Sei sulla pagina 1di 15

GAP

SELLING
Portare il cliente a dire di sì.

Jim Keenan
A Sales Guy Publishing, 2019

© Tutti i diritti sono riservati a 4books Ltd. / Copyright 4books Ltd. 1


Tanti suggerimenti utili per:

Imparare a mettere al centro del processo di vendita il cliente e i suoi


problemi.
Vedere il venditore come un professionista che aiuta le persone a
ottenere dei cambiamenti positivi e vantaggiosi.
Capire la differenza tra vendere prodotti e offrire soluzioni.

L’autore del libro:


Jim Keenan è CEO di A Sales Guy Inc., società che offre consulenza e
formazione nel campo delle vendite. Ha più di vent’anni di esperienza
nel settore, è un grande appassionato di problem-solving ed è autore
del libro Not Taught: What It Takes to be Successful in the 21st Century That
Nobody’s Teaching You. Ha tre figlie ed è istruttore di sci.

Il gap selling parte dal presupposto che per esserci


una vendita, ci deve essere un problema da
risolvere e che la gente non compra prodotti, ma
soluzioni

Il gap selling è un modo di intendere la vendita che ruota intorno all’idea


che una transazione commerciale possa avvenire solo in presenza di un
“gap”. Gap in inglese significa buco, spazio vuoto, distanza. Se c’è un gap,
vuol dire che c’è un vuoto da riempire − rappresentato dalla distanza tra
lo stato attuale, in cui si trova un potenziale cliente, e lo stato futuro.
Il gap selling parte dal presupposto che se non c’è un problema, non ci
può essere nessuna vendita. Perché si possa vendere un prodotto o un
servizio a qualcuno, è necessario che dall’altra parte ci sia una persona in
difficoltà, arrabbiata, preoccupata per qualcosa, e che desideri cambiare la
situazione in cui si trova. Il gap è lo spazio che separa la persona tra lo

1
stato attuale (non piacevole) e lo stato futuro (piacevole), e rappresenta
anche il valore che possiamo dare noi come venditori, nonché il denaro
che la persona è disposta a spendere per colmare quello spazio. Più
grande sarà il gap, maggiore sarà il bisogno di trovare una soluzione al
problema e anche il valore che attribuiamo alla soluzione.
Partendo da questi presupposti, si può dire che il gap selling ha a che fare
con il cambiamento: c’è una persona non soddisfatta dello stato attuale
delle cose che è disposta a spendere per ottenere un cambiamento in
meglio. E qui si incontra un ostacolo, perché in generale, alle persone
non piace cambiare, preferiscono di gran lunga il noto all’ignoto. Un
cambiamento mette in gioco l’emotività delle persone e per questo le
vendite sono una materia così complessa; perché di fatto rientrano nel
campo dell’emotività. Quando vogliamo vendere qualcosa a qualcuno,
gli stiamo chiedendo di introdurre un cambiamento nella sua vita e la
cosa può mettere in crisi, scatenare reazioni emotive e resistenze. Il
mestiere del venditore comporta la capacità di accompagnare le persone
in un viaggio che le porterà a ottenere un cambiamento, facendole
sentire a proprio agio nel percorrere la distanza, perché quello che li
attende dall’altra parte del gap è uno stato positivo e appagante, in cui le
problematiche sono state risolte.

Riempire il gap vuol dire aiutare un cliente a


percorrere la distanza che lo separa dallo stato
attuale (di difficoltà) allo stato desiderato (di
superamento delle difficoltà)

Vendere vuol dire sapersi mettere nei panni delle persone, comprendere
lo stato in cui si trovano (di difficoltà), lo stato che desiderano
raggiungere (piacevole) e accompagnarli, percorrendo con loro
questo spazio. Il tutto, facendo leva sulle motivazioni più autentiche e
profonde delle persone, che le spingono a desiderare il cambiamento e la
risoluzione dei problemi.
Un gap seller sa bene che il suo compito è offrire valore al cliente, offrire
una soluzione che possa portarlo dallo stato attuale di insoddisfazione
allo stato futuro di soddisfazione. Per offrire valore, deve sapere tutto
della persona con cui interagisce: cosa non la fa dormire la notte, cosa le

2
sta succedendo, cosa la preoccupa. E deve fare in modo che la persona
comprenda di avere un problema e sia pronta a lasciarsi guidare,
convinta delle competenze e della credibilità del venditore.
Se siamo dei venditori, la prima cosa che dovremmo fare quando
incontriamo un potenziale cliente è chiederci: sto cercando di vendergli
qualcosa o è lui che desidera essere aiutato da me? Sono due cose ben
distinte; la prima ha a che fare con la vendita tradizionale, che mette
al centro il prodotto e il venditore, la seconda con il gap selling, che
mette al centro il cliente − che riconosce di avere un problema e che
desidera essere aiutato da noi. Se cerchiamo solamente di spingere i
nostri prodotti e di chiudere la vendita, non è un buon approccio. Un
potenziale cliente deve volere il nostro aiuto e fidarsi di noi e delle nostre
competenze, e del fatto che possiamo dare valore. E questo a prescindere
dal fatto che piacciamo o meno alla persona in questione: la gente
compra per il valore che ottiene, non perché gli piace il venditore.

Nel gap selling la fase più importante è all’inizio di


una trattativa, quando si cerca di sapere tutto del
cliente e dei suoi problemi

All’inizio di una trattativa, il prodotto o servizio che offriamo non conta


niente; tutto ciò che diciamo e facciamo in questa fase deve avere un
unico focus: il cliente e il suo mondo. È una fase di scoperta, delicata e
fondamentale, in cui dobbiamo comprendere la realtà in cui il cliente si
muove e le difficoltà che sta vivendo. Lo si fa semplicemente ascoltando,
mettendo al centro il nostro interlocutore e facendo in modo che ci
racconti il più possibile. Ancor prima di aver preso un appuntamento
per incontrare un potenziale cliente, dobbiamo aver creato una mappa
dei possibili problemi che possiamo risolvere per lui, in modo tale che
quando avremo la prima occasione per incontrarci, potremo prima di
tutto verificare se questi problemi che abbiamo ipotizzato sono reali. C’è
un’enorme differenza tra presentarsi a una persona ed elencare tutte le
caratteristiche di un prodotto che vogliamo vendere, e invece presentarsi
con l’obiettivo di verificare che il nostro prodotto possa essere una buona
soluzione ai suoi problemi. Durante il colloquio conoscitivo con i nostri
potenziali clienti, è importante anche capire bene come si svolgono le

3
loro attività quotidiane, per comprendere meglio quali sono le cause dei
problemi che vogliono risolvere. Occorre porsi con un atteggiamento di
ascolto e di curiosità: in questo modo le radici del problema emergeranno
quasi in modo naturale e a quel punto sarà più facile far comprendere
l’utilità della nostra soluzione. Ci troviamo in una fase di “scoperta”, in
cui non sono ammesse risposte vaghe da parte del cliente. Per esempio,
se dice che vuole aumentare i profitti, perché non guadagna abbastanza,
non è un’informazione sufficiente. Se invece dice che il suo obiettivo è
aumentare del 5% i profitti − questo è un buon punto di partenza, che
permette di dare concretezza alle soluzioni. In questa fase, è molto utile
porre domande che possano validare ciò che è stato detto, riformulando
il pensiero espresso dal cliente, utilizzando domande del tipo “se ho
capito bene, mi sta dicendo che…”. Questa modalità serve ad evitare
fraintendimenti ed essere sicuri che le informazioni siano state recepite
correttamente. Il tono che usiamo è fondamentale, deve essere cordiale,
amichevole, coinvolgente – in fondo stiamo cercando di ottenere
informazioni, non si tratta di un interrogatorio! Quando questa fase è
gestita bene e dà riscontri positivi (ovvero il cliente riconosce di avere un
problema e desidera essere aiutato da noi per risolverlo) − possiamo dire
che abbiamo un’opportunità di vendita.

Un gap seller aiuta il cliente a capire bene cosa


vuole e a fargli immaginare come si sentirà quando
avrà raggiunto i suoi obiettivi

Così come vogliamo sapere tutto dello stato attuale del potenziale cliente,
vogliamo anche sapere tutto riguardo ai suoi desideri futuri. Possiamo
e dobbiamo fare domande specifiche; se una persona è titolare di una
pizzeria e desidera vendere più pizze, dobbiamo sapere esattamente
quante pizze vuole vendere al giorno. Non si accettano risposte vaghe e
neanche ci si accontenta delle prime risposte. Dobbiamo far immaginare
al cliente cosa significherà per lui vendere quella quantità di pizze ogni
giorno. Come migliorerebbe il suo negozio? Come si sentirebbe? Cosa
direbbero i clienti vedendo tanto traffico? Se riusciamo a far sì che la
persona possa proiettarsi nel futuro che vuole ottenere, potremmo fargli
sentire la differenza tra lo stato attuale delle cose e uno stato in cui i

4
problemi sono stati risolti e ci si sente bene. E creare così un vero
desiderio di cambiamento, ricordandoci che non stiamo vendendo un
prodotto o un servizio, ma stiamo vendendo un cambiamento positivo
nella vita e nel lavoro delle persone.
La fase di raccolta informazioni è impegnativa e richiede tempo
e pazienza, ma è il modo diretto per arrivare alla vendita. Ogni
chiacchierata che facciamo può essere una fonte preziosa di informazioni,
che dobbiamo scrupolosamente annotare (non sopravvalutiamo la
nostra memoria), per avere una mappa completa di ogni potenziale
cliente. Dobbiamo tener traccia di tutti i dati che abbiamo raccolto ed
essere consapevoli che si tratta di un processo continuo. Uno strumento
fondamentale è il CRM (customer relationship management), che
comprende tutti i processi e le attività che ci permettono di gestire le
relazioni con il nostro portafoglio clienti. Ci è utile per annotare i dati a
nostra disposizione e per verificare se siamo sufficientemente informati
sui potenziali clienti. La modalità e i tempi con cui raccogliamo le
informazioni non seguono uno standard predeterminato, perché sono
frutto di conversazioni (e non di interrogatori). Si procede sempre con
tatto e sensibilità, e a seconda della disponibilità delle persone − che si
devono sentire a proprio agio e non pressate − l’obiettivo non è fare
domande specifiche, ma ottenere informazioni specifiche.

Stato futuro – stato attuale = gap, ovvero il valore


che possiamo offrire aiutando il cliente a colmare
la distanza

Quando finalmente sappiamo qual è lo stato futuro che il cliente desidera


ottenere, e da quello sottraiamo lo stato attuale, otteniamo il gap, ovvero
il valore che offriamo con la nostra soluzione (prodotto o servizio). Se ad
esempio il cliente ha un fatturato di 5000 euro mensili e desidera arrivare
a 6000 euro, 1000 euro è il gap − ed è anche il valore che noi offriamo.
Stiamo vendendo la possibilità di ottenere 1000 euro in più ogni mese.
Per il cliente deve valerne la pena: il gap deve essere sufficientemente
grande per invogliarlo a un cambiamento e a pagare per il nostro
prodotto o servizio. Se non fosse grande abbastanza, abbiamo sempre la
possibilità − in quanto gap seller − di allargare la sua portata, offrendo al

5
cliente altri vantaggi e benefici per aggiungere valore alla nostra offerta.
Oppure, possiamo capire che in effetti non abbiamo il prodotto giusto
per il cliente, non siamo qualificati per offrire la soluzione ottimale.
Anche se ciò dovesse verificarsi, va benissimo; non dobbiamo mai
cercare di spingere il cliente a comprare soluzioni che non siano il meglio
per lui. In realtà, il valore percepito di un prodotto o di un servizio può
variare molto a seconda della situazione. Se per esempio, sto andando a
una cena alla Casa Bianca, con il presidente degli Stati Uniti e, durante
il viaggio in macchina, si buca la gomma della mia auto, mentre piove
a dirotto… quanto sarò disposto a pagare per un carro attrezzi che
carichi me e la macchina e mi porti a destinazione pulito e puntuale?
Probabilmente il prezzo che sono disposto a pagare è molto più alto,
rispetto a quello che sarebbe in una normale giornata di routine, perché
il valore che gli attribuisco è decisamente elevato.

Una demo efficace è creata su misura per il


cliente e parla di soluzioni ai problemi, non di
caratteristiche del prodotto

Presentare una demo può essere un’occasione eccellente per chiudere


un affare, ma ci sono alcune condizioni da rispettare. Prima di tutto,
non possiamo fare nessuna dimostrazione del nostro prodotto se non
ci siamo occupati della fase di scoperta: se non è stato fatto un buon
lavoro di ricerca sul cliente, non possiamo proporre nessuna demo (e
neppure pensare di fare le due cose insieme). Solo quando sappiamo
tutto del cliente (problema che sta vivendo, impatto sulla sua attività,
cause che l’hanno originato, risultato desiderato) possiamo pensare a
predisporre una demo, fatta su misura per lui e per mostrare le soluzioni
che offriamo. Quindi, perché si possa creare una demo, è necessaria
la presenza di un problema, di un cliente che sa di averlo, che vuole
risolverlo e che si fida di noi. La demo è la possibilità di dimostrare
al cliente come risolveremo il problema e come porteremo i risultati
sperati. In questa fase di presentazione, non deve esserci nessun “se”,
ovvero non dobbiamo comunicare nessun dubbio. Se abbiamo lavorato
bene nello scoprire tutto del nostro cliente, quando facciamo la demo
non ipotizziamo nulla, ma siamo certi di quello che affermiamo. Non

6
dobbiamo dilungarci troppo nella presentazione di tutte le caratteristiche
del prodotto; è meglio dare la priorità alla qualità piuttosto che alla
quantità: nessun cliente ha tempo di stare a sentire lunghe e noiose
descrizioni di prodotto che non portano alcun valore. Nella demo si va
dritti al punto, ovvero si dimostra di avere quella soluzione specifica per
quel problema specifico del cliente. Infine, quando presentiamo la nostra
demo, dobbiamo fare in modo di “ancorare” il cliente. L’ancoraggio è
un termine usato in psicologia, e si riferisce al fatto che abbiamo tutti
dei bias cognitivi che ci guidano nel prendere le decisioni, basandoci
sulle cose che sappiamo già. Mettiamo per esempio che nostro nonno
deve decidere se spendere 5 euro per un caffè da Starbucks. Se il suo
riferimento di prezzo per un caffè è 1 euro, cifra che ha sempre pagato
al bar sotto casa, questa informazione sarà sufficiente per farlo desistere
dal comprare un frappuccino da Starbucks. Durante la demo dobbiamo
diventare l’ancora del nostro interlocutore, ovvero essere così bravi da
posizionare il nostro prodotto come punto di riferimento per il settore di
cui ci occupiamo. E per far questo, dobbiamo enfatizzare tutti i benefici
che la nostra soluzione può portare, in modo tale che se anche non
dovesse acquistare in questa occasione, abbia comunque in mente prima
di tutto noi quando si tratta di risolvere un suo particolare problema.

Dobbiamo conoscere i criteri con cui le persone


prendono le decisioni, come avviene il processo di
acquisto e pianificare il prossimo “sì” che vogliamo
ottenere dal potenziale cliente

La pipeline di vendita è una rappresentazione visiva di come stanno


andando le vendite, per tenere traccia di come proseguono gli affari.
Perché tutto scorra in modo fluido nella pipeline, dobbiamo occuparci
di fare tre ulteriori passi. Il primo consiste nello scoprire i criteri di
decisione dei nostri prospect (potenziali clienti): vogliamo sapere
quali informazioni e quali fattori userà ognuno di loro per scegliere la
soluzione che ritiene migliore. Se notiamo dell’incongruenza tra ciò che
la persona vuole ottenere e i criteri decisionali, possiamo farlo notare
con delicatezza, usando una frase del tipo: “Sono confuso, lei aveva detto
che…”. È un modo rispettoso per dire innanzi tutto che forse siamo noi a

7
sbagliarci (sono confuso), e poi che stiamo notando una certa mancanza
di coerenza tra ciò che la persona ha detto di desiderare e la modalità
con cui prende le decisioni (che potrebbe portarla in una direzione non
voluta). Una volta chiarito questo punto, dobbiamo capire come avviene
nella pratica il processo di acquisto; ci interessa sapere materialmente
le procedure, le persone coinvolte e le tempistiche. Vogliamo avere
una specie di mappa, in modo tale che possiamo sapere cosa aspettarci.
E infine, il terzo passo da compiere per avere una pipeline fluida e in
continuo avanzamento, è mettere tutta la nostra attenzione sul prossimo
“sì” che vogliamo ottenere dal potenziale cliente. La vendita si può
intendere anche come una sequenza di piccoli sì che il cliente ci dice; si
tratta di ottenere tante piccole manifestazioni di fiducia e apprezzamento
che si chiuderanno con l’acquisto finale.
Questi tre fattori − conoscere il criterio decisionale, il processo di
vendita, focalizzarsi sul prossimo sì − sono le mosse che ci permettono
di procedere tranquilli lungo la pipeline. Una precisazione importante
da fare quando si tratta di relazioni con i clienti: un buon venditore è
un collaboratore, un consulente, una risorsa di valore, ma non è mai un
“servitore”, e perciò è fondamentale che sappia dire di no. All’inizio di
una relazione commerciale, il venditore è svantaggiato, perché tocca a
lui dimostrare di poter offrire valore e che non sta “rubando” tempo al
cliente. Una volta che ha guadagnato la stima e l’apprezzamento della
controparte, il rapporto è in equilibrio, e c’è uno scambio in cui entrambi
danno e ricevono; ognuno deve fare del suo meglio, poiché si sta
andando verso obiettivi comuni e condivisi.

Quando si verificano momenti di stallo nelle


trattative, è il momento giusto per far notare alla
persona che il suo atteggiamento compromette
la risoluzione dei problemi e allontana il futuro
desiderato

Nelle trattative di vendita può arrivare un momento − e spesso arriva −


in cui, anche se abbiamo fatto tutto alla perfezione e abbiamo agito nel
migliore dei modi, ci ritroviamo davanti a un muro. Una vendita che
ormai consideravamo conclusa, si blocca all’improvviso. Il cliente non si

8
fa più vivo, sparisce. Aspettavamo l’ultima conferma, e ora non
riusciamo più a rintracciarlo, non risponde alle nostre e-mail e chiamate.
La cosa da non fare in questi casi è disperarsi o supplicare la persona
di farsi viva. Se abbiamo lavorato bene prima, non abbiamo motivo di
preoccuparci, l’unica cosa da fare è essere diretti e chiedere spiegazioni.
Dobbiamo ricordargli tutte le conversazioni che abbiamo fatto, insieme
ai benefici che non otterrà se continuerà a non voler prendere una
decisione. Con modi gentili e delicati, dobbiamo ribadirgli che avevamo
fatto insieme un percorso e che solo facendo l’ultimo passo (l’acquisto) la
strada fatta fino a quel momento avrà un senso. Possiamo ricordargli che,
a meno che non siano cambiati i suoi obiettivi, il suo comportamento va
a discapito della soddisfazione futura che avevamo prospettato insieme.
Dobbiamo invitarlo a rinnovare il suo impegno.
Un altro tipico ostacolo che si può incontrare nel portare avanti una
trattativa di vendita sono le obiezioni. Se così accade, se il nostro
prospect inizia a presentare dubbi e critiche, non dobbiamo chiedergli di
chiarire le sue obiezioni, ma riportarlo in carreggiata, ovvero chiedergli
se ha bene in mente dove vuole arrivare e quali risultati spera di ottenere
con la soluzione che noi gli proponiamo (e vendiamo). Se abbiamo fatto
bene il nostro lavoro di gap seller, avremo già risposto con anticipo alle
possibili obiezioni, ancor prima che ci vengano fatte. Le rimostranze più
comuni riguardano il prezzo, ma riusciremo facilmente a smontarle se
siamo consapevoli del valore che stiamo offrendo. Quindi se per esempio
la persona ci dice che pensa che il nostro software sia troppo caro,
possiamo semplicemente dire: “Troppo caro? Sono confuso, avevo capito
che voleva aumentare il fatturato mensile”. Non ci mettiamo a discutere
sul fatto che il prodotto costi troppo, ma ribadiamo i benefici che otterrà
dal suo acquisto.

9
Dobbiamo selezionare i potenziali clienti,
scegliendo solo contatti che possano trarre
vantaggio dalle soluzioni che proponiamo

Fare prospecting vuol dire ricercare clienti potenziali (prospect in inglese)


con cui iniziare delle relazioni commerciali, in modo da avere sempre la
nostra pipeline di vendita popolata e in movimento. Se facciamo nostra
la metodologia del gap selling, l’atteggiamento con cui ci poniamo è prima
di tutto quello di voler mettere al centro il cliente. Vogliamo introdurre
nella nostra pipeline di vendita solo contatti qualificati, che possano
beneficiare delle nostre soluzioni − e non persone a cui speriamo di
vendere i nostri prodotti. Dobbiamo trovare contatti che possano aver
bisogno del nostro aiuto, e questo lo si fa avendo chiaro quali problemi
possiamo risolvere (con il nostro prodotto o servizio).
Trovare persone che possano essere interessate a ciò che offriamo non
è un’attività semplice, e questo principalmente perché la maggior parte
della gente o non ha tempo, oppure ne ha davvero poco. Se riusciamo
a far capire che siamo concentrati su di loro e sul poterli aiutare a
ottenere i risultati che desiderano, sarà più facile ottenere un primo
“sì” (un appuntamento conoscitivo, per esempio). Per capire bene chi
è il nostro cliente ideale, a monte dobbiamo sapere esattamente quali
sono i problemi che andiamo a risolvere: dobbiamo essere dei problem-
finder ancor prima che dei problem-solver. Per catturare l’attenzione
di un potenziale cliente, a prescindere dal mezzo di comunicazione che
usiamo (che sarà scelto in base al target di riferimento), dobbiamo essere
abili nel dare valore. Stiamo chiedendo alle persone di dedicarci un
po’ del loro tempo; noi in cambio dobbiamo dare qualcosa di utile (per
esempio informazioni rilevanti) e creare curiosità. La mente umana è
sempre più abile nell’evitare ciò che non ritiene degno di attenzione, è
una specie di istinto di conservazione che ci permette di non soccombere
alla moltitudine di stimoli che riceviamo ogni giorno. Per attirare
l’attenzione, dobbiamo stimolare la curiosità, essere originali, rompere i
soliti schemi comunicativi, creando sorpresa e mistero.

10
È importante che tutto il team commerciale sia
allineato ai principi del gap selling e che il leader
monitori insieme ai collaboratori l’andamento
delle operazioni

Poiché il gap selling è un modo di intendere la vendita, è importante che


tutte le persone che fanno parte del team siano allineate ai suoi principi.
I migliori direttori commerciali sono dei coach, più che dei manager,
perché sono in grado di formare lo staff in modo che agisca con coerenza
e secondo una stessa modalità.
Un buon leader sa che è importante dedicare del tempo al monitoraggio
della pipeline di vendita, per comprendere l’andamento delle operazioni
e per verificare che ogni membro del gruppo stia andando verso il
raggiungimento degli obiettivi e delle quote stabilite. Deve diventare
una specie di routine, in cui insieme e velocemente, ci si scambiano
informazioni concrete e ci si accerta che la pipeline sia precisa e accurata.
Ogni collaboratore deve aver capito lo stato attuale dei suoi potenziali
clienti, lo stato futuro a cui desiderano arrivare e il gap, la distanza
che c’è tra queste due diverse situazioni. Non solo, deve anche aver
capito quali sono le motivazioni che spingono i prospect a desiderare
un cambiamento e quali sono i criteri che utilizzano per prendere delle
decisioni. Infine, i nostri collaboratori devono dimostrare di sapere
sempre quale sarà la loro prossima mossa, ovvero qual è il prossimo “sì”
che vogliono ottenere dai potenziali clienti. Tutto questo va sempre
accompagnato da numeri e dati precisi, appuntamenti, cifre e obiettivi
di vendita dettagliati. Perché si possa ottenere un team allineato ai valori
del gap selling, è necessario prima di tutto costruire una cultura basata
sulla responsabilità e l’impegno di ognuno. Quando un intero gruppo di
persone si prende la responsabilità degli obiettivi che afferma di voler
raggiungere, si crea un clima di fiducia generale che rende il lavoro più
fluido e piacevole. Ognuno sa che tutti stanno facendo del loro meglio
per mantenere gli impegni presi e questo fattore crea un circolo virtuoso
di onestà, disciplina e credibilità che fa bene agli affari.
Quando si tratta di assumere del personale per la rete vendita (in
un’ottica di gap selling), bisogna tener presente che non si stanno
cercando dei “normali” venditori. Le esperienze e la formazione dei
candidati sono poco rilevanti rispetto alle caratteristiche personali che

11
devono avere. Un candidato deve essere prima di tutto una persona
curiosa, pronta a fare domande e scoprire tutto ciò che gli è possibile
dei suoi potenziali clienti e dei loro problemi. Deve anche essere dotata
di pensiero critico, possedere la capacità di vedere le cose da diverse
prospettive e metterle in discussione (per arrivare a soluzioni efficaci).
Deve essere una persona con capacità di leadership (perché sarà chiamata
a guidare i suoi clienti e fare in modo che si fidino di lui), empatica e
creativa (perché le buone soluzioni spesso arrivano da menti originali e
innovative). Il candidato ideale per diventare un gap seller deve essere
una persona desiderosa di imparare, di apprendere ogni giorno nuovi
argomenti, attraverso lo studio, l’ascolto e l’interazione con altre persone.

12
CITAZIONI

“Un rapporto di vendita è come un matrimonio. Tu e il tuo cliente dovete dare e prendere alla
pari, restando focalizzati sugli stessi obiettivi, altrimenti non funziona.”

“Sii un esperto, non un amico.”

“Le persone non comprano prodotti – comprano soluzioni ai loro problemi.”

“Impegnati nel dare valore e, anche se non gli piaci, compreranno da te.”

Da ricordare
Pensare di vendere parlando di noi, di quanto siamo bravi, di quanto
è innovativo il nostro prodotto, non è una strategia efficace. Un buon
venditore ha capito che deve mettere sempre al centro il cliente e i suoi
problemi, e lo accompagna nel percorrere la distanza che lo separa dallo stato
attuale (non soddisfacente) allo stato futuro (positivo e appagante). Un gap
seller è colui che aiuta il cliente a riempire questo vuoto, dando valore grazie
alle sue competenze, abilità e strumenti.

13
© Tutti i diritti sono riservati a 4books Ltd. / Copyright 4books Ltd. pag. 14
n

Potrebbero piacerti anche