Nella seconda metà del XIX secolo, nel contesto del Rinnovamento Meiji fu elaborato lo Shinto di
Stato 国家神道 (Kokka Shintō?), che mirava a dare un supporto ideologico e uno strumento di
controllo sociale alla classe dirigente giapponese, e poneva al centro la figura dell'imperatore e della
dea Amaterasu, progenitrice della stirpe imperiale. Lo Shinto di stato fu smantellato alla fine della
seconda guerra mondiale, con l'Occupazione del Giappone. Alcune pratiche ed insegnamenti
shintoisti che durante la guerra erano considerati di grande preminenza ora non sono più insegnati o
praticati mentre altri rimangono grandemente diffusi come pratiche quotidiane senza però assumere
particolari connotazioni religiose, come l'Omikuji (una forma di divinazione).
12 Collegamenti esterni
Le origini dello Shintoismo si sono perse nel tempo, ma pare che si sia originato alla fine
dell'ultimo Periodo Jōmon. Esistono diverse teorie riguardo agli antenati del popolo giapponese
odierno; la più accettata è quella che li indica come discendenti di popolazioni dell'Asia Centrale e
dell'Indonesia.
Più probabilmente dopo l'arrivo dei primi antenati del popolo giapponese, ogni villaggio e area
aveva la sua propria collezione di divinità e rituali senza alcuna relazione tra un culto locale e
l'altro. In seguito all'ascesa degli antenati dell'odierna famiglia imperiale giapponese andò
probabilmente a crearsi un pantheon stabile, anche se mai definitivamente, in quanto anche oggi le
divinità sono innumerevoli, proprio perché considerate manifestazione della natura stessa, sacra in
ogni sua forma.
L'introduzione della scrittura nel V secolo e del Buddhismo nel VI secolo ebbero un profondo
impatto nello sviluppo di un sistema unificato di credenze shintoiste. Nel giro di un breve periodo di
tempo all'inizio del periodo Nara, il Kojiki (Memorie degli eventi antichi, 712) ed il Nihonshoki
(Annali del Giappone, 720 circa) furono scritti compilando miti e leggende esistenti in un resoconto
unificato (vedi la voce sulla mitologia giapponese). Questi resoconti avevano un duplice scopo:
innanzitutto favorire l'introduzione di temi taoisti, confuciani e buddhisti nella narrativa, mirati a
impressionare i cinesi dimostrando che la cultura giapponese non era inferiore alla loro; in secondo
luogo queste narrazioni erano volte a legittimare la casa imperiale, facendola discendere dalla dea
del Sole Amaterasu. La maggior parte del territorio del Giappone moderno era sotto un controllo
frammentario da parte della famiglia imperiale, e gruppi etnici rivali confinanti (inclusi forse gli
antenati degli Ainu) continuavano ad essere ostili. Le antologie mitologiche, insieme ad altre
antologie di poesie come il Manyoshu, contribuirono a rafforzare la centralità della famiglia
imperiale sostenendo e divinizzando il suo mandato governativo.
Con l'introduzione del Buddhismo e la sua rapida adozione a corte, divenne necessario spiegare
l'apparente differenza tra il credo nativo giapponese e gli insegnamenti buddhisti. In effetti lo
Shintoismo non ebbe un nome fino a che non divenne necessario distinguerlo dal Buddhismo.
Quest'ultimo non penetrò spazzando via la precedente fede giapponese, ma al contrario contribuì
alla sua consolidazione. Esso legittimò infatti tutti gli dèi giapponesi, considerandoli come entità
sovrannaturali intrappolate nel ciclo delle rinascite. Questa spiegazione venne più tardi contestata
dalla corrente Kukai che considerava i kami come incarnazioni speciali del Buddha stesso. Per
esempio collegò la dea del Sole, e antenata della famiglia imperiale, Amaterasu, a Dainichi Nyorai,
una manifestazione del Buddha, il cui nome significa letteralmente "Grande Buddha Solare".
Secondo questo punto di vista i kami erano semplicemente Buddha con un altro nome.
Parallelamente alla teologia anche i due sistemi di valori andarono progressivamente a supportarsi e
a scambiarsi elementi: c'è infatti una forte compatibilità tra gli insegnamenti naturalistici dello
Shintoismo e quelli compassionevoli del Buddhismo.
La coesistenza e amalgama di Buddhismo e Shintoismo dai punti di vista dello Shinbutsu Shugo e
del sincretismo ebbe larga diffusione fino alla fine del Periodo Edo. A quell'epoca nacque un
rinnovato interesse negli studi giapponesi (Kokugaku), forse come risultato della politica del paese
chiuso. Nel XVIII secolo con vari studiosi giapponesi, in particolare Motoori Norinaga (1730 -
1801), ci furono vari tentativi di separare lo Shintoismo dalle influenze straniere. I tentativi non
ebbero grande successo, sin dall'epoca del Nihonshoki, quando parti della teologia e del
creazionismo shintoista vennero prese esplicitamente in prestito dalla dottrina cinese (per esempio
le divinità procreatrici Izanami e Izanagi furono comparate alle energie del Tao, Yin e Yang).
Questi tentativi prepararono comunque il terreno per l'introduzione dello Shintoismo di Stato, in
seguito alla Restaurazione Meiji, con il quale Shintoismo e Buddhismo furono ufficialmente
separati.
In seguito alla Restaurazione Meiji lo Shintoismo venne proclamato religione ufficiale del
Giappone e nel 1868 la sua combinazione con il Buddhismo venne resa illegale. In questo periodo
molti studiosi del Kokugaku iniziarono a vedere lo Shintoismo come mezzo attraverso cui unificare
il Paese ed aumentarne la devozione all'imperatore, per velocizzare il più possibile il processo di
modernizzazione. Lo shock psicologico delle navi nere e il conseguente collasso dello shogunato
convinsero molti che solo una nazione unita avrebbe potuto resistere alla colonizzazione dei popoli
stranieri. In conseguenza di ciò lo Shintoismo venne utilizzato come strumento per promuovere
l'adorazione dell'imperatore (e quindi della propria nazione) e venne esportato nei territori
conquistati come l'Hokkaidō e la Corea.
Nel 1871 venne istituito un Ministero delle divinità e i templi shintoisti vennero divisi in dodici
livelli con sede centrale al tempio di Ise (dedicato ad Amaterasu e perciò simboleggiante la
legittimità della famiglia imperiale). Negli anni seguenti il Ministero delle divinità venne
rimpiazzato da una nuova istituzione, il Ministero della religione, incaricato di guidare l'istruzione
allo shushin (letteralmente "sentiero morale"). Questo fu uno dei maggiori capovolgimenti
dall'epoca del Periodo Edo. I preti iniziarono ad essere eletti ufficialmente, retribuiti ed incaricati
dallo Stato di istruire i giovani attraverso una forma di teologia shintoista basata sulla storia
mitologica della casata imperiale e dello Stato giapponese.
Con il passare del tempo lo Shintoismo venne utilizzato sempre più per enfatizzare i sentimenti
nazionalisti popolari. Nel 1890 venne promulgato il Kyoiku Chokugo (Rescritto imperiale
sull'educazione) che richiese agli studenti di recitare ritualmente il giuramento di offrire sé stessi
coraggiosamente allo Stato, così come di proteggere la famiglia imperiale. La pratica
dell'adorazione dell'Imperatore venne ulteriormente diffusa dalla distribuzione di ritratti imperiali
come oggetti di venerazione esoterica. Questo utilizzo dello Shintoismo diede al patriottismo
giapponese una tinta di misticismo speciale e di introversione culturale, che divenne sempre più
pronunciata con il passare del tempo.
Questo processo continuò a consolidarsi durante il periodo Showa prima di arrestarsi bruscamente
nell'agosto 1945, con la separazione tra Stato e Chiesa shintoista. Ironicamente, l'invasione
dell'Occidente così temuta all'inizio dell'epoca Meiji era infine arrivata, in parte a causa della
radicalizzazione del Giappone permessa dalla sua compattezza religiosa.
L'era dello Shintoismo di Stato si chiuse bruscamente con la fine della seconda guerra mondiale.
Poco dopo la fine del conflitto l'imperatore annunciò pubblicamente la rinuncia al suo stato di
divinità terrena e smentì la discendenza della famiglia imperiale dalla dea Amaterasu. In
conseguenza ai risultati della guerra molti giapponesi conclusero che la causa della sconfitta fosse
stata la hybris (superbia) dell'Impero. La brama di territori stranieri accecò i loro leader esaltando
l'importanza della loro patria. Nel periodo successivo alla guerra comparvero numerose Shinshukyo
(nuove sette religiose), molte delle quali ostensivamente basate sullo Shintoismo.
Successivamente alla guerra lo Shintoismo insistette con meno importanza sulla mitologia e il
mandato divino della famiglia imperiale. Invece i templi tesero a focalizzarsi su attività sociali,
volte ad aiutare le persone ordinarie nel migliorare le proprie condizioni o se stessi, mantenendo
buone relazioni con gli antenati e gli dèi. Successivamente alla guerra la pratica generale dei rituali
shintoisti non è decrementata. La spiegazione normalmente data per questa anomalia è che in
seguito alla dismissione dello Shintoismo di Stato, la religione è ritornata alla sua posizione
tradizionale, culturalmente radicata, piuttosto che imposta. In ogni caso lo Shintoismo ed i suoi
valori continuano ad essere una componente fondamentale della vita e della mentalità giapponese.
Lo Shintoismo è una religione difficile da classificare. Da una parte può essere considerata
veramente come una forma molto organizzata di animismo, ma la presenza di una mitologia definita
la rende più una religione politeista con tratti sciamanici. La vita dopo la morte non è una
preoccupazione primaria e viene data un'enfasi maggiore al trovare l'armonia in questo mondo,
invece che nel prepararsi al successivo. Lo Shintoismo non possiede insiemi vincolanti di dogmi, un
luogo santo sopra tutti gli altri da adorare, nessuna persona o kami considerato più sacro degli altri,
e nessun insieme definito di preghiere. Lo Shintoismo è piuttosto una collezione di rituali e metodi,
intesi a mediare le relazioni tra gli esseri umani e i kami. Queste caratteristiche conferiscono allo
Shintoismo un carattere di completezza semplice ed efficace, caratteristiche che gli consentono di
sopravvivere tutt'oggi, facendone una religione importante e millenaria. Queste pratiche si sono
originate organicamente in Giappone nel corso di molti secoli e sono state influenzate dal contatto
con le religioni straniere, soprattutto cinesi. Da notare per esempio, che la parola Shinto è essa
stessa di origine cinese e che molte delle codifiche della mitologia shintoista vennero costituite con
lo scopo esplicito di rispondere all'influenza culturale cinese. Nella stessa maniera lo Shintoismo ha
avuto, e continua ad avere, un'influenza dominante sulla pratica di altre religioni in Giappone. In
particolare si potrebbe anche discuterlo sotto la voce Buddhismo giapponese, poiché le due religioni
hanno esercitato una profonda influenza l'una sull'altra per tutta la storia del Giappone.
Si possono riconoscere essenzialmente cinque espressioni dello Shintoismo. Queste non vanno
considerate come vere e proprie correnti a se stanti, ma più che altro delle differenti forme di culto
tutte volte al medesimo obiettivo, ovvero giungere alle medesime verità. Casi particolari sono
tuttavia quelli dello Shintoismo settario e di quello di Stato.
Shintoismo imperiale (Koshitsu Shinto): questo termine indica i riti eseguiti dall'imperatore
per venerare la miriade di kami e in particolare la dea Amaterasu Omikami, al fine di
assicurare la continuità dello stato, la felicità del popolo e la pace mondiale. Questi riti sono
indipendenti da quelli dello Shintoismo templare.
Shintoismo templare (Jinja Shinto): questo termine indica lo Shintoismo istituzionalizzato
(nato subito dopo la caduta dello Shintoismo di Stato), fondato sul culto all'interno dei
templi jinja. È in generale lo Shintoismo organizzato e rappresenta infatti il cardine di tutte
le attività religiose e persino degli altri filoni della religione shintoista. Anche se venne
instaurato solo nel secolo scorso, le sue radici si fissano nella preistoria. Quasi tutti i templi
sono membri della Jinja Honcho, Associazione dei templi shintoisti.
Shintoismo settario (Shuha Shinto o Kyoha): è composto dai tredici gruppi (Kurozumikyō,
Shintoismo Shuseiha, Izumo Ōyashirokyō, Fusōkyō, Jikkōkyō, Shinshūkyō, Shintoismo
Taiseikyō, Ontakekyō, Shintōtaikyō, Misogikyō, Shinrikyō, Konkōkyō ed il Tenrikyō (che
però nel 1970 ha formalmente dichiarato di non essere una forma di Shintoismo) formatisi
durante il XIX secolo, quando i templi shintoisti vennero separati dalle altre istituzioni
religiose ed usati per condurre riti e celebrazioni sotto la direzione dello Stato (lo
Shintoismo di Stato).
Shintoismo popolare (Minzoku Shinto): è la forma praticata dalla gente senza essere
formalizzata; include le numerose, ma frammentate, credenze popolari in spiriti e divinità.
Le pratiche includono divinazione, esorcismo e guarigioni sciamaniche. Alcune di queste
pratiche provengono dall'influenza del Taoismo, del Buddhismo e del Confucianesimo, altre
sono diretta espressione delle tradizioni locali.
Shintoismo di Stato (Kokka Shinto): fu il risultato della Restaurazione Meiji e della caduta
dello shogunato. Tentò di purificare lo Shinto abolendo molti ideali buddhisti e confuciani.
Secondo la maggior parte delle opinioni fu un tipo di Shintoismo fortemente monopolizzato,
a volte addirittura talmente distorto da perdere i suoi significati ed insegnamenti religiosi
divenendo una mera forma di nazionalismo. In seguito alla sconfitta giapponese nella
seconda guerra mondiale venne abolito e l'imperatore forzato a rinunciare al suo status di
divinità.
Dopo l'era Meiji, quando il Giappone aprì ufficialmente le porte all'Occidente per scambi
commerciali, il sistema ereditario dell'ordine sacerdotale shintoista fu abolito, introducendo il
sistema del seminario similmente ad altre religioni, sebbene esistano ancora oggi alcuni templi a
conduzione familiare. I sacerdoti sono liberi di sposarsi e condurre una vita familiare al di fuori di
quella religiosa.
Il sistema sacerdotale shintoista è suddiviso in quattro ordini principali: Johkai, Meikai, Gonseikai e
Kokkai. Ogni sacerdote (kannushi) di questi gruppi intraprende una carriera caratterizzata da sei
gradi di specializzazione: il Grado Superiore, il Primo grado, il Secondo, il Grado intermedio, il
Terzo e il Quarto grado. Il superamento di questi gradi consente l'accesso all'ordine successivo. I
livelli successivi all'intermedio sono conferiti solo ai sacerdoti che professano da più di vent'anni,
sebbene esistano eccezioni dovute alla particolare cultura, saggezza e preparazione dell'individuo.
Per diventare Guji, ovvero il sacerdote capo di un tempio importante, è necessario ottenere il grado
più alto dell'ordine Meikai. Per diventare Guji di un tempio poco eminente si deve raggiungere il
massimo grado dell'ordine Gonseikai.
Dopo la seconda guerra mondiale il sacerdozio è stato aperto anche alle donne, oggi molto
importanti nel clero shintoista: infatti la pratica del Kaguramai, la danza sacra in onore degli dèi è
generalmente svolta solo dalle donne e l'autorità principale del tempio di Ise, comunemente
considerato il cuore dello Shintoismo, è una sacerdotessa. Non bisogna confondere una sacerdotessa
(kannushi) da una miko. Il ruolo di miko, le cosiddette vergini, è solitamente assegnato per un
determinato periodo a ragazze o adolescenti (di solito di sesso femminile), e di frequente si tratta
delle figlie dei sacerdoti. Il compito del o della miko è quello di assistere i sacerdoti nei vari
preparativi dei riti e delle feste, ruolo molto simile a quello dei chierichetti cristiani. Le miko sono
contraddistinte dal caratteristico abito bianco e rosso.
Oggi il sacerdozio si può ottenere attraverso un sistema a seminari, frequenti in tutto il Giappone e
spesso gestiti dai templi. Esistono anche corsi di sacerdozio shintoista in due università: l'università
di Kokugakuin a Tokyo e l'università di Kogakkan nella prefettura di Mie, entrambe amministrate
dalla Jinja Honcho. In aree di provincia è comune, in assenza di un sacerdote, assegnare
annualmente la celebrazione dei rituali e delle festività a un membro della comunità, anche senza
titolo sacerdotale.
Secondo la fede Shintoista, lo spirito umano è eterno, proprio come i kami. Come nella maggior
parte delle concezioni orientali l'aldilà è concepito dallo Shintoismo come una sorta di livello
esistenziale superiore. Quando si muore dunque, per lo Shintoismo, si cambia semplicemente
forma di esistenza, si accede ad un altro tipo di esistenza (vedi la sezione relativa ai kami
particolari). Questa è la concezione più moderna.
Poiché lo Shintoismo è coesistito pacificamente con il Buddhismo per oltre un millennio è molto
difficile separare le credenze buddhiste da quelle shintoiste. Si può dire che mentre il Buddhismo
enfatizza la vita dopo la morte, lo Shintoismo enfatizza questa vita e la ricerca della felicità in essa,
sebbene abbiano prospettive molto diverse sul mondo, la maggior parte dei giapponesi non vede
alcuna necessità di riconciliare le due religioni e pertanto le pratica entrambe. Perciò è comune per
molte persone praticare lo Shintoismo in vita ed essere comunque sepolte con un funerale
buddhista.
Nello Shintoismo antico veniva ovviamente dato maggior peso alla mitologia. Si credeva in una
serie di paradisi, già c'era quindi la concezione della pluralità esistenziale, anche se non espressa
filosoficamente tra il popolo. Tra questi paradisi si annoverano: l'aldilà del cielo, l'aldilà Yomi,
l'aldilà Tokoyo, l'aldilà delle montagne. Questi luoghi non sono descritti né come posti ameni né
con caratteristiche infernali, ma come luoghi molto simili al mondo terrestre.
Etica [modifica]
« La sincerità porta alla verità. La sincerità è saggezza, che unisce l'uomo e il divino in un tutt'uno. »
« Sii caritatevole con tutti gli esseri: l'amore è la prima caratteristica del divino. »
Lo Shintoismo presenta un'infinità di insegnamenti positivi, che nascono anche come conseguenze
dei suoi precetti fondamentali. Una prima regola etica è sicuramente la disponibilità verso gli altri.
La religione shintoista insegna che l'uomo deve sempre offrirsi per aiutare il prossimo,
caritatevolmente, sinceramente e amorevolmente, per mantenere l'armonia e il benessere nella
società. Conseguentemente lo Shintoismo incita al contenimento dell'egoismo e dell'egocentrismo,
promuovendo invece l'umiltà.
Il culto shintoista pone, in generale, al primo posto l'interesse della comunità e il pubblico
benessere. Ciò non significa che i diritti individuali e la famiglia siano ignorati. Al contrario, è sullo
sfondo dei riti religiosi, come conseguenza delle azioni verso gli altri, che l'intimità, il carattere
individuale di una persona e i suoi rapporti con il prossimo, sono ampiamente promossi.
Sebbene lo Shintoismo non abbia comandamenti assoluti al di fuori di vivere una vita semplice ed
in armonia con la natura e le persone, si dice che ci siano Quattro Affermazioni che esprimono
tutto lo spirito etico di questa religione:
La famiglia è il nucleo principale della vita di una persona, è il gruppo in cui e attraverso cui
una persona cresce, e da cui eredita un approccio e una visione del mondo ben precisi. Di
conseguenza a questa grande importanza, il nucleo familiare è un fondamento necessario al
benessere dell'individuo, e come tale va tutelato ed in particolare mantenuto armonico.
La natura è sacra, in quanto espressione del divino; conservare un contatto con essa
comporta il raggiungimento della completezza e della felicità, e significa mantenersi vicini
ai kami. Come tale la natura va rispettata, venerata e soprattutto tutelata, poiché è da essa
che deriva l'equilibrio della vita.
La pulizia è un componente essenziale dello Shintoismo, pulizia consente purezza, e la
purezza è una delle massime virtù. La pulizia è essenziale per condurre una vita armoniosa:
il fedele shintoista ne fa largo uso, sia su se stesso che negli ambienti in cui vive; i templi
shintoisti vengono tenuti sempre impeccabilmente puliti dai sacerdoti.
I matsuri sono i festival dedicati ai kami. In questi giorni il fedele shintoista prega nei
templi, o nella propria casa. Per festeggiare le divinità, vengono allestiti feste, processioni e
banchetti. I matsuri vengono organizzati dai templi o dalle comunità. Queste feste sono
parecchie durante l'anno e vanno da quelle più importanti e nazionali a quelle dei piccoli
paesi. I giorni normali sono chiamati ke ("giorno") e quelli di festa sono detti hare
("soleggiato" o semplicemente "buono").
Purificazione [modifica]
Secondo lo Shintoismo non c'è niente di peccaminoso di per sè, piuttosto certi atti creano
un'impurità rituale che una persona dovrebbe voler evitare semplicemente per ottenere pace mentale
e buona fortuna, non perché l'impurità sia sbagliata in se stessa. Il male e gli atti sbagliati sono
chiamati kegare (letteralmente "sporcizia"), e la nozione opposta è kiyome (letteralmente
"purezza"). L'uccisione di un essere vivente, considerata come atto impuro, dovrebbe essere fatta
con gratitudine e con riverenza nei confronti dell'animale e ridotta al minimo, praticata solo quando
altamente necessario.
Nelle cerimonie di purificazione vengono generalmente utilizzati vari elementi simbolici, tra i quali
spiccano la già citata acqua, il sale e la sabbia. Gli atti generali di pulizia sono chiamati misogi,
mentre in specifico, la purificazione personale all'ingresso dei templi, che consiste nel lavarsi mani
e bocca, è chiamata temizu o anche imi. Un rituale misogi ancora oggi molto praticato è quello che
consiste nel gettare acqua nei dintorni della propria casa, per ottenerne la purezza.
I riti di purificazione sono sempre il primo atto di una qualsiasi cerimonia religiosa, e vengono
praticati anche per benedire avvenimenti importanti. Per esempio i nuovi edifici costruiti in
Giappone vengono spesso benedetti da un sacerdote shintoista, come vengono benedetti anche i
nuovi aerei o le nuove automobili. Questo tipo di rituale purificatorio è chiamato jichinsai.
Addirittura un rito di questo tipo venne tenuto nel 1969 per benedire la missione sulla Luna
dell'Apollo 11.
Il sale è, dopo l'acqua, l'altro elemento importante nei rituali di purificazione. Le cerimonie legate al
sale vengono genericamente chiamate shubatsu. Vi sono varie cerimonie in cui il sale viene sparso
in un determinato luogo per eliminare le impurità, chiamate maki shio (letteralmente "sale sparso").
Di solito all'ingresso delle case vengono posti dei contenitori di sale, chiamati mori shio, che si
crede abbiano l'effetto di purificare chiunque entri nell'abitazione. Il maki shio è praticato nelle
case, e anche, alternativamente o insieme all'acqua, prima della costruzione di un edificio. Il sale
viene offerto simbolicamente anche alle divinità, ponendolo sugli altarini domestici kamidana
(vedere la sezione sul culto domestico).
Venerazione [modifica]
« Una preghiera sincera giunge al cielo. Una preghiera sincera realizzerà sicuramente la divina
presenza. »
« Il primo e più sicuro passo per entrare in comunione con il divino è la sincerità. Se si prega una
divinità con sincerità, si riesce a percepire la divina presenza. »
La venerazione, nello Shintoismo, ha una valenza molto profonda ed è considerata un atto puro e
sincero. Il rito shintoista tende a soddisfare i sensi dell'uomo e ad armonizzare e pacificare la mente.
Ciò è favorito dalla forte estetica del rito stesso, caratterizzata da immagini, suoni e profumi. Le
cerimonie sono dunque innanzitutto volte a manifestare riverenza e ammirazione nei confronti della
grandezza infinita dei kami, ma anche, e non da meno, lo scopo delle cerimonie è quello di rendere
l'uomo cosciente della verità che lo circonda, facendone scaturire pace e armonia.
Culto templare [modifica]
Nello Shintoismo moderno il cuore del culto è sicuramente il tempio (jinja), in cui si celebrano
numerose cerimonie e pratiche. Non c'è un giorno preciso della settimana in cui si svolgono le
cerimonie, i templi sono infatti costantemente aperti e disponibili per i fedeli, che possono recarvisi
per pregare gli dèi e fare offerte in qualsiasi momento desiderino. Gli spazi sacri tendono ad essere
particolarmente affollati soprattutto nei giorni in cui cadono i matsuri, ovvero i festival nazionali. Il
tipo di preghiera con cui il fedele cerca un contatto con i kami non segue regole specifiche, ognuno
può infatti avere un approccio totalmente personale alla venerazione. Generalmente, nei giorni non
festivi, ci si reca al tempio chiedendo agli dèi protezione costante sulla famiglia, fortuna per
superare esami scolastici, e ovviamente molto altro.
La venerazione corrisponde sempre ad un contatto con il mondo naturale, che rende i templi oasi di
pace all'interno delle caotiche città. Il culto templare sottolinea l'appartenenza dell'uomo all'universo
di cui è parte. I riti aiutano il fedele a comprendere la via che deve intraprendere nella vita, gli
offrono forza e sostegno per superare le difficoltà e supportano la sua visione spirituale del mondo,
tra sacralità e purezza. L'estetica del tempio, sostanzialmente, è un elemento fondamentale per la
preghiera e la venerazione, è un tutt'uno con esse. Il tempio è infatti considerato un edificio mistico,
un luogo in cui è possibile trovare un contatto e respirare la sacralità del mondo, che il luogo sacro
in un certo senso canalizza.
I rituali collettivi sono organizzati dai sacerdoti. Questi rituali sono molto precisi e dettagliati,
rappresentano infatti l'equilibrio del mondo, e con un tale significato vanno rispettati nella loro
interezza. Il modello rituale divenne comune a tutti i templi nel corso del XIX secolo. Oggi, la Jinja
Honcho, nella sua costante opera di modernizzazione dello Shintoismo, sta introducendo nuovi
modelli rituali, più adatti all'era moderna.
La venerazione non deve essere un atto esclusivamente pubblico, è infatti spesso praticata anche tra
le mura domestiche. È comune allestire degli altarini, chiamati kamidana (letteralmente "mensola
dei kami"), su cui comunemente viene posizionato uno specchio, l'oggetto che meglio consente di
dare una rappresentazione dei kami. È possibile inoltre aggiungervi oggetti sacri come ad esempio
amuleti, acquistabili presso i templi. L'altare è utilizzato per offrire preghiere e incenso alle divinità,
oltre ad una serie di elementi tradizionali tra cui: il sale, l'acqua e il riso.
In alternativa a templi ed altari domestici, un luogo considerato sacro, a volte addirittura più degli
edifici costruiti dall'uomo, è la natura stessa. Montagne, laghi, isole, scogliere, spiagge, foreste,
prati; in quanto questi ambienti incontaminati sono la massima espressione del divino,
rappresentano una delle vie per giungere alla contemplazione del sacro e alla percezione della
dimensione divina dell'universo.
Origami votivi in un tempio.
Offerta [modifica]
Un'offerta, nello Shintoismo, è un rituale simbolico che consente di donare qualcosa agli dèi,
mettendosi in contatto con loro. Ci sono vari tipi di offerta, anche se i più comuni sono gli ema e gli
origami.
Gli ema (絵馬) sono generalmente atti di donazione da parte dei fedeli ai templi. In epoca
medievale i ricchi potevano donare dei cavalli ad un tempio, specialmente quando richiedevano
l'aiuto della divinità (ad esempio per vincere in battaglia). Per favori di entità minori divenne
costume donare la pittura di un cavallo in forma simbolica, e questi ema sono popolari anche
oggigiorno. Il fedele può acquistare al tempio una tavoletta di legno con sopra l'immagine di un
cavallo, o di altri elementi (simboli dello zodiaco cinese, persone o oggetti associati al tempio, e
altro), vi scrive sopra un desiderio o una preghiera e l'appende ad una bacheca nel tempio. In alcuni
casi se il desiderio si avvera o la preghiera viene soddisfatta ne appende un altro come
ringraziamento. In molti templi è consueto anche offrire origami.
Nella cosmologia shintoista tutto l'esistente è pervaso da un'energia primordiale, che alimenta e
compone tutta la materia e tutte le sue manifestazioni, è il Musubi. Questa forza mistica è
paragonabile al Tao del Taoismo, un'energia cosmica che dà origine al tutto e causa l'evoluzione del
tutto, attraverso l'eterno ciclo dell'esistenza. Esso è il legame intimo che c'è tra tutte le cose,
l'elemento comune a tutto ciò che fa parte del cosmo. Il Matsubi è inoltre la forza armonica e
universale che lega indissolubilmente il mondo fisico umano al mondo spirituale degli dèi, i kami.
Il Tomoe, simbolo della trinità shintoista.
Come la maggior parte delle tradizioni orientali, anche lo Shintoismo è una religione ciclica. Nello
Shintoismo l'esistenza, in tutte le sue forme, si origina innanzitutto dall'esprimersi del principio
cosmico in una dualità, due forze polarmente opposte, il principio negativo In e il principio positivo
Yo, corrispondente al rapporto di Yin e Yang della cosmologia taoista. Dall'avvicendarsi di queste
due forze primordiali e opposte scaturisce tutta l'esistenza, sia essa fisica e materiale sia spirituale. I
kami, come gli uomini, hanno origine dallo scontro eterno tra queste due polarità.
Nella versione mitologica della cosmologia, le due divinità primordiali Izanami e Izanagi,
corrispondono ai due principi In e Yo.
Parlando di trinità shintoista una cosa assolutamente erronea è pensare ad un concetto trinitario
analogo a quello del Cristianesimo. Si può dire che la trinità shintoista non sia altro che il frutto del
rapporto cosmico tra i due poli primordiali dell'energia. Di questa triade fanno parte i suddetti In e
Yo (i due poli), corrispondenti ai principi taoisti Yin e Yang, e una terza parte, chiamata in cinese
Yuan. Questa terza parte rappresenta ciò che nasce dall'interazione dei due principi primordiali,
simboleggia i fenomeni e le manifestazioni prodotti dall'eterna interdipendenza di essi. Rappresenta,
più sinteticamente, la terza fase della cosmologia shintoista, seguente a quella della bipolarità,
ovvero la manifestazione dell'energia cosmica. Questa manifestazione finale che scaturisce
dall'interazione eterna delle due forze primordiali è la natura dell'universo, la sua esistenza stessa, la
sua vita, il suo continuo progredire in cicli eterni, nonché la sua molteplicità, sia essa spirituale,
manifesta attraverso gli dèi del cosmo, i kami, sia essa fisica, ossia corrispondente al livello
esistenziale umano.
Uno scrittore nato in Galles, trasferitosi poi sulle alture di Kurohime in Giappone, scrisse di
un'esperienza in Africa, quando fu condotto da un cacciatore locale in un luogo considerato sacro
dai Pigmei, nella foresta pluviale dello Zaire. L'episodio è il seguente:
« Lì trovammo una caverna, circondata da alti alberi. Si poteva udire solo il canto degli uccelli, il
muoversi delle scimmie tra le fronde degli alberi e lo scrosciare di una cascata. Era un luogo
meraviglioso. Il basso cacciatore dalla pelle bruna che ci aveva guidato in quel posto indossava solo
un gonnellino a cinta, un arco e delle frecce avvelenate. Strappò un fiore e se lo mise tra i capelli.
Qualcuno chiese: "Come fai a sapere che il divino è qui? Puoi vedere qualcosa di divino?" Pensai che
non avesse senso fare una domanda simile, ma il cacciatore rispose con un sorriso: "Non posso
vederli, ma so che gli esseri divini sono intorno a noi". »
Questa citazione è una vivida rappresentazione dell'essenza della fede shintoista, ovvero un grande
amore e riverenza per la natura, in tutte le sue possibili manifestazioni. Lo Shintoismo infatti
colloca la natura in una particolare luce, ogni cosa è di per sè sacra, ogni essere vivente e ogni
roccia nell'universo. La natura è considerata sacra in quanto manifestazione della forza dei kami e
dimora eterna di essi stessi. Nella visione shintoista valli, montagne, abissi, foreste, fiumi, persino le
città e le foreste artificiali ripiantate dall'uomo sono delle manifestazioni dell'essenza divina
dell'universo, in quanto la materia stessa di cui ogni cosa è costituita ha una base, un fondamento
divino.
È per questo motivo che nello Shintoismo spicca l'importanza assoluta della natura, che ha portato
all'usanza di costruire templi soprattutto nel cuore di boschi e zone di pace e silenzio meditativo. Un
filosofo spagnolo scrisse:
« Lo spettacolo più stupefacente di tutte le meraviglie del Giappone è la spontaneità e la dimensione
naturale della sua religione, caratterizzata dai templi immersi nel verde, quasi ad indicare che il luogo
migliore nel quale andare a cercare il divino, non è altro che il mondo intorno a noi. »
Un contesto religioso di questo genere risulta incredibilmente adatto alla mentalità moderna
dell'uomo. Mentre infatti si tende sempre di più a diffidare del trascendente, cresce un tipo di
teologia che vede come divina la materia stessa che costituisce tutte le cose, in quanto generata
dalle grandi energie divine che pervadono tutto l'universo. È in questo modo che lo Shintoismo
sopravvive in un Paese costellato da tecnologie avanzatissime tra cui i robot, sempre più diffusi. In
una visione del mondo in cui ogni cosa che esista si ritiene abbia uno spirito, infatti, anche un robot
deve conseguentemente averne uno. Questo spirito non è da intendere nel senso cristiano del
termine, poiché questa essenza divina di un robot non è altro che parte della matrice divina che
genera tutte le manifestazioni dell'universo. Detto più semplicemente, lo spirito del robot è
contenuto nella materia stessa di cui il robot è costituito, poiché la materia stessa è generata dal
divino.
La scienza moderna è arrivata a scoprire che gli atomi sono costituiti da ulteriori particelle
subatomiche, queste particelle subatomiche generano attività muovendosi da una polarità positiva
ad una negativa, corrispondenti alle due polarità che danno origine a tutte le manifestazioni
dell'universo nelle filosofie legate al concetto di Yin e Yang.
Kami [modifica]
« Tutto ciò che c'è di maestoso e solenne, che possiede le qualità dell'eccellenza e della virtù ed
ispira un sentimento di meraviglia, è considerato kami »
(Motoori Norinaga)
I kami, termine tradotto in genere con "dèi", "divinità", sono le entità spiritiche che popolano tutto
l'universo, sono gli spiriti della natura, e si esprimono attraverso essa. Per il fedele shintoista una
cascata, la Luna o semplicemente una roccia, possono essere considerati come espressione dei kami
ed elementi mistici in grado di porre in contatto con la sfera divina. Anche semplici forze, ovvero i
cicli che regolano l'universo, come la fertilità o la crescita, possono essere visti come
manifestazione delle impercettibili forze divine che popolano la natura.
I kami sono stati definiti anche con il termine li, ovvero "intelligenze innate", oppure "principi".
Questa miriade di definizioni sta ad indicare la complessità nel dare una spiegazione al concetto
stesso di divinità shintoiste. Spesso è utilizzato anche il termine cinese shen ("esseri di luce",
"divinità"), forma più originale di shin, la radice della parola Shinto (etimologia completa spiegata
nell'introduzione).
I kami non sono dunque divinità trascendenti; sebbene siano impalpabili, popolano lo stesso
universo in cui si trova l'uomo, si trovano solo ad un livello esistenziale superiore. Nel tempo
l'immagine dei kami è andata a caratterizzarsi, tanto che è comune trovarli rappresentati in forma
antropomorfa, e circondati da ampi corollari mitologici; tuttavia il messaggio essenziale è rimasto
invariato, le raffigurazioni sono solo delle maschere, volte a rendere concepibili all'uomo concetti
così complessi. È molto frequente, infatti, in particolare nello Shintoismo moderno, l'utilizzo di uno
specchio per rappresentare le divinità. Questa è la migliore raffigurazione che possa far
comprendere all'uomo moderno un concetto così profondo. Lo specchio sta infatti ad indicare che
ogni cosa riflessa da esso è incarnazione e manifestazione degli dèi. In alternativa, come
raffigurazione, vengono anche utilizzate composizioni geometriche di carta o di stoffa.
I kami sono collettivamente chiamati Yaoyorozu no Kami (八百万の神? letteralmente "otto milioni
di kami"). Il nome arcano Yaoyorozu ("otto milioni") non è il numero esatto, ma piuttosto un modo
simbolico di indicare l'infinito in un'epoca in cui questo concetto non esisteva. Il kami più
importante, e certamente il più invocato e venerato è la dea del Sole Amaterasu. Il tempio principale
a lei dedicato è situato a Ise e ad esso sono affiliati numerosi templi minori.
Kami particolari [modifica]
Nella classificazione kami possono essere inclusi anche altri tipi di spiriti, ed entità:
Dosojin: i dosojin o sai no kami o ancora dorokujin, sono le divinità delle strade e dei
sentieri, ovviamente più in senso metaforico che in senso lato, quindi strade è da intendere
anche come i sentieri della vita, le direzioni e le scelte che la caratterizzano. I luoghi in cui si
dice siano soliti manifestarsi sono contrassegnati da pietre o sculture, poste ai lati delle
strade, oppure agli incroci o in prossimità dei ponti. In qualità di divinità patrone dei confini,
i dosojin si dice proteggano dagli spiriti maligni e da catastrofi o incidenti stradali. Le pietre
di segnalazione dai luoghi in cui presenziano rappresentano solitamente piccoli esseri
antropomorfi, o in alternativa possono essere semplici pietre con inscrizioni. In alcuni paesi
si ritiene che i dosojin siano manifestazioni del kami della fertilità, in altri casi del kami
patrono dei bambini. I popolari festival del fuoco del Giappone, che si tengono il 15 gennaio
di ogni anno, sono conosciuti con il nome di festival dei dosojin. L'usanza prevede che in
questa giornata vengano bruciati tutti gli ornamenti, i talismani e altre decorazioni utilizzate
nei templi durante la festa del Nuovo Anno. Le decorazioni, solitamente di bambù e carta,
vengono gettate nel fuoco per propiziare salute e ricchezza per l'anno appena iniziato.
Questa tradizione legata al fuoco ha molti nomi, tra cui Sai no Kami, Sagicho e Dondo Yaki.
La tradizione vuole che dal crepitio delle fiamme si riesca ad interpretare se l'anno sarà ricco
e prospero. L'origine delle pietre dosojin si è persa nelle nebbie del tempo. Tradizioni simili
si possono comunque riscontrare nel mondo buddhista (nello stesso Giappone i dosojin in
stile buddhista sono detti jizo), la tradizione stessa delle pietre di segnalazione di spiriti nei
pressi delle strade è rintracciabile ad esempio in India, dove il Buddhismo nacque all'incirca
nel 500 a.C. Il Buddhismo fu introdotto in Giappone solo nel VI secolo dopo Cristo, e con
esso probabilmente la tradizione dei dosojin.
Ujigami: gli ujigami (氏神, letteralmente "kami con un nome") sono kami particolari, che si
ritiene siano protettori di una specifica località o un singolo paese e in molti casi si tratta
degli spiriti dei fondatori del paese stesso. I membri della comunità che venera un ujigami
sono solitamente chiamati ujiko (anche se questo nome spesso sta ad indicare il gruppo di
persone addette alla manutenzione dei templi di provincia). Queste caratteristiche rendono il
culto degli ujigami molto simile a quello dei santi cristiani.
Mizuko: i bambini che muoiono in età infantile senza essere stati aggiunti alle liste di un
tempio (vedi la sezione culto templare), divengono mizuko (letteralmente "bambino
d'acqua") e si ritiene che causino problemi e pestilenze. I mizuko vengono spesso adorati in
templi specifici con lo scopo di placare la loro rabbia e tristezza. Questi templi sono
diventati più popolari nel Giappone moderno con l'aumento degli aborti.
Spiriti ancestrali: lo Shintoismo insegna che ogni essere vivente possiede una propria anima,
chiamata reikon che, con la morte assume uno status simile a quello dei kami. Coloro che
muoiono senza problemi e in felicità divengono spiriti ancestrali, festeggiati nel giorno di
Obon. Essi possono essere pertanto venerati come tenjin ("spiriti celesti"), e può essere loro
richiesta protezione sulla famiglia e sulle vicende ed attività familiari; un'usanza molto
simile, dunque, a quella di molte altre grandi religioni. Per persone molto eminenti e sagge
può essere edificato anche un tempio, pratica comune se il defunto era particolarmente
popolare.
Yurei: gli yurei sono i fantasmi. Mentre le anime felici diventano spiriti ancestrali, chi
muore infelice o di morte violenta si sostiene divenga un fantasma, uno degli stati spirituali
più vicini a quello umano sia per lo Shintoismo che per il Buddhismo. Il termine yurei
significa letteralmente "fantasmi tormentati", perché questi spiriti tenderebbero a causare
problemi.
Spiriti zoomorfi: la maggior parte dei templi shintoisti, presenta ai lati dell'ingresso due
statue raffiguranti creature dall'aspetto di cani-leoni, sono i cosiddetti komainu, raffiguranti
gli spiriti guardiani del tempio che tengono lontane le entità maligne. I templi dedicati ad
Inari fanno eccezione, sono infatti tipicamente guardianati da tanuki (animali simili ai
procioni in grado di trasformarsi in uomini) e uccelli antropomorfi chiamati tengu.
Ovviamente nel tempo sono nate molte varianti, si possono trovare ad esempio anche spiriti
dall'aspetto di scimmie. Ad ogni modo tutti questi spiriti sono collettivamente chiamati
Henge, che significa "muta-forma", poiché si crede che possano assumere sembianze
umane. La tradizione di questi spiriti guardiani è rintracciabile anche nelle tradizioni
buddhiste e taoiste. Vi sono centinaia di leggende che narrano di incontri tra umani e queste
creature magiche, considerate a volte benefiche e a volte malefiche. Fanno parte di questa
categoria anche i due kami zoomorfi più comuni, il kappa e il drago.
Forze della natura: anche alcune forze ed elementi della natura, sono considerate
manifestazioni della matrice divina di tutto l'universo. Queste forze possono includere quelle
rappresentate dai vulcani, come ad esempio il Monte Fuji, caratterizzato dalla sua dea
protettrice. Oltre ad essi ogni luogo particolare, come ad esempio una scogliera, una cascata,
un lago, vengono visti dai fedeli shintoisti come luoghi di intenso potere spirituale.
Inutile non dire che la credenza in queste manifestazioni spirituali abbia fortemente influenzato la
moderna industria degli Anime, i cartoni animati giapponesi. In essi si possono riscontrare centinaia
di personaggi e spiriti ostensivamente ispirati ai kami e agli spiritelli della religione shintoista.
Va detto sin dal principio che la venerazione dell'imperatore non era prevista nello Shintoismo
precedente alla Restaurazione Meiji (o comunque era molto meno enfatizzata), ma introdotto da
quest'ultima per rafforzare il potere imperiale. Il culto dell'imperatore è crollato insieme al crollo
dello Shintoismo di Stato con la fine della seconda guerra mondiale.
Il Tenno (imperatore) venne considerato essere il discendente di Amaterasu e padre di tutti i
Giapponesi ed era pertanto un kami sulla Terra (un ikigami o "kami vivente"). Con la Restaurazione
Meiji il culto venne reso popolare, ma precedentemente i governatori militari (Shogun) erano
riusciti più volte ad usurpare il potere, nonostante l'imperatore venisse sempre visto come il vero
governatore del Giappone anche nei periodi in cui la carica fu solo simbolica. Sebbene Hirohito
rinunciò al suo status divino nel 1946, sotto pressioni americane (Ningen sengen), la famiglia
imperiale rimase profondamente coinvolta nei rituali shintoisti che unificano simbolicamente la
nazione giapponese (Shintoismo imperiale). Questa dichiarazione, pur essendo stata emanata per
ragioni politiche, è religiosamente parlando priva di significato ed indicò soltanto la fine
dell'imposizione dello Shintoismo di Stato.
Simbologia [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Torii, Tomoe e Maneki neko.
Torii [modifica]
L'origine di questo simbolo è pressoché sconosciuta, alcuni la ricollegano al mito in cui Amaterasu
si nascose in una caverna per sfuggire a Susanoo, altri ne vedono l'origine analizzando l'etimologia
della parola. Torii è infatti composto da tori, che significa uccello con l'aggiunta di una i finale.
Secondo questa spiegazione i primi torii erano volti ad ospitare gli uccelli, considerati
particolarmente importanti dalla religione shintoista poiché simboleggianti il contatto tra la Terra e
il cielo, metafore rispettivamente del mondo umano e di quello divino.
Tomoe [modifica]
Il Tomoe, detto anche Yin-Yang-Yuan o Triplo Taijitu, è il simbolo della triplicità dell'energia
cosmica shintoista (vedi il paragrafo sulla trinità shintoista). Due delle tre parti rappresentano i due
principi polari, Yin e Yang, la terza parte rappresenta l'universo, ovvero tutte le manifestazioni che
scaturiscono dai due principi primordiali.
Esistono molte varianti del Tomoe, data la grande diffusione che ha avuto il simbolo, che oltre a
caratterizzare lo Shintoismo è entrato a far parte anche della simbologia buddhista. La versione più
diffusa è quella prettamente tripolare (Mitsu Tomoe), in linea alla cosmologia shintoista. Si
definisce tuttavia Tomoe, anche il simbolo tipicamente in stile giapponese ma bipolare, assimilabile
quindi al Taijitu taoista. L'aspetto di quest'ultimo ha fortemente influenzato lo stile della versione
cinese del Tomoe (Yin-Yang-Yuan).
La corda sacra, in giapponese detta shimenawa (注連縄), a volte abbreviato in shime, è una
composizione che appare molto spesso nei templi shintoisti e nei luoghi sacri. Ad esempio viene
frequentemente appesa all'asta orizzontale dei torii per incrementarne il significato sacro, oppure la
si può trovare legata al tronco di un albero, o attorno ad una roccia, poiché considerati espressione
delle potenze spirituali.
Lo shimenawa consiste in una treccia di paglia di riso, alla quale vengono appese strisce di carta, i
cosiddetti gohei (御幣), che come già detto precedentemente sono, dopo lo specchio, l'elemento più
utilizzato per raffigurare le divinità. La parola shimenawa è composta da tre kanji di cui l'ultimo è
nawa (che letteralmente vuol dire "corda"), mentre gli altri due corrispondono approssimativamente
ai termini "scrosciare" (sosogu) e "serie", "gruppo", "raccolta" (ren). La parola shimekazari (注連飾
り)indica invece l'insieme di decorazioni realizzato con più shimenawa (kazari significa appunto
decorazione).
Questa è sicuramente la più popolare delle leggende che avvolgono la figura del Maneki neko (招き
猫), letteralmente gatto che invita, all'estero chiamato anche gatto della fortuna. In ognuna di
queste leggende ci sono comunque dettagli similari, in particolare il salvataggio di qualcuno da
parte di questo gatto. Da leggenda popolare il Maneki neko è ben presto diventato uno dei simboli
più popolari del Giappone, e seppur di origine buddhista, le sue raffigurazioni sono usate come
amuleto anche nella religione shintoista. È molto frequente, in Giappone, imbattersi in queste
raffigurazioni feliniformi in qualsiasi tipo di ambiente, case, ristoranti, alberghi, centri commerciali.
Si crede che questo amuleto abbia poteri mistici e capacità di protezione nei confronti dell'ambiente
in cui si trova, portando salute, fortuna e denaro. La figura del Maneki neko risalirebbe al XIV o
XVII secolo, e avrebbe avuto origine ad Osaka, anche se tradizioni precedenti potrebbero risalire
addirittura a millenni fa, quando i primi gatti furono importati in Giappone attraverso la Cina dai
coltivatori di bachi da seta.
Data l'antica origine della credenza nel Maneki neko, ne esistono migliaia di tipologie diverse,
modellate nelle forme più originali ed utilizzando i materiali più vari; solo l'impostazione è sempre
la stessa: un gatto seduto con una campanella allacciata al collo e una zampa sollevata in segno di
saluto. Interessante è la posizione delle zampe, infatti sebbene le rappresentazioni con la zampa
sinistra sollevata siano più comuni di quelle con la zampa destra alzata, la ragione esatta della
differenza non è chiara. Alcuni ritengono che la zampa sinistra sollevata significhi denaro e fortuna,
mentre la destra significhi salute. Altri sostengono che la sinistra propizi gli affari e la destra la
famiglia.
Il gatto è anche rappresentato in una vasta gamma di colori, ognuno dei quali ha un suo significato.
Quello più comune è il bianco, che significa già di per sé buona fortuna. Il business di questi
amuleti ha una forte importanza nel Giappone moderno, ed esistono laboratori di artisti specializzati
nella produzione delle statuette.
Il Gatto della Fortuna è presente anche nei Pokémon: la mongolfiera del Team Rocket, infatti,
assomiglia a Meowth, un Pokémon felino, con la tipica zampa sollevata.
Templi [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Jinja.
La pratica della costruzione di templi shintoisti, in giapponese jinja o jingu, ebbe origine con
l'introduzione del Buddhismo, probabilmente ad imitazione dei templi di quest'ultima tradizione. Il
rito shintoista infatti, in origine, veniva praticato all'aperto, di solito con piccoli reliquiari mobili o
in aree chiamate miya. Ovviamente era possibile trovare eccezioni, templi fissi, i primi dei quali
sono identificabili come la forma primordiale di architettura shintoista.
Stili [modifica]
Il tempio si è poi adattato a differenti stili architettonici, oltre a quello buddhista assorbì anche
caratteristiche degli stili taoista e confuciano. Oggi si possono trovare templi manifesto di ognuno
di questa miriade di stili, da quello utilizzato nella maggior parte dei templi, allo stile del tempio di
Ise caratterizzato dai tetti in paglia, allo stile moderno. Nell'apparente caos stilistico lo Shintoismo
mantenne le sue regole di costruzione più originali, in particolare i materiali utilizzati, la
disposizione dei locali del tempio e gli ornamenti simbolici. Caratteristica comune a tutti i templi
tradizionali è l'utilizzo di materiali da costruzione naturali, il legno in primis, sebbene con
l'importazione degli stili architettonici cinesi si ebbe una discreta diffusione dell'utilizzo della pietra,
oltre all'introduzione della pittura e della scultura. Il Buddhismo oltre all'architettura influenzò
anche i rituali shintoisti e le raffigurazioni divine, infatti in epoca medievale avvenne un'esplosione
di raffigurazioni shintoiste con marcati caratteri buddhisti.
Oggi sebbene la maggior parte dei nuovi templi tenda a rispettare gli stili tradizionali, altrettanto
spesso si tende a sviare, sperimentando e proponendo nuovi stili architettonici, con la costruzione di
templi decisamente futuristici, caratterizzati dall'utilizzo di materiali come l'acciaio, il cemento e il
vetro.
Locali [modifica]
Il tempio shintoista ha una struttura ben precisa. È sempre suddiviso in una serie di locali
caratterizzati ognuno da una specifica funzione:
Honden: il sancta sanctorum, è la zone più esclusiva del complesso templare, si tratta infatti
del locale più sacro, che ospita la raffigurazione della divinità. Spesso questa zona è chiusa
al pubblico e solo i preti possono averne accesso, per compiere i riti di purificazione.
Haiden: la "sala della preghiera o "oratorio" è la zona in cui i fedeli possono recarsi a
pregare e dove si tengono alcune cerimonie. È completata solitamente da panche e sedie,
come in un tempio cristiano. Non è tuttavia la sola zona in cui si prega, infatti in templi
speciali come quello di Ise, sia preti che laici offrono le loro preghiere sedendosi all'esterno,
nei giardini del tempio.
Heiden: è la "sala delle offerte". Non è presente in tutti i templi in quanto ognuno di essi
tramanda propri riti per celebrare le offerte. Queste offerte sono simboleggiate da vivande,
che possono essere disposte su tavoli, appese, sparse nei boschi o nell'acqua. In alcuni
templi le offerte vengono accumulate negli heiden.
Chokushiden: si tratta di una sala speciale dove si tiene la cosiddetta "comunione dei cibi",
in giapponese ainame, durante la quale i fedeli mangiano le offerte stesse fatte alle divinità.
Questo rituale simboleggia l'unione mistica tra l'uomo e il kami, permessa dal cibo, che
viene assunto simbolicamente da entrambi.
Altre sale: il tempio ospita spesso anche sale utilizzate per le pratiche rituali legate alla
musica e alla danza. Furono introdotte nel periodo medievale. Sono solitamente due,
collocate simmetricamente a destra e a sinistra della sala principale. Musica e danza sono
considerati importanti, poiché si dice favoriscano l'armonia tra l'uomo e i kami.
L'area d'ingresso di un tempio shintoista è nella quasi totalità dei casi contrassegnata dalla presenza
di un torii. Il nome (che letteralmente significa "dove risiedono gli uccelli") indica il classico portale
mistico che segnala l'entrata nell'area sacra, che oltre ad un tempio può essere una qualsiasi zona
naturale caratterizzata da una forte bellezza e singolarità. Un torii è costituito da due pilastri
verticali che ne sostengono due orizzontali, e completato da una tavoletta centrale, tra le due aste
orizzontali, che solitamente riporta il nome del tempio, dell'area sacra o una frase particolarmente
significativa. L'origine di questa struttura è pressoché sconosciuta e si perde nella leggenda (vedi il
paragrafo nel capitolo sulla simbologia per approfondire).
Si tratta di un simbolo molto semplice, ma dai significati estremamente profondi, esso simboleggia
principalmente il cancello che separa il mondo fisico dal mondo spirituale. Il torii è
tradizionalmente costruito in legno e dipinto di colore rosso vermiglio. Ovviamente con il tempo, e
in particolare nella modernità si sono presentate numerose varianti, tra cui la pietra e ancor più di
recente il metallo.
Bosco sacro [modifica]
Inizialmente i templi shintoisti venivano edificati in zone incontaminate e isolate dai centri abitati.
Sebbene con la grande urbanizzazione del Giappone, oggi, i nuovi templi (in particolare quelli
piccoli) non abbiano più la caratteristica di essere immersi in boschi verdeggianti, i luoghi di culto
principali tendono invece a conservarla. Questa tradizione va ricollegata senza dubbio alla sacralità
della natura e al posto prominente che essa deve mantenere nella vita umana, per permettere
all'uomo di rimanere sempre in equilibrio con il mondo. I giardini circondanti i templi sono parte
fondamentale della religione shintoista, protettrice della natura in quanto divina. I boschi evocano
quel tipo di armonia con il mondo e con il divino che l'uomo tecnologizzato tende sempre più a
dimenticare. Subito dopo aver attraversato la prima tappa rappresentata dal torii, nei grandi templi,
si accede immediatamente al bosco, attraversato di solito da un sentiero chiamato sando.
Il sando, che attraversa la zona boschiva e conduce alla struttura templare, è molto più di un
semplice camminamento, rappresenta infatti un cammino mistico. Riflette il sentiero che l'uomo
deve compiere per giungere alla comprensione del divino, ovvero intraprendere un passaggio
attraverso la natura, unico vero mezzo per conoscere quale sia il mistero della vita. Il sando è un
cammino rituale, che il fedele intraprende per giungere alla purificazione e liberare la mente, in
modo da raggiungere la contemplazione e la venerazione dei kami con la spontaneità più pura
possibile. Ai lati del sando, che spesso può essere anche una scalinata, sono poste di frequente
statue di animali sacri, o lanterne di pietra, che dividono il percorso in una serie di tappe. È comune
anche che il sando, in certi templi, attraversi un ponte, chiamato shinkyo. La traversata del ponte —
e quindi dell'acqua — simboleggia la purificazione.
Il Giappone è uno dei Paesi più industrializzati al mondo: dire che il sessantasette per cento del suo
territorio è ancora coperto da foreste sembrerebbe un paradosso, eppure si tratta della realtà.
Probabilmente il Giappone, più che alla geografia territoriale e al carattere montagnoso, deve
proprio alle sue tradizioni e ai suoi valori religiosi questo interessante ossimoro, un modello che di
certo dovrebbe essere preso maggiormente in considerazione.
Data la radicata credenza nella sacralità dell'universo i templi rappresentano in un certo senso un
microcosmo, una piccola riproduzione degli elementi naturali nella loro essenza: il giardino
rappresenta i boschi e le foreste di tutto il mondo, la fonte per le abluzioni il fiume, le pietre nei
giardini rappresentano le montagne e infine gli stagni, rappresentano i mari e i laghi.
Conversione [modifica]
L'espressione conversione allo Shintoismo non è poi così appropriata, difatti per diventare shintoisti
non è necessaria nessuna conversione in senso stretto, ovvero nessun rituale particolare o l'adesione
a una qualche comunità: questo perché lo Shintoismo non richiede nessuna trasformazione, in
quanto si è già predisposti ad abbracciare questa religione, in quanto essa scaturisce dallo spirito
profondo dell'uomo. In qualità di religione cosiddetta naturale, lo Shintoismo insegna che diventare
shintoisti significa semplicemente credere nei suoi precetti, con coerenza e sentimento. Credere nei
suoi valori e metterli in pratica, credere nei kami, gli spiriti della natura: queste sono le due
condizioni essenziali che fanno di un uomo uno shintoista.
Secondo alcuni, l'ideologia shintoista ha avuto un notevole impatto sulle nuove generazioni
occidentali attraverso i manga e gli anime che ne sono fortemente permeati.
Bibliografia [modifica]
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Kenji, Ueda. The Concept of Kami. 1999.
Littleton, Scott. Shinto: Origins, Rituals, Festivals, Spirits, Sacred Places. 2002. ISBN 0-19-
521886-8.
Ono Sokyo. Iniziazione allo Shintoismo. Edizioni Mediterranee, 2004. ISBN 88-272-1715-
0.
Puddinu, Paolo. Shintoismo. Queriniana, 2003. ISBN 88-399-1186-3.
Raveri, Massimo. Itinerari nel sacro. L'esperienza religiosa giapponese. Venezia,
Cafoscarina, 2006. ISBN 88-7543-109-4.
Villani, Paolo. Kojiki: un racconto di antichi eventi. Marsilio Editore, 2006. ISBN 88-317-
8982-1.