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NEOREALISMO

Per un film sul fiume Po, Michelangelo Antonioni:


Nel saggio “Per un film sul fiume Po” (1939), Antonioni discute sul fatto di realizzare un film con
protagonista il fiume Po. Egli espone l’attaccamento nei confronti del fiume da parte degli abitanti
italiani nelle zone dove esso scorre e dice che nonostante i cambiamenti e le innovazioni subite, gli
abitanti consideravano esso nel suo valore funzionale e ne erano orgogliosi. Successivamente il
regista si interroga se fare un film a soggetto o un documentario e conclude con la risposta: ci basti
dire che vorremmo una pellicola avente come protagonista il Po, nella quale non il folclore, cioè
un’accozzaglia di elementi esteriori e decorativi, destasse l’interesse, ma lo spirito, cioè un insieme
di elementi morali e psicologici; nella quale non le esigenze commerciali prevalessero, bensì
l’intelligenza.

Per un paesaggio italiano, Giuseppe De Santis:


De Santis vuole sottolineare all’interno di questo scritto l’importanza del paesaggio e la scelta di
esso come elemento fondamentale dentro cui i personaggi dovrebbero vivere, recando quasi i
segni dei suoi riflessi. È l’elemento più immediato e più comunicativo agli occhi dello spettatore, il
quale, anzitutto, vuole “vedere”. Il fascino maggiore che deriva dai film in cui prevale il paesaggio
(es: Ombre bianche, Tabù, Lampi sul Messico, Tempeste sull’Asia ecc..) risiede soprattutto in quelle
atmosfere, impossibili a crearsi artificialmente, alle quali tutto il nostro intimo partecipa in virtù
della straordinaria e meravigliosa natura che, insieme all’azione dei personaggi, va svolgendosi
sotto ai nostri occhi. Ma come altrimenti sarebbe possibile intendere e interpretare l’uomo, se lo si
isola dagli elementi nei quali ogni giorno egli vive, con i quali ogni giorno egli comunica.
Dovrebbe essere propria del cinema, poiché più di ogni altra quest’arte parla nello stesso
momento a tutti i nostri sensi, la preoccupazione di un’autenticità, sia pure fantastica, dei gesti,
del clima, dei fattori che debbono servire ad esprimere tutto il mondo nel quale gli uomini vivono.
De Santis prende come esempio Renoir, affermando che nel suo cinema tutto questo avviene, e
sostiene che egli ci avverte del fatto che esistono dei sentimenti che l’uomo non può esprimere e
allora bisogna ricorrere a tutto ciò che lo circonda per riuscire ad esprimerli.
Infine De Santis apre una piccola parentesi dicendo: vorremmo che da noi cadesse l’abitudine di
considerare il documentario come una cosa staccata dal cinema. È solo dalla fusione tra questi due
elementi, che in un paese come il nostro, si potrà trovare la formula di un autentico cinema
italiano. IL PAESAGGIO NON AVRÀ ALCUNA IMPORTANZA SE NON CI SARÀ L’UOMO, E VICEVERSA.
Cadaveri, Luchino Visconti:
In questo estratto Visconti sostiene che in certe società cinematografiche vi sono i “cadaveri”, cosi
da lui definiti, persone vecchie che oramai già hanno dato tutto ciò che dovevano alla
cinematografia e che quindi dovrebbero concedere spazio ai giovani che son pieni di talento e di
cose da dire. Visconti appunto critica il fatto che i “cadaveri” impediscono l’ascesa dei giovani
talentuosi e dichiara apertamente che è arrivato il momento che i cadaveri vadano nella fossa (in
maniera dignitosa) e i giovani vengano allo scoperto.

Cinema antropomorfico, Luchino Visconti:


Visconti in questo saggio ci informa che il cinema che interessa a lui è un cinema antropomorfico:
l’impegno di raccontare storie di uomini vivi; l’impegno che l’appassiona di più è il lavoro con gli
attori, materiale umano con il quale si costruiscono questi uomini nuovi, che chiamati a viverla,
generano una nuova realtà, la realtà dell’arte. Perché l’attore è prima di tutto un uomo, e ad un
certo punto l’uomo-attore e l’uomo-personaggio diventano uno solo. Secondo Visconti bisogna
servirsi di ciò che di concreto e di originario l’attore serba nella sua natura.
Visconti riteneva che svariate volte, attori meno famosi e illustri avevano capacità uguali o
superiori ai divi del cinema. E i non attori che hanno come qualità la semplicità hanno come
vantaggio quello di non essere prodotti da ambienti corrotti e sono spesso uomini migliori. Il
compito del regista è quello di mettere a fuoco tali abilità.
Secondo Visconti, il peso dell’essere umano, la sua presenza, è la sola cosa che colmi veramente il
fotogramma, e che dalle passioni che lo agitano questo acquista verità e rilievo.

Neorealismo, identità nazionale, modernità, David Forgacs


Temi chiave del neorealismo secondo Forgacs: “identità nazionale”, “modernità”, “stile di
realismo”. Al livello dell’identità italiana la grande novità del neorealismo è consistita nel suo aver
concepito le molte Italie locali e regionali come la nuova Italia.
La “vera” Italia che si oppone alla nazione “falsa” viene alla luce per la prima volta in Paisà
(Rossellini, 1946), con il suo movimento narrativo da sud a nord attraverso sei episodi che
corrispondono ad altrettante zone del Paese. È nella sua stessa struttura episodica che Paisà
effettua l’operazione di cucitura retorica tra le diverse componenti dell’identità nazionale. Ma
anche Roma città aperta (Rossellini, 1945), pur essendo ambientato in una sola città, fu concepito
inizialmente come un film ad episodi. I tre personaggi chiave rappresentano anche loro diverse
Italie, non tanto in senso geografico (tra i tre solo Manfredi non è romano) quanto in senso sociale
e politico. Quindi anche Roma città aperta partecipa, sia pur in modo meno marcato rispetto a
Paisà, alla ridefinizione dell’identità nazionale. Paisà, più di qualsiasi altro film del dopoguerra,
ricongiunge alla riscoperta dell’Italia “umile” e “bassa” al discorso sulla nazione.
Il neorealismo ha un rapporto nettamente ambivalente con la modernità. Esso rifiuta un certo
modello di cinema industriale. Pensiamo alla polemica di Zavattini contro la macchina del cinema
americano che vive di storie ben confezionate, trucchi fotografici, effetti speciali; oppure quella di
Rossellini contro il peso ingombrante del modo di produzione di Hollywood che impedisce un uso
disinvolto e creativo del mezzo cinematografico. Infatti il neorealismo funziona come mito
fondante di quasi tutte le nuove tendenze del cinema mondiale che vogliono rompere con gli
schemi di un cinema iperindustriale.
Dall’altra parte, però, c’è una tendenza contrapposta, in quanto il neorealismo è stato anche un
movimento moderno, modernizzante, nel cinema. Anzi è stato il movimento che probabilmente ha
fatto di più per creare un cinema moderno in Europa dopo il 1945. È un’avanguardia che riscopre il
realismo, più precisamente il concetto di una radicale mimesi, per porsi in contrasto non solo con il
cinema italiano precedente ma anche con la produzione hollywoodiana di genere. È un cinema che
mira a riprendere la tradizione realista dei primi anni del mezzo (Lumiere), una tradizione
interrotta dall’affermarsi di uno stile di racconto di derivazione teatrale o spettacolare.
Ad ogni modo non tutto il cinema neorealista aveva caratteristiche stilistiche “avanzate”. Alcuni
film (es. citato Roma città aperta) erano piuttosto convenzionali, oppure avevano solo qualche
caratteristica superficiale di novità, e perfino i film stilisticamente più innovativi non lo erano in
ogni singolo aspetto.

Tratti stilistici moderni neorealisti:


- La sperimentazione con la struttura e il ritmo temporale del racconto (Rossellini)
- L’”espansione” di una breve storia, da cortometraggio, in una storia lunga (De Sica)
- Scoperta fotografica del paesaggio e l’importanza narrativa affidata ad esso (Visconti, Genina,
Germi)

Questi aspetti stilistici del neorealismo sono stati colti da molti critici, nonché da molti dei registi
ispirati da questi film (Godard, Truffaut, Rohmer, Glauber Rocha ecc..) come indizi di un cinema
moderno, che rompeva gli schemi temporali, narrativi e fotografici del cinema ad esso
antecedente.

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