Principi
1. Regole v. principi
In dottrina – e ancor più in teoria generale del diritto – si usa dire che
ogni sistema giuridico includa due tipi di norme: “regole” e “principi” 1.
Ma come distinguere tra principi e regole? La distinzione dipende molto
semplicemente dai concetti impiegati: dal concetto di regola e dal
concetto di principio.
Ora, si può convenire che una regola sia un enunciato condizionale
che connette una qualunque conseguenza giuridica ad una classe di fatti:
“Se F, allora G”. La conseguenza giuridica in questione può essere una
sanzione, la nascita di un obbligo o di un diritto, la validità o l’invalidità
di un atto, etc.
Il concetto di principio è alquanto più complicato e, soprattutto,
controverso 2. Si può avanzare la congettura che i giuristi considerino
principio ogni norma che presenti congiuntamente due caratteristiche:
1
O addirittura, come pensano alcuni, senz’altro privi di fattispecie: una norma priva
di fattispecie è una norma (non ipotetica, ma) categorica.
2
Si noti però che, in genere, la decisione intorno al carattere aperto o chiuso di un
elenco (ovvero della norma che lo contiene) ha carattere discrezionale, giacché dipende
dall’interpretazione. Cfr. G. Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, p. 139
ss. Un buon esempio (anche se riferito ad una disposizione che non sembra esprimere un
principio) è il seguente: la giurisprudenza costituzionale, pur in assenza di qualsivoglia
base testuale, considera meramente esemplificativo e non tassativo l’elenco di cause di
esclusione del referendum abrogativo, contenuto nell’art. 75, comma 2, cost. (Corte cost.
16/1978). In altre parole, la Corte interpreta la disposizione in questione come una norma
a fattispecie aperta.
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(i) per un verso, abbia carattere fondamentale, e
(ii) per un altro verso, sia affetta da una particolare forma di
indeterminatezza.
3
C.E. Alchourrón, “Sobre derecho y lógica” (1996), in Isonomía, 13, 2000, 24. Vedi
anche M. Barberis, Filosofia del diritto. Un’introduzione teorica, III ed., Torino, 2008, p.
132 ss.
4
Ad esempio, taluni ritengono che la norma costituzionale (art. 33, comma 1) che
proclama solennemente la libertà della scienza e dell’arte incontri un limite nel “buon
costume” e nel cosiddetto “ordine pubblico costituzionale”: ritengono insomma che la
libertà in questione non sia garantita senza eccezioni (implicite).
5
Per esempio: poniamo che una norma costituzionale statuisca che il capo dello stato
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seguente.
L’antecedente (la fattispecie) di una norma è chiuso (chiusa), allorché
la norma enumera esaustivamente i fatti in presenza dei quali si produce
la conseguenza giuridica che essa stessa dispone. Per contro,
l’antecedente (la fattispecie) è aperto (aperta), allorché la norma non
enumera esaustivamente i fatti in presenza dei quali si produce la
conseguenza giuridica corrispondente.
Insomma, l’antecedente di una norma è chiuso nello stesso senso in
cui può dirsi chiusa una enumerazione esaustiva (o tassativa), aperto nello
stesso senso in cui può dirsi aperta una enumerazione meramente
esemplificativa 6.
è organo elettivo (così, implicitamente l’art. 1, comma 1, cost., nel disporre che l’Italia è
una repubblica). Ebbene: in primo luogo, una norma siffatta non è applicabile in assenza
di altre norme che determinino le modalità di elezione del capo dello stato; ma, in secondo
luogo, le modalità di elezione del capo dello stato possono essere le più varie (senza che il
principio sia violato). O ancora: prendiamo una norma costituzionale che conferisca un
“diritto sociale”, come il diritto al lavoro o il diritto alla salute; si tratta di una norma
programmatica o teleologica, che raccomanda al legislatore il perseguimento di un certo
scopo; ebbene una norma siffatta esige altre norme (legislative) che diano concretezza al
diritto conferito, ma d’altra parte, evidentemente, il diritto in questione può essere
concretizzato in molti modi diversi.
6
Questa dottrina della Corte è altamente discutibile sotto almeno due profili. In primo
luogo, è discutibile l’esistenza stessa di principi sovra-costituzionali assolutamente
immodificabili, essendo priva di basi testuali in costituzione (fatta eccezione per i principi
cui fa riferimento l’art. 139, conformemente al significato comune del vocabolo
“repubblica”: il principio di elettività del capo dello stato e il principio di temporaneità del
suo mandato); in altre parole, è lecito dubitare che vi siano in costituzione limiti alla
revisione costituzionale totalmente inespressi. In secondo luogo, è egualmente discutibile
l’identificazione dei principi in questione, la tesi cioè che l’uno o l’altro principio
appartenga al novero dei principi sovra-costituzionali. Come che sia, in diverse occasioni
la corte ha qualificato come supremi o fondamentali, ad esempio: il principio di unità
della giurisdizione (Corte cost. 30/1971); il diritto alla tutela giurisdizionale (Corte cost.
232/1989); il principio democratico (Corte cost. 30/1971); il principio di laicità dello stato
(Corte cost. 203/1989); etc. Ma vi sono buone ragioni per pensare che, all’occasione,
l’elenco sia destinato ad allungarsi. Taluni ritengono, ad esempio, che tra i principi
supremi rientrino il principio di rigidità della costituzione, il principio della garanzia
giurisdizionale della costituzione, il principio di unità e indivisibilità della repubblica, il
principio della separazione dei poteri.
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PRINCIPI
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(defeasible) . Mi spiego.
Una norma è indefettibile allorché non ammette eccezioni o, per
meglio dire, non ammette altre eccezioni che quelle eventualmente
stabilite in modo espresso nella norma stessa o in altre norme dello stesso
ordinamento. Per contro, una norma è defettibile allorché ammette
eccezioni implicite, non stabilite nella norma stessa né in alcuna altra
norma dell’ordinamento, e pertanto totalmente indeterminate.
Una norma defettibile non può essere applicata mediante un semplice
ragionamento deduttivo del tipo: “I cittadini devono pagare l’imposta sul
reddito. Tizio è un cittadino. Pertanto Tizio deve pagare l’imposta sul
reddito”. Infatti, una norma che ammette eccezioni implicite non
specificate non si applica a tutti i fatti cui si riferisce l’antecedente (per
esempio: la norma in questione potrebbe non applicarsi a tutti i cittadini),
sicché il verificarsi di uno dei fatti contemplati nell’antecedente (il fatto
che Tizio sia un cittadino) non è condizione sufficiente perché segua la
relativa conseguenza giuridica 8.
7
Che non necessariamente coincidono con i “principi generali” cui si riferisce l’art.
12, comma 2, disp. prel. cod. civ.
8
Il quale, peraltro, si può ritenere implicito in costituzione. Vedi R. Guastini, Le fonti
del diritto. Fondamenti teorici, Milano, 2010, parte terza, cap. II.
9
Si noti che, nell’ambito dei principi espressi, ve ne sono alcuni che sono
esplicitamente qualificati come “principi” dalla stessa autorità normativa che li ha
formulati. L’esempio più ovvio è costituito dagli articoli da 1 a 11 della costituzione, che
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11
G. Tuzet, “L’abduzione dei principi”, in Ragion pratica, 33, 2009, p. 517 ss.
12
Spesso invocato dalla Corte costituzionale nel pronunciare sentenze interpretative di
rigetto.
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Principi inespressi sono quelli «privi di disposizione» 14, ossia non
esplicitamente formulati in alcuna disposizione normativa (costituzionale
o legislativa), ma elaborati o “costruiti” dagli interpreti. S’intende che gli
interpreti, allorché formulano un principio inespresso, non si atteggiano a
legislatori, ma assumono che tale principio sia implicito, latente, nel
discorso delle fonti. I principi inespressi, tuttavia, sono frutto non
propriamente di interpretazione (in senso stretto, cioè ascrizione di senso
a specifici testi normativi) ma di costruzione giuridica, ossia di
integrazione del diritto ad opera degli interpreti. Essi sono desunti dagli
operatori giuridici: ora da singole regole, ora da insiemi più o meno vasti
di regole, talvolta dall’ordinamento giuridico nel suo complesso.
Generalmente parlando, da una o più regole si desume – o, per meglio
dire, si costruisce – un principio inespresso mediante una congettura
intorno alla ratio, alla ragion d’essere, allo scopo, delle regole in
questione. Il principio così costruito altro non è che una norma
teleologica – ossia una norma che prescrive il raggiungimento di un fine,
del tipo: “Si deve tutelare chi agisce in buona fede nei rapporti
contrattuali” – la quale costituisce giustificazione assiologica delle regole
da cui si sono prese le mosse 15.
Ad esempio: in diritto civile, sono espressi il principio dell’autonomia
privata (art. 1322 cod. civ.), il principio “neminem laedere” (art. 2043
cod. civ.), il principio di libertà delle forme negoziali (art. 1325 cod. civ.);
mentre è inespresso il principio di tutela della buona fede, che, come si è
accennato sopra, si desume da varie disposizioni del codice civile. Sono
anche principi espressi nell’ordinamento vigente: il principio di
eguaglianza (art. 3, comma 1, cost.); il principio di irretroattività della
legge penale (art. 25, comma 2, cost.); il principio cosiddetto di stretta
interpretazione della legge penale (art. 1 cod. pen. e art. 14 disp. prel. cod.
civ.); il principio di legalità nella giurisdizione (art. 101, comma 2, cost.);
e via enumerando.
Per contro, sono principi inespressi: il (già menzionato) principio di
tutela della buona fede, il principio dispositivo nel processo civile, il
principio di conservazione dei documenti normativi 16, il principio di
separazione dei poteri, (forse) il principio di legalità
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PRINCIPI
nell’amministrazione, i cosiddetti principi dell’ordine pubblico, e così
avanti.