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GEOMETRICI
DEL DISEGNO
E D I Z I O N I L I B R E R I A P R O G E T T O P A D O V A
Fabrizio Gay
FONDAMENTI
GEOMETRICI
DEL DISEGNO
E D I Z I O N I L I B R E R I A P R O G E T T O P A D O V A
In copertina: illustrazione didascalica del teorema di Quetelet e Dandelin
disegno dell’autore
1.3 Proiettività..................................................................................24
1.3.1 Proiettività tra forme di prima specie - 1.3.2 Teorema fondamentale - 1.3.3 Proiettività
tra forme di seconda specie -1.3.4 Casi particolari.
1.4 Prospettività..................................................................................27
1.4.1 Elementi limite in una corrispondenza - 1.4.2 Prospettività tra forme di prima specie
- 1.4.3 Prospettività tra forme di seconda specie - 1.4.4 Teorema di Desargues nello spazio.
1.5 Omologia.......................................................................................31
1.5.1 Proiezione bicentrale delle figure di un piano - 1.5.2 Individuazione di un’omologia
del piano - 1.5.3 Esercizio - 1.5.4 Omologia dello spazio - 1.5.5 Tipi metrici dell’omologia
piana .
2 PROIEZIONI PARALLELE
2.1 L’affinità........................................................................................ 37
2.1.1 Il ribaltamento - 2.1.2 L’affinità tra piani e l’affinità omologica - 2.1.3 Teorema di
Desargues - 2.1.4 L’affinità dello spazio.
2.2 L’assonometria obliqua ............................................................... 41
2.2.2 Proiezione // dei punti dello spazio sul piano - 2.2.3 Il teorema di Pohlke - 2.2.4 Il
disegno assonometrico - 2.2.5 Rappresentazione di punti, rette e piani - 2.2.6
Ribaltamento sul quadro dei piani coordinati - 2.2.7 Assonometrie cavaliera e militare.
2.3 L’assonometria ortogonale ..........................................................49
2.3.1 Costruzione dell’assonometria ortogonale - 2.3.2 Procedimento grafico - 2.3.3 Gli
“scorciamenti” delle direzioni nel triedro coordinato - 2.3.4 I casi dell’assonometria
ortogonale .
2.4 Metodo di Monge ........................................................................52
2.4.1 Il paradigma del metodo di Monge - 2.4.2 Condizioni di appartenenza e //, piani
e rette notevoli-
2.4.3 Problemi grafici
2.4.3.1 intersezione di due piani- 2.4.3.2 intersezione tra retta e piano - 2.4.3.3 intersezione
tra poliedri- 2.4.3.4 omologia di rappresentazione del piano.
2.4.5 Problemi metrici
2.4.5.1 condizioni di ortogonalità e retta di massimo pendio - 2.4.5.2 ribaltamento di un
piano generico.
3 APPLICAZIONI SULLE PROIEZIONI PARALLELE E LE
CONICHE
3.1 Esercizi di ricapitolazione sul metodo di Monge............................65
prefazione 7
l’immaginazione diviene verosimigliante e produce quindi una credibile anticipazione
del fenomeno.
La geometria diviene tanto più un’arte di vedere a occhi chiusi quanto più,
parallelamente, si sviluppa la concreta memoria visiva e tattica attraverso la pratica
della modellazione plastica e del disegno dal vero. Cosa agevole quanto più è immediato
il rapporto tra disegnatore e disegno, cioè tanto più si riesce a disegnare a mano libera,
senza supporti ortopedici al segno, in modo che, senza attriti, i tracciati della mano
seguano la struttura del percetto. Il disegno a mano libera ha dunque, forse ancora
per poco tempo, questa priorità didattica poiché l’esercizio della rappresentazione
digitale dei corpi nello spazio, contrariamente a quanto si potrebbe immaginare a
prima vista, richiede all’operatore una solida intuizione spaziale che egli non può
formarsi agevolmente se costretto a distrarre la sua attenzione intuitiva nel seguire i
protocolli di un software.
La brevità del corso non consente la concretezza intuitiva che desidererei poiché non
permette di oltrepassare il capitolo dei più usuali metodi di rappresentazione per
trattare in specifico le superficie più notevoli impiegate in Architettura e nelle Arti e
soprattutto non concede di accennare, a parte i riferimenti tracciati nell’ultimo
capitolo, alla specifica concretezza storica degli oggetti in discorso. Sarebbe invece
gradito, soprattutto per chi si prepara a un mestiere che consiste nell’uso estetico e
culturale delle tecniche, un apprendimento insieme storico e tecnico degli strumenti
geometrici. E la concretezza storica delle idee matematiche aiuterebbe a ricollocarle
tra gli altri oggetti di discorso delle scienze e delle tecniche.
Lo studente che voglia avventurarsi in questa direzione trova oggi comodi strumenti
di informazione come alcuni siti sul Web che costituiscono dei vasti repertori
enciclopedici, alcuni dedicati appositamente alla didattica come il francese
ChronoMath [http://chronomath.irem.univ-mrs.fr] costruito da Serge Mehl dal 1988
e disponibile dal 1997; altri d’aspetto più accademico come il sito del MacTutor History
of Mathematics archive dell’Università scozzese di St. Andrews [http://www-
history.mcs.st-and.ac.uk] che offre notizie biografiche su oltre 1100 matematici
correlate a cronologie, a relazioni sulle curve piane e sui soggetti di ricerca. Efficaci
visualizzazioni e simulazioni interattive sono offerte dal celebre Geometry Center
(ormai presente solo attraverso il suo sito) dell’Università del Minnesota [http://
www.geom.umn.edu], o dalla notevole raccolta compiuta da Xah Lee [http://
xahlee.org].
1.1.1 Enti impropri e piano proiettivo. Il sole si assimila nel nostro modello
geometrico a un punto improprio, un punto infinitamente lontano che anche
in quella posizione appartata continua a comportarsi da centro di una stella
di rette con la particolarità di essere parallele tra loro. Questo fatto proiettivo
ci dice che la relazione di parallelismo [//] tra due rette non è più, com’era
per Euclide e per tutta la geometria che porta il suo nome, una questione
metrica (nella geometria euclidea due rette sono parallele se sono equidistanti
e dunque “non si incontrano mai”). Per la geometria proiettiva due rette si
incontrano sempre in uno e un solo punto (proprio o improprio che sia) e il
loro eventuale parallelismo è solo un caso che non sfugge certo al suo primo
postulato di appartenenza. Due rette parallele sono incidenti in uno e un solo
punto, il loro comune punto improprio, che siamo costretti a immaginare
infinitamente lontano e che viene detto la loro comune direzione. Senza alcuna
restrizione vale anche il postulato successivo che dice essere una e una sola la
retta (propria o impropria) comune a due piani e se questi due piani sono
paralleli la loro unica retta comune è impropria e si dice loro giacitura.
Possiamo facilmente immaginare il punto d’incidenza tra due rette, o la retta
d’incidenza tra due piani, allontanarsi sempre di più con il diminuire
dell’angolo d’incidenza, fino a raggiungere una distanza infinita all’annullarsi
di quell’angolo.
Più difficile (ma non necessario) è immaginare quel che succede all’infinito e
provare a visualizzare in un oggetto (un modello) la forma “intera” di quegli
enti che la geometria proiettiva chiama “piano” e “rette”.
I postulati che vogliono l’unicità della retta comune a due piani e l’unicità del
punto comune a due rette implicano che sia unico il punto improprio della
retta, e unica la retta impropria del piano. Se il punto P (il fotone) improprio è
unico evidentemente un raggio “finisce dove comincia” (cioè se P percorresse
la retta sempre nello stesso verso raggiungerebbe, in un tempo infinito, la
stessa posizione di partenza. Due punti P1 e P2 (due posizioni di P lungo la
retta) dividono sempre la retta in un segmento P1P2 di estensione finita e in un
secondo P2P1 di estensione infinita. Per questo saremmo tentati di immaginare
le rette proiettive come cerchi di raggio infinito e potremmo pensare che il
piano proiettivo sia analogo a una superficie sferica di raggio infinito i cui
1.1.2 Dualità. Abbiamo detto che c’è una sorta di ambivalenza nel modo in
cui la geometria proiettiva usa gli enti punto e retta in un caso come sostegno
e nell’altro come elemento della forma chiamata punteggiata, e della forma
detta stella. Questa ambivalenza consegue dal principio detto di dualità che
emerge dall’ordine interno dei postulati di individuazione [∈] e non ha senso
in proposizioni che riguardano le proprietà metriche. Per dualità in una
proposizione che riguarda strettamente una proprietà di appartenenza del
piano (cioè quando l’ambiente geometrico si limita al piano) si possono
scambiare tra loro i termini “retta” e “punto”:
P1) - due punti distinti individuano una e una sola retta;
P1’) - due rette distinte individuano uno e un solo punto.
Le operazioni del tracciare la retta per un punto e individuare il punto di una
retta implicano l’uso della stessa condizione fondamentale, sono operazioni
duali. Si può dunque affermare che punto e retta sono nel piano elementi
geometrici duali.
Il termine “piano” è rimasto implicito nei due enunciati (P1) e (P1’)
indicandone automaticamente l’ambiente geometrico di validità. Per non
lasciare ambiguità avremmo dovuto specificarlo in P1’ : “se due rette distinte
∈ a un piano ↔ (allora) individuano un punto ∈ al piano”. La reciproca di
questa proposizione è: “se due rette ∈ a uno stesso punto (ovvero se sono
incidenti) ↔ ∈ a uno stesso piano”. Ma possiamo anche dire “se due rette ∈
a uno stesso piano (ovvero se sono complanari) ↔ ∈ a uno stesso punto”.
I postulati di appartenenza mostrano che la retta si comporta nello stesso modo
con il punto e con il piano postulando così anche le proprietà di appartenenza
(di individuazione) tra punto e piano. Se due punti individuano
necessariamente una retta, la condizione “normale” (fisicamente probabile)
di tre punti deve essere la seguente: “se tre punti distinti non appartengono
[∉ ] tutti e tre a una retta, ↔ (allora) individuano un piano”. Se la retta si deve
comportare nello stesso modo con punto e piano allora vale anche la seguente:
“se tre piani distinti non individuano [ ∉] una [stessa] retta, ↔ individuano
12 fondamenti geometrici del disegno
un punto”. E devono valere anche le seguenti: “se un punto e una retta non si
appartengono [∉], ↔ individuano un piano”; “se un piano e una retta non si
appartengono [∉ ], ↔ individuano un punto”.
Si vede come in ogni enunciato che implichi le proprietà di appartenenza tra
gli enti punto e retta immersi nello spazio si possono scambiare tra loro i
termini “punto” e “piano”, lasciando inalterato il termine “retta” e ottenendo
un enunciato duale altrettanto vero.
Due punti distinti individuano una retta Due piani distinti individuano una retta
Un punto ed una retta distinti individuano un Un piano ed una retta distinti individuano un
piano punto
Tre punti non appartenenti ad una stessa retta Tre piani non appartenenti ad una stessa retta
individuano un piano individuano un punto
Il valore
di (ABCD)
non dipende però
dal verso scelto in
quest’orientazione della forma poiché, se il verso
venisse invertito, cambierebbero solo i segni di ogni
numero; il segno di (ABCD) dipende solo dalla posizione
reciproca (dall’ordine) degli elementi che potranno disporsi in
modo che il segmento AB contenga o meno un estremo del segmento BC.
Se entrambi gli estremi CD non appartengono ad AB si dice che le coppie AB
e CD non si separano e si constata allora che sempre (ABCD)>0.
Se il segmento AB contiene uno e un solo estremo del segmento CD, si dice
che le due coppie di elementi (AB) e (CD) si separano; in questo caso
(ABCD) < 0.
Dunque il birapporto tra i quattro elementi ABCD di una forma ordinata (con
almeno AB propri) è un valore che non dipende dalla scelta del verso positivo
della forma, il suo segno dipende dal separarsi o meno delle coppie AB e BC.
Si può constatare che il birapporto tra quattro elementi nelle loro 24
permutazioni (d’ordine) assume solo sei valori distinti.
C’ 21
un modello ottico dalla geometria
birapporto o rapporto anarmonico o doppio
rapporto.
Dunque la proprietà più notevole del
birapporto (ABCD) nelle forme di prima
specie è quella di costituire una
proprietà metrica invariante per
proiezione e sezione.
Precisamente: il birapporto
(ABCD) di quattro punti A, B, C, D di
una punteggiata r è uguale al birapporto
della loro corrispondente figura di
proiezione da un punto O ∉ r, ovvero è uguale
al birapporto (abcd) delle quattro rette OA, OB,
OC, OD; il birapporto (abcd) delle quattro rette
OA , OB, OC, OD di una fascio (O) è uguale al
birapporto della loro figura di sezione con
qualsiasi retta r ’ ∉ O, ovvero è uguale al
birapporto (A’B’C’D’); conseguentemente il
birapporto (ABCD) di quattro punti di una
punteggiata r è uguale al birapporto
(A’B’C’D’) di una punteggiata r ’
corrispondente ad ABCD per
proiezione da un punto O; il birapporto
(abcd) di quattro rette di un fascio (O) è
uguale al birapporto della loro figura di
proiezione da un punto P ∉ al piano, ovvero è uguale al birapporto
dei quattro piani α, β, γ, δ del fascio di asse OP.
Per la dimostrazione è sufficiente provare che il birapporto (ABCD) di quattro
punti di una punteggiata r è uguale al birapporto (abcd) delle quattro rette
OA, OB, OC, OD congiungenti un punto O (∉ r) e i punti A, B, C, D.
Assegnato un centro di proiezione O e considerati i triangoli con vertici in O
e basi nei punti A,B, C, D, si dimostra che (ABCD) dipende
solo dalle reciproche angolazioni delle rette OA, OB, OC,
O
OD che proiettano A, B, C, D da O. Lo si fa
semplicemente scrivendo il valore delle aree dei
triangoli con vertice in O e lati OA, OB, OC, OD in
funzione del seno degli angoli in O formati dalle h
rette a, b, c, d.
Poiché l’area di un triangolo si può
calcolare come il semiprodotto di A B C D
due lati per il seno del loro angolo
in comune, le aree dei triangoli
a b c d
AOC, BOC, AOD, BOD valgono:
((AO.CO)/2). sin ∧ac,
((BO.CO)/2). sin ∧bc,
22 fondamenti geometrici del disegno
((AO.DO)/2). sin ∧ad,
((BO.DO)/2). sin ∧bd.
Si noti poi che i quattro triangoli hanno l’altezza h comune e quindi la loro
area deve essere proporzionale alle basi AC, BC, AD e BD.
Ad esempio l’area del triangolo OCA è ovviamente = CA . ½ h,
ed è anche = ½ OA . OC . sin ∧ca.
E poiché AC . ½ h = ½ OA . OC . sin ∧ca, AC = (OA . OC . sin ∧ca) / h,
Si può dunque scrivere (ABCD) come
OA . OC . sin ac OB . OD . sin bd
AC BD h h sin ac sin bd
. = . = .
BC AD OB . OC . sin bc OA . OD . sin ad sin bc sin ad
h h
dimostrando che (ABCD) = (abcd), ovvero che il birapporto di quattro punti
di una retta r è uguale al birapporto delle quattro rette del fascio che li proietta
da un centro O, e che il birapporto di quattro rette di una fascio (O)è uguale al
birapporto dei quattro punti nei quali si sezionano con una retta r’.
Non occorre altro per constatare che il birapporto è proprietà conservata in
una indefinita serie di proiezioni e sezioni. Se dunque (ABCD) dipende solo
dagli angoli delle rette a,b, c, d che proiettano i quattro punti A, B, C, D della
retta r dal punto O (∉ r) è ovvio che si mantiene inalterato per qualsiasi altra
quaterna di punti A’,B’,C’, D’ di una r’ con la quale si sezionano le rette OA,
AB, OC e OD, ovvero si mantiene nella proiezione su r’ di A, B, C, D da O.
Se da un punto O proiettiamo quattro punti A, B, C, D di una retta r nei punti
A’, B’ C’, D’ di una retta r’ sappiamo che (abcd) = (A’B’C’D’) = (ABCD). Se
proiettiamo da un nuovo punto O’ i punti di r’ nei punti A”, B”, C”, D” di una
nuova retta r” sappiamo che (A”B”C” D”) = (A’B’C’D’). Dunque la relazione
ω che trasforma i punti di r in quelli di r” è sempre una corrispondenza
biunivoca che mantiene il birapporto e dunque è a tutti gli effetti una
corrispondenza proiettiva indipendentemente da come la si è ottenuta
componendo operazioni successive di proiezione. Queste “operazioni” di
proiezione e sezione possono essere in un numero arbitrario, ma non
altereranno mai il birapporto tra quattro elementi. Potremmo continuare a
proiettare i punti dalla retta r” da un nuovo centro di proiezione nei punti di
una retta r”” e cosi via fino a ottenere i quattro punti di una retta r”””...n. Tra la
quaterna di punti di partenza e la quaterna di punti di arrivo esisterà una
corrispondenza proiettiva in virtù della concatenazione di trasformazioni che
hanno mantenuto il birapporto, in altri termini sarà possibile, a riprova,
ottenere la sequenza dei punti su r””” ...n anche con una sola operazione di
proiezione e sezione.
Per fare questo si tracci la parallela a r ””...n che passa per un punto, ad esempio
C, di r; allora non solo le congiungenti AA””” ...n, e BB””” ...n, ma anche la
congiungente DD””””...n si incontreranno in un unico punto O. Come già
avevamo constatato, dati in qualunque modo tre punti A,B, C di una retta r e
altri tre punti A”...n , B”...n , C”...n di un’altra retta r”’’ ...n è sempre possibile
determinare una correlazione proiettiva tra gli elementi A A””...n, B B”” ...n,
1.3 Proiettività
1.4 Prospettività
Se in una proiettività [omografia] tra due forme omonime (tra due rette, tra
due piani, tra due stelle o tra due spazi) si verifica l’eventualità che un elemento
sia unito, cioè coincida con il suo corrispondente, allora la si definisce
prospettività, e le figure corrispondenti si dicono
prospettive.
La parola “prospettiva” ci ricorda come le
applicazioni della geometria alla simulazione delle
apparenze ottiche e metriche si basino
sostanzialmente su queste corrispondenze, in
particolare sulla proiezione da un punto S dei
punti di un piano π su un piano π ’, ottenuta
applicando consecutivamente la proiezione da S
retta limite
dei punti di π e di questa stella (S) la sezione con
π ’. La retta ππ ’ è elemento unito di quella
corrispondenza. CENTRO della prospettività
1.5 Omologia
Anche se i due triangoli ABC ed A’B’C’ di Desargues sono nello stesso piano,
il teorema vuole che se le rette AA’, BB’ e CC’ convergono in un punto S, i lati
corrispondenti si incontrino in tre punti aa’, bb’ e cc’ allineati.
Le sue dimostrazioni utilizzano la proprietà transitiva delle prospettività e
dipendono dal fatto che l’ambiente geometrico considerato sia il piano oppure
lo spazio. Potendo avvalerci dello spazio tridimensionale si può agevolmente
dimostrare la proposizione di Desargues, immaginando che uno dei due
triangoli che stanno su un medesimo piano sia ottenuto come prospettivo di
un terzo triangolo (appartenente ad un piano distinto) a sua volta prospettivo
al primo, come risulterà immediato per le considerazioni che seguono sulla
proiezione bicentrale di una figura piana. Ma se l’ambiente geometrico fosse
ristretto al piano (se il nostro spazio fosse bidimensionale) non ci sarebbe
concesso il ricorso alla proiezione da un punto fuori dal piano e la
dimostrazione, non elementare, di questo teorema non sarebbe facilmente
dedotta dai soli assiomi (del piano proiettivo).
(π∩π’≡π’’)
diapositiva. La parete sulla quale si
formano le due diverse immagini della stessa
diapositiva è dunque spiegabile come sezione
piana di due stelle prospettive. Evidentemente su
quella parete ci sono coppie di punti
corrispondenti tra loro e a uno stesso punto
della diapositiva π, e per questa ragione, dal
punto di vista geometrico, dovremo considerare ciò che
accade su quello schermo come una trasformazione del
piano (lo schermo) in se stesso. Dovremo considerare
quello schermo come composto in realtà da due schermi
coincidenti π ’ ≡π’’, uno (π ’) che raccoglie l’immagine
inviata dalla stella S1, l’altro ( π’’) che raccoglie quella
proiettata da S2. Deve esserci ovviamente una retta propria
o impropria nella quale si incontrano lo schermo π’≡π’’ e
la sconfinata diapositiva π, una retta lungo la quale punti
delle due immagini della diapositiva, nonché della
diapositiva stessa, coincidono.
Questa retta (π∩π’≡π ’’) è asse di tre distinte prospettività
tra i piani, e lo vediamo immediatamente “spegnendo” una
delle due stelle.
C’è una prospettività ω’ tra π e π ’ di centro S 1, una
prospettività ω’’ tra π e π’’ di centro S2, e c’è anche una π’≡π’’
particolare prospettività ω tra π’ e π’’ il cui centro è il punto
S* (proprio o improprio) dove lo schermo π’≡π ’’ è intersecato dalla retta S1S2
congiungente le due lampade.
Quest’ultima è una prospettività che chiamiamo omologia piana che consiste
in una relazione proiettiva tra due piani coincidenti (diciamo propriamente
che è una prospettività del piano in se stesso), ha una retta di punti uniti
(π∩π’≡π ’’), cioè un asse dell’omologia, e ha un altro unico punto unito che
non appartiene all’asse: il punto S* detto centro dell’omologia , che si comporta
come il centro della prospettività (omologia) piana ω. Infatti sul piano π’≡π’’
le coppie di punti corrispondenti in ω (A’ A’’, B’ B’’ ,..., P’ P’’) sono
necessariamente allineate su rette concorrenti in S*. E lo si vede osservando
che S* è centro della stella di rette ottenuta sezionando con lo schermo π’≡π’’
il fascio di piani (proiettanti) che ha per asse la retta S1S2 e ciascuno dei piani
di questo fascio è il luogo dei due fasci di rette (S1) e (S2) prospettivi perché
proiettano gli stessi punti di π. Così lungo le rette del fascio S* si trovano
allineate tutte le possibili coppie di punti P’ (∈π ’) e P’’ ( ∈π’’) corrispondenti
32 fondamenti geometrici del disegno
biunivocamente nella omologia ω tra π ’ e π’’. Perciò (S*) è stella di rette unite
ma non composte di punti uniti, cioè tutte le rette di π’≡π ’’che passano per il
centro S* (unico punto unito di ω che ∉ all’asse) sono unite mentre ogni altra
retta r’ di π’ ammette una e una sola sua corrispondente r’’di π’’ che incontra
r’ sull’asse dell’omologia.
Con questo abbiamo mostrato che la sezione con un piano π ’≡π’’ di due stelle
prospettive (S1) e (S2), perché proiettanti gli stessi punti di un piano π, genera
in π’ ≡π’’ un’omologia ω che ha asse nella retta (π∩π’≡π’’) e centro nel punto
(S1S2 ∩π’≡π’’).
Talete di Mileto e il primo dei teoremi che portano il suo nome sono i
protagonisti di alcune versioni di un celeberrimo aneddoto che racconta il
rilevamento dell’altezza incognita di una piramide tramite la sua ombra solare,
comparata per similitudine all’ombra di un bastone verticale di altezza nota.
Quei segmenti di raggi di sole che vanno dai vertici dei due corpi ai vertici
delle loro ombre portate sono le ipotenuse di due triangoli rettangoli simili;
il cateto bastone e la sua ombra sono proporzionali rispettivamente all’altezza
misteriosa della piramide e alla sua ombra accessibile. È questo, forse, il primo
celebrato esempio d’impiego diretto di una proprietà metrico proiettiva
dovuta alla infinita lontananza del centro della stella (sole) che ha quindi la
particolarità di inviare rette proiettanti parallele tra loro, garantendo che in
ciascun distinto istante il rapporto tra la misura del bastone e quella della sua
ombra sia lo stesso che esiste tra la misura dell’altezza incognita e quella della
propria ombra. I raggi paralleli del sole costituiscono fisicamente una
relazione biunivoca tra i punti del bastone r e quelli della sua ombra solare r’
facendone così il modello di due segmenti prospettivi (affini) nel piano di luce
che essi individuano.
Questa relazione, insegnata fin dalla geometria più elementare come
“corrispondenza parallela di Talete”, mostra che a segmenti congruenti sul
bastone r corrispondono segmenti congruenti della sua ombra; a un segmento
somma o differenza di due o più segmenti a, b, c .... del bastone r corrisponde
uno e un solo segmento somma o differenza di segmenti corrispondenti a’, b’,
c’... della sua ombra r’. E da ciò si dimostra che il numero esprimente il
rapporto tra le lunghezze di due segmenti AC e BC del bastone r esprime anche
il rapporto tra i due segmenti corrispondenti A’C’ e B’C’ della sua ombra.
Ovvero una corrispondenza parallela di Talete tra due rette r e r’enuncia che
nel monoide delle lunghezze è istituita una proporzionalità k; se x è la
lunghezza di un segmento e x’ quella della sua ombra sarà comunque x’= k x,
dove k è una costante. Questa relazione che vale per due punteggiate r e r’ si
estende al piano e allo spazio e riguarda una geometria dove la relazione di
equivalenza tra due segmenti non è più limitata alla sola congruenza (alla sola
identità di misura): la geometria affine.
2.1 L’affinità
2.1.1 Il ribaltamento. “ ... Ieromimo poi afferma che egli [Talete di Mileto]
misurò le piramidi basandosi sulla loro ombra, osservandola nel momento in
cui la nostra ombra ha la stessa altezza del nostro corpo”. Così lo storico
Diogene Laerzio (Vite dei filosofi, 1.27) riferisce la circostanza particolare in
cui il bastone di Talete e la sua ombra avevano la stessa lunghezza, erano cioè
i cateti di un triangolo rettangolo isoscele poiché i raggi solari formavano un
angolo verticale di 45° con il piano del terreno. In quel caso l’ombra r’del
bastone r equivale al ribaltamento sul terreno r* del bastone stesso; quindi a
proiezioni parallele 37
qualunque segmento x del bastone corrisponde un segmento ombra x’
esattamente congruente (x’=x indica che la congruenza si rivela come il caso
particolare dell’affinità in cui k=1).
Il procedimento meccanico del ribaltamento di un segmento intorno al suo
piede viene surrogato da un espediente proiettivo; per ribaltare i punti di una
retta nei punti di un’altra retta basta farli corrispondere con una proiezione
da un centro improprio nella direzione ortogonale alla bisettrice
dell’angolo formato tra le due rette.
Graficamente sono operazioni del tutto no
or
gi
equivalenti quella di ribaltare i punti di e z zo
m
una retta r su una retta r’ tracciando ∞ a
S
archi di cerchio con centro in r∩r’
e quella di condurre corde
parallele tra i punti di r e i loro
corrispondenti di r’ (è evidente che la
direzione delle corde sottese tra gli estremi
degli archi è quella perpendicolare alla
bisettrice l’angolo rr’).
Questo “ribaltamento” è dunque una pian
o
particolare prospettività (affinità) tra il di bisett
rette che ha centro improprio nella edro ore
ππ ’
direzione ortogonale [ ⊥ ] alla loro
bisettrice. S∞
Una simile affinità di ribaltamento
tra piani possiamo ottenerla nelle
medesime circostanze. Nel luogo in cui
scrivo, una griglia verticale allineata nella
direzione est-ovest a mezzogiorno dei giorni
equinoziali (cioè quando i raggi solari formano un angolo verticale di 45° con
la direzione nord-sud) getta un’ombra congruente a sé sul terreno orizzontale,
come se vi fosse ribaltata intorno al suo piede. Senza aspettare gli equinozi
possiamo ribaltare i punti di un piano π in quelli di un altro piano π’ facendoli
corrispondere con una proiezione da centro improprio S∞ (prospettività
affine ortogonale) nella direzione ortogonale al piano che biseca il diedro ππ’.
proiezioni parallele 39
È utile osservare che un qualunque triangolo si può sempre riguardare a meno
di una rotazione e un’omotetia come l’ombra solare di un altro triangolo.
Ovvero: due triangoli qualsiasi sono sempre affini a meno di una rotazione e
di un’omotetia.
2.1.4 L’affinità dello spazio. Come le più generali omologie anche l’affinità
omologica può riguardarsi come una trasformazione che fa corrispondere
punti, rette e piani dello spazio ordinario a punti, rette e piani dello stesso
spazio lasciando unito un piano. Essa spiega geometricamente tutte quelle
diverse applicazioni all’architettura e alla scena teatrale che dal tardo Seicento
si chiamano “obliquazioni” e consistono in una deformazione continua di un
modello di partenza in modo che mutino d’un fattore costante gli angoli ma
non il parallelismo tra i suoi piani. Rispetto alle omologie spaziali viste in
(1.5.4) le affinità differiscono solo nel fatto che il centro dell’omologia (il punto
di vista dello spettatore privilegiato di uno spazio scenico) è qui un punto
improprio. Quindi punti corrispondenti sono sempre congiunti da rette
parallele in una sola direzione (direzione dell’affinità). E resta il piano unito
dell’omologia (qui detto piano dell’affinità), ovvero il luogo dei punti dello
spazio (punti uniti) che coincidono con i loro corrispondenti, e dunque il luogo
in cui si incontrano rette corrispondenti e piani corrispondenti nell’affinità.
Se la direzione del centro è ortogonale al piano dell’affinità questa si dice
ortogonale, nel caso contrario si dice obliqua.
Come l’omologia anche l’affinità omologica dello spazio è individuata dalla
direzione del centro, dal piano dell’affinità e da una coppia di elementi
corrispondenti.
pia dir
no ez
ion
del ed
l’af el
fini ce
tà ntr
o
2.2.1 Proiezione // dei punti dello spazio sul piano. Abbiamo prima
considerato come la proiezione solare di un singolo piano π (x, y) produca
una corrispondenza biunivoca (prospettività affine) tra i punti del piano π e
quelli della sua “ombra” π’(x’, y’); in seguito
abbiamo stabilito come la doppia proiezione
parallela (in particolare un ribaltamento e
z (x, y, z)
un’altra qualunque proiezione //) dei punti di
un singolo piano π produca su un altro piano
( π’≡π’’) un’affinità omologica. Non ci resta che
x
chiamare “quadro” lo spiazzo assolato π’ che ha
raccolto le ombre della griglia (piano coordinato)
π (x, y), e aggiungere a essa altre due “griglie y
piane” formando un triedro coordinato (x, y, z) che
in seguito ci consentirà di considerare
complessivamente la rappresentazione z’
piana sul quadro π ’ di un corpo x’
tridimensionale, fisicamente analoga a quella
fornitaci dalla sua ombra solare gettata (x’, y’, z’). y’
Si immagini l’ombra solare gettata su di una (x’, y’, z’)
superficie piana π ’ da un concreto oggetto OXYZ
composto da tre segmenti OX, OY, OZ, di uguale estensione e triortogonali
nel punto O comune, come i tre spigoli x, y, z di cubo che s i
incontrano in un suo vertice O; da quanto considerato
precedentemente risulta chiaro che le tre ombre O’X’,O’Y’,
O’Z’ su π ’ sono segmenti affini ai loro corrispondenti
spigoli obiettivi, ma la relazione che intercorre tra
l’obiettivo corpo OXYZ e la sua immagine piana O’X’Y’Z’
si può esprimere come tre diverse prospettività affini tra
rette (cioè tra OX e O’X’, OY e O’Y’, OZ e O’Z’), oppure
come due diverse affinità tra piani (cioè tra xy e x’y’, xz e
x’z’).
Solo in un caso particolare una di queste affinità diviene una congruenza,
quando una faccia del cubo OXYZ, ad esempio la faccia OXY,
è obiettivamente \\ a π’. Ma anche quando l’ombra solare
O’X’Y’ è congruente a OXY, l’ombra solare del O’Z’ è solo
affine a OZ e la sua estensione dipende dall’inclinazione
azimutale (orizzontale) e zenitale (verticale) del sole S∞ .
Se S∞ fosse una direzione \\ al quadro π’ allora l’ombra
O’Z’ avrebbe estensione infinita; se S∞ fosse la stessa
direzione di OZ allora l’ombra O’≡ Z’ avrebbe estensione
nulla.
In tutti i casi possibili l’angolazione reciproca e le estensioni dei segmenti
proiezioni parallele 41
ombra O’X’, O’Y, O’Z’ dipendono da ben quattro parametri: due possono
essere quelli che misurano gli angoli diedri formati con il quadro π’ da due
delle tre giaciture del cubo, gli altri due possono essere l’angolo zenitale
(verticale) e l’angolo azimutale (orizzontale) del sole S∞. Diciamo quindi
che di un cubo obiettivo OXYZ si possono avere ∞4 immagini piane O’X’Y’Z’
su π’ per proiezione //, ciascuna delle quali corrisponde in due affinità a facce
ortogonali del cubo obiettivo.
P z
2.2.4 Rappresentazione di punti x z
rette e piani. Le tre coordinate
P P (x, y, z)
yz
cartesiane xP, yP , zP che individuano
un punto P nello spazio obiettivo si
possono immaginare come le tre
immagini Pxy , Pyz, Pxz nelle quali P è u x uy
proiettato ortogonalmente su un x yP
triedro coordinato xyz. Così P xy xP
dall’immagine assonometrica Px’y’ , y
P y’z’, P x’z’ di quelle tre proiezioni
obiettive del punto P, dette prima,
seconda e terza immagine P z’x’
assonometrica del punto, si può risalire
in vari modi alla sua rappresentazione P’vera assonometria
assonometrica P’ che viene detta vera P z’y’
assonometria di P. Le coordinate obiettive P x’y’ prima immagine
x P, y P , z P di un punto P si traducono nel assonometrica
(x’, y’, z’)
disegno dell’assonometria nelle estensioni
opportunamente ridotte di tre segmenti paralleli
agli assi assonometrici x’,y’,z’ che costituiscono evidentemente le immagini
delle tre distanze della vera assonometria P’ dai piani coordinati x’y’, y’z’,
z’x’. E poiché in proiezione parallela segmenti equipollenti si proiettano in
segmenti equipollenti (segmenti // e congruenti si rappresentano in segmenti
// e congruenti) le tre distanze di P, tradotte nei corrispettivi tre segmenti
proiezioni parallele 45
assonometrici, si possono r z
(x, y, z)
comporre in vario modo nella Txz
spezzata che parte da O’ e
giunge all’immagine P’.
Una retta nello spazio obiettivo
“buca” (interseca) i tre piani T
ux yz
coordinati xyz in tre punti detti x
prima, seconda e terza vera
traccia della retta. Per la sua
T xy
y
rappresentazione assonometrica
bastano dunque le immagini di due r’ v e
di questi punti (vere tracce) che ra a
sson
(x’, y’, z’)
saranno dette prima, seconda o terza o m etria
traccia assonometrica della retta.
rx
Dunque l’assonometria r’ di una retta r è asso
’y’ p
rima
imm
individuata dal segmento che unisce due nom
etri agin T z’y’
ca e
suoi punti di traccia assonometrica. T x’y’
Ogni retta non // al quadro π, il foglio sul quale
si “proietta” l’assonometria, lo incontrerebbe
in un punto proprio che viene detto la vera traccia assonometrica della retta.
I tre assi obiettivi x,y,z intersecano il quadro in tre punti, le loro vere tracce
assonometriche Tx, Ty, Tz che sono i vertici di quello che
si dice triangolo delle tracce. I lati di questo
triangolo sono le rette nelle quali il z
(x, y, z)
triedro obiettivo coordinato
interseca il quadro π, e sono quindi
dette le sue tre vere tracce
assonometriche t x y , t y z , t z x che t xz t
formano il trilatero delle tracce. yz
Di questo trilatero conta ovviamente x
solo la giacitura: se il quadro π t xy
passasse per il punto O (quindi O
y
coincidesse con O’) il trilatero delle
tracce si ridurrebbe a quel punto, e
con l’allontanarsi di π da O si
ingrandirebbe omoteticamente a O’.
Ogni altro piano obiettivo determina tre t z’x’
rette d’intersezione con il triedro tx’ t z’y’
y prim
a s s o’ a tra
coordinato xyz e quindi la sua immagine nom
etric
ccia
a
assonometrica risulta individuata con
almeno due delle sue rette di traccia (x’, y’, z’)
assonometrica. La retta nella quale il piano
interseca il quadro si chiama sua vera traccia assonometrica. La vera traccia
assonometrica di un piano si potrà usare come asse dell’affinità omologica
che sussiste tra l’assonometria di un piano e il suo ribaltamento sul quadro.
proiezioni parallele 47
Trovato O* è completamente determinata l’affinità omologica che lega
l’immagine assonometrica del piano x’y’ al suo vero ribaltamento x*y* sul
quadro π; l’asse di quest’affinità è la retta Tx Ty , mentre la coppia di elementi
corrispondenti sono i punti O’ e O* che forniscono dunque la direzione
dell’affinità. Il lato O* Tx corrisponde al lato O’Tx etc…
Se su O* Tx si individua un segmento O*Ux come unitario, si può individuare
su O’ Tx, conducendovi da U x la // nella direzione O*O’, il corrispondente
segmento unitario dell’immagine assonometrica dell’asse x’.
Ripetendo l’operazione di ribaltamento su π di un’altra “faccia” del triedro
coordinato si possono individuare i segmenti unitari degli altri due assi
disponendo così l’intero sistema di assonometria pronto all’uso.
proiezioni parallele 49
di un fascio di piani tutti ⊥ a yz;
O
a quel fascio (x)
appartiene anche il Ty
piano proiettante per O
⊥ al quadro π che ne
determina l’immagine
x’alla quale appartiene O’ Tz
ovviamente O’. Poiché O*
l’immagine x’ della x è ⊥ alla tzy,
l’immagine y’ della y è ⊥ alla tzx e Tx
l’immagine z’ della z è ⊥ alla txy , il π
punto O’, comune a x’,y’,z’, non può
che essere l’ortocentro del trilatero txy,
tyz, txz (o del triangolo Tx, Ty, Tz).
Dunque un qualunque triedro trirettangolo Oxyz si proietta ortogonalmente
su π in un triangolo Tx, Ty, Tz sempre acutangolo che ha per altezze le immagini
x’, y’, z’.
proiezioni parallele 51
2.4 Il metodo di Monge
P’
π’
e meccaniche, aveva stabilito la necessità di una π’
stretta corrispondenza tra le due immagini
P ’’ Q’’
ortografica e icnografica di uno stesso oggetto.
Aggetto quota
Questo metodo, detto anche della doppia Q’
π’π’’
proiezione ortogonale, consiste in una linea di terra
proiezione bicentrale su due piani ⊥ e in un
(successivo) ribaltamento (e quindi in una terza P’
proiezione) che porta a sovrapporre il piano π’
icnografico [orizzontale] e il piano ortografico
[verticale] nell’unico piano del disegno. I due
piani π ’ (piano dell’icnografia o piano r r’’ π
orizzontale) e π’’ (piano dell’ortografia o piano P ’’
verticale) sono tra loro ⊥ e a loro ⊥ sono i due S’’
∞ T’’
r T’ r
centri di proiezione S’ ∞ e S’’ ∞; brevemente
r’
[S’∞⊥S’’∞; S’’ ∞⊥π’’; π’’⊥π’].
π’
Su π ’ e π ’’ ogni punto P dello spazio è π’
rappresentato dai due punti di traccia nei quali
le due rette proiettanti che passano per P r ’’ T’’r
intersecano i quadri π’ e π’’. Il punto P è quindi
completamente individuato dai due punti che π’ T’r
costituiscono la sua prima immagine P’ r’
(icnografia, P’=PS’ ∞ ∩π ’) e la sua seconda
immagine P’’ (ortografia, P’’= PS’’∞ ∩π’’).
Ogni retta r dello spazio è rappresentata dalle
rette di traccia (d’ intersezione) con il quadro dei α
due piani proiettanti che passano per essa, e t’’ π’’
quindi da una sua prima immagine r’ = S’∞r∩π’ α
e da una sua seconda immagine r’’ = S’’∞ r∩π’’.
Oppure r è rappresentata dalle coppie di
t’ α
Q. π’
Naturalmente ogni retta incontra π’ e π’’ in due t ’’ α
suoi punti di traccia che si indicano con T’r e con
T’’r .
Ogni piano α è rappresentato tradizionalmente
dalla prima traccia t’ α (la retta d’intersezione
t’α
α∩π’) e dalla sua seconda traccia t’’α = α∩π’’;
ovviamente le due tracce di un qualunque piano π’
proiezioni parallele 53
si incontrano sempre in un punto proprio o improprio della retta comune a π’
e π’’ ( detta linea di terra).
Ma senza considerare la linea di terra, come di preferenza accade nella
tradizione anglosassone, un piano può essere rappresentato dalle coppie delle
immagini di tre suoi punti (P’,Q’,R’; P’’, Q’’, R’’). O ancora dalla coppia di
immagini (r’, s’; r’’, s’’) di due rette che condividono un punto proprio o
improprio (rette complanari).
Riassumendo, secondo i postulati di appartenenza, si può dunque
rappresentare:
un generico punto P ≈ (P’,P’’) anche come intersezione di due rette rs ≈ (r’s’,
r’’s’’);
una generica retta r ≈ (r’, r’’), o con due suoi punti PQ ≈ (P’Q’, P’’ Q’’), o come
intersezione di due piani αβ ≈ (t’α∩t’β, t’’α∩t’’β) o, in altro modo, ABC ∩DEF;
un generico piano α si può rappresentare non solo attraverso le sue tracce
come ≈ (t’α , t’’α), ma con una coppia di sue rette rs, o con una terna di suoi
punti PQR.
Occorre poi fare in modo che i due quadri π’ e π’’ vengano a sovrapporsi
sull’unico praticabile foglio del disegno “ribaltando” il piano π’’ su π’ intorno
alla loro comune intersezione detta linea di terra. Questo equivale (cfr. 2.1.1)
a definire un terzo centro di proiezione improprio Q∞ in direzione bisettrice
l’angolo diedro π’ π’’ grazie al quale si costituisce una prospettività tra π’ e π’’
che ha centro in Q∞ e asse nella retta π’π’’ (linea di terra).
È evidente che un generico punto P, le sue due immagini P’ e P’’, e i centri
proiezione Q∞, S’∞ e S’’∞ appartengono ad un piano ⊥ sia a π’ che a π’’, ovvero
a un piano che si dice proiettante in prima e in seconda proiezione, un piano
che dunque incontra π’ e π’’ in tracce ortogonali alla linea di terra. Queste
tracce, che appaiono quindi dopo il ribaltamento di π’ su π ’’, sovrapposte sul
piano del disegno, ⊥ alla linea di terra, sono dette retta di richiamo e su di esse
sono allineate le due immagini P’ e P’’ del generico punto P. Per assecondare
l’intuizione spaziale la distanza di P’’ dalla linea di terra si dice quota, mentre
quella di P’ si dice aggetto. I punti della linea di terra sono quelli che hanno
aggetto e quota nulla. I punti che hanno la quota uguale all’aggetto
appartengono evidentemente a uno dei due piani bisettori il diedro π ’π’’.
pi
an
o
or
immagini dei punti impropri sono punti
iz
zo
nt
al
e
impropri, rette parallele hanno immagini
t’ α
omonime parallele; piani paralleli hanno tracce
π’
π’
(o sezioni con un diedro) omonime parallele. t’’α
Casi notevoli della relazione di parallelismo sono
alcuni piani e rette particolari di fondamentale
importanza nelle applicazioni.
Si dice piano frontale un qualunque piano // al
piano ortografico π ’’ e si definisce piano
t’α
orizzontale ogni piano // al piano icnografico π’’.
Un piano generico α generalmente inclinato
[α∠π’;α∠π’’] è intersecato da un piano orizzontale
lungo le sue rette orizzontali e da un piano frontale t’’
lungo le sue rette frontali. α α
La prima immagine f’ di una retta frontale e la
pian
o fr
π’’
onta
seconda immagine o’’ di una retta orizzontale le
sono rette parallele alla linea di terra [f’//π’ π’’;
t’ α
2.4.4 Problemi grafici. Prima della capillare diffusione del disegno assistito
dal computer il metodo di Monge ha costituito il mezzo più frequentato nella
risoluzione dei problemi di geometria descrittiva applicata alle arti costruttive.
Un problema di geometria descrittiva è una proposizione che richiede di
determinare, attraverso costruzioni prevalentemente grafiche elementari,
figure incognite dotate di certe proprietà (richieste) a partire da un insieme
di elementi dati; esso è determinato se vi è un numero finito di figure che
soddisfano la richiesta, indeterminato se le soluzioni sono infinite, impossibile
(in modo assoluto o relativo ai mezzi adoperati) quando la richiesta non
proiezioni parallele 55
ammette soluzioni. Rispetto all’uso delle costruzioni grafiche elementari
della geometria del piano un problema descrittivo presenta la particolarità di
risolversi graficamente attraverso un metodo di rappresentazione e quindi
sempre secondo una o più omologie del piano (del foglio del disegno). La
richiesta di costruire una figura avente certe proprietà deve essere intesa
riferita agli elementi che rappresentano la figura secondo un dato metodo di
rappresentazione. Perciò dalla distinzione delle proprietà di una figura in
grafiche e metriche consegue l’analoga suddivisione dei problemi.
Se nella proposizione di un problema non compaiono tra i dati o le incognite
condizioni di ortogonalità o misure delle estensioni di segmenti di retta, di
piani o di angoli, allora il problema è detto di posizione o problema grafico (in
opposizione a problema metrico) e si risolve considerando semplicemente le
condizioni di mutua appartenenza tra gli enti rappresentati. Si noti che la
condizione di parallelismo non è qui considerata una questione metrica perché
si ammettono sempre gli elementi impropri dello spazio e dunque rette e piani
// sono incidenti in un punto e in una retta impropri.
Tutti i problemi di posizione costituiscono semplicemente la precisazione delle
mutue appartenenze e sono riducibili in fondo ai due seguenti e ai loro duali
nello spazio:
1) costruire la retta congiungente due punti dati; 1’) costruire la retta
intersezione tra due piani dati;
2) costruire il piano che contiene un punto e una retta dati; 2’) determinare il
punto di intersezione di un piano e di una retta dati.
Nel metodo di Monge i primi due problemi fondamentali di posizione
[determinare la retta per due punti A, B; determinare il piano che passa per
un punto P e una retta r ∉ P ] sono già risolti automaticamente nel disegno
poiché l’immagine della retta AB è già individuata da quella dei due punti e
l’immagine del piano Pr è già data in quelle di quel punto e di quella retta. E
altrettanto evidente è il caso particolare ove A o B o C sia improprio e dunque
AB sia la semiretta nella direzione A o B, e ABC il semipiano che ha impropria
una retta per il punto dato improprio.
proiezioni parallele 57
retta d’intersezione αθ tra il piano α = (ABC) e un piano θ scelto tra i due piani
proiettanti (in prima o in seconda proiezione) che determinano le immagini
r’ o r’’ di r. Basta dunque costruire l’intersezione di uno qualsiasi dei due
piani proiettanti S’∞r oppure S’ ∞r e con ABC. Si scelga ad esempio il piano
proiettante θ che determina r’ (immaginatelo come una lama verticale che
passa per la retta stampandone l’immagine r’ su π’). Questo piano proiettante
θ = (S’∞ r ) è rappresentato dalla sola retta r’, cioè la sua prima immagine è
coincidente alla prima immagine r ’ della retta e interseca A’B’ e A’C’
rispettivamente nei punti P’ e Q’. Attraverso le linee di richiamo si individuano
la seconda immagine P’’ su A’’B’’ e Q’’ su A’’C’’ che determinano la seconda
immagine della retta S’ ∞r∩ABC. La seconda immagine del punto cercato
sarà r’’ ∩P’’Q’’ al quale corrisponderà sulla linea di richiamo alla prima
immagine su r’.
proiezioni parallele 61
massimo pendio.
La direzione di massima pendenza di una piano α è individuata sul piano α
sezionandolo con quel piano verticale (cioè un piano che contiene la direzione
della forza di gravità) che sia anche ⊥ α [αθ è retta di massimo pendio ↔ θ ⊥α;
θ ⊥π’].
proiezioni parallele 63
l’ortogonale alla t’ABC e chiamiamo K’( ≡K*) il punto in cui la p’ interseca la
t’ABC . La vera misura del segmento KA si trova ribaltando intorno a p’ quel
piano proiettante θ che determina l’immagine p’ (come si è già indicato alla
fine del 2.4.5). In quel ribaltamento il segmento che misura la quota di A (la
distanza tra A’’ e la linea di terra) risulta perpendicolare alla p’, e graficamente
non resta che tracciare per A’ la ⊥ a p’ e su quest’ortogonale da A’ riportare la
misura della quota di A’’, cioè individuarvi il segmento A’A° congruente alla
distanza tra A’’ e la linea di terra (π’π’’). Ecco dunque nel segmento K’A° in
vera misura la distanza AK cioè la distanza di A dalla t’ABC. Puntando in K’ con
raggio K’A°si traccia l’arco di cerchio che incontra la p’ nel cercato A*,
ribaltato intorno a K’ di A’.
Tutte le altre figure di ABC eventualmente presenti nell’immagine A’B’C’ si
possono “ribaltare” su π ’ concludendo l’affinità di ribaltamento ormai
completamente determinata.
’’
ribaltato ℑ * nella sua
(αθ)
prima immagine ℑ’∈α’ a
partire da una qualunque
’
(αθ)
sezione di massimo
pendio di α∩θ [θ⊥α; θ⊥π’]
ribaltata su π’ intorno a t’θ.
2) Si consideri ora il piano
verticale θ come un terzo
(αθ)*
piano di proiezione da un
centro S’’’∞ in direzione ⊥θ
e dunque la prima traccia
t’θ valga come la “linea di
terra” tra la doppia S’’
’∞
proiezione ortogonale da
S’∞ su π’ e da S’’’ ∞ su θ.
Si noti che le linee di richiamo di questa seconda doppia proiezione ortogonale
coincidono con la prima proiezione delle rette orizzontali di α.
3) Poiché il piano θ è // agli spigoli in altezza h del prisma in questa terza
proiezione ortogonale su θ, le immagini di questi spigoli saranno segmenti a
essi congruenti che giaceranno su rette ⊥ a t’θ.
4) Stabilita così la terza immagine ℵ’’’ del prisma retto su un piano parallelo
alla sua altezza, si ricavi la sua corrispondente proiezione ℵ’ su π’.
5) Per ricavare infine ℵ ’’ si possono scegliere diverse procedure: o si
costruiscono dalla seconda immagine dei vertici della base le seconde
immagini delle rette h ⊥α, o si rappresentano gli opportuni piani orizzontali
che passano per i vertici della base superiore del prisma.
Per questa seconda opzione basta riportare le quote dei punti da t’’θ* a t’’θ
con archi di cerchio con centro in t’’θ* a t’’θ , e infine tracciare la seconda
immagine dei piani orizzontali corrispondenti a quelle quote.
3.3 Coniche
3.3.1 Sezioni del cono. Queste proprietà metriche che definiscono le coniche
si spiegano sempre con il modello della loro generazione in quanto sezioni
piane della superficie curva più semplice, quella conica rotonda intesa come
luogo delle rette g (generatrici) che passano per un punto V (vertice) di una
retta v (asse) e che formano con v un angolo θ costante. Un qualunque piano
π (non passante per V) taglia la superficie conica in una curva simmetrica
lungo un asse detto asse focale o asse principale della sezione conica. Tale asse
focale è l’intersezione del piano π della conica con il piano ad esso ⊥ che passa
per l’asse v della superficie conica e dunque è anche un piano di simmetria
della superficie. Esso incontra la curva nei suoi due apsidi A1 e A2, vertici
principali della conica la cui distanza 2a misura la lunghezza dell’asse focale.
L’asse focale della sezione conica può formare un angolo rispetto all’asse v
uguale, minore o maggiore di θ (l’angolo formato dalle generatrici g della
superficie) a seconda che il piano π sia // a una, a due o a nessuna generatrice.
Nel primo caso π incontra al finito tutte le generatrici tranne quella a esso //
per cui la curva, parabola, ha tutti punti propri tranne il suo secondo vertice
principale. Nel secondo caso i vertici della curva sono propri ma, essendo π
applicazioni sulle proiezioni parallele e le coniche 69
// a due generatrici, la curva, iperbole, ha due punti impropri e dunque consta
di due rami. Nel terzo caso π incontra tutte le generatrici al finito e quindi si
determina una curva, ellisse o in particolare circolo, composta di tutti punti
propri che presenta anche una coppia di vertici secondari agli estremi di un
secondo, minore, asse di simmetria ortogonale.
Le proprietà metriche e grafiche delle sezioni del cono si deducono da quelle
della superficie conica.
Il luogo dei punti medi di tutta la schiera di corde parallele di una superficie
conica sono i punti di un piano che passa per il vertice e che chiamiamo piano
diametrale coniugato alla direzione delle corde //. Così sul piano π della
sezione conica il luogo dei punti medi di una schiera di corde // della curva è
una retta che viene detta diametro coniugato alla direzione delle corde.
Una schiera di piani // taglia generalmente una superficie conica in una serie
di coniche centrali omotetiche rispetto al vertice V; quindi il luogo dei centri
di queste coniche è una retta che passa per V che viene detta diametro
coniugato alla giacitura dei piani // considerati. Segue che (se una sezione
conica ha centro) tutti i diametri coniugati passano per il centro della conica.
Caso particolare è quello in cui π taglia la superficie conica in una parabola,
allora il piano diametrale coniugato a una direzione // a π passa per la
generatrice // a π. Tutti i diametri di una parabola sono // al suo asse.
Nel punto in cui un diametro incontra la conica, la tangente alla conica è //
alla direzione coniugata a quel diametro.
Chiariamo ora con analoghe considerazioni stereotomiche il ruolo dei fuochi
e delle direttrici.
C2
Tra le costruzioni grafiche dell’ellisse dati gli assi risulta comoda quella che
sfrutta la seguente proprietà: in un’ellisse ogni corda P1P2 \\ all’asse principale
A1A2 incontra il circolo che ha per diametro l’asse minore
B1B2 in due punti P1’ e P2’ sempre tali che
P1P2/P1’P2’ = A1A2/B1B2. B1
Si ricava dunque il seguente procedimento P’’
per determinare punti dell’ellisse dati gli
P’
assi A1A2 e B1B2; tracciate le circonferenze
concentriche che hanno per diametri i A C A2
1
due assi dal centro C si conduca una
qualunque semiretta, questa incontra la
circonferenza minore nel punto P’ e quella
maggiore nel punto P’’. Si conducano per P’ B2
la // all’asse maggiore e per P’’ la // all’asse
minore che si incontreranno in un punto P
dell’ellisse cercata.
Come riepilogo si rifà l’esercizio precedente nel caso in cui la direzione del
Sole non sia frontale.
1) Rappresentata una sfera di centro C in doppia
proiezione ortogonale si assegni una direzione
arbitraria del Sole disegnando il raggio di Sole che
passa per il centro della sfera, cioè conducendo da C’’
C’ e C’’ le rispettive immagini S∞’ e S∞’’di una retta
che significa la direzione del Sole.
2) Per utilizzare la procedura adottata nel caso
precedente dobbiamo costruire il piano verticale
che passa per quel raggio di Sole S∞C e ribaltarlo
su π’ intorno alla sua prima traccia S∞’C’.
Così da C’ si conduca una perpendicolare a S∞’C’
sulla quale si individua il segmento C’C*
congruente alla vera quota del centro C e che quindi C’
conduce al punto C* immagine del centro della ’C’
S∞
sfera ribaltato su π’. a c cia
tr
3) Si deve ora costruire il piano α del circolo
massimo separatore d’ombra della sfera, ovvero
e
zial
approssimativamente parallelo a se
uino
stesso mantenendo la stessa linea degli apsidi
a eq
inclinazione rispetto al piano
line
dell’eclittica) aumenta sempre più la sua equinozio
obliquità rispetto alla direzione solare fino ai
giorni solstiziali, quando si dispone nello stesso piano dei raggi solari. Così
vediamo nel giorno del solstizio d’estate il sole alla massima declinazione
boreale passare allo zenit ( ⊥ ) sul tropico del cancro, mente il giorno del
solstizio d’inverno raggiungere la massima declinazione australe ⊥
al tropico del capricorno. Il trascorrere
dell’ombra dello gnomone disegnerà dunque
questi “tropici” sulla nostra scodella, appunto sole
come archi di circonferenza simmetrici ed
equidistanti dall’equatoriale ombra
dell’equinozio.
Constatiamo che quotidianamente i raggi solari passanti per la punta dello
gnomone descrivono una superficie conica rotonda; nei giorni dei solstizi i
raggi descrivono le due falde del cono più acuto, nel giorno dell’equinozio il
cono dei raggi di sole degenera in un piano, evidentemente un piano di
simmetria del cono solstiziale.
Noto il grado di latitudine di un luogo è dunque possibile stabilirne la mappa
geometrica del soleggiamento, cioè dell’esposizione annuale ai raggi del sole,
utile specie in edilizia e urbanistica qualora l’illuminazione e il riscaldamento
naturali di un edificio (e dunque la durata del soleggiamento) assumano
l’importanza di requisiti di progetto. A parte quest’ultima applicazione
superstite della gnomonica, dell’antica arte di costruire orologi solari e
insieme di rappresentare la sfera celeste, il tracciamento dei quadranti solari
conserva sostanzialmente un residuo scopo pedagogico abituando lo studente
architetto a immaginare proprio il ciclo geometrico dell’irraggiamento solare.
Nord
Sud
Ovest
linea meridiana
tizio
io
inoz
tizio
sols
qu
sols
el
l l’e
ra n
omb t e
el
omb e r n o
ta
n e
ra n
d'es
ra
v
omb
d'in
piano orizzontale
del quadrante
A’’
I’’
L’’
P’’
E’
L’
W’
H’’
A’’
I’’
F’’
N’’ O’’ S’’
L’’
P’’
E’
L’ F1’
N’ I’ A1’ H’ O’ H’ S’
F’
W’
punto di fuga
F’r punto di fuga della retta
P’
P
r
retta limite
proiezioni centrali 81
Tra r e r’ esiste dunque una prospettività (crf. 1.4.2) di centro S che ha come
elemento unito il punto di traccia Tr e ha due punti limite: il primo punto limite
è l’intersezione di r con il piano parallelo anteriore, il secondo punto limite è
il punto F’r d’intersezione sul quadro della retta proiettante parallela ad r;
questo punto è l’immagine sul quadro del punto F∞ improprio di r e viene detto
punto di fuga della direzione di r.
Ogni retta t α del quadro si può riguardare come intersezione con il quadro di
un generico piano α dello spazio e allora viene detta retta di traccia del piano
α (tα è la retta di punti uniti nella prospettività di rappresentazione di α). Tra i
punti P (e le rette r) del piano α e le loro immagini P’ (e r’) sul quadro esiste
evidentemente una prospettività (cfr. 1.4.3) di centro S che ha per asse la retta
di traccia tα e due rette limite: la prima di queste rette limite è l’intersezione
del piano α con il piano parallelo anteriore, la seconda retta limite è
l’intersezione con il quadro del piano proiettante // ad α; tale retta limite f’α è
evidentemente l’immagine sul quadro della retta impropria di α e viene detta
retta di fuga della giacitura del piano α.
Perché le proiezioni centrali propriamente
dette possano costituire un vero e proprio
metodo di rappresentazione è necessario
che sul foglio della rappresentazione sia
sempre indicato il piede S°, che viene detto
S*
punto principale, della perpendicolare per
S al quadro π’ (cioè la proiezione ortogonale
di S su π’); inoltre è necessario conoscere la
distanza S°S, detta distanza principale,
manifestandola tracciando sul quadro la S S°
circonferenza di centro S° e raggio = S°S.
Tale circonferenza si dice circolo di distanza
o circolo fondamentale e questi soli dati
(posizione reciproca di centro e
quadro)costituiscono l’orientamento
interno del sistema di rappresentazione circolo
essendo sufficienti a determinare sul di
distanza
quadro le immagini di rette e piani (e solo
subordinatamente dei punti) dello spazio.
Si noti incidentalmente che sul quadro il
luogo dei punti di fuga delle rette egualmente inclinate rispetto al quadro di
un angolo φ è una circonferenza (detta di inclinazione) di centro S° e raggio
i = S°S. sin (π/2 - φ).
Le proiezioni centrali costituiscono dunque un metodo di rappresentazione
che determina rette e piani attraverso le immagini di due loro tracce con due
piani noti, precisamente attraverso le loro intersezioni con il quadro (le vere e
proprie tracce) e con l’immagine del loro elemento improprio (fughe).
Ricapitoliamo in dettaglio.
proiezioni centrali 83
evidente che le rette f ’α e v sono le rette limite della prospettività (cfr. 1.4.3)
tra α e α’ di centro S e retta unita in tα .
proiezioni centrali 85
congiungente F’x e F’ p e la cui retta di traccia è ovviamente la // alla F’x F’p
passante per Tp e necessariamente per il cercato punto di traccia Tx.
Se invece il punto dato P fosse individuato con la sua immagine P’ e con uno
dei suoi piani di appartenenza basterebbe tracciare per P una qualunque retta
del suo piano per ricadere nella risoluzione precedente.
4.2.5 Dato un punto P ≈ (P’, Tp, F’p) e una retta r ≈ (Tr , F’ r), il piano ϖ
che essi individuano si rappresenta
necessariamente con la sua retta di fuga passante Tr Tp
per il punto di fuga F’r della retta data, e in una
retta di traccia passante per il punto di traccia Tr Ty
della retta data; non resta che determinare la
direzione di tϖ e quindi di f’ ϖ.
Quando il punto P è dato attraverso la sua P’
immagine P’ nell’immagine (P’, Tp, Fp) di una
retta p si procede come segue: F’y ≡ F’r
si determina, come indicato precedentemente, F’ p
la retta y per P // a r (si consideri che F’y deve
coincidere con F’r , e Ty si ricava conducendo da
Tp la // a F’p Tr). Tr Tp
Considerando che y e r sono complanari, i loro Ty
punti di traccia individuano la retta di traccia del tϖ
piano cercato, che avrà come retta di fuga quella
// a TyTr condotta per F’r . P’
Se invece il punto dato P è individuato con la sua
immagine P’ e con uno dei suoi piani di f’ϖ
appartenenza, basta tracciare per P una F’y ≡ F’r
F’ p
qualunque retta del suo piano per ricadere nella
risoluzione precedente.
Abbiamo rilevato più volte che tra un piano obiettivo π e la sua immagine π’
prodotta per proiezione da S e sezione con un piano π’, esiste una prospettività
che ha asse nella traccia tπ del piano e due rette limite: una è la retta di fuga f’π
del piano π , l’altra è la retta impropria di π ’ (ovvero l’immagine
dell’intersezione di π con il piano parallelo anteriore). Se proiettiamo da un
secondo centro di proiezione i punti π su π’ otteniamo su π’ un’omologia (cfr.
1.5.1) che ha asse sempre nella retta di traccia t π e centro nel punto
d’intersezione con π ’ della retta individuata da S e dal nuovo centro di
proiezione.
punto di vista S
f'
A'
S* S°*
r'*
f ’* A'* r A
interpretato come una nuova proiezione, sia una particolare omologia del
piano, l’omologia del ribaltamento. La proposizione è del tutto equivalente a
quella formulata da Simon Stevin, nei termini delle prime compiute teorie
geometriche della prospettiva all’inizio del XVII secolo, affermando che la
prospettiva π ’ [cioè una prospettività] delle figure di un piano π si conserva
anche quando il quadro π ’ si ribalta su π ruotando intorno alla loro retta
d’intersezione (traccia), se anche il piano parallelo anteriore ruota,
parallelamente a π, intorno alla sua retta d’intersezione (traccia) con π. Quindi
anche il centro S si ritroverà ribaltato su π e - tesi del teorema - sarà sempre il
centro della prospettività. Detto in altri termini: una prospettività tra piani
(o tra rette) si conserva identica se uno dei due piani (o una retta) ruota intorno
alla retta unita (o al punto unito) mentre, parallelamente, il centro S della
prospettività ruota intorno alla retta limite (o al punto limite).
Per dimostrarlo facilmente
immaginiamo di sezionare i due S F’
piani prospettivi π e π’ con un piano
passante per il centro B’
dell’omografia S, per cui otteniamo A’
un’omografia tra due rette, r e r’, V T A B
sempre di centro S, con un punto
S F’
unito T e due punti limite F’ e V.
Due punti A e B di r si proiettano B’
da S su r’ nei punti A’B’ . A’
Immaginiamo inoltre che i punti T, T A B
V
F’ , V, S siano le cerniere vertici di
S F’
un parallelogrammo articolato, per B’
cui, se r’ ruota attorno al punto
proiezioni centrali 87
unito T allora l’asta SV è costretta a ruotare parallelamente a r’ attorno a V.
Si constata che nella rotazione restano allineati S, A, A’, come vi restano
anche S, B, B‘; e inoltre restano invariate le distanze TA, TB e TA’, TB’.
Infatti, nella rotazione delle aste del parallelogrammo articolato, SV resta
//a r’, SF’ resta //a r; e F’T e TV sono anch’esse aste rigide. Dunque segue
la tesi: le rette AA’, BB’ si incontrano sempre in un punto della
circonferenza di centro F’ e raggio SF’=SV.
La prospettività di partenza “si è coricata” conservandosi in un’omologia.
t δ
≡ f’ δ
t ≡ f’ t α
≡ f’ α
α α
K K
S°
S S° (S)
(S)
proiezioni centrali 89
che viene restituita
ribaltando il piano
proiettante α // α.
Ottenuto il δ S*
ribaltamento S* del
centro di proiezione
sul quadro intorno a t δ ≡ f’ δ
f’α, la direzione r*(la
ribaltata della retta
proiettante r che f ’α
determina il punto di
fuga F’r) è ovviamente K
la retta per F’r S*.
Tutte le applicazioni
metriche al disegno di S
prospettive e quelle
opposte delle
restituzioni
prospettiche
(fotogrammetria
elementare) si tα
riferiscono in diverso
modo a questo
semplice principio che
individua l’omologia
tra le proiezioni
centrali e i
ribaltamenti [*] delle
figure di un piano
generico attraverso la
retta limite individuata
nella retta di fuga del
piano, l’asse individuato nella retta di traccia del piano, e il centro
determinato dal ribaltamento sul quadro del centro di proiezione intorno
alla retta limite.
proiezioni centrali 91
trasformazione geometrica che fa corrispondere a
ogni retta di fuga di una giacitura il punto di fuga
di una direzione ⊥ alla giacitura. Tale
corrispondenza reciproca tra punti e rette del piano
viene detta antipolarità rispetto al circolo di
distanza; la retta f’α è detta antipolare del punto F’r
rispetto al circolo di distanza e reciprocamente il T r
≡ F’ r
K
4.5 Prospettiva lineare
(S)
La prospettiva lineare è il metodo di
rappresentazione piana di un corpo che dovrebbe
meglio surrogarne la diretta esperienza visiva e
tecnicamente costituisce la principale applicazione del metodo
della proiezione centrale. Il centro di proiezione S in questo caso si
chiama punto di vista poiché è assimilato al solo occhio del quale può disporre
un osservatore ideale posto a una distanza S°S [distanza principale] dal
quadro. La verosimiglianza ottica di una rappresentazione in prospettiva non
costituirebbe un problema se si potesse costringere lo spettatore del disegno
a occupare con un solo occhio l’esatta posizione del punto di vista S
presupposta nella costruzione del disegno. Ma quando un disegno in
prospettiva è “visto” da un punto di osservazione progressivamente lontano
dall’effettivo punto di vista S, si registrano crescenti incongruenze (dette
aberrazioni marginali o effetti anamorfici) con le abituali apparenze ottiche.
Perciò da quando la rappresentazione dello spazio sul piano si è posta come
documento di una concreta esperienza visiva, si è sviluppata una precettistica
mirata a migliorarne gli effetti illusivi della profondità spaziale. L’efficacia
illusiva di una prospettiva viene valutata scegliendo opportuni “margini” del
disegno e l’orientamento interno (cerchio di distanza) della rappresentazione
in modo da “inquadrare” una porzione tanto limitata dello spazio
rappresentato da evitarne le aberrazioni marginali. La rappresentazione viene
così limitata alla sola porzione di spazio compresa entro margini paragonabili
a quelli di un campo visivo usuale, cioè entro una certa inclinazione ϕ delle
rette proiettanti rispetto al quadro che, quindi, formano un cono circolare retto
di vertice S con asse S°S, detto cono ottico o cono visivo. Per una
rappresentazione verosimile si dovrebbe porre la distanza principale in modo
che il soggetto ricada entro il cono visivo o comunque la sua immagine non
oltrepassi il circolo di distanza (che ovviamente è l’immagine di un cono visivo
proiezioni centrali 93
disegnare sullo stesso foglio della rappresentazione mongiana l’omologia di
rappresentazione del piano geometrale; si ricorre così in altri modi alle
proprietà di quest’omologia realizzandola su un foglio diverso da quello della
rappresentazione mongiana di partenza.
Nonostante la varietà apparente i dispositivi del disegno di prospettiva si
riducono ai pochi tipi delle rappresentazione dei piani, delle rette e dei punti,
che iniziamo a esaminare partendo dal metodo che usa prevalentemente la
rappresentazione dei punti.
proiezioni centrali 95
trasposte nella rappresentazione prospettica vera e propria.
In genere si fa uso esclusivo di sole due direzioni delle rette di costruzione
considerando le rette ortogonali al quadro (che hanno punto di fuga nel punto
principale) e quelle rette orizzontali inclinate di 45° rispetto al quadro (che
hanno punti di fuga nelle intersezioni del circolo di distanza con la linea
d’orizzonte in quelli che si chiamano punti di distanza).
proiezioni centrali 97
quella particolare prospettività, tra r’ e tα con punto unito in Tr , che fa
corrispondere a qualsiasi coppia di punti A’, B’ di r’ una coppia di punti A*,
B* di tα in modo che l’estensione del segmento A*B* di tα sia equivalente a
quella del segmento obiettivo AB di r. È dunque evidente come una qualunque
distanza A’X’ su r’ si possa misurare “in vera grandezza” nella corrispondente
distanza A*X* su tα.
proiezioni centrali 99
Per determinare la posizione del centro O di proiezione e la posizione del
prisma rispetto al quadro dobbiamo conoscere altri dati: o la posizione del
centro di proiezione oppure l’angolazione reciproca delle coppie di facce del
prisma.
Stabiliamo dunque che il prisma ABC… sia a base quadrata e ricaviamo da
questa condizione quanto manca nella rappresentazione a definire l’altezza
del prisma in rapporto alla base, e la posizione reciproca del punto di vista e
del quadro.
Determinare la posizione del punto di vista O rispetto al quadro e alla figura
equivale a ribaltare sul quadro π’ un conveniente piano proiettante, meglio
quel “piano orizzontale” che passa per il punto di vista, cioè quello che si
rappresenta sul quadro nella sola linea d’orizzonte (la retta di fuga di tutti i
piani orizzontali). Questa linea d’orizzonte è qui la retta che unisce i due punti
di fuga ai quali convergono le due quaterne di spigoli del prisma tra loro
supposti paralleli, essi sono determinati dalle due rette F1O e F2O proiettanti
parallele alle direzioni obiettive incognite dei lati CD e CE. Inoltre sappiamo,
avendo posto che la base del prisma è quadrata, che queste direzioni CD e CE
delle facce verticali del parallelepipedo sono perpendicolari tra loro, ovvero
l’angolo F 1OF2 dovrà essere retto in O.
Allora per ritrovare il ribaltato O* sul quadro
del punto di vista O (e dunque il ribaltato
sul quadro di questo particolare piano
orizzontale principale) intorno alla
linea d’orizzonte ci basta ricordare
che il luogo dei punti vertice di un
angolo retto con i lati passanti per F1 e
F2 è il semicerchio che ha per diametro
F1 F2.
Per determinare quale dei punti di questo
semicerchio corrisponde al punto di vista
ribaltato O* bisogna ripetere questa
costruzione al riguardo di un’altra coppia di punti di fuga (F3, F 4) di direzioni
tra loro perpendicolari. Non restano che le diagonali delle facce « quadrate »
4.6.2 Uso dei punti di misura. Abbiamo più volte rilevato come ribaltare
un piano su di un altro (facendolo ruotare) intorno alla loro retta d’intersezione
equivalga a proiettare i punti del primo piano sul secondo da una direzione
ortogonale al piano bisettore l’angolo (minore dei due angoli supplementari)
tra i due piani dati; e notato come ribaltare una retta r su di una retta t
(facendola ruotare) intorno al loro punto T d’intersezione equivalga a
5.1 Modelli
È evidente fin dall’uso più occasionale del termine geometria come ai fini della
sua descrizione geometrica la forma sia intesa come struttura: insieme di parti
più o meno elementari connesse secondo certe regole più o meno complesse.
Riconoscere la legalità geometrica di una forma è immaginarla come il
risultato di trasformazioni compiute su una figura originaria più semplice,
come si impara sin dalle costruzioni grafiche della geometria elementare,
basate in buona parte sulle simmetrie più semplici.
Gli esempi più evidenti di regolarità geometriche sono le comuni simmetrie
bilaterali e traslatorie. Nella letteratura architettonica, specialmente a partire
dal trattato vitruviano, simmetria indica in senso lato (convenientemente al
significato etimologico) un carattere di regolarità secondo un certo progetto:
un “equilibrio” fra parti della costruzione che a volte è precisabile come
costanza di proporzioni e di ritmi in una composizione o in una struttura. A
differenza delle sue accezioni scientifiche, “simmetria” nelle arti costruttive
ha solo raramente significati esatti e quantitativi, più generalmente si trova a
indicare aspetti di natura puramente qualitativa o semplicemente intuitiva,
fondati su valutazioni che sfuggono a qualsiasi caratterizzazione univoca. Per
essere usata come strumento descrittivo della regolarità delle forme e delle
configurazioni la simmetria deve essere ricondotta al suo consueto e intuitivo
significato geometrico, come accade nell’uso che se ne fa nelle scienze
naturali.
Il concetto fondamentale per descrivere quantitativamente la regolarità delle
forme, le loro rappresentazioni e le loro manipolazioni è dunque quello di
trasformazione, per il quale vale forse la pena di ricordare nozioni che il lettore
già conosce. In senso geometrico una trasformazione T è quel concetto
primitivo fondamentale in buona parte sinonimo di relazione, operazione,
corrispondenza e funzione, immaginabile dunque come un dispositivo per il
quale si associano agli elementi x di un insieme A gli elementi x’ = T (x)
[trasformati degli x] di un insieme A’ detti corrispondenti o immagini degli x.
Certo non è difficile profetizzare (considerando la legge del mercato) che entro
pochi anni lo stato degli strumenti per la rappresentazione delle costruzioni
consentirà a qualsiasi apprendista delle arti costruttive la formulazione di
simulazioni geometriche, di modelli molto ricchi d’informazione con un
minimo impiego d’apprendimento dei protocolli di scrittura; infatti i
programmi applicativi per le rappresentazioni assistite dal calcolatore saranno
probabilmente d’utilizzo tanto più semplice quanto più complesso potrà essere
il contenuto informativo del modello che possono costruire. Ma anche quando
ogni algoritmo costruttivo sarà comodamente disponibile alla minima
istruzione, anche in quella condizione di mimino sforzo meccanico da parte
del progettista, il progetto di una qualsiasi costruzione a una qualsiasi scala e
con una qualsiasi tecnica avverrà sempre attraverso la realizzazione e
l’interrogazione di un suo modello rappresentativo, ovvero si compirà sempre
secondo una simulazione di suoi aspetti e conseguenze fenomeniche. Rispetto
a questo fatto essenziale la rappresentazione digitale apporta solo delle novità
apparenti ai modi di costruire mappe descrittive o sistemi di spazializzazione,
poiché questi “nuovi” prodotti devono comunque commisurarsi alle modalità
di figurazione dell’estensione e della durata, alle forme dello spazio e del tempo
che si sono già ben costituite durante qualche millennio di scritture e
immagini.
Per la semplice ragione che ogni invenzione – come vuole la parola latina – è
un ritrovamento, e come accade in generale in geometria, ogni nuova modalità
di rappresentazione, come ogni nuova teoria interpretativa, non fa che
reinventare un’origine e riorganizzare una storia delle proposizioni che
caratterizzano il suo “nuovo” oggetto di discorso; non deve stupire che
l’affermazione della rappresentazione digitale consenta geometrie in qualche
modo più arcaiche, come se dal filo a piombo e dalle corde annodate degli
agrimensori egizi si tornasse al topologico filo di Arianna per dipanare il
labirinto.