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ISBN 978-88-99780-36-4
Stampa: Agir
Rua Particular, Edifício Agir
Quinta de Santa Rosa
2680-458 Camarate – Portogallo
Le pubblicazioni di ALTROCONSUMO
Introduzione.................................................................................................... 9
I contributi volontari........................................................................................ 38
I contributi da riscatto..................................................................................... 43
INPS ed ENPALS................................................................................................ 59
La totalizzazione.............................................................................................. 60
Il “cumulo”....................................................................................................... 62
Il sistema contributivo..................................................................................... 76
I contributi
obbligatori
13
legge e la volontà delle parti (datore di lavoro e prestatore di lavoro) non può
derogare a quest’obbligo, che sorge generalmente all’avvio di una qualunque
attività lavorativa e al verificarsi di ulteriori condizioni previste dalla legge. Una
parte dei guadagni, quindi, viene versata quale contributo ai fini della pensione.
Fino a qualche tempo fa secondo la variegata galassia della previdenza la
contribuzione e le relative prestazioni pensionistiche non erano gestite tutte
da un unico ente, ma da istituti previdenziali diversi a seconda della tipologia
di attività lavorativa svolta.
La tendenza è, invece, cambiata in questi ultimi anni e molti Istituti previdenziali
(INPDAI, INPDAP, ENPALS, IPOST, Fondo Ferrovie), pur mantenendo invariate
le proprie regole per il pensionamento, sono stati assorbiti dall’Istituto Nazionale
della Previdenza Sociale (INPS). Quest’ultimo, secondo i dati diffusi dello stesso
istituto, ha 37 milioni di utenti; gestisce i conti assicurativi di 22 milioni e mezzo
di lavoratori, paga mensilmente 18 milioni di pensioni ed eroga prestazioni a
sostegno del reddito (disoccupazione, malattia, mobilità, maternità ecc.) a poco
meno di 5 milioni di persone. Sono, infatti, iscritti presso l’INPS:
• i dipendenti dello Stato, della Sanità e degli Enti Locali, iscritti alla Gestione
ex INPDAP dell’INPS;
• i lavoratori dello spettacolo iscritti alla Gestione ex ENPALS dell’INPS;
• i dipendenti di Poste Italiane S.p.A. iscritti alla Gestione ex IPOST dell’INPS.
Questa guida tratterà solo gli aspetti contributivi e pensionistici dei soggetti
assicurati al regime generale INPS, che rappresentano la stragrande maggio-
ranza dei lavoratori.
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Su cosa si paga
I contributi previdenziali dovuti all’INPS si calcolano di solito in percentuale
sulla retribuzione lorda. La misura percentuale di questi contributi non è uguale
per tutti, perché è condizionata dalla natura dell’attività esercitata dall’azien-
da, dalla posizione dei lavoratori in azienda e dalla retribuzione imponibile.
L’aliquota media a carico del datore di lavoro (al lordo di ulteriori sgravi e
agevolazioni) è pari, per i lavoratori dipendenti e per la sola assicurazione
Invalidità, Vecchiaia e Superstiti (la cosiddetta IVS), al 33% della retribuzione
lorda, di cui il 23,81% a carico dell’azienda e il 9,19% a carico del dipendente.
Se gli importi di retribuzione sono superiori al cosiddetto “tetto pensionabile”,
che per il 2019 è di 47.143 euro, l’aliquota cresce di un 1% in più sulla parte
eccedente. Così, per esempio, per un lavoratore che ha una retribuzione lorda
imponibile di 60.000 euro, il prelievo contributivo è del 33% fino al tetto di
47.143 euro e del 34% sui restanti 12.857 euro.
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fini previdenziali. Vi sono, però, alcune voci che restano escluse dalla retribu-
zione imponibile. Tra le più importanti vi sono il trattamento di fine rapporto
(il cosiddetto TFR), gli incentivi all’esodo, i trattamenti di famiglia, le forme
pensionistiche complementari. Anche i rimborsi e le diarie per le trasferte,
entro determinati limiti, non fanno parte della retribuzione imponibile.
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17
Il massimale imponibile
I contributi sono dovuti sull’intera retribuzione che il lavoratore percepisce; per
i lavoratori che hanno iniziato a lavorare solo a partire dal primo gennaio 1996,
l’assicurazione pensionistica è dovuta, però, solo fino a un massimale annuo,
mentre le assicurazioni non pensionistiche (malattia, disoccupazione ecc.) sono
dovute sull’intera retribuzione.
Questo massimale annuo, che per il 2019 è pari a 102.543 euro, si applica ai
lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del primo gennaio 1996 e a quelli
che optano per il calcolo della pensione con il sistema contributivo. La tabella 2
a pagina 17 indica gli importi del massimale imponibile degli ultimi anni.
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Omissione o evasione?
In base al comportamento tenuto dal datore di lavoro possono concretizzarsi
i casi dell’omissione contributiva o dell’evasione contributiva.
L’omissione contributiva consiste nel mancato o ritardato pagamento dei
contributi rilevabili da denunce e registrazioni obbligatorie. In questo caso,
la sanzione civile che si applica è pari al tasso ufficiale di riferimento (il
cosiddetto TUR) maggiorato del 5,5% annuo.
Le sanzioni non possono, però, superare il limite massimo del 40% dei con-
tributi dovuti; una volta raggiunto questo tetto, sul solo debito contributivo,
con esclusione delle sanzioni che sono già state calcolate, si devono appli-
care gli interessi di mora.
L’evasione contributiva è invece un comportamento sanzionato più seve-
ramente, perché è caratterizzato dalla specifica intenzione di non versare
i contributi. Si tratta di una inadempienza che normalmente è accertata
d’ufficio e che di solito è connessa a registrazioni o denunce obbligatorie
omesse o non conformi al vero.
Tra i casi di evasione più frequenti si possono citare:
Il principio di automaticità
Ma cosa accade se il datore di lavoro non ha pagato né potrà successivamente
pagare i contributi previdenziali, nonostante il lavoratore abbia denunciato
questa circostanza nei termini della prescrizione prevista dalla legge? A questo
interrogativo c’è una precisa risposta: la contribuzione dovuta all’Assicurazione
Generale Obbligatoria è valida a tutti gli effetti anche quando essa non sia
stata effettivamente versata all’INPS; ciò significa che il requisito contributivo
necessario per il diritto alla pensione deve intendersi perfezionato non sulla
base di quanto effettivamente versato, ma in relazione ai contributi che risul-
tino comunque dovuti e non prescritti (a condizione, ovviamente, che l’INPS
ne sia a conoscenza).
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• gli artigiani;
• i commercianti;
• i coltivatori diretti;
• i lavoratori parasubordinati;
• i lavoratori associati in partecipazione;
• i liberi professionisti senza cassa;
• i lavoratori occasionali;
• i pescatori autonomi.
Gli artigiani
Per i familiari dei titolari di imprese artigiane non è richiesta la partecipazio-
ne manuale al lavoro, ma la loro attività deve essere comunque svolta con
carattere di abitualità e prevalenza: devono essere perciò assicurati anche
se, per esempio, si dedicano solamente all’amministrazione dell’azienda o
ai rapporti con la clientela.
Per essere qualificata artigiana, l’attività deve essere svolta prevalentemente
con il lavoro del titolare e quello dei familiari coadiuvanti, e il titolare deve
assumere gli oneri e i rischi dell’attività stessa.
Inoltre, l’attività deve essere anche manuale e non limitarsi alla sola orga-
nizzazione del lavoro o all’amministrazione dell’impresa. Quando l’attività
artigiana è svolta in forma di impresa deve essere diretta:
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I commercianti
Sono iscritti alla Gestione speciale degli Esercenti Attività commerciali:
I soci di SRL
Fra i requisiti richiesti per l’iscrizione alla Gestione Commercianti ai lavoratori
autonomi che esercitano l’attività in forma societaria sono compresi la piena
responsabilità e l’assunzione di tutti gli oneri e i rischi relativi alla gestione
della società. Questi requisiti impediscono alle società di capitali di iscrivere
i soci alla Gestione, salvo per le società a responsabilità limitata.
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La L. 662/1996 ha, infatti, ridefinito i requisiti dei soggetti iscrivibili nella Gestione
Commercianti e introdotto l’iscrivibilità della figura del socio di società a re-
sponsabilità limitata, in presenza degli altri requisiti, fra cui la partecipazione
personale al lavoro aziendale con carattere di abitualità e di prevalenza.
Questa norma sancisce, pertanto, l’obbligo assicurativo per il socio che par-
tecipa al lavoro aziendale (attività esecutiva, organizzativa e di direzione) e
stabilisce la sua assicurabilità nella gestione a prescindere dal numero dei
dipendenti occupati nell’impresa, sempre che questa sia organizzata e diretta
prevalentemente con il lavoro dei soci e dei loro familiari.
Attenzione, inoltre, a un’altra particolarità: se il socio riveste la funzione di
amministratore della SRL non viene meno l’obbligo di iscrizione, oltre che
alla Gestione Separata, anche alla Gestione Commercianti, sempre che la sua
prestazione lavorativa abbia, come detto, i requisiti di abitualità e di prevalenza.
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Artigiani Commercianti
Reddito Titolari Familiari Titolari Familiari
di impresa e familiari con età fino e familiari con età fino
con età oltre a 21 anni con età oltre a 21 anni
21 anni 21 anni
Da 0 a 15.710 € 3.777,84 € 3.306,54 € 3.791,98 € 3.313,24 €
(3.770,40 € (3.299,10 € (3.784,54 € (3.320,68 €
IVS + 7,44 IVS + 7,44 IVS + 7,44 IVS+ 7,44
maternità) maternità) maternità) maternità)
Per la parte oltre 15.710 24% 21% 24,09% 21,09%
e fino a 46.630,00 €
Per la parte oltre 46.630 25% 22% 25,09% 22,09%
e fino a 77.717 €
Per la parte oltre 46.630 25% 22% 25,09% 22,09%
e fino a 100.324,00 €
solo per coloro che erano
privi di contribuzione
al 31/12/1995 o che
abbiano optato per
il sistema contributivo
Artigiani e Commercianti
Titolari di qualunque età Coadiuvanti di età
e coadiuvanti di età inferiore ai 21 anni
Anno superiore ai 21 anni
Prima fascia Seconda fascia Prima fascia Seconda fascia
di reddito di reddito di reddito di reddito
N.B. Fino al 31 dicembre 2018, l’aliquota per i commercianti deve essere aumentata dello 0,09% a titolo
di aliquota aggiuntiva ai fini dell’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale
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I coltivatori diretti
Sono i proprietari, affittuari, usufruttuari e coloro che per almeno 20 anni ab-
biano in godimento un fondo con l’obbligo di migliorarlo dietro il pagamento
di un canone. Vi sono poi i pastori e gli assegnatari di fondi nonché i loro
familiari che, direttamente e abitualmente, si dedicano alla coltivazione dei
fondi, all’allevamento del bestiame e allo svolgimento delle attività connesse.
La loro attività deve avere le seguenti caratteristiche:
I mezzadri e coloni
I mezzadri sono coloro che, in proprio o come capi della famiglia colonica, si
associano al proprietario del fondo apportando all’impresa agricola il lavoro
personale della famiglia.
Quest’ultima, che è tenuta ad apportare il proprio lavoro alla mezzadria e a
partecipare alla divisione dei prodotti secondo le disposizioni legislative e
contrattuali, deve stabilmente risiedere nel fondo.
I coloni si differenziano dal mezzadro per l’apporto parziale del lavoro nella
coltivazione del fondo e non devono stabilmente risiedere nel podere della
casa colonica. La posizione assicurativo-previdenziale di questi lavoratori è
particolare: infatti, se il fondo e gli animali richiedono un fabbisogno lavorativo
inferiore a 120 giornate annue, essi sono equiparati ai lavoratori subordinati e
si dicono piccoli coloni. Se invece il fondo richiede un fabbisogno superiore a
120 giornate annue, essi sono equiparati ai lavoratori autonomi e perciò sono
soggetti alla relativa disciplina.
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L’iscrizione
I contributi previdenziali di queste categorie di lavoratori autonomi sono, co-
me per tutti gli altri lavoratori, obbligatori e per avere diritto alle prestazioni
previdenziali occorre iscriversi negli elenchi nominativi di categoria presso
gli uffici dell’INPS.
Entro 90 giorni dall’inizio dell’attività, i lavoratori possono presentare la do-
manda presso la sede INPS del luogo in cui sono localizzati i fondi, serven-
dosi di specifici moduli, diversi a seconda se si è un coltivatore diretto, un
mezzadro oppure un imprenditore agricolo a titolo principale. Entro 90 giorni
dal ricevimento della domanda, l’INPS decide in merito all’iscrizione, che si
intende accolta in assenza di notifica di un provvedimento di rifiuto. Contro
la decisione, gli interessati possono ricorrere alla Commissione centrale per
l’accertamento e la riscossione dei contributi agricoli unificati (INPS).
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I contributi
L’importo dei contributi da versare si calcola sulla base del reddito agrario a
cui corrisponde una delle 4 fasce di reddito convenzionale stabilite dalla legge.
Le quattro fasce, legate al reddito agrario e alle giornate lavorative necessarie
per la conduzione del fondo, sono illustrate nella tabella 7 a pagina 28.
Quanto si paga
Per calcolare la base imponibile per ogni fascia di reddito è sufficiente moltipli-
care le giornate per il reddito convenzionale giornaliero stabilito annualmente
con Decreto Ministeriale. Al reddito così determinato vengono applicate, per
il 2018, le aliquote del 24% per la generalità delle imprese e del 24% anche,
contrariamente al passato, per le imprese che si trovano nei territori montani
o nelle zone svantaggiate.
• 0,66 euro a giornata (nel limite massimo di 156 giornate annue) come con-
tributo addizionale;
• 7,49 euro annui come contributo dovuto per l’indennità di maternità;
• 768,50 euro annui (ridotti a 532,18 euro per le aziende situate in territori
montani e nelle zone agricole svantaggiate), come contributo dovuto per
l’Assicurazione infortuni sul lavoro e malattie professionali (INAIL).
Per i coloni e i mezzadri i contributi sono per metà a carico del concedente
(proprietario del fondo) e per metà a carico del mezzadro o del colono. Il
concedente è responsabile del pagamento dei contributi anche per la parte
del mezzadro o del colono, salvo il diritto di rivalsa.
I lavoratori con più di 65 anni di età, già pensionati nella gestione dei lavoratori
autonomi, possono chiedere che il contributo previdenziale venga ridotto del
50%. Sono esclusi da questa agevolazione i titolari di pensione di reversibilità.
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Come ci si iscrive
La domanda di iscrizione alla Gestione Separata può essere effettuata tramite
il numero telefonico del Call Center dell’INPS 803.164 oppure, per via tele-
matica, dal sito www.inps.it utilizzando i servizi online.
Contributi dovuti
Le aliquote contributive dovute dagli iscritti alla Gestione Separata variano a
seconda che i soggetti siano dotati o privi di altra forma di tutela previden-
ziale. Nel caso di collaborazioni coordinate e continuative e di collaborazioni
coordinate a progetto i contributi alla Gestione Separata INPS sono per 2/3
a carico del committente e per 1/3 a carico del collaboratore. In questa ipo-
tesi, il versamento del contributo è fatto, come per i lavoratori dipendenti,
dal committente anche per la quota posta a carico del lavoratore. Nel caso di
lavoratori autonomi titolari di partita IVA e non iscritti a un’autonoma Cassa di
previdenza i contributi sono interamente a loro carico. Tuttavia, essi hanno la
facoltà (e dunque non l’obbligo) di addebitare al committente, in via definitiva,
una percentuale pari al 4% dei corrispettivi lordi.
Non è previsto un minimo contributivo come accade, invece, nel caso di
iscrizione all’INPS degli artigiani o dei commercianti; è però previsto un mas-
simale, oltre il quale non sono più dovuti contributi. Per il 2019 esso ammonta
a 102.543 euro annui. Nel caso di contratti di associazione in partecipazione
con apporto di solo lavoro, deve essere effettuato un versamento pari a quello
previsto per i commercianti, che risulta per il 55% a carico dell’associante e
per il 45% a carico dell’associato.
• 25,72% per i titolari di partita IVA non iscritti ad altra forma di previdenza
obbligatoria oltre alla Gestione Separata INPS;
• 33,72% per i soggetti non titolari di partita IVA e non iscritti ad altra forma
di previdenza obbligatoria oltre alla Gestione Separata INPS;
• 24% per i collaboratori e i professionisti iscritti ad altra forma di previdenza,
i titolari di pensione diretta, i titolari di pensione di reversibilità.
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Termini di versamento
I lavoratori autonomi titolari di partita IVA effettuano i versamenti del contributo
dovuto con il meccanismo degli acconti e dei saldi negli stessi termini previsti
per i versamenti IRPEF. Più precisamente, il professionista dovrà versare:
• entro il termine per il versamento del saldo IRPEF, il saldo del contributo
relativo all’anno precedente;
• entro il termine per il versamento del primo acconto IRPEF, il primo acconto
del contributo relativo all’anno in corso pari al 40% del contributo calcolato
per l’anno precedente;
• entro il termine per il versamento del secondo saldo IRPEF, il secondo
acconto del contributo relativo all’anno in corso pari al 40% del contributo
calcolato per l’anno precedente.
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Contributi figurativi,
volontari e da riscatto
I contributi figurativi
Nel corso della vita lavorativa è assai frequente il caso di periodi in cui non
vi è stata un’attività di lavoro e, di conseguenza, non vi c’è stata, né per il la-
voratore dipendente né per quello autonomo, la possibilità di versare all’Ente
di previdenza i contributi obbligatori. Talvolta, però, l’assenza dell’attività di
lavoro non è dovuta alla volontà dell’assicurato ma è provocata da eventi a
lui non imputabili. Per alcuni di questi eventi la legge prevede l’accredito in
favore dell’interessato dei cosiddetti contributi figurativi.
Per esempio dà diritto all’accredito figurativo il periodo di interruzione dell’at-
tività dovuto all’obbligo di prestare il servizio di leva oppure i periodi di asten-
sione obbligatoria dal lavoro previsti dalla legge per le donne in gravidanza.
La valenza di questi contributi “fittizi” per il diritto alla prestazione (val-
gono, invece, sempre per la misura della pensione) cambia a seconda del
tipo di prestazione. Così, per esempio, mentre per raggiungere il diritto alla
33
• il servizio militare;
• la malattia e l’infortunio;
• la disoccupazione;
• la mobilità;
• la tubercolosi;
• la gravidanza e il puerperio;
• la cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria;
• i congedi per assistere inabili;
• l’aspettativa per cariche pubbliche o sindacali;
• la donazione gratuita di sangue;
• le calamità naturali;
• la persecuzione politica o razziale.
Ecco, allora, per ciascuno di questi eventi, condizioni e modalità per il rico-
noscimento dell’accredito figurativo.
Il servizio militare
I periodi di servizio militare valgono per la pensione: il riconoscimento è
gratuito e la domanda per l’accredito può essere presentata in qualsiasi mo-
mento. Il periodo della leva (anche quello svolto come obiettore di coscienza)
è riconosciuto per intero, quale che sia stata la durata, sempreché si possa
far valere almeno un contributo settimanale, anche successivo, al servizio
militare. Per l’accredito va inoltrata una specifica domanda per via telematica
indicando il periodo di leva. Attenzione, però, a distinguere il servizio prestato
nelle Forze armate per effetto della leva militare obbligatoria da quello, invece,
cosiddetto “di carriera”, perché, in quest’ultima ipotesi, è prevista l’iscrizione
a un’altra forma previdenziale. C’è, poi, da precisare che non tutto il periodo
del servizio militare dà diritto all’accredito figurativo.
34
Il servizio civile
I periodi di servizio civile sono stati caratterizzati nel tempo da diverse re-
gole ai fini del riconoscimento previdenziale. È stato previsto l’accredito dei
contributi figurativi fino al 31 dicembre 2005, in quanto equiparati al servizio
militare, per i periodi di servizio non armato e di servizio sostitutivo civile
prestato a seguito di riconoscimento dell’obiezione di coscienza, per i quali
viene apposta specifica annotazione sul foglio matricolare.
Dal primo gennaio 2006 i volontari del servizio civile sono soggetti all’obbligo
contributivo verso la Gestione separata INPS con oneri a carico del Fondo
nazionale del servizio civile. Dal primo gennaio 2009 i periodi di servizio
civile sono riconosciuti solo tramite riscatto oneroso dell’interessato.
Malattia e infortunio
La contribuzione figurativa spetta per i periodi di malattia e inabilità temporanea
al lavoro derivante da infortunio di durata non inferiore a 7 giorni.
Le assenze per malattia senza retribuzione, prima riconosciute per 52 settima-
Periodo Accredito
Dall’1.1.1997 al 31.12.1999 14 mesi (61 settimane) di cui non più di 52 prima dell’1.1.1997
Dall’1.1.2000 al 31.12.2002 16 mesi (70 settimane) di cui non più di 61 prima dell’1.1.2000
Dall’1.1.2003 al 31.12.2005 18 mesi (78 settimane) di cui non più di 70 prima dell’1.1.2003
Dall’1.1.2006 al 31.12.2008 20 mesi (87 settimane) di cui non più di 78 prima dell’1.1.2006
Dall’1.1.2009 al 31.12.2011 22 mesi (96 settimane) di cui non più di 87 prima dell’1.1.2009
35
ne nell’intera vita lavorativa, sono aumentate nel corso del tempo di 2 mesi
ogni 3 anni sino a raggiungere il tetto di 24 mesi nel triennio 2009-2011; per
esempio nel triennio 2003-2005 potevano essere riconosciute 78 settimane,
quindi 18 mesi (vedi la tabella 1 a pagina 35).
Disoccupazione
Quando il lavoratore è stato licenziato e ha ottenuto l’indennità di disoc-
cupazione, c’è il diritto a vedersi riconosciuti figurativamente i contributi
per la pensione. Dal primo maggio 2015 questa prestazione è denominata
NASPI. Per il periodo di percezione della questa indennità è riconosciuta al
lavoratore la contribuzione figurativa rapportata alla retribuzione imponibile
ai fini previdenziali che ha percepito negli ultimi 4 anni, entro un limite
di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della NASPI.
Poiché questo limite è pari a una retribuzione pensionabile di circa 24.000 a
euro, per evitare che, nei confronti di chi ha una retribuzione pensionabile
superiore a quest’importo, la contribuzione accreditata per la NASPI possa
danneggiare la parte di pensione eventualmente maturata nel sistema retri-
butivo, la legge prevede che in queste ipotesi l’accredito della contribuzione
figurativa per la NASPI venga, ai soli fini del calcolo della pensione ma non
per maturare il diritto alla pensione, “neutralizzato”. Per l’accredito di tali
contributi figurativi non serve presentare domanda, ma è necessario almeno
un contributo obbligatorio versato prima del periodo di disoccupazione.
Gravidanza e puerperio
Ai fini dell’accredito figurativo sono validi i periodi di:
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Calamità naturali
Sono riconosciuti i contributi figurativi per i periodi durante i quali i lavora-
tori hanno riscosso le indennità speciali previste per i disoccupati residenti
nei Comuni colpiti da calamità naturali. È necessario almeno un contributo
obbligatorio precedente.
Mobilità
Sono riconosciuti i contributi figurativi per i periodi, in cui è stata riscossa
l’indennità di mobilità. Essi sono accreditati automaticamente, a condizione che
l’assicurato abbia almeno un contributo obbligatorio settimanale accreditato
all’INPS. I contributi accreditati sono utili ai fini del diritto e dell’importo per
la pensione di vecchiaia e per la pensione anticipata.
37
I contributi volontari
Licenziamenti, crisi di settore, ristrutturazioni, sono argomenti di stretta attualità
per i lavoratori e per le aziende. Questi fenomeni comportano, si sa, riduzioni
di personale per licenziamenti, mobilità o dimissioni incentivate.
Per chi è vicino alla pensione (ma anche per chi, più giovane, è interessato
a guardare con anticipo al suo futuro previdenziale) oltre alle conseguenze
di natura economica ve ne sono alcune assai importanti anche sul piano pre-
videnziale perché, in assenza di un lavoro, il traguardo della pensione può
allontanarsi nel tempo o essere addirittura compromesso.
Su questo argomento c’è, da sempre, una ciambella di salvataggio che consente
al lavoratore dipendente (ma anche all’autonomo) di proseguire a proprie spese
i versamenti per la pensione, tramite la cosiddetta “prosecuzione volontaria”. Si
tratta di una forma di polizza assicurativa che consente a chi per varie cause
interrompe il versamento dei contributi, di non perdere quelli già versati e di
raggiungere il diritto alla pensione. Per questi motivi è sempre consigliabile,
ove ne ricorrano i requisiti, chiedere l’autorizzazione ai versamenti volontari;
anche perché la richiesta di autorizzazione non implica alcun obbligo a ver-
sare contribuzione e spesso, nel passato, la sola autorizzazione ai versamenti
volontari, nel caso di riforme del sistema previdenziale, ha fatto mantenere
alcuni diritti acquisiti.
38
questa forma d’assicurazione volontaria per esempio coloro che hanno lasciato
il lavoro senza aver maturato i 20 anni di versamento previsti dalla riforma
Amato del 1992 (ridotti a 15 anni per chi aveva già raggiunto questa quota
o era già stato autorizzato a questa forma di risparmio previdenziale prima
del 31 dicembre 1992). Ugualmente interessato è chi, licenziato o dimesso,
può accedere, dopo qualche anno di versamenti volontari, alla pensione
anticipata prima della data in cui conseguirebbe la pensione di vecchiaia.
La prosecuzione volontaria è equiparata a tutti gli effetti a quella versata
durante il rapporto di lavoro, quindi vale per raggiungere il requisito con-
tributivo per la pensione anticipata, per la pensione di vecchiaia, per la
pensione di inabilità e per l’assegno d’invalidità.
Non va poi dimenticato che nulla vieta al lavoratore di utilizzare i versamenti
volontari anche solo per incrementare l’importo della pensione di cui si è già
maturato il diritto. In questa ipotesi, però, la convenienza va valutata caso
per caso, mettendo a confronto i costi immediati che si dovrebbero soste-
nere per proseguire volontariamente i contributi con i benefici economici,
differiti nel tempo, che si ricavano da una pensione di importo più elevato.
I lavoratori che hanno stipulato un contratto di lavoro a tempo parziale
possono poi essere autorizzati alla prosecuzione volontaria in applicazione
delle norme introdotte dall’art. 8 del D. Lgs. 564/1996, che ha previsto la
possibilità di coprire, in caso di part-time verticale o ciclico (giorni, settimane
o mesi alterni), i periodi nei i quali non si svolge alcuna attività lavorativa
e dall’art. 3 del D. Lgs. 278/1998, che ha esteso la facoltà anche per i casi
di part-time orizzontale (tutti i giorni a orario ridotto). L’autorizzazione alla
prosecuzione volontaria, in alternativa alla facoltà di riscatto, può però es-
sere riconosciuta solo per i periodi di contratto di lavoro a tempo parziale
successivi al 31 dicembre 1996.
L’istituto della prosecuzione volontaria era fino a qualche tempo fa tipico
dell’INPS e dell’ex INPDAI; con il passare degli anni, però, la possibilità di
raggiungere il diritto alla pensione tramite versamenti effettuati a proprie
spese è stata estesa anche agli ex dipendenti statali e degli enti locali (ex
INPDAP) e ai soggetti iscritti come parasubordinati alla Gestione Separata
dell’INPS.
I requisiti
Per essere autorizzati è necessario poter far valere, nei 5 anni precedenti la
richiesta d’autorizzazione, almeno 3 anni di contributi effettivi (non valgono
quelli figurativi). Possono essere utilizzati non solo i contributi obbligatori
da lavoro dipendente o autonomo, ma anche i contributi da riscatto. Se
non si è in possesso di tale requisito si può essere comunque autorizzati
a condizione, però, che si possano far valere nell’intera vita assicurativa
39
Il costo
Per chi è stato autorizzato prima del mese di luglio 1997, l’importo del
contributo settimanale da versare (interamente deducibile ai fini fiscali)
era ottenuto applicando alla retribuzione media degli ultimi 3 anni (in
pratica, le ultime 156 settimane di lavoro) l’aliquota contributiva ai fini
pensionistici, quota del datore di lavoro compresa, applicata ai lavoratori
dipendenti in servizio.
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Da quando si paga
L’autorizzazione alla prosecuzione volontaria viene concessa dal primo sabato
successivo alla data di presentazione della domanda, per la generalità dei
lavoratori dipendenti; nel caso di lavoratori autonomi, invece, l’autorizzazio-
ne scatta dal primo giorno del mese in cui è stata presentata la domanda.
Se la domanda viene presentata prima della cessazione dell’attività lavorativa,
dipendente o autonoma, la decorrenza è fissata rispettivamente dal primo
sabato successivo alla cessazione del rapporto di lavoro subordinato ovvero
dal primo giorno del mese successivo alla cancellazione dagli elenchi per
gli artigiani e i commercianti.
Non è, in alcun caso, possibile versare i contributi volontari per periodi
antecedenti la domanda di autorizzazione. L’unica eccezione riguarda la
possibilità di effettuare i versamenti volontari per i periodi che si collocano
temporalmente nel semestre antecedente la data di presentazione della do-
manda, solo se non sono già coperti da altra contribuzione.
41
Come si paga
I contributi volontari possono essere versati esclusivamente con una delle
modalità che citiamo qui di seguito:
42
I contributi da riscatto
Con questa denominazione si indicano i contributi che è possibile versare
(con onere finanziario a spese dell’assicurato o, in alcuni casi, a carico del
datore di lavoro) per periodi durante i quali non si è non coperti da assi-
curazione. Questi contributi hanno piena efficacia ai fini del diritto e della
consistenza delle prestazioni, a condizione che vengano versati nei modi e
nei tempi indicati dall’INPS.
I periodi attualmente riscattabili per ottenere l’accredito li elenchiamo qui
di seguito:
43
Quanto costano
Per capire il costo di un riscatto, che è interamente deducibile ai fini fiscali,
occorre innanzi tutto fare una breve premessa e ricordare quali sono i sistemi
di calcolo previsti oggi dalla nostra legislazione.
Dal 1996, il sistema di calcolo delle pensioni, secondo quanto previsto dalla
L. 335/1995, è stato modificato da retributivo a contributivo.
Il primo determina l’importo della pensione in ragione degli anni di versa-
mento e delle retribuzioni percepite negli ultimi anni di lavoro; il secondo,
invece, stabilisce che il calcolo della prestazione pensionistica sia fatto in base
ai contributi versati durante tutta la vita assicurativa.
Il sistema contributivo si applica a chi non aveva ancora alcun contributo ver-
sato in suo favore prima del 1996, mentre per chi aveva già versato contributi
prima di quella data il calcolo della pensione, secondo le nuove disposizioni
introdotte dalla L. 214/2011, è misto, ovvero in parte retributivo e in parte
contributivo. Per chi al 31 dicembre 1995 poteva far valere almeno 18 anni di
versamenti, la quota retributiva sarà riferita al numero dei contributi accreditati
fino al 31 dicembre 2011, mentre quella contributiva riguarderà i versamenti
accreditati dal primo gennaio 2012 e fino al momento del pensionamento.
Per coloro, invece, che non potevano far valere prima del primo gennaio 1996,
almeno 18 anni di versamenti, la quota di pensione retributiva riguarderà i
versamenti fatti dall’inizio e fino al 31 dicembre del 1995 mentre la quota
contributiva atterrà alla contribuzione versata dal primo gennaio 1996 in poi.
L’onere da pagare cambia a seconda del sistema di calcolo da applicare alla
futura pensione.
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ESEMPIO PRATICO
Prendiamo il caso di un lavoratore, assunto nel 2007, che intende riscattare 4
anni di laurea e che abbia percepito complessivamente, negli ultimi 12 mesi,
una retribuzione di 35.000 euro al lordo degli oneri fiscali e previdenziali. In
questa ipotesi il costo del riscatto sarà di 46.200 euro, ovvero pari al 33% (è
l’aliquota contributiva vigente) di 35.000 euro, moltiplicato per 4 (gli anni da
riscattare).
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Come si paga
La somma richiesta per la copertura del periodo da riscattare può essere versata
ratealmente. Se però si è compiuta l’età pensionabile per vecchiaia oppure, con
i contributi riscattati, si raggiunge il diritto alla pensione anticipata, l’onere di
riscatto deve essere corrisposto in un’unica soluzione entro il termine fissato
dall’INPS nel provvedimento di accoglimento. Questo termine è perentorio
e il suo mancato rispetto comporta la decadenza della domanda, che può
comunque essere riproposta. In particolare, il pagamento effettuato oltre il
termine, che fa comunque decadere l’interessato dal beneficio del riscatto,
viene considerato come presentazione di una nuova domanda, qualora il
richiedente ne abbia ancora interesse, con la conseguente rideterminazione
dell’onere da pagare. Va però ricordato che, per le rate successive alla prima,
il pagamento effettuato oltre la scadenza, ma con un ritardo non superiore a
30 giorni, viene consentito per non più di 2 volte.
Tutti i pagamenti effettuati per importi parziali o per un minore numero di
rate entro i termini assegnati verranno convalidati determinando, in propor-
zione, l’accredito del corrispondente periodo assicurativo. Così, per esempio,
se per riscattare 4 anni di laurea (pari a 208 settimane), l’INPS ha determinato
il costo complessivo in 10.000 euro e il pagamento cessa quando l’assicurato
ne ha versati solo 2.500, allora saranno accreditate sulla posizione assicurativa
solo 52 settimane. Il pagamento dell’onere di riscatto può essere effettuato:
• con bollettino MAV, che può essere stampato direttamente attraverso il sito
www.inps.it o chiesto chiamando l’INPS al numero verde 803.164;
• online sul sito www.inps.it, con carta di credito;
• telefonando al numero verde 803.164 e pagando con la carta di credito;
• rivolgendosi ai negozi del circuito “Reti Amiche” (tabaccherie, ricevitorie ecc.)
che espongono il logo “Servizi INPS”, utilizzando il numero della pratica e
il proprio codice fiscale;
• attraverso l’addebito diretto sul proprio conto bancario o quello di un fami-
liare. È sufficiente recarsi nell’agenzia bancaria o nell’ufficio postale presso
cui si ha il conto e compilare un modello SDD. Il modello dovrà contenere
l’opzione a importo fisso predefinito, che implica la rinuncia al diritto di
rimborso dell’addebito entro le otto settimane.
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La rinuncia
Presentare all’INPS una domanda di riscatto non significa affatto impegnarsi
con l’Ente di previdenza a pagare l’onere del riscatto.
L’interessato può rinunciare alla domanda di riscatto quando, dopo averla
presentata, ritenga di non dar più corso alla richiesta. In questo caso se
l’INPS non ha ancora inviato la lettera di accoglimento è opportuno che
l’interessato comunichi agli uffici la sua intenzione di rinunciare. Basterà
una comunicazione scritta da consegnare agli sportelli o da inviare via email
oppure una telefonata al Call Center dell’INPS. Se invece l’interessato ha già
ricevuto la lettera di accoglimento basta non pagare la somma in essa indicata
per manifestare la volontà di rinuncia. Se successivamente si cambia idea, la
domanda può essere ripresentata. Ma è chiaro che in questo caso la somma
da pagare sarà sicuramente maggiore di quella calcolata in precedenza. Ciò
in quanto alla data della nuova domanda saranno cambiati gli elementi (età,
retribuzione ecc.) presi a base per il calcolo del riscatto.
47
Dal 1997, poi, è possibile il riscatto di più corsi universitari di studi. In prece-
denza, chi aveva conseguito due lauree poteva effettuare a sua scelta il riscatto
di uno solo dei corsi legali. Non è, invece, consentito dalla legge riscattare:
Per far sì che la domanda di riscatto possa essere accolta ci sono, però, anche
alcune condizioni da rispettare: l’assenza di copertura contributiva in relazione
al periodo da riscattare e il non aver chiesto il riscatto presso altro ordinamento
pensionistico. La domanda, che può essere inoltrata in qualsiasi momento perché
non è soggetta a termini di decadenza, può riguardare anche un periodo inferiore
a quello del corso legale di laurea ma è comunque limitata ai soli periodi privi
di copertura assicurativa, poiché, come già detto, il contributo di riscatto non è
compatibile con altro tipo di contribuzione. La domanda di riscatto può essere
inoltrata all’INPS solo per via telematica, accedendo al portale internet dell’ente
di previdenza, tramite il proprio codice personale (il cosiddetto PIN). Ci si può
avvalere anche dell’assistenza gratuita degli Enti di Patronato. Per chi può far
valere contribuzione mista (per esempio, contributi da lavoratore dipendente
e contributi da artigiano commerciante o coltivatore diretto), è prevista, poi, la
possibilità di indicare nella domanda in quale delle gestioni pensionistiche nelle
quali si è stati iscritti si vuole riscattare la laurea. Questa scelta comporta, talvolta,
specialmente se il periodo si colloca nel sistema retributivo, un considerevole
risparmio sull’onere del riscatto.
48
49
50
Tabella 2: Il riscatto
51
La ricongiunzione,
la totalizzazione e il cumulo
In tempi di lavoro mobile cambiare attività è assai frequente. In molti casi chi
cambia lavoro è attratto da prospettive di retribuzione o di reddito più alte; in
altri, invece, il passaggio non è frutto di una scelta volontaria bensì di circostan-
ze estranee al nostro volere. Per chi è in questa situazione i dubbi sono tanti:
uno stipendio migliore compenserà le maggiori responsabilità? Le prospettive
di carriera ricompenseranno il dispiacere di lasciare i vecchi colleghi? A questi
se ne aggiunge un altro assai importante: quali saranno le complicazioni se,
nel passaggio dalla vecchia alla nuova attività, cambieremo anche il sistema
previdenziale a cui eravamo iscritti fino a ora? Fino al 1979 e salvo qualche
eccezione riservata ai dipendenti pubblici, le frontiere tra i circa 40 Enti e Fondi
di previdenza del nostro paese erano invalicabili e comportavano danni pre-
videnziali irrimediabili per tanti lavoratori. Da allora in poi questa barriera tra
i diversi enti pensionistici può essere aggirata, utilizzando la ricongiunzione.
Cos’è la ricongiunzione
Nel lessico previdenziale il termine ricongiunzione indica l’unificazione delle
posizioni assicurative esistenti presso diverse gestioni previdenziali al fine di
ottenere, utilizzando più spezzoni contributivi, una sola pensione.
53
54
Fino al 30 giugno 2010 chi chiedeva di ricongiungere nel Fondo Pensioni Lavoratori
Dipendenti i periodi contributivi maturati in ordinamenti pensionistici alternativi
non pagava alcun onere perché tale forma di ricongiunzione era gratuita.
Dal primo luglio 2010 invece, per effetto di quanto previsto dalla L. 122/2010,
anche questo tipo di ricongiunzione è diventata onerosa per il richiedente.
La ricongiunzione dei contributi provenienti dalle Gestioni speciali dei lavora-
tori autonomi è, invece, da sempre con pagamento di un onere da parte del
lavoratore assicurato. In questo caso, la facoltà di ricongiunzione può essere
esercitata solo se si possano far valere, successivamente alla cessazione dell’at-
tività come lavoratore autonomo, almeno 5 anni di contribuzione in qualità
di lavoratore dipendente, in una o più gestioni pensionistiche obbligatorie.
Le condizioni
Poiché le finalità della legge sono quelle di consentire, in presenza di spezzoni
di contributi versati in Fondi diversi, il raggiungimento di un’unica pensione,
la possibilità di ricorrervi è consentita solo se la contribuzione dei periodi og-
55
Quali contributi
La ricongiunzione deve riguardare tutti i periodi di contribuzione:
Come si chiede
Per chiedere la ricongiunzione, il lavoratore deve presentare la domanda
all’Ente di previdenza presso il quale intende trasferire la posizione assicura-
tiva, indicando quali sono le gestioni dove sono stati versati i vari spezzoni
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57
È utile ricordare che, dal primo gennaio 2001, l’onere della ricongiunzione è
interamente deducibile ai fini fiscali. Per le modalità di pagamento, diverse
dalla trattenuta sulla pensione, valgono le stesse indicazioni fornite per il
pagamento dei riscatti.
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INPS ed ENPALS
I lavoratori dello spettacolo sono iscritti a una forma obbligatoria sostitutiva
dell’INPS, gestita dall’ex ENPALS (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza
Lavoratori dello Spettacolo).
I lavoratori che possono far valere periodi versati presso il Fondo pensioni
lavoratori dipendenti gestito dall’INPS e presso l’ENPALS, possono ottenere
un’unica pensione, con il cumulo di tutti i contributi, attraverso il trasferimento
gratuito mediante una convenzione stipulata tra i due enti.
Sono oggetto di tale trasferimento le contribuzioni obbligatorie, volontarie, da
riscatto e figurativa, quest’ultima solo se interessata da effettivo versamento di
contribuzione nell’INPS (per esempio cassa integrazione guadagni).
Se esistono contribuzioni figurative quali malattia, gravidanza e puerperio,
servizio militare, i relativi periodi sono in ogni caso trasmessi all’ente richie-
dente. Non si tratta però di un trasferimento, in quanto non c’è stato effettivo
versamento di contributi, ma piuttosto di una segnalazione.
La convenzione prevede inoltre che le domande di pensione, presentate all’uno
o all’altro ente, siano inizialmente istruite dall’ENPALS il quale valuta, in base
alla prevalenza della contribuzione, chi debba procedere alla liquidazione
della pensione.
59
La totalizzazione
Chi non vuole o non è in grado di affrontare gli oneri, spesso esorbitanti,
della ricongiunzione, ha un’altra possibilità per mettere insieme spezzoni
contributivi esistenti presso più gestioni previdenziali. Può, infatti, ricorrere
alla cosiddetta “totalizzazione” dei periodi assicurativi che è una possibilità
abbastanza recente offerta dal sistema previdenziale.
La totalizzazione, prevista dal D. Lgs. 42/2006 consiste nella possibilità di
sommare, ai fini del raggiungimento dei requisiti per il diritto a pensione, i
periodi contributivi, esistenti presso due o più enti di previdenza, in modo da
poter conseguire quote di pensione, proporzionali ai contributi stessi, a carico
delle Gestioni presso cui si trovano i contributi, senza quindi dover effettuare
la loro ricongiunzione, spesso onerosa e di difficile accesso.
In pratica con la totalizzazione non c’è un trasferimento di contributi da un
Ente all’altro, come avviene con la ricongiunzione, ma la sommatoria virtuale
dei tronconi contributivi non coincidenti per il conseguimento del requisito
minimo occorrente per il diritto a pensione.
• i lavoratori dipendenti;
• i lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti, coloni e
mezzadri);
• i lavoratori parasubordinati iscritti alla gestione separata istituita dalla
L. 335/1995;
• gli iscritti al Fondo per il Clero;
• i liberi professionisti (avvocati, ingegneri, medici, commercialisti ecc.) iscritti
a una delle Casse privatizzate e private;
• gli iscritti alle forme assicurative sostitutive ed esclusive dell’assicurazione
generale obbligatoria (ex INPDAP, ex ENPALS, ex IPOST ecc.).
A cosa serve
Ricorrendo alla totalizzazione è possibile ottenere la pensione di vecchiaia a
65 anni e 7 mesi, senza differenza tra uomini e donne, la pensione di anzia-
nità con 40 anni e 7 mesi di contributi (ambedue i requisiti si innalzeranno
60
61
Il “cumulo”
Una ulteriore possibilità di utilizzare la contribuzione “frammentata” perché
versata in più Enti è stata introdotta con il cosiddetto “cumulo contributivo”
previsto dalla L. 228/2012 e ampliato con le disposizioni contenute nella L.
232/2016.
Il “cumulo contributivo“ – è bene precisarlo subito – non riguarda solo chi
ha contributi versati all’INPS e all’INPDAP , ma interessa tutti coloro che sono
titolari di due o più posizioni assicurative (iscritti al Fondo Pensioni Lavoratori
dipendenti, alle Gestioni Autonome degli Artigiani, Commercianti e Coltivatori
diretti, alla Gestione Separata per i liberi professionisti e per i cosiddetti “pa-
rasubordinati”, ai Fondi sostitutivi ed esclusivi dell’Assicurazione Generale
Obbligatoria INPS, alle Casse di Previdenza dei liberi professionisti).
Con il termine “cumulo contributivo” si intende la possibilità di sommare i di-
versi spezzoni di contribuzione, senza che, come avviene per la totalizzazione,
il calcolo della pensione divenga necessariamente contributivo.
Mediante il “cumulo” ciascuno dei fondi determina il trattamento pro quota
in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di
calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribu-
zioni di riferimento.
La possibilità di cumulare – che fino al 2016 era molto limitata perché, oltre a
non riguardare la contribuzione versata presso le Casse dei liberi professioni-
sti, non poteva essere richiesta né per raggiungere la pensione anticipata né
utilizzata dai lavoratori che avevano maturato un diritto a pensione autonoma
in una singola gestione pensionistica ora è ammessa, ricorrendo anche ai con-
tributi versati nelle casse dei liberi professionisti, per ottenere la pensione di
vecchiaia, la pensione anticipata e i trattamenti di inabilità e i superstiti. Non
può essere utilizzato, invece, per ottenere l’assegno ordinario di invalidità.
Per quanto riguarda la pensione di vecchiaia, essa si consegue, utilizzando
tutti i periodi assicurativi accreditati presso le gestioni previdenziali private,
quando sussistono i requisiti anagrafici e contributivi minimi previsti dalla
L. 214/ 2011 (è la Riforma Fornero) ovvero 66 anni e 7 mesi unitamente a
ESEMPIO PRATICO
Prendiamo il caso di un medico, donna, che ha presso l’INPS 20 anni di contri-
buti e 7 anni di contributi presso l’ENPAM (la cassa di previdenza professionale
dei medici) e che al momento della domanda ha compiuto i 66 anni e 7 mesi di
età. In questo caso, anche ricorrendo alla totalizzazione, la quota di pensione
INPS sarà calcolata con il criterio retributivo.
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63
PARTE SECONDA
I trattamenti
pensionistici
65
La pensione
di vecchiaia
67
Il requisito contributivo
Il requisito contributivo (si definisce, così, il numero di anni di contribuzione
necessari per avere diritto alle prestazioni pensionistiche) per la pensione di
vecchiaia nel sistema retributivo e misto è fissato, senza alcuna eccezione, in
20 anni di contributi, pari a 1040 settimane di versamento.
Concorrono a perfezionare il requisito, che è uguale per i lavoratori dipendenti
e per quelli autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti), tutti i tipi di
contribuzione ovvero i contributi obbligatori, figurativi, da riscatto e volontari.
Non va però dimenticato che ci sono ancora casi in cui è consentito ottenere
la pensione di vecchiaia con solo 15 anni di contributi.
Queste eccezioni – che non sono state “cancellate” dalla L. 214/2011, come
conferma la circolare INPS n. 16/2013 – sono disciplinate dal D. Lgs. 503/1992
(la cosiddetta Riforma Amato) che, nell’introdurre dal 1993 nuove e più rigide
68
ESEMPIO PRATICO
Per comprendere meglio cosa accada all’età pensionabile a seguito dell’appli-
cazione dell’adeguamento periodico, facciamo l’esempio di un lavoratore nato
il primo gennaio del 1953: il nostro amico con le regole della Riforma Fornero
otterrà la pensione di vecchiaia a 67 anni, ovvero da febbraio del 2020; se, inve-
ce, non ci fosse l’adeguamento all’aspettativa di vita, di cui abbiamo appena
parlato, sarebbe andato in pensione a febbraio del 2018.
Il requisito dell’età
L’età richiesta per la pensione di vecchiaia, che fino al 2011 era fissata in 65
anni per gli uomini e 60 per le donne, senza distinzione tra lavoratori autonomi
e dipendenti, si è innalzata dal 2012 a (vedi tabelle 1 e 2 alle pagine 70-71):
A partire dal 2013 l’età pensionabile non è, però, più fissa ma cresce, perio-
dicamente, così come cresce l’aspettativa di vita degli italiani. L’incremento
è stato, fino al 2018, triennale mentre dal 2019 è biennale.
69
2014 66 3 63 9 2033 68 2 68 2
2015 66 3 63 9 2034 68 2 68 2
2016 66 7 65 7 2035 68 4 68 4
2017 66 7 65 7 2036 68 4 68 4
2018 66 7 66 7 2037 68 5 68 5
2019 67 0 67 0 2038 68 5 68 5
2020 67 0 67 0 2039 68 7 68 7
2021 67 3 67 3 2040 68 7 68 7
2022 67 3 67 3 2041 68 9 68 9
2023 67 4 67 4 2042 68 9 68 9
2024 67 4 67 4 2043 68 11 68 11
2025 67 6 67 6 2044 68 11 68 11
2026 67 6 67 6 2045 69 1 69 1
2027 67 8 67 8 2046 69 1 69 1
2028 67 8 67 8 2047 69 3 69 3
2029 67 10 67 10 2048 69 3 69 3
2030 67 10 67 10 2049 69 5 69 5
2031 68 0 68 0 2050 69 5 69 5
*Scenario demografica ISTAT Centrale base 2016, come in rapporto n. 18 della Ragioneria Generale dello Stato
70
2014 66 3 64 9 2033 68 2 68 2
2015 66 3 64 9 2034 68 2 68 2
2016 66 7 66 1 2035 68 4 68 4
2017 66 7 66 1 2036 68 4 68 4
2018 66 7 66 7 2037 68 5 68 5
2019 67 0 67 0 2038 68 5 68 5
2020 67 0 67 0 2039 68 7 68 7
2021 67 3 67 3 2040 68 7 68 7
2022 67 3 67 3 2041 68 9 68 9
2023 67 4 67 4 2042 68 9 68 9
2024 67 4 67 4 2043 68 11 68 11
2025 67 6 67 6 2044 68 11 68 11
2026 67 6 67 6 2045 69 1 69 1
2027 67 8 67 8 2046 69 1 69 1
2028 67 8 67 8 2047 69 3 69 3
2029 67 10 67 10 2048 69 3 69 3
2030 67 10 67 10 2049 69 5 69 5
2031 68 0 68 0 2050 69 5 69 5
*Scenario demografica ISTAT Centrale base 2016, come in rapporto n. 18 della Ragioneria Generale dello Stato
La Legge di Bilancio per il 2018 ha, però, esentato alcune categorie di lavo-
ratori dal meccanismo di adeguamento all’aspettativa di vita previsto per il
biennio 2019-2020.
Esse, infatti, possono accedere alla pensione di vecchiaia e a quella anti-
cipata con gli stessi requisiti anagrafici e contributivi previsti fino al 2018.
Per chi svolge mansioni gravose l’esenzione è riconosciuta a condizione che tali
attività siano state espletate per almeno sette anni negli ultimi dieci anni di vita
lavorativa e che ci siano almeno 30 anni di contributi (vedi tabella 3 a pagina 72).
71
Siderurgici di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature
non già ricompresi nel perimetro dei lavori usuranti
Marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti marini e acque interne
Pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare dipendenti o soci di cooperative
72
Per tutti gli altri lavoratori non vedenti che non si trovino nelle condizioni
che abbiamo prima ricordato, restano fermi i requisiti di età richiesti in via
generale fino al 31 dicembre 1992, ovvero:
• 60 anni per gli uomini e 55 anni per le donne, per quanto riguarda i lavo-
ratori dipendenti;
• 65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne, per i lavoratori autonomi.
73
74
75
Il sistema contributivo
Per tutti coloro che hanno iniziato la propria attività lavorativa dopo il 31
dicembre 1995, per gli iscritti alla cosiddetta Gestione Separata e per quanti
esercitano il diritto di opzione per il sistema contributivo, la L. 335/1995
(meglio nota come “Riforma Dini”) ha previsto un’unica pensione, deno-
minata “pensione di vecchiaia”.
I requisiti per questa prestazione hanno subito in questi ultimi anni varia-
zioni e modifiche. Per consentire al lettore di comprendere se a una certa
data avesse o meno conseguito il diritto alla pensione di vecchiaia nel si-
stema contributivo è bene riassumere quali siano stati nel corso del tempo
questi requisiti.
76
Prima dei 57 anni di età, la pensione poteva essere conseguita soltanto con 40
anni di contribuzione, per il raggiungimento dei quali erano esclusi i contributi
da riscatto per periodi di studio e i versamenti volontari, ed erano rivalutati
con il coefficiente 1,5 gli anni di lavoro che sono stati effettuati prima del
compimento dei 18 anni di età. Era, ed è tuttora, prevista inoltre una riduzione
del requisito per il diritto alla pensione di vecchiaia nel sistema contributivo
per le lavoratrici madri. Secondo quanto previsto dalla L. 335/1995, questa
categoria può usufruire di un’anticipazione dell’età pensionabile di 4 mesi per
ogni figlio, nel limite massimo di 12 mesi; in alternativa a questa opportunità
è possibile ottenere l’applicazione di un coefficiente di trasformazione relativo
all’età anagrafica posseduta alla data di decorrenza della pensione, maggiorata
di un anno, in caso di uno o due figli, di 2 anni in caso di tre o più figli.
77
78
La pensione di vecchiaia
in totalizzazione
Come abbiamo già detto al capitolo 3, coloro che hanno versato contributi
previdenziali in più Enti possono chiedere la pensione di vecchiaia in regime
di totalizzazione quando sono in possesso dei seguenti requisiti:
79
2019 66 anni
2020 66 anni
Da quando decorre
Per coloro che chiedono la pensione in regime di totalizzazione, secondo le
disposizioni di cui al D. Lgs. 42/2006, l’accesso alla pensione di vecchiaia,
per il quale era richiesto il requisito contributivo dei 20 anni di contributi e
un’età anagrafica, senza distinzione di sesso, di 65 anni, la decorrenza della
pensione era svincolata dal regime delle “finestre di accesso” e il trattamento si
conseguiva fino al 31 dicembre del 2010 dal primo giorno del mese successivo
a quello di presentazione della domanda.
Ora, invece, i trattamenti di vecchiaia in totalizzazione, con requisiti maturati
a partire dal primo gennaio 2011 in poi, decorrono dal 18° mese successivo
al raggiungimento dei requisiti.
Presentare la domanda
La domanda di pensione in regime di totalizzazione va presentata dal lavoratore
(o dai superstiti) all’Ente presso il quale risultano versati gli ultimi contributi.
L’Ente che ha ricevuto la domanda provvede poi ad accertare se c’è il diritto
a totalizzare. Per quanto riguarda l’Ente che pagherà la pensione “totalizzata”,
a corrispondere le rate sarà l’INPS che ha stipulato con gli altri Enti o Casse
apposite convenzioni.
80
81
82
ESEMPIO PRATICO
Il Signor Rossi, nato nel gennaio 1956, ha iniziato a lavorare nel 1977 come
dipendente privato, quindi, iscritto all’INPS fino al 1989. Dal 1990 è divenuto
dipendente pubblico con iscrizione all’INPDAP per 16 anni. Dal 2006 è divenuto
avvocato e ha versato i contributi alla Cassa Forense fino al 2016. Per quanto
attiene al momento in cui gli verrà riconosciuta la pensione di vecchiaia, le date
sono due: la prima riguarderà i versamenti, complessivamente più di 20, fatti
presso l’INPS e presso la Gestione ex INPDAP e sarà fissata al primo luglio del
2023; la seconda, invece, è fissata al compimento dei 70 anni di età e riguar-
derà i versamenti fatti alla Cassa Forense. Ai fini del calcolo della pensione e
del conteggio dell’anzianità maturata prima del 1996 si devono sommare i due
periodi (13 di INPS e 6 di INPDAP ) arrivando al totale di 19 anni accreditati al
31 dicembre 1995. Essendo in possesso di almeno 18 anni di contributi al 31
dicembre 1995, la quota di pensione per questo assicurato maturata presso i
fondi di previdenza pubblici sarà retributiva fino al 31 dicembre 2011 e quindi
ciascuna delle due gestioni calcolerà la propria quota di pensione con il sistema
retributivo non avendo anzianità contributiva successiva al 2012. Rispetto alla
totalizzazione il vantaggio è evidente: con il cumulo contributivo la pensione è
sostanzialmente calcolata tutta con il sistema retributivo mentre quella totalizza-
ta sarebbe solo contributiva e quindi, in genere, più bassa come importo finale.
83
L’APE volontario
L’Ape volontario è lo strumento che consente di ricevere un assegno mensile,
alternativo o complementare allo stipendio, prima della pensione facendo ri-
corso a un prestito erogato dal sistema bancario. Sono interessati, a condizione
che abbiano compiuto i 63 anni di età, abbiano 20 anni di contributi e non
siano distanti più di 3 anni e 7 mesi dalla pensione di vecchiaia, i lavoratori
dipendenti del settore privato, gli autonomi, gli iscritti alla gestione separata
e i lavoratori del pubblico impiego.
Per l’accesso all’APE volontario, la pensione maturata al momento della richie-
sta dovrà risultare non inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo INPS (cioè
circa 716,81 euro al mese) al netto della rata di ammortamento corrispondente
all’APE richiesta; inoltre l’interessato non deve essere titolare di una pensione
diretta o dell’assegno ordinario di invalidità. Si tratta di un prestito bancario,
garantito da un’assicurazione privata contro il rischio premorienza, che, una
volta raggiunti i requisiti per la pensione di vecchiaia, si dovrà restituire, tramite
trattenute sulla pensione operate direttamente dall’INPS, in 20 anni.
In caso di morte prematura i superstiti però non subiranno alcuna penalità
sulla pensione indiretta dato che sarà l’assicurazione a pagare l’intermediario
delle somme residue del prestito contratto.
L’APE sociale
Le categorie che possono beneficiare, fino al 2019 dell’APE sociale sono:
84
Le domande per ottenere questa prestazione possono essere accolte nei limiti
delle disponibilità delle risorse disponibili stanziate dallo Stato; se i fondi non
dovessero bastare, le domande in eccesso slittano all’anno successivo.
85
I trattamenti
anticipati
87
La pensione anticipata
A partire dal primo gennaio del 2012 la pensione di anzianità non esiste più
ed è stata sostituita dalla pensione anticipata. Fino al 31 dicembre del 2018
non era più prevista, quindi, sia la possibilità di andare in pensione con il
sistema delle quote, ottenute con la somma di età anagrafica e anni di con-
tributi, né quella di ottenere la rendita, a prescindere dall’età anagrafica, con
40 anni di versamenti. Dal primo gennaio del 2019, anche se in forma limitata
a un periodo di sperimentazione di 3 anni, è ritornata, dopo l’approvazione
della Legge di Bilancio per il 2019, la possibilità di accedere alla pensione
anticipata se, sommando età anagrafica e anni di contributi si è raggiunta la
cosiddetta “Quota 100”. Ne parleremo più diffusamente nel paragrafo dedicato
a pagina 92.
• nel 2012, 42 anni e 1 mese per gli uomini e 41 anni e 1 mese per le donne;
• nel 2013, 42 anni e 2 mesi per gli uomini e 41 anni e 2 mesi per le donne;
• nel 2014, 42 anni e 3 mesi per gli uomini e 41 anni e 3 mesi per le donne.
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Uomo Donna
Anno
settimane anni mesi settimane anni mesi
2013 2206 42 5 2154 41 5
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I contributi utili
Per totalizzare gli anni di versamento necessari a maturare il diritto alla pensione
anticipata vale tutta la contribuzione accreditata: quella obbligatoria, versata
per lo svolgimento di un’attività lavorativa, quella figurativa (solo per chi ha
cominciato i versamenti prima del 1996), quella volontaria e quella derivante
da periodi oggetto di riscatto.
Contrariamente a ciò che avveniva per il diritto alla vecchia pensione di an-
zianità con il meccanismo delle cosiddette quote, valgono anche i contributi
figurativi per disoccupazione e per malattia, a condizione però che il requisito
dei 35 anni di contributi, previsto dalla precedente normativa, sia stato rag-
giunto senza i contributivi figurativi per malattia o disoccupazione.
90
Tabella 2: Età della pensione anticipata per gli assunti dal 1996
Anno Età
2012 63 anni
2013 - 2014 - 2015 63 anni e 3 mesi
2016 - 2017 - 2018 63 anni e 7 mesi
2019 - 2020 64 anni
2021 - 2022 64 anni e 3 mesi
2023 - 2024 64 anni e 5 mesi
2025 - 2026 64 anni e 9 mesi
2027 - 2028 65 anni
2029 - 2030 65 anni e 2 mesi
2031 - 2032 65 anni e 5 mesi
2033 - 2034 65 anni e 8 mesi
2035 - 2036 65 anni e 10 mesi
2037 - 2038 66 anni
2039 - 2040 66 anni e 2 mesi
2041 - 2042 66 anni e 4 mesi
2043 - 2044 66 anni e 6 mesi
2045 - 2046 66 anni e 8 mesi
2047 - 2048 66 anni e 10 mesi
2049 - 2050 67 anni
Incentivi e penalizzazioni
L’obiettivo della riforma introdotta dalla L. 214/2011 è di far rimanere al lavoro
gli italiani più a lungo rispetto al passato. Per questo fu anche introdotto, per
la prima volta, un meccanismo di penalizzazioni e incentivi rispetto alla data
in cui si decide di andare in pensione.
Per chi andava dal 2012 in pensione anticipata prima di compiere i 62 anni di
età era prevista una penalizzazione, da calcolare sulla quota retributiva della
pensione, dell’1% per i primi 2 anni di anticipo e del 2% per gli eventuali
anni in eccedenza. La Legge di Bilancio per il 2016 ha, però, cancellato defi-
nitivamente questa penalizzazione, disponendo, peraltro, che il “taglio” fosse
annullato, senza però alcuna restituzione delle somme trattenute, anche per
coloro che sono andati in pensione dal 2012 al 2015.
91
92
93
• Lavoratori turnisti Coloro che svolgono la loro attività nel periodo notturno
per almeno 6 ore per un numero minimo di giorni lavorativi non inferiore
a 64 all’anno e coloro che prestano la loro attività per almeno 3 ore nell’in-
tervallo tra la mezzanotte e le 5 del mattino per periodi di lavoro di durata
pari all’intero anno lavorativo.
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Dal 2016 il requisito per chi ha diritto al beneficio in misura intera è salito a
quota 97, incrementata anche dell’aumento relativo all’età legato alla speran-
za di vita, quindi quota 97 + 7 mesi (vedi tabella 3 a pagina 95) Per coloro
che hanno tra 72 e 77 notti il requisito arriva a quota 98 + 7 mesi, mentre
per coloro che hanno tra 64 e 71 notti il requisito arriva a quota 99 + 7 mesi.
La L. 232/2016 ha, però, ammorbidito le regole di accesso alla pensione per
queste categorie di lavoratori. Non si applica più la disciplina delle cosiddette
finestre mobili che chiedeva, sino al 31 dicembre 2016, un’attesa di 12 mesi
(18 mesi gli autonomi) dalla data di perfezionamento dei requisiti anagrafici
e contributivi per conseguire il primo rateo e gli adeguamenti alla speranza
di vita sono stati “congelati” fino al 31 dicembre del 2026.
Fino al 2016, poi, la norma prevedeva che per accedere ai benefici per
lavoratori usuranti dal 2018 fosse necessario aver svolto l’attività usurante
per almeno metà della propria vita lavorativa, mentre fino al 2017 era suffi-
ciente aver prestato attività lavorativa usurante per almeno 7 anni nell’ultimo
decennio compreso l’anno del pensionamento. Dal primo gennaio 2017
i due criteri sono alternativi tra di loro e non è più necessario che l’atti-
vità usurante sia quella svolta nell’anno del pensionamento. Pertanto, si
può accedere ai benefici se l’attività usurante è stata svolta o per almeno
7 anni nel decennio precedente la domanda oppure per almeno metà della
propria vita lavorativa.
Gli “esodati”
A seguito delle nuove e più rigide norme per l’accesso alla pensione introdotte
dalla Riforma Fornero, è nata una nuova categoria di soggetti, di cui tanto si è
parlato in questi anni e di cui, forse, si parlerà ancora. Si tratta dei cosiddetti
“esodati” o “salvaguardati”. Sono coloro che, prossimi al pensionamento con
le regole in vigore fino al 2011, si sono visti spostare in avanti, per effetto
delle norme contenute nella Riforma Fornero, il traguardo della pensione,
spesso con l’aggravante di essere nel frattempo rimasti senza un lavoro stabile.
Per risolvere questi casi sono stati previsti dal legislatore ben 8 interventi di
salvaguardia per consentire agli interessati di andare ancora in pensione di
vecchiaia o di anzianità con le “vecchie” regole. Il primo intervento di tutela
è contenuto nella stessa Riforma Fornero mentre l’ultimo in ordine di tempo
è quello previsto dalla Legge di Bilancio per il 2017.
Queste salvaguardie hanno interessato – con requisiti via via diversificati –
i lavoratori in mobilità, gli autorizzati al versamento volontario dei contributi,
i lavoratori in mobilità lunga, i soggetti titolari di prestazione straordinaria a
carico dei fondi di solidarietà, i lavoratori che, per effetto di un accordo indi-
viduale o collettivo, avevano risolto il loro rapporto di lavoro e i lavoratori in
congedo straordinario per l’assistenza ai figli disabili.
96
I requisiti
Per maturare il diritto alla pensione di anzianità in regime di totalizzazione è
indispensabile poter far valere, senza alcun requisito anagrafico, un’anzianità
contributiva complessiva di almeno 40 anni di contributi (2.080 contributi
settimanali) escludendo però dal computo i contributi figurativi per disoccu-
pazione e malattia.
Così come per la pensione di vecchiaia, anche in questo caso per raggiun-
gere il requisito contributivo si sommano solo i periodi di contribuzione non
coincidenti versati nelle diverse gestioni.
Ulteriore condizione richiesta per accedere alla pensione di anzianità in to-
talizzazione è quello di poter anche far valere requisiti diversi da quello
dell’anzianità contributiva eventualmente previsti dai rispettivi ordinamenti
degli istituti previdenziali presso cui sono stati versati i contributi da totalizzare
(per esempio la cessazione del rapporto di lavoro dipendente, la cancellazione
dall’albo professionale ecc.).
Dal 2011 anche la pensione di anzianità in totalizzazione è soggetta al rispetto
della finestra mobile: in pratica la prestazione scatta dal 19° mese successivo
a quello nel quale sono stati raggiunti i 40 anni di versamenti. L’attesa per
l’apertura della “finestra” è, poi, salita di 1 mese nel 2012, di 2 mesi nel 2013 e
di 3 mesi dal 2014 in poi. Fino al 2010, invece, la prestazione non era soggetta
al regime delle finestre e la decorrenza era fissata dal primo giorno del mese
successivo alla maturazione del requisito.
È opportuno, infine, ricordare che dal primo gennaio 2012 la L. 214/2011
ha eliminato il vincolo che impediva l’utilizzo dei contributi per ottenere
la pensione in regime di totalizzazione quando questi erano inferiori a un
triennio. Ora è possibile totalizzare i contributi senza alcun limite minimo,
anche se si trattasse di un solo contributo settimanale. C’è, poi, da precisare
che dal 2013 il requisito dei 40 anni di versamento è adeguato al crescere
dell’aspettativa di vita.
97
98
P0 *
( 1
A–a ) + P1 *
( A–1–a
A–a )
- Ptot Quota di pensione da totalizzazione per gli Enti previdenziali privatizzati;
- P0 Trattamento previdenziale da totalizzazione calcolato con il metodo
vigente nell’Ente previdenziale;
- P1 Trattamento previdenziale da totalizzazione calcolato con il metodo di
cui alle lettere a), b), c) dell’art. 4 comma 3 del D. Lgs. 42/2006;
- A Anzianità di iscrizione richiesta da ciascun Ente per il di Ptot Quota di
pensione da totalizzazione per gli Enti previdenziali privatizzati;
- a Anzianità contributiva maturata presso l’Ente.
99
100
• uno o più contributi mensili accreditati nella gestione separata, anche ac-
cavallati con altra tipologia di versamenti.
I prepensionamenti a carico
delle aziende
Dal 2013 sono tornati, con molte novità e senza oneri per lo Stato, i cosiddetti
“prepensionamenti” ovvero quegli ammortizzatori sociali che prevedono la
conclusione anticipata dell’attività lavorativa e la concessione del trattamento
pensionistico prima del raggiungimento dei requisiti anagrafici e contributivi
previsti dalla legge per l’accesso alla pensione.
La riforma del mercato del lavoro (Legge 92 del 28 giugno 2012) ha previsto,
infatti, all’art. 4, che i datori di lavoro che impieghino in media più di 15 di-
pendenti e le organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresen-
tative possano stipulare, nei casi di eccedenza di personale, accordi a livello
aziendale per incentivare l’esodo dei lavoratori più prossimi al trattamento di
pensione. Questi accordi devono prevedere che il datore di lavoro si impegni
a corrispondere all’INPS la somma di denaro necessaria:
101
102
I trattamenti
di invalidità
Durante il corso della vita non è purtroppo infrequente il caso in cui sopraggiun-
gano infermità che riducono la capacità di lavoro. Per questo motivo la prima
forma di assicurazione, di carattere facoltativo, per questi eventi risale addirittura
al 1898. L’assicurazione divenne poi obbligatoria nel 1919 e con un successivo
provvedimento del 1935, si diede la prima definizione di invalidità pensionabile
rimasta sostanzialmente in vigore fino al 1984: “si considera invalido l’assicurato
la cui capacità di guadagno, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia
ridotta in modo permanente a meno di un terzo del suo guadagno normale”.
Nel 1984, con la L. 222, tutta la materia dell’invalidità pensionabile è stata rivi-
sta, accantonando il concetto di capacità di guadagno e introducendo quello
di capacità di lavoro. Dal maggio del 1984, dunque, in base alla percentuale di
riduzione della capacità lavorativa e ai contributi maturati, la legge prevede che
l’interessato può aver diritto all’assegno di invalidità o alla pensione di inabilità.
L’assegno di invalidità
L’assegno di invalidità è una prestazione erogata dall’INPS che spetta ai lavora-
tori dipendenti e autonomi con un’infermità fisica o mentale tale da provocare
una riduzione permanente della capacità lavorativa.
103
Il requisito sanitario
La riduzione della capacità di lavoro viene accertata dai medici dell’INPS,
tenendo conto di fattori soggettivi, come età, sesso, esperienza professionale,
che servono a determinare le attitudini del lavoratore e del lavoro svolto
precedentemente.
In merito al requisito sanitario non vi è più, contrariamente alla vecchia
pensione di invalidità, alcun riferimento alla capacita di guadagno, ma alla
capacità di lavoro, eliminando così ogni incidenza di fattori non biologici
nella definizione di invalidità pensionabile.
La valutazione medico-legale deve tener conto della possibilità, da parte
del lavoratore, di svolgere attività compatibili, in concreto realizzabili, in
occupazioni anche diverse da quelle precedentemente espletate, ma confa-
centi alle attitudini e alle capacità professionali della persona. Se si accerta
che l’assicurato non è in condizione di svolgere le precedenti mansioni,
la valutazione medica ai fini della determinazione del grado di invalidità
deve verificare se esiste per lui la possibilità di svolgere attività comunque
consone alle sue attitudini, in relazione a una serie di fattori, quali l’età,
il sesso, l’esperienza e le attitudini professionali. Il giudizio, in sostanza, è
assolutamente individualizzato: esso è definibile come idoneità a utilizzare
con profitto le energie lavorative indipendentemente da fattori economici,
sociali, ambientali.
104
Il requisito contributivo
Il lavoratore alla data di presentazione della domanda deve avere, come
minimo, 5 anni di assicurazione e contribuzione (260 contributi settimanali),
di cui almeno 3 (156 contributi settimanali) versati nei 5 anni precedenti
la domanda. Così, per esempio, se un lavoratore presenta la domanda di
assegno di invalidità il primo dicembre 2018, i 3 anni di contributi devono
riferirsi al periodo che va dal 30 novembre 2018 al 30 novembre 2016.
C’è poi da ricordare che l’assegno di invalidità viene trasformato d’ufficio
dall’INPS in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile, se
l’interessato può far valere gli anni di contributi richiesti.
Non è invece possibile trasformare l’assegno di invalidità in pensione anti-
cipata (la vecchia pensione di anzianità). Se si hanno i requisiti per questa
prestazione, occorrerà attendere la scadenza triennale dell’assegno e, inve-
ce di inoltrare la richiesta di conferma per la prestazione per un ulteriore
triennio, presentare la domanda di pensione anticipata.
Quanto spetta
Il criterio di calcolo dell’assegno di invalidità è del tutto simile a quello
applicato alla pensione di vecchiaia o anticipata. Al lavoratore riconosciuto
invalido viene erogata una pensione di importo pari a quello a cui avrebbe
diritto se, invece dell’assegno di invalidità, gli fosse liquidata la pensione
di vecchiaia.
105
Contributi successivi
I contributi versati o accreditati successivamente alla data di decorrenza dell’as-
segno non sono persi ma danno diritto alla liquidazione di supplementi se-
condo le regole generali. Se, dunque, dopo la concessione dell’assegno si è
continuato a versare i contributi, la domanda di supplemento va inoltrata non
prima di 5 anni dalla data di decorrenza dell’assegno o dalla data di decorrenza
di un precedente supplemento.
106
Per gli assegni di invalidità liquidati prima del primo settembre 1995 non c’è
stata alcuna riduzione ma solo una “cristallizzazione” della rata in pagamento.
Se l’assegno ridotto resta comunque superiore al minimo INPS (513,01 euro nel
2019) può subire un secondo taglio. Tutto dipende dal numero dei contributi
sulla base dei quali è stato calcolato:
• con almeno 40 anni di contributi non c’è alcuna trattenuta aggiuntiva, perché
in questo caso l’assegno è interamente cumulabile con il reddito da lavoro
dipendente o autonomo;
• con meno di 40 anni di contributi scatta la seconda trattenuta che varia a
seconda che il reddito provenga da lavoro dipendente o autonomo. Nel
primo caso è pari al 50% della quota eccedente il minimo INPS. Nel secondo
caso invece è pari al 30% e comunque non può essere superiore al 30%
del reddito prodotto.
La pensione di inabilità
A differenza dell’assegno ordinario di invalidità, per ottenere il quale la ri-
duzione della capacità di lavoro è parziale, la pensione di inabilità, prevista
dalla stessa L. 222/1984, è la prestazione erogata quando c’è una riduzione
assoluta della capacità lavorativa. Infatti è considerato inabile chi, a causa di
un’infermità o di un difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente
impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. L’incapacità lavorativa è
accertata dai medici dell’INPS.
Anche per avere diritto alla pensione di inabilità, come per l’assegno ordinario
di invalidità, è necessario che l’assicurato sia in possesso del requisito sanitario
e di quello contributivo.
Il requisito sanitario
Il requisito sanitario dell’inabilità è la presenza di un’infermità o un difetto
fisico o mentale che provochi l’assoluta e permanente impossibilità di svol-
gere qualsiasi attività lavorativa. Si tratta, dunque, di un’incapacità piena e
incondizionata a svolgere un qualsiasi lavoro.
107
Il requisito contributivo
I requisiti di assicurazione e di contribuzione per aver diritto alla pensione di
inabilità sono gli stessi previsti per l’assegno ordinario di invalidità, e cioè al
momento della presentazione della domanda l’interessato deve avere almeno
5 anni di assicurazione e contribuzione in tutta la vita assicurativa, di cui 3
anni nel quinquennio precedente la domanda.
Una volta accertata l’esistenza del requisito contributivo e di quello sanitario,
una ulteriore condizione per poter corrispondere la pensione è che il lavoratore
abbia cessato qualsiasi attività lavorativa, non solo da lavoratore dipendente
ma anche da lavoratore autonomo. Per vedersi riconoscere la pensione di
inabilità occorre, quindi, anche la cancellazione dagli elenchi dei lavoratori
autonomi e dagli albi professionali.
La pensione di inabilità decorre, se sussistono i requisiti previsti, dal primo
giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda. Nel
caso in cui la persona si dimetta dall’attività da dipendente o si cancelli dagli
elenchi o dagli albi, dopo la presentazione della domanda, la pensione sarà
corrisposta a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello delle
dimissioni o della cancellazione, purché a tale data sia cessata ogni attività
lavorativa dipendente o autonoma.
Quanto spetta
Il sistema di calcolo della pensione di inabilità è diverso da quello adottato per
l’assegno di invalidità. Questa prestazione viene, infatti, calcolata aggiungendo
ai periodi contributivi versati l’anzianità mancante al raggiungimento dell’età
pensionabile. In pratica, il calcolo della pensione di inabilità viene effettuato
aumentando l’anzianità contributiva effettivamente posseduta di un numero
di settimane pari a quelle comprese tra la decorrenza della pensione di ina-
bilità e la data di compimento dell’età pensionabile dei lavoratori dipendenti
in vigore prima della Riforma Amato del 1992 (60 e 55 anni, rispettivamente
per uomini e donne). In ogni caso non può essere riconosciuta un’anzianità
contributiva nel complesso superiore a 40 anni. Per le pensioni di inabilità, i
cui titolari avevano al 31 dicembre 1995 un’anzianità contributiva superiore
a 18 anni, la maggiorazione convenzionale era determinata con il sistema
retributivo, tenendo conto dell’età pensionabile di 60 anni (uomini) e 55 anni
(donne) per le pensioni dei lavoratori dipendenti e di 65 anni (uomini) e 60
anni (donne), per le pensioni dei lavoratori autonomi. Se, invece, la pensione
di inabilità deve essere liquidata, integralmente o in pro-rata, con la formula
contributiva la maggiorazione si calcola aggiungendo al montante individuale
posseduto dal soggetto all’atto del riconoscimento del diritto alla pensione
di inabilità una ulteriore quota di contribuzione riferita al periodo mancante
108
al raggiungimento dei 60 anni di età (sia per gli uomini che per le donne).
Vale anche in questa ipotesi, il limite dei 40 anni di anzianità complessiva.
Il montante della maggiorazione è calcolato sulle basi annue pensionabili
possedute negli ultimi cinque anni appositamente rivalutate. Il coefficiente
di trasformazione è quello riferito ai soggetti che hanno 57 anni di età. Per
effetto dell’abolizione dal 2012 del sistema di calcolo retributivo, per tutte le
pensioni di inabilità concesse successivamente a questa la maggiorazione di
cui stiamo parlando è determinata con il criterio che abbiamo appena esposto.
109
ne privilegiata”. Si tratta di casi assai rari, più che altro di eventi già coperti
dall’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro gestita dall’INAIL.
La pensione privilegiata può essere diretta, se corrisposta all’interessato, o
indiretta, se corrisposta agli eredi.
110
Il ricorso
Nei casi in cui la domanda viene respinta per mancanza dei requisiti, l’interes-
sato può presentare ricorso in carta semplice al Comitato provinciale dell’INPS,
entro 90 giorni dalla data di notifica della decisione.
Il ricorso deve essere presentato in via telematica, direttamente dall’in-
teressato o tramite uno degli Enti di Patronato riconosciuti dalla legge,
alla sede INPS che ha respinto la domanda, utilizzando esclusivamente il
canale telematico.
111
La pensione di inabilità
in totalizzazione
Tra i trattamenti pensionistici conseguibili ricorrendo alla totalizzazione, di
cui abbiamo già parlato nel capitolo 4 dedicato alla pensione di vecchiaia,
c’è anche la pensione di inabilità. Il diritto alla pensione di “inabilità assoluta
e permanente” viene conseguito in base ai requisiti di assicurazione e di con-
tribuzione richiesti nella forma pensionistica nella quale il lavoratore è iscritto
al momento in cui si verifica lo stato invalidante.
I requisiti per ottenere questa prestazione sono:
112
113
La pensione
di reversibilità
Tra gli eventi tutelati dal nostro sistema previdenziale vi sono le conseguenze
economiche che ricadono sulla famiglia quando muore un lavoratore assicurato
oppure un pensionato. È prevista, in genere, l’attribuzione di una pensione ai
familiari superstiti in presenza di determinate condizioni.
La decorrenza della prestazione scatta dal mese successivo alla data di morte
del lavoratore, anche se la domanda da parte del superstite è stata inoltrata
in ritardo.
115
scatta solo a condizione che siano perfezionati gli stessi requisiti contributivi
richiesti per la pensione indiretta, di cui parliamo nel prossimo paragrafo,
includendo nel computo dell’anzianità contributiva anche il periodo di
godimento dell’assegno.
A chi spetta
Una volta esaminati i requisiti richiesti per ottenere la pensione di reversibili-
tà, vediamo, ora nel dettaglio a quali parenti dell’assicurato o del pensionato
spetta la pensione destinata ai superstiti, a quali condizioni e con che modalità
è necessario presentarne richiesta all’INPS (vedi la tabella 1 a pagina 120).
Al coniuge
Il diritto alla pensione, per la moglie o il marito superstite, è automatico. In
caso di separazione, la pensione spetta anche al coniuge separato. Se però la
separazione è “addebitabile” al superstite, si ha diritto alla pensione solo nel
caso in cui si risulti titolare di assegno di mantenimento stabilito dal Tribunale.
La pensione spetta anche al coniuge divorziato. Si possono presentare situazioni
diverse se vi sia o meno un coniuge superstite. Nel caso in cui il defunto non
si fosse risposato, il “superstite” divorziato ha diritto alla pensione in presenza
delle seguenti condizioni:
116
• il deceduto deve aver maturato i requisiti per la pensione o essere già titolare
di pensione alla data della morte.
Ai figli
La pensione ai superstiti compete anche ai figli (legittimi, legittimati, adotti-
vi, affiliati, naturali, legalmente riconosciuti o giudizialmente dichiarati, nati
da precedente matrimonio dell’altro coniuge) che alla data della morte del
genitore, siano:
• minori di 18 anni;
• studenti di scuola media superiore di età compresa tra i 18 e i 21 anni, che
siano a carico del genitore e che non svolgano alcuna attività lavorativa;
• studenti universitari per tutta la durata del corso legale di laurea e comunque
non oltre i 26 anni, che siano a carico del genitore e che non svolgano alcuna
attività lavorativa (la pensione spetta anche ai figli studenti universitari che
hanno ultimato o interrotto il corso di studi e ottenuto l’iscrizione ad altro
corso di laurea sempre nei limiti del 26° anno di età);
• inabili di qualunque età, a carico del genitore.
117
Ai genitori
Quando mancano o non hanno diritto il coniuge e i figli, la pensione ai su-
perstiti può essere riconosciuta ai genitori del lavoratore deceduto, purché:
A fratelli e sorelle
La pensione può spettare ai fratelli celibi e alle sorelle nubili, quando mancano
o non hanno diritto alla prestazione il coniuge, i figli e i genitori, a condizione
che alla data del decesso del lavoratore risultino:
Ai nipoti a carico
Anche al nipote che è a carico del nonno spetta la pensione di reversibilità.
Questo diritto è riconosciuto dalla sentenza 180/1999 della Corte Costituzionale.
Partendo dalla convinzione che i trattamenti di reversibilità sono finalizzati
a far proseguire nel tempo in favore dei familiari bisognosi la protezione
economica che discende dalla titolarità di una pensione, la Corte ha esteso il
diritto alla reversibilità anche ai nipoti che, seppur non formalmente “affidati”
dal giudice, vivono notoriamente con i nonni e la cui unica fonte di sosten-
tamento è appunto la pensione di questi ultimi.
118
• uno stato di bisogno del superstite determinato dalla sua condizione di non
autosufficienza economica;
• il mantenimento del superstite da parte del lavoratore deceduto, che può
essere provato dall’effettivo comportamento di quest’ultimo nei confronti
del minore.
119
120
L’inabilità e il lavoro
Per il riconoscimento del diritto alla pensione ai superstiti si considerano inabili,
secondo quanto esplicitamente indicato dall’art. 8 della L. 222/1984, che ha
riformato i trattamenti di invalidità a carico dell’INPS, “le persone che si trovino
nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa”.
Fino all’approvazione della L. 31/2008, la concessione della pensione ai superstiti
era preclusa nel caso in cui l’inabile svolgesse una qualsiasi attività lavorati-
va, anche part-time, al momento della scomparsa del genitore. L’art. 46 della
L. 31/2008 ha introdotto un’eccezione in tal senso: l’attività lavorativa svolta
con finalità terapeutica dai figli riconosciuti inabili, con orario non superiore
alle 25 ore settimanali, presso le cooperative sociali, o presso datori di lavoro
che assumono persone disabili con convenzioni di integrazione lavorativa, non
preclude l’erogazione della pensione di reversibilità.
L’INPS ha precisato quali verifiche sono necessarie per riconoscere il diritto
alla prestazione in queste ipotesi.
La prima riguarda l’azienda datrice di lavoro, che:
C’è, poi, da precisare che l’orario del lavoratore non deve superare le 25 ore
settimanali.
Il secondo accertamento riguarda la natura terapeutica dell’attività lavorativa.
Essa deve avere sia una funzione terapeutica sia di inclusione sociale accertata
dall’INPS attraverso i propri sanitari.
A quanto ammonta
Le quote dovute ai familiari vengono calcolate sulla pensione che sarebbe
spettata al lavoratore al momento del decesso, comprensiva, se risulta troppo
bassa, dell’eventuale integrazione al trattamento minimo, salvo il caso in cui
il lavoratore non avesse alcun contributo antecedente il 1996 e, per questo
motivo, fosse inserito nel sistema contributivo. La pensione spetta in percen-
tuale diversa a seconda del grado di parentela degli aventi diritto:
121
Nell’ipotesi in cui più soggetti abbiano diritto alla pensione, la somma delle
diverse aliquote non può superare, comunque, il 100% della pensione cui
aveva diritto l’assicurato o il pensionato al momento del decesso.
Morte presunta
In casi di assenza prolungata, a cui si affianchi la totale mancanza di notizie
o di reperibilità per almeno 10 anni del lavoratore, può essere chiesta al
Tribunale una sentenza dichiarativa di morte presunta.
Tale sentenza costituisce titolo per il riconoscimento della prestazione ai su-
perstiti che, una volta in possesso della sentenza, potranno chiedere all’INPS
la liquidazione della pensione, con decorrenza dal primo giorno del mese
successivo a quello a cui risale l’ultima notizia dell’assente.
122
La clausola di salvaguardia
La normativa prevede una clausola di tutela per coloro che hanno redditi di
poco superiori al limite di fascia. In questa ipotesi, il trattamento comples-
sivo derivante dal reddito più la pensione ridotta non può essere inferiore a
123
quello che sarebbe spettato allo stesso soggetto in possesso di redditi pari al
limite previsto nella fascia precedente. Per calcolare l’importo della pensione
“cumulabile” bisogna, allora, innanzi tutto individuare la fascia di reddito in
cui ci si colloca, trovando così l’importo in percentuale teoricamente spettante,
che andrà sommato ai redditi personali. Una volta fatta questa operazione,
è necessario poi confrontare il risultato ottenuto con quello che si ottiene
addizionando il limite massimo della fascia precedente con l’importo della
pensione in percentuale della fascia stessa. Dall’importo più alto delle due
somme va detratto il reddito personale: il risultato ottenuto sarà l’importo della
pensione spettante. Nella tabella 2 è riportato un esempio.
I redditi da valutare
Ai fini del cumulo, vengono considerati “redditi” tutti quelli assoggettati all’
IRPEF (compresi quelli esteri), al netto dei trattamenti di famiglia e dei con-
tributi previdenziali e assistenziali. Sono esclusi:
124
La doppia annualità
Il nuovo matrimonio contratto dal coniuge superstite, titolare di pensione di
reversibilità, fa perdere il diritto alla pensione stessa.
In tal caso, al coniuge viene corrisposta una doppia annualità della quota di
pensione, comprensiva della 13a mensilità. Se la pensione spettante è integrata
al trattamento minimo, l’importo dell’assegno viene pagato dall’INPS tenendo
conto di questa integrazione.
Nel caso che la pensione risulti erogata, oltre che al coniuge, anche ai figli,
essa deve essere nuovamente liquidata in favore di questi ultimi applicando
le aliquote previste in relazione alla diversa composizione del nucleo familia-
re. Se, infine, c’è coesistenza di quote di pensione per coniuge superstite ed
ex-coniuge divorziato, quest’ultimo, in caso di matrimonio del primo, perde
il diritto alla sua quota.
125
126
Lavorare
all’estero
127
hanno prestato lavoro in paesi non convenzionati. Eccoli tutti i paesi con-
venzionati elencati qui di seguito:
• Argentina;
• Australia;
• Brasile;
• Canada e Québec;
• Israele;
• Isole del Canale e Isola di Man;
• Principato di Monaco;
• Repubblica di Capo Verde;
• Repubblica di San Marino;
• Santa Sede;
• Tunisia;
• Turchia;
• USA (Stati Uniti d’America);
• Uruguay;
• Venezuela;
• Bosnia ed Erzegovina;
• Repubblica del Kosovo;
• Repubblica di Macedonia;
• Repubblica di Montenegro;
• Repubblica di Serbia e Vojvodina.
La normativa internazionale
di sicurezza sociale
La normativa internazionale di sicurezza sociale, peraltro assai complessa,
introduce negli ordinamenti degli Stati contraenti, le disposizioni di coordi-
namento necessarie a garantire la tutela assicurativa dei lavoratori migranti
sulla base di 3 principi fondamentali:
128
Che cosa deve fare un lavoratore che ha periodi di lavoro anche all’estero e
che vuole ottenere la pensione? Come farsi riconoscere i contributi versati nei
paesi membri dell’Ue o in quelli con i quali l’Italia ha stipulato convenzioni o
accordi internazionali in materia di sicurezza sociale? Dopo quanti anni si può
chiedere la pensione? E se nel paese estero non c’è un sistema pensionistico?
Cerchiamo di dare una risposta a tutte queste domande.
La totalizzazione estera
La totalizzazione, ovvero la somma virtuale dei contributi versati nei diversi
regimi previdenziali italiani ed esteri, è disciplinata da norme assai complesse
e per di più diverse tra convenzione e convenzione. Per questo motivo occor-
re innanzitutto differenziare la posizione di chi è emigrato in uno dei paesi
dell’Unione Europea da quella di chi ha lavorato in paesi extracomunitari
legati all’Italia da convenzioni bilaterali.
Nel primo caso, infatti, è possibile effettuare la totalizzazione dei periodi di
contribuzione versata in tutti i paesi dell’Unione alla sola condizione di essere,
al momento della domanda di pensione, cittadino di uno degli Stati membri.
Nel secondo caso, invece, si possono cumulare solo i periodi italiani con
quelli dei paesi UE oppure solo i periodi italiani con quelli del paese legato
all’Italia da convenzione bilaterale. È possibile, però, cumulare i contributi
italiani con quelli versati in altri paesi UE e con quelli extracomunitari a con-
129
dizione che i paesi esteri dove sono stati versati i contributi siano legati tra
di loro da convenzione.
Di fatto può accadere che, in presenza di una posizione previdenziale com-
plessivamente sufficiente a maturare il diritto alla pensione, ma frazionata in
diversi Stati, il lavoratore non maturi il diritto a nessuna pensione perché i
periodi non sono tra di loro totalizzabili.
A ogni regola c’è, però, la dovuta eccezione: vi sono, infatti, alcune convenzioni
bilaterali che consentono la totalizzazione dei contributi con quelli versati in
altri paesi che risultino legati da accordi internazionali in materia di sicurezza
sociale sia all’Italia sia allo Stato contraente.
Questa possibilità è ammessa dalle convenzioni bilaterali con Argentina,
Croazia, Svezia, Svizzera, Uruguay, Repubblica di Capoverde e Spagna che
prevedono, se necessario, il cumulo dei periodi assicurativi anche con altri
paesi (vedi tabella 1 sottostante).
130
ESEMPIO PRATICO
Prendiamo il caso di un lavoratore che abbia 19 anni di contributi versati in Italia
e 16 in Francia. Dapprima si calcola la pensione italiana sulla base di 35 anni
di contributi; la pensione “teorica” così ottenuta viene ridotta al 54% circa del
suo importo, in quanto deve essere rapportata ai soli 19 anni di contributi italia-
ni e i 19 anni sono, appunto, il 54% circa dei complessivi 35 anni “totalizzati”.
131
In paesi Ue o convenzionati
Se il lavoratore è inviato a lavorare in un’azienda presente nel territorio dell’Unio-
ne Europea, oppure in un paese convenzionato, la situazione è più complessa.
Normalmente il principio generale che si applica in questi casi è quello di
territorialità, secondo il quale il lavoratore deve essere assicurato nel paese in
cui svolge la propria attività lavorativa.
È consentito, però, mantenere il regime previdenziale del paese di provenienza
in caso di attività lavorativa all’estero per un periodo limitato, dando luogo
all’istituto del “distacco”.
Secondo una Direttiva dell’Unione Europea del maggio 1996 per parlare di
distacco occorre rispettare alcune condizioni.
La prima è quella che il distacco può essere riconosciuto solo se sussiste un
legame organico tra impresa distaccante e lavoratore distaccato. La presenza
di questo legame è riconoscibile dal mantenimento del rapporto di subordi-
nazione con l’impresa distaccante durante tutto il periodo di distacco, oltreché
da altri elementi accessori.
Pertanto non si può parlare di distacco quando l’impresa metta il lavoratore
132
133
Il trattamento minimo
e le maggiorazioni sociali
Il “trattamento minimo”
Il trattamento minimo è un’integrazione che lo Stato, tramite l’INPS, corri-
sponde al pensionato quando la pensione retributiva (la regola non vale per
la contributiva), calcolata in base agli anni di versamento e agli stipendi per-
cepiti, è al di sotto dell’importo che si considera il minimo vitale. In tal caso
l’importo della rendita è aumentato fino a raggiungere una cifra massima,
stabilita annualmente dalla legge.
Fino al settembre 1983 il diritto a percepire il “minimo” non era condizionato
dal reddito e, pertanto, nel caso in cui la pensione effettivamente spettante
135
136
A partire dal 1994 il diritto al “minimo” è condizionato oltre che dal reddi-
to personale del richiedente anche dal reddito del coniuge. Il “minimo” si
può ottenere solo se il reddito complessivo di marito e moglie non supera
4 volte l’importo annuo del trattamento minimo, calcolato in misura pari a
13 volte l’importo mensile in vigore all’inizio dell’anno. In pratica si deve
superare un doppio sbarramento: prima si vanno a vedere i redditi personali
e, solo se questi non vanno oltre il limite indicato, si va a verificare quello
della coppia. Per il 2019 il reddito personale da non superare è fissato in
6.669,13 euro annui mentre quello cumulato con il coniuge è stabilito in
26.676,52 euro.
La “cristallizzazione”
Ma cosa accade se, una volta ottenuto il trattamento minimo, si supera suc-
cessivamente la soglia di reddito prevista? In questo caso al pensionato è ga-
rantita la conservazione del trattamento minimo nell’importo che gli spettava
alla data di cessazione del diritto all’integrazione (in termine tecnico è detta
“cristallizzazione”), fino a quando quest’importo non viene superato per effetto
di successivi incrementi, compresi gli aumenti di perequazione automatica
sulla pensione “base” o “a calcolo”.
Poiché il reddito considerato per l’integrazione è quello relativo a tutto
l’anno, la pensione viene cristallizzata, di regola, a partire dal primo gen-
naio dell’anno interessato, nell’importo in pagamento nel mese precedente
(dicembre).
137
138
La maggiorazione sociale
È una prestazione mensile, di carattere assistenziale aggiuntiva della pensione,
che spetta, a domanda, a condizione che i pensionati abbiano compiuto 60
anni di età e non posseggano redditi di qualsiasi natura, personali e cumulati
con quelli del coniuge, superiori a determinati limiti. Nei redditi da considerare
è compreso l’importo della pensione da maggiorare.
I requisiti anagrafici
Per poter ottenere l’incremento della maggiorazione sociale, i titolari di pen-
sione devono avere almeno 70 anni di età, che possono calare fino a 65 anni
in ragione di un anno di età ogni 5 anni di contribuzione. Si può ottenere la
riduzione di un anno anche se si è in possesso di un periodo di contribuzione
139
Da 1.170 in poi 5 65
I requisiti reddituali
La maggiorazione può essere concessa ai beneficiari di pensione e ai titolari
di prestazioni assistenziali che possiedano, per il 2019, redditi propri inferiori
a 8.442,85 euro, se non coniugati, oppure, se coniugati, possiedano redditi
personali inferiori a 8.442,85 euro e redditi totali che, sommati a quelli del co-
niuge, siano inferiori a 14.396,72 euro. Per determinare il reddito personale o
familiare del pensionato si fa riferimento non solo ai redditi soggetti all’IRPEF
ma anche a quelli esenti e a quelli con ritenuta alla fonte. Non si tiene conto
del reddito della casa di abitazione, della pensione di guerra, dell’indennizzo
in favore di persone danneggiate da complicanze di tipo irreversibile a causa di
vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, delle
indennità di accompagnamento, dell’importo aggiuntivo di 154,94 euro previsto
dalla Finanziaria 2001, dei trattamenti di famiglia e dei sussidi assistenziali, pagati
da Enti pubblici, purché non abbiano carattere continuativo.
Le altre maggiorazioni
I pensionati che non hanno ancora compiuto 70 anni e non hanno diritto ad
alcuna riduzione dell’età, possono avere diritto, se i redditi lo consentono, agli
importi di maggiorazione sociale previsti dalla precedente normativa, secondo
quanto indicato nella tabella 2 a pagina 141.
140
Da 6.669,13 € Da 12.623 €
Intera
e fino a 7.743,45 € e fino a 13.697,32 €
Gli interessati
Sono interessati all’aumento i pensionati ex lavoratori dipendenti o ex autono-
mi di età superiore ai 64 anni, il cui reddito personale non superi una volta e
mezzo o due volte il trattamento minimo in vigore. Per l’anno 2019, in conside-
razione del fatto che il trattamento minimo mensile è fissato a 513,01 euro, la
soglia di reddito da non superare è, nel primo caso, pari a 10.003,70 euro lordi
(513,01 euro 13 x 1,5) pari a un reddito mensile lordo di 769,62 euro (x 13 mesi).
In questa ipotesi gli importi spettanti a titolo di quattordicesima sono quelli indicati
nella tabella 3 a pagina 142. Per l’anno 2019 la soglia di reddito da non superare
è, invece, pari, nel secondo caso, a 13.338,26 euro lordi (513,01 euro x 13 x 2)
uguale a un reddito mensile di 1.026,02 euro lordo (x 13 mensilità). In questo
caso gli importi sono quelli indicati nella tabella 4 a pagina 142. Per evitare che
gli aumenti siano distribuiti a pioggia, appiattendo le differenze tra chi ha pagato
più contributi e chi ne ha versati di meno, il provvedimento ha differenziato l’im-
porto del beneficio in base agli anni di contributi versati per ottenere la pensione.
141
Tabella 3: Somma aggiuntiva anno 2018 per redditi fino a 9.894,69 euro
Lavoratori dipendenti Lavoratori autonomi Somma aggiuntiva
(anni di contribuzione) (anni di contribuzione)
Fino a 15 Fino a 18 437 €
Tabella 4: Somma aggiuntiva anno 2018 per redditi fino a 13.192,92 euro
Lavoratori dipendenti Lavoratori autonomi Somma aggiuntiva
(anni di contribuzione) (anni di contribuzione)
Fino a 15 Fino a 18 336 €
ESEMPIO PRATICO
Per comprendere il meccanismo ipotizziamo il caso di un pensionato con 30
anni di contributi e con un reddito personale di 13.500 euro. In questa ipotesi
il reddito del pensionato è superiore al limite degli 13.338,26 euro ma è infe-
riore ai 13.842,26 euro ovvero alla somma del reddito richiesto per ottenere
l’aumento più l’importo del beneficio che, nel caso di un pensionato con più
di 30 anni di contributi, è di 504 euro. L’incremento che sarà pagato dall’INPS
sarà di 396,92 euro che, sommati a 13.300,00 euro del suo reddito personale,
gli consentiranno di non superare la soglia di 13.696,92 euro.
142
I requisiti
Per poter ottenere il bonus il pensionato “single” non deve godere di redditi
assoggettabili all’IRPEF d’importo superiore a una volta e mezza il tratta-
mento minimo. Se il titolare della pensione è coniugato, allora occorre tener
conto anche dei redditi del coniuge. In questo caso il reddito della coppia
non deve superare tre volte il trattamento minimo. I redditi da considerare
sono quelli assoggettabili a IRPEF e coincidono con quelli da prendere in
considerazione per l’integrazione al trattamento minimo. L’assegno non costi-
tuisce reddito, né ai fini fiscali né ai fini della corresponsione di prestazioni
previdenziali e assistenziali.
143
Negli ultimi anni si sono succedute modifiche normative circa l’arco temporale
da prendere in considerazione per stabilire se il pensionato abbia o meno
diritto a queste prestazioni assistenziali. Ciò ha provocato negli interessati
difficoltà oggettive a comprendere se si abbia o meno diritto ai benefici. Ecco,
allora, periodo per periodo, come sono cambiate le cose.
Le novità cominciano con l’entrata in vigore della L. 14/2009 che, con l’art.
35, modifica la vecchia disciplina in merito al periodo da prendere come
riferimento per la valutazione dei redditi e stabilisce che l’anno di reddito da
prendere in considerazione può essere differente, a seconda che si tratti di
una prima concessione o di una prestazione già corrisposta negli anni pre-
cedenti. Lo stesso art. 35 prevede poi che, a decorrere dall’entrata in vigore
della legge (ovvero dal primo aprile 2009), ai fini della liquidazione o della
ricostituzione delle prestazioni previdenziali e assistenziali collegate al reddi-
to, il reddito da dichiarare è quello conseguito dal pensionato e dal coniuge
nell’anno solare precedente il primo luglio di ogni anno, e ha valore per il
pagamento della prestazione fino al 30 giugno dell’anno successivo. Lo stesso
art. 35 al comma 9 prevede inoltre che, la prima volta che viene liquidata
una prestazione, il reddito da dichiarare sia quello dell’anno di decorrenza
della prestazione, dichiarato in via presuntiva. Questo meccanismo si applica
anche alle prestazioni degli invalidi civili (vedi la tabella 5 a pagina 145).
144
Dal primo luglio 2009 Anno in corso Anno in corso Dal primo luglio
al 31 maggio 2010 al 31 dicembre 2009:
anno 2009
Dal primo gennaio al 31
maggio 2010: anno 2010
Dal primo giugno 2010 Anno in corso Anno in corso Anno in corso
Dal primo luglio 2009 Anno precedente Anno precedente Dal primo luglio
al 31 maggio 2010 (2008) (2008) al 31 dicembre 2009:
anno 2009
Dal primo gennaio al 31
maggio 2010: anno 2010
Dal primo giugno 2010 Anno in corso Anno precedente Anno in corso
145
146
Fare i conti
L’operazione non è certamente agevole, ma con l’aiuto delle tabelle e degli
esempi che seguono è possibile determinare quale sarà la rendita per gli anni
della nostra vecchiaia. Occorre solo armarsi di carta, penna e calcolatrice e
di un pizzico di attenzione.
147
I sistemi di calcolo
Prima di avventurarci in calcoli e coefficienti necessari a determinare l’importo
di quella che sarà la nostra fonte di sostentamento negli anni della vecchiaia è
necessario ricordare che la L. 335/1995 aveva previsto tre diversi tipi di sistemi
di calcolo delle pensioni INPS a seconda della consistenza della posizione
assicurativa (o, più semplicemente, il numero delle settimane di contribuzione)
esistente al 31 dicembre 1995 e cioè:
148
Per la verifica dei 18 anni di versamento, pari a 936 settimane, valgono tutti i
contributi versati e accreditati che si collocano tra l’inizio dell’assicurazione e
il 31 dicembre 1995.
È valutata, quindi, tutta la contribuzione obbligatoria, volontaria, figurativa,
da riscatto e da ricongiunzione.
Sono utili anche i contributi versati nelle gestioni speciali dei lavoratori au-
tonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti) collocati temporalmente
entro il 31 dicembre 1995 e non sovrapposti anche se non saranno utilizzati
in sede di prima liquidazione della pensione.
Allo stesso modo vale anche la contribuzione versata all’estero in paesi dell’U-
nione Europea o legati all’Italia da regolamenti di sicurezza sociale.
Il doppio calcolo
Per chi era nel “vecchio” sistema retributivo occorre ricordare che L. 190/2014
ha stabilito che l’importo complessivo del trattamento pensionistico nel siste-
ma misto non può essere superiore a quello che sarebbe stato liquidato con
l’applicazione delle regole di calcolo vigenti prima della data di entrata in
vigore della Riforma Fornero.
La norma interessa i lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria
gestita dall’INPS e a tutte le forme sostitutive ed esclusive della stessa (INPDAP,
IPOST, ENPALS ecc.):
149
• Il primo calcolo sarà fatto applicando i criteri previsti dalla Riforma Fornero
ovvero determinando l’importo della pensione con il sistema retributivo per i
versamenti maturati al 31 dicembre del 2011 e con il sistema contributivo per
quelli maturati dal primo gennaio 2012 e fino al momento della pensione.
Il calcolo retributivo
Per determinare l’importo della quota mensile di pensione “retributiva” è ne-
cessario conoscere i due elementi necessari per il calcolo:
Anzianità contributiva
Il primo elemento da considerare è l’“anzianità contributiva” ovvero il numero
dei contributi settimanali accreditati presso l’INPS.
Concorrono, come abbiamo detto in precedenza, a ottenere il totale dell’an-
zianità contributiva: i contributi versati dalle aziende, quelli versati come
contributi volontari, quelli “figurativi” (per periodi di malattia, di maternità,
150
La retribuzione pensionabile
L’ulteriore elemento per calcolare la pensione retributiva è la “retribuzione pen-
sionabile”, ovvero la media degli stipendi percepiti degli ultimi anni di lavoro.
Per adeguare al valore attuale gli stipendi degli anni passati, le retribuzioni
di ciascun anno sono rideterminate con appositi coefficienti di rivalutazione
forniti annualmente dall’ISTAT; una volta rivalutati gli stipendi, essi si som-
mano per ottenere la retribuzione complessiva degli anni da utilizzare per il
calcolo della pensione.
Per le pensioni del 2018 ci sono due distinte “retribuzioni pensionabili”, riva-
lutate sulla base di due diversi coefficienti.
Le pensioni retributive sono, infatti, composte di due quote:
• la prima (la cosiddetta “quota A”), calcolata sulla base delle anzianità tota-
lizzate alla data del 31 dicembre 1992 e con in principi vigenti prima della
riforma del 1992;
• la seconda (la “quota B”), invece, è determinata con nuovi criteri per gli anni
di contribuzione maturati dopo il primo gennaio 1993 e fino al momento
del pensionamento ma non oltre, comunque, il 31 dicembre 2011.
151
152
La quota A
La prima quota, la cosiddetta quota A, si ricava da questa formula: A (anzianità
contributiva) x B (retribuzione media settimanale) x 0,0015384, dove A è
l’anzianità contributiva, indicata in settimane, maturata fino a tutto il 1992, B è
la retribuzione media settimanale calcolata sulle ultime 260 settimane, mentre
0,0015384 è il coefficiente fisso da applicare fino a una retribuzione media
settimanale inferiore a 906,60 euro (pari a uno stipendio annuo di 47.143,00
euro). Il sistema di calcolo subisce, infatti, qualche modifica quando lo sti-
pendio supera il cosiddetto “tetto” che, per il 2019, è appunto pari a 47.143,00
euro. In questi casi il coefficiente fisso è:
La quota B
La seconda quota, invece, si ricava da questa operazione: A1 (anzianità con-
tributiva) x B1 (retribuzione media settimanale) x 0,0015384, dove “A1” è
l’anzianità contributiva, sempre in settimane, maturata dal primo gennaio 1993
e fino alla data del pensionamento non superiore, però, a quella maturata
153
La quota di pensione retributiva lorda pagata dall’INPS per 13 mesi è pari alla
somma delle due quote (A + B).
Il calcolo contributivo
È il sistema che per stabilire l’importo della pensione non tiene conto degli
ultimi anni di retribuzione ma dell’ammontare dei versamenti dell’intera vita
assicurativa. Sono interessate al calcolo contributivo le pensioni:
• di tutti gli assicurati prima del 1996 con una anzianità contributiva inferiore
ai 18 anni al 31 dicembre 1995, per la quota della pensione calcolata con il
sistema a partire dal primo gennaio 1996 fino al momento del pensionamento;
• di tutti gli assicurati prima del 1996 con una anzianità contributiva pari o
superiore ai 18 anni al 31 dicembre 1995, per la quota della pensione cal-
colata con il sistema contributivo dal primo gennaio 2012 al momento del
pensionamento;
• dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare e versare la contribuzione ob-
bligatoria dal primo gennaio del 1996;
• di coloro che hanno versamenti alla Gestione Separata;
• di quelli che optano per sistema di calcolo contributivo;
• dei lavoratori che si avvalgono della totalizzazione secondo le norme con-
tenute nel D. Lgs. 42/2006;
• delle donne che accedono al pensionamento di anzianità con i requisiti
previsti dalla L. 243/2004 (la cosiddetta “Opzione donna”).
154
Il montante
Il montante individuale è la somma di tutti i contributi versati dal lavoratore,
opportunamente capitalizzati con tassi “virtuali” stabiliti annualmente dall’Istat.
Il montante si ottiene applicando alla retribuzione o al reddito imponibile
l’aliquota di computo, diversa a seconda si tratti di lavoro dipendente, au-
tonomo o iscritto alla gestione separata. Al 31 dicembre di ciascun anno si
provvede, poi, alla rivalutazione delle quote accantonate mediante il tasso di
capitalizzazione. Il sistema è simile a quello usato per il calcolo del TFR anche
se sono diverse le percentuali di accantonamento e gli indici di rivalutazione.
155
Il tasso di capitalizzazione
Il tasso di capitalizzazione è il valore medio quinquennale del PIL (prodotto
interno lordo). Si tratta di un coefficiente che ha la funzione di attualizzare
il montante contributivo all’andamento della ricchezza nazionale. Non si
applica al primo anno e all’anno di decorrenza e a quello immediatamente
precedente.
I coefficienti di trasformazione
L’ulteriore elemento necessario a determinare l’importo della pensione con-
tributiva è il cosiddetto “coefficiente di trasformazione”. Esso è stabilito in
relazione all’età (in anni e mesi) dell’assicurato e all’aspettativa di vita alla
data di decorrenza della pensione, a partire dall’età di 57 anni e fino ai 65
anni di età. La L. 214/2011 ha previsto la possibilità di rinviare il momento del
pensionamento fino a 70 anni, garantendo a chi farà questa scelta, un importo
di pensione più elevato. I coefficienti che si fermavano a 65 anni, dal primo
gennaio 2013 sono stati, dunque, rivisti, portati a 70 anni e saranno aggiornati
con periodicità prima triennale e, poi, biennale. Nella tabella 4 a pagina 158
sono indicati i coefficienti di trasformazione per la liquidazione dei trattamenti
pensionistici validi dal primo gennaio 2016 al 31 dicembre 2018.
156
2015 31.12.2013 0 1
2019 31.12.2017 - -
157
Mesi
Anni
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11
57 4,246 4,255 4,264 4,273 4,282 4,291 4,300 4,309 4,318 4,327 4,336 4,345
58 4,354 4,363 4,373 4,382 4,392 4,401 4,411 4,420 4,430 4,439 4,449 4,458
59 4,468 4,478 4,488 4,498 4,508 4,518 4,528 4,538 4,548 4,558 4,568 4,578
60 4,589 4,599 4,611 4,621 4,632 4,643 4,654 4,665 4,675 4,686 4,697 4,708
61 4,719 4,730 4,742 4,753 4,765 4,776 4,787 4,799 4,810 4,822 4,833 4,844
62 4,856 4,868 4,880 4,892 4,904 4,916 4,929 4,941 4,953 4,965 4,977 4,989
63 5,002 5,015 5,028 5,041 5,054 5,067 5,08 5,093 5,106 5,119 5,132 5,145
64 5,159 5,173 5,187 5,201 5,215 5,228 5,242 5,256 5,27 5,284 5,298 5,312
65 5,326 5,341 5,356 5,371 5,386 5,401 5,416 5,431 5,446 5,461 5,476 5,491
66 5,506 5,522 5,538 5,554 5,57 5,586 5,603 5,619 5,635 5,651 5,667 5,683
67 5,700 5,717 5,735 5,752 5,77 5,787 5,805 5,822 5,840 5,857 5,875 5,892
68 5,910 5,927 5,945 5,962 5,98 5,997 6,015 6,032 6,050 6,067 6,085 6,102
69 6,135 6,155 6,175 6,196 6,216 6,236 6,256 6,277 6,297 6,317 6,337 6,358
70 6,378
Così, un lavoratore dipendente, nato a giugno del 1951, che abbia iniziato a
lavorare nel 2000 con una retribuzione iniziale di 20.000 euro, incrementata
ogni 2 anni di 1.000, se è andato in pensione a giugno 2018, all’età di 66 an-
ni e 11 mesi, nel 2017 può far valere un montante individuale di 194.199,33
euro e la sua pensione mensile sarà pari a 849,06 euro ovvero il prodotto del
montante individuale 194.199,33 euro per il 5,6837% diviso 13 (vedi l’esempio
nella tabella 5 a pagina 159).
158
Totale 194.199,33
159
• coloro che, pur non avendo raggiunto la soglia dei 18 anni di contributi al 31
dicembre 1995, potevano comunque far valere contributi versati prima del 1996;
• quanti avevano superato, sempre al 1995, il traguardo dei 18 anni di contri-
buti e che, secondo le regole precedenti avrebbero visto la loro pensione
liquidata con il metodo interamente retributivo.
In pratica, per questi lavoratori le quote di pensione sono tre e la loro entità è
diversa a seconda del numero dei contributi settimanali accreditati a tutto il 1995.
Per determinare, quindi, l’importo della pensione mista occorrerà rifarsi alle
indicazioni che abbiamo riportato prima e che spiegano come si fa il calcolo
della quota pensione e come si calcola la pensione nel sistema contributivo.
160
Un esempio di calcolo
Ecco un esempio di calcolo per un lavoratore dipendente, nato il primo gen-
naio del 1957, che ha smesso l’attività lavorativa il 30 giugno 2018 e che è
andato in pensione dal primo luglio 2018, potendo far valere 2227 settimane
complessive di anzianità assicurativa, di cui 901 al 31 dicembre 1992, 156 dal
primo gennaio 1993 al 31 dicembre 1995 e 832 dal primo gennaio 1996 al 31
dicembre 2011 e 338 settimane dal primo gennaio 2013 al 30 giugno 2018; la
retribuzione percepita è stata di:
• che non possa far valere più di 18 anni di contributi alla fine del 1995;
• che possa far valere almeno 15 (20 dal 2012) anni di versamenti;
• che possa far valere almeno 5 anni di contributi successivamente al 1995.
161
Tabella 6: La quota A
Anno Num. ctr Retribuzione Coefficiente Retribuzione Sett.
acquisiti acquisita rivalutata Utili
Totale quota A = 1.047,74 € ovvero: 755,86 € (1° fascia di retribuzione pensionabile) per 0,00153846
(coefficiente fisso) per 901 contributi maturati al 31.12.1992.
Tabella 7: La quota B
Anno Num. ctr Retribuzione Coefficiente Retribuzione Sett.
acquisiti acquisita rivalutata Utili
Totale quota B = 1.173,12 € ovvero 771,79 € (1° fascia di retribuzione pensionabile) per 0,00153846
(coefficiente fisso) per 988 contributi maturati dal 1.1.1993 al 31.12.1993.
162
Quota contributiva: 83.268,05 € (montante complessivo) per 4,766% (coefficiente di trasformazione) /13 = 305 €.
Per chi è incerto se mantenere il vecchio regime oppure optare per il secondo,
ecco come si calcola la pensione in caso di opzione.
Prima di tutto è necessario ricordare che la pensione contributiva è data dal
prodotto di due elementi, il montante individuale (ovvero la somma rivalu-
tata di tutti i contributi versati) e il coefficiente di trasformazione che varia in
relazione all’età.
163
ESEMPIO PRATICO
Per capire il meccanismo, prendiamo il caso di una donna nata il primo dicembre
1958 che al 31 dicembre 1995 può far valere 18 anni di contributi e che ha rag-
giunto i 36 anni di contributi alla fine di dicembre del 2013 e che da allora non
lavora più. Dal 1986 al 1995 ha avuto uno stipendio lordo annuo che partendo
da 22.000 euro lordi è incrementato via via al ritmo di 1.000 ogni 3 anni. In
questa ipotesi, la contribuzione media annua versata all’INPS in base alle aliquo-
te contributive vigenti nei vari anni, moltiplicata per i 18 anni di versamento e
rivalutata per l’indice del PIL dà un montante di circa 179.285,60 euro.
Se, poi, la stessa lavoratrice ha lavorato dal 1996 al dicembre 2013 con una
retribuzione che partendo da 25.000 euro lordi cresce dal 1998 al ritmo di 1.000
ogni 3 anni annua e su cui è stata pagata un’aliquota contributiva del 33%
dovrà aggiungere ancora un’ulteriore montante di altri 211.723,04 euro per un
complessivo di 391.008,64 euro. In questa ipotesi, se è andata in pensione con il
“contributivo” ad agosto 2017, l’importo annuo della pensione è stato pari pari
al 4,4205% di 391.008,6 euro ovvero a una rata mensile di 1.329,58 euro lordi.
164
Per tener conto delle frazioni di anno rispetto all’età dell’assicurato al momento
del pensionamento, il coefficiente di trasformazione viene adeguato con un
incremento pari al prodotto tra un dodicesimo della differenza tra il coefficiente
di trasformazione dell’età immediatamente superiore e il coefficiente dell’età
inferiore a quella dell’assicurato e il numero dei mesi. Questi coefficienti sono
analoghi a quelli utilizzati per il calcolo della pensione contributiva.
165
Lavorare in pensione
Sono migliaia i pensionati che, dopo anni di attività lavorativa, hanno ancora
voglia di darsi da fare e di continuare a lavorare. Chi ha in programma di
rioccuparsi oppure dedicarsi a un’attività di consulenza o mettere su una
piccola azienda è però travagliato da dubbi: “Cosa succede alla mia pensione
se riprendo il lavoro?”, “Se verserò dei contributi all’INPS, a cosa serviranno?”.
Pensione di vecchiaia
Chi è titolare di pensione di vecchiaia non corre il rischio, in caso di svolgimento
di un’attività lavorativa alle dipendenze di un’azienda o di un lavoro autonomo,
di vedersi sospesa o ridotta la pensione. Dal 2001 la sua rendita previdenziale
è totalmente cumulabile, con i redditi da lavoro dipendente o autonomo.
167
168
Assegni di invalidità
A partire dal settembre del 1995, se il titolare di un assegno ordinario di inva-
lidità svolge attività lavorativa dipendente, autonoma o di impresa, l’importo
dell’assegno viene ridotto come segue:
169
Cumulo vietato
Infine, vi sono anche dei casi in cui non è possibile cumulare nemmeno in parte
la pensione percepita con un eventuale reddito da lavoro dipendente o autono-
mo. Questo limite riguarda coloro che percepiscono una pensione di inabilità.
Per chi è titolare di una pensione di inabilità lo svolgimento di un’attività
lavorativa dipendente o autonoma non è ipotizzabile. Poiché questa pensio-
ne è erogata solo a chi si trova nell’assoluta impossibilità di prestare attività
lavorativa, la percezione della stessa non è compatibile con la prestazione di
lavoro subordinato o con attività di lavoro autonomo o professionale.
La concessione della pensione comporta quindi l’obbligo della cancellazione
da elenchi, albi o ordini relativi a mestieri, arti o professioni.
Il supplemento di pensione
Sono ancora tanti coloro che, specialmente tra i lavoratori autonomi, continuano
dopo la pensione a lavorare come dipendente o autonomo e a versare per
questo motivo i contributi all’INPS. In questa ipotesi la contribuzione che si
è aggiunta a quella già utilizzata per la pensione non va persa ed è utile per
liquidare un supplemento rispetto alla pensione già in pagamento.
170
171
NB: La domanda di supplemento può essere inoltrata per una sola volta, dopo che siano trascorsi soltanto
2 anni dalla decorrenza della pensione o dalla decorrenza del precedente supplemento, a condizione che
sia stata compiuta l’età pensionabile.
Supplemento o ricostituzione?
Attenzione a non confondere il supplemento di pensione con la ricostituzio-
ne. Le pensioni possono, infatti, essere ricostituite (vale a dire, “ricalcolate”)
per motivi contributivi o reddituali. I contributi non accreditati (sia effettivi
sia figurativi), relativi a periodi precedenti alla decorrenza di pensione (e
quindi non calcolati al momento della liquidazione), determinano una quota
pensionistica che può essere aggiunta, in epoca successiva, alla pensione
già percepita, tramite la “ricostituzione contributiva”. Vengono, pertanto, ac-
certati i requisiti e ricalcolata la pensione come se si trattasse di una nuova
liquidazione.
In questa ipotesi, il ricalcolo della pensione ha effetto dalla decorrenza ori-
ginaria del trattamento interessato, nei limiti della prescrizione decennale.
Si ha “ricostituzione” anche in caso di annullamento di contribuzione relativa
a periodi precedenti il pensionamento. Se in occasione della domanda di
ricostituzione vengono esclusi periodi di contribuzione già valutati in prima
liquidazione, può verificarsi anche lo spostamento della decorrenza origi-
naria della pensione o addirittura la perdita del diritto alla prestazione. La
ricostituzione della pensione avviene a domanda o d’ufficio, a seconda dei
casi, e la domanda può essere presentata in qualsiasi momento.
172
La pensione supplementare
La pensione supplementare è una prestazione economica erogata a doman-
da e al compimento dell’età pensionabile ai titolari di pensione a carico di
un fondo diverso dall’INPS per i contributi versati all’INPS o alla cosiddetta
Gestione Separata.
La L. 1338/1962 riconosce a coloro che non hanno raggiunto un numero
di contributi INPS necessari per il diritto a una pensione autonoma, e che
sono titolari di altra pensione diretta erogata da un altro ente (ex INPDAP
o altro Fondo obbligatorio), la possibilità di chiedere il riconoscimento di
una pensione. Insomma, questi pezzetti di contributi possono conferire il
diritto a una vera pensione: non sarà una gran cifra, ma è in ogni modo
un peccato non approfittarne. L’unica condizione richiesta per ottenere la
“micropensione” di cui stiamo parlando è quella di essere già titolare di un
altro trattamento pensionistico a carico di un fondo diverso dall’INPS.
È possibile, poi, per i pensionati INPS chiedere la pensione supplementa-
re per i contributi versati come parasubordinato nella Gestione Separata,
qualora quest’ultima contribuzione non sia sufficiente a maturare il diritto
a una pensione autonoma.
173
A quanto ammonta
La misura della pensione supplementare è legata al numero e al valore dei
contributi. Attenzione, però, le pensioni supplementari non sono integrabili
al cosiddetto “trattamento minimo”.
Da quando decorre
La pensione supplementare scatta non solo dal raggiungimento dei requisiti
anagrafici ma anche dal momento della presentazione della domanda, tenen-
do conto, fino al 31 dicembre 2011, delle finestre di accesso introdotte dalla
L. 247/2007 che si applicavano anche in caso di liquidazione della pensione
di vecchiaia supplementare e che, dal primo gennaio 2012 non esistono più.
Occhio, comunque, a non lasciar passare troppo tempo per inoltrare la richie-
sta, se non si vuole perdere qualche rata.
Le esclusioni
Sono esclusi dal diritto alla pensione supplementare per contributi versati
nell’assicurazione generale obbligatoria:
174
Le pensioni assistenziali
L’assegno sociale
È una prestazione di natura assistenziale riservata ai cittadini italiani ed equipa-
rati che hanno 65 anni e 3 mesi di età, risiedono stabilmente in Italia e hanno
redditi inferiori ai limiti previsti dalla legge. Per ottenerlo, dunque, non serve
alcun requisito sanitario, contributivo e assicurativo.
175
In merito al requisito dell’età c’è da ricordare che, anche per l’assegno sociale,
vale il principio dell’adeguamento all’aspettativa di vita, di cui abbiamo già parlato
a proposito della pensione di vecchiaia e di quella anticipata. La L. 214/2011
ha inoltre previsto che, in aggiunta a questo adeguamento, dal 2018 l’età
richiesta per l’assegno sociale è salita di un anno e dal 2019 di altri 5 mesi.
Per il diritto all’assegno sociale sono equiparati ai cittadini italiani gli abitanti
di San Marino, i rifugiati politici, i cittadini di uno Stato dell’Unione Europea
residenti in Italia e i cittadini extracomunitari in possesso di carta di soggiorno.
Dal 2009 ai requisiti che abbiamo indicato se n’è aggiunto, sia per i cit-
tadini italiani sia per gli equiparati, un altro: quello di aver soggiornato
legalmente e in via continuativa in Italia per almeno 10 anni. La norma
è stata introdotta dalla L. 133/2008 per evitare abusi da parte di cittadini
extracomunitari che, per effetto del ricongiungimento con familiari resi-
denti in Italia in possesso della carta di soggiorno, acquisivano lo status
di “equiparati ai cittadini italiani”.
Limiti di reddito
Come abbiamo detto, condizione essenziale perché avvenga il riconoscimento
dell’assegno sociale è il possesso di redditi inferiori al limite previsto annual-
mente dalla legge. Vi ha diritto:
• chi non possegga redditi propri, oppure possegga redditi di importo infe-
riore a quello dell’assegno sociale (pari per il 2019 a 5.953,87 euro l’anno);
• chi ha un reddito, cumulato con quello del coniuge, inferiore al doppio
dell’assegno sociale (per il 2019 si tratta di 11.907,74 euro).
176
I redditi da considerare
Vanno valutati per il diritto all’assegno sociale:
È utile ricordare che per l’assegno sociale i redditi di qualsiasi natura vanno
considerati al netto dell’imposizione fiscale e contributiva.
Tra i redditi del coniuge devono essere valutati anche i redditi esenti e quelli
soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva.
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di legge, e anche se sia titolare di altra pensione. Se il totale dei redditi pos-
seduti dal richiedente e dal coniuge è compreso tra il limite annuo previsto
per la persona non sposata e il limite annuo previsto per la persona sposata,
l’assegno spetta in misura ridotta, pari alla differenza fra il limite di reddito e
l’importo del reddito annuo posseduto dall’interessato e dal coniuge.
Ma cosa accade se uno dei due coniugi abbandona la famiglia? Per l’INPS
l’abbandono della famiglia da parte di uno dei coniugi determina l’esclusio-
ne del reddito relativo dal computo del reddito familiare. Se c’è, infatti, una
comprovata situazione di abbandono, la condizione del coniuge abbando-
nato va equiparata a quella del soggetto legalmente separato. Per provare lo
stato di abbandono occorre un documento dell’autorità giudiziaria o di altra
pubblica autorità.
L’assegno non subisce riduzioni quando la retta a carico del titolare o dei
familiari comporta una spesa superiore al 50% dell’assegno sociale.
Per stabilire la misura dell’assegno, il pensionato deve presentare all’INPS
documentazione, rilasciata dall’istituto o dalla comunità presso la quale è
ricoverato, che attesti l’esistenza e l’entità del contributo a carico dell’ente
pubblico e della quota eventualmente a carico suo o dei familiari.
La pensione sociale
Come abbiamo detto in precedenza, dal primo gennaio 1996 la pensione so-
ciale è stata sostituita dall’assegno sociale; la prestazione continua comunque
a essere erogata a coloro che, avendone i requisiti, ne hanno fatto domanda
entro il 31 dicembre 1995. Per il 2019 l’importo mensile della pensione sociale
è pari a 377,44 euro.
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Italia, che abbiano svolto un lavoro dipendente o autonomo in uno degli Stati
dell’Unione. Ne hanno diritto anche gli stranieri titolari di carta di soggiorno
nonché i minori iscritti sulla loro carta.
Benefici economici
I contributi economici previsti per gli invalidi civili sono:
• la pensione di inabilità, per gli invalidi totali di età compresa tra i 18 e i 65 anni;
• l’assegno mensile, per gli invalidi parziali di età compresa tra i 18 e i 65 anni;
• l’indennità di accompagnamento, per gli invalidi totali non autosufficienti
di qualunque età;
• l’indennità mensile di frequenza, per gli invalidi civili minori di 18 anni non
autosufficienti o audiolesi che devono far ricorso a trattamenti riabilitativi
o terapeutici;
• l’assegno o la pensione sociale, per gli invalidi totali o parziali ultrasessan-
tacinquenni, in sostituzione della pensione o dell’assegno di invalidità civile
in godimento prima dei 65 anni.
Pensione di inabilità
La pensione di inabilità è concessa ai mutilati e invalidi civili di età compresa
tra i 18 e i 65 anni, a cui l’apposita Commissione sanitaria abbia riconosciuto
un’inabilità lavorativa totale (100%) e permanente (invalidi totali) e che si tro-
vino inoltre in stato di bisogno economico, siano cittadini italiani o equiparati
e abbiano la residenza in Italia. Per stabilire lo stato di bisogno economico la
legge ha fissato dei limiti di reddito personali che variano di anno in anno. Il
limite annuo per il 2019 è di 16.664,36 euro. La pensione viene corrisposta in
13 mensilità e per il 2019 l’importo mensile è di 285,66 euro. Essa spetta in
misura intera anche se la persona con invalidità è ricoverata in istituto pubblico
che provvede al suo sostentamento ed è compatibile con gli altri trattamenti
pensionistici diretti erogati a titolo di invalidità e con l’eventuale attività lavo-
rativa. Al compimento di 65 anni l’importo della pensione di inabilità viene
adeguato a quello dell’assegno sociale.
Assegno mensile
Spetta ai mutilati e agli invalidi civili di età compresa tra i 18 e i 65 anni,
cittadini italiani o equiparati con residenza in Italia, nei cui confronti, in
sede di visita medica presso la competente commissione sanitaria, sia stata
181
Indennità di accompagnamento
È stata istituita a favore dei mutilati e invalidi civili totalmente inabili per affe-
zioni fisiche o psichiche e che non possono camminare senza l’aiuto perma-
nente di un accompagnatore o che abbiano bisogno di un’assistenza continua.
Questa indennità è compatibile con lo svolgimento di un’attività lavorativa ed
è concessa anche agli invalidi nei cui confronti l’accertamento delle condizioni
sia avvenuto a seguito di istanza presentata dopo il compimento dei 65 anni.
Per coloro che hanno superato i 65 anni, non più valutabili sul piano dell’at-
tività lavorativa, il diritto all’indennità è subordinato alla condizione che essi
abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell’età. Per
ottenere l’assegno di accompagnamento non è richiesto lo stato di bisogno
economico per cui non è previsto alcun limite reddituale.
182
oppure:
oppure:
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• l’indennità di accompagnamento;
• la speciale indennità prevista per i ciechi parziali;
• l’indennità di comunicazione prevista per i non udenti dalla nascita.
• ciechi assoluti, coloro che hanno un residuo visivo pari a zero in entrambi
gli occhi con eventuale correzione;
• ciechi parziali, coloro che hanno un residuo visivo non superiore a 1/20
in entrambi gli occhi con eventuale correzione (ciechi ventesimisti);
• ciechi decimisti, coloro che hanno un residuo visivo compreso tra 1/10 e
1/20 in entrambi gli occhi. Questa categoria è stata abolita con la L. 66/1962,
che ha mantenuto la corresponsione della relativa indennità soltanto a coloro
che già la percepivano.
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Indennità di accompagnamento
per i ciechi assoluti
L’indennità è concessa indipendentemente dalle condizioni economiche e
dall’età dell’interessato. Unici requisiti sono la cittadinanza italiana, o di un
paese dell’UE o di paese extracomunitario con permesso di soggiorno, e la
residenza in Italia. Per il 2019 l’importo dell’indennità di accompagnamento
è di 921,13 euro e viene concessa per 12 mensilità. L’indennità è compatibile
con lo svolgimento di un lavoro e cumulabile con quelle previste per l’inva-
lidità civile a condizione che le relative prestazioni assistenziali siano state
riconosciute per invalidità diverse. Al contrario degli invalidi civili, per i ciechi
civili è irrilevante che l’interessato sia ricoverato gratuitamente. L’indennità di
accompagnamento non è compatibile con analoghe prestazioni concesse per
invalidità contratte per cause di guerra, di lavoro o di servizio. È comunque
sempre possibile optare per il trattamento più favorevole. I minori ciechi civili
assoluti hanno, invece, diritto solo all’indennità di accompagnamento.
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Pensione
La pensione è concessa ai sordomuti, riconosciuti tali dalla competente com-
missione sanitaria, che abbiano le seguenti caratteristiche:
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Indennità di comunicazione
A favore dei sordomuti è stata istituita, dal gennaio del 1988, un’indennità di
comunicazione. La L. 508/1988 stabilisce precisi limiti di invalidità uditiva per
la concessione che variano se il richiedente ha meno o più di 12 anni. Per
il 2019 l’importo è stato stabilito in 256,89 euro ed è corrisposto per dodici
mensilità. Per i minori l’indennità di comunicazione è incompatibile con l’in-
dennità di frequenza, ma è ammessa la facoltà per il beneficiario di scegliere
il trattamento più favorevole.
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