Diletta Formicola
Abstract
Nel contesto educativo, con il termine personalizzazione si intende una strategia di
intervento didattico che vuole soffermarsi sulla centralità del soggetto, con i suoi metodi e
tempi di apprendimento, i suoi bisogni e i suoi desideri. Il punto di partenza della medesima
strategia è l’idea di una formazione che sia attenta alle differenze del singolo attraverso la
messa in atto di azioni che siano orientate alla valorizzazione di tutte le sue potenzialità.
Tale prospettiva porta ad una differente considerazione del ruolo dell’insegnante il quale,
rimanendo una figura chiave nell’ambito educativo, non si occupa più della semplice
trasmissione di nozioni attraverso lezioni frontali, ma è ora chiamato ad allestire una vera e
propria scuola comunitaria, capace di offrire al bambino gli stimoli necessari per il proprio
sviluppo cognitivo, sociale e affettivo.
Servendomi degli studi e delle letture di documenti di politica scolastica, delle ricerche e
delle mie conoscenze personali, mi propongo di sottolineare l’importanza
dell’organizzazione nelle scuole d’infanzia e primarie come precursore di un’educazione
autonoma cognitiva nel bambino.
Introduzione
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scopo è quello di garantire a tutti gli studenti il raggiungimento delle competenze fondamentali del
curricolo, attraverso la diversificazione dei percorsi di insegnamento” (Baldacci, 2008, p.27).
Questa strategia prevede la messa in atto di metodi e percorsi di insegnamento differenziati
(selezione dei contenuti, uso di specifici strumenti, …) per il raggiungimento di fini comuni ma, al
contempo, anche di mete personali. Alcuni esempi di scuole predisposte in modo da personalizzare i
percorsi di apprendimento li ritroviamo in Gran Bretagna, Canada e Australia già a partire dalla
seconda metà dell’Ottocento.
La personalizzazione si presenta come una vera e propria sfida difficile da vincere a causa
della diffidenza degli insegnanti nell’attuare nuove metodologie di insegnamento ritenute troppo
lontane, quasi agli antipodi, dal loro metodo tradizionale, probabilmente perché troppo indirizzati
verso una visione educativa ancora poco aperta. Inizialmente, solo autori come quelli sopra citati
avevano compreso il vero significato del termine facendo della collaborazione e del confronto con
l’altro gli elementi chiave per lo sviluppo del bambino; l’esperienza in classe, nonostante non sia
sempre di facile realizzazione è, quindi, la più grande fonte di arricchimento personale.
Per far fronte ad una così pronunciata diffidenza, presente ancora oggi in molte realtà
europee, è opportuno far interagire tradizione e innovazione, facendo conoscere gli obiettivi che si
vogliono perseguire e le modalità con cui lo si vuole fare: solo così, con una continua informazione
e una successiva ricerca di metodologie alternative ma pur sempre ottimali, si potranno ampliare gli
orizzonti non solo degli insegnanti, ma anche dei genitori, talvolta scettici di fronte all’importanza
del ruolo dell’insegnante. Tale sfida educativa non potrà essere vinta se le scuole e le famiglie
saranno lasciate sole, ma solo se la comunità nelle sue diverse articolazioni saprà farsi carico delle
molteplici necessità che caratterizzano il mondo dell’educazione.
Come già affermato, il potere non è più nelle mani dell’insegnante: egli non è più esperto
organizzatore e trasmettitore di conoscenze predefinite, ma è colui che si fa carico di formare
persone capaci di essere autosufficienti, attive e creative, nel rispetto delle diversità individuali e
nella valorizzazione delle caratteristiche personali; si crea una comunità di apprendimento nella
quale l’educatore ha la funzione di guida e segue il discente durante tutto il suo percorso formativo.
La classe diventa estremamente importante dal momento che il bambino passa molto tempo
al suo interno, tanto che, per alcuni pedagogisti come la Montessori, viene denominata “casa dei
bambini”: è quindi bene domandarsi quali siano i criteri seguiti dall’insegnante nel disporre
l’ambiente scolastico in un determinato modo e quale tipo di organizzazione si presenti come più
efficace nel garantire il raggiungimento di un buon sviluppo del bambino.
La mia ipotesi è che la personalizzazione può essere conseguita con successo se si tiene
conto dei tempi, degli spazi e dei bisogni di ogni bambino.
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Alla luce delle fonti da me analizzate, sosterrò l’importanza del metodo di organizzazione scolastica
nelle scuole dell’infanzia e primarie cercando di definirne l’influenza sullo sviluppo cognitivo,
sociale e affettivo del bambino.
Metodi e fonti
Per la stesura del saggio mi sono servita non solo di studi personali dell’anno corrente e di
quelli passati, bensì anche della lettura di materiali informatici e didattici messi a disposizione
durante il corso universitario e il parallelo laboratorio. Per tracciare le dinamiche dell’argomento da
me proposto mi sono fatta propria, in particolare, dell’esperienza pedagogica della Montessori e di
Claparède, ma anche degli spunti offerti durante la conferenza del Festival dell’educazione, tenutasi
a Torino.
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le classi parallele, le classi mobili, l’aumento del numero delle sezioni nelle scuole secondarie
(sezioni parallele) e, infine, il sistema delle opzioni, con un più largo margine concesso alle
occupazioni individuali di ogni alunno. Le prime si differenziano sia per il fatto che, essendo
minore il numero degli alunni, è possibile curare meglio i singoli; le seconde sono così chiamate
perché ci si riferisce al sistema che permette all’alunno di eseguire, per le diverse materie, lezioni di
grado diverso; le terze permettono un grado di scelta di cui potrà beneficiare la cultura delle
capacità speciali; l’ultima soluzione, invece, riprende il fatto che la scuola debba adattarsi alla
mentalità dei singoli: “la scuola deve essere ben rispondente alle forme delle intelligenze come un
vestito o una calzatura a quelle del corpo o del piede” (Claparède, 1920, p.51). Tuttavia, poiché non
si può avere una scuola per ciascun fanciullo, il sistema che risponderà al massimo ai desideri della
scuola su misura sarà quello che permetterà ad ogni alunno di servirsi di tutti quegli elementi
favorevoli allo sviluppo delle sue attitudini particolari.
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Analisi e conclusioni
Il 26 novembre 2016 ho avuto l’opportunità di partecipare al Festival dell’educazione
‘Insegnanti on the move’ a Torino.
Mi sono servita di alcune tracce, studi e ricerche messe a disposizione in questa conferenza per
delineare l’argomento da me proposto e continuo servendomi, invece, dell’esperienze di ex
studentesse (non avendo ancora avuto la possibilità di farne una all’estero): alla Davon school, in
Inghilterra, ho trovato interessante che la giornata tipo inizi presto: gli insegnanti, infatti, arrivano
anche un’ora e mezza prima per organizzare l’ambiente e le attività che verranno proposte nel corso
della giornata: ciò dimostra un forte senso di preoccupazione, di interesse e di disponibilità. Qui gli
ambienti sono molto stimolanti e accessibili e si registra un ampio uso della tecnologia. Attraverso
un processo conosciuto come ‘the learning tree’ (creato nel 2005-2006), in cui le foglie gialle
dell’albero rappresentano le discipline e le abilità che richiedono un miglioramento e quelle verdi
ciò che invece va bene, i bambini vengono divisi per gruppi di abilità, non fissi, per condurre uno
stesso argomento, ma a livelli differenti: gli obiettivi sono strettamente individuali e ogni allievo
riceve feedback costanti e rinforzi positivi indispensabili per rafforzare un comportamento.
Il sistema scolastico considerato al top dagli studi PISA (Programme for International
Student Assessment - Programma per la Valutazione Internazionale dell’Allievo) è quello della
Finlandia, in cui si fa sempre più strada il concetto di personalizzazione: si educa ogni singolo
bambino avendo, però, ben presente l’idea di classe. Le scuole finlandesi sono, probabilmente,
quelle che più di tutte rispettano l’importanza delle pause: ogni 45 minuti di lezione si fanno pause
da 15 minuti per lasciar tempo ai bambini di scaricarsi e sfogarsi, per poi tornare a seguire la
lezione con maggiore attenzione e concentrazione. Oltre a ciò, la pausa offre benefici fisici,
emozionali e sociali, tanto che non deve essere ridotta o negata a causa di un comportamento
scorretto.
All’inizio di ogni lezione, l’insegnante espone gli obiettivi che devono essere raggiunti, per poi
lasciare il bambino libero di scegliere: si tratta di una novità piuttosto recente, il ‘Phenomenon
based learning’, che permette all’alunno di scegliere liberamente l’argomento da affrontare, con chi
lavorare, come organizzare i compiti e come presentare il lavoro; inoltre, il bambino acquisisce
anche un senso di responsabilità attraverso la valutazione propria e del gruppo.
Già da poche righe e pochi concetti possiamo notare quanto il sistema scolastico finlandese sia
funzionale per garantire un’ottimale formazione dei bambini.
Mi hanno colpito in modo particolare gli aspetti sopra citati per il fatto che rappresentano
modalità efficaci al fine di far crescere il bambino indirizzandolo verso il rispetto dei valori e delle
norme della società di appartenenza lasciandolo, al tempo stesso, libero di orientare il proprio
apprendimento sulla base dei suoi bisogni, desideri e capacità.
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Il concetto di ‘libertà del bambino’ è il caposaldo delle scuole democratiche, il cui primo
fondatore fu Alexander Neel. Si tratta della fiducia dell’adulto nei confronti del bambino, cercando
di allontanarsi dalla schiavitù del metodo e lasciando il campo alla contaminazione di tutti coloro
che abbiano qualcosa da insegnare.
Sostengo che, prendendo spunto dalle opportunità offerte e dalle modalità di insegnamento
adottate da altre scuole, probabilmente anche le nostre scuole italiane potranno godere di
miglioramenti significativi, promuovendo un percorso educativo e formativo efficace per ogni
bambino.
In conclusione, quindi, dal momento che molti docenti mostrano difficoltà nel comprendere
il significato del termine ‘personalizzazione’, è opportuno offrire un’adeguata formazione degli
insegnanti mediante una ricerca e un confronto riguardo al suo significato e sui metodi attraverso
cui tale concetto possa essere messo in pratica; questo perché gli insegnanti sono quelli che
influenzano ampiamente la riuscita degli studenti (Hattie, 2003).
L’insegnante, quindi, da semplice dispensatore di contenuti diventa la pedina fondamentale per
offrire un apprendimento differenziato ed è proprio sul tipo di organizzazione delle modalità
educative che egli adotta che bisognerebbe porre la propria attenzione, affinché possa esserci un
continuo progresso.
Bibliografia
Claparède, E. (1969). La scuola su misura. La nuova Italia. (pp. 44-52)
Quale valutazione nell’ambito della differenziazione? In Mincu, M.E. (2012). A ciascuno la sua
scuola. Torino: Società Editrice Internazionale