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È il 1924

Nuove limitazioni e violenze; il delitto Matteotti. I giornali antifascisti e anche quelli liberali
sembrano prudentemente “alzare la testa”. Aumenti nelle vendite. Reazione di Mussolini, dare
corso al regio decreto in sospeso, aggravandolo; 23 luglio Comitato per la difesa della libertà di
stampa; difesa dell’FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana) a congresso (settembre a
Palermo). Mussolini sceglie definitivamente la soluzione di forza: 3 gennaio 1925 instaura la
dittatura. Nel corso dell’anno, “fascistizzazione” di tutta la stampa:
• Novembre, “allineamento” Corriere della Sera e commiato di Albertini
• La Stampa
• Estromissione degli antifascisti dalla FNSI
Restano a battersi in condizione sempre più precaria gli organi di partito e Il Mondo. Nuova legge
sulla stampa e decreti del 31 dicembre 1925.
• Direttore responsabile
• Ordine dei Giornalisti (poi Albo gestito dal Sindacato fascista)
Scioglimento FNSI (contropartita INPGI).
IL FASCISMO
I giornali (e i politici) liberali e il fascismo.
Tra strumentalizzazione e illusione di normalizzazione
«Domenica mattina non siamo usciti perché il Comando militare fascista, in seguito al nostro
commento (il Corriere sabato 28 commentava che l’Italia non ha bisogno di una dittatura che
cancelli la vita costituzionale, ma di un Governo), aveva stabilito di impedire con ogni mezzo la
pubblicazione del Corriere. Ora a noi ripugnava di provocare un conflitto e far versare sangue per la
difesa del nostro diritto; e abbiamo preferito non comparire. Ma già dalla sera di sabato l’on.
Mussolini aveva avvertito il danno che arrecava al movimento stesso da lui capeggiato nella
soppressione di questo foglio che è, ci sia lecito dirlo con legittimo orgoglio, decoro della vita
pubblica italiana. Egli, rendendo omaggio alla nostra dirittura e alla nostra indipendenza, ci ha
restituito la nostra libertà piena ed intera. (…) Usciamo pertanto, ma per assolvere solo il compito
dell’informazione, non quello del giudizio sui fatti, che intendiamo riprendere solo quando il nuovo
Governo abbia la volontà prima, e l’autorità e la forza poi, di restituire alla stampa i suoi diritti e di
mettere questi diritti al riparo da ogni pericolo di arbitrio e di violenza. Ci auguriamo ardentemente
che ciò avvenga nel volgere di poche ore, poiché ogni giorno che passa così rende più avvelenata la
piaga apertasi nel corpo della Nazione». Comunicato del Corriere della Sera del 29 ottobre 1922
 Quello che viene fuori qui è una rappresentazione abbastanza plastica dell’incapacità della classe
politica liberale di comprendere, quindi la sottovalutazione; dall’altro lato c’è un elemento di
strumentalizzazione, vale a dire che il fascismo, nella sua componente violenta, viene usato dagli
industriali e in qualche modo viene accettato da una grande parte della popolazione italiana - di
matrice più conservatrice - come agente d’ordine. Da questo p. di vista, la parabola del Corriere
della Sera è interessante. Nei giorni precedenti alla Marcia su Roma, con una crescente tensione
politica, nella scelta tra varie opzioni il Corriere e altri soggetti lavorano per l’ingresso di Mussolini
e del fascismo in un governo di unità nazionale, nella speranza e illusione che all’interno del vasto
movimento fascista prevalessero le forze più moderate. E questo era già un errore di prospettiva:
leggere la parte violenta del fascismo, lo squadrismo, come una delle parti del fascismo e quindi
rivolgersi a una sorta di fascismo moderato, che in effetti è in sé una contraddizione. Albertini era
anche senatore del regno: da senatore fa parte di quegli attori che provano a tessere un futuro anche
politico. Albertini è in qualche modo simbolo di questa sottovalutazione: vede il fascismo quasi
come un male necessario e ha l’illusione che possano prevalere delle forze più moderate.
La questione della «libertà di stampa» come valore professionale
1926. Anno in cui vi è un ritorno delle violenze e delle intimidazioni, e anche un anno dove si
hanno vari attentati a Mussolini. Si scalda la situazione e quindi gli squadristi entrano in azione.
Assalto e morti alla sede de Il Lavoro a Genova. Sospese pubblicazioni di La Stampa (viene poi
risolta la possibile opposizione della Stampa di Frassati con l’assegnazione del giornale alla
famiglia Agnelli), Gazzettino, Giornale di Sicilia, Ora e alcuni giornali cattolici. Il 5 novembre
1926, il governo decreta lo scioglimento del Parlamento e la soppressione di tutti i giornali avversi
al fascismo. Quindi si ha una fascistizzazione integrale della stampa e un’irregimentazione dei
giornalisti.
Mussolini e la stampa
Mussolini gestisce la stampa in generale giocando con il tema delle proprietà e delle direzioni dei
giornali. Da ex giornalista, Mussolini non vuole disperdere il “patrimonio” della stampa, ne intuisce
le potenzialità e la necessità per la propaganda. Es. Corriere e Stampa sono giornali di prestigio,
anche all’estero (quindi si ha una fascistizzazione solo della parte politica). Corrisponde alla più
generale strategia per durare: conservare e alimentare, anche con la minaccia, i rapporti con
istituzioni e soggetti centrali (imprenditoria, Chiesa, militari).
Mussolini e la stampa, le strategie
Alcune personalità: Farinacci; Arnaldo Mussolini; Augusto Turati. Esempio Corriere, direttori:
Piero Croci, Ugo Ojetti, Maffio Maffii. Non perde copie, anzi: tiratura media nel 1926  440.500.
Un pubblico di base “poco o nulla preoccupato delle vicende direzionali”. Fine del Secolo. Più
complicata la “soluzione” per La Stampa ritorna in edicola dopo un mese di sospensione. Frassati
ancora azionista di maggioranza. Il regime favorisce la nuova società, in cui gioca un ruolo di primo
piano la Fiat e Agnelli. Quindi si inaugura una lunga fase della Stampa di Torino. Viene nominato
direttore Andrea Torre. L’altro aspetto che deve tenere a bada Mussolini è il fatto che ci sono delle
lotte intestine all’interno del fascismo tra varie fazioni e tra i cosiddetti ras (capi) locali. Ognuno di
questi cerca di dotarsi di una sua testata per condurre la sua lotta interna al fascismo: alcuni sono
più attenti alla Stampa, tra cui Farinacci. Ci sono analoghe lotte attorno al Resto del Carlino. A
volte queste lotte si risolvono con cambi di direzione o proprietà: entrano nelle proprietà soggetti
come le Banche, l’Industria siderurgica, gli Enti “pubblici” (es. Banco di Napoli). A mettere ordine,
1927, decreto sul blocco dei quotidiani (70) per mettere a riparo le testate. Al riassestamento della
mappa della stampa si accompagnano le nuove direttive. Si ha un cambio di tono nei rapporti tra
l’ufficio stampa del regime (che doveva tenere i rapporti direttamente con i direttori delle testate) e i
direttori delle testate passando dal semplice richiamo ai veri e propri ordini. Anche fondi segreti. Le
disposizioni sotto il controllo dell’ufficio stampa riguardano: la costruzione del “mito del Duce”;
tutto ciò che erano le questioni politiche; un’attenzione di tipo censorio rispetto alla cronaca nera
per far trasparire l’immagine di una società in ordine (es. non si potevano pubblicare storie sui
suicidi).
Intervento nei contenuti. Ruolo dell’Agenzia Stefani, trasformata da Mussolini da ufficiosa a
ufficiale, cioè diventa un braccio del regime. L’Agenzia era assolutamente centrale in quel periodo
perché i giornali si affidavano ad essa per le notizie degli Esteri anche con contenuti-fotocopia.
Sindacato e Albo (??)
Funzione “educativa” della stampa: Documento approvato dal Gran Consiglio, novembre 1927
“riafferma la funzione educativa della stampa e la necessità che essa sia permeata e modellata dallo
spirito fascista”. In questi anni, il fascismo non è più un’opzione, ma diventa LA cultura italiana: la
funzione dei giornali in questo Regime totalitario è quella di diffondere quest’ideologia. Mussolini
riunisce i 70 direttori in un’adunata: lui usa la metafora dell’orchestra per dire che ogni giornalista e
testata è un componente diverso di un’orchestra. Lui quindi ammette toni, modi e stili diversi di
suonare la stessa musica. L’orchestra, però, funziona se tutti suonano lo stesso spartito con una
ricchezza di voci diverse (pluralità di voci): questo è un ottimo servizio alla causa del regime. Qui
siamo al passaggio dal regime dittatoriale e autoritario al regime totalitario. Totalitarismo: regime
che permea tutti gli aspetti della vita pubblica, ma anche privata.
Fascismo e modernizzazione. La “modernizzazione” e l’avvento della RADIO
Quando si dice che con il fascismo si è avuta una modernizzazione, la verità è che in quel periodo
storico (22-43) tutti i paesi si modernizzano. Si diffondono, ad es., le automobili; c’è una forte
urbanizzazione; si ha la messa in ordine di una serie di questioni che riguardano il welfare (sostegno
agli invalidi; pensioni)  questo coincide col regime fascista solo da un p. di vista temporale. È un
ventennio che in tutto il mondo vede una modernizzazione. La modernizzazione dal p. di vista dei
mezzi di comunicazione di massa del giornalismo riguarda l’avvento della radio. La
modernizzazione avviene principalmente su 3 piani: tecnico (ad es. della resa tecnica delle
fotografie), editoriale (relativo alla scelta di alcuni contenuti, ampliando ad alcuni temi, come lo
sport; diventa normale la lettura orizzontale con articoli che si sviluppano su più colonne) e
giornalistico (alcuni giornalisti cominciano ad essere riconosciuti come grandi firme; si creano i
primi embrioni di fidelizzazione). Questo tipo di sistema fa parte della cosiddetta “fabbrica del
consenso” (Cannistraro, 1975): il consenso viene ottenuto proprio dalla somma di una serie di
azioni di propaganda e mediali, ma avviene anche con uso sistematico della coercizione e della
violenza. Nel 1930 nasce l’EIAR (che si trasformerà in RAI nel Dopoguerra) con notiziari regolari
ed è il primo Giornale radio, in realtà dettato dall’Agenzia Estefani. Da circa 175mila si arriverà a
oltre un milione di abbonati nel 1938. La radio sconta sul giornalismo una sorta di sottovalutazione,
perché Mussolini pensa che l’opinione si faccia sui giornali (anche se la radio è assolutamente
funzionale al regime) e per lui il “primato giornalistico” resta ai quotidiani. Inoltre, la radio nasce
all’interno del sistema fascista e all’insegna del monopolio statale, quindi non c’è bisogno di
regimentarla e fascistizzarla. La fruizione della radio è solo in parte privata, ma rimane un uso
anche di tipo pubblico e non domestico. Per esempio, dopo cena, si andava tutti a casa del vicino
per ascoltare un po’ di musica: consumo collettivo di più famiglie. Più avanti questo tipo di
consumo avviene nei locali pubblici, nei bar, nei dopo-lavori, nelle associazioni e nella cosiddetta
Casa del Fascio. Il regime totalitario, così, entrava anche nella vita pubblica e nel tempo libero dei
cittadini.
Esempio di “modernizzazione” è  La Gazzetta del Popolo, di Amicucci, che è uno degli
uomini-stampa di Mussolini. Lui sposta la Gazzetta del Popolo su un versante di modernizzazione,
inserendo una serie di rubriche: quella che successivamente sarebbe stata chiamata
“settimanalizzazione”. Il Corriere della Sera; autorevolezza, organo della borghesia italiana. Le
rubriche vengono settimanalizzate in Periodici Settimanali. Nel 1930, si ha la macchina per
stampare a “rotocalco”. C’è il protagonismo nel campo dei settimanali di alcune figure
fondamentali nell’editoria italiana: Angelo Rizzoli e Arnoldo Mondadori, che operano soprattutto
negli anni 30. In quegli anni si crea una sorta di STAR SYSTEM (personaggi famosi di cui si parla
nei settimanali). Si passa verso una dimensione sistemica: stampa, radio, cinegiornali (Istituto Luce)
e dei film. Cinema come costruzione della mitologia dell’Impero e costruzione dell’idea coloniale
(creazione di Cinecittà). Telefoni bianchi: erano commedie e drammi sentimentali che avevano
un’ambientazione borghese e che in qualche modo costruiscono un’idea di ricchezza e benessere
portato dal regime. Autarchia: c’è un assoluto divieto di utilizzo di prodotti culturali di provenienza
straniera anche con una serie di aspetti grotteschi, con imitazione di ciò che accadeva al di fuori dei
confini. Avvento anche in Italia di un moderno sistema delle comunicazioni di massa: guida e
sfruttamento globale e coordinato di questi mezzi di propaganda per la costruzione di un
immaginario, che è l’immaginario fascista. Il 1° agosto 1933 Mussolini nomina capo dell’Ufficio
stampa Galeazzo Ciano, da poco genero del Duce, una delle personalità giovani rampanti del
Regime, uomo con un certo carisma che riesce a trascinare i direttori dei giornali verso la propria
linea, non solo con metodi coercitivi (sarà uno di coloro che sfiducerà Mussolini). Qui c’è
l’istituzione del Sottosegretariato per la stampa e la propaganda (modello il ministero per
l’educazione e la propaganda creato da Goebbels), che poi sarà elevato a Ministero nel 1935. In
seguito, c’è anche l’istituzionalizzazione delle «veline» e un potenziamento dell’apparato (risorse di
uomini). Quest’investimento è finalizzato ed è urgente perché è il momento della mobilitazione
militare per l’Impero, quindi di alzare i toni e preparare un atteggiamento che possa seguire la
guerra. In un Discorso al Sindacato dei giornalisti, c’è il passaggio dalla metafora dell’«orchestra»
ai «militi», cioè Mussolini chiede ai giornalisti di essere dei soldati sostanzialmente e che la loro
arma (quella del giornalismo) fosse parte dello sforzo bellico  serrare le fila, alzare i toni.
Ciano e la radio  Ciano crea ed affida a persone di fiducia una striscia, le Cronache del Regime,
che andava in onda subito dopo il Radiogiornale della sera ed era una sorta di mediazione, un
commento di quelli che erano i fatti della giornata. L’altro luogo di importanza della radio è il
format delle Radiocronache in diretta degli avvenimenti politici (es. le Adunate e la mobilitazione
sul territorio). Quello che il pubblico seguiva soprattutto era il format della Radiocronaca sportiva
(vittoria di due mondiali di calcio del 34 e del 38, per esempio). Mobilitazione di guerra: ritornano
elementi di tipo emotivo e retorico  Per il Regime, la Guerra di Etiopia viene vista come una vera
e propria prova generale, perché è il primo momento di mobilitazione di tipo bellico e funziona
perché c’è un vero e proprio consenso nei confronti della guerra in Abissinia. C’è tutta una serie di
meccanismi classici del racconto della guerra: minimizzazione delle sconfitte e la
costruzione/demonizzazione del nemico. Nel frattempo, il razzismo scientifico era diventato un
pezzo della dottrina fascista con un’idea paternalista di redenzione di coloro che erano visti come
dei selvaggi. La vittoria sanguinaria consente all’Italia di sfidare le grandi potenze: è il momento in
cui il Regime mostra in modo evidente il suo intrinseco razzismo e l’utilizzo del razzismo in modo
crudele e feroce. I giornali e la radio sono al centro della «macchina del consenso»: fanno passare
sotto silenzio sia gli elementi di resistenza ai militari italiani sia l’utilizzo del gas da parte degli
italiani in Abissinia e in Africa orientale, dove i militari italiani si macchiano di crimini contro
l’umanità e di uso dell’adozione di guerra chimica. Uno dei primi utilizzi su larga scala di armi
chimiche – con stragi di civili – è proprio dell’Italia. L’Adunata «oceanica» del 6 maggio 1936:
Mussolini dice che Addis Abeba è caduta e in qualche modo lui consegna l’Impero ai Savoia.
Questo comporta la retorica dell’Impero che torna a Roma dopo 2000 anni: il 10 maggio vi è la
proclamazione dell’Impero. Le tirature dei quotidiani toccano vette mai raggiunte: il 10 maggio La
Stampa e Stampa sera raggiungono complessivamente 1milione 300mila copie. I giornalisti vanno
al fronte, sono embedded e sono aggregati alla spedizione: es. Montanelli in quel momento era lì
più come soldato che come giornalista. Mussolini in quel periodo chiede immagini che costruiscano
il mito della conquista e dell’Impero  contesto di guerra in quanto prova generale di quello che
succederà anni dopo con l’ingresso in guerra. Il 1° giugno 1937 nasce il Minculpop (Ministero
della cultura popolare): il fascismo non si serve più soltanto della propaganda, ma diventa una
vera e propria «cultura». Gli anni 30, dal p. di vista giornalistico, sono una fase espansiva:
acquistano rilievo periodici umoristici e satirici, e il pubblico è giovane e costituito maggiormente
da studenti. Viene lanciato il Bertoldo (settimanale tra il satirico e l’umoristico) nel 1936 da Rizzoli,
tuttavia i gerarchi non ne approvano i toni canzonatori e sarà costretto alla chiusura. Vi è la nascita
di settimanali di attualità: ad es. Omnibus di Longanesi, un impasto di modernità e nostalgie
ottocentesche, con una proiezione alla modernità, che, pur interno al Fascismo, è troppo pieno di
ironia e spirito, e troppo anticonformista  vita breve e soppressione nel 1939. Un modello più di
successo è quello di Tempo, di Arnoldo Mondadori, il cui Modello Life è interessante per il ruolo
delle immagini e quindi del fotogiornalismo. L’altro aspetto interessante è il forte attivismo
culturale all’interno dei GUF (Gruppi Universitari Fascisti, associazioni studentesche inquadrate
all’interno del Regime), che avevano anche i loro periodici.
La radio diviene sempre più importante: ascolto collettivo delle radiocronache nei dopolavoro e
negli altri apparati di regime. Dal p. di vista politico, la stampa italiana deve rendere conto di quello
che sta succedendo. Mussolini in questa fase è un po’ altalenante nelle sue richieste, però
l’esperienza vittoriosa di quella saldatura retorica e militare della guerra in Africa è il p. di partenza
anche del racconto di altre vicende di tipo politico. Nel 1937, vi è l’invio di truppe fasciste nel
conflitto spagnolo, dove c’erano anche volontari antifascisti. Il conflitto spagnolo è una guerra
importante anche dal p. di vista del fotogiornalismo. Lo stesso Mussolini riprende a scrivere per il
suo giornale, anche commentando la guerra di Spagna. L’altro evento politico importante è
l’alleanza con Hitler: stiamo parlando di due regimi dittatoriali e totalitari che hanno una comune
genesi. Hitler riconoscerà sempre di essersi ispirato al fascismo, aggiungendo una serie di elementi
peculiari, che in qualche modo costruivano un pezzo dell’ideologia nazista. Sono sostanzialmente
due regimi destinati ad allearsi. Nel momento in cui il Regime trova un alleato forte al di fuori dei
confini anche il racconto di ciò che accade sullo scacchiere estero prende la piega che porterà alla
guerra: idea di accerchiamento, ma anche di potenza del nazismo e del fascismo. Già prima della 2^
GM, inizia la «guerra delle onde», uno dei casi più interessanti di utilizzo di forme di propaganda
pienamente incorporate nello sforzo di tipo bellico per spostare i consensi nel fronte opposto.
Attraverso l’uso delle onde radio, c’era l’idea di far passare una visione del mondo che era preclusa
in contesti chiusi come quelli dei regimi totalitari. Per i cittadini italiani che non avevano sposato il
Regime trovare delle voci alternative poteva essere un elemento che accendeva l’antifascismo o
riaccendeva la critica al Regime. Stiamo parlando di emissioni radio nella lingua del paese in cui si
diffondono, gestite dall’altro Stato. Due esempi: Radio Londra, gestita direttamente dalla BBC con
una programmazione in italiano, che cerca di inserirsi sulle frequenze ascoltate in Italia per “dire la
verità agli italiani” su Mussolini; Radio Mosca, che fa lo stesso di Radio Londra. A volte
quest’ultima riesce anche a interrompere le trasmissioni dell’EIAR, perché si tratta di un’intera
programmazione per provare a solleticare l’idea che esista un mondo diverso da lì. Dopo il 43, nel
momento della Resistenza, Radio Londra trasmette dei messaggi in codice che servono a dare le
indicazioni tra i comandi militari alleati e le formazioni partigiane.
La stampa e la campagna antisemita. Leggi razziali e campagna antisemita. L’antisemitismo del
fascismo non deriva solo dall’alleanza con Hitler, ma in questa fase c’è proprio un’idea coordinata e
strategia di costruzione ed individuazione di un nemico interno negli ebrei. I giornali fascisti fanno
tutto questo con grande zelo e delle pagine vergognose per il giornalismo italiano, con delle poche
resistenze iniziali di alcune testate (Ferrara, Trieste) e dei giornali cattolici. Il Minculpop assume la
direzione della campagna La Difesa della razza per giustificare e dare corpo alle Leggi razziali del
38. La Difesa della razza è una sorta di rivista scientifico-culturale, che è la rivista del razzismo
scientifico: il punto qui è la legittimazione scientifica del razzismo che in realtà si era costruita col
passare degli anni a partire da Lombroso in poi. Questa è una testata che viene promossa dalla radio
e dal Ministero attraverso i giornali: uno dei principali redattori sarà Almirante che poi fonda nel
Dopoguerra il Movimento Sociale Italiano, connaturato all’idea razzista e antisemita che c’era nel
fascismo. Dal p. di vista politico dell’evoluzione dell’avvicinamento verso la guerra, l’Italia
mantiene all’inizio una posizione di «non belligeranza» e cerca di far passare l’idea che potesse
essere l’attore in grado di mediare rispetto a Hitler. Mussolini voleva far credere di stare lavorando
per la pace. Ondeggiamenti al seguito dell’alleato nazista (?). Ci sono una serie di imbarazzi quando
in Italia i giornali danno la notizia del patto Hitler/Stalin, che ovviamente è tutto militare, ma molti
giornali sono perplessi e si vede questa perplessità. Quando l’Unione Sovietica col benestare di
Hitler attacca la Finlandia, nei giornali italiani c’è il racconto della resistenza dei finlandesi a
quest’aggressione. In questo racconto ritroviamo Montanelli che era stato mandato “in punizione”
dall’Istituto Italiano di Cultura nei paesi baltici, dove fa grandi corrispondenze per il Corriere della
Sera e si fa un nome. Sul fronte interno, è preoccupante per Mussolini la diffusione crescente di un
giornale come l’Osservatore romano che tocca le 250.000 copie. Questo giornale riesce a dare
notizie dagli esteri e dal campo occidentale in forma molto neutra: svolge un ruolo di quotidiano di
informazione al di fuori del Regime. Viene tollerato da Mussolini, ma il numero di copie ci fa
capire che c’è una domanda di informazione che non sia tutta completamente controllata. Mussolini
già nella primavera del 1940 rompe gli indugi e sa che dovrà entrare al fianco di Hitler. Ovviamente
aspetta che H. sia forte, ma cerca comunque di preparare gli italiani. Nel discorso di Mussolini ai
direttori, egli usa la metafora di «elevare gradualmente la temperatura del popolo italiano». Questo
fino alla dichiarazione del 10 giugno 1940 col famoso discorso in cui Mussolini, acclamato dalla
folla, annuncia che l’Italia entra in guerra. Poche ore dopo, Pavolini (che era stato uomo di
Ciano) incontra i direttori e i corrispondenti romani per stabilire la linea di condotta.
Il fascismo e la Guerra  Doppia censura sulle notizie militari sia del Minculpop sia dei Ministeri
militari. Ovviamente è una censura che si innesta in un meccanismo già pienamente regimentato. Vi
è l’obbligo di corredare il Bollettino militare (diramato dalla radio alle 13) solo con le note
dell’Agenzia Stefani. La guerra impone delle ristrettezze: abbiamo un impoverimento della
foliazione e un calo delle vendite. Un aspetto interessante sono i rapporti dell’Ovra (Opera
Volontaria di Repressione Antifascista) sulla «disaffezione», in cui segnala che i lettori italiani sono
un po’ scontenti del modo con cui i giornali stanno coprendo la guerra, sia per la povertà di
informazioni, sia perché sono pienamente coscienti di ricevere solo una quota limitata di
informazioni. Pavolini corre ai ripari, quindi dà delle concessioni alla stampa per aumentare la
foliazione e per la terza pagina. Chiaramente, da un p. di vista militare, aumenta la sorveglianza sul
«fronte interno», l’idea che ci siano dei cospiratori e qualcuno accusato di avere intelligenze col
nemico, idea allargata non solo ai disciolti partiti socialisti e a tutto ciò che potesse essere accusato
di essere disfattista. E ci sono dei tentativi di risposta alla guerra delle onde. Inoltre, Mussolini ha
delle difficoltà belliche. Rimpasto di governo del febbraio 1943. Quello che si comincia a percepire
è che il regime è in difficoltà: i casi che non possono essere nascosti sono i bombardamenti che
arrivano a Roma e la visita di Pio XII a San Lorenzo fra le macerie. C’è lo sbarco degli alleati prima
a Pantelleria, poi in Sicilia nel luglio 1943: elemento di palese difficoltà dal p. di vista della guerra
 i giornali danno la notizia, ma devono comunque minimizzare. Dal p. di vista politico, si apre la
grande crepa all’interno del Regime: il 23 luglio, le veline iniziano a «orientare sul piano politico e
non militare». E il 24 luglio 1943, c’è la seduta del Gran Consiglio che destituisce Mussolini.
L’annuncio delle «dimissioni» di Mussolini viene dato dalla radio alle 22 del 25 luglio;
sostanzialmente vi è il conferimento a Badoglio (che è simbolo dell’elemento di fedeltà alla
monarchia) dell’incarico di Governo. Si apre una fase ambigua che durerà dal 24 luglio all’8
settembre. Mussolini viene imprigionato, l’annuncio alla radio viene visto come la fine della guerra,
ma in realtà Badoglio lo smentisce dicendo che la guerra continua al fianco di H. Quello che
succede è che nel frattempo cominciano le trattative per l’armistizio: l’ambiguità sta proprio nel
fatto che la gente non capisce qual è la realtà dei fatti. Giornali: alcune persone vedono nella caduta
del fascismo la fine della propria vicenda personale, quindi ci sono delle sparizioni, delle persone
non vanno in redazioni ad esempio. Vi è sgomento e ansia tra i giornalisti devoti a Mussolini. Per
motivi di ordine pubblico, si avrà l’ultimo numero de Il Popolo d’Italia (il giornale di Mussolini).
Molti dei brevi commenti dei quotidiani, a cominciare da quello del Corriere della Sera, sono
intitolati «Viva l’Italia»: molti sposano quest’idea del patriottismo. Nella cronaca delle
dimostrazioni nell’edizione pomeridiana del Corriere (che però nel giro di pochi giorni tornerà su
posizioni fasciste e sarà importante per la Repubblica di Salò): «È difficile fare noi stessi un
giornale quando, per vent’anni, ce lo siamo visti dettare da un ministero». Nuovo ministro della
Cultura popolare, Guido Rocco (poi Carlo Galli): la prima decisione di Rocco del 14 agosto è di far
presidiare militarmente le sedi dei giornali. Badoglio si oppone estremamente ai tentativi di far
ricomparire tutte le testate soppresse nelle edicole, perché vuole continuità nella stampa e
patriottismo. Anche se B. verrà accusato dai fascisti di essere l’emblema del tradimento, che in
realtà mantiene grande moderazione nella gestione di questo passaggio. A parte i direttori, sono
pochissimi i giornalisti fascisti rimossi. Vi è la volontà di Badoglio e del Re di non insistere sul
passato e traghettare l’Italia fuori dalla guerra. Vi è un certo silenzio sul regime fascista (spiraglio
aperto solo su aspetti scandalistici o grotteschi del regime; l’obiettivo è quello di pilotare la spinta
antifascista mettendo a riparo una serie di figure, quali il Re e la sua famiglia, il Papa e Hitler). Il 6
settembre Galli chiede «obbiettiva e serena moderazione nella critica al passato regime» e
«massimo rispetto alle persone e al prestigio dei Sovrani, dei Principi di Casa reale, del Sommo
Pontefice, del Capo del Governo e dei Capi delle nazioni alleate». L’8 settembre vi è l’annuncio
dell’armistizi e tutto è travolto: ora gli alleati sono gli inglesi e gli americani, che nel frattempo
stanno risalendo la penisola. Da questo momento, le vicende del giornalismo italiano si divaricano
nei due campi contrapposti: le regioni del centro-nord (poi solo nord) e la RSI da un lato, e
l’Italia del sud e il ritorno alla libertà dall’altro.
La stampa nella RSI. Per qualche giorno, quindi, i giornali e la radio sono allo sbando: non sono in
grado di dare una lettura degli eventi. Vi è incertezza e la «scomparsa» dei direttori, da un lato
perché temono una rappresaglia e delle condanne, dall’altro perché si sentono liberi di uscire da
quel meccanismo. Con la liberazione di Mussolini ad opera dei tedeschi, c’è la creazione di uno
Stato fantoccio che è la Repubblica Sociale Italiana, che dovrebbe essere lo Stato che continua la
guerra al fianco dei tedeschi. Si tratta dei cosiddetti <repubblichini>, quindi si recuperano una serie
di elementi repubblicani del primo fascismo. La RSI riorganizza la parte di Stato a Nord, mentre al
Sud c’è il governo regolare, che apre un ritorno alla libertà delle varie aree del paese. Vi è la
riorganizzazione Minculpop a Salò, che procede anche se con alcuni ostacoli di ordine materiale:
l’Italia è a tutti gli effetti territorio di guerra, incluso il territorio della RSI. Nelle grandi città e nelle
fabbriche emergono delle forme di protesta, come a Torino e a Milano. Da un p. di vista politico,
invece, siamo in una situazione di riorganizzazione politico-istituzionale, in cui si cerca di
ricomporre un regime fascista (pienamente dentro la logica di guerra). Ci sono anche delle
situazioni particolari di fascisti che propongono forme di mediazione con gli antifascisti. Dall’altro
lato, invece, ci sono i fascisti duri e puri che puniscono gli accusati di tradimento e lavorano a
stretto contatto con i nazisti come truppe di occupazione. Riconfigurazione delle testate: alle testate
tradizionali, come il Corriere della sera di Amicucci, si aggiungono fogli battaglieri (es. Il popolo
di Alessandria). Nell’estate del 44, escono 19 articoli di Mussolini sul Corriere, in cui vi è il p. di
vista del Duce sull’anno passato. Per quanto riguarda la Radio, continua la guerra delle onde: la RSI
prova a fare una sua guerra delle onde verso le zone di Italia che sono già sotto il controllo degli
alleati con Radio Tevere da Milano. Dall’altro lato, gli alleati avevano costituito anche Radio Bari.
Questo tipo di assetto finisce con la liberazione di tutto il territorio italiano il 25 aprile 1945 e
l’uccisione di Mussolini con l’esposizione del cadavere a Piazzale Loreto.
La stampa della Resistenza. Vi è la nascita di tanti fogli delle formazioni partigiane, che però
hanno un’esistenza precaria e una diffusione limitata. I vari Commissari politici delle Brigate
cercano di rendere visibile la propria voce attraverso questi fogli.

Questa stampa clandestina è prodotta dai partiti e da altri gruppi antifascisti con una presenza nelle
principali città, quali Roma e Milano (L’Avanti ha anche un’edizione romana curata da Eugenio
Colorni e Mario Fioretti).
Dalla lotta partigiana alla Liberazione. Gli alleati nel Regno del Sud hanno la situazione sotto
controllo. Il Governo sta a Brindisi. Il PWB (Psycological Warfare Branch) è un organismo
sostanzialmente tenuto dagli inglesi e dagli americani che operano in una guerra psicologica. È al
pari di un Ministero della Comunicazione, che rilascia le autorizzazioni e governa la transizione alla
libertà di stampa. Provvede al funzionamento delle stazioni radio. Nascono delle testate, quali:
Sicilia liberata e Gazzetta del Mezzogiorno. A Napoli non si consente la ricomparsa dei vecchi
quotidiani compromessi, lo stesso Mattino o altre testate che negli anni hanno sostenuto fortemente
il fascismo. La RADIO: c’è il sostegno alla lotta di liberazione e una guerra delle onde con Radio
Bari. All’inizio del 1944, si allenta la stretta armistiziale e vi è il trasferimento di alcuni poteri, tra
cui quello autorizzativo, al governo di Brindisi. Vige il sostanziale monopolio della stampa di
partito, anche se gli Alleati, che hanno un’altra concezione della stampa, premono per far uscire
almeno una testata «indipendente» nelle città. In questi termini, nasce Il Tempo a Roma. Inoltre,
riprende la pubblicazione de Il Giornale di Sicilia. DI COSA SI PARLA IN QUESTA STAMPA? I
temi grandi sono l’assetto istituzionale (inizio del dibattito su monarchia e repubblica in maniera
molto trasparente) e l’epurazione (in uno Stato fortemente compromesso col regime fascista,
l’esclusione e il processo di molti fascisti è costante). Tema dell’amnistia: Amicucci, nel giro di
pochi mesi, passa dalla condanna a morte alla scarcerazione; questo è il destino di varie persone che
erano considerate compromesse dal Regime. L’amnistia viene firmata da Togliatti (ministro
Giustizia ed esponente PCI). Dal p. di vista dell’epurazione, col tempo, molte persone, anche le più
compromesse, ricominciano a fare le giornaliste. I toni della battaglia politica sono molto accesi.
All’interno di quest’esplosione di pluralità di punti di vista, una fiammata interessante ma breve è
quella di Guglielmo Giannini con un giornale: L’Uomo qualunque, da cui deriva il concetto del
qualunquismo all’insegna del cosiddetto “Si stava meglio quando si stava peggio”. Questa era una
sorta di nostalgia del fascismo assolutamente non ideologica, con una visione di luogo comune
dell’uomo qualunque. Giannini è una figura interessante che anticipa altri tipi di figure: attore,
giornalista, comico, che si dà alla politica e cerca di dare voce all’uomo della strada. Tendenza che
sfocia nel populismo.
Nel frattempo, col Governo Bonomi, aumenta il peso dei moderati. Dal p. di vista giornalistico, vi è
la ricostituzione della FNSI e il mantenimento dell’Albo. Tutti sono favorevoli al mantenimento
della concessione statale e alla continuità nel sistema delle trasmissioni radiofoniche. Vi è il
consenso degli alleati alla nascita dell’ANSA, che nasce come forma di cooperativa che coinvolge
tutti gli editori, compresi quelli di partito. Si entra così nel Dopoguerra.
Il dopoguerra. Gli anni Cinquanta e Sessanta. La Televisione e il Telegiornale. Gli anni Settanta.
Il Dopoguerra. C’era la volontà degli alleati di aprire rispetto ai temi della libertà di stampa.
Questo elemento nel contesto italiano era difficile, soprattutto dopo 20 anni di dittatura. Si rimanda
solo la questione istituzionale (che si risolverà col referendum monarchia-repubblica), non quella
politica. C’è una caduta dell’unitarietà perché a livello internazionale sta cambiando un’epoca.
Prima ancora che in Italia sia veramente finita la 2^ GM, sta iniziando la Guerra Fredda. Questo
clima di unità, il grande peso che hanno i partiti comunisti e socialisti in Italia, è di per sé un
oggetto di dibattito, non tanto per il ruolo del governo del CLN, ma per gli alleati, che hanno
interesse a portare l’Italia dal lato atlantico. Problema dell’epurazione e dei giornali
«compromessi»: cominciano a uscire le nuove versioni. Il 22 maggio 1945, il PWB consente
l’uscita a Milano del Corriere dell’Informazione, che appare con lo stesso font e la stessa forma del
Corriere della Sera. In qualche modo, il PWB si occupa della «cessione» delle testate che ha
contribuito a far nascere a chi si incarica di portarle avanti, anche da un p. di vista economico. Dal
punto di vista giornalistico: la vera novità è un forte successo dei quotidiani del pomeriggio e della
sera. Vi è la diffusione dei rotocalchi. Questione dell’epurazione e dei processi  Condanne ai
direttori (Amicucci e altri)  Il 2 luglio 1946 entra in vigore l’amnistia (annunciata però già
prima del 2 giugno): molti giornalisti godono di quest’amnistia e riescono a rientrare. Anche perché
c’è un paradosso: grande domanda di informazione, ma scarsità di giornalisti. Per questo riprende la
ricerca delle «firme» e di persone che fossero in grado di fare questo mestiere. Elezioni
amministrative, Referendum e Assemblea Costituente (storia). Vi è una rinnovata attenzione per la
radio: ci sono 1milione 600mila abbonati alla fine del 1945; saranno 4milioni 300mila entro il 1952.
C’è una necessità di ricambio del personale nella radio, ma i giornalisti che vengono dalle fila
della sinistra continuano a mantenere molto fissa quell’idea del primato giornalistico della carta
stampata. Quindi si ha la «sottovalutazione» delle sinistre della radio come mezzo di
comunicazione. In parallelo, invece, il mondo cattolico fornisce di personale una radio che era
alla ricerca di persone in grado: non c’è un disegno di estromissione della sinistra dal medium.
Alcuni del mondo cattolico erano in grado di fare radio e alcuni si erano formati con l’esperienza
del PWB. Mike Buongiorno fa parte di questo tipo di figure. Si costruisce una classe dirigenziale
forte dell’EIAR di provenienza cattolica. Vi è il ritorno alla centralità dei quotidiani di
informazione e riprende l’antica concorrenza tra Corriere e Stampa. Prendono forma gli
schieramenti sul Referendum: per esempio, Mario Borsa, direttore del Corriere della Sera, schiera il
suo giornale verso il voto per la Repubblica, in qualche modo in dissenso con i Crespi (monarchici).
Nell’agosto 1946, i Crespi reagiscono alla vittoria della Repubblica con la rimozione di Borsa: il
nuovo direttore del Corriere è Emanuel.
Fase dell’Assemblea Costituente: inizia così il dibattito costituzionale sulla stampa, i cui temi
oggetto di dibattito sono tra i più svariati, tra cui il concetto stesso di libertà, la cui concezione
ovviamente era cambiata con l’esperienza fascista. Si va verso le elezioni del 48 che traghettano
l’Italia nella Guerra Fredda, con una lotta tra quelli che fino a pochi mesi prima erano alleati contro
il Regime fascista: popolari e democristiani contro comunisti e socialisti, con la vittoria dei primi
sui secondi. Voto definitivo sull’articolo 21 del 15 aprile 1947 (tutta la Costituzione entra in vigore
il 1° gennaio 1948): Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la
parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad
autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità
giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel
caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili. In
tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'Autorità
giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia
giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia
all'Autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro
s'intende revocato e privo di ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale,
che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a
stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce
provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Tutti sanno che è urgente il varo di una legge organica, perché altrimenti rimangono in vigore tutte
le leggi precedenti. Prima si realizzano alcune norme urgenti, come la legge stralcio dell’8 febbraio
1948. Tuttavia, si rimanda a dopo le elezioni politiche (quando ci sarà un Parlamento) un impianto
organico. I dibattiti denotano una diffusa incomprensione da parte di ampi settori della classe
politica delle questioni dell’informazione in un moderno sistema di comunicazioni di massa.
Ancora una volta si afferma in modo esplicito il primato della stampa nel più ampio spettro della
comunicazione. Nel frattempo, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU introduce
la libertà di espressione e il diritto all’informazione, che pone la prospettiva dal lato dei fruitori di
comunicazione, non solo di chi la produce.
Polarizzazione politica e «immobilismo» giornalistico. Oltre alla legge stralcio, tutte le altre leggi
vengono rinviate perché nel frattempo ci sono crescenti tensioni internazionali e interne tra i partiti
costituzionali. A livello internazionale, intorno all’Italia si stava sviluppando la Guerra Fredda e
questo è un altro aspetto da considerare rispetto al secondo dopoguerra. La collocazione atlantica
dell’Italia era qualcosa di invalicabile, cosa che non poteva portare il PCI a vincere le elezioni. Il 18
aprile 1948, c’è la campagna per le elezioni, che vede da un lato il fronte popolare (socialisti e
comunisti) e dall’altro la Democrazia Cristiana, che gioca tutto sulla demonizzazione della
controparte (Dio ti vede, Stalin no). Una campagna elettorale storica, non ad armi pari, perché vi è
la polarizzazione dei quotidiani: da un lato, abbiamo i quotidiani di informazione (schierati dalla
parte della DC); dall’altro lato, i quotidiani di partito (schierati dalla parte di partiti di sinistra) e i
fiancheggiatori (giornali di sinistra ma non di partito). La radio è ormai strumento del Governo: in
questa fase, dà informazioni e non commenti. Assetto post 1948: Dal 48 in poi, si assiste da un p.
di vista giornalistico a una condizione di immobilismo, nel senso che c’è una forte resistenza anche
al cambiamento e all’innovazione tecnica-editoriale. Da un p. di vista politico, c’è un’estensione
dell’influenza moderata. Rispetto alla stampa e alle proprietà, c’è anche una sorta di ritorno di
imprenditori e associazioni, che si erano ampiamente compromessi nel periodo del fascismo. E qui
si costruisce un’altra caratteristica prettamente italiana: una qualche opacità tra la dimensione dello
Stato, dell’amministrazione e dei partiti che in quel momento governano lo Stato (quella che negli
anni 70 sarà chiamata <partitocrazia>). Lo Stato detiene la proprietà pubblica di grandi imprese,
mentre di alcune testate, attraverso il sistema bancario, deve rilasciare la proprietà, visto che dopo la
guerra erano in qualche modo ancora nelle mani dello Stato. I protagonisti sono ad esempio: il
Banco di Napoli, che è un banco pubblico; la famiglia Ansaldo; i Lauro; Il Mattino; Roma; Il
Gazzettino (quotidiano veneto), che era a tutti gli effetti di proprietà della DC (che ha le sue mani
anche da un p. di vista finanziario su molte testate); vengono affidati a gruppi imprenditoriali (es.
Eridania) “Il resto del carlino” e “La nazione”, quindi Bologna e Firenze, due tradizioni importanti
e due città importanti. Si costruisce qui un gruppo editoriale che in seguito acquisirà anche “Il
giorno”: oggi QN, Quotidiano nazionale. A sinistra, abbiamo i quotidiani di partito. Forte
protagonismo di Confindustria: compra il Sole e il 24Ore, da lì in poi nasce il Sole24Ore; ma
soprattutto lavora a costruire dei network di giornali locali, praticamente tutta l’informazione
finanziaria è nelle mani di Confindustria, anche attraverso l’Agenzia Giornali Associati, che
fornisce a tutti questi giornali dei servizi e riesce a controllarli in qualche modo. L’ANSA diventerà
l’agenzia preminente, anche grazie ad un investimento del Governo, e assume una sorta di
monopolio, diventando punto di riferimento delle altre agenzie. Negli anni del centrismo (post 48),
la polarizzazione è sui grandi temi internazionali (blocco di Berlino, Mao, guerra di Corea, guerra
fredda etc.): immobilismo anche perché ci si focalizza principalmente su questi temi internazionali.
I giornali degli anni cinquanta sono in questa fase di immobilismo ed è immobile anche il modo in
cui si presenta il giornale: la formula ricorrente è quella omnibus (tutte le varie aree devono essere
rappresentate); il ruolo importante della collocazione politica e della linea editoriale è affidata ai
cosiddetti «Fondi»; gli editoriali erano ampiamente discussi per lo stile di scrittura e il modo in cui
venivano utilizzati dai direttori; tutti i giornali devono fare un’operazione di incorniciamento, anche
tematico e interpretativo delle notizie, anche con la costrizione di farlo tutti i giorni; forte il ruolo
della politica; la cultura e la terza pagina sono ancora un caposaldo; poco spettacolo; sullo sport ci
tornano tutti i giornali. Il Corriere della Sera e La Stampa sono sempre in concorrenza, anche se
entrambi non sono contrari alla DC, soprattutto il Corriere con il suo direttore Mario Missiroli.
Mentre la Stampa è più aperturista: guardava a una possibile apertura di tipo social-democratico,
anche dal p. di vista della sua proprietà. La proprietà della Stampa è degli Agnelli: la FIAT era
interessata ad un’industria privata, ma che abbia legami con lo Stato. Anche per convinzione
politica, gli Agnelli sono aperturisti rispetto a un sistema di questo genere. Il direttore qui è Giulio
De Benedetti (suocero di Scalfari). Le uniche novità: Successo dei giornali del pomeriggio e della
sera. Spiccano La Notte e Paese sera, perché si occupano molto di cronaca cittadina e di giudiziaria,
cose che sono sempre piaciute ai lettori italiani. Inoltre, occupano uno spazio che potesse allargare
lo sguardo: le loro recensioni cinematografiche venivano utilizzate dai lettori prima di andare al
cinema la sera. Siamo ancora in un’epoca pre-televisiva: questi saranno i giornali che subiranno la
concorrenza della tv negli anni successivi. In realtà si cercava di mimare una fortissima presenza di
questo tipo di testate in Francia. Compaiono alcuni settimanali molto importanti e rotocalchi: Oggi;
Tempo; Epoca. La Domenica del Corriere; L’Europeo (inchieste e fotogiornalismo); Settimana
Incom; Rotocalchi femminili e fotoromanzi. La stampa di partito: es. L’Unità del PCI è
abbastanza forte, riesce a vendere abbastanza copie, ma è povera dal p. di vista dei finanziamenti.
Sono interessanti le forme di distribuzione molto decentrata rispetto all’utilizzo degli attivisti (?) per
la distribuzione. Le feste dell’Unità servivano a finanziare e si basavano tantissimo sull’utilizzo di
volontari e militanti: il partito aveva un organico forte. Anche a destra, vi è la nascita de Il Secolo
d’Italia.
Anni cinquanta e sessanta. La situazione interna e internazionale. Gli anni 50 sono interessanti
dal p. di vista politico, sono gli anni in cui si costruisce il cosiddetto boom economico. Nel 1953,
c’è la fine dell’era De Gasperi, nel frattempo c’è la morte di Stalin. Vi è una forte e squilibrata
espansione industriale e commerciale, verso il boom economico. Fortissima ondata migratoria dal
Sud al Nord: anni in cui gli italiani capiscono di essere italiani, cioè si incontrano con gli italiani
delle altre regioni, di cui magari non parlavano la lingua. Stampa senza particolari novità e
schieramenti contrapposti  «discriminazione» delle forze di sinistra. Sono anni in cui questa sorta
di benessere economico che comincia ad esserci fa tornare l’attenzione sui casi di cronaca nera: es.
Il caso Montesi. Tendenze repressive (processo e condanne Aristarco e Renzi). È un’epoca di
opacità anche su alcuni falsi: c’è un falso che viene diffuso da Guareschi, cioè una lettera che
accusava De Gasperi di aver chiesto agli americani di bombardare Roma, che poi si dimostrerà falsa
 quindi utilizzo dei giornali per questo meccanismo. Ed è per questo che uscirà l’articolo
sull’«L’Italia infetta» nel 1954: metafora dell’infezione rispetto alla corruzione e all’uso non
trasparente della stampa.
Due grandi novità editoriali degli anni 50: L’Espresso e Il Giorno.
1) L’Espresso = settimanale che quando nasce ha l’apparenza di un quotidiano. Tendenze
social-democratiche. È frutto di una rottura all’interno delle Europee tra Arrigo Benedetti
(direttore dell’Europeo) e Rizzoli. Arrigo Benedetti e Scalfari fondano L’Espresso (all’inizio
il maggiore azionista era Olivetti  vedi storia di Olivetti) il 2 ottobre 1955. Formato
grande; 16 pagine 50 lire. Inchieste: denuncia delle speculazioni edilizie della città di Roma
con quest’equivalenza di «Capitale corrotta = Nazione infetta». Un altro periodico
importante era Il Mondo, da cui nasce il Partito Radicale Italiano. L’Espresso e Il Mondo
denunciano il problema della libertà di stampa. L’Espresso diventa un grosso attore nello
scenario politico-editoriale italiano. Convegno Stampa in allarme.(???)
2) Il Giorno nasce 21 aprile 1956. È un quotidiano di battaglia politica e allo stesso tempo
molto nuovo sul piano editoriale e giornalistico. L’azionista di maggioranza e poi unico
proprietario sarà Enrico Mattei - presidente dell’ENI, la più grande industria pubblica
italiana: lui finanzia questo giornale con l’idea che lo Stato faccia politica anche attraverso
l’economia. Inoltre, Il Giorno è un modo per difendere questa concezione di industria
pubblica forte: Mattei vuole andare contro l’idea liberista-atlantista. Da un p. di vista di
collocazione politica, si tratta di quella che poi chiameremo centro-sinistra dagli anni 60.
Cerca di portare il quotidiano in una visione moderna, molto più innovativa, facendo tesoro
dei successi dei settimanali. Abbiamo la prima forma di prima pagina a vetrina: è una
copertina, non ci sono articoli che finiscono in prima pagina. È un formato piccolo. Abolisce
la terza pagina, ma usa molto l’intrattenimento culturale nella forma di inserto. Delega a un
inserto a rotocalco tutta una serie di altri temi: fumetti, giochi; economia e finanza; sport
(Gianni Brera comincia qui a costruire la sua aura). Vi è quindi l’intento di reclutare lettori
tra i «non lettori» o lettori di rotocalco: Il Giorno è una delle poche iniziative che tenta di
allargare la base totale dei lettori. Nell’estate del 1959, si arriva a circa 150mila copie.
Siamo a Milano, quindi c’è un intento concorrenziale forte rispetto al Corriere della Sera,
che conta 350-380mila copie. Mentre La Stampa ne conta 230-250mila.
Crisi politica e finanziaria dei giornali del PCI: Nel 1956, abbiamo l’ascesa di Kruscev e quindi
la condanna dello stalinismo, che viene dalla stessa Unione Sovietica. Tutto questo, insieme alle
vicende di Budapest, crea uno spaesamento del PCI, che vedeva l’Unione Sovietica in un certo
modo. Già dalla fine degli anni 50 in poi, e poi nel 68 dopo Praga, il PCI è tra i più forti partiti
comunisti in Europa ed è abbastanza in grado di trovare una sua linea differente dal comunismo
dell’Unione Sovietica. Svolta di tipo social-democratico che avvicinerà i partiti di sinistra al
Governo: ci sarà la soppressione di alcune testate e la chiusura delle edizioni locali. Restano pochi
«fiancheggiatori»: Paese e L’Ora di Palermo.
La televisione e il telegiornale. Il Giornale radio della sera è il più forte strumento di
informazione. Ma ci sarà un buon successo anche dei notiziari di prima mattina. Nel 1952, si
avranno le trasmissioni sperimentali del telegiornale e le cronache di eventi in diretta. Nel
frattempo, l’EIAR è diventata RAI. La Dc ha un forte controllo sulla Rai, che è influenzata anche
dall’Azione cattolica. Inizio ufficiale delle trasmissioni: 3 gennaio 1954. Il Telegiornale
(innovazione da un p. di vista giornalistico) va in onda alle 20.30, letto da speakers. Il primo
direttore del Tg è Vittorio Veltroni (padre di Walter Veltroni). La televisione nei primi anni è solo
in diretta, con un alto grado di professionalizzazione, e la tv cerca subito di giocarsi questa carta
della simultaneità. Funzione pedagogica della tv: molti italiani si sono alfabetizzati grazie alla tv
(Maestro Manzi). L’offerta all’interno del palinsesto era varia e popolare, senza perdere qualità.
Alla fine del 1954, il segnale copre il 48,3% della popolazione e sono 88.118 gli abbonati. Tuttavia,
ha subito grande successo il quiz “Lascia o raddoppia” del novembre 1955. Vi è una progressiva
espansione dei ripetitori e una visione collettiva della tv: punta di 10 milioni di telespettatori. Nel
1963, gli abbonati arrivano a oltre 4 milioni, con 15 milioni i telespettatori.
La politica in tv: L’innovazione più importante dal p. di vista della politica si ha con: Tribuna
elettorale (1960) e Tribuna politica (1961)  molti italiani vedono per la prima volta il volto di
alcuni politici, soprattutto di sinistra. E questa sarà l’ennesima occasione mancata della sinistra, nel
senso che, da un p. di vista culturale e ideologico, sin dall’inizio la sinistra attuerà un atteggiamento
un po’ snobistico nei confronti della televisione. È anche vero che pian piano diventa tutto un po’
meno paludato. Il grosso racconto della politica è altamente istituzionale, con le vicende dei
ministeri, delle cerimonie; il Tg non indugia quasi mai in commenti. Già nel 1961, c’è la nascita
della seconda rete televisiva, ma il Tg resta prerogativa del primo canale. Solo dagli anni 70, ci sarà
la terza rete in attuazione al dettato costituzionale delle regioni e quindi dando uno spazio
all’informazione regionale. Si ha una breve stagione di vivacità, con la figura di Ettore Bernabei
(con la direzione Rai di Enzo Biagi, il quale però torna abbastanza presto al giornalismo della carta
stampata), che dà posizioni profondamente cattoliche ed è sicuramente un innovatore. Assumeva il
ruolo di cattolico aperto a tante istanze della società. I dirigenti cattolici di questa fase quasi
costruiscono un’idea di cattolicesimo democratico e laico nell’immaginario italiano:
paradossalmente la Dc nella versione televisiva è meno piegata alle gerarchie vaticane. Per quanto
riguarda i Palinsesti, abbiamo una serie di passaggi chiave: 1957 Carosello; 1962 RT primo
“rotocalco televisivo”; 1963 Tv7; grandi eventi mediali:1962 primo collegamento via satellite dagli
Usa; 20-21 luglio 1969, lo sbarco sulla Luna. Come abbiamo visto con Biagi, c’è necessità di nuove
figure professionali giornalistiche. Resta, tuttavia, il peso del giornalismo proveniente dalla carta
stampata. I quotidiani a una svolta: I più colpiti dalla televisione e dal telegiornale sono i
quotidiani della sera. Resta la funzione di spiegazione e interpretazione. Tuttavia, la crisi dei
quotidiani, anche a livello internazionale, è dovuta alla rivoluzione tecnologica e all’incapacità di
stare al passo da un p. di vista tecnologico e organizzativo: es. in Giappone c’è la prima
trasmissione in fac-simile. In Italia, si hanno circa 5 milioni di copie giornaliere: solo 4 quotidiani
superano le 200mila copie. I quotidiani più forti e ricchi entrano in una fase di relativa espansione
(foliazione, svecchiamento, vivacità situazione politica). È una fase di concentrazione (si fa più
importante la posizione di alcuni quotidiani rispetto ad altri), emerge una nuova generazione
(Ronchey, Spadolini, Ottone) e ci sono cambi di direzione. Nel Corriere della sera, emerge la figura
di Montanelli, la sua fase di più alta notorietà. Con il direttore Russo, il giornale cerca di svecchiarsi
un po’, inserendo una rubrica di lettere dei lettori o anche lo sport. Nelle pagine del Giorno, si crea
un settore culturale, grazie alla partecipazione di una nuova generazione di intellettuali (Pasolini,
Calvino, Gadda) e altri giornalisti di peso (Bocca, Arbasino, Citati). Si attua un’ulteriore
settimanalizzazione. Innovazioni tecniche negli anni 60 (colore). Panorama da mensile diventa un
settimanale. C’è lo sviluppo delle prime agenzie di stampa, quindi delle prime telescriventi, con
l’idea che intere frasi entrino direttamente nel processo produttivo. Attraverso questo meccanismo,
il comunicato o la frase vengono direttamente inseriti in pagina. Nel frattempo, anche da un p. di
vista produttivo si ha un’innovazione, come la trasmissione del giornale alle tipografie locali: es. in
questo modo, il Corriere della Sera arriva anche a Napoli o a Bari. Anche i media più ricchi si
affidano ad esse. Inoltre, nasce un panorama di altre agenzie, oltre all’Ansa, che sono più
specializzate. Per esempio, Agi, Adn Kronos, Asca, Aga. Biennio 1968-1969: ci sono forti tensioni;
contestazione; l’eco delle proteste contro la guerra in Vietnam (una delle guerre più televisive e
maggiormente raccontate negli USA); femminismo (donne come soggetto politico). In questo tipo
di contesto, purtroppo, in Italia si inserisce anche il nodo della violenza politica in reazione a quel
tipo di spinte (contestazione, Vietnam, femminismo). Nasce la cosiddetta strategia della tensione
con le bombe di Milano: la violenza politica c’era anche prima, ma qui c’è una svolta che riguarda
il terrorismo e che nasce con Piazza Fontana. I giornalisti si incaricano di svolgere un ruolo di
inchiesta parallela rispetto alle indagini principali: nasce il ruolo dei cosiddetti «pistaroli». Nasce
l’idea di dover scoprire altro rispetto a quello che raccontano le fonti ufficiali. Gli anni 60 e primi
anni 70 sono anche anni di forte protagonismo politico di intere parti della popolazione che fino ad
allora erano rimaste escluse: nascono movimenti giovanili e studenteschi. E all’interno di questo
mondo nasce anche un’attenzione forte al tema dell’informazione. Si sviluppa il concetto di
«controinformazione»: l’idea di produrre una propria informazione sulla realtà, l’idea che ci sia un
«sistema» verso cui sviluppare forme di controinformazione. All’interno di queste dinamiche, con il
ribollire che si crea all’interno dello schieramento di sinistra, abbiamo la comparsa di quotidiani
della sinistra extraparlamentare: Lotta Continua, Potere operaio, Quaderni piacentini, il
manifesto. Si tratta di un fenomeno ristretto solamente all’Italia: l’idea che esistano dei giornali di
partito di cui non c’è il partito, perché sono espressione di gruppi/movimenti che hanno nel loro
discorso ideologico/valoriale il meccanismo della lotta extraparlamentare. Ovviamente tutto questo
riguarda anche un pezzo delle tensioni interne al PCI, che si presentava come un partito senza
correnti, ma in realtà aveva fortissime tensioni interne, tra cui la scissione del gruppo del Manifesto.
Quest’ultimo nasce all’inizio come rivista interna a un gruppo, che poi viene espulso dal PCI, si
mette fuori, diventa un gruppo politico, poi trasforma la rivista in quotidiano. “Lotta Continua” e
“Potere Operaio” sono dei quotidiani molto importanti per il ruolo che svolgono all’interno del
panorama giornalistico italiano. In termini di costruzione di una generazione di giornalisti, con
Lotta Continua abbiamo per esempio Sofri, Ferrara e Liguori, che successivamente passeranno in
campo berlusconiano. Però lì dentro c’è un mondo della professionalità giornalistica molto forte,
come succederà anche nel Manifesto: erano appunto dei laboratori, delle palestre di giornalismo di
rilievo. È interessante il fatto che, da un p. di vista strettamente numerico, questi 4 giornali non
hanno fatto un grande successo, nonostante il grande numero di persone che potenzialmente erano
dentro a questo discorso di partecipazione politica.
[Repubblica non è un quotidiano della sinistra extraparlamentare, ma a differenza degli altri
quotidiani di sinistra dà un po’ di spazio agli stessi temi trattati dal Manifesto]  Rep. nascerà nel
76.
Gli anni Settanta. Comparsa di quotidiani della sinistra extraparlamentare: il manifesto, 28
aprile 1971; Lotta continua, 11 aprile 1972; Quotidiano dei lavoratori, 26 novembre 1974. Questi
rappresentano un fenomeno peculiare del nostro paese: hanno avuto una diffusione limitata ma
aspetti politico-giornalistici molto interessanti. In questo stesso periodo, abbiamo alcuni giornalisti
italiani sulla ribalta internazionale: Oriana Fallaci (Corriere) e Tiziano Terzani. Assume un ruolo
importante il giornalismo di inchiesta e di denuncia all’interno di L’Espresso o di Panorama.
Questo modo di intendere i settimanali, che adottavano una formula di newsmagazine (erano
settimanali di attualità), va ad aumentare la crisi dei cosiddetti settimanali «familiari», che erano
sia settimanali di attualità sia di costume. Tutto questo causa la fine dei settimanali di inchiesta (es.
Epoca, Domenica del Corriere). Mentre restano in piedi Oggi e Gente, e nasce Famiglia cristiana.
(intermezzo) Gli anni del terrorismo. Considerando il ruolo dei pistaroli, c’erano giornalisti in
grado di indagare in questa prima fase del terrorismo. In una fase successiva, il giornalismo è stato
vittima del terrorismo: i giornalisti e i direttori erano sotto attacco. Tra l’1 e il 3 giugno 1977, tre
direttori furono “gambizzati”: Montanelli, Bruno e Rossi. Ci furono in generale vari ferimenti fino
alle uccisioni di Casalegno e Tobagi. Sono delle figure riconosciute dal mondo giornalistico come
delle persone che hanno dato la vita per la professione. Il giornalismo, quindi, è sotto attacco in
quanto tale. L’apice di tutto questo si ha nel 1978 con il sequestro e l’omicidio di Moro: da lì in poi
per le BR è una parabola discendente, perché cosa potevano fare di più le BR se non uccidere il
capo della DC? Durante il sequestro Moro, i giornali erano al centro del dibattito sulla trattativa. Un
altro elemento di dibattito che si crea con il sequestro Moro è il tema della visibilità: da un lato, i
comunicati con cui le BR conducono a loro modo una sorta di trattativa. Questi comunicati erano
tutti resi pubblici, anche se ci sono dei falsi; il tramite di questi comunicati erano sempre i
giornalisti. Molti giornali scelsero di pubblicare integralmente questi testi, che venivano quindi letti
e analizzati. Ma quanto la pubblicazione di questi documenti faceva il gioco dei terroristi? Tant’è
che cominciano ad esserci nel dibattito delle richieste di black-out, quindi di queste cose non se ne
parlava, anche perché la comunicazione usata nei comunicati delle BR era tutta costruita in modo
tale da veicolare determinati significati e concetti. Dopo il caso Moro, durante il sequestro del
magistrato Giovanni D’Urso, per esempio, lo Stato scenderà in trattativa. Tra le richieste del
sequestro D’Urso, c’era la richiesta di pubblicazione sui giornali dei proclami delle BR. Alcuni
giornali decidono di non pubblicare; altri pubblicano ma commentano prendendo le distanze oppure
spiegando che si pubblica per questioni umanitarie. Anni 70 e terrorismo  3 macro-temi:
visibilità; giornalisti come vittima del terrorismo; giornalisti pistaroli.
Gli anni Settanta. Sono anni di austerity e delle crisi petrolifere nel 73 (domeniche a piedi perché
bisogna risparmiare benzina). Siamo, quindi, anche in una fase di crisi finanziaria dei grandi
quotidiani. Vi è un intervento governativo: il prezzo di un quotidiano veniva calmierato, quindi il
giornale doveva negoziare con lo Stato il prezzo di vendita, perché l’informazione è considerata un
bene di interesse pubblico. In alcuni casi, lo Stato ha imposto il “non alzare i prezzi” ed è
intervenuto aumentando il margine delle sovvenzioni, invece del prezzo (che poteva incidere in
maniera negativa sui lettori). C’è una nuova fase di mutamenti dei proprietari: è importante l’arrivo
alla direzione del Corriere di Piero Ottone, il quale cerca di mettere il giornale un po’ più in sintonia
con la società, con lo spirito del tempo e lo sposta su posizioni più progressiste (liberal, nel senso
americano del termine). Ottone, soprattutto, ha l’intuizione di aprire da un p. di vista politico-
culturale, dando più spazio anche alle opinioni che non si condividono. Ad esempio, nel raccontare
le opinioni del PCI, vi è l’abbandono delle pregiudiziali politiche, per le quali quello che raccontava
il PCI era totalmente sbagliato. Non la etichettiamo, però, come un’apertura a sinistra, ma guadagna
un po’ di lettori da una parte della società che è progressista o che comunque voterebbe anche una
DC che fa gli accordi con i partiti di sinistra. E perde dei lettori a destra. In quest’operazione, viene
inserito anche Pasolini, che in quel periodo scrive in prima pagina, nonostante fosse un personaggio
controverso per un lettore tipico del Corriere. Nel 1973, Montanelli, che non vede di buon occhio
questi cambiamenti, viene licenziato. Stagione «dei comprati e venduti»: Abbiamo la fondazione
de Il giornale nuovo di Indro Montanelli. È una stagione in cui si giocano una serie di protagonismi
di alcune personalità editoriali molto forti, che mettono anche i grandi giornali al centro di questo
tipo di trattative. Comprare e vendere giornali da parte di imprenditori, che magari sono della parte
politica opposta, crea problemi nelle redazioni. Quello che succede riguarda soprattutto il ruolo di
Cefis, una personalità molto importante, ma poco conosciuta: un classico esempio di industriale
italiano molto legato a specifici poteri politici, nel caso specifico Fanfani. Cefis vuole difendere la
Montedison dagli assalti di altri imprenditori e lo fa comprando pezzi di vari giornali, cercando
varie voci per la sua azienda. Il caso più interessante è quando, nel 1974, Cefis acquista Il
Messaggero. Il ramo dei Perrone che non aveva venduto a Cefis impedisce al direttore designato di
entrare e dopo un anno di gestione dei redattori, a ridosso del referendum sul divorzio, arrivano a un
accordo. Il Messaggero in quegli anni diventa soprattutto un giornale di centro. Le vicende della
direzione vedono direttore prima Barzini jr. e poi Pietra. Un’altra esperienza di gestione
«cooperativistica» è quella della Gazzetta del popolo, che poi chiuderà nell’81. Il Corriere viene
acquistato dai Rizzoli, che fa un’operazione di scalata delle altre testate, la quale è messa sotto il
controllo della politica. Vuole fare un’operazione di concentrazione: gestisce Il Mattino, anche se
non lo acquista direttamente; acquista varie testate su base regionale e costruisce così dei simil
monopoli in alcune aree del paese; acquista La Gazzetta dello sport. Rizzoli è un esponente
interessante di questa nuova generazione: è uno dei primi pionieri di imprese di tipo televisivo-
privato. Nel 1977, c’è una forte ricapitalizzazione e costruisce un grande gruppo editoriale, che
viene messo sotto attenzione, anche per vedere la provenienza dei suoi capitali. Qui comincia una
fase di protagonismo di tipo finanziario di soggetti opachi (es. Sindona è un banchiere, che ha fatto
fortuna negli USA, quasi sicuramente con i soldi della mafia, e fa investire al Vaticano i soldi della
sua holding: farà una brutta fine, cioè “sarà suicidato” con un caffè in carcere). Ottone si dimette.
Rizzoli entra in una fase di esperienze temerarie e opacità: es. affida a Maurizio Costanzo molti
soldi per una sorta di giornale popolare in tv, quale L’Occhio. 1979: Crisi e nuova ricapitalizzazione
(Calvi). Si sta per abbattere un ciclone fortissimo sull’intero apparato dello Stato e sull’intero
apparato giornalistico, vale a dire il 20 maggio 1981 (pubblicazione liste), con lo scandalo della
P2. Si comincia a capire che c’è una sorta di livello decisionale occulto, parallelo allo Stato, in cui
sta succedendo qualcosa di non molto chiaro. Ci sono delle anticipazioni per le quali ci sarebbe
un’azione di una loggia massonica precisa, vale a dire la P2 (Propaganda 2). La massoneria non è
vietata neanche oggi. Essa fa della discrezione il suo aspetto principale, è gerarchica e un suo
mistero nel mistero è stata la capacità di Licio Gelli di scalare questa struttura gerarchica e avere
l’incarica di Gran maestro di una loggia coperta. Lui è un repubblichino, fascista, poi da un
momento all’altro diventa un collaboratore a servizio degli alleati, poi viene processato, infine
riemerge come industriale; grandi relazioni con ambienti della massoneria e dell’estrema destra sud-
americana. Durante una perquisizione nella sua Villa Wanda in Toscana, si scoprono degli eventi,
quindi gli appartenenti alla P2. Si trovano delle liste di 900 nomi, tra cui alte personalità dello Stato:
a decidere se desegretare queste liste ci sono alcuni ministri che ne fanno parte. Nelle liste ci sono
anche 28 giornalisti, 4 editori (tra cui lo stesso Angelo Rizzoli), 7 dirigenti editoriali, 7 Direttori (tra
cui Di Bella). Tra gli imprenditori presenti nelle liste, c’era anche Berlusconi. Oltre ai politici, ci
sono anche altissimi gradi delle Forze Armate. C’erano anche Ottone, Ostellino, Maurizio
Costanzo: molti si difesero dicendo che non ne sapevano niente. La P2 è stata quindi uno scandalo
enorme anche sul piano giornalistico. Calo del Corriere anche in termini di vendite: subisce una
crisi, seguita dal tentativo di acquisto da parte di De Benedetti. Amministrazione controllata e
cessioni (??). Nel frattempo: nel 1974, c’era stata la nascita de Il Giornale, Montanelli, che era
principalmente anti-Corriere. Il Giornale è più importante per la sua presenza politica (conservatore,
tendenzialmente di destra, ma anche liberale) più che per le vendite. Non è un giornale in cui si
riconosce il Movimento Sociale Italiano. Questo giornale inaugura una specificità italiana che è il
cosiddetto giornale-partito (non giornale DI partito): idea che una testata stia nel dibattito pubblico
e politico con una sua voce fortemente indipendente. Ha quindi un rapporto con i veri partiti. È
anche il tentativo di fare delle pressioni per spostare i partiti su alcune posizioni. Il 14 gennaio
1976, nasce la Repubblica (che sarà un’altra sorta di giornale-partito). Il grande successo de
L’Espresso dà la possibilità a Scalfari di progettare il suo quotidiano. Scalfari è direttore e azionista,
insieme a Carlo Caracciolo e all’inizio vi è anche una partecipazione importante della Mondadori.
L’idea è di fare una versione quotidiana dell’Espresso. La soglia di vendite per la sostenibilità
finanziaria è fissata a 150.000 copie. All’inizio sembra un po’ lontana, ma ci arrivano dopo circa 3-
4 anni. È un’esperienza che comunque riesce. All’inizio, l’idea per Repubblica era quella di un
“secondo giornale”, che fosse un quotidiano leggero con formato tabloid e che trattasse di cultura e
commenti. L’idea era quella di portare una nuova generazione di giornalisti molto riconoscibili e
identificabili con l’idea iniziale di Repubblica, come Giorgio Bocca, Mario Pirani, Miriam Mafai,
Natalia Aspesi, Barbara Spinelli, Alberto Arbasino. I toni dovevano essere non pregiudizievoli
verso la sinistra extraparlamentare. Scalfari era come un leader che fa politica con il proprio
giornale e si inserisce come interlocutore della politica. Vi è un allargamento dell’area “di sinistra”
(c’era Berlinguer a capo del PCI, c’era il Partito Socialista) che sta perdendo la connotazione di
classe (cioè il fatto che la società fosse divisa in classi e che loro fossero dalla parte della classe
operaia). Quindi, Repubblica è di sinistra? Sì, ma di una sinistra che in quegli anni sta cambiando
tantissimo, non è identificabile con la sinistra di classe e nemmeno col PCI, anche se probabilmente
molti lettori di Repubblica erano del Partito Comunista. Inoltre, è una sinistra più vicina alle istanze
che una volta erano dette liberal-democratico-radicali. Scalfari in quegli anni era assolutamente
laico e Repubblica era anti-clericale, mentre oggi si è avvicinata alla Chiesa e al mondo cattolico. Il
fatto che la sinistra stesse perdendo la sua connotazione di classe implica che votassero a sinistra, in
misura maggiore di quanto avveniva prima, anche pezzi importanti della media borghesia urbana, in
alcuni casi anche imprenditoriale (nell’ambito del pubblico impiego, del terziario, ecc.). Scalfari e
Craxi stanno quasi competendo sullo stesso tipo di bacino da un p. di vista sociologico, tant’è che
saranno nemici giurati. Paradossale perché è un giornale che ha la stessa leadership sovrapposta alla
base elettorale del PSI di Craxi, quindi dovrebbero autoalimentarsi a vicenda, ma Repubblica
addirittura accusa il PSI. Quindi si definisce più veramente rappresentativo dello stesso PSI di
Craxi. Repubblica dialoga con alcuni dei temi trattati anche dai giornali della sinistra
extraparlamentare.
Gli anni Settanta e Ottanta. Scalfari in qualche modo schiera Repubblica contro Craxi, perché nel
frattempo quest’ultimo era diventato leader del PSI che schiera in una posizione particolare. Craxi
viene accusato di essere decisionista e di schierare quasi il partito a destra in base ad alcune sue
scelte. Lo stesso stava avvenendo in Francia con Mitterrand. Le spinte in Europa e nel mondo sono
sostanzialmente conservatrici: Inghilterra-Thatcher, USA-Reagan. Gli anni 80, iniziano anche come
anni di grandi tensioni internazionali tra USA e Russia: sono anni di forte competizione. Nel
frattempo, anche in Italia erano successe alcune cose: il sistema di tutela dei lavoratori viene
danneggiato da elementi di forte riarticolazione (es. referendum sulla scala mobile: stipendi
adeguati automaticamente al costo della vita). Gli industriali chiedono di sganciare questo, la
politica prende questa decisione, scendono in piazza gli impiegati (la cosiddetta “maggioranza
silenziosa”): segnale più simbolico che reale che è finita quella stagione di avanzamento dei diritti
ed ha inizio una nuova fase all’insegna dell’individualismo e del liberismo. Molti si sentono
sconfitti e passano dall’altro lato: anni 80 famosi come anni dell’edonismo e dell’individualismo.
C’è comunque un boom economico negli anni 80: a governare questo boom economico arriva il
craxismo. Craxi leader del PSI: nasce il dibattito  è ancora un partito di sinistra? Uno degli
esponenti di punta del PSI scriveva una guida sulle discoteche. L’altro aspetto chiave dal p. di vista
politico è il fatto che Craxi riesce a fare queste cose col 12-14%: nonostante sia il terzo partito,
ottiene la Presidenza del Consiglio varie volte. Dal p, di vista internazionale, lui si pone contro gli
americani all’insegna di una politica favorevole al mondo arabo (poi si rifugerà in Tunisia). Da un
p. di vista giornalistico, i conti de la Repubblica vanno in pareggio  abbondanza di contenuti:
inserti; si spinge molto sulla settimanalizzazione. Edizioni locali. Ci sono alcune firme importanti
(Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Brera), che Repubblica strappa al Corriere (il quale è in una
situazione di crisi). Brera scriverà di sport su Repubblica. Questo giornale si ritrova in una formula
omnibus (in realtà avversata da Scalfari). Dal p. di vista politico, è importante il 1983, anno in cui
Repubblica apre verso la Dc di De Mita. Questa è una Dc in cui diventano più forti gli esponenti
della sinistra democristiana. In qualche modo Repubblica fa cadere anche una pregiudiziale nei
confronti della DC. Nel 1985, le vendite superano le 370mila copie e la diffusione diventa
nazionale. In questo periodo storico, i giornali cominciano una lotta a base di inserti: il giornale
diventa pesante, ampliato (una 40ina di pagine) con 1-2 inserti. Es. il lunedì dell’inserto sportivo; il
martedì dell’inserto musicale; il venerdì Repubblica fa uscire l’inserto Affari&finanza (centrale
nell’informazione economica). Lo stesso fa più o meno il Corriere. Nel frattempo, la concorrenza si
sposta sul piano del marketing editoriale: io non vendo più soltanto il quotidiano, ma anche collane
di libri, videocassette, cd, musica, ecc.
L’apertura del mercato televisivo. Dagli anni Ottanta ai Duemila. Dalle tv libere alla legge
Mammì. Gli anni 70 si chiudono con un’attenzione che dobbiamo rivolgere sul versante
radiotelevisivo. C’è uno scenario in cui c’è un monopolio della tv pubblica, il quale pian piano
viene messo in discussione, sia per una questione tecnica (la tv ormai è un mezzo diffuso) sia
perché viene messa in discussione l’idea che lo Stato sia l’unico legittimato a trasmettere un
messaggio televisivo. Come spesso accade per molte cose in Italia, c’è una prima fase di
regolamentazione e poi una successiva fase passata alla storia come un “far west” televisivo, a cui
seguirà un’ulteriore fase di regolamentazione che sancirà gli equilibri costruitisi sulla base di quel
far west su rapporti esclusivamente di forza. Nascono una serie di iniziative, tra cui tv estere e
nascita di tv locali via cavo. Nel 1971, abbiamo Telebiella. Dal 1974 in poi, Berlusconi associa il
suo interesse al mondo dell’editoria e della televisione alla sua principale attività, quella
immobiliare. Tutto questo avviene in contemporanea ad altre esperienze, tra cui una sfida al
monopolio Rai attraverso l’uso di radio libere. Ci sono anche degli interventi della magistratura a
livello locale per quanto riguarda la campagna per la riforma della Rai: manca una televisione più
attuale. C’è una sentenza della Corte costituzionale del 1974 che in qualche modo afferma che
esiste il monopolio, ma che questo in contrasto con l’idea che ogni cittadino abbia libertà di
accedere allo spazio comunicativo. Quindi, questo apre uno spazio per le emittenti private. Nel
frattempo, nel 70 era avvenuta quella parte di attuazione della Costituzione che riguardava il
sistema regionale dello Stato italiano: la stessa Rai è obbligata a produrre informazione regionale.
Legge 103 del 14 aprile 1975: riforma Rai, commissione di vigilanza (???). In quegli anni, nasce la
terza rete per creare uno spazio regionale. L’altro elemento chiave della riforma Rai è il passaggio
da un controllo completamente governativo a uno parlamentare: concetto di pluralismo. L’altra
dimensione chiave di questo processo interno alla Rai è il distacco della testata giornalistica
dall’emittente, dal canale: esiste un Tg1 distinto da Rai1 (dal primo canale). Questo fa sì che ci
siano delle testate giornalistiche a tutti gli effetti, che si distinguono anche per la linea editoriale. Da
lì in poi le testate subiscono un lavoro da parte delle forze politiche di occupazione, lottizzazione,
tentativo di appropriazione: inizia una fase in cui diventa ancora più manifesto quel vulnus nel
sistema radiotelevisivo italiano pubblico di una non-separazione della dimensione editoriale dalla
dimensione della semplice proprietà pubblica. Quindi, la proprietà pubblica, statale riguarda
l’emittente: la testata dovrebbe rispondere a dei requisiti di carattere editoriale-giornalistico. Questo
nodo non si è mai effettivamente sciolto. Questa lottizzazione avviene principalmente tra le tre
grandi forze politiche: la DC su Rai 1, il PCI su Rai 3 (negli anni 80), il PSI su Rai 2. In realtà, si
associa a quegli anni una dimensione di controllo dei partiti su grandi parti della vita pubblica che
durerà almeno fino a Tangentopoli. Il 28 luglio 1976, c’è una nuova sentenza della Corte
costituzionale che stabilisce la cosiddetta libertà di antenna in ambito locale: c’è una libertà dei
singoli, degli individui, dell’imprenditori di diffondere messaggi televisivi limitata all’ambito
locale. Lo Stato si riserva la dimensione nazionale. Nel frattempo, stavano nascendo dei grandi
conglomerati a livello internazionale che spingevano rispetto all’innovazione dal p. di vista
giuridico, che doveva essere supportata anche dal p. di vista economico: per esempio, stava
nascendo la necessità della tv a colori. Negli USA, il colore in tv c’è dagli anni 60: le grandi
trasmissioni trasmettono a colori. Gli italiani non potevano vedere la televisione a colori: non c’è
una domanda di televisione a colori, perché le persone non sanno della sua esistenza. C’è un
dibattitto sulla commercializzazione o meno di dispositivi che permettessero la visione a colori, ma
c’è un blocco, soprattutto da parte della DC, basato sulla capacità di spesa delle famiglie. Ai primi
segnali di ripresa economica degli italiani, inoltre, lo Stato decide di puntare su altro e prevale l’idea
che una famiglia italiana non poteva permettersi sia una seconda automobile sia una tv a colori.
Quindi, si favorisce il piano della motorizzazione rispetto a quello dell’innovazione tecnologica.
Questo ritarda di molti anni l’adozione del colore in Italia e ha una conseguenza fortissima
sull’industria degli apparecchi televisivi italiani, che fino agli anni 70 era leader in Europa. E invece
da quel momento l’industria italiana produce soltanto dispositivi ormai antiquati, quindi una serie di
marchi e industrie chiudono. Le famiglie italiane compreranno poi nell’82 la tv a colori solo per i
mondiali di calcio. Un altro elemento su cui lo Stato italiano si riserva di essere molto prudente è
l’informazione: comincia a emergere in Italia un fenomeno di ascolto e visione di telegiornali esteri
(tv svizzera in lingua italiana, tv slovena, ecc.). Ad esempio, Radio Radicale sfida il monopolio
dello Stato sul tema dell’informazione e del concetto stesso di servizio pubblico: Radio Radicale si
aggiudica la gara per mandare in onda i dibattiti parlamentari, in base a un principio secondo cui il
servizio è pubblico anche se la proprietà non lo è. Nella seconda metà degli anni 70 ci sono varie
iniziative, tra cui iniziative editoriali televisive. I grandi editori dell’epoca sono: Rusconi nel 1976;
Rizzoli e Berlusconi nel 1978. Il mercato è anche un mercato di intrattenimento. Questi anni fino al
1980 sono gli anni del cosiddetto Far West televisivo: nel 1980 si contano 972 emittenti private. Da
parte della Rai, c’è un’effettiva terza rete (Tg3). I primi network sono: Canale 5 (Berlusconi), Prima
rete (Gruppo Rizzoli), Italia 1 (Rusconi) e Retequattro (Mondadori e altri). Si parla di Far West
perché ognuno fa quello che vuole e vige la legge del più forte, che in questo caso si esercita
entrando sulla frequenza dell’altro e occupando le frequenze. In questo Far West, alcune di quelle
televisioni cominciano ad avere sempre più seguito: entro il 1984, Berlusconi compra Italia 1 e
Retequattro, e inizia a costruire la logica di network, trasmettendo per esempio lo stesso programma
alla stessa ora su tutti i canali con marchio Canale 5. Lui fa trasmettere telefilm (che acquista per
esempio dall’America Latina; acquista Dallas dalla Rai, che a sua volta l’aveva acquistata dagli
USA; Berlusconi costruisce appuntamenti e ne fa successi di pubblico) e programmi quiz. Quindi,
Berlusconi costituisce un oligopolio: ci sono una serie di richieste di intervento soprattutto
regolatore (antitrust) nei confronti del mercato televisivo. Il problema della diretta (sport): era un
elemento vietato. Berlusconi aggira il tema della diretta e riesce a lavorare sui grandi eventi.
Compra i diritti del Mundialito e si inventa la leggera differita: non manda in diretta, ma 20 minuti,
mezz’ora dopo. Gli amanti di calcio, a quel punto, guardavano il primo tempo della partita di calcio
mentre in realtà stava già al secondo tempo. Berlusconi arriverà a una differita di soli 5 minuti.
Novità tecnologiche e normative. L’innovazione tecnologica dà un colpo forte all’occupazione.
Si diffonde la teletrasmissione in fac-simile e VdT (Videoterminali): i giornali vengono composti in
redazione e stampati in tipografie distribuite sul territorio. A questo tipo di tendenze, le testate
rispondono con piani di ristrutturazione. È molto importante anche il ruolo delle agenzie che
costruiscono delle banche dati, come la DeA dell’Ansa. [Scioperi e licenziamenti dei poligrafici]. Il
5 agosto 1981, si ha una nuova legge sull’editoria, in seguito a vari scandali sulla trasparenza
delle proprietà. Si arriva alla soluzione: un singolo imprenditore può detenere giornali per oltre il
20% delle vendite con limiti di zona al 50%. Allo stesso tempo, gli imprenditori ottengono vari
finanziamenti agevolati per le riconversioni tecnologiche e sovvenzioni. [Ritardi nell’attuazione
(???)]. Nel 1984, abbiamo un sorpasso della tv sulla raccolta pubblicitaria.
Gli anni Ottanta. Giornali: si arriva a 6 milioni di copie (oggi tra cartaceo e digitale si vendono
solo 1,7 milioni) con chiusure di alcune testate storiche. Tra queste: La Gazzetta del popolo,
Roma; Giornale di Bergamo, Giornale di Calabria. Abbiamo le soppressioni delle testate del
Gruppo Rizzoli (Corriere d’Informazione, L’Eco di Padova, L’Occhio). Chiude anche Lotta
continua. C’è una lunga crisi e poi chiusura di Paese sera (1983-1989). Anche i quotidiani di
partito vanno verso la chiusura. Inoltre, si avvia un nuovo modello di testata locale attraverso le
“catene editoriali”  1) Gruppo Espresso: ha Espresso come settimanale e Repubblica come
quotidiano; comincia l’acquisizione di tante gazzette e la costruzione di testate locali, che vengono
messe a sistema (un giornalista di una testata locale del Gruppo Espresso può scrivere anche per
Repubblica); c’è una creazione di contenuti molto veloce. Non stiamo parlando delle testate locali
dei quotidiani (che esistono, ma sono un’altra cosa). 2) Lo stesso fa Mondadori.
La seconda metà degli anni 80 sarà una fase importante per l’informazione economica e
finanziaria. C’è proprio una domanda forte da questo p. di vista, se non altro siamo in un periodo
di boom economico. Inoltre, si può parlare di boom anche dei giornali sportivi. Era Craxi  egli,
pur essendo potente e pur avendo segnando la propria epoca politica, aveva una stampa non sempre
favorevole, in particolare il Corriere, Le Monde, ma anche Repubblica (com’era accaduto anche per
Giolitti). La crisi e poi il salvataggio del Gruppo Rizzoli: esso aveva fatto, tra le altre cose, una
serie di investimenti sbagliati. Quindi, diventa una specie di grande torta che può essere spartita da
altri soggetti, tra cui la famiglia Agnelli e la Fiat. Gli Agnelli arrivano a un certo punto ad avere in
pancia il Gruppo Rizzoli: ci sono poi tutta una serie di interventi e dubbi di “antitrust”. Tuttavia,
questa famiglia di imprenditori di un settore così strategico come quello dei motori arriva a detenere
La Stampa, il Corriere, la Gazzetta dello sport, Il Mattino, Il Messaggero. Nel frattempo, si riapre
il fronte sulla libertà di stampa: ci sono delle sentenze che puniscono dei giornalisti. A seguito di
queste sentenze, ci sono vari interventi della magistratura, tra i quali una sentenza della Cassazione
del 1984, che è accompagnata da “linee guida” di tipo professionale a cui dovrebbero attenersi i
giornali. I nuovi fronti della libertà di stampa sono: da un lato, la protezione delle fonti in tema di
segreto professionale; dall’altro, il tema della privacy. 1986-1990. Fase di crescita: I giornali
trovano una chiave, che è quella di un marketing totalmente spinto. Il giornale si snatura quasi
nell’essere un grande contenitore di prodotti editoriali, che trovano una domanda molto forte. Si
allarga così anche un po’ la base dei lettori, anche di romanzi, perché il romanzo è allegato. Ci sono
vari inserti, anche sulla musica, sulla finanza, sui giochi, ecc. I giornali, così, da 2-5 fogli passano a
quasi 2 kg di carta tra inserti, settimanali, redazionali, anche guide enogastronomiche. La fine degli
anni 80 vedono anche l’esplosione dell’home video, quindi i giornali contribuiscono alla vendita di
videocassette. Ci sono una serie di cambiamenti che riguardano il Corriere della Sera (???). E c’è la
svolta dei magazine (Sette; Il Venerdì) che accompagnano i quotidiani e che pian piano scalfiranno
il dominio dei settimanali. A cavallo tra anni 80 e 90, abbiamo un altro nodo importante, che
riguarda le proprietà. Recentemente, ci sono stati ancora strascichi giudiziari su questo. In quel
periodo, la Grande Mondadori (identificazione progressista, di sinistra) è in crisi e ci sono delle
spaccature all’interno della famiglia tra gli eredi: De Benedetti e Berlusconi si contendono un po’
il bottino. Tutto questo porterà a una serie di dinamiche che sono passate alla storia come guerra di
Segrate (una guerra prettamente di tipo giornalistico).
Gli anni Novanta. La guerra di Segrate si conclude con una spartizione della Grande Mondadori
(30 aprile 1991). Dibattito parlamentare (??). Si mette fine alla fase del Far West con
l’approvazione Legge Mammì (n. 225 del 6 agosto 1990), che è una sorta di riconoscimento del
ruolo di Berlusconi nello scenario editoriale italiano (Mammì era un ministro socialista di fede
craxiana). Questa legge sancisce l’esistenza del duopolio (Rai e Mediaset), ma mette dei limiti per i
quali tantissimi tentativi di costruire terzi poli naufragano per questioni di diritto economico e di
cornice giuridica. La Legge Mammì stabilisce che se le televisioni nazionali vogliono partecipare a
questo duopolio, devono prendere molto sul serio l’informazione. Nascono così anche nella
Fininvest i telegiornali, che all’inizio non interessavano a Berlusconi: abbiamo Studio Aperto, Tg5,
ecc. Hanno accesso anche le Pay tv in Italia e quindi ci sono anche una serie di aperture del
mercato. Il campo dei media è ricco e potente, con grandi concentrazioni: negli anni 90 abbiamo la
Rai (pubblica), RCS, Fininvest e il Gruppo Espresso. Tutto il sistema politico viene poi travolto da
Tangentopoli, che è un grande successo dal p. di vista della domanda d’informazione che fu molto
alta. I telegiornali riescono a seguire la vicenda con grande attenzione, i giudici si trasformano in
“star televisive” e nasce anche un’attenzione soprattutto televisiva sulle vicende politiche. Chi si
osserva i giornali in questo periodo parla di “teledipendenza” dei giornali, perché sono i giornali
che vanno a rimorchio delle televisioni. Nel frattempo, Berlusconi scende in campo in politica e
questo apre un dibattito sul conflitto di interessi, un tema trasversale che va avanti per anni e che
vede appunto uno dei grandi attori politici essere anche uno dei grandi attori dello scenario
informativo. Il tipo di politica nella Seconda Repubblica, dopo Tangentopoli, si abbevera per molti
anni di parole d’ordine all’insegna del cosiddetto bipolarismo. Privatizzazioni e bipolarismo sono
due elementi di assoluta novità rispetto alla storia politica recente. Quindi, il bipolarismo diventa
forte polarizzazione e politicizzazione di materie che prima trovavano una forma di composizione
nel grande compromesso della politica. È lo stesso scenario politico che si semplifica: con due poli,
due attori, due soggetti molto avversari. Nel momento in cui Berlusconi è capo di Governo ha un
controllo forte anche sull’altro attore economico (Rai). L’altro aspetto è quello della cosiddetta
“telepolitica”. C’è la nascita in Italia di una visione della comunicazione politica molto moderna,
in cui il pallino della costruzione del discorso sta più dal lato della tv. Quindi, la telepolitica è l’idea
che il discorso sulla politica in televisione diventi qualcosa di autonomo. Esiste, inoltre, un
linguaggio televisivo sulla politica che costringe i politici a diventare televisivi (i tempi prima erano
tutti assolutamente dettati dal linguaggio e dall’autonomia della politica). C’è quindi «tensione» tra
l’autonomia dei linguaggi e delle logiche dei media e quelle della politica. È comunque breve la
stagione della telepolitica come discorso «autonomo», che poi si ripiega sul linguaggio della
politica e dei partiti. Questa è una fase successiva della Seconda Repubblica che coincide con un
cambio di legge elettorale, si va verso i proporzionali e verso i porcellum, quindi la politica si
riprende in mano le redini dell’informazione. Nel frattempo, dal p. di vista televisivo, c’era stata
l’esplosione del talk show anche in Italia. Ci sono dei protagonisti come Gad Lerner, Santoro e altri.
Inoltre, nella seconda metà degli anni 90 sta arrivando il “ciclone” della rete: le informazioni
cominciavano a trasferirsi anche per rete telematica. I giornali inizialmente rispondono in ordine
sparso e miope.
Gli anni duemila, la rete. Si intravedono i primi quotidiani online, con il «primato» dell’Unione
sarda (1994), il secondo quotidiano al mondo dopo il Washington Post e il primo in Italia. Nella
primavera 1995 ci sarà l’arrivo online anche della Stampa, del Corriere della Sera e della Gazzetta
dello sport. Per molte di queste testate, il sito web rappresenta più che altro una sorta di gadget
promozionale. Quello che avveniva era il cosiddetto “repurposing”, cioè riversare sul web al
minimo costo gli stessi contenuti del cartaceo, sperando di ottenere qualche guadagno con i banner
pubblicitari inseriti nelle pagine. Un problema “irrisolto” è quello del modello di business che è
difficile da individuare in questo periodo, anche perché era chiaro che il solo utilizzo della
pubblicità online non poteva essere un vero e proprio modello di business. Uno dei lasciti di
Tangentopoli è la chiusura dei quotidiani storici di partito: Avanti! 1993 (poi ci sono successive
iniziative per recuperare questo quotidiano, anche all’interno di Forza Italia da parte di forze che
avevano fatto parte del Partito Socialista di Craxi); L’Unità ha un’agonia più lunga, perché è legato
dapprima alle vicende PCI e poi a quelle del post PCI (con il PDS, il DS e poi la fusione con la
Margherita, quindi un pezzo della Democrazia Cristiana); tra il 1997 e il 2000, e anche in seguito, ci
sono successive iniziative editoriali dell’Unità. Ma nulla di questo va a buon fine. Tra il 1995 e il
2005 si crea anche in Italia la free press (es. Metro). Nascono una serie di iniziative editoriali. Ci
sono una serie di movimenti nella galassia di centro-destra e destra (Il Giornale). Si hanno degli
eredi di Montanelli (o che almeno cercano di occupare quello spazio) e una serie di imprenditori
vicini a quel mondo. Nel 2000, nasce Libero, che viene fondato da Angelucci. Abbiamo una serie
di figure, quali Feltri, Sallusti e Belpietro (che poi si allontana e fonda La Verità nel 2016). Nel
2009, viene fondato Il Fatto Quotidiano da Padellaro, Santoro, Travaglio e Gomez, un gruppo di
persone molto visibili nei primi anni 2000 che si erano schierate contro Berlusconi. Il termine
“Fatto” è un omaggio ad Enzo Biagi e al suo programma. Tre “logiche” nella storia dei media
italiani: Carlo Sorrentino articola in 3 fasi un tentativo di periodizzazione del giornalismo italiano:
1. Formazione; 2. Partecipazione; 3. Mercato  Vi è stata una lunga fase in cui ha predominato
la logica formativa dei media (che è anche una logica di tipo pedagogico), alla quale ha fatto seguito
negli anni Settanta l’ideale partecipativo, affermatosi principalmente come speranza politica e
culturale a cui tendere. Si giunge, infine, negli ultimi due decenni, alla centralità del mercato, resa
possibile dall’affermazione di un forte polo televisivo commerciale – la Fininvest (poi Mediaset) di
Silvio Berlusconi – che ha sviluppato un mercato pubblicitario da sempre asfittico nel Paese e ha
prodotto una competizione economica fino ad allora sconosciuta anche agli altri media. Ognuna
delle tre logiche ha inglobato la precedente, che si è andata ridefinendo, ma non si è mai spenta del
tutto.
Riassunto Panarari sulle fotocopie.

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