Sei sulla pagina 1di 3

NOIR

Il Noir e il Woman’s film sono esempi di cinema sovversivo, ovvero rovesciano i canoni che
caratterizzano il cinema classico degli anni ’30. Il primo genere rappresenta la crisi del soggetto
maschile e il secondo quella del soggetto femminile. Sono generi paralleli: entrambi hanno la
narrazione in prima persona in voice-over. Il flashback e il rapporto tra presente e passato.
C’è però una fondamentale differenza tra i due modelli: nel noir il soggetto maschile compie una
ricerca sul mondo e spesso sulla donna; mentre nel woman’s film la ricerca del soggetto femminile
è sempre su sé stessa ed in particolare sulla propria identità sessuale.
In entrambi i generi domina lo scenario edipico, maschile o femminile, e la frammentarietà o
discontinuità del racconto risponde alla non-linearità dei percorsi del desiderio del protagonista,
dominato dal “ritorno del rimosso” (teoria freudiana).
Entrambi i generi narrano storie ossessivamente individuali (il woman’s film anche più del noir), un
personaggio adulto deve venire a patti con il proprio desiderio, in una oscillazione continua tra
presente e passato, tra esperienze traumatiche e tentativi di abreazione. Le rimozioni non hanno
mai successo.
Entrambi generi urbani, il noir ha come ambientazione strade notturne di metropoli quali New
York, Los Angeles, San Francisco ecc. luoghi dell’intrattenimento popolare e borghese (ristoranti,
bische, night club ecc.); Nel woman’s film i luoghi urbani del noir vengono contaminati con quelli
dello spazio domestico in cui vive la protagonista. Spesso elementi del noir invadono il woman’s
film, ovvero quando il racconto stesso è scisso in due spazi, quello domestico e quello urbano,
procedura che porta ad una ibridazione dei generi (es. Mildred Pierce, M. Curtiz, 1945). La figura
della modella è un topos ricorrente in entrambi i generi. Generi urbani per eccellenza, sfruttano in
modo mirabile i luoghi dell’intrattenimento e dell’incontro della moderna metropoli dove si
sviluppano forme di vita marginali o illegali, e in cui sesso, violenza e alienazione si manifestano
senza censure.

Visione/soggettività/modernità

Rispetto allo stile classico, il cinema degli anni 40’ sviluppa una tendenza esplicita alla visionarietà,
ma anche alla discontinuità narrativa. Quarto potere (Welles, 1941) ha evidentemente un ruolo
importante nel passaggio tra le due forme. Discontinuità e frammentazione del racconto,
impossibilità di un punto di vista oggettivo, emergenza di una prospettiva soggettiva parziale sono
le principali innovazioni narrative del film di Welles. Dal punto di vista visivo il film opera un simile
ridimensionamento del soggetto umano, subordinato allo spazio attraverso la profondità di
campo, il grandangolo e le angolazioni eterodosse, mentre il piano sequenza e il long take
evidenziano l’emergenza della dimensione temporale nel suo flusso.
La capacità del noir di esprimere concetti e sensazioni in termini puramente visivi e illuministici, è
un’innovazione radicale rispetto alla scrittura classica. Altrettanto innovativo è l’uso della parola, la
cui funzione viene parimenti ridefinita.
Il noir produce un nuovo modello rappresentativo, modernità riconducibile all’analisi freudiana e
più in generale psicoanalitica, che rileva l’impossibilità della condizione di pienezza del soggetto. Le
figure ribelli sono del tutto marginali negli anni 30’ mentre sono dominanti nel cinema del
dopoguerra. Noir e woman’s film sono i modelli dominanti nel dopoguerra e costituiscono dal
punto di vista estetico-formale l’esperienza più innovativa e moderna nel panorama americano del
periodo.
Nel noir si passa dal racconto oggettivo a quello soggettivo, si abbandona una forma del narrare
omnisciente, in cui la mdp è un osservatore esterno alla diegesi, con una conoscenza superiore a
quella dei singoli attori, per assumere un punto di vista privilegiato e individuale che è, al tempo
stesso, necessariamente parziale. Nel noir è presente l’embodied subjectivity: il corpo diventa
materia sulla quale si incidono i segni dell’identità e dell’esperienza sensoriale. Gli atti percettivi e
le azioni sono mostrati nella loro materiale fisicità e questi atti sono quasi sempre dei fallimenti. Lo
stesso avviene nel woman’s film dove i tentativi di autodeterminazione della donna sono destinati
al fallimento.
Nel noir tutto appare rovesciato: da un lato il soggetto vive la propria alienazione in solitudine,
dall’altro la città diventa un luogo sinistro, doppio e misterioso, in cui l’individuo si dibatte e si
smarrisce, senza speranze concrete di integrazione.

Sguardo e conoscenza: L’ombra del passato (1944) e La fuga (1947)

In L’ombra del passato (Edward Dmytryk, 1944) e La fuga (Delmer Daves, 1947) i rapporti tra
visione e conoscenza e tra soggetto e spazio costituiscono i due poli tensivi attorno a cui è
costruito il discorso dei due film. I due film hanno numerosi tratti in comune, come la traiettoria
del protagonista, che in entrambi i casi deve provare la sua innocenza, e la rappresentazione dello
spazio narrativo e urbano.
Nei pochi momenti al presente nel primo film, Marlowe non toglie mai le bende e l’inquadratura
finale vede il protagonista allontanarsi dal commissariato libero, ma ancora bendato.
La fuga inizia in modo per certi versi speculare: l’ostacolo alla visione è riservato qui allo
spettatore, cui non è mostrato il volto del protagonista poiché il plot prevede che egli (Humphrey
Bogart) si faccia un’operazione di chirurgia facciale, il film non può mostrarne il viso prima che
l’intervento abbia luogo, pena la distruzione dell’immagine divistica dell’attore. Solo nell’ultima
parte vediamo il divo ripreso. Il regista Delmer Daves riesce a trasformare in risorsa estetico-
espressiva un’apparente mancanza. L’assenza/presenza di Bogart crea un tipo diverso di
posizionamento spettatoriale: il nostro punto di vista è quello di una figura alienata, ingiustamente
condannata e in fuga.
Il genere noir è un documento fotografico e storico, una testimonianza visiva della realtà
architettonica urbana americana.
I complessi intrecci del noir e i complicati movimenti dei personaggi negli spazi urbani disegnano
rapporti intersoggettivi alienati, in cui tutti sembrano controllare tutti, in un vertiginoso
movimento che sembra che sembra destinato all’implosione. La fuga è in questo senso
emblematico. Per provare la propria innocenza Vincent Parry, condannato per l’omicidio, che non
ha commesso, della moglie, deve trovare il vero colpevole. Il caso di L’ombra del passato è in parte
diverso. Se Marlowe come Parry è sia oggetto che soggetto della ricerca, è anche vero che, pur
essendo all’inizio accusato dalla polizia, non rischia mai di essere effettivamente condannato come
Parry. Di Marlowe colpisce l’incapacità di cogliere segnali e indizi, la scarsa abilità di portare avanti
l’investigazione; in compenso è capace di una produzione onirica e allucinatoria davvero
ragguardevole, come si vede nelle sequenze che esprimono l’esperienza immaginaria del
protagonista per effetto della droga.
L’inizio del flashback del film raccontato dal protagonista è uno degli episodi memorabili del
genere.

Potrebbero piacerti anche