sembra voler evitare la comunicazione.
L'attenzione al pubblico nell'età barocca si lega spesso alla precisa intenzione di controllare la
mentalità e le disposizioni psicologiche dei destinatari. Il Barocco si configura spesso come
azione sulle masse, per piegarle - con la sorpresa, con grandi trovate visive e illusionistiche.
Sarebbe tuttavia sbagliato identificare nelle tendenze barocche l'intera letteratura del Seicento,
in questo secolo, infatti, oltre al Barocco, si svolgono anche esperienze di diversa natura.

GENERI LETTERARI​TRATTATISTICA​: Alla trattatistica appartegono ​Il cannocchiale


aristotelico di Emanuele Tesauro (1592-1672), trattato di retorica. ​la trattatistica viene intesa,
con le dovute eccezioni, come un genere letterario che si discosta dal tradizionale testo
argomentativo o da quello basato sull’esposizione di una sintesi raggiunta dopo l’esposizione di
tesi diverse, scegliendo invece la ​forma letteraria del dialogo​.​POEMA​: => L'ingegno del
Marino produsse il poema in venti canti in ottave l'​Adone​: l'amore di Venere per il giovane
Adone, che alla fine muore ferito da un cinghiale. Formalmente il poema apparterrebbe al
genere epico, ma si tratta di un poema di pace e non di guerra, dove prevale l'amore, al posto
della storia e della religione compare il mito e il piacere e alla narrazione degli eventi secondo
un ordine consequenziale e rigoroso prevalgono le digressioni e gli episodi secondari​.​POESIA
LIRICA: La poesia lirica del 600 non racconta più una storia unitaria, un'organica vicenda
d'amore. Prevalgono il frammento, il particolare, l'aneddoto, l'elemento disorganico e casuale: il
modello petrarchesco di rappresentare in una storia d'amore una vicenda esemplare viene
rifiutato, come pure l'Idealizzazione petrarchesca della figura femminile - si può parlare di una
donna vecchia, balbuziente o sdentata. C’è un variopinto espandersi del mondo vegetale e
animale, e ancora una varietà di oggetti fabbricati dall’uomo. Tutti i dati della realtà naturale e
sociale possono trovar posto in questa lirica, sempre percorsa dall’intento di sorprendere, di
osservare d realtà con occhio inconsueto. Quanto alla metrica si impone il madrigale (settenari
ed endecasillabi con schema di rime variabile e non più di 12 versi). Sul piano grafico si
sviluppa la poesia figurata (poesia fatta per l’occhio che si basa su svariati schemi grafici e dà
un rilievo essenziale alla disposizione delle parole, che sintetizzano il tema del componimento).

 2-Giordano Bruno

Giordano Bruno nacque a Nola nel 1548. A diciassette anni entrò nell’ordine dei frati
domenicani assumendo il nome di Giordano ( si chiamava Filippo).si laureò in teologia, ma alle
dominanti prospettive aristoteliche preferì lo studio dell’arte della memoria (un insieme di
tecniche volte a sostenere la memoria per farle acquisire il più ampio sapere possibile) e delle
filosofie neoplatoniche, magiche, naturalistiche. Per la sua spregiudicatezza, per il fatto di aver
tenuto testi proibiti, subì vari processi all’interno dell’ordine domenicano. Per discolparsi si recò
a Roma nel 1576, ma, colpito da nuove accuse, preferì lasciare l’ordine e fuggire, iniziando il
suo vagabondaggio in Europa (Ginevra, Tolosa, Parigi, Londra Praga, Francoforte ecc).
All’estero compose e pubblicò le sue opere, tra cui i tre poemi filosofici. Proprio la lettura di uno
di questi poemi pare inducesse il patrizio veneto Giovanni Mocenigo ad entrare in contatto con
Bruno e invitarlo presso di sé per apprendere la mnemotecnica e forse le pratiche magiche. Gli
storici hanno discusso a lungo sulle cause che possono aver convinto Bruno ad accettare
l’invito, e a tornare con grande rischio in Italia nell’estate del 1591. Comunque, Mocenigo,
deluso nelle sue ingenue speranze di conoscere il modo per controllare tutto il sapere, lo
denunciò e lo fece arrestare dall’Inquisizione nel 1592. Subì un primo processo a Venezia, e fu
incarcerato a Roma. Bruno non si piegò fino a rinnegare i fondamenti del suo pensiero, la sua
visione del mondo infinito, le sue convinzioni sul mutamento incessante di tutte le cose e nella
molteplicità delle esistenze e dei punti di vista; proprio per questo motivo, la lunga e tortuosa
vicenda giudiziaria culminò con la condanna al rogo, eseguita il 17 febbraio 1600 in Campo dei
Fiori a Roma​.​Il linguaggio​Il pensiero di Bruno si lega sempre a scelte particolari di scrittura e
di linguaggio: egli ricorre ad un lessico “basso” e realistico, ma raggiunge anche toni di
“sublime” astrazione, gioca sulla deformazioni, l’ironia, il grottesco combina elementi
popolareschi ad elementi dotti, rifiuto delle regole codificate dal classicismo e dalla trattatistica
aristotelica del XVI secolo. Per Bruno l’esercizio della scrittura non può uniformarsi
passivamente a modeli prefissati e a norme sociali, ma deve saper rendere la realtà in tutti i
suoi aspetti​.I DIALOGHI COSMOLOGICI ​Lo strumento del dialogo in volgare, che Bruno adottò
nella maggior parte delle opere scritte in Inghilterra, permise allo stesso di dare un’immagine
più aperta della sua filosofia, introducendo personaggi e punti di vista diversi e affidandosi a
procedimenti argomentativi liberi. Nelle prime opere dialogiche, si definisce la concezione
cosmologica di Bruno e si espongono i fondamenti fisici e metafisici della sua filosofia.​I
DIALOGHI MORALI ​Le successive opere di Bruno riguardano l’uomo, inteso come essere
sociale e morale, nel suo rapporto con la conoscenza.​TRATTATI E POEMI LATINI ​La
necessità di diffondere la sua filosofia in ambienti internazionali, spinse Bruno ad abbandonare
dopo l’85 la prosa dei dialoghi volgari e dare alla luce una serie di trattati latini. Sono scritti
spesso di estrema difficoltà. Essi vertono sulla magia e la mnemotecnica. In questi poemi si
evince l’orientamento di Bruno sempre più materialistico, che risale al materialismo lucreziano.
La materia è costituita da atomi indivisibili e indistruttibili, il cui combinarsi e muoversi – non
dovuto a forze esterne ma ad un principio interno – da luogo all’eterna metamorfosi delle cose.

 IL CANDELAIO Nella commedia “il candelaio”, pubblicata a Parigi nel 1582, Bruno usa la
scrittura drammaturgica come strumento per analizzare la varietà dei comportamenti, dei
temperamenti, delle manie e delle follie della società.Il Candelaio​,questo termine, infatti, se
ripreso nella sua accezione dialettale napoletana, è una delle forme spregiative con cui
venivano etichettati gli ​omosessuali​. L’opera è una satira corrosiva sulla pedanteria e sulle
passioni che affievoliscono o sconvolgono la ragione umana. Allo sviluppo lineare basato su
una sola vicenda, viene opposto un intreccio basato su tre storie parallele di beffa ai danni di
tre singolari personaggi. Il “candelaio”, Bonifacio, il cui appellativo si riferisce ad abitudini
omosessuali, trascura la moglie Carubina e desidera la cortigiana Vittoria, usando tutte le più
consunte svenevolezze del petrarchismo; l’alchimista Bartolomeo è tutto preso dalla passione
per i metalli e dall’illusione di trasformarli in oro; il pedante Manufrio, maestro di grammatica,
avviluppato in un linguaggio latineggiante assurdo e incomprensibile, e per questo è vittima di
scherzi e raggiri continui. Il pittore Gioan Bernardo, con la collaborazione di alcuni servitori,
vagabondi e malfattori, conduce le fila delle beffe, che si risolvono in aggressioni fisiche ai tre
personaggi e portano il pittore stesso a conquistare l’amore di Carubina ,​riflette il pensiero
dell’autore . Bruno appare convinto in definitiva che “il mondo sta bene come sta, che occorre
riconoscere la necessità della violenza, frutto dello scontro fra i diversi appetiti, il dominio
universale della follia e l’astuzia, la mutazione incessante che ne risulta. Ma di fronte ad un
simile mondo Bruno scatena una comicità negativa e distruttiva, un riso insofferente.​Bruno non
sceglie uno ​stile equilibrato, anzi, egli propone un lessico piuttosto composito, mixando insieme
sia latinismi che espressioni dialettali toscane e napoletane. La combinazione di elementi a
metà tra il dotto e il faceto rispondono all’esigenza di una scrittura concepita da Bruno in
maniera ben più libera rispetto agli schemi chiusi del passato. La scrittura, e quindi la
letteratura, in Giordano Bruno assume un ruolo fondamentale in quanto essa è potenzialmente
capace di descrivere la realtà per quella che è, scandagliando la verità che si cela dietro
l’apparenza.​Bruno ci invita a riflettere il suo è un invito universale, il cui scopo è di rivalutare le
proprie posizioni, poiché nulla è come sembra, niente è definitivo.Ma paradossalmente, proprio
l’impossibilità di definire il concetto di saggezza, in maniera standard potremmo dire, ha
convinto Bruno che il mondo, alla fine, deve essere lasciato così com’è, con le proprie
contraddizioni e i propri particolarismi. Se tutto è dominato dal contrasto dei contrari, se tutto è
in mano al lato cupo e negativo di ogni cosa, allora questo mondo è davvero senza speranza. I
fatti descritti ne ​Il Candelaio sottintendono proprio questa visione: la realtà è sotto il giogo delle
pulsioni.Eppure dietro quest’apparente visione pessimistica del mondo, Bruno si sofferma di
nuovo sull’idea della saggezza: se ogni persona si fermasse a ragionare, se riuscisse a
svincolarsi da insegnamenti predefiniti e scolastici e usasse la propria intelligenza, riuscirebbe a
vivere meglio. L’ideologia di fondo è sicuramente molto cinica, ma invita a riflettere; essa è
sprezzante nei confronti dei mali altrui perché, alla fine, questi ultimi dipendono dalla stupidità
personale e dall’incapacità di usare la testa.
​VOI CHE TETTATE DI MUSE DA MAMMA

Il Candelaio si apre con un componimento poetico, recitato dal Libro e rivolto agli abbeverati nel
fonte caballino, cioè ai poeti che orienta subito il lettore sull’ideologia dell’autore infatti si tratta
di un chiaro e immediato che fa capire subito la sua direzione antipetrarchesca e anticlassicista
Bruno dunque costruisce un sonetto che sin dall’inizio si prende gioco di Petrarca, con la
parodia dell’incipit usato da Petrarca, “Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono”, con un
provocatorio abbassamento di tono, poiché all’ «ascoltate» di Petrarca corrisponde un
«tettate». labilità del confine tra ragione e follia, gioia e tristezza, artificio e realtà ​SONETTO
PROEMIALE PARAFRASI

Voi (cioè i poeti) che bevete il latte dalle mammelle delle muse,

e che nuotate nel mare delle ispirazioni

spero che possiate ascoltare le parole che escono dalle mie labbra

in modo che possa infiammare il vostro cuore di fede e di carità.

Piango, chiedo, elemosino un epigramma,

Un sonetto, un encomio, un inno, un’ode

Che possa usarlo all’inizio e alla fine della mia commedia,

per poterla raccontare a mia mamma e a mio padre

io desidero andar vestito

mentre invece sono nudo come un vagabondo,

E peggio: forse mi conviene, me infelice,

di mostrarmi completamente nudo alla Signora mia (al pubblico della commedia)

come l’Aretino e come Adamo,

Quand’era nel Paradiso.

Cerco una pezzenteria di pantaloni (perché è nudo)

E mentre lo faccio vedo,

Ho timore di patire la pena del cavallo (cioè di essere fustigato).


.​ALLA SIGNORA MORGANA B. ​Bruno si domanda a chi dovrà dedicare la sua opera che gli
deve far conquistare le grazie della signora Morgana B. A chi invierà gli influssi della stella Sirio
in quei giorni caldi, le stelle fisse che gli hanno inviato degli influssi celesti nell’interno
dell’anima che l’ha ispirato. Lui continuerà a scrivere non permettendo a nessun principe a
nessun cardinale, o re o principe di togliergli dalle mani la candela perché lui la vuole donare
solo alla signora Morgana che dovrà mettere nella sua camera più intima. Morgana è la
coltivatrice del campo della sua anima, che con acqua divina nutre e disseta il suo intelletto. Lui
è come il ricco Epulone che si torce nelle fiamme e cerca una goccia di acqua per refrigerarsi e
per l’autore la sua goccia d’acqua è l’amore che supera ogni caos.A Morgana porge la candela
per iniziar il Candelaio, che in Francia potrà chiarire delle alcune ombre su certe idee e le
chiede di salutare l’altro Candelaio in carne ed ossa, forse un suo confratello invitandola a non
gioire troppo della sua lontananza. Conclude il suo discorso mettendo in evidenza un suo
pensiero ossia che il tempo tutto toglie e tutto dà, il tempo tutto muta per cui bisogna amare ciò
che si ha. ​ANTIPROLOGO ​Nell’antiprologo Bruno mette a conoscenza che la commedia andrà
in scena la sera stessa, solo che ha qualche problema in quanto la prostituta che doveva
rappresentare il personaggio di Vittoria e Carubina si era ammalata. Inoltre l’attore che avrebbe
dovuto impersonare Bonifacio ha pensato bene di ubriacarsi per cui non vuole saperne di
alzarsi dal letto per recitare.A bruno è stato dato il compito di scrivere il prologo ma è così
arrabbiato che sono 4 giorni e 4 notti che non riesce a trovare l’ispirazione adatta. Nonostante
ciò si impone di farlo poiché lui è il comandante di questo vascello che è andato a pezzi. Si
sente come un uomo di 80 anni, come un cane che ha avuto tante bastonate, come una cipolla
a cui è stato tolto tutto l’involucro di protezione.Lui è diverso dagli altri poeti che hanno beni e
ricchezze, lui ha solo una grande fame, la sua pancia è vuota, tanto che se dovesse vomitare
potrebbe vomitare solo il suo spirito.Alla fine decide che forse è meglio se diventasse prete e
decide di lasciare agli altri l’onere di fare il prologo. ​PROLOGO​Nel Prologo Bruno si chiede
dove sia andato a finire colui che doveva scrivere il Prologo ma rassicura il pubblico che la
commedia può essere fatta anche senza prologo in quanto i fatti seguiranno una cronologia per
cui tutto sarà chiaro. Spiega che le scene si svolgeranno a Napoli vicino al seggio del Nilo. Su
questa strada da una parte vi è la casa di Bonifacio che è sposato con Cherubina e la casa di
Bartolomeo, mentre dall’altra parte vi è la casa di Vittoria, la casa di Giò Bernardo che fa il
pittore e la casa di Scaramurè. Per queste vie spesso si vedrà il personaggio di Manfurio, un
pedante che spesso sta lì senza motivo.Bruno poi passa a nominare tutti i personaggi che il
pubblico vedrà Pollula col suo maestro Ascanio il paggio di Bonifacio, Mochione, che è il
garzone di Bartolomeo Sanguino, Batta, Marca Corcovizzo Consalvo e Cencio; Marta, moglie
di Bartolomeo, l’indaffarato signor Ottaviano.Bruno poi passa a nominare tutto ciò che si può
vedere nella commedia: donne innamorate, amanti, intrighi, amori, cattiverie, dolce vita, ladri,
piaceri, follie; si racconteranno versi di Omero, Esiodo, ​BIDELLO​Bruno si scusa che la
commedia si aprirà con l’entrata di un bidello ma pensandoci bene e conoscendo il
personaggio principale (il candelaio) nessuno potrebbe presentare meglio di un bidello la sua
entrata in scena essendo un babbuino, “un natural coglione, un moral menchione, una bestia
tropologica, un asino anagogico”. Chi non l’ha mai conosciuto e vuole conoscerlo basta che
vede la commedia!Demostene e tanto altro.
 
3-TOMMASO CAMPANELLA ​Giovan Domenico Campanella nacque a Stilo, in Calabria nel
1568, ed entrò nell’ordine domenicano con il nome di fra Tommaso . Dal punto di vista
filosofico, egli criticò l’aristotelismo e fu decisiva per lui la lettura delle opere di Telesio. Si
trasferì a Napoli e fece stampare la sua prima opera importante “la philosophia sensibus
demonstrata” (filosofia dimostrata con I sensi), volta a difendere la filosofia telesiana. Proprio
a causa dell’adesione alla dottrina di Telesio, iniziarono, nel 1592, le persecuzioni e processi
a carico di Campanella, che si protrassero per moltissimo tempo. Cercò di organizzare una
congiura contro la dominazione spagnola nell’italia meridionale: scoperto fu arrestato nel
1599. Di fronte alla possibilità di essere condannato a morte, finse di essere pazzo. Resto
tuttavia in carcere per molti anni ancora, finchè, nel 1629, non fu prosciolto definitivamente da
ogni imputazione. Trascorse l’ultimo periodo della sua vita a Parigi, dove morì nel 1639.​LE
OPERE ​La produzione di Campanella si presenta come un insieme intricato di testi nei quali
non è semplice muoversi.Fu costretto quasi sempre a lavorare in condizioni di estrema
difficoltà, subendo impedimenti, sequestri, censure, e molti dei suoi scritti andarono perduti.
La maggior parte dei suoi scritti reca chiara traccia delle persecuzioni subite, infatti egli fa
ricorso alla finzione per salvare il contenuto più autentico del suo pensiero. Per questo la sua
scrittura è estremamente complicata e presenta un accumulo disordinato di elementi. Tra i
suoi scritti, ricordiamo innanzitutto l’opera in cui si condensa la sua nozione magica della
natura. Al suo disegno di riforma universale sono dedicate molte opere: come “la città del
sole”. La sintesi delle prospettive politico-morali e religiose di Campanella è contenuta nella
“philosophia realis” ( filosofia reale), una raccolta di trattati latini, comprendenti tra l’altro la
versione latina della città del sole,. Numerosissimi gli scritti in difesa della religione cattolica.​IL
MAGISMO DI CAMPANELLA ​Il trattato in volgare del 1604 “del senso delle cose e della
magia”, è l’esposizione più compiuta della concezione campanelliana dei segreti della natura,
basata sulla convinzione che tutte le cose siano animate. Il sentire e il patire sono per
Campanella diffusi in ogni forma della natura. Tutti gli elementi e gli esseri naturali sono legati
dal flusso continuo della sensibilità: ciò permette all’uomo di intervenire nei processi della
natura con la magia, che confina con la scienza ed è una sapienza “speculativa e pratica
insieme”, modo di comunicazione con la natura​.​L’UTOPIA POLITICA: LA CITTA’ DEL
SOLE​La città del sole fu redatta nel 1602,qui l’utopia consiste nella descrizione di una città
fantastica. Si tratta di un dialogo tra un cavaliere di Malta e una navigatore genovese, dove
questi descrive le istituzioni e i costumi di un’immaginaria città di un’isola orientale, secondo il
metodo dell’utopia. Ma l’utopia di Campanella non è pura astrazione: il suo modello
corrisponde certamente al progetto reale che egli aveva in mente in occasione della fallita
rivolta calabrese. La vita di questa città è sorretta dal principio vitale del Sole, supremo valore
religioso per il popolo che la abita, il quale ignora la rivelazione cristiana e si regge su perfetti
principi naturali. Guida indiscussa della città è un principe sacerdote. Egli è affiancato da “tre
principi collaterali”, che rappresentano Potestà, Sapienza e Amore, considerati da
Campanella I predicati essenziali di Dio, indicati nella religione cristiana della Trinità. Anche
nella struttura urbanistica e architettonica la città riproduce l’ordine naturale; tutta l’esistenza vi
è organizzata secondo gerarchie rigorose, che attribuiscono ad ogni cittadino ruoli determinati
dalle sue qualità naturali. L’educazione e I rapporti sociali escludono ogni forma di interesse
individuale e di “amor proprio”: di conseguenza non esiste la proprietà privata, fonte primaria
dell’amor proprio, tutti I beni sono comuni ed ogni atto del vivere è orientato verso il bene
collettivo. Si tratta di un sistema comunistico ma non egualitario, in quanto ogni membro della
società occupa il grado che corrisponde alle sue capacità e alle sue qualità naturali. Questa
struttura gerarchica non conosce comunque ingiustizia e conflitti sociali, perché ognuno
occupa il posto che gli compete. Nel tracciare questo quadro la poesia di Campanella si
sviluppa in modo ordinato e razionale. Il fatto che la vita della città del sole sia descritta
indirettamente, per bocca del navigatore genovese, fa si che quella società ideale appari al
lettore lontana, fissata in una perfezione troppo luminosa e inafferrabile.​LA POESIA DI
CAMPANELLA​Campanella manifestò sempre uno spiccato interesse per la poesia, per lui è
filosofica perché è uno strumento di conoscenze ed esprime il cambiamento dell’uomo e della
società, la poesia è conoscitiva perchè la lingua possiede la potenza evocatrice che consente
di rappresentare le cose al punto che ci sembra di toccarle mentre le leggiamo. Ne definì le
funzioni, in una giovanile “poetica” in volgare, Secondo Campanella c’è uno stretto legame tra
la poesia e magia e secondo lui il poeta ideale è quello impegnato nell’educazione.​IL
SAPERE SCIENTIFICO ​Per sua stessa natura, il sapere scientifico, a differenza di quello
letterario e filosofico aveva bisogno di un’organizzazione molto articolata, non poteva essere
lasciato alla pura iniziativa individuale. Le accademie scientifiche intendono proprio mettere in
rapporto tra loro studiosi e scienziati di origine diversa, e permettere, con l’ausilio di forze
diverse, lo svolgimento di complessi programmi di studio e la natura.

 4-Galileo Galilei ​nasce a Pisa il 15 febbraio del 1564 da una nobile famiglia fiorentina ,riceve
un'educazione letteraria. Entra all’università di Pisa come studente di medicina, ma dopo qualche anno,
senza essersi addottorato, torna a firenze e scrive il primo trattato un trattatello in volgare “la bilancetta”,
descrizione di una bilancia idrostatica da lui inventata. ottiene un insegnamento di matematica presso
l'università di pisa. Alla morte del padre, che gli lasciò la responsabilità di una famiglia piuttosto
numerosa, la situazione economica divenne molto difficile. In questi anni intraprese le sue ricerche sul
moto, iniziando a scrivere il trattato “de motu”(sul moto). fu chiamato alla cattedra di matematica
dell’università di Padova. In questo periodo scrive molto: “il trattato di fortificazione”, “la breve
introduzione all’architettura militare”, “le mecaniche”;ecc, e formulò alcune leggi fisiche fondamentali,
come quella dell’oscillazione del pendolo e quella della caduta dei gravi, e costruì vari strumenti, che lo
portarono nel 1609 alla costruzione del cannocchiale. Questa invenzione ebbe effetti sconvolgenti
perché permise di puntare per la prima volta verso il cielo un sguardo assai più acuto di quello umano e
di verificare la validità del sistema copernicano. Dalle proprie scoperte - in primo luogo la natura
montuosa della luna, l'individuazione di stelle prima sconosciute e di 4 satelliti del pianeta Giove –
Galileo dette notizia alla comunità scientifica internazionale con un breve scritto uscito all’inizio del
1610: il “Sidereus Nuncius” ( Nunzio delle stelle)​.Opera importante perché parla del fatto che Galileo
con il suo cannocchiale scopre che Giove è circondato da alcuni satelliti che lui chiama pianeti
Medicei,ma non è l’unica osservazione, perchè infatti egli ritiene che guardando con il cannocchiale
questi satelliti hanno una natura uguale a quella della terra, e questa è una grande novità se si tiene
conto,della visione aristotelico tolemaica,che vede il mondo disomogeneo.I corpi erano incorruttibili
dalla luna in su da sotto la luna la terra era corruttibile e mutabile,ma se scopre dei corpi simili alla terra,
allora questo sistema crolla e va a mettere in crisi tutto quello che c’era stato in quel momento. Nel
sidereus nuncius porta l’attenzione alla luna, produce dei disegni dove è possibile vedere il movimento
dovuto al fatto che la terra e la luna sono in movimento. Ottiene il titolo di “Primario matematico e
filosofo” che, garantendogli la tranquillità economica, gli permette di lasciare l’insegnamento e tornare a
Firenze. Pubblica il “discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua o che in quella si muovono” e
tre lettere indirizzate a Marco Welser con il titolo “istoria e dimostrazioni intorno alle macchie solari e
loro accidenti”, che lo mette in aperta polemica con I gesuiti. Poiché contraddiceva certe asserzioni
della Bibbia, Galileo scrisse 4 celebri lettere sui rapporti tra scienza e sacra scrittura, note come “lettere
copernicane”. ​L'atteggiamento di Galilei verso le sacre scritture ​Non mostrava pubblicamente la sua
opposizione, la sua opposizione non era alla Fede alle Sacre Scritture infatti fa uno scritto su queste
argomentazioni dice che dobbiamo leggere le Sacre Scritture come una verità spirituale e non verità
effettive del mondo perché non sono sottoposte alla scienza. il problema del rapporto tra scienza e
dogmi della fede, che Galileo affronta lucidamente nelle famose “lettere copernicane”. La soluzione da
lui proposta sta nella separazione rigorosa dei due ambiti: la verità di Dio ci viene trasmessa sia dal
libro vivente della natura sia dalla Sacra scrittura, ma nell’ambito dei fenomeni naturali occorre fondare
ogni giudizio su ciò che si può osservare e verificare, perché Dio ne offre la conoscenza direttamente
allo sguardo e all’intelligenza dell’uomo. Si può agire sulla natura soltanto conformandosi alle sue leggi
fondamentali, indipendenti dai sogni e dalle credenze degli uomini. In questo processo la scienza
matematica svolge un ruolo determinante: opponendosi alla logica, strumento della filosofia
tradizionale, il ragionamento matematico permette di ottenere “necessarie dimostrazioni”, che vanno
però integrate e verificate attraverso “sensate esperienze”: necessarie dimostrazioni e sensate
esperienze sono dunque I fondamenti del metodo galileiano​..Nel 1615 un domenicano lo denuncia
all’inquisizione, e in dicembre si reca a Roma per convincere la chiesa ad astenersi da una decisione
ufficiale circa la scienza; ma con un decreto il cardinale Bellarmino dichiarava l’inconciliabilità tra fede
cattolica e teoria copernicana, e proibiva I libri di copernico finché non fossero stati corretti. Galileo non
veniva direttamente condannato: si riconosceva il suo prestigio, ma lo si limitava ad astenersi
dall’insegnare e nell'appoggiare la teoria copernicana. Tornato a Firenze amareggiato, Galileo fu colpito
da una grave malattia, ma riprese ben presto il suo lavoro. Pubblicò “il saggiatore” e la sua grande
opera cosmologica “il dialogo sopra I due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano”, la quale
stesura fu terminata nel febbraio del 1632. Il libro venne sequestrato e Galileo riceve l’ordine di recarsi a
Roma. fu celebrato il processo e Galileo fu condannato. è costretto ad abiurare dinanzi alla
congregazione del sant'uffizio. Le sue condizioni di salute, già non buone, peggiorarono fino alla totale
perdita della vita.

  ​ ’EDUCAZIONE LETTERARIA DI GALILEO ​Galileo è un matematico astronomo e astrologo


L
italiano,ma ha diritto di abitare nella storia della nostra letteratura, perché occupa una posizione di
spicco nella vita universitaria italiana,e grazie alle sue opere.La trattatistica del 1600 è dominata dalal
figura di G.G. sia come scienziato sia come filosofo che come scrittore. Egli si pone come continuatore
della linea anticonformistica di campanella e in particolar modo di Bruno,che per primo in Italia aveva
ripreso le teorie copernicane.Galileo riprende e rinnova la tradizione umanistica rinascimentale, perché
recupera il dialogo e l’epistola. Il dialogo gli permettere di rendere più dinamica
l’argomentazione,l’epistola invece gli serve a comunicare con tutti i dotti dell’epoca. Come scrittore
introduce un'importante innovazione che è l’uso del volgare fiorentino nella trattatistica
scientifica,inizialmente utilizzava il latino che è la lingua dei dotti della filosofia e della scienza, in un
secondo momento aveva scelto di ampliare il suo pubblico utilizzando un linguaggio comune. Alcuni
scritti giovanili, non destinati alla pubblicazione, mostrano l’importanza che nell’educazione di Galileo
ebbero gli interessi letterari.Tra le opere dalle quale si evince questo interesse ci sono: “le
considerazioni al Tasso”, un insieme di appunti di lettura della Gerusalemme liberata, con critiche assai
dure. L’interesse di galileo per la lettura non significa che egli riduca la scienza ad un semplice rapporto
come sapere libresco: la sua costante polemica contro la scienza del tempo colpisce invece proprio il
fatto che essa è costruita solo sui libri, sull’interpretazione e la discussione di cose scritte e non sullo
studio della realtà. Per Galileo la scienza deve rifiutare il principio d’autorità ( su cui si basavano gli
aristotelici) e non accettare passivamente le astratte immagini del mondo suggerite da pochi testi
consacrati. In questo ripudio del principio di autorità si pone subito il problema del rapporto tra scienza e
dogmi della fede, che Galileo affronta lucidamente nelle famose “lettere copernicane”. La soluzione da
lui proposta sta nella separazione rigorosa dei due ambiti: la verità di Dio ci viene trasmessa sia dal
libro vivente della natura sia dalla Sacra scrittura, ma nell’ambito dei fenomeni naturali occorre fondare
ogni giudizio su ciò che si può osservare e verificare, perché Dio ne offre la conoscenza direttamente
allo sguardo e all’intelligenza dell’uomo. Si può agire sulla natura soltanto conformandosi alle sue leggi
fondamentali, indipendenti dai sogni e dalle credenze degli uomini. In questo processo la scienza
matematica svolge un ruolo determinante: opponendosi alla logica, strumento della filosofia
tradizionale, il ragionamento matematico permette di ottenere “necessarie dimostrazioni”, che vanno
però integrate e verificate attraverso “sensate esperienze”: necessarie dimostrazioni e sensate
esperienze sono dunque I fondamenti del metodo galileiano​. ​IL METODO SCIENTIFICO ​Anticamente
l’uomo ha cercato di spiegare i fenomeni naturali di cui era testimone imputandoli all’azione delle
divinità, oppure attribuendoli alla stregoneria o alla magia. Con Galileo Galilei (1564-1642) è stato
introdotto il metodo scientifico sperimentale: esso si basa su una prima osservazione, seguita da un
esperimento, sviluppato in maniera controllata, in modo tale che si possa riprodurre il fenomeno che si
vuole studiare. L’esperimento ha lo scopo di convalidare o confutare l’ipotesi che lo scienziato ha
formulato, ipotesi che ha lo scopo di spiegare i meccanismi alla base di quel particolare evento.Nel
primo caso (convalida dell’ipotesi) si procede con l’esecuzione di un ​gran numero di esperimenti​, in
maniera tale che i risultati acquisiti siano attendibili (analisi statistica): i ​dati raccolti vengono elaborati e
successivamente viene formulata una ​teoria​: quest’ultima viene utilizzata, spesso insieme ad altre
teorie, per formulare una ​legge​. La teoria ipotizza la causa o le cause all’origine di un fenomeno mentre
la legge descrive un fenomeno che avviene con una certa regolarità.Nel ​secondo caso (rigetto
dell’ipotesi) ​l’ipotesi viene modificata e sottoposta a nuovi esperimenti. Il metodo scientifico si basa su
alcuni presupposti, ad esempio che ​gli eventi naturali osservati hanno delle cause precise ed
identificabili, che ci sono degli ​schemi utilizzabili per descrivere quanto accade in natura, che se un
evento si verifica con una certa ​frequenza alla base c’è la stessa causa, che ciò che una persona
percepisce può essere ​percepita anche da altri​, che si applicano le ​stesse leggi fondamentali della
natura​, indipendentemente da dove e quando si verificano determinati eventi. Il metodo scientifico o
sperimentale si articola in due fasi fase induttiva (cioè dallo studio di dati sperimentali si giunge alla
formulazione di una regola universale) fase deduttiva .La ​fase induttiva si divide inoltre in:
osservazioni e misure (in questa fase si utilizza la strumentazione opportuna e si raccolgono i dati)
formulazione di un’ipotesi, si tenta cioè di spiegare il fenomeno, mediante la “lettura” dei dati
sperimentali. La fase deduttiva si distingue in: verifica dell’ipotesi (si sottopongono i dati ad una verifica
rigorosa, si fanno delle controprove, ecc.) formulazione di una teoria, nel caso in cui l’ipotesi venga
confermata.In pratica il metodo scientifico è un modo di conseguire informazioni sul meccanismo di
eventi naturali proponendo delle risposte alle domande poste: per determinare se le soluzioni proposte
sono valide si utilizzano dei test (esperimenti) condotti in maniera rigorosa.​La rigorosità del metodo
scientifico risiede nel fatto che una teoria non è mai definitiva ma è suscettibile di modifiche o di
sostituzioni, qualora vengano alla luce nuovi aspetti non ancora considerati. Il metodo scientifico
richiede una ricerca sistematica di informazioni e un continuo controllo per verificare se le idee
preesistenti sono ancora supportate dalle nuove informazioni. Se i nuovi elementi di prova non sono
favorevoli, gli scienziati scartano o modificano le loro idee originarie. Il pensiero scientifico viene quindi
sottoposto ad una costante critica, una modifica ma anche ad una rivalutazione: è questo che lo rende
così grande ed universale.

Dialoghi sopra i due massimi sistemi - “Il Dialogo sopra I due massimi sistemi del mondo tolemaico
e copernicano” (1632), dedicato al granduca Ferdinando II de Medici che è il suo mecenate che
finanzia le sue ricerche e lo ospita a corte.Gli spiega la differenza che c’è tra un uomo e un animale
ma anche tra diversi uomini c’è differenza,la differenza nasce dall’abilità dell’uomo ma
sostanzialmente la differenza sta nel fatto che se l’uomo è un filosofo o meno,perchè la filosofia per
Galileo è conoscenza vera e reale della costituzione del mondo, la filosofia è scienza, e per conoscere
il mondo bisogna guardarlo e confrontare i testi, non bisogna concentrarsi solo sulle idee che troviamo
nei libri come facevano gli aristotelici,che guardavano il mondo con la lente di aristotele.Nella
premessa al ​Dialogo, G ​ alileo dichiara che il sistema copernicano viene sostenuto solamente per
"capriccio matematico", per mostrare fuori d'Italia la fertilità dell'ingegno italiano. La struttura stessa
dell'opera serve a occultare le idee dell'autore, inserendole in un vivace dialogo tra diversi interlocutori:
la "tesi" copernicana è come velata da percorsi tortuosi che fanno pensare al metodo della
"dissimulazione onesta" che, attraverso l'occultamento, attenua la novità della verità scientifica.
L’opera avrebbe dovuto avere come titolo Dialogo sopra il flusso e il reflusso del mare. Per aggirare la
barriera della censura ecclesiastica e ottenere l’autorizzazione a pubblicare l’opera, Galileo dovette
invece apportare numerose variazioni. Non solo modificò il proemio e le conclusioni ma acconsentì
anche di sostituire il vecchio titolo con il più neutrale Dialogo di Galileo Galilei Linceo, dove né i
congressi di quattro giornate si discorre sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e
copernicano, che poteva indurre il lettore superficiale a scambiare l’intero lavoro per una pura
discussione accademica e astratta in cui si presentava il “pro” e il “contro” dei sistemi tolemaico e
copernicano, senza alcuna pretesa di pervenire a sentenze definitive. L’opera ottenne quindi
l’imprimatur del papa e poté finalmente uscire nel febbraio del 1632 a Firenze. Le parole “due massimi
sistemi” sottolineano la volontà dell’autore di escludere dai due principali modelli dell’universo . La
decisione di Galileo di dare alla propria opera la forma dialogica è molto importante per quanto
riguarda la strategia comunicativa: la scelta quasi obbligata per lo scienziato che intendeva esporre le
proprie teorie nel Seicento era il trattato in lingua latina. Galileo si rivolge invece alla lingua italiana e
alla lunga tradizione del genere dialogico, risalente a Platone e Cicerone, ricerca della verità mediante
l’intreccio delle voci di diversi interlocutori. Anche se la sua scelta era legata ad una tradizione ben
radicata Galileo la innovò profondamente, introducendo una struttura del tutto nuova che nel Seicento
divenne il vero modello per il genere dialogico di tipo scientifico: è infatti impostato su tre personaggi,
due dei quali, scienziati, rappresentano i due “sistemi” cosmologici contrapposti, mentre il terzo,
“intendente di scienza”, non specialista, contribuisce con argomentazioni più colloquiali e divulgative a
orientare l’intreccio delle voci. La scelta sul piano dei generi è strategica: si tratta di un mezzo che
permetterà all’autore di catturare l’attenzione del pubblico colto sui problemi della nuova scienza, e di
presentare le prove a favore del copernicanesimo. A causa del successo del libro l’atteggiamento della
Chiesa nei confronti di Galileo cambiò radicalmente. Il dialogo fu esaminato da una commissione
pontificia per stabilire se possedesse un carattere copernicano. Nel luglio del 1632 arrivò da Roma
l’ordine di sospendere la vendita dei Massimi sistemi. Nel gennaio del 1663 Galileo fu costretto a
recarsi a Roma davanti al tribunale del Sant’Uffizio, dal quale fu condannato e dovette riconoscere la
falsità delle proprie convinzioni riguardo alle tesi eliocentrica e a quella del moto della Terra. Dopo
l’abiura, nel giugno del 1663 il Dialogo venne inserito nell’indice dei libri proibiti. Per quanto riguarda la
struttura dell’opera ​abbiamo tre interlocutori: 1. Il nobile fiorentino Filippo Salviati, copernicano
appartenente alla cerchia degli amici di Galileo e accademico dei Lincei; 2. Il nobile veneziano Giovan
Francesco Sagredo, molto vicino a Galileo negli anni dell’insegnamento padovano e rappresentante di
quel pubblico di persone curiose ma non specialiste che costituisce il destinatario ideale dell’opera di
divulgazione galileiana; 3. L’aristotelico Simplicio, un personaggio immaginario che ricorda col suo
nome un celebre commentatore di Aristotele vissuto nel VI secolo. Si immagina che i tre protagonisti si
riuniscono per quattro giornate a Venezia nel palazzo Sagredo sul Canal Grande, a discutere
amichevolmente intorno alle ragioni a favore o contro il sistema eliocentrico. La divisione in quattro
“giornate” è indice di un riferimento alla tradizione della commedia letteraria toscana che
convenzionalmente chiamava giornate i propri atti, in omaggio alla struttura del Decameron; quindi il
Dialogo è in parte improntato sulla comicità. Galileo non fornì l’indicazione dell’argomento principale,
ma il colloquio si muove apparentemente in modo casuale.Galileo, durante la stesura del dialogo, era
ancora convinto di poter convertire le alte gerarchie ecclesiastiche al copernicanesimo con la teoria
eliocentrica. Il suo obiettivo non era quello di accettare un compromesso fra i due dogmi, ma di
propugnare la completa autonomia delle scienze naturali nell’ambito della teologia. Infatti: a. Il
discorso scientifico non ha bisogno di autorità estranee ad esso. Attraverso i suoi personaggi
copernicani Salviati e Sagredo, nel dialogo Galileo nominò spesso il coraggio del dubbio e la
superiorità dei fatti sulle parole; b. In tutto il libro la ragione della scienza è vista con fiducia, mentre la
vecchia metafisica è smascherata con l’arma dell’ironia; 6 c. Per Galileo la cosa più importante era
quella di divulgare la funzione della ragione: per questo il libro è considerato come un’​opera
pedagogica ​che serve ad educare il lettore al ragionamento critico. Dal punto di vista ideologico il
Dialogo metteva in discussione anche le autorità tradizionali. Per questo motivo subì la dura e
intransigente reazione della Chiesa. Nella prima giornata viene in particolare confutata la teoria
aristotelica della diversa natura dei corpi celesti e della terra; la seconda e la terza confutano le
tradizionali obiezioni ai movimenti della terra; la quarta propone la teoria, rivelatasi poi erronea, che fa
risalire il flusso e riflusso delle maree all’azione combinata dei movimenti della terra.

DEDICA AL GRANDUCA ​Il Gran duca a cui Galileo dedica l’opera è Ferdinando dei Medici che ha
accolto Galileo presso la sua corte.Qui l’autore chiarisce che la differenza tra gli uomini e gli animali
consiste nel fatto che gli uomini possono scegliere di fare o meno filosofia. La filosofia ha il potere di
separare gli uomini comuni da gli intellettuali i quali cercano di giungere alla conoscenza osservando e
interrogando la Natura che è artefice di tutte le cose.Tolomeo e Copernico hanno studiato l’Universo e
i Dialoghi riprendono le teorie di questi due uomini che sono degni di una dedica.Galileo poi si rivolge
a Ferdinando dei Medici per ringraziarlo della sua magnanimità per averlo accolto presso la sua corte
permettendogli di poter scrivere tale opera.

AL DISCRETO LETTORE ​Si rivolge al discreto lettore, colui che è capace di discernere il vero dal
falso. Galilei ricorda al lettore un evento di cui non dobbiamo perdere la memoria: 1616-->editto
salutifero(salutifero solo per chi lo ha emesso) imponeva opportuno silenzio all'opinione pitagorica
della mobilità della terra. secondo le scuole pitagoriche La Terra era mobile. interviene la chiesa
ritenendo eretiche le idee pitagoriche.

LA PRIMA GIORNATA ​La prima giornata si apre con una dura critica condotta da Salviati nei
confronti della presunta “perfezione” attribuita sia dagli aristotelici sia dai pitagorici al numero 3. Tale
critica è solo un pretesto per una più generale critica di tutta la fisica aristotelica e soprattutto della
distinzione tra la Terra corruttibile e i corpi celesti immutabili e perfetti. I risultati sperimentali delle
osservazioni telescopiche degli astri si sostituiscono così alla pura speculazione filosofica e
dimostrano inequivocabilmente l’identità di natura fra la Terra e i corpi celesti, entrambi soggetti a
Grandi mutamenti. ​LA SECONDA GIORNATA ​La seconda giornata si apre con il discorso di Sagredo
che, per porre in ridicolo la sicurezza con cui Simplicio si affida all’ “autorità” degli scrittori del passato,
racconta l’aneddoto della studioso di anatomia, o «notomista». Ne segue una discussione sul tema
dell’autorità del «mondo di carta» contrapposta alle esperienze del «mondo sensibile». Poi la seconda
giornata prosegue con la discussione sul moto diurno della Terra, vale a dire sul movimento rotatorio
intorno all’asse terrestre, e la confutazione da parte di Salviati delle obiezioni tradizionali di Aristotele e
Tolomeo, diligentemente riferite da Simplicio. L’obiezione rivolta contro il moto diurno si basava sul
fatto che i gravi cadono a perpendicolo e non obliquamente. Secondo Simplicio, dunque, se la Terra si
fosse mossa attorno al proprio asse, un corpo lasciato cadere da una torre avrebbe dovuto
comportarsi come quello caduto dall’albero di una nave in movimento. A tale argomentazione Salviati
oppone il principio della “relatività galileiana”: invita all’esperimento consistente nel rinchiudersi in un
«gran navilio» con «mosche e farfalle» e altri animaletti volanti. Come all’interno di una nave che
proceda con moto uniforme non si avverte alcuna alterazione nel movimento degli animaletti perché il
moto universale della nave è comunicato all’aria e alle cose in essa contenute, così accade per il moto
terrestre, non avvertibile lasciando cadere anche da grande altezza un grave. Sagredo racconta
l’aneddoto del «notomista» che, sezionando un cadavere, mostra ad un dotto peripatetico come, in
contrasto con l’opinione di Aristotele, il fascio dei nervi parta dal cervello e non dal cuore. La risposta
del testimone peripatetico è esemplare: non vuol credere alla propria esperienza visiva in quanto nel
testo di Aristotele è scritto il contrario. Davanti agli attacchi sferzanti e ironici di Salviati e Sagredo, non
rivolti contro Aristotele ma contro i suoi seguaci definiti «pusillanimi» e vili, che procedono sempre al
riparo della sua autorità fino a negare le stesse evidenze sensibili, Simplicio, sbigottito, muta la propria
sicumera in costernazione. Salviati allora esemplarmente la invita alle «ragioni» e alle dimostrazioni»
scientifiche intorno al «mondo sensibile» e a rigettare lo sterile «principio di autorità» che al mondo
materiale antepone «un mondo di carta». Sagredo paragona quindi gli aristotelici a quello scultore
che, avendo creato una statua spaventosa, era il primo ad averne paura; Salviati sostiene che gli
aristotelici, nella pretesa di salvare ogni affermazione del maestro, quando anche sia contraddetta
dalla realtà, finiscono per compromettere la credibilità di tutto il suo pensiero.
 5-​GIAN BATTISTA MARINO Nato a Napoli nel 1569 da un’agiata famiglia borghese, Giovan Battista
Marino si inserì fin da giovane negli ambienti dei nobili letterati. implicato in oscuri episodi ( finì due
volte in carcere), ne uscì grazie alla protezione di potenti signori: fuggito a Roma nel 600 entrò a
servizio del cardinale Pietro Aldobrandini. 1602 pubblicò a Venezia le “Rime”; seguì il suo padrone a
Ravenna ( sede dell’arcivescovato). in occasione di un viaggio a Torino con il cardinale, fu attratto
dalla corte del duca Carlo Emanuele I, per cui compose un poemetto in sestine “il ritratto del
serenissimo don Carlo Emanuele duca di Savoia”, che gli valse la nomina a cavaliere. L’onore
attribuitogli dal Savoia provocò la rivalità del poeta di corte Gaspare Murtola che tentò di ucciderlo:
scampato all’aggressione, il Marino preferì vendicarsi con la poesia, scaricando contro l’avversario
violenti e pittoreschi sonetti della “Murtoleide”, stampati nel 1619. Tra il 1610 e il 1615 risiedette quasi
sempre a Torino, ma i suoi rapporti con la corte non furono sempre facili, tanto che fu anche in
carcere per ordine dello stesso duca, che intendeva punire gli atteggiamenti irriverenti di certe sue
poesie. Pubblicò la “Lira” ( prima e seconda parte nel 1608, terza parte nel 1614). Durante il soggiorno
parigino pubblicò il vastissimo poema “Adone”, apparso a Parigi nel 1623. Terminata la stampa del
poema tornò in Italia e si ritirò nella sua Napoli, ove morì il 25 marzo 1625.
METODO E LINGUAGGIO DEL MARINO ​La poesia del Marino è sfarzosa, è sempre pronta ad
eccedere, a far proliferare dalla realtà una quantità infinita di figure, immagini, aspetti. Il metodo da lui
adottato è quello dell’”imitazione”: egli infatti inserisce nei suoi scritti i più vari testi latini e volgari.
Come si intuisce, “imitare” per Marino non significa riprodurre valori e modelli ( come avveniva per il
classicismo), ma trarre da essi imprevedibili e svariate situazioni e figure, e orientarle in modi del tutto
nuovi e sorprendenti. ​L’ADONE ​L’Adone è il capolavoro del Marino, poema in venti canti in
ottave,utilizza questo metro che è riservato ai poemi eroici ,lui vuole rappresentare il piacere e non
l’eroismo in sé. Esso ha come tema l’amore di Venere per il giovane Adone a causa di Cupido che si
vendica della madre, che suscita gelosie e ostacoli di vario genere, fino alla morte del giovane che
avviene in modo quasi ironico per far ridere il lettore, perchè muore a causa di un cinghiale,: questo
mito era di moda nella cultura cortigiana europea, e offre all’autore un punto di riferimento per proporre
infinite situazioni e figurazioni. Privo di un vero sviluppo narrativo, il poema appare come un
anti-romanzo, la vicenda, assai esile, è sommersa dal continuo e mutevole avvicendarsi di immagini,
luoghi, parole. Ci sono tantissime digressioni scientifiche e cosmologiche, riferimenti politici ed
encomiastici, descrizioni di abiti, acconciature, architetture e paesaggi. L’Adone appare così il poema
della curiosità infinita degli aspetti del mondo, per le forme artistiche e tecniche che l’uomo sa
sovrapporre alla natura, per un nuovo universo dilatato e infinito ( vi si legge infatti anche
un'esaltazione del cannocchiale di Galileo).E’ un poema di pace infatti l ​Adone è un antieroe per
eccellenza,è un personaggio che all'interno del poema non ha nessun merito,si trova per caso.Anche
quando viene eletto re di Cipro , non ha nessun merito , viene eletto solo per la bellezza. L’opera fu
inserito nell ‘indice dei libri proibiti a causa della componente erotica. Non c’è un racconto lineare si
procede per digressioni.

 6-Romanzo ​ el Seicento comincia a diffondersi su larga scala soprattutto il romanzo in prosa.Il grande
N
interesse per l’attualità, nel corso del XVI secolo, consente l’emergere del romanzo in prosa che, o
ambientato in ambienti fantastici o in ambienti contemporanei, riproduce in qualche modo aspetti,
caratteri e modelli di vita del mondo contemporaneo. Il romanzo assume una fisionomia “moderna”
attraverso una trasformazione delle forme e dei generi già presenti nella letteratura italiana tra '400 e
'500, primo fra tutti il poema cavalleresco che si indicava proprio con il termine romanzo. I più grandi
esempi del nuovo romanzo in prosa sono: il ​Gargantua e Pantagruel d ​ i Rabelais e il ​Don Chisciotte di
Cervantes​. Da uno stravolgimento degli schemi della letteratura cavalleresca, i cui primi modelli si
potevano trovare in Italia nei poemi di Pulci e di Folengo, si sviluppa, soprattutto in Spagna, il romanzo
picaresco. Con questo termine si designano tutte le forme narrative incentrate su eroi di basso livello
sociale, vagabondi o ladri, che vivono avventure furfantesche ( in Spagna picaro significa appunto
furfante) e costituiscono l'immagine rovesciata degli eroi e dei cavalieri dell'epica. Uno dei romanzi più
tradotti fu ​Vita del pitocco del grande Quevedo. In Italia il romanzo in prosa fiorisce all’incirca tra il
1620 e il 1670. Vari e diversi i loro caratteri: troviamo romanzi di avventura, psicologici, romanzi che si
riferiscono ad episodi del presente, romanzi ambientati in mondi pastorali, romanzi con intenti morali,
romanzi animati da spirito polemico; e spesso questi diversi caratteri si mescolano nella stessa opera,
rendendo difficili distinzioni troppo nette tra i singoli risultati. ​La struttura del romanzo ​I romanzi sono
tutti diversi l'uno dall'altro per una serie di elementi: l'argomento, l'ambientazione, le scelte formali,
linguistiche ed espressive utilizzate dall'autore.Tuttavia, in tanta diversità, è possibile individuare uno
schema unico, per quanto estremamente generale, che costituisce la struttura-tipo cui gran parte dei
romanzi sono riconducibili. Alla base di ogni romanzo, infatti, c'è l'evoluzione da una situazioni iniziale
a una situazione finale.L'avvio del romanzo è determinato in genere da un avvenimento provocato o
subìto involontariamente dal protagonista che rompe l'equilibrio iniziale costringendolo a fare
qualcosa. La vicenda così avviata si sviluppa, per lo più in luoghi diversi e con l'entrata in scena di
nuovi personaggi, attraverso eventi che possono comportare un ulteriore peggioramento per il
protagonista o un miglioramento delle sue condizioni. In entrambi i casi, il protagonista non è solo, ma
è circondato da altri personaggi che possono aiutarlo (aiutanti) o ostacolarlo (antagonisti).Comunque
si evolva, la vicenda termina sempre con il conseguimento, con la ricomposizione di un nuovo
equilibrio, positivo o negativo per il protagonista, e il ristabilirsi di una nuova situazione, la situazione
finale​.

 7-Il Teatro ​il Seicento è il secolo del teatro. La teatralità, la spettacolarità, lo scambio tra finzione e
realtà, il gusto della metamorfosi sono tutti tratti che caratterizzano profondamente la nuova cultura
barocca e che favoriscono il trionfo del teatro come forma d'arte più adatta a esprimere la nuova
sensibilità e la nuova concezione del mondo.Anche in Italia il teatro raggiunge il culmine del successo
di pubblico, ma piuttosto attraverso la commedia dell'arte e il melodramma appunto e non attraverso la
tragedia e la commedia letterarie.Le parole di Shakespeare :“Tutto il mondo è un teatro, e tutti gli
uomini e le donne nient’altro che attori” (“As you like it”, “Come vi pare”, 1599) mostrano tutta
l’importanza che la teatralità ricopriva nella società del 600. Di qui, lo sviluppo delle tecniche teatrali e
dello spettacolo nella società del tempo. Si crearono nuovi “generi”, non più corrispondenti alle forme
classiche ( come il melodramma, la commedia dell’arte); si definirono pratiche e professioni legate al
teatro da quella dell’attore a quelle relative all’architettura teatrale, alla scenografia, alla danza, alla
musica; si costruirono teatri stabili e si fissò la forma della sala teatrale ( con la separazione tra gli
spazi riservati alla scena e quelli destinati agli spettatori), si diffusero in molti centri spettacoli pubblici
a pagamento. Nonostante l’eccezionale vitalità del mondo dello spettacolo, la letteratura drammatica
italiana è molto meno ricca rispetto a quella degli altri paesi europei ( Shakespeare in Inghilterra, Lope
in Spagna, Corneille in Francia): ci furono infatti solo due testi drammatici di grande successo europeo
nell’ambito del genere pastorale, l’ “Aminta” del Tasso e “ Il pastor fido” del Guarini (nato a Ferrara nel
1538, morto nel 1612). ​LA TRAGICOMMEDIA => Guarini dedicò un lungo lavoro alla composizione
del “Pastor Fido”, che occupò quasi tutto il corso degli anni ottanta, fino alla prima edizione del 1590.
Le critiche che il professore aristotelico Giason De Nores rivolse contro il “Pastor fido” e contro il
termine “tragicommedia” con cui l’autore aveva definito la sua opera, scatenarono una vivace
polemica.Come già accennato, Guarini sceglie il termine “tragicommedia” per la sua opera: si tratta di
un nuovo genere, estraneo alle rigorose distinzioni della “Poetica” di Aristotele e basato sul principio
della “mescolanza”, secondo il Guarini fonte essenziale di godimento estetico. La tragicommedia fa
uso di un linguaggio di livello elevato che esclude ogni bassa comicità: la sua vicenda deve suscitare
uno stato di tensione tra gli spettatori, sfiorare la catastrofe tragica, ma risolversi poi “comicamente”
con un lieto fine​.​IL MELODRAMMA => Nel corso del XVI secolo acquista molta importanza,
nell’ambito teatrale, la musica. Essa veniva utilizzata in particolare negli “intermezzi” ( gli intervalli tra
gli atti). Inizialmente la musica era poco comprensibile a causa del dominio della “polifonia”, cioè del
canto a più voci, ma, negli ultimi anni del 500 si iniziò ad attuare la “monodia”. “recitare cantando”.
Nasce così il melodramma o “opera in musica”. Si tratta di un momento fondamentale non solo per la
storia della musica e del teatro, ma anche per quella della letteratura. L’esigenza di costruire testi
adatti al canto e all’accompagnamento musicale – che presto furono chiamati libretti – impose infatti la
ricerca di nuove forme drammatiche in versi. Il primo vero melodramma fu la “Dafne” del poeta
OTTAVIO RINUCCINI (1564-1621), Dopo questi anni di eccezionale creatività, il dramma per musica
incontrò una rapida fortuna in molti centri italiani: la produzione più ricca e la maggiore partecipazione
di pubblico si ebbero a Venezia e a Roma. A Venezia, esso si sviluppò come forma di spettacolo
destinata ad un pubblico molto vasto e portò alla costruzione di appositi teatri pubblici a pagamento. A
Roma, gli ambienti ecclesiastici favorirono forme di melodramma vicine alla commedia morale o
basate su materia sacra. ​LA COMMEDIA DELL’ARTE-​Fare l'attore diventa un mestiere con una certa
dignità.I punti fondamentali di questa commedia dell’arte è che si dà meno importanza alla parola e più
ai gesti perché i gesti sfuggono alla censura. Un punto fondamentale è il fatto che ci fossero le
maschere, il canovaccio,quindi arte dell’improvvisazione, personaggi già stabiliti, e contrasti messi in
scena

 8-TrattatisticaNel corso del Seicento riacquista vigore anche il genere della trattatistica che sotto la
spinta della rivoluzione scientifica è dominata, ancor più in Italia, dalla personalità di Galilei. Sul piano
letterario, Galileo riprende dalla tradizione umanistica l'uso del dialogo e dell'epistola, ma rinnova
anche profondamente il genere della trattatistica,rendendolo adatto a una comunicazione più vasta e
più varia e a un pubblico più ampio. Il dialogo effettivamente gli permette di rendere l'argomentazione
più mossa, problematica,drammatica; l'epistola invece gli serve per comunicare in forma scientifica
con i dotti dell'epoca. Con Galileo nasce quindi quella che oggi potremmo definire una comunità
scientifica internazionale. Come scrittore però Galileo introduce un'importante innovazione: usa il
volgare fiorentino. Grazie alla sua autorità, la trattatistica scientifica sarà redatta di qui in avanti in
volgare e quest'ultimo diventa con lui e con la sua scuola una lingua non solo letteraria ma scientifica,
e dunque ormai sottratta alla subordinazione del latino. Galileo impone quasi l'uso di rinunciare, per i
termini scientifici, ai latinismi e di trovare invece degli equivalenti nel linguaggio comune. ​la
trattatistica viene intesa, con le dovute eccezioni, come un genere letterario che si discosta dal
tradizionale testo argomentativo o da quello basato sull’esposizione di una sintesi raggiunta dopo
l’esposizione di tesi diverse, scegliendo invece la ​forma letteraria del dialogo​.
Il maggior teorico del barocco letterario è Emanuele Tesauro, che scrive Il cannocchiale
aristotelico,dal titolo possiamo notare l’ossimoro, perché troviamo il cannocchiale che è stato scoperto
da Galileo Galilei e mentre invece Aristotelico va a richiamare quelli che erano i canoni del
passato.Questo ci fa pensare che Tesauro non vuole altro che conciliare il bisogno di novità e allo
stesso tempo vuole conciliare questo bisogno al rispetto dei canoni del passato. Sul piano letterario
Tesauro si occupa dei modi di espressione che devono essere arguti, per quanto riguarda la
Trattatistica morale,a partire dalla seconda metà del 500, il cortigiano diventa quasi un segretario e
quindi deve imparare l’arte della servitù e quindi della dissimulazione. Secondo Torquato Accetto
bisogna dissimulare perchè questa società è governata da orrendi mostri e questa teoria viene
esposta nella sua opera chiamata della dissimulazione onesta, anche questo è un ossimoro dal
momento che dissimulazione e onestà sono opposti, Accetto dice che la dissimulazione può essere
onesta perche consiste nel non far trasparire un pensiero o sentimento, quindi non si va a mentire
dissimulando ma si nasconde il pensiero o il sentimento.

 9-Tassoni ​ LESSANDRO TASSONI nacque a Modena da una nobile famiglia nel 1565, compì studi
A
giuridici, ma sviluppò curiosità letterarie, filosofiche, scientifiche. Informatore politico della corte
torinese, fu nominato gentiluomo, e nello stesso anno si recò a Torino​; ma la gelosia di altri segretari e
l'avversione alla politica filospagnola allora seguita dal duca gli resero amaro il soggiorno, finché fu
rimandato a Roma col cardinale, che egli poco dopo lasciò bruscamente .Fu poi al servizio (1626-32)
del card. Ludovisi​, finchè tornò a Modena come “gentiluomo di belle lettere” del duca Francesco I
d’Este, e lì morì nel 1635​.Numerosi gli scritti poetici del Tassoni: quello di maggiore impegno e
successo è il poema in dodici canti in ottave “La secchia rapita”, che, iniziato nel 1614, ebbe l’edizione
definitiva nel 1630 ( anche per le correzioni imposte dalla censura ecclesiastica). Essa prende le
mosse da un umile fatto storicamente avvenuto: nella battaglia di Zappolino del 1325 i Modenesi,
inseguendo i Bolognesi fin dentro la porta S. Felice, portarono via come trofeo una secchia.
Quest’opera si impose subito come modello per ​il genere eroicomico. Il poema eroicomico nasce
innanzitutto dalla crisi del “poema cavalleresco” (La letteratura cavalleresca è un insieme di narrazioni
e di poemi che trattano tematiche inerenti le gesta dei cavalieri medievali. In essa il serio e il comico
erano strettamente intrecciati, per la presenza di interventi soggettivi dell'autore) e dalla fissazione del
nuovo modello “serio” del “poema eroico”, adottato da Tasso. Il poema eroicomico assume lo stesso
strumento metrico del poema eroico, l’ottava, e adotta il linguaggio epico, ma inserendovi la comicità.
Questo non significa che il poema eroicomico è una parodia del poema cavalleresco: i valori della
tradizione non sono né rovesciati, né aggrediti, la comicità nasce piuttosto dal confronto tra il mondo
volgare che è descritto in tali poemi e le aspirazioni eroiche di alcuni protagonisti.​Pervade tutto il testo
una vena satirica, che si rivolge con forza contro i costumi morali, sociali e letterari contemporanei,
talvolta scadendo nella polemica personale. I riferimenti al costume contemporaneo e alle persone
reali sono mescolati con elementi fantasiosi in un anacronistico, mobilissimo quadro, dove il serio e il
tragico s'intrecciano con il comico e il grottesco, in una dimensione rivelatrice del nuovo gusto
barocco. Questa commistione di toni aulici e plebei indica il carattere sperimentale dell'opera e
inaugura il "poema eroicomico", nato dalla crisi del poema cavalleresco umanistico (in cui serio e
comico si integrano) e dalla presenza del nuovo modello della Gerusalemme di Tasso, in cui il poema
eroico si chiude in una "serietà" tragica e religiosa. La secchia rapita propone un gioco sottilissimo
quanto vivace di alternanza di serio e faceto in tono scherzoso ma con intenzione, almeno in parte,
seria. La comicità di Tassoni nasce soprattutto dallo scontro fra la volgarità del provincialismo italiano
e le aspirazioni eroiche di molti personaggi, ancora profondamente legati agli ideali cortesi. Tassoni
non fa parodia, né accede alla malinconia per un mondo perduto. La sua lingua è vibrante, nella
testimonianza comica eppure seria dello strazio politico italiano. Il poema eroicomico di Tassoni fu
preso a modello da altri scrittori con esiti molto inferiori.

 10-Giambattista Basile ​Basile ( 1575-1632) ebbe una vita avventurosa, come uomo di corte e militare,
e negli ultimi anni occupò una posizione di rilievo nella cultura nobiliare napoletana, grazie
all’appoggio del vicerè di Napoli duca d’Alba. Fu autore di numerose opere poetiche in volgare. Quelle
dialettali,furono stampate postume tra il 34 e il 36 sotto lo pseudonimo di Gian Alesio Abattutis (
anagramma del suo nome reale): “le muse napolitane”, quadro paradossale del mondo napoletano, e
la raccolta di fiabe “lo cunto de li cunti overo lo trattenemento de li peccerille”. In cinque giornate ( e
per questo l’opera fu più tardi chiamata, con un titolo modellato su quello del Decameron,
Pentamerone, la struttura è divisa in giornate c’è la brigata , la diff è che in Basile troviamo l’elemento
magico come orchi e fate, troviamo l’elemento della favola, mentre il Boccaccio non lo troviamo, poi
anche la brigata di Boccaccio era costituita da giovani aristocratici mentre in Basile non è così, nel
sottotitolo dice che è un intrattenimento per i piccoli, ma non è così perchè è un intrattenimento anche
per i grandi dato che è un'opera che parla di cose letterarie, alla fine di ogni giornata c’è un egloga
dove Basile condanna i vizi dell’uomo) vengono qui raccontate cinquanta fiabe, la cui narrazione si
inquadra in una struttura bizzarra, anch’essa fiabesca, costituita da un racconto più ampio che
contiene in sé tutti gli altri, secondo uno schema che ricorda “le mille e una notte”. “lo cunto de li cunti”
riproduce la struttura della fiaba, temi e motivi di quello che nell’Ottocento sarà chiamato “folclore”,
delineando le situazioni più ingenue e ricorrenti, i comportamenti più elementari, presentando
numerosi motivi magici. Ma basile non è un narratore per bambini: il suo libro mira a costruire un
mondo fantastico e variopinto dove alla gioia di seguire vicende stupefacenti si accompagna una
sottile comicità, una loro sottintesa parodia. Lo strumento fondamentale di questa singolare comicità è
senza dubbio il linguaggio: un dialetto sovraccarico e lavoratissimo, i cui caratteri popolari sono
mescolati e alterati con una sapienza letteraria.

Lo cunto de li cunti-​cornice ​Nella cornice si racconta che Zoza figlia del re di Vallepelosa non ha mai
riso in vita sua, e tutti i tentativi del padre sono inutili. Un giorno Zoza vede una vecchia che litiga con
un paggio(giovinetto che serviva) e per insultarlo si alza la gonna. La scena fa scoppiare a ridere
Zoza, ma la vecchia si sente insultata e la maledice: Zoza non potrà mai sposare nessuno se non il
principe di Camporotondo, Tadeo. Zoza scopre che il principe Tadeo è morto​, e per riportarlo in vita
dovrà riempire di lacrime una brocca in tre giorni.Zoza si incammina per Camporotondo e viene
ospitata da una fata che le dona una noce e la raccomanda a sua sorella. La seconda fata le dona
una nocciola e la manda dalla terza sorella, che le dà una castagna. Arrivata a Camporotondo Zoza
comincia a piangere per riempire la brocca, ma si addormenta quando manca pochissimo. Di lì passa
la schiava Lucia​, che versa le lacrime mancanti riportando in vita Tadeo. Il principe sposa Lucia per
gratitudine senza sapere nulla di quello che Zoza ha fatto.Zoza non si arrende e prende una casa di
fronte al palazzo reale, attirando l'attenzione di Tadeo. Nel frattempo Lucia rimane incinta. Zoza apre
la noce e ne esce un adorabile nanerottolo che canta: Lucia lo vede e le viene un'immensa voglia di
averlo, e quando Tadeo va a chiederlo a Zoza lei glielo regala. Qualche tempo dopo Zoza apre la
castagna e ne esce una chioccia con dodici pulcini d'oro, e anche stavolta Lucia ne ha voglia, e Zoza
la regala a Tadeo. Successivamente Zoza apre la nocciola e ne esce una bambola che fila oro. Lucia
riesce a farsi dare anche la bambola, ma appena se la mette vicino la bambola le fa venire un intenso
desiderio di storie.Per far felice Lucia, Tadeo organizza delle giornate di giochi e racconti. Vengono
chiamate dieci donne per le storie: Zeza, Cecca, Meneca, Tolla, Popa, Antonella, Ciulla, Paola,
Ciommetella e Iacova. Ogni invitata racconta una storia al giorno. Il quinto giorno Iacova ha un
malanno, e Zoza viene chiamata per sostituirla. A Zoza tocca l'ultimo racconto della giornata, e lei
racconta la propria storia svelando l'inganno di Lucia. Tadeo capisce che sta dicendo la verità anche
dalle reazioni della moglie. Lucia viene condannata a morte, mentre Tadeo sposa Zoza e manda a
chiamare il padre di lei per i festeggiamenti. ​QUARTO TRATTENIMENTO DELLA SECONDA
GIORNATA ​Un uomo poverissimo di Napoli prima di morire ha lasciato i suoi averi ai suoi due figli. Al
primogenito Oraziello ha lasciato un setaccio, mentre al più piccolo, Pippo, ha deciso di lasciare la sua
gatta. Oraziello riesce a guadagnarsi il pane lavorando col setaccio, mentre Pippo si sconforta e si
lamenta perchè dopo la morte del padre, ha due bocche da sfamare la sua e quella della gatta. La
gatta sente questi lamenti e lo rimprovera dicendogli che è stato molto fortunato ad ereditarla e gli
propone di cambiarsi il nome. Così il padroncino non si chiamerà più Pippo, ma si chiamerà Cagliuso.
Da questo momento la gatta inizia a pescare molti pesci e selvaggina e li porta al re facendosi
annunciare come servitore di Messer Cagliuso a nome del quale gli offre questi umili doni: “piccoli doni
di umile schiavo a un grande re”.La gatta, quando porta questi doni al re, elogia le virtù del suo
padrone e fa capire al re che sarebbe anche degno di intrecciare una parentela di sangue con la sua
figlia. Un giorno il re incuriosito domandò alla gatta di presentargli il suo padrone per poter ricambiare i
suoi doni. La gatta, prende appuntamento per il giorno seguente, però l'indomani mattina la gatta si
presentò da sola e disse al re che i servi e le serve del suo padrone si erano ribellati ed erano fuggiti
con l'oro e tutti i suoi bei abiti per cui il suo padrone, al momento non era in grado di fargli visita. Il re
allora comandò ai suoi servi di prendere dei vestiti e di darli alla gatta in modo che li portasse al suo
padrone. Così ci fu l'incontro tra Cagliuso e il re. Ma Cagliuso poiché non voleva lasciare il suo
vecchio stato di miserabile, durante il pranzo offerto dal re, ricordò più volte alla gatta, di non dover
gettare i suoi stracci di viti che aveva lasciato a casa. Il re non riusciva a capire il linguaggio di
Cagliuso e iniziò a chiedere spiegazioni e ogni volta la gatta cercava di attirare l’attenzione del re per
non dargli spiegazione. Cagliuso si congedò e la gatta rimase col re e cominciò a vantare le virtù del
suo padrone, le sue ricchezze, le sue proprietà incalcolabili, invitando il re ad informarsi mediante i
suoi fedeli. Così, il re mandò a chiamare i suoi fedeli e ordinò loro di prendere informazioni sui
possedimenti di Cagliuso. Questi seguirono la gatta, la quale, con la scusa di fargli trovare un pò di
fresco per la strada, appena furono fuori dai confini del regno, s'affrettò a distanziarli, ed ogni volta che
incontrava qualche gregge di pecore, delle mandrie di vacche, o di altri animali di valore, diceva a gran
voce ai pastori e ai guardiani: "Ehi, voi, se ci tenete alla pellaccia, vi consiglio di andarvene subito,
perché ci sono in giro dei banditi che razziano per tutta la campagna! Perciò, se volete salvarvi e
preservare i vostri averi, dite che tutto quello che si trova qui intorno, appartiene a Messer Cagliuso, e
non vi torceranno un solo capello." Lo stesso diceva quando incontrava delle fattorie. Così quando i
fedeli del re passavano di lì e chiedevano a chi appartenessero quelle vacche, quelle mandrie, quelle
fattorie, la risposta era sempre “appartengono al nostro padrone Cagliuso”. I fedeli a forza di
domandare, alla fine si stancarono e tornarono dal re, raccontandogli quanto avevano ascoltato. A
quel punto, il re promise un lauto compenso alla gatta se avesse combinato il matrimonio, e la gatta
concluse gli accordi facendo celebrare le nozze. Il re consegnò una grosse dote a Cagliuso, ed egli,
dopo un mese di baldoria, disse che desiderava portare con sé la sposa a visitare le sue terre, e,
accompagnati dal re fino al confine, se ne andò in Lombardia, dove, sotto consiglio della gatta comprò
svariate terre e proprietà, finché diventò un barone.Cagliuso portò con sè la gatta e la ringraziò
promettendole che se fosse morta, di lì a cent'anni, l'avrebbe fatta imbalsamare e fatta mettere in una
gabbia d'oro in camera sua. Allora la gatta si finse morta per provare se Cagliuso fosse sincero.
Invece Cagliuso, appena seppe che la gatta era morta, ordinò alla moglie di buttarla nel fiume. La
gatta, sentito il discorso, si alzò e lanciò contumelie al padrone ingrato, falso e irriconoscente e se ne
andò e, per quanto Cagliuso, cercò d'ingraziarsela, non ci fu più verso di farla ritornare sui suoi passi,
ma, correndo via senza neanche guardarsi più indietro, diceva:"Dio ci scampi dal ricco quando è
impoverito e dal pezzente quando s'è arricchito."

 11-Letteratura dialettale ​: Già alla fine del 500 in molte regioni italiane si sviluppano esperienze di
letteratura dialettale molto più ricche e vaste, espressione della classe aristocratica e qualche volta
borghese, che utilizzavano il dialetto come uno strumento di gioco linguistico, in grado di garantire
possibilità espressive più libere rispetto alla lingua letteraria “alta”: ma comunque capace di registrare
aspetti della vita popolare. Tra le varie letterature dialettali di quest’epoca, la più ricca e vivace è senza
dubbio quella napoletana, ma non va trascurata la produzione in dialetto romanesco ( “Meo Patacca”
di Giuseppe Barneri), quella in bolognese, in milanese e in veneziano. La grande spinta creativa della
letteratura dialettale napoletana si sviluppa tra la fine del cinquecento e l’inizio del seicento, nel
momento in cui la città vive la sua massima espansione economica, demografica, urbanistica,
soprattutto per opera di due scrittori operanti in quegli anni: Giulio cesare Cortese e Giovan Battista
Basile.

 12-L’Arcadia ​ a cultura italiana è nel contesto europeo, a differenza di quanto avveniva nel 500, in
L
una condizione più marginale rispetto ai paesi come la Francia e l’Inghilterra. Il tentativo meglio
accetto per rimettere la cultura italiana al passo con quella europea, fu costituito da una “riforma” del
linguaggio poetico, che, contro gli eccessi del barocco, propugnava una razionalità e una misura
“classiche”. La ricerca di una poesia più razionale e la reazione agli eccessi del barocco sostituirono la
linea programmatica dell’Accademia dell’Arcadia, fondata a Roma il 5 ottobre 1690 da un gruppo di
scrittori, tra i quali Giovan Mario Crescimbeni, Vincenzo Leonio, Gian Vincenzo Gravina, Giambattista
Felice Zappi. L’Arcadia ottiene in poco tempo l’adesione di quasi tutti i maggiori scrittori italiani. Il
nome dell’accademia era quello di una regione dell’antica Grecia, l’Arcadia appunto, nella quale si
svolgeva uno stile di vita bucolico. Da ciò deriva un complesso di termini e di riti: ciascun membro,
detto “pastore” o “pastorella”, assumeva uno pseudonimo bucolico; il luogo delle riunioni si chiamava
“Bosco Parrasio”; il presidente aveva l’appellativo di “custode”; l’insegna era costituita d un flauto di
Pan ( lo strumento a fiato costituito da canne di diversa lunghezza). L’Arcadia si diede delle strutture
organizzate molto articolate: dopo una prima fase ancora incerta, nel 1696 il Gravina redasse le leggi
accademiche , a partire dl 1699, in varie regioni italiane vennero fondate delle “colonie”, ovvero delle
sedi distaccate, legate alla sede centrale di Roma da un rapporto gerarchico. Il successo dell’Arcadia
fu tale che farne parte divenne il segno necessario per essere riconosciuti membri della comunità
intellettuale: per tutto il settecento ogni poeta e letterato italiano vorrà occupare un proprio posto
nell’Arcadia. L’Arcadia formò e impose una nuova misura linguistica e stilistica che era caratterizzata
da: semplificazione, ricerca di una maggior nitidezza, nel rifiuto di uso eccessivo della metafora. La
parola doveva offrirsi pura, precisa e garbata. All’inizio del 1700,nell’accademia dell’arcadia, in
contrapposizione al barocco resistevano il buon gusto e il travestimento , che era fondamentale per
l’allontanamento dalla realtà,e vivere una realtà lontana e mitica. L’Arcadia rilanciò il genere della
lirica: la struttura metrica più diffusa e più esemplare della lirica arcadica è la “canzonetta”,
caratterizzata d versi e strofe brevi, spesso accompagnate da musica. Oltre alla lirica, sono i generi
teatrali a suscitare, nei primi decenni dell’Arcadia, un più forte impegno di rinnovamento e di
sperimentazione: la drammaturgia italiana cerca di svincolarsi dalla commedia dell’arte e dal
melodramma, che assegnano una preminenza assoluta alla finzione, all’artificio, alle doti tecniche
degli esecutori e alle varie arti sceniche, piuttosto che ad una ragionata e solida struttura del testo. Da
più parti si sente l’esigenza di restaurare un teatro di parola, il cui valore dipenda totalmente
dall’autore e dalla qualità della sua scrittura, che rispetti il criterio della “verisomiglianza”, essenziale
per garantire un discorso razionale. Per ciò che riguarda il genere della commedia, la vitalità ancora
forte della “commedia dell’arte”, sembra impedire ogni “razionalizzazione”

 13-METASTASIO ​ ietro Metastasio​, pseudonimo di ​Pietro Antonio Domenico Bonaventura


P
Trapassi (Roma, 3 gennaio 1698 – Vienna, 12 aprile 1782).Famoso per il melodramma ,resta
anzitutto fedele ai tradizionali tre atti. Sul piano tematico è fondato sempre su un contrasto tra passioni
opposte o fra passione e dovere. I personaggi sono sei, due coppie di amanti e due figure maschili,
una favorevole e l'altra contraria alla coppia principale. Il lieto fine è quasi sempre d'obbligo, cioè il
contrasto viene risolto o da un atto di virtù o da un'agnizione.Va ad attuare la riforma della scena che è
costituita dal recitativo e dell’area, l’area che è la forma poetica chiusa in cui il canto si espande, fino a
complicarsi in virtuosismi, poi c’è il recitativo che non è altro che una successione libera di settenari
che ospita il dialogo e la recitazione. Attua una riforma del melodramma,cerca di sottrarre il testo alla
manipolazione dei drammaturghi.Gli Argomenti sono perlopiù assunti dalla mitologia o dalla storia, con
preferenza per le vicende poco note.Nella produzione melodrammatica di Metastasio è a questo punto
possibile distingueretre fasi.La prima fase che va, napoletana e romana, è caratterizzata da un forte
sperimentalismo, con una tendenza all'eccesso e alla novità. Il capolavoro di questa fase,la Didone
Abbandonata, presenta per esempio come detto prima un finale tragico molto raro nella produzione
metastasiana.La seconda fase, corrisponde al primo decennio viennese. Ne fanno parte i due
capolavori l'Olimpiade e il Demofoonte e il fortunatissimo La clemenza di Tito.Qui Metastasio si
abbandona ai temi elegiaci, patetici, sentimentali che predilige,facendoli dipendere da situazioni
drammatiche e conflittuali.La terza fase comincia poi con l'Attilio Regolo. L'ultimo Metastasio privilegia
temi eroici che esaltano esempi di virtù in modo anche enfatico e retorico.Metastasio rende popolare e
semplice il petrarchismo, adotta il linguaggio sentimentale elaborato da Tasso, semplificando al
massimo, così che divenga facilmente comunicativo, immediato. Quello di Metastasio è un linguaggio
letterario medio, né aulico ma sicuramente nemmeno comune, capace di dare dignità ai sentimenti dei
personaggi del pubblico che vi si identifica collocandoli in una sfera un po' più alta della banalità della
normalità ma mai estremamente elevata. Da un certo punto di vista Metastasio è stato il primo artista
di una letteratura internazionale di massa, il suo grande successo nelle corti e nei teatri di tutta Europa
è indubbiamente dovuto alla sua reale capacità di dare agli spettatori i buoni sentimenti che essi si
aspettano, onesti precetti morali e soprattutto l'evasione nel sogno e il diletto che da tale evasione
deriva.

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