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Populismo, un termine complesso

Il populismo è un tema fondamentale nella comprensione della politica contemporanea, tuttavia,


ciò che rende questo termine così complesso è la presenza di un’accezione
prevalentemente negativa.
Attraverso la lettura e lo studio del saggio “Popolo e populismo” di Roberto Tufano e del libro
“L’illusione populista” di Pierre-Andrè Taguieff, analizzeremo cosa rende questo termine così
complesso e come si è manifestato nei vari anni fino ad oggi.

Populismo è un termine ormai entrato nel linguaggio politico, ma non ha una definizione
precisa e unica. La definizione che possiamo dare è quella di un: “atteggiamento
ideologico che, sulla base di principi e programmi genericamente ispirati al socialismo,
esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente
positivi”. Può essere anche inteso, dal dizionario Garzanti, come un concetto che tende
all’elevamento delle classi più povere, senza riferimento a una specifica forma di
socialismo e a una precisa impostazione dottrinale.
Tuttavia, possiamo segnalare anche l’uso dell’accezione negativa del termine, infatti è
innegabile che la storia del vocabolo populismo indica in senso spregiativo
l’atteggiamento demagogico, volto ad assecondare le aspettative del popolo e
accattivarsi il favore della gente, indipendentemente da ogni valutazione del loro
contenuto, della loro opportunità, in funzione dell'ottenimento di consenso politico o di
popolarità attraverso varie possibili forme di propaganda politica. Resta comunque
evidente il fatto che il populismo contemporaneo, con tutte le sue innumerevoli distinzioni
interne, contenga effettivamente i rischi che si temono.
Per comprendere meglio il significato del termine è necessario analizzare la nozione di
popolo, fin dalla sua genesi, si costituisce sempre in opposizione a qualche cosa d’altro
della società che, tuttavia, ne fa parte. È stato così in tutte le denominazioni che esso ha
assunto nelle varie epoche, fin dall’antichità. Nel demos greco, comprensivo dei soli
cittadini liberi rispetto alla massa degli schiavi e dei lavoratori, nel populus romano, ben
diverso dalla plebe che pure rientrava in esso, nel medioevo assunse accezioni molto
distanti, nell’età moderna si definì prima come la totalità dei sudditi, poi come gli abitanti
soggetti alle leggi vigenti in un territorio e solo dalla fine del Settecento entrò in un
rapporto, non sempre lineare, col termine “cittadino”.
Oggi è una parola solo apparentemente condivisa e chiara; infatti, alla domanda “che cos’è
il popolo italiano?” ci divideremmo subito. Per alcuni sarebbe l’insieme degli abitanti della
penisola, per altri l’insieme dei cittadini italiani, per altri ancora l’insieme dei nati in Italia
e dei loro discendenti, per qualcuno anche se viventi all’estero. 
In tempi più vicini a noi il conservatore inglese Isaiah Berlin, paragonava la ricerca
d’ogni possibile monosemia pari al tentativo d’indossare la scarpetta di Cenerentola da
parte delle signorine pretendenti allo sposalizio col principe di quella favola, infatti nel
1977 durante un convegno Berlin discute con gli studiosi che cercavano di definire il vero
significato di populismo e pensa che coloro che vanno alla ricerca di questo significato
entrano nel cosiddetto “complesso di Cenerentola”. 
Il politologo parlava di Populismo come sintomo, dunque come malessere generale della
democrazia che effettivamente non può far fronte alle sfide sociali che vi sono nella
convivenza e come malattia, perché in condizioni favorevoli può espandersi come una
pandemia. Lo stesso Berlin distingueva, almeno per linee generali, un ‘vero’ da un ‘falso’
populismo: il primo era deciso a rimettere in discussione le gerarchie sociali per motivi
egualitari; il secondo, invece, era teso all’affermazione di nuove élites, prontissime a
sfruttare il malcontento popolare verso le vecchie classi dirigenti.  
Inoltre anche il filosofo argentino Ernesto Laclau rimarcava del termine populismo il
suo essere impreciso e fluttuante. Laclau intende il populismo come la logica che presiede
alla costituzione dei soggetti collettivi. In un certo senso, la logica che guida la politica
stessa, o per lo meno la politica democratica, fondata sulla partecipazione attiva delle
classi «popolari» (gli esclusi, gli emarginati, i subalterni). 
In realtà il populismo nonostante sia un fenomeno cocentemente attuale nasce a fine
Ottocento con il movimento politico russo Narodničestvo, da “narod” “popolo”, il
populismo russo propone l’abolizione della servitù della gleba (1861) all’insegna del motto
“Terra e libertà” nonché un generale miglioramento delle condizioni di vita delle classi
diseredate, specie dei contadini, e la realizzazione di una specie di socialismo in antitesi
alla società industriale occidentale. Negli Stati Uniti, il fenomeno si manifesta con
il People’s Party “Partito del popolo”, il quale ebbe scarsa fortuna e si esaurì nel giro di
pochi anni. Dunque due movimenti che si autoproclamarono populisti e che avevano ben
chiaro l’antagonista da contrastare: il regime zarista per la Russia, le banche e le ferrovie
per gli Stati Uniti.
In Italia, quasi un secolo dopo, nel 1992, il populismo emerge con la Lega Nord di Bossi e
in seguito con Forza Italia di Berlusconi. Il “populismo puro” lo si registra però con il
Movimento Cinque Stelle, che annovera da subito quest’etichetta come principale. 
In America Latina il populismo si manifesta direttamente come forza di governo, con
almeno due varianti. La prima si riconduce ad una forma classica (apparsa tra il 1930 e il
1960, rappresentata da Vargas, Cardenas, Peron e Haya e La Torre) e ha come base sociale
la classe lavoratrice organizzata e una seconda che è contemporanea (Fujimori, Bucaram,
Menem, Collor e Chavez) si poggia sui membri dell’economia informale.
Uno tra i più salienti contributi venne dato dal primo ministro napoletano Bernardo
Tanucci, infatti durante l’età dei Lumi ciò che ha sostenuto la nascita del populismo è stato
lo “spirito di società”, poiché gli illuministi ponevano ampia attenzione al popolo; il
populismo grazie agli illuministi assunse un’accezione politica ben precisa. Tanucci
sosteneva un culto del popolo fondato sulla necessità di ‘nazionalizzare’ gli abitanti.  
Il tutto si può riassumere attraverso una nota frase estrapolata dal volume: “Antichità
d’Ercolano”: “ricomporre il popolo disfatto per farne una Nazione”.
Tuttavia, il ‘populismo’ degli illuministi aveva assunto un’accezione politica ben precisa,
che era stata attivata per proprietà di opposizione: al «popolo» si contrapponevano
le élites e il resto dei nemici istituzionali, come la feudalità, il clero e la gente togata, che
continuamente attentavano ai suoi diritti naturali, ai suoi valori e ai suoi beni.  
È importante considerare come fino al secolo di Tanucci, il ‘popolo’ era
considerato come un insieme di esseri, una ‘natura’ particolare della specie umana.  
Poi, la Rivoluzione francese esplose in nome di un POPOLO, che ne era l’attore principale.
Durante i secoli XIX e XX emerge in prima linea un popolo particolare, il proletariato,
che apre un dibattito per quanto riguarda la liberazione del commercio del grano che si
estenderà verso la questione dell’esistenza del popolo, sino ad allora relegato in uno spazio
sociale senza legami con quello delle élites, come se esso appartenesse ad un altro mondo
definito inferiore.
A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso e fino ai giorni nostri, il termine
populismo è usato in prevalenza per designare la famiglia di inerenza di politici che sono
indicati come demagoghi e, in molti casi, anche pericolosi per la stabilità di un sistema
politico.
È evidente che bisogna interpretare il populismo come il risultato delle difficoltà della
democrazia liberale di affrontare il problema centrale della nostra epoca, l’insicurezza (non
solo economica) degli individui, una difficoltà che provocherà delusione e fallimento, e che
induce la società verso la ricerca speranzosa di nuova rappresentanza o di nuova
mobilitazione, per entrare finalmente in un orizzonte diverso da questo.
Ecco perché il nostro problema principale è quello di riconoscere e comprendere questo
fenomeno, entrando in relazione con esso piuttosto che impostare un limite netto tra noi e
il populismo, dunque è necessario esplorare nuove forme democratiche che risolvano o
diano una risposta alle attuali contraddizioni strutturali. 
Le nuove democrazie sono percepite non solo come fragili ma anche come deludenti, ciò
non presuppone altro che la fine di un futuro della democrazia, in certi paesi, legata ad un
sentimento viscerale di insoddisfazione e frustrazione. Sotto l’emblema della democrazia
dominano e governano forze non democratiche, la democrazia è definita più che altro come
una messa in scena, i più poveri, nonché il popolo, hanno solo il diritto di votare per i
candidati dell’élite, ovvero i detentori del potere. Inoltre, le elezioni sono interpretate
come delle trappole e la vita politica un teatro d’ ombre: una vera e propria impossibilità
da parte della democrazia che tende a camuffare il potere reale di un’oligarchia.
Verso la fine degli anni 80 emerge il neopopulismo e alla fine degli anni 90, l’
espressione appare nel vocabolario accademico, grazie alla conclusione dell’articolo
“Populismo”, di un dizionarietto destinato agli studenti di scienze politiche, in cui si può
leggere che il termine neo populismo serve per distinguere ogni forma di espressione
politica che si costruisce a partire da una retorica dall’appello al popolo e da una
valorizzazione dei temi comunitari qualunque sia la politica realmente perseguita e messa
in atto.
Per i demagoghi, coloro che rispettano la forma della democrazia, non bisogna convincere
il popolo che gli obiettivi proposti siano giusti ma occorre procurarsi la fiducia per vincere
le elezioni, questa sarà disorientata, nel 1994 , dalla diffusa corruzione. La strategia
mediatica di Silvio Berlusconi può essere ridotta ad un unico messaggio “Datemi fiducia,
perché sono il migliore, come prova il mio successo personale”. Dalle varie competizioni
elettorali si nota che il leader più efficace è colui che riuscirà a convincere il massimo
numero di persone della sua capacità di migliorare la situazione nel paese, per tal motivo
Edelman ha dimostrato che per costruire la popolarità dei candidati bisogna attuare
un’assenza di posizioni chiare e nette: solo l’incertezza e non la precisione può aumentare
la popolarità di un candidato. Per questo motivo i responsabili politici devono essere in
grado di rappresentare tutti i significati che i gruppi coinvolti vogliano prestare loro per
apparire più utili, infatti l’uso strategico dell’ambiguità in politica si giustifica per una
buona ragione: le posizioni troppo definite e nette di un candidato dichiarato, rischiano di
distogliere e far cambiare idea a molti elettori nel votarlo. Gli orientamenti vaghi e
l’imprecisione delle scelte fanno emergere la figura di un salvatore dotato di un gentile
carisma, che la seduzione mediatica a dominanza televisiva e sufficiente a instaurare.
Dunque, i politologi definiscono “Neopopuliste” queste pratiche e mobilitazioni in cui il
sogno d’immediatezza è incarnato da un salvatore semicarismatico la cui telegenia prende
il posto dell’oscurità del programma.
Le democrazie di tipo delegativo, neopopuliste o meno, sembrano svuotare la democrazia
rappresentativa tradizionale, ciò porta alcuni politologi come Weffort a proporre il modello
della “democrazia debole” in cui egli stesso precisa che le nuove democrazie possono essere
definite deboli in quanto mascherano le decisioni prese dai veri centri di potere situati
altrove, nonché nell’eredità lasciata dallo stato autoritario di ieri.
Per definire al meglio le caratteristiche del populismo contemporaneo vi sono: la pretesa di
interpretare la voce del popolo in quanto il populista sostiene che egli parla sempre a nome
del popolo, altra caratteristica è data dalle modalità di mobilitazione, poiché si sostiene che
la comunicazione non deve essere solo quantitativa ma anche qualitativa in quanto deve
coinvolgere, deve impressionare e non convincere.
Eppure, al populismo va riconosciuto il merito di essere una vera tecnica di mobilitazione
come il telepopulismo, bisogna tenere in conto questa realtà, che non può essere
separata dall’emergere delle democrazie deboli o vuote, e di un nuovo tipo di salvatore,
semicarismatico e fabbricato dalla televisione.
 Come, ad esempio, l’impresa telepopulista di Collor che ha funzionato solo grazie ad una
strategia di marketing che è riuscita a costruire un leader messianico, come farà anche
Berlusconi nel 1994, in Italia, paese in cui è stato utilizzato al meglio il fenomeno
tecnologico al fine di scavalcare le mediazioni politiche tradizionali.  
In Italia stessa nel 2009 nasce il movimento 5 stelle ed è stato il partito più votato nelle
elezioni politiche del 2013, dimostrando di essere una vera forza politica, più recentemente
possiamo parlare di grillinismo che ha costituito un presunto modello tecnocratico di
funzionamento della democrazia, della politica, traducendo il proprio messaggio politico in
quello di un consenso.

Apparentemente democrazia e populismo potrebbero sembrare sinonimi, soprattutto


in questo fluido XXI secolo. In realtà i due termini non coincidono: la prima è un sistema
di funzionamento della rappresentanza; mentre il populismo è un’ideologia, che qualche
decennio fa era basata su slogan, oggi sempre di più sul potere pervasivo dei media e
soprattutto del web. Certamente la democrazia si è dimostrata un sistema efficace e giusto,
nei limiti delle possibilità umane. Lo è perché consente che siano rappresentate e vengano
considerate le opinioni e le scelte di tutti, anche quelle delle più o meno
momentanee minoranze sociali e politiche.
Tuttavia, quella stessa democrazia si trasforma in un tranello se scelte e opinioni delle
persone non nascono da informazioni corrette e dati sufficientemente completi, bensì sono
basate su slogan, bugie, paure e pregiudizi. Diventa un sistema efficace soltanto in teoria,
ma fallimentare e controproducente proprio perché il popolo tende, come dire, a “non
avere ragione”: una società democratica soltanto sulla carta, e in realtà disinformata e
manipolata, può generare disastri e incomprensioni.
È comune osservare leader populisti tanto infervorati nel dichiarare di agire in nome della
volontà popolare quanto impegnati in deliberate campagne di disinformazione. Per
comprendere il successo del populismo occorre comprendere che sono sempre i leader i
protagonisti, coloro che diffondono il populismo, sfruttando in modo più o meno capace gli
incentivi che derivano dalla natura della competizione politica, dal sistema dei media, dalla
delegittimazione degli avversari.
In poche parole, le trasformazioni (sociali, culturali, economiche) che possono aver
favorito l’emergere di ideologie o discorsi populisti necessitano di imprenditori politici che
li veicolino in una proposta politica credibile agli occhi dell’elettorato.
Si possono caratterizzare come "populisti" i leader che sfruttano l'immaginario popolare
nutrito di ideali democratici, in cui domina il desiderio di abolire qualsiasi barriera o
differenza, tra i governanti e governati, tra chi sta in alto chi sta in basso.
Ma è anche necessario, come sosteneva Guy, individuare un secondo tipo di leader
populista, ovvero coloro che pretendono o sono in grado di rispondere al sogno infra civico
di vedere eliminata ogni distanza tra i desideri e le loro realizzazioni, poiché si tratta di far
crescere la fiducia e la speranza con l’obbiettivo di rafforzare l’adesione fusionale, vengono
dispensate in modo generoso adulazioni e promesse impossibili da mantenere in seguito.
Quindi il popolo crede in parole che fanno solo sognare qualcosa, che in realtà non esisterà
mai.
In termini negativi il populismo può essere trattato come l’illustrazione di una democrazia
ultradebole, ricondotta ai media e a tutto quello che è trasmesso dal sistema mediatico.
Riconosciamo da una parte la sovranità del popolo che tende all’assolutizzazione del
popolo stesso come una entità collettiva essenzializzata, dall’altra parte una democrazia
che tende a ridursi ad una demagogia istituzionale che cerca di ottenere il più ampio
consenso popolare con false promesse e lusinghe per poter fare leva sui sentimenti
irrazionali delle masse, in entrambi i casi, la dimensione populista è contaminata da forme
di nazionalismo xenofobo o di etnonazionalismo che sfocia in razzismo.
Il più lungo cammino che dobbiamo voler fare è quello verso l’autonomia, senza che il
percorso sia scritto nel codice genetico della specie umana, l’idea della libertà del cittadino
è uno dei fini dell’umanità, e noi dobbiamo volerla realizzare, questa realizzazione non è
altro che un compito infinito.
Se prendiamo in considerazione l’attuale governo italiano, Conte è stato definito come il
volto buono del populismo, tuttavia è anche stato accusato di essere populista con
un’accezione negativa, e per questo motivo egli risponde attraverso un noto intervento:
“Nel corso degli ultimi anni si è creata una frattura tra elite politica e società civile. Il
popolo è all’articolo primo della Costituzione, non si può pensare di fare politica
alimentando la frattura tra classe dirigente politica e popolo. Sono populista nella
misura in cui siamo consapevoli di questa frattura e stiamo agendo per risanarla. Se
populismo significa restituire al popolo la sovranità, rivendichiamo orgogliosamente di
essere populisti”.

Bibliografia:
Illusione Populista (Pierre Andrè Taguieff)
Popolo e Populismo (Roberto Tufano)
Sitografia:
Enciclopedia Treccani
La Stampa.it
Populismo, Bene comune
Il messaggero.it

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