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SERGIO TOGNETTI, Un’industria di lusso al servizio del grande commercio.

Il mercato dei drappi serici e della


seta nella Firenze del Quattrocento, Olschki, Firenze 2002, pp. 218.

«L’arte della seta ebbe a Firenze uno sviluppo relativamente tardo, rispetto almeno alle realtà
imprenditoriali di città come Bologna, Venezia e soprattutto Lucca. La sua crescita invece
parrebbe di poco posteriore a quella di Genova, mentre precedette i futuri sviluppi di Milano,
Napoli e di numerose altre città italiane». Così comincia il volume di Sergio Tognetti sull’industria
serica fiorentina tra Tre e Quattrocento, un saggio che affonda le sue radici nella documentazione
relativa alle fonti aziendali della città gigliata, che (come sottolinea l’autore nella Premessa), non
trova «alcun riscontro in altre città della Toscana, dell’Italia e dell’Europa intera».
Il volume di Sergio Tognetti è articolato in tre corposi capitoli, nel primo dei quali intitolato
(L’industria serica nella Firenze Rinascimentale) l’autore fornisce una sintesi assai utile (e non solo per
lo storico dell’economia) sui quadri generali relativi all’origine e allo sviluppo dell’industria della
seta della città toscana nel periodo compreso tra la fine del Trecento e l’inizio del Cinquecento.
Qui lo studioso, con estrema lucidità e chiarezza, analizza i contributi storiografici relativi al
settore serico a Firenze e mettendoli in comparazione, in una dimensione più generale, con quelli
relativi ad altre realtà italiane. Non è quindi difficile intuire che il pregio di questo capitolo
consista proprio nell’inquadramento, a tutto vantaggio dello studioso degli eventi relativi al basso
Medioevo e al Rinascimento, delle vicende di uno dei settori trainanti dell’economia fiorentina e
nell’averle inserite nell’evoluzione generale delle strutture economiche e sociali sia di Firenze che
delle altre realtà di rilievo presenti nella penisola italiana. La lettura di questo capitolo conferma
inoltre allo studioso del basso Medioevo e del primo Rinascimento che già dalla seconda metà del
Trecento, e soprattutto nel secolo successivo, le industrie deputate alla produzione di stoffe di
lusso apportarono un enorme contributo a tutto l’indotto economico della città grazie al generale
incremento di domanda dei beni non agricoli che essi seppero creare. L’imposizione dei prodotti
immessi sul mercato dalle industrie deputate alla produzione di stoffe di lusso riuscì infatti a far
crescere la domanda internazionale per manufatti ricchi e di gran pregio in un periodo, quello
successivo alla Morte Nera, nel quale le retribuzioni di salariati e artigiani cittadini, a causa del
vertiginoso incremento della mortalità che stava colpendo un po’ tutta l’Europa del tardo
Medioevo, aumentavano insieme al costo generale del lavoro.
Nel secondo capitolo (Lo spostamento dei capitali mercantili verso l’industria della seta: il caso Serristori)
Tognetti mette in rilievo, attraverso un’attenta analisi delle fonti documentarie, sia come durante
il XV secolo i capitali mercantili e bancari venissero massicciamente investiti nel settore serico,
sia, più in generale, come il ceto capitalistico fiorentino avesse impresso una svolta decisiva a
tutto il mondo del lavoro grazie a straordinarie capacità manageriali che permisero l’apertura
verso i mercati internazionali. L’esempio utilizzato da Tognetti come emblematico di tali
dinamiche è quello relativo alla famiglia Serristori: la cospicua documentazione pubblica e privata
riguardante questa famiglia fiorentina, che nel Rinascimento vide affermare tra i suoi membri,
oltre a capacissimi imprenditori serici, lanaioli, mercanti, banchieri e (come nel caso del
capostipite ser Ristoro di ser Iacopo di ser Lippo) notai, è infatti la fonte principale della sua
analisi. Le vicende economiche dei Serristori, soprattutto a partire dal 1434, data del ritorno di
Cosimo il Vecchio a Firenze, s’intrecciarono indissolubilmente con il banco Medici (dopo l’esilio
di Cosimo nel 1433 i Serristori divennero i curatori «degli affari fiorentini della ‘tavola’ medicea»),
ed il fatto che gli intraprendenti mercanti provenienti da Figline che già nel tardo Trecento
abitavano nel quartiere di Santa Croce avessero raggiunto tale fama, ha probabilmente aiutato
l’autore nella ricostruzione dell’evoluzione dei loro investimenti e delle loro partecipazioni
societarie. Allo stesso modo Tognetti ha avuto la possibilità di individuare in che modo i capitali
accumulati nei settori finanziario e commerciale venissero riversati, proprio dagli anni Trenta del
Quattrocento, nel settore serico. L’ampia disponibilità di denaro dei Serristori e le cospicue

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risorse fondiarie in città e nel contado di cui disponevano hanno permesso all’autore di rilevare
che già nella prima metà del XV secolo, attraverso un’oculata politica familiare, i discendenti di
ser Ristoro (confermando l’indissolubile nesso tra politica e denaro) erano diventati al tempo
stesso autorevoli membri del ceto dirigente cittadino e indiscussi protagonisti di uno dei settori
trainanti dell’economia cittadina: l’industria della seta.
Nel terzo capitolo («Drappi contro seta»: strategie di mercato e organizzazione degli scambi) Tognetti ha
invece individuato quali fossero i canali di distribuzione del prodotto finito utilizzati dai setaioli
fiorentini e come questi facilitassero il rifornimento della materia prima, ossia della seta grezza. Il
limite dettato dai fattori demografici («nel XV secolo [scrive ancora Tognetti] Firenze era una
città poco popolata in confronto ai livelli trecenteschi e le altre città della Repubblica stavano
ancora peggio») aveva infatti costretto gli imprenditori fiorentini a esportare sempre più
massicciamente in altre realtà cittadine i loro prodotti, e questo aveva favorito da una parte la
creazione di sempre più complesse strategie di mercato, dall’altra la concertazione tra i produttori
di oggetti di lusso e le compagnie di mercanti e banchieri.
I risultati di questo lavoro, degno di nota soprattutto per chiarezza espositiva e capacità di
organizzazione del complesso materiale documentario, confermano che nella Firenze
quattrocentesca il volume degli scambi subiva (come del resto avveniva altrove) brusche
oscillazioni nel breve periodo, che sul lungo periodo le modificazioni strutturali erano lente, che
coloro che erano legati al settore produttivo cercavano di reperire un’offerta sempre più ampia e
articolata di materie prime a buon mercato, che gli imprenditori cercavano di creare una domanda
vasta e diversificata per la distribuzione dei propri manufatti: dove infatti veniva comprata la
materia prima e veniva rivenduto il prodotto finito, o meglio, dove la produzione di manufatti
pregiati era destinata all’esportazione, l’economia risultava essere più dinamica, dove invece
fioriva la produzione di derrate agricole e, soprattutto, di materie prime, la struttura produttiva
restava meno attiva e scarsamente articolata.

FABRIZIO RICCIARDELLI

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