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La speculazione edilizia
 «Botteghe oscure», autumn 1957
 in I Racconti, Einaudi, Supercoralli, 1958
 Einaudi, I coralli, 1963
(in rivista / nel quarto libro dei racconti, in versione più corta / in volume autonomo)

La nuvola di smog
 «Nuovi Argomenti», n. 34, settembre-ottobre 1958
 in I Racconti, Supercoralli, Einaudi, 1958
 La nuvola di smog e La formica argentina, I Coralli, Einaudi, 1965
 in Gli amori difficili, Gli Struzzi, 1970 (di nuovo accostata a La formica argentina)

«Ogni operazione di "rinuncia stilistica", di riduzione all'essenziale,


è un atto di moralità letteraria», Introduzione, in Fiabe italiane,
Einaudi, Torino 1956 (I Millenni)

E. Vittorini, Risvolto, in Il visconte dimezzato, Einaudi, Torino, 1952 (“I gettoni”)


La generazione letteraria cui Calvino appartiene passa tutta per neo-realista e Calvino corre il
rischio di passare semplicemente per l’unico buono tra i neo-realisti della seconda ondata. Mentre
egli ha interessi che lo portano in più direzioni: la sintesi delle quali può prender forma (senza
cambi né di merito né di significato) sia in un senso di realismo a carica fiabesca sia in un senso di
fiaba a carica realistica.

Tre correnti del romanzo italiano d’oggi, 1959-1960, poi in Una pietra sopra. Discorsi di
letteratura e società, Einaudi, Torino 1980
Fu un periodo crudo e miracoloso, un risveglio unico nella nostra storia che neanche durante il
Risorgimento aveva conosciuto una così generale partecipazione di popolo, tali esempi di
abnegazione e di coraggio, tanto fervore di rinnovamento nella cultura.
[…] La Resistenza fece credere possibile una letteratura come epica, carica d’un’energia che fosse
insieme razionale e vitale, sociale ed esistenziale, collettiva e autobiografica.
[…] La realtà intorno a me non mi ha più dato immagini così piene di quell’energia che mi piace
esprimere. Di scrivere storie realistiche non ho mai smesso, ma per quanto io cerchi di dar loro più
movimento che posso e di renderle deformi attraverso l’ironia e il paradosso, mi riescono sempre un
po’ tristi; e sento il bisogno allora nel mio lavoro narrativo di alternare storie realistiche e storie
fantastiche.

Le sorti del romanzo, «Ulisse», autunno-inverno 1956-1957


Un tempo dicevamo: no, non è in crisi, ve lo faremo vedere noi. Era il dopoguerra, ci pareva
d’avere un motore dentro, i termini della crisi della narrativa li vedevamo ma credevamo che non ci
riguardassero. Mi capitò anche di sostenere che il romanzo non poteva morire: però non mi riusciva
di farne stare in piedi uno. Fu tutto giusto, anche sbagliare: tante cose buone ne son nate, ma non ne
è nata una nuova civiltà letteraria.
Adesso per convincerci di un’intramontabile signoria del romanzo abbiamo bisogno di leggere
Lukacs, lasciarci prendere dalla sua classicistica fede nei generi, dal suo nitido senso dell’epica. Ma,
usciti dall’Ottocento, il suo ideale estetico s’appanna d’una soffice patina di noia: non vi ritroviamo
il nervosismo, la fretta del nostro vivere, cui hanno risposto non più il romanzo costruito, ma il
taglio lirico del romanzo breve, o la novella giornalistica e cruda in cui Hemingway eccelse, come
la perfetta misura della nuova epica.
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C’è Thomas Mann, si obietta; e sì, lui capì tutto o quasi del nostro mondo, ma sporgendosi da
un’estrema ringhiera dell’Ottocento. Noi guardiamo il mondo precipitando nella tromba delle scale.
[…] Io auspico un tempo di bei libri pieni d’intelligenza nuova come le nuove energie e macchine
della produzione, e che influiscano sul rinnovamento che il mondo deve avere. Ma non penso che
saranno romanzi: penso che certi agili generi della letteratura settecentesca – il saggio, il viaggio,
l’utopia, il racconto filosofico o satirico, il dialogo, l’operetta morale – devono riprendere un posto
da protagonisti della letteratura, dell’intelligenza storica e della battaglia sociale. Il racconto e
romanzo avrà quest’atmosfera ideale come presupposto e come punto d’arrivo: perché nascerà da
questo terreno e influirà su di esso. Però lo farà in un modo solo: raccontando.

Pasternàk e la rivoluzione, «Passato e presente», maggio-giugno 1958, poi in I. Calvino, Saggi


(1945-1985), a c. di Mario Barenghi, Milano, Mondadori, 1995
In effetti, io credo che oggi un romanzo impiantato ‘come nell'Ottocento’, che abbracci una vicenda
di molti anni, con una vasta descrizione di società, approdi necessariamente a una visione
nostalgica, conservatrice. E' questo uno dei tanto motivi per cui dissento da Lukacs: la sua teoria
delle ‘prospettive’ può essere capovolta contro il suo genere preferito.
Io credo che non per nulla il nostro è il tempo del racconto, del romanzo breve, della testimonianza
autobiografica: oggi una narrativa veramente moderna non può che portare la sua carica poetica sul
momento (quel qualsiasi momento) in cui si vive, valorizzandolo come decisivo e infinitamente
significante; deve perciò essere ‘al presente’, darci un'azione che si svolga tutta sotto i nostri occhi,
unitaria di tempo e di azione come la tragedia greca. E chi oggi invece vuol scrivere il romanzo
‘d'un'epoca’, se non fa della retorica, finisce per far gravitare la tensione poetica sul ‘prima’. [Come
anche Pasternàk, ma non del tutto: la sua posizione verso la storia non è facilmente riducibile a
definizioni così semplici; e il suo non è un romanzo ‘all'antica’.]

Mancata fortuna del romanzo italiana, inedito, 1953


Per la narrazione memorialistico-saggistica, di documento, di ritratto, di discussione d’idee – alla
Carlo Levi, insomma – vorrei rivendicare una posizione autonoma rispetto al romanzo; è un genere
ormai necessario a una letteratura che affondi le sue radici in un ben lavorato terreno culturale; una
chiara impostazione di quest’esigenza gioverebbe sia a una seria presa di contatto con la realtà – più
di quanto non faccia certa superficiale narrativa documentaria – sia alle possibilità di vita del
romanzo-romanzo.

Nota a piè di pagina (che accompagnava la pubblicazione del romanzo inedito I giovani del Po
in appendice a «Officina», gennaio 1957-aprile 1958, fasc. 8-12)
"Officina" si rivolge a chi ha interesse alla letteratura come ricerca e come problema, perciò
accettando l'invito, pubblico qui a puntate questo mio breve romanzo, scritto dal gennaio 1950 al
luglio 1951 e sempre tenuto nel cassetto. Con esso volevo finalmente esprimere in forma narrativa
anche quella parte di interessi e d'esperienza che sono finora riuscito solo a far vivere in qualche
pagina di carattere saggistico: cioè la città, la civiltà industriale, gli operai; e insieme quella parte
della realtà e dei miei interessi (da cui invece m'è sempre stato più facile trarre simboli narrativi)
che è natura, avventura, ardua ricerca d'una felicità naturale oggi. Miravo a dare un'immagine
d'integrazione umana; invece mi venne un libro insolitamente grigio, in cui la pienezza della vita,
benché molto se ne parli, si sente poco: perciò non ho mai voluto pubblicarlo in volume. Anche
l'impostazione linguistica resta lì, un esperimento per me marginale e, credo, senza seguito. Poi è
successo che appena terminato questo libro, nei due mesi successivi, per rifarmi del castigo imposto
alla fantasia, ho scritto Il visconte dimezzato (in cui pure ho cercato, in modo più approssimativo e
arbitrario, di dire dell'uomo mutilato e alienato e della sua aspirazione all'interezza) ed è venuto un
racconto più divertente, si capisce, e al confronto I giovani del Po è rimasto ancora più in ombra.
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In seguito ho cercato ancora di rappresentare la città con operai, in una storia più mossa e
gogoliana: un romanzo di vasto impianto al quale ho lavorato specialmente nei primi mesi del '54,
ma poi ho capito che non c'eravamo ancora e l'ho interrotto dopo un centinaio di pagine. E' un tema
che non faccio che prenderci delle testate, da dieci anni: ho cominciato col romanzo che ho scritto
dal '47 al '49 in cui alla fine doveva saltar fuori la città e gli operai; ma tutto l'insieme risultò un
grottesco neorealista piuttosto pasticciato e misi anche quello nel cassetto. Ci riuscirò, una volta o
l'altra, ma siccome passeranno certo ancora degli anni, intanto se questo mio romanzetto può servire
da punto di riferimento per le discussioni che facciamo sono contento che esca e dica tutto quello
che ha da dire, in male e in bene.

Lettera a Paolo Spriano, 1 agosto 1957, in Le passioni di un decennio (1946-1956), Milano,


Garzanti, 1986
Comunque non sono un socialdemocratico né un olivettiano; e lo sai. E' difficile fare il comunista
stando da solo. Ma io sono e resto un comunista. Se riuscirò a dimostrarti questo, t'avrò anche
dimostrato che il Barone rampante non è un libro troppo lontano dalle cose che ci stanno a cuore.
Comunque ora sono entrato, finalmente, in un periodo di letteratura "realistica" e il racconto che ho
finito ora [SPC] è forse la cosa più comunista che io abbia mai scritto.

Dialogo di due scrittori in crisi, 1961, poi in Una pietra sopra, cit.
In un contesto culturale caratterizzato dall’affermazione, dall’efficacia (dal protagonismo) del
cinema, del giornalismo, della saggistica sociologica: “il romanzo non può più pretendere
d’informarci su come è fatto il mondo; deve e può scoprire però il modo, i mille, i centomila nuovi
modi in cui si configura il nostro inserimento nel mondo, esprimere via via le nuove situazioni
esistenziali.”

La speculazione edilizia, sovracoperta edizione 1963 (Einaudi, “I coralli”)


Questo breve romanzo […] esce ora per la prima volta in volume a sé. Insieme alla Nuvola di smog
che sarà presto ristampato nei “Coralli” e al recentissimo La giornata d’uno scrutatore, fa parte di
un ciclo narrativo sull’Italia metà-secolo, che probabilmente verrà arricchito di nuovi quadri.

La nuvola di smog e La formica argentina, risvolto edizione 1965 (Einaudi, “I coralli”)


La nuvola di smog è un racconto continuamente tentato di diventare qualcos'altro: saggio
sociologico o diario intimo; ma a queste tentazioni Italo Calvino riesce sempre a opporre la sua
tattica difensiva, a base di gags comiche e di scrollate di spalle, che gli permette di restare sospeso
in quel clima che gli è proprio, tra trasfigurazione simbolica, attualità colta dal vero, sfogo d'umore
e poema in prosa.

Il 7 giugno al Cottolengo, intervista ad Andrea Barbato, “L'Espresso”, 10 marzo 1963


E' un racconto ma nello stesso tempo una specie di reportage sulle elezioni al Cottolengo, e di
pamphlet contro uno degli aspetti più assurdi della nostra democrazia, e anche di meditazione
filosofica su che cosa significa il far votare i deficienti e i paralitici, su quanto in ciò si rifletta la
sfida alla storia d'ogni concezione del mondo che tiene la storia per cosa vana; ed anche
un'immagine inconsueta dell'Italia, e un incubo del futuro atomico del genere umano; ma,
soprattutto, è una meditazione su se stesso del protagonista (un intellettuale comunista), una specie
di "Pilgrim's Progress" d'uno storicista che vede a un tratto il mondo trasformato in un immenso
"Cottolengo" e che vuole salvare le ragioni dell'operare storico insieme ad altre ragioni, appena
intuite in quella sua giornata, del fondo segreto della persona umana...

Lettera a Mario Boselli, «Nuova corrente», IX, 32-33, primavera-estate 1964


[…] abbiamo dunque non tanto un racconto vero e proprio quanto una narrazione lirico-simbolica
del rapporto d'un uomo con una realtà (storico-sociale-esistenziale etc.) che culmina nell'immagine
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della nuvola di smog (definiscila tu come vuoi), e insieme una casistica di altri tipi di rapporto
possibili: l'ingegnere, il collega, l'amica, l'affittacamere, il sindacalista. (Anche per questa struttura
potrai trovare una serie di riferimenti in altre narrazioni mie che sono costruite così: con al centro
una relazione a x data come esemplare, e intorno una raggera o casistica di relazio ni b x, e x, d x,
etc.)

Lettera a François Wahl, 6 febbraio 1963


Il testo del racconto, come lo pubblicai nel '57 su "Botteghe oscure" era un po' più lungo (una
diecina di pagine) di come apparve nel volume dei Racconti. Infatti al momento di pubblicarlo in
volume fui preso dallo scrupolo che l'avvocato, il notaio, l'ingegnere etc... tutti i miei amici e parenti
di San Remo rappresentati con molta fedeltà, potessero offendersi; e feci alcuni piccoli tagli.
Soppressi anche un capitolo che è una specie di storia della Riviera ligure e di San Remo in
particolare. Ora sto per ripubblicare qui La speculazione edilizia in volume a sè. E rileggendo la
prima stesura, vedo che: 1) i pezzi che avevo tagliato sono quasi tutti belli e utili alla completezza
del quadro; 2) i miei amici ormai il racconto l'hanno letto, hanno fatto i loro commenti, alcuni si
sono arrabbiati già abbastanza, è passato del tempo, quindi non dovrebbero più esserci storie; 3) una
maggiore lunghezza, anche solo di poche pagine, è preziosa per sostenere il volume. Quindi
ripristinerò nella nuova edizione quasi tutte le pagine e i periodi tagliati.

Nota 1960 a I nostri antenati


[…] in partenza avevo solo questa spinta, e una storia in mente, o meglio un'immagine. All'origine
di ogni storia che ho scritto c'è un'immagine che mi gira per la testa, nata chissà come e che mi
porto dietro magari per anni. A poco a poco mi viene da sviluppare quest'immagine in una storia
con un principio e una fine, e nello stesso tempo - ma i due processi sono spesso paralleli e
indipendenti - mi convinco che essa racchiude qualche significato.

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