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DIRITTO INTERNAZIONALE

24/02 - I trattati non studiarli benissimo perché non sono importantissimi

Nel secondo semestre finiremo lo studio dei diritti dei trattati: cosa sono i trattati, come si stipulano, l’istituto delle riserve, e oggi
studieremo l’interpretazione dei trattati (convenzione di Vienna), passeremo al tema dell’invalidità di un trattato, di estinzione e
sospensione, di successione degli stati sui trattati, di modalità di risoluzione delle controversie internazionale (corte internazionale
di giustizia e arbitrato) e infine affronteremo lo studio del recepimento del diritto internazionale per il diritto italiano.
Studieremo alcune branche del diritto internazionale: immunità, tema della tutela dei diritti umani nel diritto internazionale.

l’INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI

Artt. 31-33 Cdt.

Il trattato deve essere interpretato alla luce dei criteri stabiliti nella convenzione di Vienna negli articoli 31-31-33. (Cerca
convenzione di Vienna e leggi gli articoli del trattato).

Una norma può essere redatta tramite la modalità oggettiva o soggettiva. La modalità di interpretazione scelta da chi ha redatto la
convenzione di Vienna è la modalità OGGETTIVA.

Metodo oggettivo (art. 31, parr. 1 e 2).

La prospettiva interpretativa principale considerata è il metodo


OGGETTIVO, cioè deve essere interpretato secondo i “termini del
trattato nel loro contesto”.

Attraverso il metodo oggettivo il trattato deve essere interpretato in


“buona fede” tenendo conto del significato comune delle parole
utilizzate nella norma.

Durante la fase di negoziazione vi erano alcuni stati (come ad esempio


gli USA) che premevano sulla interpretazione soggettiva ma è prevalsa
tramite maggioranza quella oggettiva.

L’interpretazione soggettiva ritornerà solo se non si riesce ad interpretare il trattato applicando la regola oggettiva.

Il metodo oggettivo si basa su tre criteri:

• Criteri testuale (vedi paragrafo 1)


Bisogna attribuire al testo il significato le parole nel loro senso comune e ordinario col quale questi termini sono applicati.

• Sistematico
Implica che bisogna valutare il trattato nel suo contesto, per interpretare quella specifica norma bisogna andare vedere e
considerare le parole utilizzate nell’impiego comune ma tenendo conto del contesto (non si può estrarre dal contesto, bisogna
interpretare le norme alla luce del preambolo e del trattato). Il preambolo (parte introduttiva) serve infatti a chiarire ogni dubbio
interpretativo.

Sta a significare che la specifica norma va interpretata alla luce di TUTTO il trattato (alla luce del preambolo, degli allegati, degli
eventuali accordi successivi o precedenti collegati ai tratti di cui stiamo parlando).
La nozione di “contesto” comprende oltre che al preambolo e agli allegati anche i trattati eventuali successivi. È necessario
quindi guardare tutti i trattati, perché succede spesso che alcuni trattati vengano arricchiti con PROTOCOLLI successivi. Ad
esempio: il trattato sui Diritti Fondamentali è stato arricchito nel corso degli anni da nuove norme e dal cosiddetto protocollo.
(trattato che aggiunge qualcosa riguardo al trattato precedente).

• Teleologico
Il trattato va interpretato alla luce del suo oggetto e del suo scopo.

Come abbiamo già detto il metodo scelto da chi ha redatto la convenzione di Vienna è il metodo oggettivo che si fonda su questi tre
criteri. Se, però, applicando il metodo oggettivo la norma rimane comunque equivoca e dubbia, non riuscendo a risolvere il dubbio
interpretativo, si può ricorrere al metodo soggettivo.

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Metodo soggettivo (art. 31, parr. 3 e 4)

Il metodo soggettivo, consiste nel ricostruire quale era


l’intenzione delle parti, di chi ha scritto quella norma.

Spesso infatti, durante i giorni del negoziato si viene fatta una


sorta di CRONACA, se nonostante il metodo oggettivo la
norma rimane dubbia, gli stati interessati potrebbero
ricorrere ai lavori preparatori (cioè cosa si sono detti durante
il negoziato) questo può aiutare a risolvere il dubbio
interpretativo.

È vero pero, che spesso dietro ad una norma dubbia ci sono


lavori preparatori che per forza di cose sono anch’essi dubbi.
Infatti, può succedere gli stati si trovino spesso in disaccordo riguardo ad una norma, in questi casi per dare garantire e
accontentare gli uni e gli altri, si applica una norma dubbia e non chiarissima che possa metterli d’accordo (non poniamo fiducia nei
lavorati preparatori, spesso nel negoziato si è applicata una norma dubbia per mettere d’accordo più stati possibili).

Mezzi complementari (art. 32)

Un’altro strumento al quale è possibile


ricorrere quando si deve interpretare una
norma dubbia in un trattato sono i mezzi
complementari.

Trattati redatti in più lingue (art. 33)

L’articolo 33 pone la questione della difformità


interpretativa quando il trattato viene redatto in PIÙ
LINGUE. Se il trattato viene redatto in due versioni
linguistiche può capitare che le due versioni non
coincidano.

Nei trattai multilaterali si usano delle lingue


“ufficiali” (oltre l’inglese c’è spagnolo, russo e
tedesco; è raro che l’Italiano sia la lingua ufficiale).

1. Paragrafo 1: afferma che se un trattato è stato autentificato in due o più lingue, il suo testo fa fede in "ciascuna di tali
lingue, a meno che il trattato non preveda o le parti non convengano fra loro che, in caso di divergenza, prevarrà un
determinato testo” (spesso infatti sulla pendice dei trattati c’è scritto che in caso non si sa quale prevalga, la lingua che
prevarrà sarà la lingua X). -> non c’è una lingua che prevale sull’altra.

2. Paragrafo 2: afferma che "la traduzione di un trattato in una lingua diversa da una di quelle nelle quali il testo è stato
autenticato non sarà ritenuta testo autentico” a me no che le parti non lo abbiano deciso in precedenza.

3. Paragrafo 3: afferma che bisogna presumere che i due testi abbiano lo stesso significato. L’obbiettivo è quello di andare a
trovare similitudini delle due interpretazioni linguistiche e NON avere l’obbiettivo di accentuare le differenze ma trovare
concordanza fra le diverse versioni linguistiche.

4. Paragrafo 4: se dopo aver fatto tutti i passaggi sopra citati c’è ancora un evidente differenza nel significato e non si riesce
quindi a trovare concordanza nei testi si fa prevalere l’ interpretazione che meglio concilia le due, e se non conciliano si
prevale quella che è meglio in linea con il trattato fondamentale (quello che difende più diritti).

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Altre regole di interpretazione:

• Principi generali di diritto


applicare i principi generali di diritto (cioè regole che sono formulate con termini latini di solito).
Alcuni di questi principi generali hanno a che fare con l’ interpretazione del diritto romano ne è un esempio il principio del Favor
Debitoris: quando norma è dubbia prevale l’interpretazione più favorevole al debitore.

• Analogia
Nel caso non ci sia una norma che regola quella situazione, si cerca una norma che regola casi simili.
(È accaduto che la corte internazionale di giustizia abbia applicato la regola dell’analogia ma è raro perché è contestabile).

• Interpretazione evolutiva (a differenza dell’analogia questo metodo è molto più diffuso).


Si interpreta il tratto alla luce della situazione esistente e non alla luce della situazione esistente nel momento in cui il tratto è
stato concluso.

Ad esempio la convenzione europea diritti dell’uomo è convenzione del 1950: la corte Europea che interpreta la convenzione, la
interpreta alla luce della società attuale e non di come era nel 1950.
La norma di diritto di sposarsi, nel ’50 è intesa SOLO tra uomo e donna, nel 2021 si interpreta in maniera evolutiva: si possono
sposare anche le persone dello stesso sesso, perché il diritto di sposarsi devono essere interpretate alla luce della società di
adesso. Altro esempio: prendiamo il caso del diritto alla libertà di espressione; c’è un passaggio nella convenzione che dice che
ogni individuo ha il diritto di esprimersi liberamente attraverso alcuni mezzi di comunicazione e non si fa riferimento a internet ma
la corte lo tiene conto in maniera evolutiva.

Questa interpretazione comporta dei rischi e pone dei problemi: lo stato può dire che ha firmato il trattato in quel determinato
periodo storico INTENDENDOLO in QUEL modo e allora non va bene che con il passare degli anni l’interpretazione venga cambiata.
È capitato che ci siano stati degli stati che si sono opposti all’ interpretazione evolutiva perché era considerata come
un’interpretazione nuova non va bene agli stati.

L’interpretazione dei trattati istitutivi delle organizzazioni internazionali

Teoria dei poteri impliciti:


I trattati istitutivi delle organizzazioni internazionali devono avere regole diverse o sono interpretate secondo regole che si
applicano secondo tutti i tratti?

Questo problema sorge perché vent’ anni fa c’era chi pensava ai tratti istitutivi delle organizzazioni internazionali come
COSTITUZIONI e che quindi NON possono essere tratti come tutti gli altri tratti ma devono seguire regole diverse.

Questo tipo di approccio ha avuto un certo seguito perché risponde alla TEORIA DEI POTERI IMPLICITI.
La teoria dei poteri impliciti è un principio giuridico proprio del diritto degli Stati Uniti che verrà poi adottato anche nel diritto
internazionale delle Nazioni Unite. E consiste nell'esercizio di alcuni organi di poteri NON espressi ma desumibili.

L’articolo decimo della Costituzione Americana elenca tutti i poteri dello stato federale e possiede anche i poteri necessari per
l’esercizio di quei poteri, conducendo all’idea dei POTERI IMPLICITI.
Per cui lo stato federale non ha solo poteri esplicitati a elenco sulla costituzione ma possiede anche i poteri impliciti.

La corte internazionale di giustizia e corte di giustizia europea, ormai vent’anni fa hanno fatto ricorso alla teoria dei poteri impliciti.
Affermando che le Nazioni Unite e la Comunità Europea avevano non solo i poteri esplicitati ma anche i poteri necessari per
raggiungere i poteri esplicitati (chiamati poteri impliciti).

Oggi tuttavia questa teoria non ha più avuto grande sostegno, tanto che ormai la dottrina è unanime a ritenere che i trattati istitutivi
delle organizzazioni internazionali sono trattati come TRATTATI e non come COSTITUZIONI.

Principio di attribuzione
Il principio afferma che gli organi delle organizzazione hanno solo i poteri stabiliti nel trattato istitutivo, non bisogna dare poteri
a chi non li detiene. Le corti hanno i poteri che gli sono stati attributi nei tratti istitutivi.

Sommariamente, bisognerebbe trovare una balanced tra la teoria dei poteri impliciti e il principio di attribuzione (cioè le corti hanno
i poteri che gli sono stati attribuiti ma possono ricorrere alla teoria dei poteri impliciti),

A chi aspetta interpretare i trattati?


I soggetti chiamati a interpretare il trattato sono gli stati (penso chiedi a qualcuno).
In Alcuni trattati è stabilito a chi spetta interpretare il tratto in caso di dubbio nel trattato stesso, ci puo essere clausola in cui in
“caso di dubbio interpretativo può essere risolta da persona x o istituzione y”. Se c’è la clausola che lo esplicita, ci sarà allora un
organo che risolverà eventuali controversie.

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L’INVALIDITÀ DEI TRATTATI (Cause di invalidità/vizi di volontà)

Un tratto invalido è un trattato che non è in grado di produrre effetti giuridici, le convenzioni di Vienna individua delle cause di
invalidità:

1. Violazione delle norme interne sulla competenza a stipulare (art 46).

“1. Il fatto che il consenso di uno Stato ad essere vincolato da un trattato sia stato espresso violando una disposizione del suo
diritto interno concernente la competenza a concludere trattati, non può essere invocato da tale Stato per infirmare il proprio
consenso, a meno che tale violazione non sia stata manifesta e non concerna una norma di importanza fondamentale del proprio
diritto interno.

2. Una violazione è manifesta quando essa appaia obiettivamente evidente ad ogni Stato che si comporti, in materia, in base alla
normale prassi ed in buona fede”.

L’articolo 46 afferma che la violazione di una norma interna, NON rende il trattato invalido a meno che la violazione sia manifesta
(es. italia conclude trattato con Francia se a presentarsi nel momento della firma è il questore di Parigi in quel caso è invalido->
“violazione della competenza interna” perché non spetta al questore di farlo (la violazione è manifesta, trattato NON valido).
È una situazione diversa se a concludere un trattato internazionale è ministro degli esteri, il che è legittimo pensare che possa
essere lui. Se l’ordinamento di quel paese sia stabilito che il competente a stabilire trattato internazionale sia il Capo dello Stato,
quel trattato firmato dal ministro degli esteri è una violazione della norma ma è lecito aspettarsi che sia il ministro di esteri ad avere
quella competenza, in questo caso la violazione NON è manifesta, trattato invalido).

Ci sono poi i TRE VIZI DI VOLONTÀ:

2. Errore (art 48)


Se il trattato si basa su un errore incolpato (di cui non ci si è accorti) il trattato è invalido.
Supponiamo che c’è trattato che delimita i confini tra due stati. I due stati dovranno avere sotto una cartina che se è sbagliata il
trattato si fonderà su un errore. Il Trattato è quindi invalido e non potrà produrre effetti giuridici.
Se lo stato ha contribuito a quell’errore, non possono invocare l errore come invalidità del trattato.

3. Dolo (arte. 49 e 50)


Una condotta fraudolenta, se ad esempio lo stato è stato corrotto.

4. Violenza (arte. 51 e 52)


Se lo stato firma trattato sotto minaccia, (ad esempio con pistola puntata) il trattato è invalido.

Trattati di pace

C’è chi ritiene che i tratti di pace siano invalidi/viziati. L’affermazione si fonda sul fatto che I trattati di pace sono tratti adottati
che pongono fine a una guerra, quindi c’è chi si pone in una situazione di forza e altri in una situazione di debolezza. È sono invalidi
perché c’è una sproporzione di forza tra coloro che firmano. Si controbatte dicendo che: è un dato di fatto che ci sono stati più forti
e più deboli, ma il fatto che sia più debole non è detto che sia stato costretto a firmare il trattato. Lo stato che ha perso la guerra ha
la libertà di non concludere il tratto, ma è nel suo interesse concluderlo.

Ultima causa di invalidità dei trattati:

• Contrarietà a norme imperative (art. 53)


Le norme imperative (Jus cogens- Il termine jus cogens,
fa riferimento al diritto internazionale consuetudinario
considerato imperativo)

Un trattato che è contrario alla norma di Jus cogens è un


trattato invalidi e che non può produrre effetti giuridici.

Lo jus cogens va insieme all’Opinium Iuris: non è solo


considerare i comportamenti come obbligatori ma come
IMPERATIVI.

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Conseguenze dell’invalidità: (guarda REGISTRAZIONE)

Ci sono cause di invalidità assoluta (artt. 51, 52 e 53) e relativa.

Le cause di invalidità assoluta sono quelle previste negli articoli 51,52 e 53 (violenza e contrarietà a norme imperative)

In caso di invalidità assoluta, l’inalidirà ha tre caratteristiche:

• indivisibilità (art. 44)


se anche una sola norma nel trattato è contraria a norme imperative o viziata per violenza, l’invalidità travolge tutto il tratto. Se
anche una sola norma è contraria a norme imperative, il vizio travolge tutto il trattato: quindi a non poter produrre effetti giuridici
non è solo quella norma li ma è tutto il trattato.

Per le cause di invalidità relativa non valgono i principi della indivisibilità perché quella che viene meno è la specifica norma
viziata e NON tutto il trattato.

• insanabilità (art. 45)


Una causa di invalidità assoluta è insanabile mentre una causa di invalidità relativa è sanabile.
È sanabile se la parte riconosce l’errore ma accetta comunque il trattato allora il trattato sarà valido (“lo so che è viziato da errore
ma lo considero comunque valido”).
È insanabile In presenza di un trattato vizioso, il trattato sarà sempre e comunque invalido non potrà essere sanato, anche se lo
stato lo accetta.

• invocabilità
Chi può invocare l’invalidità del trattato?
In caso della invalidità relativa a invocare il vizio della volontà è solo la parte vittima/lesa che è caduta in errore.
Nel caso di invalidità assoluta a poter invocare l’invalidità del trattato sono tutte le parti e non solo la parte lesa.

L’estinzione dei trattati

Estinzione e sospensione

Nel caso dell’estinzione è quando un trattato valido smette di produrre i suoi effetti giuridici. La sospensione è la cessazione degli
effetti temporanea (per un periodo di tempo), passato il periodo di tempo cont

Cause di estinzione riconducibili alla volontà delle parti:

• Termine finale: può essere che le parti nel concludere il trattato abbiano indicato la durata (data di scadenza) del trattato.
->comunità europea del carbone e dell’acciaio

• Condizione risolutiva: quando le parti nel testo del tratto indicano che il tratto si estinguerà quando si verificherà une
determinata circostanza.

• Denuncia o recesso: quando trattato prevede la possibilità nelle parti di uscire dal trattato (recedere/denunciare).
Ad esempio il trattato sull’unione europeo prevede la possibilità di recesso-> l’Inghilterra infatti è uscita

• Denuncia o recesso non esplicitati nel trattato (art 56):


1. se non è prevista esplicitamente la possibilità di
recedere, gli stati non se ne possono andare a meno che
questa possibilità la si deduca dal trattato. Può darsi che
gli stati dichiarino che anche se non è prevista
esplicitamente questa facoltà di recesso, le parti possano
comunque uscire anche se non lo esplicitano nel testo
questo perché le parti lo avevano dichiarato.
2. 12 mesi per avvertire l’intenzione di denunciare o
recedere.

La convenzione di Vienna è ampiamente rappresentativa del diritto internazionale consuetudinario.

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Altre cause di estinzione:

1. Contrarietà a norme imperative (art. 64)

Un trattato è valido, poi improvvisamente nasce una nuova norma imperativa che vede i trattati vecchi essere sono contrari alla
nuova norma. Allora il trattato si estinguerà.

2. Violazione del trattato (inadimplenti non est adimplendum) (art. 60):

Questa causa di estinzione si verifica se c’è una violazione SOSTANZIALE del trattato, se accade gli altri stati sono legittimati. Il
paragrafo tre ci dice quando siamo in presenza di una violazione sostanziale: quando lo stato recede dal trattato (senza che la
possibilità sia prevista) o nel caso in cui lo stato abbia violato una norma del trattato andando contro allo scopo del trattato.

Se il trattato è bilaterale (due stati), se uno se ne va senza che la possibilità sia prevista questa permette all’altro stato di non
applicare il trattato.

Se multilaterale (tra più stati) uno commette violazione sostanziale (se ne va dal trattato non potendolo fare), cosa accade? Tutti
gli altri stati possono mettersi d’accordo e decidere se sospendere o estinguere il trattato.

Es. Italia, Francia, Germania e Svizzera.


Francia commette la violazione del trattato, tra gli altri stati quello che è particolarmente colpito è Italia.
I tre stati potrebbero mettersi d’accordo per sospendere o estinguere il trattato, se non si mettono d’accordo, l’Italia ma solo
Italia potrà decidere di estinguere o sospendere il trattato nei rapporti tra Italia e Francia e rimarrà In vigore con Germania e
svizzera. Perché Italia è particolarmente colpito.

Se non si arriva ad un’accordo e c’è uno stato particolarmente colpito, questo potrà dichiarare il trattato sospeso o estinto se la
violazione da parte di uno stato ha conseguenze tali ??? Falla a caso

3. Impossibilita sopravvenuta di eseguire il trattato (ad impossibilia nemo tenetur) art 61:

Esempio se fiume si secca e non è più navigabile, allora il trattato sarà estinto perché è intervenuta una causa di estinzione.

Il fatto che sia intervenuto un mutamento fondamentale che ha portato una radicale modifica del trattato che non era
prevedibile nel momento si stipulazione del trattato.

4. Mutamento fondamentale delle circostanze (rebus sic stantibus) art 62:

Articolo 62 dice che il fatto che siano intervenuti mutamento fondamentale (mutamento che ha portato una radicale modifica
degli effetti del trattato) delle circostanze che erano imprevedibili non determinano l’estinzione del trattato a meno che non si
tratti di circostanze essenziali.

L’estinzione dei trattati

Ci si chiede se esistono altri motivi/cause di estinzione dei trattati. Un’altra causa di estinzione di trattati riguarda la guerra.
Che effetti ha la guerra sui trattati? Ad esempio due stati fanno trattati di pace, poi scoppia la guerra; che ne è di questi trattati di
pace che i due avevano concluso?

Sul tema c’è un progetto di articoli della commissione di diritto internazionale (organo delle nazioni unite che ha il compito di
mettere per iscritto le norme). All’inizio degli anni 2000 l’assemblea generale ha dato mandato alla commissione di diritto
internazionale di elaborare (codificare) un testo in materia di effetti della guerra sui trattati.

Nel 2011 ha messo per iscritto questo progetto di articoli (non si è trasformato in una convenzione), il progetto stabilisce due principi
importanti: vi sono dei trattati che sono compatibili con la guerra e trattati incompatibili con la guerra.

Quelli incompatibili sono quelli che sono destinati ad estinguersi (come i trattati di alleanza), quelli compatibili sono ad esempio i
trattati commerciali (che di solito vengono sospesi durante il conflitto)

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Deroghe ai trattati relativi ai diritti umani

Vi sono alcune convenzioni a tutela dei diritti umani le quali contengono una norma che prevede di SOSPENDERE (non applicare per
un certo periodo di tempo i diritti fondamentali riconosciuti in questi strumenti) -> vedi Patto internazionale dei diritti civili e
politici in cui ad esempio gli stati, in caso di pericolo pubblico eccezionale che minacciano l’esistenza della nazione (art4) non
riconoscono il diritto allo spostamento-> esempio: Guerre, terrorismo, COVID

Fino all’anno scorso gli stati che hanno ricorso a questa deroga sono stati quelli che avevano ricevuto una minaccia terroristica (es.
Francia che limita la libertà di espressione).

Conseguenze dell’estinzione (art 70)

Il fatto che un trattato si estingua, libera le parti dall’obbligo di continuare il trattato (il trattato viene meno). Il trattato al
verificarsi di una delle cause che abbiamo visto cessa di produrre effetti giuridici, se però nel frattempo sono stati compiuti atti in
esecuzione di quel trattato: allora quegli atti sono validi (quello che è accaduto prima è tutto valido).

Conseguenze della sospensione (art.72)

Si verifica una sospensione quindi gli stati sono liberi e non devono applicare quel trattato durante il rapporto, il trattato viene
sospeso in quel determinato momento; tutti gli atti prima rimangono validi.

Conseguenze dell’invalidità (art. 69)

Può capitare che un trattato invalido produca per un po’ di tempo gli effetti giuridici (ad esempio un trattato basato su un errore,
finche le parti non si accorgono che c’e stato quell’errore il trattato produrrà i suoi effetti).

Se si sono prodotti degli effetti “in buona fede”, quegli atti sono atti validi.

Violazione di una norma imperativa (art.71)

In caso di contrarietà ad una nuova norma imperativa, il trattato si estinguerà se però il trattato aveva prodotto effetti giuridici, essi
rimangono validi a meno che quegli atti compiuti precedentemente possono avere comunque degli effetti contrari rispetto alla
norma imperativa.

Procedura per far valere l’invalidità, l’estinzione e la sospensione (art. 65-68)

Cosa deve fare lo stato nel momento in cui deve far valere la sospensione?
Gran parte della dottrina ritiene che questi articoli non siano rappresentativi del diritto internazionale consuetudinario.

1. Deve notificare alle altri parti (altri stati) di voler cessare il trattato motivandola

2. Se entro tre mesi dal momento in cui è stata depositata, nessuno risponde allora l’invalidità produrrà i suoi effetti giuridici (se
nessuno si è opposto).

3. Se qualcuno obbietta e contesta la presa di posizione dello stato, allora gli stati dovranno accordarsi tramite i mezzi diplomatici
per accordarsi.

4. Se dopo 12 mesi dal momento in cui è stata attivata la mediazione non si è arrivati ad una conclusione, ci si può rivolgere alla
corte internazionale di giustizia.

5. Ci si può rivolgere alla corte istituzionale di giustizia solo se il problema è una norma imperativa, se invece il conflitto delle parti
riguarda un’altra causa di invalidità (dolo, errore o violenza) allora non si va alla corte di giustizia ma si ricorre alla procedura
della CONCILIAZIONE (rivolgendosi al segretario generale delle Nazioni Unite).

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SUCCESSIONE TRA STATI NEI TRATTATI

Cosa accade ai trattati quando all’interno dello stato si verifica un mutamento di sovranità (ad esempio la secessione o lo
smembramento). I trattati si trasmettano al nuovo stato o no?

• Convenzione di Vienna sulla successione tra Stati nei trattati (1978).


la convenzione è stata ratificata solo da 22 stati, a differenza di quella di Vienna sul diritto dei trattati questa non è
particolarmente rappresentativa del diritto internazionale consuetudinario e applica solo ai 22 stati che l’anno ratificata (italia non
è uno di questi).

• Convenzione di Vienna sulla successione tra stati materia di beni, archivi e debiti di Stato (1983).
anche questo non codifica il diritto internazionale consuetudinario, questa convenzione a differenza NON è ancora entrata in
vigore.

I mutamenti di sovranità che pongono un problema in mutamenti di successione sono quattro:

1. Distacco o secessione, cioè quando una parte del territorio viene ceduta ad un altro stato (es. Alaska che era territorio
dell’unione sovietica che è stata ceduta agli stati uniti); la secessione è invece quando su una parte di territorio si crea un nuovo
stato che effettua una secessione (es. Catalonia, che se dovesse decidere di diventare indipendente si staccherebbe e si
creerebbe un nuovo stato o Unione sovietica).

2. Smembramento, è quando uno stato cessa di esistere e sul suo territorio nascono due o più stati (es. Iugoslavia che ha cessato di
esistere e sono nati nuovi stati; o la Cecoslovacchia che negli anni’90 si è divisa in repubblica ceca e Slovacchia; per il caso
dell’Unione Sovietica non è considerato smembramento perché vi è uno stato: la Russia che ha proseguito sul solco dello stato
predecessore).

3. Incorporazione o annessione, in questo caso uno Stato cessa d’esistere e entra a far parte di un altro stato (es. Germania
dell’est che ha cessato di esistere ed è stata incorporata nella Germania dell’Ovest).

4. Fusione, si verifica quando due o più stati cessano di esistere e nasce un nuovo stato (es. Yemen del Nord e del Sud si sono fusi).

Tutte quattro le ipotesi pongono un problema riguardo ai trattati conclusi precedentemente: vengono trasmessi o no? Dipende,
esistono due tipi di trattati:

• Trattati localizzabili, sono i trattati che riguardano l’uso del territorio (es. trattato sulla libera navigazione di un fiume/ o i
trattati sul diritto di passaggio). Questi tipi di trattati si trasmettano e si applica la regola della continuità.

Sulla successione degli stati nei trattati della convenzione di Vienna coincide e corrisponde con il diritto internazionale
consuetudinario. Sono considerati trattati localizzabili i trattati che delimitano le frontiere perché sono considerati localizzabili.

• Trattati NON localizzabili: trattati localizzabili di natura politica NON si trasmettono (es. trattati con i quali gli stati concedono
l’uso di una parte del territorio per le basi militari). Sono di natura politica perché se questa possibilità viene concessa ad uno
stato piuttosto che un altro c’è una ragione politica di fondo.

Ai sensi del diritto internazionale consuetudinario si applica la regola base per i trattati non localizzabili è quella della Tabula
rasa, cioè della NON continuità.

Nel caso di distacco o secessione, per il diritto convenzionale consuetudinario si applica la regola della tabula rasa (i trattati
conclusi precedentemente non si applicano). La convenzione di Vienna (ricordiamo solo 22 stati l’hanno firmato) però dice il
contrario, in questo caso si deve applicare il principio di continuità tranne per le ipotesi di decolonizzazione (per questi si applica
la regola della tabula rasa).
Nel caso di smembramento, per il diritto convenzionale consuetudinario si applica il principio della tabula rasa. La convenzione
di Vienna si applica il principio della continuità.
Nel caso di incorporazione, per il diritto convenzionale consuetudinario si applica il principio della tabula rasa. Per la
convenzione di Vienna, si applica il principio della continuità.
Nel caso di fusione, per il diritto convenzionale consuetudinario si applica il principio della tabula rasa. La convenzione di
Vienna si applica il principio della continuità.

Nel caso dello smembramento/secessione/annessione etc.. (es. ex Iugoslavia) si applica il diritto convenzionale consuetudinario si
applica la regola della tabula rasa, è previsto però una disciplina di favore.
Se questi stati nati dallo smembramento vogliono prendere parte ai trattai conclusi dallo stato predecessore, se si tratta di trattati
multilaterali aperti, lo possono fare informando gli altri stati della loro volontà di partecipare al trattato.
In questo caso il trattato entrerà in vigore per quello stato con effetto retroattivo (nel momento in cui lo stato ottiene
l’indipendenza). È vero che si applica la regola della tabula rasa ma si applica questa eccezione per gli stati nuovi.

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Il discorso è simile ma in parte diverso per membership per la partecipazione alle organizzazioni internazionali ad esempio se la
Catalonia oggi ottiene l’indipendenza si applica la regola della tabula rasa per i trattati e per la partecipazione alle organizzazioni
internazionali (non sarà uno stato membro dell’unione europea o delle nazioni unite).

Per quanto concerne i trattati sui diritti umani erano trattati come tutti gli altri trattati: non localizzabili, c’è chi invece dice che
non si applicherebbe la regola della tabula rasa.

Mutamento radicale di governo

Fino ad adesso abbiamo parlato di situazioni in mutamento di sovranità, diverso è per il mutamento radicale di governo (ad
esempio se si passa da un regime all’altro, esempio da dittatura a democrazia o viceversa).

La situazione di mutamento radicale di governo non pongono un problema riguardo alla successione dei trattati perché i trattai
conclusi precedentemente rimango validi. Tranne per quanto riguarda io trattati di natura politica strettamente legati al regime pre-
esistente (ad esempio stato dittatoriale che fa alleanza con altra dittatura non si trasmette, perché si tratta di trattati di alleanza
strettamente legato al regime pre-esistente e ci sta che se nasce una democrazia quella democrazia non segue quel trattato).

Convenzione di Vienna sulla successione tra stati materia di beni, archivi e debiti di Stato

La convenzione di Vienna del 1983 non è entrata in vigore.

• Per quanto riguarda i beni di Stato (beni mobili e imo ili) è prevista la regola della continuità -> i beni di uno stato si trasmettono
al nuovo stato.

• Per gli archivi di stato è prevista la regola della continuità

• Per quanto riguarda i debiti di stato la situazione è diversa.


Per i debiti il diritto internazionale consuetudinario prevede una RIPARTIZIONE dei debiti (es. catalogna dovesse rendersi
indipendente, dovrebbe negoziare una ripartizione del debito spagnolo).

Come abbiamo già detto le fonti internazionali hanno tre fonti:

• Fonti di primo grado: diritto internazionale consuetudinario (unico diritto internazionale che si applica a tutti gli stati).

• Fonti di secondo grado: trattati (si dicono di secondo grado perché poggiano su una norma del diritto internazionale
consuetudinario).

• Fonti di terzo grado: gli atti delle organizzazioni internazionali

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FONTI DI TERZO GRADO: gli atti vincolanti delle organizzazioni internazionali

Sono poche le organizzazioni internazionali che possano adottare organi vincolanti: nella maggior parte dei casi adottano atti NON
vincolanti ma RACCOMANDATORI (dichiarazioni, risoluzioni, pareri etc..) in cui si invita a tenere un certo tipo di comportamento, ma
NON sono vincolanti.

Laddove un’organo possa dottare atti vincolanti, sono fonti di terzo grado del diritto internazionale consuetudinario (es. coniglio di
sicurezza delle nazioni unite è l’organo per eccellenza che può adottare atti vincolanti, quando lo fa questi atti devono essere
rispettosi della carta delle nazioni unite perché sono FONTI SUBORDINATE).
Le fonti di terzo grado sono SUBORDINATE al trattato istitutivo dell’organizzazione internazionale che riconosce la possibilità di
adottare l’atto vincolante.

Ad eccezione dell’UE, per gli atti vincolanti non c’è normalmente un organo competente a sindacare l’eventuale legittimità di
questi atti: se il consiglio di sicurezza dovesse adottare un atto andando di la dai suoi poteri? Non c’è nell’ambito delle nazioni
unite un organo capace di decidere se quell’atto è legittimo o no.

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ORGANI DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALE CHE POSSONO ADOTTARE ATTI VINCOLANTI

LE NAZIONI UNITE

• Assemblea generale: non può adottare atti vincolanti ma può adottare atti raccomandatori; l’unica eccezione è l’approvazione del
bilancio. Quando l’assemblea generale approva il bilancio: esso è un atto vincolante.

• Consiglio di sicurezza: organo che per eccellenza può adottare atti vincolanti. E può adottarli in due situazioni diverse:

La prima sono le misure volte a imporrare il rispetto delle sentenze della CIG (corte internazionale di giustizia- art.94).
Cosa accade se uno stato non rispetta la sentenza della CIG? La carta delle nazioni unite ha riconosciuto al consiglio di sicurezza la
possibilità di adottare misure per indurre lo stato a rispettare la sentenza.

La seconda sono le misure non implicanti l’uso della forza (art. 41) e misure implicanti l’uso della forza (art.42). Il monopolio
dell’uso della forza spetta al consiglio di sicurezza e spetta a lui la decisione di adottare atti non vincolanti rispetto all’uso della
forza.

ISTITUTI SPECIALIZZATI DELL’ONU

Ci sono casi in cui le organizzazioni internazionali non possono imporre atti vincolanti ma si sono creati situazioni volti a INDURRE gli
stati a vincolarsi al rispetto degli atti emessi dalle istituzioni. (Adottando delle vie di mezzo, che non sono atti vincolanti ma che lo
diventano a meno che lo stato si opponga).

• Organizzazione mondale della sanità (OMS):

L’organizzazione può adottare dei PROGETTI DI CONVENZIONI (come fa il consiglio d’Europa).


L’OMS studia un possibile testo di una convenzione che lo sottopone allo studio degli stati (e non potrebbe imporre agli stati la
ratifica della convenzione), se il progetto di convenzione passa con i 2/3 dei voti degli stati membri, accade che gli stati membri
hanno l’obbligo non di ratificare ma di attivare la procedura nazionale di ratifica (entro 18 mesi dall’approvazione
dell’assemblea). Obbligo di attivarla ma non è l’obbligo di concluderla (se non la concludono devono spiegare perché non si è
conclusa).

L’organizzazione può inoltre adottare dei REGOLAMENTI che se passano con la maggioranza semplice (50%+1) si impongono agli
stati eccetto per quegli stati che li rigettano. -> se lo stato non lo rigetta allora l’atto si impone

• Organizzazione internazionale del lavoro (organizzazione che adotta atti in materia di lavoro):

L’organizzazione adotta dei PROGETTI DI CONVENZIONI. In questo caso l’organizzazione internazionale del lavoro predispone
questi progetti, li sottopone all’attenzione degli stati e questi entro un’anno hanno l’obbligo di attivare le procedure interne volte
a ratificare il trattato, salvo però la possibilità di non ratificare (come per l’ONU)- e nel caso non lo ratificassero ha l’obbligo di
spiegare perché non l’hanno ratificato.

Le convenzioni non sono di per se vincolanti ma vincolano lo stato ad attivarsi.

• Organizzazione dell’aviazione civile internazionale (ICAO)

Per quanto riguarda gli STANDARD INTERNAZIONALI, l’organizzazione ha la possibilità di adottare questi atti ma se lo stato non si
adatta, ne deve dare comunicazione rischiando di non poter ricevere aerei o far volare aerei.

Può adottare anche degli ANNESSI, l’annesso passa se viene adottato dai 2/3 dall’organo assembleare; gli stati hanno però la
possibilità di respingere l’annesso a maggioranza semplice (non è di fatto tecnicamente possibile perché se tutti votano a favore, di
fatto l’annesso diventerà vincolante, è quindi improbabile che rigettino l’annesso):

• Unione internazionale delle telecomunicazioni (ITU)

L’organizzazione ha adottato dei REGOLAMENTI (1988), che possono essere oggetti di revisione e nel momento in cui vengono
revisionati passa se c’è la maggioranza semplice (50%+1) e saranno poi vincolanti. Se solo uno stato si oppone, la revisione del
regolamento entra in vigore per tutti gli stati tranne per quello che si è opposto.

11
ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

Ci sono altre organizzazioni internazionali che hanno la possibilità di adottare atti vincolanti:

• Unione Europea

L’unione europea adotta atti vincolanti che si impongono a tutti gli stati membri dell’unione europea.

• Organizzazione mondiale del commercio (WTO- OMC)


che formalmente non possono adottare atti vincolanti ma trovano dei mezzi con cui attivarli. Possono adottare:

DECISIONI INTERPRETATIVE, che sono atti che possono essere adottata dagli organi che comprendono tutti gli stati membri. Sono
decisioni che vanno a interpretare i trattati che l’organizzazione del commercio si occupa.
Le decisioni interpretative passano se sono votate dai 3/4 degli stati. Se passa si impone a tutti gli stati anche a chi non ha votato
e a chi ha votato contro-> nessun altra organizzazione internazionale ha la possibilità di adottare atti vincolanti per tutti gli stati
membri in materia di interpretazione dei trattati (nessun organo internazionale ha un organo competente per l’interpretazione dei
trattati).

DECISIONI DISPENSATORE, sono decisioni volte a dispensare alcuni stati da alcuni obblighi (se lo stato sta affrontando difficoltà
finanziarie). Quindi autorizzare lo stato per un certo periodo di tempo agli obblighi del trattato. La decisione deve però essere
adottata con la maggioranza dei 3/4.

• Organizzazione dell’atlantico del nord (NATO):

permette agli stati membri di adottare ATTI ESECUTIVI all’unanimità. È vero che se sono vincolanti ma sono adottati all’unanimità
non a maggioranza, se uno stato vota a favore vuol dire che vuole effettivamente dare seguito.

RAPPORTI TRA LE FONTI INTERNAZIONALI

Conflitti tra fonti del medesimo tipo.


Avviene quando abbiamo un trattato precedente e uno successivo che configgono (quale dovrebbe prevalere?), si applicano due
principi:

- Lex posterior derogat priori, la legge successiva prevale su quella più vecchia; a meno che la legge o il trattato più nuovo siano
SPECIALIS.

- Lex specialis derogat generalis, lex specialis si intende da un punto di vista materiale: se c’è una legge più generale e una più
specifica prevale la legge più specifica.

Ad esempio se abbiamo due trattati che confliggono, si applica il trattato più nuovo a meno che quello più nuovo sia speciale rispetto
a quello più vecchio (speciale dal punto di vista della materia).
Se c’è un trattato concluso tra 10 stati e un gruppo ristretto di stati? Quale dei due prevale: prevale la LEX SPECIALIS, quindi quella
del gruppo più stretta di stati: più specifico, anche se è anteriore rispetto al trattato più generale.

Conflitti tra fonti di tipo diverso:

- In caso di contrasto tra una consuetudine e un trattato prevale, ad eccezione dello IUS COGENS (norme imperative), il trattato
perché è considerato Lex specialis mentre il diritto internazionale consuetudinario è considerato lex generalis.

- In caso di contrasto tra principi generali del diritto e trattati: prevalgono i trattati perché la dottrina maggioritaria ritiene che i
principi generali di diritto facciano parte del diritto internazionale consuetudinario.

- In caso di contrasto tra un trattato e un atto delle organizzazioni internazionali, prevale il trattato istitutivo perché gli atti delle
organizzazioni internazionali sono subordinati al trattato istitutivo.

12
ALTRE FONTI?

Come già detto, non c’è una norma del


diritto internazionale che dica quali sono le
fonti del diritto internazionale. C’è però
una norma dalla quale si parte perché
individua alcune delle fonti del diritto
internazionale ed è l’articolo 38.

Esso stabilisce a quali fonti la corte


internazionale di giustizia deve ricorrere nel
momento in cui deve risolvere una
controversia tra stati. Essa applica:

• I trattati - fonti

• Le consuetudini - fonti

• I principi generali di diritto -fonti

• Le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati - NO FONTI


La dottrina si è chiesta se le sentenze dei giudici internazionali (decisioni giudiziarie) siano fonti del diritto internazionale e dice
che non lo sono, sono solo dei mezzi SUSSIDIARI.

Le decisioni giudiziarie non sono fonti del diritto internazionale ma nei paesi di common law lo sono, le sentenze dei giudici
contengono delle norme: cioè la sentenza può creare una norma. Nei paesi come il nostro le sentenze sono vincolati per le parti in
causa e non per altri soggetti, NON sono applicabili a tutti.

Anche la dottrina degli autori più qualificarti è solo un mezzo sussidiario. Non sono fonti

Il secondo paragrafo del capitolo uno presenta il principio di equità: Ex aequo et bono. Il principio dell’equità significa che il
giudice non applica una norma ma risolve la controversia secondo il suo senso di giustizia qualora le parti siano d’accordo. (è
rarissimo che accada)- NO FONTE

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RECEPIMENTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE DA PARTE DEL DIRITTO INTERNO

Perché una norma del diritto internazionale venga applicata all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, occorre che la norma
venga recepita (fatta entrare nell’ordinamento italiano). Se no quel trattato ratificato che vale come norma internazionale non
varrebbe come norma nazionale.

Perché il trattato ratificato che vale sul piano internazionale valga anche sul piano nazionale occorre che la convenzione venga
fatta entrare nell’ordinamento giuridico italiano.

IL RECEPIMENTO IN GENERALE

Ogni stato ha delle proprie regole in materia di recepimento/adattamento.


In generale (parlando di tutti gli stati) esistono due modalità di recepimento:

• Ordinario
C’è un’autorità competente a livello nazionale che adotta un atto che riformula (riscrive nella lingua di quel paese) la norma del
diritto internazionale consuetudinario che si intende recepire.

• Speciale o mediante rinvio, che consta di due modalità:

- Nel rinvio automatico e permanente ci sarà una norma generale a livello nazionale che dice che ogni qual volta lo stato ratifichi
un trattato internazionale questo entra automaticamente all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale.

- Nel rinvio ad hoc a differenza di quello precedente, il testo non viene riscritto ma si dirà semplicemente che lo stato recepisce
quella determinata convenzione (e si rimanda a quella convenzione senza riformularla).

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IL RECEPIMENTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE CONSUETUDINARIO (prima fonte)
Come il diritto italiano recepisce il diritto internazionale?

RICORDIAMO: il diritto internazionale consuetudinario è il diritto NON scritto che si applica a tutti gli stati e consta di due
elementi: prassi e opinion iuris.

Art. 10 comma 1- Costituzione Italiana:

“L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”.

L’articolo 10 della costituzione recepisce il diritto internazionale consuetudinario lo recepisce attraverso il RINVIO AUTOMATICO E
PERMANENTE. I costituenti hanno scelto di recepirlo mediante il procedimento del rinvio automatica e permanente (viene
automaticamente recepito e non bisogna fare nessun atto).

Per effetto dell’articolo 10, si parla quindi di DIRETTA APPLICABILITÀ e GIUSTIZIABILITÀ del diritto internazionale consuetudinario.
Si pone il problema del “quale è il rango del diritto internazionale consuetudinario nel nostro ordinamento giuridico nazionale?
Nella gerarchia delle fonti italiane, dove si colloca?”.

Le fonti dell’ordinamento giuridico italiano sono:

• Fonti di primo grado: costituzione e le leggi costituzionali

• Fonti di secondo grado: leggi e atti aventi forza di legge

• Fonti di terzo grado: regolamenti

• Fonti di quarto grado: diritto consuetudinario

Il diritto internazionale consuetudinario entra automaticamente, ma dove si colloca quando entra? Essendoci una subordinazione
gerarchia delle fonti. Siccome il diritto internazionale consuetudinario è recepito in virtù di una norma costituzionale (articolo 10),
esso si colloca a livello della costituzione.
In caso di eventuale conflitto tra una legge e il diritto internazionale consuetudinario, prevale il diritto internazionale
consuetudinario e questo perché si colloca a livello della costituzione.

Questo comporta che se un giudice nazionale dovesse sospettare che una norma del diritto internazionale consuetudinario configge
con una norma ordinaria, il giudice deve rivolgersi alla corte costituzionale.

Cosa accade se il conflitto non è con una norma subordinata ma con una norma di pari livello (es. se il diritto internazionale
configge con una norma costituzionale)?
La costituzione non affronta questo tipo di problema (non c’è un testo normativo che ci dice come si risolve questo problema) ma ci
sono delle sentenze della corte costituzionale.

C’è stato che la Corte Costituzionale abbia affrontato il problema di conflitto tra una legge costituzionale e una legge del diritto
internazionale:

• Corte cost., sentenza n. 48 del 1979 (sentenza Russel).


La sentenza riguardava l’immunità degli agenti diplomatici (gli agenti diplomatici mandati in altri paesi sono esonerati dalla
giurisdizione e non possono essere sottoposti a processo)-> questo principio è sancito in una convenzione ma è anche una norma del
diritto internazionale consuetudinario.

La norma del diritto internazionale consuetudinario entra in conflitto con l’articolo 24 della Costituzione Italiana:

“Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e
grado del procedimento”.

L’articolo riconosce il diritto di ogni individuo a rivolgersi a un giudice.


Il principio dell’immunità contrasta con il diritto di rivolgersi un giudice, perché se l’agente diplomatico gode di immunità significa
che se io sono vittima di un’azione da parte di un agente diplomatico io non posso rivolgermi a un giudice.

La sentenza Russel si trova a risolvere questa questione: per risolvere il conflitto la corte cost. Dice che bisogna applicare il
CRITERIO TEMPORALE (quale delle due norme è nata prima: la norma del diritto internazionale consuetudinario o la nostra
costituzione?).

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Se ci troviamo in presenza di una dorma del diritto internazionale consuetudinario ANTECEDENTE alla nostra costituzione: prevale
sempre la norma del diritto internazionale consuetudinario.
Se invece lo scontro è tra una norma che è nata DOPO l’emanazione della nostra costituzione, continua a prevalere il diritto
internazionale consuetudinario a meno che lo scontro sia con un principio fondamentale della nostra costituzione. -> tra il
principio di immunità degli agenti diplomatici e l’art. 24 PREVALE IL PRINCIPIO DELL’IMMUNITÀ

*La corte abbandonerà l’aspetto TEMPORALE per le sentenze.

• Corte cost., sentenza n. 238 del 2014

Alcuni cittadini italiani hanno iniziato a rivolgersi al tribunale di Firenze citando in giudizio la Germania (cittadini sopravvissuti ai
crimini commessi dai militari tedeschi). Il tribunale di Firenze ha accettato di esaminare i ricorsi e condanna la Germania per
crimini di guerra e crimini di umanità, condannandola a pagamento di somme di denaro a queste persone sopravvissute.

La Germania ha fatto valere il principio che c’è nel diritto internazionale consuetudinario di immunità degli stati (gli stati non
possono essere sottoposti a processo), facendo nascere una controversia tra Italia e Germania che finisce davanti alla corte
internazionale di giustizia. (l’Italia dirà che c’è un eccezione alla norma di immunità: ammette la possibilità di sottoporre a
processo uno stato se commette crimini all’umanità).

La corte internazionale rimette questa giustizia (nel 2012): l’eccezione fatta valere dal’Italia non esiste, dando ragione alla
Germania.
Allora i giudici di Firenze si rivolgono alla corte costituzionale Italiana, lamentando il fatto che il principio di immunità contrasta
con l’articolo 24 della costituzione.

La cort. Costituzionale si trova a dover capire cosa deve prevalere? La norma del diritto internazionale consuetudinario o la
costituzione?
La corte costituzionale, nella sentenza del 2014, dice che in caso di conflitto delle norme prevale il diritto internazionale
consuetudinario a meno che lo scontro sia con un principio fondamentale della nostra costituzione, aggiungendo che l’articolo
24 è un principio fondamentale.
Tutto ciò a comportato che i giudici di Firenze hanno ripreso i casi sottoposti che continuarono a condannare la Germania.

A fronte del fatto che la Germania non voleva pagare, i giudici di Firenze hanno disposto il pignoramento di Villa Bigoni (proprietà
dello stato tedesco sul lago di Como). Il governo italiano adotterà un provvedimento che impediva l’adozione da parte dei giudici
di pignoramento dei beni di stati stranieri presenti in Italia.

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IL RECEPIMENTO DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PATTIZIO (seconda fonte)

Come si recepiscono i trattai internazionali che l’Italia ha


ratificato?

Qui non troviamo nessuna norma della costituzione che dice come
si recepiscono i trattati nazionali e non c’è un atto normativo che
dice come devono venire recepiti.

L’Italia dopo avere ratificato un tratto internazionale, lo recepisce


attraverso due procedimenti:

• Procedimento ordinario:
Il parlamento adotta una legge che recepisce il tratto
internazionale, riformulando il testo del trattato nella legge.
Da quel momento in poi il trattato potrà essere applicato per
effetto della legge ordinaria. -> IL TRATTATO VIENE RISCRITTO

• Procedimento speciale o mediante rinvio:


il parlamento adotta una legge con la quale rinvia il trattato, nella legge ci sarà un “ordine di esecuzione” (che inizierà con “è
data piena esecuzione alla convenzione conclusa..”). in questo caso non viene riscritto il testo del trattato ma si rinvia. -> IL
TRATTATO NON VIENE RISCRITTO

- Norme non self-executing:


in alcuni casi non si può utilizzare il processo speciale di fronte alle norme NON SELF-EXECUTING e bisogna per forza ricorre
al procedimento ordinario.

Le norme non self-executing sono quelle norme che lasciano delle facoltà e un margine di discrezionalità agli stati (es.
convenzione Strasburgo sull’adozione dei minori: stabilisce chi ha titolo per adottare i minori e stabilisce che gli stati possono
decidere se il diritto di adottare i minori è solo alle coppie sposate, solo alle coppie o anche ai single.
La norma non self-executing lascia agli stati una scelta e lo stato non può semplicemente rinviare al testo del trattato, perché
nel momento in cui recepisce quella convenzione deve dire quale delle tre strade segue (Italia scelse il diritto all’adozione
solo alle coppie sposate).

Un’altra norma non self-executing sono le NORME INCOMPLETE (es. norma sulla discriminazione razziale, l’art.4 stabilisce che
gli stati hanno obbligo di punire penalmente coloro che fanno incitamento di odio razziale. La norma NON stabilisce quale pena
deve essere applicata e nell’ordinamento Italiano bisogna prevedere una pena massima e una minima. l’Italia ha dovuto seguire
il procedimento ordinario perché ha dovuto indicare la pena minima e massima per questo tipo di reato).

Altro esempio di norma non self-executing sono le norme che PREVEDONO L’ISTITUZIONE DI ORGANI che quello stato non ha
(es. convenzione di Merida degli stati uniti contro la corruzione, l’Italia quando a recepito la norma ha dovuto creare l’organo
per prevenire e contrastare la corruzione: ANAC).

NON CONFONDERSI LA PROCEDURA DI RATIFICA con il RECEPIMENTO. La prima è l’atto mediante il quale lo stato si impegna a
applicare il trattato sul piano nazionale (potere di ratifica è in mano al Capo dello Stato, che viene autorizzato dal Parlamento). Qua
stiamo parlando del recepimento: di quando e come debba entrare nel nostro ordinamento.
A volte accade che il parlamento invece di fare due diverse leggi: la legge di autorizzazione prima e la legge che recepisce il
trattato; il parlamento adotta un’ unica legge che da il potere al presidente della repubblica di firmarlo e allo stato italiano di
recepirlo.

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Rango del diritto internazionale pattizio nel diritto interno

Una volta che il trattato è stato recepito (o con il procedimento speciale o procedimento ordinario), dove si colloca nella gerarchia
delle fonti italiane? Nelle fonti di primo, secondo o terzo grado?
Se prima il diritto internazionale consuetudinario era allo stesso livello della Costituzione, essendo stato recepito da essa, ora sarà
alla pari delle leggi ordinarie.

Rapporto tra diritto internazionale pattizio e Costituzione

In caso di contrasto tra il trattato e la costituzione, prevale LA COSTITUZIONE (art.117, comma 1, Costituzione Italiana)

“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

Nel momento in cui lo Stato esercita la potestà legislativa, deve essere fatta nel rispetto della costituzione e dagli obblighi
internazionali -> da ciò si desume che in caso di conflitto PREVALE IL TRATTATO. Si desume che i trattati internazionali siano norme
anteposte tra la costituzione e le leggi ordinarie.

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IL RECEPIMENTO DEGLLI ATTI DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI (terza fonte)

Come vengono recepite dall’ordinamento giuridico italiano le


fonti di terzo grado, quindi gli atti delle O. I. ?

Non c’è una norma a livello italiano che stabilisce come vengono
recepiti gli atti vincolanti delle O.i. Vediamo quindi la prassi:

• Procedimento ordinario
Finora le autorità Italiane hanno recepito gli atti vincolanti
delle O.i. attraverso l’adozione del procedimento ordinario.
Mediante l’adozione di un provvedimento (di solito una legge,
decreto legislativo o regolamento amministrativo).

Perché a volte si è scelto di recepire l’atto attraverso una legge, altre volte attraverso decreto legislativo e altre volte attraverso
un regolamento amministrativo? Non c’è una risposta, a seconda di chi governava il paesi in quel momento sceglieva, e nessuno di
questi tre modalità è sbagliata perché non c’è una regola a livello nazionale che lo stabilisce.

In passato c’è chi ha criticato la modalità di procedere, in molti ritenevano non ci fosse bisogno di adottare un atto volto a
recepire gli atti vincolanti delle O.i. perché ritenevano che il recepimento deve essere già insito nel fatto che lo stato ha
ratificato il trattato interazione. Lo stato aderendo a quel trattato, ha già dato il suo consenso.

Dove si colloca l’ atto vincolanti nel diritto interno?

- Se viene recepito attraverso decreto si colloca sul piano delle leggi ordinarie.

- Se viene recepito attraverso un regolamento amministrativo, l’atto si trovava a livello di regolamento amministrativo (livello
inferiore rispetto alle leggi ordinarie).

In caso di contrasto tra l’atto e le fonti dell’ordinamento giuridico italiano come ci dobbiamo regolare?
Se l’atto internazionale è stato recepito come regolamento e contrasta con legge ordinaria, prevale la legge ordinaria.
Se invece viene recepito come legge ordinaria e c’è un contrasto tra atto vincolante recepito e legge ordinaria italiana si applica
l’articolo 117 della costituzione, comma 1 (nel concetto di obblighi internazionali, quest’ultimi prevalgono).

L’articolo 117 c’è da una ventina d’anni, però anche prima in caso di contrasto si diceva che prevalevano gli obblighi internazionali.
La prassi, oggi, è quella che quando il consiglio di sicurezza adotta un’atto vincolante è l’UE che recepisce l’atto vincolante e lo fa
adottando un REGOLAMENTO. l’UE non ha l’obbligo di farlo ma da una quindicina di anni si è generata questa prassi: i regolamenti
sono atti che si applicano immediatamente negli atti giuridici nazionali.

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LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE INTERNAZIONALI
Quando sorge una controversia internazionale non è cosi facile come
risolvere una controversia nazionale. Non sempre c’è un giudice al
quale ci si può rivolgere. E nel corso dei decenni sono nati delle corti
internazionali in grado di risolvere controversie tra stati e individui
(es. corte Europea dei diritti dell’uomo). Esistono poi organi di
risoluzione delle controversie tra stati e aziende.
Non sempre però c’è la corte o il giudice competente, anche perché
che una corte internazionale possa risolvere una controversia deve
esserci sempre il consenso i entrambi i soggetti, se uno dei due non
vuole risolvere il giudice non può risolverla.

CARTA DELLE NAZIONI UNITE

• Art 2, par. 3, della Carta delle Nazioni Unite: soluzione pacifica delle controversie:

"I Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza
internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo”.

Viene affermato il principio secondo cui i contrasti internazionali devono essere risolti con MEZZI PACIFICI (non era scontato che non
ci fosse la guerra). Ci sono due tipi di mezzi pacifici di risoluzione delle controversie internazionali: mezzi diplomatici e
giurisdizionali. L’articolo 33 elenca quali sono i mezzi diplomatici e quelli giurisdizionali:

“Le parti di una controversia, la cui continuazione sia suscettibile di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale, devono, anzitutto, perseguirne una soluzione mediante negoziati, inchiesta, mediazione, conciliazione,
arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni od accordi regionali, od altri mezzi pacifici di loro scelta”.

- I mezzi giurisdizionali sono: l’arbitrato e il regolamento giudiziale;

- i mezzi diplomatici sono: negoziati, inchiesta e mediazione, buoni uffizi, conciliazione e conciliazione obbligatoria

I MEZZI DIPLOMATICI (indicati nell’articolo 31)

• Negoziati, negoziati che le parti di una controversia conducono al fine di arrivare ad un accordo per risolvere la controversia. Le
parti della controversia NEGOZIANO: conducono un negoziato volto a risolvere la controversia.

• Buoni uffici, in cui c’è l’intervento di un terzo (di solito l’organo di vertice di uno stato). Il soggetto terzo INVITA le parti a
svolgere il negoziato volto all’adozione di un accordo che ponga fine alla controversia internazionale.

• Mediazione, c’è anche qui un intervento di un terzo il quale non si limita ad INVITARE le parti (come accade ai buoni uffici) ma
INTERVIENE insieme alle parti nella fase della negoziazione (ha un ruolo attivo).—> negoziato a tre

• Inchiesta, un gruppo di esperti ai quali le parti affidano il compito di ricostruire i fatti. La commissione non propone una
risoluzione, ma c’è solo un soggetto terzo che effettua e accerta i fatti. —> la commissione di inchiesta solo se entrambi le parti
sono d’accordo e l’atto che viene prodotto NON è vincolante (uno delle due parti può contestarlo)

• Conciliazione, viene nominata una commissione (gruppo di esperti) i quali non si limitano ad accertare i fatti (come la
commissione d’inchiesta) ma verrà anche attribuito il compito di RISOLVERE la controversia dal punto di vista giuridico (al termine
del suo lavoro, non solo da ricostruzione dei fatti ma proporrà anche una soluzione giuridica indicano le norme da vedere). —>
NESSUNO DEI MEZZI DIPLOMATICI è VINCOLANTE, vuol dire che loro danno un consiglio ma non produce norma.

• Conciliazione obbligatoria, è come la conciliazione ma con la differenza che è sufficiente che una delle due parti voglia attivare il
meccanismo della conciliazione. Dopo che è intervenuto il soggetto che proporrà una soluzione giuridica, sarà SOLO una proposta
(le parti possono anche non seguirla).

L’articolo 66 della convenzione di Vienna sul diritto dei trattati indica le PROCEDURE DI REGOLAMENTO GIUDIZIARIO DI ARBITRATO
E DI CONCILIAZIONE. La lettera “B” dice che se nasce una controversia tra due o più stati circa l’esistenza di una causa di
invalidità di un tratto internazionale, se passati 12 mesi in cui uno degli stati ha fatto valere l’invalidità e non è accaduto nulla,

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può scattare la PROCEDURA DI CONCILIAZIONE OBBLIGATORIA (proprio per dire che anche solo una parte può far scattare la
procedura di conciliazione).

I MEZZI GIURISDIZIONALI

• Arbitrato internazionale, NON è pre-esistente rispetto alla controversia, ma nesce dopo. Sono le parti stesse che scelgono
l’arbitro o i componenti del collegio arbitrale (e decidono anche il numero: magari una parte ne decide uno, l’altra parte ne decide
l’altro e il terzo viene deciso di comune accordo).
Nel caso dell’arbitrato le parti possono dire quali norme applicare (che non può essere applicata nella giurisdizione internazionale).
Dopo che l’arbitrato ha svolto le sue risoluzione, esso cesserà di esistere (la giurisdizione c’è e rimane). —> atto vincolante tramite
LODO

• Giurisdizione internazionale, è un organo pre-costituito (che esisteva già prima della controversia)—>es. corte internazionale di
giustizia.
Si tratta di un organo che non viene scelto dalle parti e inoltre le parti NON possono decidere quali norme applicare ma è l’organo
giurisdizionale che decide quali norme applicare. —> atto vincolante tramite SENTENZA

In entrambi i casi, la controversia si risolverà con un ATTO VINCOLANTE: gli organi giurisdizionali adottano sentenze, mentre
l’arbitrato adotta il lodo.

Sono due mezzi diversi di risoluzione anche se anche le giurisdizioni internazionali hanno NATURA ARBITRALE.
Per cui è vero che la giurisdizione pre-esiste e le parti non possono decidere le norme. Però hanno natura arbitrare perché in arbitro
internazionale non si può prescindere dalla volontà di tutti i contendenti perché la controversia venga risolta dalla corte
giurisdizionale—> la corte costituzionale può risolvere la controversia SOLO SE entrambi le parti sono d’accordo.

Metodi di accettazione dell’arbitrato o della giurisdizione internazionale:

Perché un’ arbitrato o una giurisdizione possano pronunciarsi e risolvere la controversia, occorre che le parti ACCETTINO.
I mezzi di accettazione sono:

• Compromesso arbitrale
Il compromesso arbitrale è un trattato internazionale con le quali le parti creano l’arbitrato internazionale —> con le quali le parti
nominano gli arbitri e si vincolano alla decisione che l’arbitrato darà.

• Clausola compromissoria non completa


è una clausola contenuta in un trattato (molte convenzioni internazionale la contengono) e dice che “nel caso di controversie circa
l’interpretazione del presente trattato le parti si impegnano a.. (es. concludere un compromesso arbitrale)”.

• Clausola compromissoria completa


è una clausola contenuta in un trattato e dice che “nel caso di controversie circa l’interpretazione del presente trattato le parti si
rivolgeranno a … (es. corte di giustizia internazionale o all’ ICSID*)”. È completa perché è già individuato l’organo al quale cui
rivolgersi.

*ICSID: centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti

• Trattato generale di arbitrato non completo


In questo caso non è specificamente indicato quale è l’organo competente. è un trattato concluso con cui le parti che lo
concludono dicono “per tutte le controversie che dovessero sorgere tra di noi, gli stati si impegna a concludere un compromesso
arbitrale..”—> LE PARTI SI RITROVERANNO E NEGOZIERANNO UN ALTRO TRATTATO

La differenza tra clausola compromissoria e il trattato generale di arbitrato è che la clausola stabilisce che in caso di controversia,
quest’ultima andrà risolta, mentre il trattato generale riguarda proprio la questione di risoluzione delle controversie tra i due o più
stati.

• Trattato generale di arbitrato completo


è un trattato concluso con cui le parti che lo concludono dicono “per tutte le controversie che dovessero sorgere tra di noi, le
controversie verranno risolte da.. (es. corte internazionale di giustizia o da un arbitrato internazionale)”.
Sono trattati in cui le due parti (es. Ita Francia) dicono che TRA TUTTE le competenze che dovessero nascere tra di noi, chi se ne
occupa è la corte internazionale di giustizia. —> senza chiedere consenso all’altro stato.

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• Dichiarazione unilaterale di accettazione della CIG (corte internazionale di giustizia)
Lo statuto della CIG prevede la possibilità per gli stati di rilasciare una dichiarazione unilaterale. Lo stato se vuole può affermare
che si impegna e autorizza tutti gli altri stati a rivolgersi alla CIG, nel caso dovesse risolvere una controversia che lo riguarda. È A
DISCREZIONE DEGLI STATI RILASCIARE QUESTA DICHIARAZIONE

(L’Italia ha rilasciato la dichiarazione unilaterale: ma ha riconosciuto la competenza della corte solo con riguardo a situazioni e
fatti precedenti al rilascio della dichiarazione unilaterale (prima del 2014), oltre a questa limitazione di carattere temporale ve ne
sono altre. Quindi è vero che l’Italia lo ha accettato ma ha escluso una serie di materie).

I mezzi giurisdizionali internazionali di risoluzione delle controversie


hanno dei meccanismi di funzionamento simili a quelli delle giurisdizioni
nazionali, ma non sempre. Andremo a vedere quali sono le peculiarità di
questi sistemi giurisdizionali delle soluzioni delle controversie (e parliamo
sia della giurisdizione che dell’arbitrato internazionale).

I mezzi giurisdizionali:

• Legittimazione ad agire in giudizio


Cioè chi è che ha la possibilità di azionare una corte internazionale o di creare un arbitrato internazionale?
La legittimazione ad agire cambia da quale corte ci stiamo riferendo. Non vi è una regola generale ma dipende cosa ha stabilito il
trattato istitutivo di quella corte.

Partiamo da un concetto nazionale per poi arrivare a quello internazionale: all’interno del nostro ordinamento un giudice può
essere azionato da qualsiasi persona fisica o giuridica.
Nell’ambito del diritto internazionale non è sempre così: non è tutti i soggetti hanno sempre la possibilità di rivolgersi a una corte
e a volte ci sono degli enti che non sono soggetti del diritto internazionale che invece possono rivolgersi ad una corte.

La legittimazione ad agire nell’ambito internazionale cambia, e dipende da giurisdizione a giurisdizione (bisogna andare vedere il
trattato istitutivo di quella corte): per quanto riguardo la corte internazionale di giustizia la legittimazione ad agire in giudizio
spetta solo ed esclusivamente agli STATI.
Legittimati ad agire in giudizio per la corte europea dei diritti dell’uomo possono essere o gli stati europei oppure gli individui.

Sulla quesito delle Legittimazione ad agire in giudizio si pone il problema con gli obblighi erga omnes*
*obblighi erga omnes: sono quegli obblighi che uno stato deve rispettare nei confronti di TUTTI gli stati. Ad esempio, tipicamente
i trattati a tute dei diritti umani pongono obblighi erga omnes, cioè lo stato è tenuto a rispettare dei diritti nei confronti di tutti
gli stati.
La conseguenza principale degli obblighi erga omnes è che essendo un obbligo che lo stato ha nei confronti di tutti gli altri stati, se
quello stato viola il trattato, qualsiasi altro stato parte di quel tratto può far valere la violazione.
Ad esempio, qualche ano fa il Belgio ha presentato ricorso alla Corte Internazionale di giustizia nei confronti del Senegal dicendo
che il Senegal stesse violando la convenzione contro la tortura nei confronti dei cittadini senegalesi (la convenzione poneva
obblighi erga omnes). La corte internazionale ha potuto accertare se fosse vero che stesse violando la convenzione, riscontrando la
violazione del Senegal e dando ragione al Belgio. Questo per dire che nel caso in cui in una convenzione ci siano obblighi erga
omnes, ad agire in giudizio possono essere tutti gli stati che fanno parte della convenzione.

• Esecuzione delle sentenze internazionali


Partiamo ancora da un concetto nazionale per poi arrivare a quello internazionale: all’interno del nostro ordinamento quando un
giudice italiano emette una sentenza vincolante, ci sono delle persone che fanno rispettare la sentenza (es. il giudice nazionale
emette una sanzione riguardante un individuo che va in carcere, la polizia lo va a prendere e lo porta in carcere).

Nel diritto internazionale il sistema delle esecuzione delle sentenze non è sempre efficace. Questo perché quando c’è una corte
competente a mettere sentenze, non è sempre previsto un meccanismo volto a fare eseguire le sentenze internazionali (anche
perché non esiste un organo di polizia internazionale).
Quindi i meccanismi di esecuzione delle sentenze dipendono dal tipo di corte, ogni corte ha dei propri meccanismi di esecuzione
delle sentenze (alcune corti non li hanno nemmeno).

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La corte internazionale di giustizia (CIG) prevede l’intervento del Consiglio di Sicurezza. La corte europea dei diritti dell’uomo
(CEDU) prevede l’intervento del Comitato dei Ministri.

• Litispendenza
Si intende per litispendenza quando un ricorso è pendente contemporaneamente a due o più corti.
Anche a livello nazionale può capitare il problema della litispendenza, ad esempio che venga attivato un giudice di Milano e un
giudice di Roma. A livello nazionale tipicamente è competente il giudice che è stato attivato per primo, risolvendo il problema
della litispendenza.

A livello internazionale non sono previste regole che risolvono il problema della litispendenza, ci sono delle regole in alcuni
trattati: ad esempio nei tratta istitutivi delle corti internazionali a tutela dei diritti umani il quale prevede che s Elo stesso ricorso
è stato già esaminato da un altro organo internazionale, allora la corte europea non andrà ad esaminarlo (è una regola prevista
solo per la corte europea però).

• Res judicata
La Res judicata sta indicare la sentenza è definitiva (i Italia: o perché sono stati esauriti i gradi di giudizio o perché non è stato
presentato un ricorso). Il principio vale anche a livello internazionale: quando una corte internazionale si è pronunciata, questa è
definitiva; è Res judicata (non la può riesaminare).

• Stare decisis
Nei paesi di Common Law (es. USA e UK) le sentenze hanno la caratteristica dello Stare decisis perché i giudici producono diritto
con le loro sentenza (per cui se un giudice inglese adotta una sentenza è vincolante non solo per le parti ma anche per il futuro).

Nei paesi di Civil Law le sentenze non hanno la caratteristica dello Stare decisis (il giudice non è tenuto ad applicare la stessa
legge su un problema come lo ha fatto un giudice precedentemente).

Le sentenze dei giudici internazionali non hanno la caratteristica dello Stare decisis e la norma applicata è vincolante solo per le
parti in causa (come nei paesi di Civil Law).

• Frammentazione della giurisdizione internazionale


Anche per effetto della non applicazione della norma dello Stare decisis si può porre il problema della frammentazione della
giurisdizione internazionale: può capitare che una stessa norma venga applicata in maniera diversa da diversi giudici e che di
conseguenza si abbia una frammentazione.
Ad esempio il divieto di tortura è sancito in diverse convenzioni e può esserci il rischio che venga interpretata in maniera diversa
dalle varie corti internazionali, portando ad un problema di frammentazione.
Mentre a livello nazionale il problema viene risolto dalla corte di cassazione, a livello internazionale non c’è un organo come la
corte di cassazione che da l’interpretazione autentica della norma e quindi il problema della frammentazione ci può essere (non
capita di frequente però).
Ad esempio: Francia e Belgio hanno vietato il velo (che copre tutta la faccia), è accaduto che delle signore che volevano portarlo si
sono rivolte a delle corti diverse.
Il comitato per i diritti umani ha affermato che il divieto di portare il Burka va a violare il diritto alla libertà di manifestare il
proprio credo religiose mentre la corte europea dei diritti dell’uomo non ha ravvisato nessuno illegittimità (le corti hanno adottato
due soluzioni diverse rispetto alla stessa norma).

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ESEMPI DI ORGANI GIURISDIZIONALI INTERNAZIONALI

Sono TRE quelle principali e le vedremo una alla volta:

• Corte internazionale di Giustizia (CIG)

• Tribunale internazionale del diritto del mare

• Organizzazione mondiale del commercio- Organo per la soluzione delle controversie

CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA (CIG)


La corte internazionale di giustizia è composta da 15 giudici
che vengono scelti dall’assemblea generale e dal consiglio
di sicurezza.

I requisiti a cui devono essere in possesso i giudici:

I 15 giudici devono essere:

1. Indipendenti dal proprio stato

2. devono fornire garanzie di competenza: possono essere


nominati giudici della corte o individui che compongono
le più alte cariche giurisdizionali nazionali oppure
individui di notoria competenza, che hanno una
competenza riconosciuta in materia di diritto
internazionale.

3. Devono essere in possesso della alta levatura morale,


cioè di avere una reputazione spiccata.

Nella scelta dei membri si tiene conto di una distribuzione geografica, affinché siano rappresentate tutte le civiltà giuridiche.

Anche se non è scritto da nessuna parte, tra i giudici ci devono essere 5 giudici dei paesi membri permanenti ( Stati Uniti, Cina,
Russia, Francia e Inghilterra).

Giudice nazionale e giudice ad hoc

Il giudice nazionale non rappresenta la nazione di cui è origine, tuttavia se viene presentato un ricorso contro l’ Italia (ad esempio)
deve esserci il giudice nazionale italiano. Deve esserci sempre il giudice dello stato convenuto e se non c’è in quel periodo di tempo
(tra i 15 giudici) verrà nominato un giudice ad hoc (che è di origine dello stato da cui viene presentato ricorso).

La corte internazionale di giustizia svolge due funzioni: funzione contenziosa e funzione consultiva

LA FUNZIONE CONTENZIOSA

La funzione contenziosa è quella di risolvere controversie tra stati.

• Legittimazione attiva
SOLO GLI STATI possono rivolgersi alla corte internazionale di giustizia. In particolare si possono rivolgere alla CIG gli stati membri o
gli stati che non sono membri ma che hanno ratificato lo statuto istitutivo della CIG (es. Svizzera è entrata a far parte delle Nazioni
Unite una ventina di anni fa, ma aveva ratificato precedentemente lo statuto della corte internazionale di giustizia).
Possono rivolgersi gli stati non membri delle nazioni unite se lo stato ha rettificato un trattato che contiene una clausola
compromissoria che prevede la competenza della corte.

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• Sentenze
La corte emette delle sentenze che sono vincolanti solo per parti in causa e sono definitive (non è possibile chiedere alla corte di
rivedere la sentenza, può farlo solo se emergono fatti nuovi che non erano conosciuti prima)

• Esecuzione delle sentenze ed efficacia all’interno degli ordinamenti giuridici nazionali


Per quanto riguarda l’esecuzione delle sentenze, l’art. 94 della carta delle Nazioni Unite prevede la competenza del Consiglio di
Sicurezza a verificare l’esecuzione delle sentenze della corte.

Si pone la questione dell’efficacia della sentenza all’interno degli ordinamenti giuridici nazionali. Ci si chiede se le sentenze
della CIG si applicano fin dal momento in cui la corte ha emesso la sentenza oppure bisogna recepirle?
La dottrina si è divisa in materia, vi è una parte che ha ritenuto che le sentenze debbano essere recepite e altre che dicono che
non c’è bisogno di recepire le sentenze e finora sembra sia prevalsa la seconda opinione (ma è un dibattito ancora aperto).
Finora l’Italia non ha mai adottato alcun atto di recepimento riguardo alla sentenza della corte.

• Misure provvisorie
La CIG ha anche la possibilità di adottare misure provvisorie o cautelari. Qualora la corte stia ancora esaminando la controversia,
ma ancora non è arrivata ad adottare la sentenza (ancora non ha deciso), la corte ritiene di avere la possibilità di adottare misure
provvisorie (cioè misure che prevengono ulteriori violazioni del diritto internazionale).

Quando lo ha fatto alcuni stati (destinatari della misura cautelare) si sono ribellati, e la corte ha affermato che le misure
provvisorie siano vincolanti.

FUNZIONE CONSULTIVA

La corte può adottare dei pareri: e coloro che richiedono pareri possono essere:

1. L’assemblea generale o il consiglio di sicurezza

2. Altri organi delle nazioni unite o gli istituti specializzati (organizzazioni internazionali che hanno un’accordo di collegamento
come la FAO o UNESCO), ma devono chiedere l’autorizzazione all’assemblea generale

La corte ha precisato che possono chiedere questo parere solo in merito a questioni di cui quell’istituto specializzato si occupa
(ad esempio l’ OMS nel 1996 ha chiesto all’assemblea generale di poter presentare una richiesta di parere riguardo all’uso delle
armi nucleari alla CIG, l’assemblea generale li ha autorizzati e la corte non ha dato il suo parere. Questo perché dicevano che la
questione dell’uso delle armi nucleari NON è una questione di competenza dell’OMS).

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TRIBUNALE INTERNAZIONALE DEL DIRITTO DEL MARE
È un’altro esempio di organo giurisdizionale è quello istituito
nell’ambito del diritto del mare. È stato insistito dalla convenzione di
Montego Bay (1982)o del diritto del mare.

La convenzione ha creato il tribunale internazionale del diritto del


mare: in caso di eventuali controversie verranno risolte da questo
tribunale (ad Amburgo).

È composto da 22 giudici che devono avere competenze in materie del


diritto del mare e devono essere indipendenti da interessi pubblici e
privati. Se viene presentato un ricorso nel collegio giudicante deve
esserci sempre un giudice nazionale (se non c’è viene nominato un
giudice ad hoc).

Sono create all’interno del tribunale delle camere speciali (es. camera in materia di pesca, o camera della delimitazione dei confini
marittimi, camera in materia della salvaguardia della fauna marittima e delle risorse marine).

La corte esercita sia una competenza contenziosa che una competenza consultiva.

Risolve una competenza contenziosa perché risolve controversie tra stati.


La legittimazione attiva al tribunale internazionale del diritto del mare spetta oltre che gli stati che hanno firmato la convenzione,
anche a persone fisiche e giuridiche (quindi anche gli individui possono presentare ricorso agli stati).

Risolve una competenza consultiva perché il tribunale può emettere dei PARERI.

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ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEL COMMERCIO (WTO)
È l’organizzazione che si occupa di commercio internazionale e
gestisce una serie di accordi di natura commerciale conclusa
fra gli stati. Gli stati membri sono 164.

C’è un sistema di risoluzione delle controversie tra stati


riguardo all’applicazione di uno dei trattati che rientrano nel
WTO, che è molto interessante.

Organo per la soluzione delle controversie

L’ organizzazione mondiale del commercio non ha una corte, ma quello che l’organo arriva a fare è quasi allo stesso livello della
corte.
in caso di controversia tra due o più stati in merito all’applicazione dei tratti, delle eventuali controversie se ne deve occupare
l’Organo per la soluzione delle controversie.
L’organo per la soluzione delle controversie non è una corte (non è composto da giudici) e non è composto da individui tecnici, ma è
un organo di natura politica composto dai rappresentanti di tutti gli stati membri (164 stati).

Prima che l’organo per la riunione si riunisca per risolvere una controversia tra due stati è necessario che nominino un PANEL. Il
panel è un organo composto da tre esperti (tre persone che esamineranno i fatti e decideranno come interpretare il trattato). A
nominare i tre membri del PANEL dovrebbe essere il segretario dell’organizzazione che suggerisce i nomi alle parti (le parti
individuano i nomi su suggerimento del segretario).

Se ai due stati contendenti i nomi proposti non piacciono (giustificando il motivo per cui non gli piacciono), a quel punto la scelta dei
tre nomi cadrà sul direttore generale (l’organo di vertice del WTO). Le due parti vengono coinvolte nella nomina del PANEL.

Il panel ha sei mesi di tempo per adottare un rapporto (che non è un atto vincolante) in cui ricostruisce i fatti, giungendo a dire se
c’è stata o no una violazione di quelle norme (dirà chi ha e chi non ha ragione). Dopo che il panel ha adottato il suo rapporto,
l’organo per la soluzione delle controversie entro 60 giorni deve decidere se fare proprio il rapporto del panel, applicherà poi un
sistema di voto che è quello del consensus negativo—> la regola del consensus negativo dice che entro 60 giorni dal momento in cui
il panel ha prodotto il suo rapporto, l’organo per la soluzione delle controversie deve adottare l’atto a meno che ci sia un
consensus negativo ( a meno che tutti gli stati membri si oppongono, ciò non è di fatto ovviamente possibile).
Nel momento in cui l’organo per la soluzione delle controversie fa proprio l’atto del panel, quell’atto diventa vincolante.

Se a uno delle due parti non piace la soluzione del panel, la parte ha la possibilità di rivolgersi ad un appello e la cause verrà affidata
all’ ORGANO DI APPELLO. L’organo di appello è un organo proprio fisso del WTO ed è composto da nove individui competenti
(mentre il panel non è un organo proprio del WTO ma viene nominato momentaneamente) e si occupa solo di questioni giuridiche:
controlla che il panel abbia applicato la norma corretta.
Nel caso ritengano che la norma presa dal panel sia sbagliata, adottano il loro rapporto (e succede lo stesso procedimento che è
successo prima): entro due mesi, l’organo per la soluzione delle controversie dovrà far proprio il rapporto dell’organo di appello
ameno che ci sia un consensus negativo. —> di fatto è come se ci fosse una sentenza e quindi un atto vincolante, nel giro di pochi
mesi, ma non è una vera e propria sentenza.

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RESPONSABILITÀ INTERNAZIONALE
La responsabilità internazionale è la responsabilità che
incombe a uno stato che ha violato una norma
internazionale (un illecito internazionale).
La commissione di un illecito internazionale pone un
problema in termini di responsabilità dello stato sul
piano internazionale.

Il tema della responsabilità internazionale comporta due


ordini di problemi:

1. il primo è quello di QUANDO sorge la responsabilità dello stato (quando possiamo dire che uno stato ha commesso un illecito
internazionale?)

2. Il secondo è QUALI sono le conseguenze? A cosa va in contro lo stato?

IL PRIMO PROBLEMA: QUANDO SORGE LA RESPONSABILITÀ DELLO STATO?

Gli stati non hanno mai concluso una convenzione


internazionale sul tema della responsabilità
internazionale, sul punto però esistono delle norme di
diritto internazionale consuetudinario.

C’è stato un tentativo di mettere per iscritto queste norme


e a farlo è stata la commissione di diritto internazionale.
I “progetti di articoli” della commissione, vengono poi
sottoposti all’assemblea generale che può: o
semplicemente prenderne atto oppure decide di aprire un
negoziato (concetti studiati nel primo semestre).

Così non è stato per il progetto di articoli sulla responsabilità dello stato: la commissione di diritto internazionale è arrivata ad un
primo progetto nel 1996 che ha sottoposto all’attenzione dell’assemblea generale la quale aveva invitato la commissione di ritornare
su determinati progetti che per loro non erano chiari.
Nel 2001 la commissione ha chiarito i punti, li ha sottoposti ancora all’assemblea generale e l’assemblea generale ha lasciato quei
progetti di articoli come progetti di articoli (non li ha quindi negoziati).

Progetto di articoli del 2001

Il progetto di articoli del 2001 è un atto (non è una convenzione) che ricostruisce il diritto internazionale consuetudinario.

• Gli elementi dell’illecito internazionale (art. 2)

Elementi di un atto internazionalmente illecito di uno Stato

Sussiste un atto internazionalmente illecito di uno Stato quando un comportamento consistente in un azione o in un omissione:

a) può essere attribuito allo Stato alla stregua del diritto internazionale; e

b) costituisce una violazione di un obbligo internazionale dello Stato.

La norma dice che c’è un illecito internazionale da parte di uno stato (c’è una violazione del diritto internazionale e quindi si pone
un problema in termini di responsabilità di uno stato), quando ricorrono due elementi:

A. ELEMENTO SOGGETTIVO: lo stato commette un illecito internazionale quando quel comportamento che va a violare il diritto
internazionale è attribuibile allo stato.
Lo stato agisce attraverso degli organi a degli individui, e quando si può dire che il comportamento fa nascere la responsabilità
dello stato, cioè è attribuibile allo stato? Ad esempio cittadina italiana che va all’estero e commette violazione del diritto

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internazionale: è responsabile l’Italia per i miei atti in quanto cittadina italiana? —>la prima questione è questa: bisogna capire
quando l’azione di un individuo è imputabile allo stato

B. ELEMENTO OGGETTIVO: non basta che quel comportamento sia attribuibile allo stato, ma occorre che quell’atto costituisca una
violazione del diritto internazionale (se non c’è violazione del diritto internazionale, l’illecito internazionale non sussiste).

L’ illecito internazionale sorge quando c’è l’elemento soggettivo (quando il comportamento è attribuibile allo stato ) e quando
sussiste l’elemento oggettivo (quando oggettivamente c’è una violazione del diritto internazionale).

L’ELEMENTO SOGGETTIVO DELL’ILLECITO

COMPORTAMENTO DEGLI ORGANI DELLO STATO (ART. 4)

1. Il comportamento di un organo dello Stato sarà considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale, sia che
tale organo eserciti funzioni legislative, esecutive, giudiziarie o altre, qualsiasi posizione abbia nell’ organizzazione dello Stato e
quale che sia la sua natura come organo del governo centrale o di un unità territoriale dello Stato.

2. Un organo comprende qualsiasi persona o ente che rivesta tale posizione secondo il .diritto interno dello Stato.

L’articolo 4 dice che lo stato risponde per il comportamento attivo o omissivo degli organi dello stato.
Se un organo dello stato commette una violazione del diritto internazionale, quell’atto è attribuibile allo stato indipendentemente
dalle funzioni che esercita quell’organo.
Può essere un organo dello stato centrale (parlamento o governo che commettono una violazione) ma anche un organo dello stato
decentrato (ad esempio il sindaco di Brescia che commette una violazione) —> QUALSIASI ORGANO. Se si commette una violazione
del diritto internazionale, responsabile di quella violazione è lo stato.

Possono essere sia gli organi de jure sia gli organi de facto. Gli organi de jure sono gli organi che sono ufficialmente dello stato e gli
organi de facto sono gli organi che non sono formalmente dello stato ma agiscono di fatto come organo dello stato.

Lo stato risponde per il comportamento dei propri organi, anche per gli atti ultra vires (art.7): gli atti compiuti al di fuori delle
competenze di quell’organo.

ARTICOLO 7- Eccesso di potere o comportamento contrario ad istruzioni

Il comportamento di un organo di uno Stato o di una persona o di un ente abilitati ad esercitare prerogative dell’autorità di governo
sarà considerato come un atto dello Stato ai sensi del diritto internazionale, se quell’organo, persona o ente agisce in tale qualità,
anche se eccede la propria competenza o contravviene ad istruzioni.

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Ad esempio un militare (che è un organo dello stato), che commette una violazione del diritto internazionale ne risponde lo stato,
anche se quel militare è andato oltre le istruzioni che aveva ricevuto.

Articolo 5- Comportamento di persone o enti che esercitino prerogative dell’autorità di governo.

Il comportamento di una persona o di un ente che non è un organo dello Stato ai sensi dell’articolo 4, ma che è abilitato dal
diritto di quello Stato ad esercitare prerogative dell'attività di governo sarà considerato come un atto dello Stato ai sensi del
diritto internazionale purché, nel caso in questione, la persona o l ente abbiano agito in tale qualità.

Altra ipotesi è quella prevista dall’articolo 5: lo stato risponde anche per il comportamento di individui o enti che non sono
organi dello stato ma che esercitano prerogative delle autorità di governo.

Ad esempio paesi come USA, i quali delegano a delle aziende private le sicurezze delle carceri: le aziende private non sono organi
dello stato ma siccome vengono attribuite prerogative dell’autorità di governo, allora il loro comportamento è attribuibile allo stato.
Oppure le compagnie aeree alle quali è attribuito il controllo dell’immigrazione illegale (le compagnie aree non sono organi dello
stato, però gli stati devolvono a loro delle prerogative tipiche di governo). Quindi lo stato risponde per eventuali violazioni del diritto
internazionale compiute da queste aziende private, nel momento in cui esercitano le loro funzioni.

ARTICOLO 8- Comportamento sotto la direzione o il controllo di uno Stato

Il comportamento di una persona o di un gruppo di persone sarà considerato un atto di uno Stato ai sensi del diritto internazionale
se la persona o il gruppo di persone di fatto agiscono su istruzione, o sotto la direzione o il controllo di quello Stato nel porre in
essere quel comportamento.

L’articolo 8 dice che lo stato risponde al comportamento di una persona o un gruppo di persone, agiscono di fatto su istruzione,
sotto la direzione o sotto il controllo di quello stato (CONTROLLO EFFETTIVO). Essendo una norma complicata vediamo alcune
sentenze sul punto:

- Sentenza CIG, Nicaragua c. USA (1986):


la prima è una sentenza che vede contrapposti il Nicaragua e gli USA. In Nicaragua nel ’79 si verifica una rivoluzione: la
popolazione si ribella alla dittatura e viene sostituito il governo. Si creano i “contras” (che sono i sostenitori della vecchia
dittatura: che iniziano a contrastare il nuovo governo iniziando a compiere degli attentati terroristici (uccidendo militari e civili).
Gli USA finanziavano i contras dandogli armi e istruendoli: era provato come diversi membri dei contras erano andati in America
per essere istruiti dai militari americani.

Accadde che il Nicaragua, constatato come i contras erano sostenuti dagli USI, si siano rivolti alla CIG chiedendo l’accertamento
della responsabilità degli stati uniti d’America. La CIG giunge ad accertare il tutto (di come gli USA finanziassero, etc..) ma questo
non va nascere per la CIG la responsabilità degli USA per quello che i contras hanno compiuto in Nicaragua.

Il motivo è che la corte applica la teoria del controllo effettivo: secondo la CIG, affinché la condotta di un gruppo armato possa
essere attribuita ad uno stato è necessario che lo stato fornisca istruzioni specifiche e precise rispetto all’esecuzione degli atti
illeciti (“non basta provare che i contras siano stati sostenuti dagli USA, ma perché si arrivi a riconoscere la responsabilità degli
USA per gli atti compiuti dai contras bisogna provare che, gli atti compiuti dai contras, siano stati eseguiti sulla base di direttive
date dagli Stati Uniti d’America”). —> per la CIG non si è arrivati a dimostrare che le azioni compiuti dai contras siano state
realizzate da parte di istruzioni specifiche delle autorità statunitensi.

La corte giunge ad affermare come gli USA non abbiano commesso una violazione del diritto internazionale perché l’attività dei
contras non è imputabile agli Stati Uniti d’America.

- Sentenza del Tribunale per la ex-Yugoslavia, Tadìc (1999)

in questo caso il Tribunale per la ex-Yugoslavia aveva il compito di giudicare individui che avevano commesso crimini di guerra e
crimini contro l’umanità. In questo caso, in cui si discuteva delle responsabilità di Tadìc: il tribunale doveva capire se i fatti
compiuti dal generale Tadìc e ai suoi uomini fossero imputabili alla Repubblica Federale di Yugoslavia.

Nel ricostruire quanto fatto da questo generale, il tribunale è ricorso al concetto di controllo globale: disse che di fronte a un
gruppo armato, organizzato e strutturato gerarchicamente non bisogna applicare il controllo effettivo (come ha fatto la CIG) ma
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bisogna ricorrere alla teoria del controllo globale.
Secondo il tribunale, perché la condotta di un gruppo possa essere attribuita allo stato, è sufficiente che lo stato abbia un
qualche ruolo nel finanziamento e nel supporto dell’attività militare.
Questo è sufficiente per dire che quell’atto è imputabile allo stato.

C’è un problema di frammentazione: una corte (CIG) dice che bisogna applicare la teoria del controllo effettivo, mentre il
tribunale dice che bisogna applicare la teoria del controllo globale. È un problema che però è risolto perché i due sono organi
giurisdizionali molto diversi: la CIG giudica controversie tra stati, il tribunale per la ex- Yugoslavia giudica controversie tra
individui.

- Sentenza CIG, Bosnia-Erzegovina c. Serbia-Montenegro (2007)


Nel 2007 la CIG ribadì la teoria del controllo effettivo. Il caso della città di Srebrenica (Bosnia-Erzegovina) dove a metà degli
anni’90 di verifica un genocidio: più di 8.000 mussulmani bosniaci sono stati uccisi.
Il massacro è stato portato avanti dallo stato maggiore dell’esercito dell’allora Repubblica Serba (con a capo il generale Ratko
Mladic). Queste attività furono commesse con risorse e assistenza finanziarie dell’allora Repubblica Federale serba.

La CIG è ricorsa alla teoria del controllo effettivo, non recependo la teoria del controllo globale. È imputabile allo stato solo quei
comportamenti rispetto ai quali c’è la prova che il fatto che lo stato abbia fornito delle direttive specifiche in merito
all’esecuzione dell’atto: in questo caso era stato provato che c’era un supporto di fornitura di armi ma mancava la prova del
controllo effettivo (mancava la prova che l’omicidio fosse stato compiuto dietro istruzioni specifiche della repubblica serba).

ARTICOLO 9 - Comportamento in assenza o in mancanza di autorità ufficiali

Il comportamento di una persona o di un gruppo di persone sarà considerato come atto di uno Stato ai sensi del diritto
internazionale se la persona o il gruppo di persone di fatto esercita prerogative dell’autorità di governo in assenza o in mancanza
delle autorità ufficiali ed in circostanze tali da richiedere l esercizio di quelle prerogative.

L’articolo 9 dice che se mancano le autorità ufficiali (es. stati falliti) il comportamento del gruppo di persone che ha preso il
sopravvento sarà considerato come atto dello stato se quella persona o quel gruppo di persone esercita prerogative dell’autorità di
governo.

ARTICOLO 6- Comportamento di organi messi a disposizione di uno Stato da un altro Stato

Il comportamento di un organo messo a disposizione di uno Stato da parte di un altro Stato sarà considerato un atto del primo Stato
ai sensi del diritto internazionale se tale organo agisce nell esercizio di prerogative dell autorità di governo dello Stato a
disposizione del quale è messo.

Ad esempio se si verifica una pandemia, uno stato mette a disposizione ad un altro stato i suoi organi che esercitano attività medica.
Le infermiere che l’Italia manda nel Congo sono organi che lo stato italiano mette a disposizione dello stato del Congo e del
comportamento di questi organi risponderà lo stato nei confronti a cui questi organi sono stati messi a disposizione (in questo cado
risponderà il Congo).

ARTICOLO 10- Comportamento di un movimento insurrezionale o di altro movimento

1. Il comportamento di un movimento insurrezionale che divenga il nuovo governo dello Stato sarà considerato un atto dello Stato
ai sensi del diritto internazionale.

2. Il comportamento di un movimento, insurrezionale o di altro tipo, che riesca a costituire un nuovo Stato in una parte del
territorio di uno Stato preesistente o di un territorio sotto l’amministrazione di quello Stato sarà considerato un atto del nuovo
Stato ai sensi del diritto internazionale.

3. Questo articolo non pregiudica l attribuzione ad uno Stato di ogni comportamento, in qualsiasi modo collegato a quello del
movimento in questione, che debba essere considerato un atto di quello Stato in virtù degli articoli da 4 a 9.

Se il movimento insurrezionale diventa nuovo governo di quello stato: il nuovo stato sarà tenuto a rispondere del comportamento
commesso dal movimento insurrezionale.

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ARTICOLO 11- comportamento riconosciuto e adottato da uno Stato come proprio

Un comportamento che non è attribuibile ad uno Stato ai sensi degli articoli precedenti sarà ciononostante considerato un atto di
quello Stato ai sensi del diritto internazionale se e nella misura in cui quello Stato riconosca e adotti il comportamento in questione
come proprio.

Può essere attribuito allo stato un comportamento di privati, se quel comportamento è fatto proprio dallo stato.

- Sentenza CIG, USA c. Iran (1980)


Sentenza della CIG Usa contro Iran riguardo alla questione della presa di ostaggi presso l’ambasciata americana in Iran.

Alla fine degli anni ’70 si è verificata in Iran la rivoluzione islamica che ha portato a sostituire la monarchia con una Repubblica
Islamica guidata dalla Sharia (la legge islamica). Nel novembre del 1779, un gruppo di studenti iraniani (sostenitori della
rivoluzione) entrano nell’ambasciata americana a Teheran, prendono possesso dei locali dell’ambasciata, requisiscono i beni e
sequestrano le persone che si trovavano al loro interno (52 persone).
Nel febbraio del 1980 Stati Uniti e Iran si ritrovano ad Algeri in cui stringono un accordo con il quale l’Iran si impegna a liberare gli
ostaggi e gli Stati Uniti si impegnano a dissequestrare i conti correnti iraniani. Questo perché all’indomani della rivoluzione
islamica in Iran, gli Stati Uniti avevano bloccati i controcorrenti che facevano capo all’Iran nelle banche americane.

Ne nasce una controversia perché gli Stati Uniti ritengono che l’Iran abbia violato la convenzione di Vienna sulle relazioni
diplomatiche. La convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche (1961), è una convenzione con la quale vengono codificate le
norme del diritto internazionale consuetudinario in materia di protezione delle relazioni diplomatiche.
La convenzione stabilisce il principio della inviolabilità della sede, la sede diplomatica è inviolabile (lo stato territoriale su cui è
presente una sede diplomatica di un’altro paese, si impegna a non esercitare la sua sovranità).
L’Iran si difende dicendo che non sono state le autorità iraniane ad entrare nella sede, dicendo che non ha commesso nessuna
violazione alla convenzione ma sono stati un gruppo di privati.

Allora USA e Iran si rivolgono alla CIG, chiedendo chi ha ragione. La CIG distingue due fasi: nella prima fase (le prime ore
dell’intervento della presa di ostaggi), è stata la decisione dei soli studenti prendendo in ostaggio le persone presenti e l’Iran non
ha alcuna responsabilità. Nella seconda fase, l’Iran avrebbe dovuto intervenire adottando delle misure per porre termine alla
situazione e non solo non ha fatto nulla ma avrebbe sostenuto questi studenti (una volta venuti a conoscenza della presa
dell’ambasciata).
Dal momento in cui le autorità iraniane non sono intervenute alla presa degli ostaggi e hanno iniziato a fare dichiarazioni in cui
appoggiavano gli studenti, gli atti possono essere considerati imputabili all’Iran (“riconosca e adotti il comportamento in
questione come proprio” ART. 11).

32
L’ELEMENTO OGGETTIVO DELL’ILLECITO

ARTICOLO 12- Violazione di un obbligo


internazionale

Si ha violazione di un obbligo internazionale da parte


di uno Stato quando un atto di quello Stato non è
conforme a quanto gli è richiesto da quell’obbligo,
quale che ne sia la fonte o la natura.

L’articolo 12 dice che qualsiasi violazione di qualsiasi


obbligo internazionale genera un’illecito
internazionale, indipendentemente dalla fonte (è
indifferente che si tratti della violazione della norma
del diritto internazionale consuetudinario o una
norma di Jus Cogens o la violazione di un trattato).

CAUSE DI ESCLUSIONE DELL’ILLECITO

Vi sono delle situazioni in cui l’illecito va escluso (ci sono delle situazioni che in qualche modo “giustificano” la violazione della
norma internazionale). Le situazioni in cui anche se lo stato sta attuando un comportamento contrario ad un obbligo internazionale,
vi sono delle situazioni in cui quel comportamento in contrasto con l’obbligo internazionale non si tramuta in violazione. Le cause
sono:

• ARTICOLO 20 - Consenso dello Stato leso


Se c’è consenso da parte dello stato leso, allora il comportamento in apparenza contrastante con un obbligo internazionale non si
trasforma in un illecito internazionale. Questo perché lo stato “vittima” ha consentito al comportamento da parte dell’altro stato.

“Il consenso validamente dato da uno Stato alla commissione da parte di un altro Stato di un atto determinato esclude l illiceità di
tale atto nei confronti del primo Stato sempre che l atto medesimo resti nei limiti del consenso”.

• ARTICOLO 21- LEGITTIMA DIFESA


Uno stato può esercitare una forza in reazione ad un attacco subito.

“L’illiceità di un atto di uno Stato è esclusa se l atto costituisce una misura lecita di legittima difesa presa in conformità alla Carta
delle Nazioni Unite”.

• ARTICOLO 22- CONTROMISURE*


La contromisura consiste nella violazione di un obbligo internazionale per effetto del fatto di aver subito a propria volta una
violazione della norma internazionale, è qualcosa che giustifica il comportamento.
—>uno stato che ha subito una violazione, può reagire adottando a sua volta un comportamento che consiste nella violazione del
diritto internazionale.

*delle contromisure ne parleremo più tardi quando vedremo le conseguenze dell’illecito

“L’ illiceità di un atto di uno Stato non conforme ad un obbligo internazionale nei confronti di un altro Stato è esclusa se e nella
misura in cui tale atto costituisce una contromisura presa contro quest’ultimo Stato conformemente al capitolo II della Parte II”.

• ARTICOLO 23- FORZA MAGGIORE


Un evento imprevedibile (fuori dal controllo dello stato) che rende impossibile rispettare quell’obbligo.
Es. sottomarino che si è rotto e viene trascinato dalla corrente oceanica che lo porta nelle acque nazionali dello stato. Lo stato sta
violando il diritto internazionale perché il sottomarino può entrare nelle acque internazionali dello stato previa autorizzazione di
quello stato.

Il paragrafo 2 dice che se la forza maggiore giustifica l’illecito a meno che lo stato abbia contribuito al verificarsi di quella
situazione.

33
“L’illiceità di un atto di uno Stato non conforme ad un obbligo di tale Stato è esclusa se l atto è dovuto a forza maggiore, che è il
verificarsi di una forza irresistibile o di un avvenimento imprevedibile, fuori dal controllo dello Stato, che rende materialmente
impossibile, nelle circostanze, agire in conformità all obbligo.

Il paragrafo 1 non si applica se:

a) La situazione di forza maggiore è da attribuirsi, sia in via esclusiva che in combinazione con altri fattori, alla condotta
dello Stato che la invoca; o
b) Lo Stato ha accettato il rischio che quella situazione poteva verificarsi”.

• CASO FORTUITO
il progetto di articolo non dedica una norma specifica al caso fortuito. Nella prassi si distingue caso fortuito e forza maggiore, il
progetto di articoli li mette però insieme. Ma in realtà il caso fortuito è diverso dalla forza maggiore.

Ad esempio perché un aereo possa entrare nello spazio aereo occorre il consenso di quello stato. Supponiamo che chi stia pilotando
un caccia militare americano, spinto dalle correnti forti, non si rende conto che è finito sopra il territorio italiano. Anche questo è
una causa di esclusione dell’illecito.

La differenza è che nel caso della forza maggiore l’organo dello stato si sta rendendo conto che si sta commettendo una violazione
del diritto internazionale, nel caso del caso fortuito l’organo dello stato non ha la consapevolezza.

• ARTICOLO 24- ESTREMO PERICOLO O DISTRESS


L’articolo 24 dice che l’illiceità è esclusa se in situazione di estremo pericolo chi compie quell’atto non ha altro mezzo per
salvarsi che quella di violare una norma.

Ad esempio la nave di uno stato che al verificarsi di una tempesta, si rifugia nel porto di un altro stato senza chiedere consenso.
Questa è una situazione di estremo pericolo e si differenzia dalla forza maggiore perché nel caso della forza maggiore c’è un
evento imprevedibile che rende materialmente impossibile agire in conformità dell’obbligo.
Nel caso dell’estremo pericolo è una scelta, non c’è nessun avvenimento imprevedibile che rende impossibile non eseguire
l’obbligo (in questo caso di chi sta guidando la nave di entrare nel porto”).

“ L illiceità di un atto di uno Stato non conforme ad un obbligo internazionale di uno Stato è escluso se l’autore di quell’atto non ha
ragionevolmente nessun altro mezzo, in una situazione di estremo pericolo, per salvare la propria vita o quella delle altre persone
affidate alle sue cure.

Il paragrafo 1 non si applica:

a) se la situazione di estremo pericolo è dovuta, unicamente o unitamente ad altri fattori, al comportamento dello Stato
che la invoca; o

b) se tale atto è suscettibile di creare un pericolo comparabile o più grave”.

• ARTICOLO 25- STATO DI NECESSITÀ

Questa causa dell’esclusione dell’illecito è stata molto studiata in dottrina perché è quella meno chiara e più difficile da
ricostruire nella prassi—> è molto contestata.

“1. Lo Stato non può invocare lo stato di necessità come causa di esclusione dell illiceità di un atto non conforme ad uno dei suoi
obblighi internazionali se non quando tale atto:

A. costituisca per lo Stato l unico mezzo per proteggere un interesse essenziale contro un pericolo grave ed imminente; e

B. non leda gravemente un interesse essenziale dello Stato o degli Stati nei confronti dei quali l obbligo sussiste, oppure della
comunità internazionale nel suo complesso.

2. In ogni caso, lo stato di necessità non può essere invocato da uno Stato come motivo di esclusione dell illiceità se:

C. l obbligo internazionale in questione esclude la possibilità di invocare lo stato di necessità; o b) lo Stato ha contribuito al
verificarsi della situazione di necessità”.

Lo stato di necessità è stato applicato parzialmente solo da alcuni giudici con riguardo al default argentino.
L’argentina nei primi anni 2000 aveva un debito così elevato che è andato in default. Le persone che avevano comprato obbligazioni
emesse dallo stato argentino non valevano più nulla. Gli individui si sono rivolti ai giudici italiani dicendo che l’argentina stava
violando gli obblighi internazionali: molti giudici hanno ritenuto che sussistesse il tema dell’immunità degli stati. Altri giudici hanno
ritenuto non applicabile il principio dell’immunità (es. giudici tedeschi e americani), e hanno accettato di esaminare il caso;
34
l’argentina si è difesa dicendo che non era in grado di pagare perché si trovava in uno stato di necessità economico.
I giudici tedeschi e americani hanno escluso lo stato di necessità (dicendo che l’argentina doveva pagare).

Esistono altri elementi costituitivi dell’illecito? Bastano gli elementi soggettivi e oggettivi?

• COLPA: negligenza e imperizia. Normalmente negli ordinamenti giuridici nazionali si afferma la violazione di una norma nazionale
se si riscontra la colpa.

• DOLO: se c’è stata l’intenzione di commettere quell’atto pur sapendo che quell’atto rappresenti una violazione di una norma
nazionale.

• DANNO

I tre elementi della colpa, del dolo e del danno NON rilevano sul piano internazionale, quindi non si va a vedere se lo stato ha agito
per colpa, per dolo o per danno. Se c’è stato un comportamento imputabile allo stato che consiste nella violazione di un obbligo
internazionale questo è un illecito internazionale, indipendentemente dal fatto che ci sia stato o meno una colpa, un dolo o un
danno.

35
IL SECONDO PROBLEMA: QUALI SONO LE CONSEGUENZE?

Quando si parla di responsabilità dello stato sorgono due domande. Alla prima abbiamo già risposto, ora rispondiamo alla seconda.

IL SECONDO PROBLEMA: QUALI sono le conseguenze?

Nel moneto in cui uno stato compie un’illecito internazionale scattano due conseguenze:

1. La prima conseguenza è L’OBBLIGO DI RIPARAZIONE: lo stato che ha commesso la violazione ha l’obbligo di riparare per quello
che ha fatto.

2. La seconda conseguenza è LA REAZIONE: lo stato che ha subito al violazione ha la possibilità di reagire (vedi discorso delle
contromisure).

PRIMA CONSEGUENZA: OBBLIGO DI RIPARAZIONE

ARTICOLO 34- Forme di riparazione

“La riparazione integrale del pregiudizio causato da un atto


internazionalmente illecito sarà effettuata nella forma della
restituzione, risarcimento e soddisfazione, singolarmente o in
combinazione, in conformità alle disposizioni del presente
capitolo”.

Lo stato che ha commesso l’illecito internazionale deve


riparare l’illecito che ha effettuato e questo comporta:

- Restitutio in integrum (art. 35): il ristabilimento/ripristino


della situazione che esisteva antecedentemente alla commissione dell’illecito.
Ad esempio: è stato sottratto un bene, scatta la restituzione in integrum.

- Risarcimento: Non sempre è possibile ripristinare la situazione precedente, e se ciò non è possibile scatta l’obbligo del
risarcimento. Il risarcimento normalmente è il risarcimento in denaro ma non sempre.
Ad esempio in una sentenza del 1949, durante la seconda guerra mondiale delle navi inglesi si trovano a passare nello stretto di
Corfù dove erano presenti delle mine messe dell’Albania, le mine saltano e questo comporta dei danni alle navi inglesi e alle
persone. Ne è nata una controversia e la CIG sostiene che l’Albania debba effettuare un risarcimento (non è possibile la
Restitutio in integrum).

- Soddisfazione (art. 37): se neanche il risarcimento è possibile scatta l’obbligo della soddisfazione (ad esempio la presentazione di
scuse formali o rendere l’omaggio alla bandiera).

SECONDA CONSEGUENZA: LA REAZIONE

Lo stato che ha subito l’illecito può reagire con una


contromisura.
Può reagire violando esso stesso una norma del diritto
internazionale, nei confronti dello stato che per primo ha violato
la norma internazionale (“occhio per occhio dente per dente”).

Ci sono dei limiti di esercizio delle contromisure:

ARTICOLO 51- proporzionalità

La norma dice che la contromisura deve essere proporzionata all’illecito subito. Ma non si sa quanto questo limite corrisponda al
diritto internazionale consuetudinario (cioè questo limite ha senso, però in molti dubitano che questo limite sia effettivamente
presente nel diritto internazionale consuetudinario—> questo perché uno stato reagisce con una contromisura difficilmente pone
attenzione al fatto se essa sia proporzionata o meno rispetto all’illecito subito).

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“Le contromisure devono essere commisurate al pregiudizio subito, tenendo conto della gravità dell atto internazionalmente
illecito e dei diritti in gioco”.

ARTICOLO 52, par. 3 e ART.53- TEMPORANEITÀ

La contromisura può essere adottata solo temporaneamente. Se l’illecito cessa, deve cessare anche la contromisura. Inoltre se la
questione pende davanti a una corte internazionale, lo stato non può applicare alcuna contromisura.

“Non possono essere prese contromisure, e se già prese devono essere sospese senza indebito ritardo, se:
a) l atto internazionalmente illecito è cessato; e
b) la controversia pende innanzi ad una corte o ad un tribunale che abbia il potete di adottare decisioni vincolanti per le parti”.

ARTICOLO 52, parr. 1 e 2 - PREVIA RICHIESTA DI RIPARAZIONE

L’articolo dice che lo stato prima di applicare la contromisura deve avvisare lo stato nei cui confronti andrà ad applicare +la
contromisura.

“Prima di prendere contromisure uno Stato leso dovrà:


a) invitare lo Stato responsabile, in conformità all articolo 43, ad adempiere ai propri obblighi in base alla parte II;
b) comunicare allo Stato responsabile ogni sua decisione di ricorrere a contromisure ed offrirsi di negoziare con tale Stato.

2. Nonostante il paragrafo 1 b), lo Stato offeso può prendere le contromisure urgenti che siano necessarie per preservare i propri
diritti”.

PREVIO ESAURIMENTO DI ALTRI MEZZI DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE

Gli stati prima di applicare una contromisura dovrebbero ricorrere a mezzi diplomatici o giurisdizionali di risoluzione delle
controversie. Solo se sono stati esauriti questi mezzi e non ci sono più mezzi diplomatici e giurisdizionali per risolvere la controversia
allora si potrà reagire in contromisura.

Vi sono delle norme del diritto internazionale che non possono essere mai violate come contromisura:

• Rispetto del divieto dell’uso della forza, dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario, dello jus cogens e delle
immunità diplomatiche (art. 50).

Uno stato non può contribuire ad una contromisura che consista nell’utilizzo dell’uso della forza. L’uso della forza è possibile solo
in legittima difesa (se lo stato subisce un attacco armato).
Uno stato non può adottare una contromisura che consista nella violazione dei diritti umani.
Uno stato non può adottare una contromisura che consista nel diritto internazionale umanitario (branca del diritto internazionale
che stabilisce come devono essere condotti i conflitti armati).
Uno stato non può adottare una contromisura che consista l’uso dello jus cogens.
Uno stato non può adottare una contromisura che consista l’uso delle norme delle immunità diplomatiche.

• Contromisure e obblighi erga omnes (artt. 48 e 54)

Gli obblighi erga omnes sono gli obblighi che uno stato si assume nei confronti di tutti gli stati.

ARTICOLO 48- Invocazione della responsabilità da parte di uno Stato diverso da uno Stato leso

Si dice che se l’obbligo che lo stato viola nel momento in cui compia un illecito internazionale, è un obbligo che ha assunto nei
confronti di tutti gli altri stati, allora a ricorrere alla contromisura potrà essere uno qualsiasi degli altri stati anche lo stato che
non è stato direttamente leso (ad esempio, se si tratta di un trattato: qualsiasi stato del trattato può ricorrere ad una
contromisura).

N.B. queste norme sono ritenute da molti come non rappresentative del diritto internazionale consuetudinario perché la quesitone
della possibilità di reagire ad una contromisura in caso di violazione di obblighi erga omnes è ancora piuttosto contestato.

37
L’USO DELLA FORZA
Il divieto dell’uso della forza si è affermato pian piano nel
diritto internazionale, infatti fino al diciannovesimo secolo la
forza era consentita.

Il primo passo è stata la Seconda convenzione dell’AJA (1907)-


Convenzione Drago-Porte.

La convenzione prende il nome dall’allora ministro degli esteri


argentino (Drago) e il delegato degli Stati Uniti d’America
(Porte).

In questa convenzione, che valeva solo per gli stati che l’avevano
ratificata, limitava l’uso della forza per il recupero dei debiti.
Veniva stabilito che nel caso in cui uno stato fosse in debito con un altro stato e non fosse in grado ad adempiere a questi debiti;
questo stato non poteva reagire usando la forza.

Il secondo passo è rappresentato dalla Società delle nazioni. Nel trattato istitutivo della Società delle nazioni non c’era un divieto
assoluto dell’uso della forza però si cercava di circoscrivere gli stati nell’uso di essa.
Nella carta istitutiva veniva stabilito che in casso di controversia tra stati, gli stati si impegnavano a risolvere la loro controversia
con mezzi PACIFICI, e solo eventualmente avrebbero utilizzato la forza.

Il terzo passo è stato fatto dalla convenzione Briand-Kellog (1928) la quale è dedicata alla questione del divieto dell’uso della forza.
La convenzione era formata solo da tre articoli e diceva che in caso di controversia gli stati si impegnavano a risolvere la loro
controversia in maniera pacifica e non avrebbero fatto ricorso all’uso della forza.

La convenzione venne ratificata da una quarantina di stati, scoppiò però la seconda guerra mondiale e al termine della stessa gli
stati si dettero un obbiettivo: che non ci fossero altre guerre.
Gli stati a SF crearono una nuova Organizzazione Internazionale (le Nazioni Uniti- ONU) che doveva sostituire la società delle nazioni
(che aveva fallito nella sua missione) e quindi l’obbiettivo primario era quello di creare un’organizzazione internazionale che si
occupasse dell’uso della forza.

Nell’articolo 2 della Carta delle Nazioni Unite, si trova sancito il divieto dell’uso della forza:

• Art. 2, par.4, della Carta delle Nazioni Unite:

«I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità
territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite»

L’articolo sancisce che gli stati membri non devono usare la forza e non devono minacciare l’uso della forza.
Ci si è chiesti in letteratura che cosa si intende per “uso della forza” (solo la forza militare? O anche la forza economica/
finanziaria?). L’intenzione di chi ha redatto la carta era quello di considerare il termine forza nel senso di “forza armata”.

La norma è una norma del diritto internazionale pattizio (in quanto è sancita in quest’articolo della carta) che corrisponde al
diritto internazionale consuetudinario (quindi vale anche per gli stati che non sono membri dell’ONU) e si ritiene anche che la
norma sia una norma di Jus Cogens (quindi gli stati non possono fare trattati che utilizzino l’uso della forza).

38
LE DUE GRANDI ECCEZIONI AL DIVIETO DELL’USO DELLA FORZA:

• La legittima difesa

• L’uso della forza deciso o autorizzato dal consiglio di sicurezza

LA LEGGITTIMA DIFESA

La legittima difesa è espressamente autorizzata dalla Carta delle Nazioni Unite:

• Art. 51 della Carta delle Nazioni Unite:

«Nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di legittima difesa individuale o collettiva, nel caso che
abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure
necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di
legittima difesa sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere
ed il compito spettanti, secondo la presente Carta, al Consiglio di sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quella azione
che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale»

L’articolo prevede la possibilità per gli stati di usare la forza armata in legittima difesa, quindi come risposta a un attacco subito.

LE CARATTERISTICHE DELLA LEGITTIMA DIFESA:

NOZIONE DI ATTACCO ARMATO

La legittima difesa è difesa come reazione a un


“attacco armato subito”.
Quindi non si può reagire come legittima di fesa
semplicemente perché un altro stato ha “minacciato”
di usare la forza. È possibile esercitare la legittima
difesa solo si è subito un attacco armato.

LEGITTIMA DIFESA INDIVIDUALE O COLLETTIVA

La legittima difesa può essere individuale o collettiva, quindi è un diritto di chi subisce l’attacco (è un diritto, non è un obbligo).
Lo stato che ha subito l’attacco può chiedere poi ad altri stati di aiutarlo in questa reazione. Ad esempio durante la prima guerra in
Iraq di Saddam Hussein che invase il Kuwait, il Kuwait ha chiesto agli altri stati dell’ONU di intervenire aiutandolo nel respingere
l’attacco armato (gli stati, tra cui l’Italia intervennero—> “collettiva”).

A volte questo consenso può essere dato ex ante: ci sono dei trattati che prevedono che nel caso in cui uno degli stati parte
subiscono un attacco armato, gli altri stati lo possono considerare come un attacco nel loro confronti e potranno reagire.

Un trattato di alleanza militare che prevede questa clausola del consenso data ex ante è ad esempio il trattato della NATO che
prevede all’articolo 5 che se uno stato parte dovesse subire un’attacco armato, gli altri stati potrebbero agire in legittima difesa
collettiva. L’ucraina vorrebbe diventare membro della NATO ma la Russia è contraria, perché se ciò avvenisse questo darebbe la
possibilità agli altri stati di intervenire in legittima difesa collettiva.

39
REQUISITI PER L’ESERCIZIO DELLA LEGITTIMA DIFESA

• Necessità
Lo stato che reagisce in legittima difesa può reagire solo in caso di NECESSITÀ.
Quindi solo se non esistono altre misure altrettanto utili all’attacco armato che si è subito.

• Proporzionalità
Ci deve essere proporzione tra l’attacco armato subito e la reazione

• Immediatezza
La reazione deve essere immediata (è difficile però dare un tempo- una settimana? Un mese?).
Ad esempio le isole Falkland (Argentina) chiedevano l’indipendenza dal Regno Unito perché volevano essere considerate parte del
territorio argentino. L’argentina mandò le sue truppe su queste isole, c’è stato un’attacco armato e il regno unito reagì con
immediatezza e dopo qualche settimana le truppe inglesi arrivarono sul territorio delle isole (ci volle qualche settimana per fare
spostare l’esercito).

Questi tre requisiti (necessità, responsabilità e immediatezza) non sono esplicitati nell’articolo 51 della carta ma si ritiene che
facciano parte del diritto internazionale consuetudinario

NOTIFICA AL CONSIGLIO PER L’ESERCIZIO DELLA LEGITTIMA DIFESA

Quest’ultimo è esplicitato nell’articolo 51 ma non si ritene che faccia parte del diritto internazionale consuetudinario.

CONSENSO DELLO STATO ATTACCATO

A volte questo consenso può essere dato ex ante: ci sono dei trattati che prevedono che nel caso in cui uno degli stati parte
subiscono un attacco armato, gli altri stati lo possono considerare come un attacco nel loro confronti e potranno reagire.

Un trattato di alleanza militare che prevede questa clausola del consenso data es ante è ad esempio il trattato della NATO prevede
all’articolo 5 che se uno stato parte dovesse subire un’attacco armato, gli altri stati potrebbero agire in legittima difesa collettiva.
L’ucraina vorrebbe diventare membro della NATO ma la Russia è contraria, perché se ciò avvenisse questo darebbe la possibilità agli
altri stati di intervenire in legittima difesa collettiva.

SISTEMA DI SICUREZZA
COLLETTIVA

Un’altra eccezione all’uso della forza è il


sistema di sicurezza collettiva.

CAP. VII DELLA CARTA DELLE NAZIONI


UNITE

Il potere di quando e se usare la forza è


stato dato all’ ONU e lo troviamo
enunciato nel capitolo VII della carta delle
Nazione Unite. Il capitolo VII è dedicato al
sistema di sicurezza collettiva.

I PRESUPPOSTI PER L’AZIONE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA (art.39): MINACCIA ALLA PACE, VIOLAZIONE DELLA PACE, ATTO DI
AGGRESSIONE

• Art. 39

“Il Consiglio di Sicurezza accerta l’esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di aggressione, e fa
raccomandazioni o decide quali misure debbano essere prese in conformità agli articoli 41 e 42 per mantenere o ristabilire la pace e
la sicurezza internazionale”.

40
L’ONU può intervenire decidendo di usare la forza nel caso in cui si vertici una delle situazioni che sono indicate nell’ art.39 della
Carta delle Nazioni Unite.

I presupposti per l’azione del consiglio di sicurezza sono: la minaccia alla pace, la violazione della pace e l’atto di aggressione.

La carta non definisce che cosa si intende per “minaccia alla pace” (quali sono le situazioni in cui si verifica una minaccia alla
pace?), allora il consiglio di sicurezza ha fatto rientrare in queste situazioni di minaccia alla pace situazioni molto diverse tra di loro
(ad esempio l’oppressioni di una minoranza, una guerra civile).

Quando il consiglio di sicurezza ricorre a una delle misure indicate nel Capitolo VII della carta, di solito come presupposto della sua
azione mette “minaccia alla pace”, perché è l’espressione più generica e si presta a situazioni diverse.

Quando il consiglio di sicurezza constata che ci sia stata una minaccia alla pace, può intervenire con quattro tipi di misura:

• Raccomandazione (art.39)
Il consiglio di sicurezza presenta una raccomandazione generica agli stati in cui li invita a risolvere una controversia in maniera
pacifica (esempio: risolvete la situazione in maniera diplomatica)

• Misure provvisorie (art.40)


Le misure provvisorie sono NON vincolanti, sono raccomandatorie. Devono essere un invito a fare o non fare una certa cosa.
Il consiglio di sicurezza prima di fare una raccomandazione, può invitare le parti ad ottemperare alle misure provvisorie.

• Misure non implicanti l’uso della forza (art.41)


Il consiglio di sicurezza può decidere quali misure, non implicanti l’uso della forza armata, debbano essere adottate per dare
effetto alle sue decisioni. L’articolo indica quali potrebbero essere le misure, come ad esempio l’interruzione delle relazioni
economiche o delle comunicazioni ferroviarie, marittime etc..

Le misure non sono vincolanti, ma raccomandatorie.

• Misure implicanti l’uso della forza (art.42)

Se il consiglio di sicurezza ritiene che le misure previste nell’articolo 41 siano inadeguate, esso può ricorrere all’uso della forza. In
questo caso le misure sono vincolanti.
Il consiglio di sicurezza può intervenire utilizzando la forza solo se prima ha utilizzato le misure non implicanti l’uso della forza.

Il capitolo VII ha altri articoli a partire dal 43 i quali prevedono la creazione di un esercito dell’ONU. Questo perché l’idea principale
di chi ha redatto la carta delle nazioni unite era quella di creare un esercito. Questi accordi tra gli stati membri delle nazioni unite
non sono mai stati conclusi.

SISTEMA DI SICUREZZA COLLETTIVA

Il consiglio di sicurezza ha dovuto sopperire a questa


mancanza di avere un esercito e pertanto ha seguito due
strategie:

1.Da un lato creando delle forze di peace-keeping

2.Dall’altro, non dispendendo di un proprio esercito, ha


autorizzato gli stati membri a usare loro la forza (non
avendo un esercito).

PEACE-KEEPING, PEACE-BUILDING E PEACE-ENFORCEMENT

Quest’istituto ha subito un evoluzione nel corso del tempo: le prime forze di peace-keeping (noti come Caschi Blu) erano dei
militari che erano mandati come forze di interposizione.
Tipicamente i peace-keeping intervenivano quando c’era una guerra tra due stati o c’era rischio che i due stati si facessero la guerra.
L’unico compito delle forze di peace-keeping era quello di interporsi tra i due contendenti (al fine che le due parti contendenti
stessero separate e non avessero modo di entrare in collisione). I peace-keeper non erano autorizzati a usare la forza.

41
Le forze di peace-keeping venivano mandati solo se vi era il consenso delle parti contendenti.

I peace-keeper hanno visto man mano aumentare nuove competenze, tanto che a un certo punto si è parlati di peace-building.
Questo perché si è iniziato a dare alle missioni di pace non più dei meri compiti di interposizioni, ma dei compiti più attivi e a
costruzione della pace; si è inoltre dato maggiore possibilità di usare le armi.

Dal peace-building si è passato ai peace-enforcement a cui a partecipare non sono solo militari ma civili. Persone che vengono
mandate con lo scopo di aiutare le istituzioni locali a ristrutturarsi o a costruirsi (es. l’intervento in Kosovo).

Le operazioni di peace-keeping non sono previste sulla carte, è una cosa che il consiglio di sicurezza ha iniziato a fare nel corso
della storia e non sulla base di una di queste norme.

Tutte queste operazioni (peace-keeping, peace-building e peace-enforcement) si caratterizzano per il fatto che debba esserci
sempre e comunque il consenso degli stati su cui essi vengono mandati.

AUTORIZZAZIONE ALL’USO DELLA FORZA DA PARTE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA

L’altra strategia impiegata dal consiglio di sicurezza per ovviare alla mancanza del proprio esercito è quella di autorizzare lo stato ad
usare il proprio esercito, dando comunque delle direttive (a volte il consiglio di sicurezza ha indicato quale tipo di forza utilizzare:
es. solo forze aree).

USO DELLA FORZA AUTORIZZATO E ORGANIZZAZIONI REGIONALI (art. 53)

Nella carta delle nazioni unite una norma specifica riguardo all’uso della forza e le organizzazioni regionali.
Il consiglio di sicurezza spesso ha autorizzato le organizzazioni regionali, più che gli stati (es. Unione africana). Quindi lo stato
autorizza quella specifica organizzazione ad intervenire militarmente in determinati paesi.
La norma dice anche che l’organizzazione regionale può intervenire solo se c’è l’autorizzazione dell’uso della forza da parte del
consiglio di sicurezza.

IL RUOLO DELL’ASSEMBLEA GENERALE

Come già accennato, l’assemblea generale si occupa di tutte le materie di competenze delle nazioni unite (es. promozione diritti
umani, promozione del progresso economico di stati e popolazioni, etc..), quindi si può occupare del mantenimento della pace e
della sicurezza internazionale.

C’è stato un periodo di tempo che il consiglio di sicurezza è stato inattivo e di fronte a questa inattività, il consiglio di sicurezza ha
preso coraggio e ha addotto negli anni ’60 una risoluzione in cui ha affermato che in caso di inattività del consiglio di sicurezza
la stessa assemblea generale si dava il compito di intervenire adottando misure sancite nel capitolo VII della carta delle nazioni
unite.

Gli stati membri permanenti del consiglio di sicurezza hanno protestato e questa iniziativa non ha avuto seguito.

ALTRE IPOTESI DI USO LEGITTIMO DELLA FORZA?

Ci si chiede se sia possibile usare la


forza da parte degli stati anche per
ragioni diversi rispetto alla legittima
difesa e all’autorizzazione del consiglio
di sicurezza.

42
LEGITTIMA DIFESA PREVENTIVA (pre-emptive self-defence / preventive self-defence)

L’ex presidente degli Stati Uniti d’America George W. Bush è stato il primo a teorizzare l’uso legittimo della forza come difesa
preventiva.

A un certo punto gli Stati Uniti, all’indomani dell’attentato delle torri gemelle, reclutò che nell’ambito della legittima difesa,
potesse rientrare la legittima difesa preventiva. Cioè quella legittima difesa che scatta ancora prima di subire un attacco, quindi
una legittima difesa nel timore di essere attaccati.

La teoria è stata molto criticata perché nella Carta delle Nazioni Unite non viene considerata l’ipotesi: l’articolo 52 è infatti molto
chiare a parlare di legittima difesa in “reazione ad un attacco subito”.

L’amministrazione statunitense ha applicato questa teoria, per cui nel 2003 Stati Uniti e Regno Unito hanno invaso l’Iraq, perché
ritenevano che l’Iraq possedesse delle armi di distruzione di massa. Con questo timore, questi due paesi sono intervenuti.
L’intervento è stato molto criticato dagli altri stati e si è altrettanto discusso sulla legittimità o meno di questa prassi.

La dottrina, sulla validità o meno della legittima difesa come misura preventiva, afferma che ci sarebbero due tipi di legittima
difesa preventiva:

1. Pre-emptive self-defence: sarebbe la legittima difesa a cui lo stato ricorre qualora ritenga che ci siano delle prove di un attacco
imminente.
Questo tipo di legittima difesa preventiva è per lo più ritenuta lecita.

2. Preventive self-defence: è ritenuta illegittima quando non ci sono le prove di un’attacco imminente (possono esserci delle
prove ma se l’attacco non è considerato imminente allora è illegittima- l’attacco all’Iraq è stato considerato illegittimo).

INTERVENTO A PROTEZIONE DEI CITTADINI ALL’ESTERO

Si è discusso se sia lecito intervenire usando la forza per difendere i propri cittadini all’estero.
Premessa che l’attacco dei propri militari all’estero equivale ad un attacco dello stato, quindi lo stato può intervenire per legittima
difesa (es. in Afghanistan ci sono militari americani, se attaccassero i militari allora lo stato può intervenire legalmente per
difendere i propri militari).

Se essere attacchi non sono dei militari ma sono dei cittadini? Lo stato potrebbe intervenire?
è una questione che si è discusso per anni, sopratutto per Stati Uniti e Israele che premevano sull’uso della forza per difendere i
propri cittadini all’estero ma gli altri stati non hanno seguito quest’idea, per cui oggi non è lecito usare la forza per proteggere i
propri cittadini all’estero.

*a meno che non ci sia il consenso dello stato territoriale

INTERVENTO UMANITARIO

Per intervento umanitario si intende l’uso della forza a difesa dei cittadini nei confronti a cui si interviene. Ad esempio la Siria sta
violando i diritti fondamentali dei cittadini siriani. La comunità internazionale legittima gli altri stati ad intervenire militarmente?
Anche questa è una questione molto discussa, perché c’erano degli stati che premevano per riconoscere l’intervento umanitario.

La dottrina è un po’ divisa (chi sosteneva l’intervento umanitario per difendere i cittadini), possiamo però ritenere che l’intervento
umanitario non sia attualmente lecito (non c’è una norma nel diritto internazionale consuetudinario che legittima l’intervento).
Forse si sta formando una norma umanitaria su questo punto.

RESPONSABILITY TO PROTECT

Questa teoria va al di la dell’intervento umanitario: chi sostiene la responsability protect ritiene che la comunità internazionale gli
stati hanno l’obbligo di intervenire per tutelare i diritti fondamentali, in quei paesi dove i diritti non vengono rispettati.

L’intervento umanitario è più un riflettere se si possa intervenire, la responsability protect si focalizza sulla questione dell’obbligo.
Anche questa però non è stata seguita dagli altri stati: non si è formata una norma nel diritto internazionale consuetudinario.

43
INTERVENTI CONTRO IL TERRORISMO NAZIONALE

Qualche anno fa è capitato che gli stati siano intervenuti militarmente sul territorio di altri paesi a fronte del fenomeno del
terrorismo (es. intervento degli USA in Afghanistan). La norma però non si è formata nel diritto internazionale consuetudinario: la
forza rimane legittima so per legittima difesa e per autorizzazione dell’ONU.

LE IMMUNITÀ DEGLI STATI E DEI


LORO ORGANI

LE IMMUNITÀ DEGLI ORGANI


IMMUNITÀ DEGLI AGENTI DIPLOMATICI

Ratio dell’immunità degli agenti diplomatici

Gli ambasciatori portano immunità perché sono dei


privilegiati? No, cerchiamo di capire il perché.

Gli stati hanno bisogno di comunicare, e per


comunicare gli stati scambiano gli ambasciatori
(mandando nei reciproci territori dello stato). Solo
garantendo la sicurezza degli agenti diplomatici su un
altro territorio, ho la garanzia che gli agenti
diplomatici sul territorio straniero verranno
salvaguardati. Ecco dove è la ratio, non è una prerogativa di casta.

La convenzione di Vienna (1961) degli genti diplomatici, che è stata ratificata da 190 stati, appartiene al diritto internazionale
consuetudinario, garantisce l’immunità degli agenti diplomatici.

Quale è la procedura? È lo stato di invio che decide di mandare i suoi rappresentanti sul territorio di un altro stato e gli fornisce le
lettere credenziali. Lo stato di ricezione potrebbe rifiutare l’ingresso a quella persona (non può sceglierla ma può rifiutare
l’ingresso).

Lo stato di invio può anche decidere quanti agenti diplomatici mandare, entro comunque quello che la convenzione di Vienna
definisce “termini ragionevoli”.

Chi sono gli agenti diplomatici? I titolari delle immunità diplomatiche sono indicate nell’art. 37 della convenzione di Vienna.

• Art. 37

1. I membri della famiglia dell’agente diplomatico, che convivono con lui, godono dei privilegi e delle immunità menzionati
negli articoli 29 a 36, sempreché non siano cittadini dello Stato accreditatario.

2. I membri del personale amministrativo e tecnico della missione e i membri delle loro famiglie, che convivono con loro,
godono, sempreché non siano cittadini dello Stato accreditatario o non abbiano in esso la residenza permanente, dei privilegi
e delle immunità menzionati negli articoli 29 a 35, salvo che l’immunità giurisdiziona- le civile e amministrativa dello Stato
accreditatario, menzionata nel paragrafo 1 dell’articolo 31, non si applichi agli atti compiuti fuori dell’esercizio delle loro

44
funzioni. Essi godono altresì dei privilegi menzionati nel paragrafo 1 dell’articolo 36, per gli oggetti importati in occasione del
loro primo stabilimento.

3. I membri del personale di servizio della missione, che non sono cittadini dello Stato accreditatario né vi hanno la residenza
permanente, godono dell’immunità per gli atti compiuti nell’esercizio delle loro funzioni, dell’esenzione dalle imposte e tasse
sui salari che ricevono per i loro servizi e dell’esenzione prevista nell’articolo 33.

4. I domestici privati dei membri della missione, che non sono cittadini dello Stato accreditatario né vi hanno la residenza
permanente, sono esenti dalle imposte e tasse sui salari che ricevono per i loro servizi. Per ogni altro riguardo, essi non
godono dei privilegi e delle immunità, che nella misura ammessa dal detto Stato. Questo deve tuttavia esercitare la
giurisdizione su tali persone in maniera da non intralciare eccessivamente l’adempimento delle funzioni della missione.

A beneficiare sono gli agenti diplomatici (es. ambasciatore), i familiari, i membri del personale tecnico e amministrativo, i
membri del personale di servizio e i domestici privati dei membri della missione.

IMMUNITÀ DEGLI AGENTI DIPLOMATICI E DEI LORO FAMILIARI (la prima categoria):

TIPI DI PRIVILEGI E IMMUNITÀ

• Inviolabilità personale
gli agenti diplomatici godono di inviolabilità personale, non è possibile privare della libertà personale gli agenti diplomatici della
prima categoria e i loro familiari (non possono essere arrestati, non possono essere perquisiti).

• Inviolabilità domiciliare (i loro domicili non possono essere perquisiti),

• possono circolare su tutto il territorio dello stato

• godono di immunità di comunicazione (le loro telefonate non possono essere intercettate).

• Inviolabilità della valigia diplomatica (la loro valigia, quando si spostano da un paese all’altro, non è perquisibile). —> gli agenti
diplomatici godono di immunità anche quando si spostano da un paese all’altro, ad esempio l’ambasciatore tedesco che deve
venire in Italia e si ferma in Svizzera non può essere perquisito.

• Immunità della giurisdizione penale e civile (non possono essere sottoposti a processo).
l’immunità è di due tipi: funzionale e personale.
L’immunità funzionale vuol dire che l’agente diplomatico non può essere sottoposto a processo per quello che fa nell’esercizio
delle sue funzioni (nell’ambito del suo lavoro).

L’immunità personale dura, non solo per tutto il tempo del suo mandato, ma anche dopo. Quando ha finito il suo mandato. Vuol
dire che l’agente diplomatico gode di immunità per quello che fa anche al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni. es. se
l’ambasciatore francese italiano in Italia spara a qualcuno, non può essere processato per omicidio. —> dura solo per il periodo di
cui la persona è in carica.

C’è stata una polemica tempo fa perché il figlio di un diplomatico ha investito qualcuno e questo figlio non è stato sottoposto a
processo: di fronte a situazioni estreme di questo tipo cosa si può fare? Lo stato può decidere che quella persone è persona non
grata (e quindi potrebbe espellerlo). Oppure lo stato di invio potrebbe rinunciare all’immunità e allora in quel caso la persona
potrebbe essere sottoposta a processo (non è l’agente diplomatico a rinunciare all’immunità è lo stato di invio).

L’immunità penale è assoluta (quindi non è mai possibile sottoporre a processo penale l’agente diplomatico, tranne quando ha
finito il suo lavoro), l’immunità civile non è assoluta, ci sono dei casi in cui è possibile sottoporre a processo civile:
come ad attività commerciali o professionali (es. per questioni di attività personali, se la moglie dell’ambasciatore in Italia apre
un negozio e non paga i suoi fornitori, l’immunità viene meno) o per la proprietà e possesso di beni immobili (es. se ambasciatore
compra casa al mare e non paga persona a cui ha comprata casa, allora il venditore può denunciarlo), oppure per la materia
successoria (questioni ereditarie).

• Immunità fiscale (non pagano le tasse).

*il personale di servizio gode solo dell’immunità funzionale; anche la sede dell’ambasciata è inviolabile

45
Oltre agli agenti diplomatici ci sono altri organi dello
stato all’estero che godono di immunità. Ad esempio i
Capi di stato, I Capi di governo e Ministri degli esteri.

Si ritiene che a differenze dei Capi di stato che godono


sempre di immunità, per i Capi di governo e Ministri degli
Esteri, godono di immunità solo se sono in visita ufficiale
(la giurisprudenza non è sempre univoca, la pendenza
della giurisprudenza è che non godono dell’immunità per
motivi privati, ad esempio se vanno in vacanza).

—> gli altri organi stati di rango elevato non godono di questi privilegi.

Per quanto riguarda i consoli (che svolgono funzioni amministrative, es. rilasciare passaporti etc..), c’è una convenzione specifica, la
convenzione di Vienna sulle relazioni consolari. La convenzione non corrisponde pienamente al diritto internazionale
consuetudinario.
La convenzione prevede anche riguardo ai consoli, le immunità sopracitate (immunità funzionale e personale); quindi ai senesi di
questa convenzione i consoli sono quasi equiparati agli agenti diplomatici. Secondo il diritto internazionale consuetudinario i consoli
ricoprono solo immunità funzionali, quindi per gli stati che non hanno firmato la convenzione non sono ritenuti a riconoscergli
l’immunità personale.

Per quanto riguarda i corpi di truppa all’estero (militari) non c’è una convenzione o una norma nel diritto internazionale
consuetudinario. Gli stati quando mandano i propri militari fanno sempre degli accordi di SOFAs (Status of Forces Agreements): cioè
dei patti che gli stati fanno per mandare i loro militari nel territorio, a patto di accordi che vengono fatte.

Gli accordi prevedono che in caso in cui il militare all’estero commetta un illecito, che è un illecito solo per lo stato di invio, allora
ci sarà una competenza esclusiva a giudicare l’illecito da parte dei giudici dello stato di invio. Al contrario se il militare commette un
illecito che è tale solo per lo stati di ricezione, sussiste la competenza esclusiva dello stato di ricezione.

Ad esempio: bruciare la bandiera italiana in Italia è un reato, se un militare statunitense brucia bandiera italiana in Italia commette
un illecito solo per la legge italiana e saranno i giudici italiani a giudicarla; se invece, il militare commette un illecito che è un
illecito sia per la legislazione dello stato di invio sia per la legislazione dello stato di ricezione, accade che i SOFAS dicono che
competente sono i giudici dello stato di invio se quell’atto illecito è compiuto nell’esercizio delle funzioni. Se l’illecito è stato
compiuto non nell’esercizio delle sue funzioni, allora l’illecito sarà giudicato dallo stato che riceve i militari.

Nella strage del Cermis un aereo militare statunitense tranciò i cavi della funivia provocando la morte di 19 turisti e del
manovratore della cabina. L’omicidio colposo è un atto illecito sia in Italia che negli Stati Uniti, essendo l’atto illecito compiuto
durante l’esercizio delle funzioni competente è quindi lo stato di invio. I militari sono stati processati quindi in America.

La questione si complica però quando non c’è un SOFAs e quando non c’è una convenzione. Il militare che commette un illecito nei
confronti della persona sul territorio un territorio di uno stato diverso rispetto al territorio di cittadinanza militare e lo stato di
cittadinanza della vittima.
Ad esempio agli inizi degli anni è accaduto che in Iraq una giornalista italiana era stata sequestrata e poi liberata.
L’auto che portava la giornalista e Calipari (il mediatore per la liberazione), c’è stato un posto di blocco statunitense. I militari
statunitensi dicono he hanno fatto segno all’auto di fermarsi e non si è fermata, la giornalista dice che questo segno di stop non è
stato fatto. Fatto sta che i militari hanno sparato e hanno ucciso Calipari. L’Italia voleva sapere chi era il militare che aveva sparato
per processarlo e gli stati uniti non hanno voluto.

In questo caso non c’è un SOFAs e non c’è una legge del diritto internazionale consuetudinario, è successo che il militare che ha
sparato è stato sottoposto a processo dal tribunale statunitense.

46
IMMUNITÀ DEGLI STATI STRANIERI

Regola di diritto internazionale


consuetudinario, anche gli stati godono di
immunità, perché tra “pari” non ci si giudica.

Il principio di immunità degli stati è


conseguenza del principio del divieto di
intervento negli affari interni ed è anche
frutto del principio di reciproco rispetto della
sovranità degli stati.

L’immunità degli stati si basa su quella che


una volta era l’immunità dei sovrani, quando
prima c’erano i Re, gli stessi si riconoscevano
reciprocamente l’immunità. Questa immunità del monarca si è poi trasferita allo stato.

L’immunità degli stati si basa sulla formula latina Par in parem non habet jurisdictionem, sta a significare che tra pari non ci si
giudica: la comunità internazionale è una comunità tra pari.

IMMUNITÀ RELATIVA

Fino a un secolo fa questa immunità era un immunità assoluta, perché non era mai possibile sottoporre a processo un altro stato. Poi
nel corso del tempo hanno iniziato a farsi lago delle eccezioni: alcuni giudici nazionali, in particolarità belgi e italiani, nella seconda
metà del diciannovesimo secolo (abbiamo le prime sentenze) hanno iniziato a dire che è vero che esiste il principio di immunità ma
che in alcuni casi questa immunità può venire meno.

Si è affermata l’idea dell’immunità relativa, ciò significa che in alcuni casi l’immunità viene meno e gli stati possono essere
sottoposti a giudizio. Quando però l’immunità sussiste o meno? Secondo questa teoria l’immunità c’è o non c’è dipendentemente
dall’atto che viene compiuto, si fa la distinzione tra:

1. Atti jure imperii, sono gli atti che lo stato compie nell’esercizio delle sue prerogative sovrane (atti che compie lo stato in
quanto stato).

2. Atti jure gestionis, sono gli atti che lo stato compie non nell’esercizio delle sue prerogative sovrane ma che compie al di
fuori delle sue funzioni tipiche. Ad esempio l’attività imprenditoriale dello stato, a volte lo stato ha aziende e società.
L’azienda dello stato svolge funzioni che non rientrano nelle prerogative dello stato.

In teoria è una distinzione abbastanza intuitiva ma nella pratica ci sono degli atti che ci si chiedi se siano atti di natura Jure Imperii
o gestionis. Ad esempio il caso dell’aereo militare statunitense del Cernina, essendo un atto jure imperii lo stato italiano non
avrebbe potuto sottoporre a processo lo stato Statunitense.

Ci sono altri casi però in cui la differenza è sfumata, ad esempio l’acquista della scrivania e del computer dell’ambasciatore in Italia.
Ecco la compravendita di beni che tipo di atto è? Se guardiamo alla natura dell’atto è un atto jure gestionis, ma se guardiamo la
funzione per cui il bene è stato acquistato (quello di permettere all’ambasciatore di svolgere le loro funzioni) allora è un atto jure
imperii.

La gran parte degli stati, tra cui il nostro, non hanno legge specifica sul tema dell’immunità e quindi è la giurisprudenza a
decidere(tribunali e corte di cassazione) se quello è un atto Juri imperii o Juri gestiones.

Altri paesi, in particolari quelli di Common law (es. Regno Unito, USA, Canada, Australia) esistono delle leggi la quale stabilisce il
principio dell’immunità salvo il prevedere una serie di eccezioni per cui l’immunità viene meno. Queste leggi di common law sono
state prese come modello per la codificazione del diritto internazionale in materia.

47
CONVENZIONE DI NEW YORK SULLE IMMUNITÀ GIURISDIZIONALI DEGLI STATI E DEI LORO BENI

C’è una convenzione, la convenzione di New York sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni (2004) che non è ancora
entrata in vigore perché non ha ancora raggiunto il numero di ratifiche necessarie per entrare in vigore, l’Italia l’ha ratificata.

La convenzione di New York riconosce il principio di immunità e prevede una serie di eccezioni per quanto riguarda le questioni
riguardanti

1. la proprietà

2. possesso di beni; (quindi gli stati godono di immunità ad eccezione di questioni riguardanti la proprietà e il possesso di beni).

3. Partecipazione a società (es. stato che fa imprenditore)

4. In materia di responsabilità extra-contrattuale

5. In caso di domanda riconvenzionale,


ciò vuol dire che se è lo stato a essersi rivolto a un giudice allora deve essere possibile per la persona che è stata citata in
giudizio dallo stato presentare delle domande riconvenzionali: in questo caso l’immunità non sussiste perché è lo stato che si è
rivolto al giudice e in questo modo ha autorizzato il giudice a occuparsi della controversia.

In materia di controversie di lavoro la distinzione tra atti Juri imperii e Juri gestionis si fa ancora più complicata.

Ad esempio ambasciata francese in Italia assume bibliotecario, supponiamo che al bibliotecario non venga pagato lo stipendio, il
bibliotecario si rivolge al giudice. Ma il giudice può sottoporre a processo la Francia? In questo caso si applica la teoria dell’immunità
relativa, si va a vedere gli atti che quella persona compiva.
Se quella persona svolgeva funzioni che rientrano nello Juri imperii c’è immunità, se si tratta di atti Juri gestiones allora
l’immunità viene meno.
Ma come si fa capire se uno esercita funzioni Juri imperii o Juri gestiones? La giurisprudenza italiana, in caso di dubbio, finora ha
avvalorato il principe di immunità (nel dubbio si applica l’immunità).

La giurisprudenza italiana ha iniziato a dire che dipendeva anche dall’oggetto e dalla questione sottesa alla controversia. I giudici
italiani hanno iniziato a dire che se è una questione patrimoniale, allora l’immunità viene meno.
Ad esempio se un dipendente dell’ambasciata francese dovessero accusare l’ambasciata di mobbing si deve riconoscere l’immunità,
invece per questioni patrimoniale (es. viene non pagato) allora si disconosce l’immunità.

• Art. 11
Anche la convezione di New York ha un articolo in materia specifica riguardo alle controversie di lavoro.

il primo paragrafo dice che in materia di rapporti di lavoro non c’è l’immunità; il paragrafo due prevede delle eccezioni, “il
paragrafo 1 non sussiste quando”:

1. Il dipendente è stato assunto per svolgere funzioni nell’esercizio di attività di governo (atti Juri imperii)
2. Il lavoratore sia un agente diplomatico o console; o comunque un soggetto che gode di immunità diplomatica
3. Se quello che il lavoratore chiede è il rinnovo del contratto (l’immunità dello stato c’è, quindi il giudice non può pronunciarsi)
4. In caso in cui la questione sia relativa ad un licenziamento
5. (Vedi gli altri esempi)

Riconoscere l’immunità agli stati significa disconoscere il diritto di accesso a un giudice, che è un diritto fondamentale.

Vi è poi la questione se l’immunità degli stati


anche in relazione alla violazione delle norme sui
diritti umani.

Quindi, ci si è chiesti se sia prevista un’ulteriore


eccezione all’immunità: riguardante la violazione
dei diritti umani.
La giurisprudenza italiana va nella direzione verso
cui si sarebbe affermata questa norma nel diritto
internazionale consuetudinario che prevede un
ulteriore eccezione alla regola dell’immunità.

48
La prima sentenza è il caso Ferrini (2004), Ferrini è un cittadino italiano che era stato deportato dai tedeschi ed era stato portato in
Germania a lavorare in un campo di lavoro. Ferrini sopravvissuto e tornato in Italia si è rivolto ai giudici italiani che hanno esaminato
la sua domanda e sono giunti ad affermare che avesse diritto ad un risarcimento. La corte di cassazione italiana riconosce che al
principio di immunità dello stato ci sia un eccezione, ciò vuol dire che l’immunità di uno stato verrebbe meno di fronte a gravi
violazioni dei diritti umani.

Dopo il caso Ferrini sono stati tanti i cittadini italiani che si sono rivolti ai giudici. Ad essersi rivolti ai giudici italiani erano anche
parenti di persone che erano state uccise durante gli eccidi. I giudici italiani come nel caso Ferrini non hanno seguito il principio di
immunità e hanno richiesto il risarcimento del danno.

Terza categoria di soggetti (oltre a quella di Ferrini o ai parenti delle vittime) che si sono rivolti a giudici sono i militari catturati dai
tedeschi e trattenuti in campi di prigionia senza rispetto delle norme del diritto internazionale umanitario. I giudici italiani anche in
questo caso non hanno riconosciuto l’immunità dello stato tedesco condannando la Germania.

CASO GERMANIA c. ITALIA:

Ne è nata quindi una controversia tra Germania che sosteneva che l’Italia stava violando il principio di immunità e l’Italia stessa.
Quindi la Germania si è rivolta alla corte internazionale di giustizia che nel 2012 ha pronunciato la sua sentenza.

Come abbiamo già detto quando viene presentata una controversia alla corte internazionale di giustizia per risolvere quel caso
applica le fonti del diritto internazionale. La prima fonte che deve andare a vedere sono i trattati, c’è un trattato sull’immunità
degli stati che non è ancora entrato in vigore: la convenzione di New York.

La corte l’ha tenuta comunque in considerazione perché anche se non è ancora entrata in vigore è utile andare a vedere il testo e i
lavori preparatori e va a vedere la PRASSI degli stati.
Cioè il comportamento adottato dagli stati in precedenza in occasioni analoghe: si va a vedere cosa hanno dichiarato gli stati durante
i lavori preparatori, oppure si ricostruisce la legislazione degli stati (se gli stati hanno delle leggi in materia di immunità e se ci sono
quale è il contenuto di queste leggi), andare poi a vedere le sentenze dei giudici nazionali di tutti i paesi del mondo per vedere come
applicano il principio di immunità.

Quindi la corte va a vedere le sentenze dei giudici nazionali per vedere se si è creata questa eccezione al principio dell’immunità,
che fa venire meno l’immunità in caso di gravi violazioni dei diritti umani. La CIG si rende conto che sono solo i giudici italiani non
riconoscevano il principio di immunità. Da questa ricostruzione della PRASSI degli stati la corte pronuncia che l’Italia ha torto,
vige l’immunità.

La sentenza della CIG è stata criticata, ma la CIG ha ricostruito la prassi e ha solo fatto valere la norma. La colpa è degli stati che
non hanno firmato la convenzione.

Il caso è finito poi davanti alla corte costituzionale italiana lamentando il fatto che riconoscere l’immunità in questi casi, significa
disconoscere il diritto di accesso a un giudice. La corte costituzionale ha detto che in caso di conflitto tra una norma del diritto
internazionale consuetudinario e in una norma della nostra costituzione, deve prevalere la norma costituzionale. La corte
costituzionale ha quindi disobbedito alla CIG.

La convenzione di NY non prevede nessuna norma riguardo alla violazione dei diritti umani, però c’è una norma (art.12) che
potrebbe essere utilizzata in caso di violazione dei diritti umani.

• Art. 12 (vedi su internet l’articolo 12) della Convenzione di New York del 2004: torta exception

L’articolo 12 afferma che l’immunità viene meno relativamente a richieste di risarcimento del danno in caso di morti, lesioni o
risarcimento del danno; se l’azione è avvenuta in tutto o in parte sul territorio di questo altro stato.

Ciò significa che adesso come adesso non c’è una norma, ma semmai dovesse entrare in vigore la convenzione di New York
potrebbe essere un modo per scalfire il principio di immunità anche riguardo alla violazione dei diritti umani.

Gli stati godono di immunità in caso di misure cautelari ed esecutive. Quindi se lo stato non paga il risarcimento di un
determinato danno, gode comunque di immunità? I giudici internazionali possono pignorare i beni di uno stato?
Sul punto la giurisprudenza dei giudici italiani dicono che è possibile pignorarli, solo sono beni non destinati alla funzione
pubblica. Es se la Francia non paga il bibliotecario, l’Italia non può sequestrare l’ambasciata Francese (perché serve allo stato per
esercitare le sue prerogative sovrane).
Può il giudice italiano sequestrare i conto-correnti francesi in Italia? È una questione dubbia perché i contocorrenti servono per
esercitare funzioni dello stato.

49
Nella sentenza della corte costituzionale Germania-italia, la CIG si è pronunciata. L’Italia aveva infatti sequestrato villa Vigoni
(tedesca) per poi metterla all’asta, e la CIG si era pronunciata dicendo che era illegittimo. Questo perché villa Vigoni è un centro
culturale, e il centro culturale deve essere considerato come strumenti che lo stato utilizza per esercitare le prerogative sovrane.

50
LA TUTELA DELL’INDIVIDUO
NELL’AMBITO DELLE NAZIONI
UNITE

Riprendendo i concetti affrontati all’inizio del corso,


possiamo dire che l’individuo non è un soggetto del
diritto internazionale vero e proprio. È ultimamente
considerato un soggetto del diritto internazionale, ma
solo con una soggettività LIMITATA.

Questo perché l’individuo è titolare di diritti, in


particolare del diritto di ricorso a un giudice ed è
destinatario di un obbligo: quello di non commettere crimini internazionali.

La tutela dei diritti umani è una branca del diritto internazionale che si è sviluppata di fatto a partire dal secondo conflitto
mondiale. Prima non cerano norme internazionali a tutela dei diritti umani, vi erano delle costituzioni: alcuni stati avevano
costituzioni che riconoscevano dei diritti fondamentali a favore dei loro cittadini.

Quale era la situazione prima della nascita delle nazioni unite nell’ambito dell’ordinamento giuridico internazionale?

Joseph Gobbles, ministro della propaganda della Germania nazista, affermò davanti al consiglio della Società delle Nazioni:

“Gentiluomini, noi siamo signori e padroni della nostra casa. Siamo uno stato sovrano; ciò che ha detto questo individuo non vi
riguarda. Trattiamo i nostri socialisti, pacifisti ed ebrei in qualsiasi modo vogliamo. Non rispondiamo né all’umanità né alla Società
delle Nazioni”

Questa risposta venne data quando un ebreo tedesco, inviò una lettera di denuncia alla Società delle Nazioni unite; denunciando
come la Germania nazista trattava gli ebrei. La società delle nazioni chiese alla Germania conto del modo in stavano trattando gli
ebrei, e quella fu la risposta di Gobbles.

Quello che Gobbles disse nel 1933 corrispondeva al vero, perché non vi erano obblighi internazionali in materia. Non era sancito il
divieto di discriminazione nel diritto internazionale (c’erano solo costituzioni a livello statali).
È con la fine della seconda guerra mondiale che inizia a svilupparsi la dottrina dei diritti umani e iniziano poi a formarsi degli obbligo
a carico degli stati.

FRANKLIN D. ROOSEVELT, PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI D’AMERICA, 6 GENNAIO 1941, CONGRESSO

Dal punto di vista simbolico, il primo passo


nella creazione della dottrina dei diritti
umani, è rappresentato dalla dichiarazione di
Franklin D. Roosevelt.

A dimostrazione che furono alcuni stati (in


particolare USA) che hanno accesso quella
fiamma che ha portato alla creazione di
norme internazionali a tutela dei diritti
umani.

Roosevelt nel discorso parla nella necessità di asportare alcune libertà umane essenziali: gli stati uniti dovevano impegnarsi per
tutelare i diritti dell’uomo, ma questi diritti dovevano essere esportati “everywhere in the world”.

51
I diritti essenziali dell’uomo a cui lui fa riferimento sono:

• La libertà di parola ed espressione

• La libertà di religione

• La libertà dal bisogno, che significa la possibilità di vivere in un mondo in cui sono assicurate le condizioni di vita sane e pacifiche

• La libertà dalla paura, che si traduce per Roosvelt in una riduzione degli armamenti.

Questa dottrina si sviluppò dal 1941, furono vari i capi di stato a fare propria questa iniziativa: cioè la necessità di riconoscere dei
diritti a favore degli individui.

CARTA DELLE NAZIONI UNITE


Il primo momento in cui si creò
l’opportunità di individuare questi
diritti umani e riconoscere un
qualche impegno a carico degli stati
dei diritti umani è rappresentato
dalla Conferenza di San Francisco
(1945).

Durante la conferenza di San


Francisco, gli stati che
parteciparono, si trovavano a
discutere se dare o non dare alla
nuova organizzazione che si stava
costituendo una competenza a
tutelare i diritti umani.

Durante la conferenza di San Francisco si delinearono TRE diversi schieramenti:

1. Il primo è rappresentato dai paesi latino-americano, ma anche da paesi occidentali (Norvegia, Nuova Zelanda o Australia)
volevano che nella carta delle nazioni unite venisse scritto che gli stati hanno l’obbligo di tutelare i diritti umani.

2. Il secondo è rappresentato dai principali paesi occidentali (Regno Unito, Stati Uniti o Francia) non volevano scritto che gli stati
hanno l’obbligo di tutelare i diritti umani, ma volevano riconoscere una competenza alle Nazioni Unite a tutela dei diritti
umani.

3. Il terzo schieramento è composto dai pesi del blocco sovietico (Cecoslovacchia, Polonia, Ucraina) i quali non volevano ne che gli
stati avessero l’obbligo e ne di riconoscere competenze alle Nazioni Unite, il loro obbiettivo era quello di introdurre nella carta
delle nazioni unite alcuni diritti. In particolare puntavano sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, il diritto all’istruzione e
al lavoro.

Il negoziato portò ad un compromesso che si traduce nelle norme della carta delle Nazioni Unite in materia di diritti umani —> le
istanze dei paesi latino-americani non vennero accolte (c’è da dire che oggi gli stati hanno l’obbligo di tutelare i diritti umani, ma
nella carta non c’è scritto).

Il compromesso a cui giunsero gli stati nella conferenza di San Francisco, consiste nel fatto che è stato dato alle nazioni unite una
competenza a tutela dei diritti umani. Ma cosa prevede la carta?

• Art. 1:

l’articolo 1 è la norma in cui vengono elencati i fini delle nazioni unite (es. promozione della pace, risoluzioni delle controversi
internazionali etc.), al paragrafo tre dell’articolo 1 viene scritto:

“promuovere ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e della libertà fondamentali per tutti senza distinzioni di razza, di
sesso, di lingua o di religione”

Quindi tra i fini delle nazioni unite c’è quello della PROMOZIONE della tutela dei diritti umani.

52
L’aspetto importante di questa norma è il riferimento al divieto di discriminazione, quindi la promozione dei diritti fondamentali per
tutti (principio di universalità).

• Art. 55:

“Al fine di creare le condizioni di stabilità e di benessere che sono necessarie per avere rapporti pacifici ed amichevoli fra le
nazioni, basate sul rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti o dell’autodecisione dei popoli, le Nazioni Unite
promuoveranno:

(…)

c) il rispetto e l’osservanza universale dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzione di razza, sesso,
lingua o religione”.

Alle nazioni è stato assegnato il compito di promuovere il rispetto e l’osservanza dei diritti umani.

• Art. 56:

“I Membri si impegnano ad agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l’Organizzazione per raggiungere i fini
indicati all’articolo 55”.

Agli stati non è fatto l’obbligo di tutelare i diritti umani, ma si assumono l’impegno a collaborare con le Nazioni Unite.

L’azione delle Nazioni Unite a tutela dei diritti umani era all’inizio frenata da una norma: l’art. 2, par. 7:

“Nessuna disposizione del presente Statuto autorizza le Nazioni Unite ad intervenire in questioni che appartengono essenzialmente
alla competenza interna di uno Stato, né obbliga i Membri a sottoporre tali questioni ad una procedura di regolamento in
applicazione del presente Statuto; (…)”

La norma fa riferimento al principio del dominio riservato, ciò vuol dire che gli organi delle Nazioni Unite non possono interferire
in questioni meramente interne agli stati.
La norma centra con la tutela dei diritti umani perché, quando le Nazioni Unite sono nate; si riteneva che il modo con cui uno stato
tratta i propri cittadini rientra tra le questioni meramente interne dello stato.

Ecco allora che nella promozione della tutela dei diritti umani, le nazioni unite avevano questo grande freno: rappresentato dal
principio del dominio riservato. Per cui le nazioni unite potevano promuovere il rispetto dei diritti umani, ma non potevano far
nulla di fronte a uno stato che non tutelava i diritti umani, perché il modo in cui uno stato trattava i propri cittadini era una
questione meramente interna.

Tuttavia, nel corso del tempo, si sono creati una serie di strumenti a tutela dei diritti umani che hanno di fatto modificato il modo in
cui questa norma è stata interpretata.
Le nazioni unite hanno iniziato a dire che il modo in cui uno stato tratta i propri cittadini non è una questione meramente interna, e
hanno potuto fare questo tipo di affermazione man mano che is sviluppava il diritto internazionale a tutela dei diritti umani.

DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO

Nel 1946 gli organi delle Nazioni Unite in materia di diritti umani, la prima cosa che le nazioni unite hanno fatto è stata quella di
predisporre un catalogo dei diritti umani. Allo scopo venne creata un apposita commissione, “commissione per i diritti umani”,
composta da stati e questa commissione venne
dato il compito di scrivere questo elenco.

La commissione per i diritti umani iniziò ad


operare nel 1947 e dopo quasi un anno e mezzo
riuscirono nel loro intento.
Ha sottoposto poi questo catalogo dei diritti
fondamentali all’assemblea generale, che per
l’occasione si riunì a Parigi, votò il 10 dicembre
1948 la Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo.

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Nella dichiarazione troviamo (i primi due vengono chiamati di “prima generazione”):

• Diritti civili, ad esempio il diritto alla vita, il divieto di tortura, il divieto di schiavitù, il diritto alla libertà di espressione

• Diritti politici, ad esempio il diritto alla libertà di espressione

• Diritto di natura giudiziaria, ad esempio il diritto di ricorrere a un giudice

• Diritti economici, sociali e culturali; detti anche di “seconda generazione” perché nella costituzione degli stati si affermarono
dopo. Sono ad esempio il diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute etc..

Degli allora membri dell’assemblea generale che dovette votare a favore o meno: 48 votarono a favore, nessuno votò contro ma vi
furono dei paesi che si astennero.
Si astennero i paesi del blocco sovietico, che avevano partecipato alla stesura delle dichiarazione, perché volevano inserire nel
preambolo della dichiarazione un riferimento al principio del dominio riservato.
La maggioranza degli stati non assecondò la richiesta e quindi come forma di protesta non votarono a favore.

Vi furono altri paesi che si astennero: ad esempio l’Arabia Saudita, perché in una norma della dichiarazione che riconosce la libertà
di religione si esplicita la libertà di cambiare religione; oppure in una norma che riconosce il diritto di sposarsi senza
condizionamento di carattere religioso.

Quale è il valore della dichiarazione universale die diritti dell’uomo?

L’assemblea generale non può adottare atti vincolanti (infatti la dichiarazione è un atto non vincolante), nel corso del tempo però, i
diritti riconosciuti dalla dichiarazione assunsero un valore diverso; questo perché entrarono nel diritto internazionale
consuetudinario.

Possiamo dire che la dichiarazione non è di per se un atto vincolante, ma il suo contenuto lo è diventato, perché i diritti
fondamentali rientrano nel diritto internazionale consuetudinario e alcune norme sono diventate norme di Jus Cogens, ad esempio il
divieto di tortura.

Quindi si è partiti con la conferenza di San Francisco in cui la gran parte degli stati non hanno voluto introdurre nella carta un
riferimento alla tutela dei diritti umani, ma nel corso del tempo l’obbligo di tutela si è creato nell’ambito del diritto internazionale
consuetudinario.

STRUMENTI DI PORTATA GENERALE E UNIVERSALE

Dopo aver elaborato la dichiarazione


universale, la commissione per i diritti
dell’uomo si mise al lavoro per
predisporre uno strumento vincolante,
quindi uno strumento avente contenuto
simile alla dichiarazione universale ma
non sotto forma di dichiarazione ma di
trattato (i quali stati avrebbero deciso
di ratificare o meno).

Il lavoro fu lungo (iniziò nel 1949), la


commissione per i diritti umani riuscì
nell’intento di predisporre un trattato
solo nel 1966.

Nel 1966 venne aperta alla firma degli stati a New York due convenzioni:

• Patto internazionale sui diritti civili e politici, il quale tutela i diritti di prima generazione

• Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, il quale tutela i diritti di seconda generazione

54
Gli strumenti sono due anziché uno, innanzitutto perché vi erano degli stati che si sarebbero impegnati a ratificare uno strumento
che avrebbe riconosciuto i diritti civili e politici ma non quelli economici, sociali e culturali e viceversa.

Poi perché i diritti di prima e seconda generazione hanno caratteristiche diverse, tradizionalmente si dice che quelli di prima
generazione implica obblighi negativi mentre quelli di seconda generazione implicano obblighi positivi (ad esempio per il diritto
all’istruzione lo stato deve fare qualcosa).
Inoltre i diritti di seconda generazione sono anche “diritti a realizzazione progressiva”, perché i diritti di seconda generazione non
sono a realizzazione immediata ma richiedono tempo e risorse perché vengano realizzate.

Entrambi gli strumenti sono entrati in vigore nel 1976, ci sono voluto 10 anni prima che un numero minimo di stati ratificasse questi
strumenti per l’entrata in vigore.

PATTO INTERNAZIONALE DEI DIRITTI CIVILI E POLITICI

In blu (173 stati) ci sono


gli stati che hanno
ratificato il patto
internazionale dei diritti
civili e politici.

In azzurro ci sono quelli


che hanno firmato ma
non hanno ratificato il
patto internazionale dei
diritti civili e politici
(es. Cina)- quindi non
sono vincolati al
rispetto dei diritti.

PATTO INTERNAZIONALE DEI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI

In blu (171 stati) ci


sono gli stati che
hanno ratificato il
patto internazionale
dei diritti economici,
sociali e culturali e in
azzurro quello che
hanno solo firmato
(es. USA)

55
Questi strumenti riconoscono i diritti a favori di tutti gli individui: quindi qualsiasi individuo indipendentemente dalla sua
cittadinanza, sono titolari di questi diritti.

MECCANISMI DI CONTROLLO DEL RISPETTO DEI DIRITTI UMANI

In relazione a questi due strumenti sono


stati predisposti dei meccanismi di
controllo del rispetto dei diritti degli
stati.

1. il Comitato dei diritti dell’uomo,


l’organo di monitoraggio per il
rispetto del patto dei diritti civili e
politici

2. Il Comitato sui diritti economici,


sociali e culturali è l’organo di
monitoraggio per il rispetto del patto
dei diritti civili, politici ed economici,

IL COMITATO DEI DIRITTI DELL’UOMO E SUI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI


Il comitato è composto da ESPERTI in materia di tutela dei diritti umani e svolgono tre compiti:

• Sistema dei Rapporti periodici, ogni 4/5 anni gli stati che hanno ratificato questi strumenti sono tenuti a inviare un rapporto al
comitato in cui scriverà che cosa ha fatto per tutelare i diritti civili e politici (quali leggi ha adottato, quali prassi amministrative,
etc..)

Il comitato riceve il rapporto e lo valuta, adotterà a sua volta un rapporto, chiamato “osservazione conclusive” in cui fa le sue
osservazioni. Il sistema dei rapporti periodici permette di creare un dialogo tra il comitato e lo stato.

• Sistema dei ricorsi inter-statali, quindi la possibilità di uno stato di presentare ricorso nei confronti di un altro stato qualora
ritenesse che quello stato non stia dando adeguata attuazione sul patto.

• Sistema di comunicazioni individuali, sta indicare che un individuo può presentare un ricorso qualora ritenga che lo stato non ha
tutelato adeguatamente un suo diritto fondamentale.
È possibile per l’individuo presentare un ricorso solo se lo stato abbia ratificato anche il "protocollo opzionale”- il protocollo
opzionale è una convenzione che si aggiunge ad una convenzione principale- e questo protocollo opzionale prevede la competenza
del comitato di ricevere ricorsi individuale—> solo 116 stati hanno ratificato il patto.

Il comitato dei diritti dell’uomo che riceve la comunicazione, dopo aver sentito l’individuo e lo stato, adotterà un suo PARERE (lo
stato non è obbligato a dargli seguito).

STRUMENTI DI PORTATA UNIVERSALE E


SETTORIALE (esempi)

La commissione per i diritti umani


mentre elaborava i due patti, ha anche
deciso di elaborare dei trattati
settoriali (cioè dei trattai specifici, a
tutela di particolari situazioni o a tutela
di particolari categorie di soggetti).

—> VEDI SLIDE DELLE CONVENZIONI

56
Tutte queste convenzioni hanno poi un organo di monitoraggio del rispetto della convenzione stessa (es. comitato contro la
discriminazione razziale, comitato contro la discriminazione nei confronti delle donne etc..). L’organo di monitoraggio funziona in
maniera simile alle tre modalità che abbiamo visto prima comitati per i due patti precedenti.

Le nazioni unite, oltre a predisporre strumenti


vincolanti a tutela dei diritti umani, hanno creato altri
organi di cui i più importanti sono:

•Consiglio per i diritti umani.

È un organo sussidiario all’assemblea generale (è


l’assemblea generale stessa che ha istituito questo
organo) ed è un organo composto da Stati.
Il consiglio ha la funzione di creare un dialogo con gli
stati e può effettuare delle denunce pubbliche.

Quindi, può attenzionare alcuni stati, nel senso che può intervenire se ritiene che non ci sia il rispetto dei diritti umani, dialogando
con quel determinato stato. Può anche chiedere di fare una visita in loco per dialogare con la società civile.

• Alto Commissario per i diritti umani.

È UN INDIVIDUO, che svolge varie funzioni tra cui coordinare l’azione dei vari organi delle nazioni unite a tutela dei diritti umani.
Ha anche la possibilità di effettuare delle denunce pubbliche se ritiene che uno stato non stia rispettando i diritti umani.

LA TUTELA DELL’INDIVIDUO.
AMBITO REGIONALE E PROTEZIONE
DEGLI STRANIERI
L’ambito regionale europeo, rispetto alla tutela dei
diritti umani è più evoluto rispetto al piano universale.

I sistemi regionali, dal punto di vista di monitoraggio


del rispetto e di tutela dei diritti umani, sono più
evoluti rispetto al piano universale.

Questo perché abbiamo visto come dal punto di vista


del diritto internazionale universale, vi sono degli
organi che possono controllare il rispetto dei diritti
umani, ma questi organi NON POSSONO adottare atti
vincolanti. In alcuni casi è anche possibile per un
individuo denunciare, quindi presentare un ricorso nei
confronti di uno stato che si ritiene violi i diritti umani.

Sono tre i piani regionali in cui troviamo un sistema di tutela dei diritti umani:

1. IL PIANO REGIONALE EUROPEO.

In Europa c’è il sistema del consiglio d’Europa, che tra i suoi obbiettivi ha la tutela dei diritti umani e a tal fine nel 1950 ha
elaborato a Roma la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), in
relazione alla quale c’è una corte: la corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale gli individui possono rivolgersi e adottare
sentenze che sono di per se vincolanti.

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2. Il PIANO REGIONALE AMERICANO.

In cui esiste l’Organizzazione degli stati americani (OSA), che ha come stati membri gli stati dell’America del sud e del Nord.
Tra le varie competenze che ha, vi è anche la tutela dei diritti umani. Nel 1969 è stata adottata la Convenzione americana sui
diritti dell’uomo, che è stata ratificata da alcuni degli stati.
È una convenzione che contiene principalmente i diritti di prima generazione, e nell’ambito dell’ OSA, esiste una commissione
per i diritti umani e una corte per i diritti umani (che quindi può adottare sentenze vincolanti).

3. IL PIANO REGIONALE AFRICANO.

In africa c’è un’organizzazione che si chiama Unione Africana che svolge tra le sue funzioni anche quella di tutelare i diritti
umani. Ha adottato nel 1981, la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli che comprendono diritti di prima e seconda
generazione.

C’è un sistema di monitoraggio efficace perché abbiamo una commissione africana e una corte africana (che può emettere
sentenze che sono vincolanti).

LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI


NELL’AMBITO REGIONALE EUROPEO

La corte europea per i diritti dell’uomo è l’organo


che verifica il rispetto della Convenzione europea per
i diritti dell’uomo da parte degli stati.

Essendo una corte, può esercitare le sue funzioni solo


se qualcuno la sollecita e questo qualcuno possono
essere: gli stati membri del consiglio d’Europa (quindi
uno stato può denunciare un altro stato) e gli individui
(qualsiasi individuo che ritiene di aver subito una
violazione di un suo diritto fondamentale può
presentare un ricorso alla corte europea
indipendentemente dalla sua cittadinanza).

Non è frequente che gli stati si denunciano, è accaduto però che nei primi anni di attività della corte europea l’ucraina ha
denunciato la Russia e la Georgia ha denunciato la Russia (ce ne sono anche altri che puoi vedere sul sito della corte europea in cui
mostrano anche come si sia risolta la questione).

Nel sistema africano e americano, gli individui devono prima rivolgersi alla commissione e poi è la commissione che decide se
possono rivolgersi alla corte o no. Fino a qualche anno fa anche sul piano europeo era così (prima l’individuo doveva rivolgersi alla
commissione che poi decideva se si poteva rivolgersi alla corte o no), successivamente gli stati hanno modificato questo sistema e
hanno riconosciuto la possibilità di rivolgersi direttamente alla corte europea.

È possibile rivolgersi direttamente alla corte europea nel rispetto però di alcune condizioni, le più importanti sono:

1. Solo la vittima o la presunta vittima può presentare ricorso alla corte europea—> quindi non può presentare un ricorso per
interposta persona, ad esempio io non posso presentare ricorso se ritengo che l’Italia non rispetti i diritti dei migranti. Perché è
solo la vittima che può presentare ricorso.

2. Ci si può rivolgere alla corte europeo solo previo esaurimento delle vie di ricorso interne, ciò vuol dire che l’individuo deve
prima rivolgersi ai giudici nazionali e solo quando ha esaurito le risorse interne può rivolgersi alla corte europea.

Si ha sei mesi di tempo per presentare ricorso alla corte europea dopo che la cassazione (che nel nostro caso è l’ultimo grado di
giudizio) emette la sua sentenza.

La corte europea è composta da 47 giudici (uno per stato membro), che non sono rappresentanti di uno stato ma che devono
garantire indipendenza da interessi privati.
La procedura di nomina dei giudici coinvolge anche gli stati, che devono scegliere uno rosa di tre nomi e lo fa in collaborazione con
il consiglio d’Europa; spetterà poi all’assemblea parlamentare del consiglio d’Europa a decidere UN giudice dei tre.

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Cosa la corte europea può dire nelle sue sentenze?

La corte europea dirà se c’è o non c’è stata violazione. Se la corte dovesse ritenere che c’è stata violazione, potrà stabilire un equa
soddisfazione a favore della vittima (risarcimento del danno della vittima).
Se la corte dovesse affermare che esiste una legge nel paese che ha generato quella violazione e rischia di generare altre violazioni,
la corte può spingersi a dire allo stato di modificare o cambiare quella legge.

Ad esempio: unione tra persone dello stesso sesso, è accaduto che persone omosessuali in Italia abbiano iniziato a presentare die
ricorsi lamentando il fatto che siccome l’Italia non riconosceva l’unione tra persone dello stesso sesso questo andava a violare il
diritto del rispetto della vita privata. Per tanti anni la corte rigettava questi ricorsi perché riteneva che era discrezione degli stati chi
può unirsi e chi no. Poi man mano che gli stati riconoscevano le unioni di persone dello stesso sesso, la corte, che si era trovato
ancora un ricorso per le unioni dello stesso sesso, la corte ha riconosciuto una violazione della convenzione europea ed era una
violazione perché l’Italia non regolamentava questo fenomeno. La corte disse all’Italia di adottare una legge sulle unioni di persone
dello stesso sesso (VEDI CASO OGLIARI)

Il comitato dei ministri del consiglio d’Europa, che è composta dai ministri degli esteri degli stati membri, vigila sul fatto che lo
stato rispetti le sentenze emanate dalla corte. Inoltre lo stato, a fronte della raccomandazione della corte, presenta un piano per
poter rimediare e lo presenta al comitato dei ministri che lo valuta. È un sistema particolarmente efficace perché gli stati tendono a
dare esecuzioni alle sentenze della corte europea—> due sono gli stati che non sono così rispettosi: Russia e Turchia. In Turchia,
prima che arrivasse Erdogan, era particolarmente veloce a dare esecuzione alle sentenze, ora sta facendo molta fatica.

—> COMITATO EUROPEO DEI DIRITTI SOCIALI (chiedi appunti perché è stato spiegato nell’incontro di mercoledì 28 aprile)

LA TUTELA DELLO STRANIERO


La tutela dello straniero avviene grazie al diritto
internazionale a tutela dei diritti umani.

Adesso l’individuo è beneficiario di una serie di


diritti, ma non ha diritti che può azionare sul piano
internazionale, perché l’individuo è beneficiario sul
piano interno e non sul piano internazionale. L’unico
diritto che ha sul piano internazionale è quello di
ricorrere alla corte europea, africana e americana.

Ad essere tutelati dal diritto internazionale erano gli


stranieri, che erano riconosciuti dal diritto
internazionale ancora prima che esistesse il diritto internazionale a tutela dei diritti umani (che nasce solo dopo la seconda guerra
mondiale).

Lo stato ai sensi del diritto internazionale consuetudinario, riconoscevano degli obblighi di tutela dello straniero: obblighi di
astensione e di prevenzione.
Gli obblighi di astensioni significa che lo stato deve astenersi dal fare qualche cosa nei confronti dello straniero, ad esempio
astenersi dal pretendere delle tasse (a meno che lo straniero svolga attività economica sullo stato). L’obbligo di astensione significa
anche non imporre allo straniero l’adempimento del servizio militare.

Gli obblighi di prevenzione, fanno riferimento al fatto che lo stato deve prevenire eventuali attacchi alla persona o al bene dello
straniero. Quindi quando ancora gli individui non erano tutelati (loro dopo la seconda guerra mondiale), lo straniero andava tutelato
per obblighi di astensione e di prevenzione.

Da questi obblighi è nato l’istituto della PROTEZIONE DIPLOMATICA, che è la protezione del cittadino all’estero.
Nel caso Regeni, l’Italia sta ricorrendo alla protezione diplomatica: quindi qualora lo stato dovesse ritenere che un suo cittadino
all’estero non sia stato tutelato (lo stato non abbia esercitato gli obblighi di estensione e prevenzione previsti dal diritto
internazionale consuetudinario) può ricorrere all’istituto della protezione diplomatica.
Ad esempio può chiedere allo stato un risarcimento, o può adottare contromisure, o fare una richiesta di scuse etc..

Non c’è una convenzione internazionale che regolamenti il tema della tutela dello straniero, c’è pero un progetto di articoli:

59
Nel 2006, la commissione del diritto internazionale (CDI), ha formulato un progetto di articoli sulla protezione diplomatica. Lo
stato può decidere di esercitare la protezione diplomatica o meno (è un diritto dello stato) e può decidere con quale strumento
esercitare la protezione diplomatica (es. una richiesta di scuse, la ritira dell’ambasciatore etc..).

Si pone un problema riguardo a chi può esercitare la protezione diplomatica. Ci sono due sentenze a tal proposito:

• Persone fisiche, sentenza Nottebohm (CIG, 1955)

In cui la CIG ha precisato che lo stato che vuole agire in protezione diplomatica, deve essere uno stato con il quale l’individuo ha
un legame effettivo. Quindi le cittadinanze “fittizie” non hanno diritto di esercitare la protezione diplomatica.

ES. Il signor Nottebohm, cittadino tedesco che vive in Guatemala. Acquisisce la cittadinanza del Liechtenstein, rinunciando a quella
tedesca. Il Guatemala a un certo punto gli espropria le sue terre, lui si rivolge al Liechtenstein chiedendo di esercitare protezione
diplomatica. Il Liechtenstein lo fa, il Guatemala si oppone perché ritiene che il Liechtenstein non abbia diritto di esercitare la
protezione diplomatica perché la sua era una cittadinanza fittizia.
Il caso finisce davanti alla CIG che da ragione al Guatemala.

Questo principio viene ripreso nel progetto di articoli della CDI.

• Persone giuridiche, sentenza Barcelona Traction (CIG, 1970)

Si pone il problema di chi può esercitare la protezione diplomatica a favore delle persone giuridiche?
la società Barcelona Traction era una società costruita in Canada che operava in Spagna e i principali azionisti erano Belgi. Accade
che la Spagna mise in atto degli atti che per i soci Belgi andavano a violare i loro diritti. Allora gli azionisti si rivolsero al Belgio
chiedendo di intervenire i Protezione diplomatica nei confronti della Spagna.
La Spagna disse che l’unico stato che poteva intervenire in protezione diplomatica era il Canada, perché la società era costituita in
Canada. Quindi Belgio e Spagna si rivolsero alla CIG la quale diede ragione alla Spagna. La CIG affermò che con riguardo alle
persone giuridiche lo stato che può esercitare la protezione diplomatica è lo stato in cui la società è stata istituita e non lo
stato degli azionisti (in questo caso il Canada). (18.00)

Parlando di protezione diplomatica è importante far riferimento alla clausola Calvo, la clausola calvo (da Carlos Calvo, giurista
argentino) è una clausola che veniva inserita nei contratti che alcune società andavano concludendo (sopratutto con i paesi del sud
America). In questa clausola la società si impegnava a non azionare la protezione diplomatica del proprio paese, quindi la
multinazionale garantiva a chi concludeva un contratto a non far intervenire lo stato di origine in protezione diplomatica, nel
caso in cui fosse nata una controversia tra la multinazionale e lo stato con cui era stato concluso il contratto.
—> la clausola però non portava a nulla- non impedisce l’intervento dello stato della protezione diplomatica perché è lo stato che
decide di intervenire o no, perché titolare della protezione diplomatica è lo stato che decide se intervenire o meno nella protezione
del proprio cittadino o della società.

GLI ACCORDI BILATERALI IN MATERIA DI INVESTIMENTO (BITs e ICSID)

L’esercizio della protezione diplomatica può generale dei problemi, bisogna prevenire il verificarsi di situazioni in cui si ricorre a
mezzi diplomatici di risoluzione delle controversie. Gli stai hanno iniziato quindi a concludere degli accordi bilaterali in materia di
investimento (BITs).

I BITs sono accordi in cui è tipicamente presente una clausola di arbitrato, cioè un compromesso arbitrare in cui viene stabilito che
nel caso in cui dovesse sorgere una controversia in materia di investimento, la controversia deve essere risolta non con la protezione
diplomatica ma con il ricorso all’ arbitrato.

L’ ICSID (International Centre for the Settlement of Investments Disputes) è un’istituzione dedicata che è si occupa di risolvere
controversie in materia di investimento, ed è nata nell’ambito della banca mondiale. Quindi in caso di controversie in materia di
investimenti, gli stati possono rivolgersi all’ICSID che crea un arbitrato per risolvere le controversie.

60
LA TUTELA DELLO STRANIERO

Nel corso del tempo si è andata affermando


una norma del diritto internazionale
consuetudinario che impone agli stati di
tutelare quegli stranieri che in patria rischiano
di subire gravi violazioni dei loro diritti
fondamentali.
Questo è l’obbligo di non-refoulement - il
divieto di non respingere.

Tradizionalmente lo stato è libero di decidere


quali stranieri possono fare ingresso nel loro
territorio e quando espellere uno straniero. Non esiste per cui un diritto da parte di una persona di entrare sul territorio di uno stato
che non è il proprio stato di cittadinanza.

Questa libertà che è un tempo era dello stato assoluta, si è stata man mano limitando per il principio di non-refoulement.
Così come lo stato è libero di decidere chi e come espellere si è andata diminuendo nel corso del tempo, da un lato per il principio
di non-refoulment e dall’altro per lo sviluppo del diritto internazionale a tutela dei diritti umani.
Perchè la libertà degli stati di espellere gli stranieri è prevista me è soggetto a limitazioni di carattere procedurale. Ci sono norme
che stabiliscono che lo stato può espellere gli stranieri regolarmente presenti sul proprio territorio, ma deve riconoscere a questi
stranieri la possibilità di presentare ricorso al provvedimento di espulsione.

Lo stato è libero di espellere gli stranieri irregolari (su questo non ci sono limiti, l’unico limite è il principio di non-refoulment), i
limiti che la Convezione europea e il Patto internazionale pongono alla libertà degli stati in materia di espulsione riguardano gli
stranieri regolarmente presenti, ma sono limitazioni di carattere procedurale (lo stato può espellere lo straniero ma deve dare
allo straniero la possibilità di rivolgersi al giudice).

IL PRINCIPIO DI NON-REFOULEMENT A TUTELA DELLE PERSONE BISOGNOSE DI PROTEZIONE

Il principio di non-refoulement si applica con riguardo alle persone bisognose di protezione, quindi le persone che fuggono dal loro
paese e non vogliono più tornare.

Il principio è stato per la prima volta affermato nella Convenzione di Ginevra (1951) relativo allo status di non rifugiato.

• Art. 1 - paragrafo 2

“(..) che, a seguito di avvenimenti verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951, temendo a ragione di essere perseguitato per
motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori
del Paese, di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese: oppure
che, non avendo la cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o
non vuole tornarvi per il timore di cui sopra. Nel caso di persona con più di una cittadinanza, l'espressione "del paese di cui è
cittadino"indica ognuno dei Paesi di cui la persona è cittadino. Pertanto non sarà più considerato privato della protezione del paese
di cui è cittadino colui che, senza valido motivo fondato su timore giustificato, non abbia richiesto la protezione di uno dei Paesi di
cui ha la cittadinanza”.

Nell’articolo 1 si da la definizione di chi è rifugiato. Il rifugiato è colui il quale teme fondatamente (è un timore fondato—>cioè
deve provare il suo timore) di essere perseguitato.
Il concetto di persecuzione è importante: persecuzione non è discriminazione, ma è una grave violazione dei diritti fondamentali (è
tipicamente una persona che rischia di essere uccisa e torturata).
Ad esempio i copti, minoranza religiosa in Egitto, sono discriminati per la loro religione perché non possono svolgere lavori pubblici
ma non vanno in contro al rischio di essere ucciso o torturato.

Una persona può ottenere il riconoscimento di status di rifugiato se rischia di essere ucciso o torturato per motivi di razza,
religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche. — i siriani che fuggono
dalla guerra, non posso ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato perché non rientrano nella convenzione di Ginevra (i
siriani hanno ottenuto la protezione sussidiaria).

La persona per ottenere il concepimento dello status di rifugiato deve essere necessariamente fuori dal paese di cittadinanza.

*verificatisi anteriormente al 1° gennaio 1951- quando è stata elaborata l’obbiettivo non era di proteggere tutti i rifugiati nel
mondo ma di far fronte e prevedere uno strumento di tutela a quelle persone che erano scappate dall’Europa prima del 1 gennaio
’51 (durante la seconda guerra mondiale).

61
Quindi gli stati che hanno ratificato questa
convenzione, si sono impegnati ad applicarla ai
rifugiati che si erano di fatto spostati prima del 1°
Gennaio 1951— gli stati erano autorizzati a
decidere se introdurre oltre alla delimitazione di
carattere temporale (1°Gennaio 1951), anche
una delimitazione di carattere geografico. —>
VEDI SCREENSHOT DI FIANCO: gli stati potevano
decidere l’opzione A o l’opzione B.

La convenzione è stata successivamente modificata per effetto del protocollo di NY del 1967, il protocollo toglie di fatto la
delimitazione di carattere geografico e la delimitazione di carattere temporale. Quindi gli stati che ratificano il protocollo di NY si
impegnano ad applicare la convenzione di Ginevra eliminando la delimitazione di carattere temporale e geografico (quasi tutti gli
stati hanno ratificato anche il protocollo di NY).

PRINCIPIO DI NON-REFOULEMENT

Lo status di rifugiato prevede una serie di garanzie che troviamo nella convenzione di Ginevra, come ad esempio:

• Il diritto al permesso di soggiorno

• Il diritto di ottenere un documento d’identità

• Il diritto di lavorare

• Il diritto di ricevere un’istruzione pubblica

• etc..

Tuttavia, la piu importante garanzia per il rifugiato è prevista nell’articolo 33 nella convenzione di Ginevra: IL PRINCIPIO DI NON-
REFOULEMENT (VEDI PARAGRAFO 1).

Il principio consiste nel fatto che lo stato è tenuto a NON espellere e NON respingere il rifugiato verso cui fugge e in cui rischia
di essere perseguitato (per uno dei cinque motivi che abbiamo visto).

1. IL PARAGRAFO 1: dice che lo stato non può espellere il rifugiato verso lo stato da cui fugge

2. IL PARAGRAFO 2: dice che il principio di NON-REFOULEMENT non è assoluto, il principio può venire meno se il rifugiato è
pericoloso per la sicurezza dello stato in cui si trova e per la collettività. Se è pericoloso allora il rifugiato potrà essere respinto.

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Dal 1951 a oggi, il principio di non-refoulement si è evoluto ed è cambiato da due punti di vista:

• Principio di applicazione personale

• Principio di applicazione materiale

A fare evolvere il principio di non-refoulement è stata la corte europea dei diritti dell’uomo con alcune sentenze:

• Sentenza Soering C. Regno Unito (1989)

• Sentenza Saadi c. Italia (2008)

• Hirsi e a. c. Italia (2012)

Premessa che nella convenzione europea dei diritti dell’uomo non c’è nessun riferimento al principio di non-refoulement, però il
modo in cui a corte europea ha interpretato alcune sue norme ha finito per far evolvere il principe di non-refoulement.

IL CASO SOERING CONTRO REGNO UNITO:


Soering, cittadino tedesco che viveva negli USA che uccide i genitori della morosa, Soering dopo aver commesso un duplice omicidio
scappa e va a vivere nel UK: le autorità americane conducono le indagine e sospettano ad ucciderli sia stato Soering e la sua
compagna. Vogliono cosi sottoportli a processo e chiedono al regno unito di estradare Soering per sottoporlo a processo ed
eventualmente condannarlo.

Soering si oppone rivolgendosi alla corte europea dei diritti dell’uomo dicendo che “se il regno unito dovesse estradarmi negli USA,
negli USA io rischio di essere condannato alla pena di morte (perché il duplice omicidio si era verificato in VA dove era prevista la
pena di morte), e rimanere nel braccio della morte (in carcere per 10/15 anni) in attesa dell’esecuzione della pena rappresenta un
trattamento inumano e degradante. L’articolo 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo dice che è fatto divieto di
trattamenti di tortura e pene inumane e degradanti”.

La corte gli da ragione dicendo che se il regno unito estrada Soering lo espone al rischio di sottoporlo ad un trattamento inumano e
degradante. Ecco allora che il regno unito non può estrarre Soering perché violerebbe l’articolo3.

Nel frattempo è accaduto che si sono adottati due protocolli che aboliscano la pena di morte, quindi accade che quando gli USA
chiedono l’estradizione di una persona che si trova in Europa non concedono più l’estradizione non riprendendo l’idea dei
trattamenti umani e degradanti, ma a questi due protocolli che sanciscono il divieto della pena di morte. Quando capita che gli USA
chiedono l’estradizione di una persona che deve essere sottoposta a processo che può portare alla pena di morte, gli stati europei gli
fanno garantire che l’eventuale soggetto sarà condannato all’ergastolo e non alla pena di morte.

Cosa centra Soering con I rifugiati e con il principe di non-refourement?

Non c’entra niente con lo status di rifugiato, però la corte in questo caso dice che non è possibile estradare una persona se rischia
che nel suo paese venga sottoposta a principi inumani e degradanti. Questo è un altro modo per esprimere il principio di non-
refourement.

(L’ambito di applicazione personale si è ampliato: non è possibile espellere una persona se nel paese di destinazione questa
persona rischia di essere torturata e rischia di subire trattamenti inumani e degradanti- la corte europea ha ampliato il concetto
dicendo che non è possibile estradare una persona non solo se rischia di subire trattamenti inumani e degradanti ma anche nel caso
in cui rischi la vita).

IL CASO SAADI CONTRO ITALIA:

Il principio di non-refourement si è evoluto anche con l’applicazione materiale, con il caso Saadi contro Italia. Saadi era un cittadino
tunisino che viveva in Italia con regolare permesso di soggiorno, la procura di Milano conduce delle indagini e ritiene che Saadi
insieme ad altri stiano per commettere attentati terroristici in medio oriente: vengono messi in carcere e sottoposti a processo per
attività terroristiche e per altri presunti reati (es. falsificazione dei documenti, favoreggiamento dell’immigrazione irregolare).

Arriva la sentenza di primo grado che giudica Saadi colpevole di alcuni reati (es. falsificaizone documenti), ma non lo riconoscono
colpevole per reato di terrorismo. Vanno in ricorso e Inizia il processo di secondo grado, scadono pero i termini di custodia cautelare
63
e Saadi viene rimesso in libertà. Come viene rimesso in libertà, il ministro dell’interno italiano decide che Saadi deve essere espulso
adottando un provvedimento di espulsione perché si ritiene che sia un soggetto pericoloso. Saadi non vuole essere espulso perché era
nel frattempo sottoposto a processo in Tunisia ed era stato condannato per reati di terrorismo. Lui sostiene che le persone che in
Tunisia vengono condannate per terrorismo vengono prima messe in carcere e poi scompaiono (presumibilmente vengono uccise).

Saadi presenta riconoscimento dello stato di rifugiato in Italia, le autorità italiane non gli riconoscono lo status di rifugiato e quindi
se ne dovrebbe tornare in Tunisia. Saadi presenta ricorso alla corte dei diritti dell’uomo lamentando il fatto che se l’Italia dovesse
espellerlo, in Tunisia correrebbe il rischio di scomparire (e quindi di essere ucciso).

La corte Europea verifica se effettivamente Saadi dovesse correre questo rischio in Tunisia, attraverso un inchiesta verificando
l’esistenza di eventuali rapporti tra i vari stati europei; dalla verifica dei documenti si evince come le persone condannate per
terrorismo vengano uccise (scompaiano dal carcere).

La corte certifica che potrebbe essere ucciso ma l’Italia lo ritiene pericoloso, la corte europea afferma che il diritto alla vita e il
divieto alla tortura e di trattamenti umani e degradanti hanno carattere assoluto. Non è mai possibile tollerare la tortura di una
persona e non è mai possibile privarla della sua vita. Quindi lo stato non puo espellere una persona se questa persona rischia di
essere uccisa o di subire trattamenti umani e degradanti e ciò a carattere assoluto, non sono ammesse eccezioni.

Anche perché la corte europea dice che se i giudici lo ritengono pericoloso verrà condannato e finirebbe in carcere.

IL CASO HIRSI E A. CONTRO ITALIA:

È un caso che riguarda il respingimento verso la Libia. l’Italia nel corso dei decenni ha variamente cooperato con la Libia nel
fenomeno migratorio, vent’anni fa la cooperazione consisteva nel fatto che i migranti venivano messi su aerei e rimandati il Libia.

A un certo punto l’’Italia non ha piu potuto farlo perché la prassi andava contro i principi della corte europea. l’Italia affermo che
non puo piu respingerli verso la Libia perché gli porto in un posto dove subirebbero trattamenti inumani e degradanti. l’Italia sposta
la cooperazione in alto mare, l’idea era che se il migrante non arriva sul territorio italiano, l’Italia non deve applicare il diritto
italiano.

È accaduto che tre barconi di migranti vengono intercettati in acque internazionali, le bloccano e fanno sbarcare i migranti sulle navi
italiane. Accade che ci sono due diverse versioni dei fatti:

1. i migranti dicono che Sono saliti, i migranti hanno chiesto la destinazione alle autorità italiane che non avrebbe risposto. Le
autorità italiane hanno requisito i loro documenti e una volta che si sono resi conto che li stavano riconducendo a tripoli, i
migranti avrebbero protestato ma le autorità italiane avrebbero mostrato le armi. Le autorità, attraccate al porto di tripoli, li
avrebbero fatti scendere attraverso l’uso della forza.

2. Le autorità italiane dicono che i migranti sono saliti sulle navi italiane, non hanno chiesto dove stavano per essere portati,
nessuno di questi ha espresso preoccupazione per il luogo dove stavano per essere ricondotti e una volta arrivati a Tripoli
sarebbero scesi senza protestare.

Una ventina di migranti presentano ricorso alla corte europea dei diritti dell’uomo (o meglio gli avvocati italiani), lamentando la
violazione dell’articolo 3 perché il ritorno in Libia gli avrebbe esposti a trattamenti umani e degradanti. l’Italia si difende dicendo
che ciò che è accaduto non è accaduto sul territorio italiano, ma in acque internazionali (in cui l’Italia non è tenuta ad applicare la
carta europea dei diritti dell’uomo).

C’è giurisdizione dello stato al di fuori dello stato se le autorità dello stato esercitano un controllo esclusivo sulla persona o sulle
persone. La corte dice che è vero che i fatti si sono svolti nelle acque internazionali ma quando si sono svolti quelle persone erano
sotto il controllo esclusivo delle autorità italiane e quindi c’è giurisdizione italiane. Essendoci giurisdizione italiane la corte può
andare a vedere se l’Italia ha violato o meno l’articolo 3 della convenzione europea.

La corte disse c he l’Italia nel momento in cui li ha riportati in Libia li ha sottoposti a dei rischi sottoponendoli a condizioni inumane
e degradanti (I migranti infatti venivano messi in dei capannoni dove c’erano violenze all’ordine del giorno, etc..). spesso i centri
venivano svuotati, venivano portati nel deserto in cui le bande li prendevano e chiamano casa chiedendo un riscatto. l’Italia si
difende dicendo che ha firmato un accordo con Libia che dichiara di essere un paese rispettoso dei diritti umani.

La corte ha attestato come però l’Italia non potevano non sapere a cosa avrebbe esposto i migranti riportandoli in Libia, violando
l’articolo 3 della convenzione di Ginevra.

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LA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE
È la pratica del diritto internazionale che si occupa dei
crimini internazionali. L’obbiettivo è quindi vedere quali
sono i crimini internazionali e quale è il sistema di giustizia
nel caso questi crimini vengano commessi.

La prima volta che si è data la possibilità di poter punire


individui per aver commesso dei crimini risale al Trattato di
Versailles, 1919 (che ha posto fine alla prima guerra
mondiale)

Sono due le norma che prendiamo in considerazione, la prima


artt.227. L’articolo 227 prevedeva la creazione di uno speciale
tribunale internazionale che doveva essere composto da 5
giudici competente di giudicare dei crimini commessi
dall’imperatore Guglielmo II (uno nominato dagli USA, uno dal
regno unito, uno dalla Francia, uno dal’Italia e uno dal
Giappone).

L’articolo 228 prevedeva il diritto delle potenze alleate di


sottoporre a processo davanti ai tribunali militari, quei tedeschi
che avessero commesso violazione del diritto di guerra.

Per quanto riguarda la prima norma, cioè la creazione del


tribunale, non venne attuata perché Guglielmo II scappò e si
rifugiò in Olanda.

La seconda norma invece non ha trovato attuazione, si arrivò ad un compromesso e le potenze vincitrice acconsentirono a che questi
presunti criminali venissero sottoposti a processo da una corte tedesca (tribunale di Lipsia). Viene per la prima volta stabilita la
possibilità che un individuo o degli individui possano essere sottoposti a delle corti internazionali.

Il passo successivo, sempre nel 1919 quando viene istituita la società delle nazioni in cui viene mandato un mandato a un gruppo di
giuristi di creare lo statuto di quella che è poi stata chiamata la Corte Permanente di giustizia internazionale (organo
giurisdizionale della società delle nazioni). Quando si trattò di capire come era composta e quali funzione avrebbe dovuto avere la
corte permanente, il gruppo di giuristi a cui fu affidato il compito di stendere lo statuto della corte permanente, ebbe l’idea che
questa corte non si usasse solo per risolvere la controversia tra stati ma che avesse anche la competenza a giudicare gli individui
responsabile di crimini internazionali. —> Questa idea del gruppo di giuristi non venne accolta

L’idea non venne accolta perché il primo problema che si poneva era chiarire quali fossero i crimini internazionali, perché c’è un
principio generale di diritto che vale per gran parte degli stati occidentali: non si può essere condannati per un reato se al momento
dei fatti quell’atto non era costituito come un reato (?). quindi per giudicare i crimini, bisogna capire QUALI sono questi crimini.

Si discusse anche se era opportuno affermare il principio della responsabilità dell’individuo o se invece bisognasse concentrarsi
sulla responsabilità dello stato, a rispondere devono essere gli individui o deve essere lo stato?

Nel 1937 ci fu l’intento di creare una corte internazionale criminale, di cui venne creato lo statuto ma che non venne però
ratificata da un numero sufficiente di stati.

Dopo la seconda guerra mondiale però qualcosa è cambiato: venne istituito il TRIBUNALE DI NORIMBERGA, che con l’accordo di
Londra c’era allegato lo statuto del tribunale militare internazionale di Norimberga. Era composto da giudici internazionali che
avevano il compito di giudicare i nazisti, quindi gli individui responsabili di crimini internazionali.

Ci sono alcune descrizioni di alcuni di questi crimini, perché alcuni vennero condannati per crimini contro la pace, l’umanità etc..
*c’è da dire che il tribunale è stato molto criticato anche perché non era stato ancora istituiti quali fossero i crimini internazionali è
anche vero che si disse che si ritenere che ci fosse una norma del diritto internazionale consuetudinario (anche se la norma vera a
propria non c’era).

Parallelamente si è creato il tribunale militare internazionale per l’estremo Oriente, che venne creato per giudicare le più
importanti personalità dell’impero giapponese accusate di aver commesso, prima e durante le seconda guerra mondiale, tre tipologie

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di crimini: crimini contro la pace, crimini di guerra e crimini contro l’umanità. —> Furono 28 persone tra ambasciatori e ministri
giapponesi, tranne l’imperatore.

L’ATTIVITÀ DELL’ONU

Una delle prime cose che l’assemblea generale fa, è quella di


dare mandato a quella che poi sarebbe stata chiamata la
commissione di diritto internazionale di mettere per iscritto
una CONVENZIONE che definisse i CRIMINI INTERNAZIONALI,
sulla base dello statuto del tribunale di Norimberga.

Nel 1948 convenzione sulla repressione del crimine di


genocidio.
Si elabora una convenzione che da la definizione di genocidio
e che da agli stati la possibilità di prevenire gli atti di
genocidio, e nel caso gli atti di genocidio si verificassero, gli
stati hanno l’obbligo di punire coloro che li hanno commessi.
La convenzione prevede quindi obblighi di PREVENZIONE e
REPRESSIONE a carico degli stati.

*il genocidio non era definito nello statuto del tribunale di Norimberga, il quale dava una definizione un po’ approssimativa dei
crimini di guerra, contro l’umanità e contro la pace, ma il genocidio non era preso in considerazione.

La convenzione prevedeva degli ALLEGATI, un allegato in particolare prevedeva la creazione di un’apposita corte o una corte
permanente che dovesse andare a giudicare individui responsabili di genocidio. Quindi nell’impianto di questa convenzione la
responsabilità di punire eventuali responsabili vi era una responsabilità innanzi tutto dei giudici nazionali ma se fosse stato lo stato a
commettere atti di genocidio, sarebbe dovuta subentrare questa corte. —> l’allegato non venne ratificato

Nel proprio mandato la commissione deve mettere per iscritto gli altri crimini internazionali (non solo il genocidio) e di creare una
corte penale internazionale (che giudicasse gli individui che avessero commesso i crimini internazionali).

La commissione lavorò con questo obbiettivo ma non arrivò al risultato sperato, perché gli stati non davano seguito ai suggerimenti
della corte. Gli anni passeranno (VEDI che dal 48 si arriva agli anni ’90) e negli anni ’90 sono accadute due cose che hanno fatto
cambiare l’opinione degli stati su queste questioni: la guerra nell’ex-Yugoslavia e il genocidio in Rwanda.

Il consiglio di sicurezza delle nazioni unite nel ’43 ha istituito il Tribunale penale internazionale per la ex-Yugoslavia e nel ’94 il
Tribunale penale internazionale per il Ruanda.
Sono stati molto criticati perché cera chi diceva che i crimini contro l’umanità ne sono stati commessi vari nel corso della storia e
perché allora solo di fronte a questi due si sono creati due tribunali ad hoc? Si criticò anche il fatto che non è compito del consiglio
di sicurezza quello di creare dei tribunali per crimini internazionali. —> il consiglio di sicurezza si avvalse della norma 42, cioè di
adottare misure non implicanti l’uso della forza.

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LA CORTE PENALE INTERNAZIONALE, 1998

La creazione dei tribunali ha dato però la scossa alla creazione di


una corte penale per crimini internazionali, quindi nel 1998 si
svolse l’iniziato per la creazione della Corte penale
internazionale.

Nel 1998 venne creato lo statuto della corte e quattro anni dopo
entrò in vigore.

COMPETENZE DELLA CORTE

• Ratione temporis, la corte è competente a


giudicare crimini internazionali che si sian o
verificati a partire dall’entrata in vigore dello
statuto della corte- non può giudicare crimini
commessi prima il 2012.

• Ratione personae, la corte giudica individui


maggiorenni. La corte può giudicare individui a
prescindere dall’eventuale immunità.

• Ratione materiae, l’articolo 5 dello statuto della


corte stabilisce i crimini in relazione ai quali la corte
può giudicare.—> VEDI ARTICOLO 5 SULLA DX

I crimini su cui la corte ha competenza sono quattro:

•Crimini di genocidio

•Crimini contro l’umanità

•Crimini di guerra

•Crimini di aggressione

*l’articolo 5 dichiara che la corte NON ha competenza su tutti i crimini


internazionale, ma solo alcuni (quelli elencati). Ad esempio non ha
competenza su crimini di pirateria o di terrorismo

Gli articoli successivi danno la definizione di cosa si intenda per genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e di
aggressione (riporteremo solo alcune parti degli articoli ma se vuoi leggerli tutti vai a questo link: https://www.icc-cpi.int/
Publications/Rome-Statute.pdf)

Articolo 6, Genocidio:

Il genocidio consiste a una serie di atti


(come l’uccisione di membri di un gruppo o
causare dolore mentale o fisico in un
gruppo—> sono elencati a sx in inglese).

Il genocidio è quindi una serie di atti


volti alla distruzione di un gruppo (gli atti
sono elencati all’articolo 6).

Perché il genocidio avvenga deve esserci un atto oggettivo (quello dell’uccisione) ma anche un atto soggettivo: l’intento di
distruggere (Vedi la prima frase dell’articolo: “intent to destroy”).

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Quindi perché ci sia un genocidio bisogna dimostrare che oltre che all’intento oggettivo deve essere dimostrata anche che nel
compimento di quegli atti c’era l’intento soggettivo di distruggere o provocare l’estinzione di quel gruppo (non basta solo
l’uccisione, o solo il campo di concentramento; bisogna provare l’intento di chi ha commesso questi atti che c’era l’intento di
distruggere il gruppo).

Articolo 7, crimini contro l’umanità

L’articolo 7 dichiara che i crimini contro l’umanità


sono crimini commessi in maniera sistematica nei
confronti della popolazione civile e vengono poi
elencati sono una serie di esempi che qualificano i
crimini contro l’umanità.

Ad esempio:

-Uccisioni

-Sterminio

-Schiavitù

-Deportazione

-Imprigionamenti - privazione della libertà fisica

-Prostituzione forzata

- Gravidanza forzata

- Sterilizzazione forzata

- Persecuzioni per motivi politici e razziali

- Crimine di apartheid

- * ricorda che però devono essere commessi in larga scala ai danni della popolazione civile

Al paragrafo 2 si da la definizione di tutti esempi elencati al paragrafo 1.

Articolo 8, crimini di guerra

I crimini di guerra sono anzitutto le GRAVI


violazioni della convenzione di Ginevra del
1949 (convenzione del diritto internazionale
umanitario).

(Gli esempi sono a sinistra)

Lettera B) Sono crimini di guerra anche altre


serie violazioni del diritto internazionale di
guerra.
Ad esempio attacchi intenzionati diretti alla
popolazione civile, o attacchi a veicoli che
portano materiali per la sistema umanitario, o
i bombardamenti di città e villaggi.

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Articolo 8 bis, crimini di aggressione

I crimini di aggressione sono stati introdotti dopo (motivo


per cui si chiama bis).

Per crimini di aggressione si intende la pianificazione,


l’azione, l’organizzazione da parte di una persona che
può esercitare un controllo sugli aspetti politici e militari
di uno stato.

Quindi possono essere accusati di crimini di aggressione i


militari egli organi di vertici politici di uno stato.

CONDIZIONE PER L’ESERCIZIO DELLA GIURISDIZIONE

La corte può intervenire se:

1. I fatti sono stati commessi sul territorio di uno stato


parte dello statuto

2. oppure nei confronti di una persona che ha la


cittadinanza dello stato parte.

Ad esempio: Avendo l’Italia ratificato lo statuto, la corte


potrebbe sottoporre a processo gli individui che hanno
commesso crimini internazionali. Gli stati uniti non l’hanno
ratificato, di conseguenza la corte non può giudicare
eventuali crimini commessi sul territorio degli stati uniti a
meno che l’autore dei crimini sia cittadino di uno stato che
fa parte e ha ratificato la convenzione.

Ci sono altre possibilità perché gli stati che non hanno ratificato lo statuto, possano comunque decidere di riconoscere
competenza alla corte.
Quindi uno stato terzo, che non ha ratificato lo statuto può decidere adottando una dichiarazione, di riconoscere la giurisdizione
della corte (l’Ucraina l’ha fatto qualche anno fa). In casi come questo lo stato deve indicare l’asso temporale, adottando la
dichiarazione indicando le date di inizio e di fine (affermando che riconoscono la giurisdizione della corte a partire dal * fino al *).

A chi spetta avviare le indagini?

La corte penale è composta da 18 giudici (esperti in diritto penale e diritto interazione), che vengono nominati dall’assemblea degli
stati parte. L’assemblea degli stati parte nomina anche un PROCURATORE, che ha il compito di condurre le indagine. Quindi prima
che la corte possa sottoporre un individuo a processo, il procuratore conduce le indagini.

Le indagini possono spettare a:

• Allo stesso procuratore se ritiene che siano stati commessi dei crimini internazionali, chiedendo l’autorizzazione alla camera
preliminare (organo della corte composto da giudici)

• Allo stato parte che chiede al procuratore di avviare le indagini

• Al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiede al procuratore di avviare le indagini.

Rapporto tra consiglio di sicurezza e corte penale internazionale: il consiglio di sicurezza può chiedere al procuratore di avviare le
indagini prescindendo dai criteri di collegamento (presentati precedentemente). Quindi il consiglio di sicurezza delle nazioni unite
potrebbe permettere al procuratore di svolgere le indagini anche se i fatti sono stati commessi sul territorio di uno stato non parte
o anche se l’indagato non è cittadino di uno stato parte. — sulla base del capitolo settimino, il consiglio di sicurezza può
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intervenire in caso di minaccia alla pace, violazione della pace o atto di aggressione.

Attualmente si sta svolgendo il processo contro il figlio di Gheddafi nonostante la Libia non abbia ratificato lo statuto. La corte lo
ha potuto sottoporre a processo perché il consiglio di sicurezza ha richiesto al procuratore di avviare le indagini.

Il Consiglio di sicurezza può pero anche togliere la competenza della corte, questo perché l’articolo 17 dello statuto della Corte
penale internazionale prevede la possibilità per il Consiglio di Sicurezza di chiedere al procuratore di non condurre le indagini e di
non sottoporre a processo l’individuo per 12 mesi (che può essere rinnovato per altri 12 mesi).

Nel momento in cui il procuratore avvia le indagini, deve dare comunicazione a tutti gli stati che hanno ratificato lo statuto. Questo
perché da agli stati la possibilità di ricorrere al PRINCIPIO DI COMPLEMENTARIETÀ. Ciò vuol dire che la corte penale interviene solo
se i giudici nazionali non possono o non vogliono intervenire.

*Gli stati uniti non sono mai stati favorevoli ad una corte pena internazionale, quando però hanno partecipato al negoziato a Roma
sono stati accusati di aver partecipato per annacquare il negoziato.

• Articolo 27 dello statuto della corte penale internazionale

“Il presente Statuto si applica a tutti in modo uguale senza qualsivoglia distinzione basata sulla qualifica ufficiale. In modo
particolare la qualifica ufficiale di capo di Stato o di governo, di membro di un governo o di un parlamento, di rappresentante
detto o di agente di uno Stato non esonera in alcun caso una persona dalla sua responsabilità penale per quanto concesse il
presente Statuto e non costituisce in quanto tale motivo di riduzione della pena.

Le immunità o regole di procedura speciale eventualmente inerenti alla qualifica ufficiale di una persona in forza del diritto
interno o del. diritto internazionale Don vietano alla Corte di esercitare la sua competenza nei confronti di questa persona”.

La corte può sottoporre a giudizio qualsiasi individuo, indipendentemente da cariche che dovesse avere all’interno dello stato.
Il principio dell’immunità non rileva. È capitato che la corte sottoponga a processo anche persone che hanno compiuto gli atti
proprio durante il loro mandato (in quanto capi di stato o governo).

• L’articolo 98 stabilisce che la corte non può imporre agli stati di violare le norme di diritto internazionale.

Cosa centra l’articolo 27 con l’articolo 98?

Il problema che si pone è che gli stati parte della corte penale internazionale sono obbligati a cooperare con la corte.
Quindi nel momento in cui il procuratore conduce le indagini e si ritiene che una determinata persona debba essere processata per
un determinato crimine la corte adotta un mandato di cattura internazionale.

Questo perché la corte può sottoporre una persona a processo solo se è fisicamente presente all’Aia (non sono ammessi processi in
contumacia). Ecco allora che è importante ottenere la cooperazione degli stati (devono catturare la persona se la persona transita
sul loro territorio).
In passato ci sono stati dei problemi sotto questo punto di vista, soprattuto per quanto riguarda il dittatore al-Bashir che per
trent’anni ha governato il Sudan. al-Bashir è stato indagato dalla corte dal 2010 con due mandati di cattura internazionale, in tutti
questi anni è continuato a essere il capo di stato del Sudan e si è mosso liberamente in africa. Ed è transitato sul territorio di stati
parti della corte penale internazionale (es. nel 2015 era andato in Sud africa e poi in Giordania che non lo hanno catturato).
Si tratta di episodi di violazione dell’obbligo di leale cooperazione che incombe sugli stati parte della corte: in questi casi la
corte è intervenuta dicendo come il Sud africa e la Giordania abbiano violato i loro obblighi.

Il sud africa si era difeso affermando di non averlo catturato perché essendo capo di stato e come tale godeva di immunità, la
risposta della corte è stata chiara e si è basata sull’articolo 27.

La corte penale internazionale è molto sensibile alla tutela delle vittime. Rispetto all’esperienza dei tribunali ad hoc (tribunale
dell’ex-Yugoslavia e Ruanda) in cui di fatto le vittime non trovavano spazio (le vittime partecipavano solo in qualità di testimoni), in
questo caso le vittime possono partecipare ai processi con una formula in costituzione in parte civile (potendo ottenere il
risarcimento del danno).

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123 stati hanno ratificato la statuto della corte penale internazionale (tutti gli stati europei, ad eccezione della Bielorussia).

Tra gli stati che sono attualmente sottoposti a indagini vi è una larga prevalenza africana.
Ciò pone un problema perché nonostante molti paesi africani abbiano ratificato lo statuto, il rapporto tra gli stati africani e la corte
penale internazionale si è un po’ complicato nel corso del tempo (ci sono stati che se ne sono andati come il Burundi).

Gli stati africani ritengono che la corte si concentri solo sull’africa e qualche anno fa l’organo di vertice dell’Unione Africana aveva
rilasciato una dichiarazione in cui minacciava di uscita in massa dalla corte da parte degli stati africani.
Quest’uscita in massa non c’è stata, ma le situazioni sotto indagini della corte ci sono perché ci sono state delle segnalazioni da
parte degli stessi stati africani.

La corte pena internazionale ha attualmente dei problemi:

• Il primo della non disponibilità alla cooperazione degli stati parti (vedi situazione dei paesi americani che non hanno collaborato
alla cattura di al-bashir)

• Il secondo problema è rappresentato dagli USA. Gli USA nel corso del tempo hanno ostacolato l’azione della corte penale
internazionale (essi sono stati fin dall’inizio contrari all’adozione della corte).

nei primi anni di vita della corte penale internazionale gli stati uniti andavano concludendo degli accordi bilaterali con gli stati che
entravano a far parte della corte penale internazionale, i quali si impegnavano a non collaborale con la corte nell’eventuale
consegna di cittadini americani.

La situazione si è ulteriormente inasprita sotto l’amministrazione Trump. Questo perché il procuratore ha deciso di mettere sotto
indagine situazioni che si erano verificate in Afghanistan (in cui c’è un numero elevato di militari statunitensi); l’amministrazione
Trump ha minacciato il procuratore e la corte penale internazionale.

• Un altro grande problema è quello della celebrazione di un processo all’Aia in relazioni a fatti che si sono verificati in altre
parti del mondo. È complicato portare all’Aia prove di situazione e crimini che si sono verificate dall’altra parte del mondo.

Ad esempio era stato condannato un criminale per aver reclutato bambini soldato (cerca il nome perché la prof non se lo ricorda),
questa persona era stata indagata per vari crimini. Il procuratore aveva condotto le indagini avvalendosi di intermediari locali,
istruendoli su come condurre i colloqui sulle presunte vittime. Questi intermediari non erano stati istruiti sufficientemente e molte
delle prove raccolte dagli intermediari non erano state considerate valide.

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Questa persona sottoposta a processo aveva commesso degli stupri nei confronti delle donne, gli intermediari locali avevano
raccolto le testimonianze di queste donne che non sono volute pero andare all’Aia a testimoniare. Per loro assentarsi per qualche
giorno dalla loro comunità significava uscire allo scoperto e rendere evidente a tutta la comunità che la donna aveva subito quel
tipo di violazioni. E quindi quelle testimonianze sono state escluse dal processo.

La persona è stata condannata per crimini di reclutamento di persone soldato, ma essendo uno dei crimini che la persona aveva
commesso e non avendo prove riguardo agli altri crimini, ha lasciato la delusione nelle vittime.

• La celebrazione di processi all’Aia che si sono verificati dall’altra parte del mondo ha un problema anche di costi.

ALTRE FORME DI ESERCIZIO DELLA


GIUSTIZIA PENALE

Il diritto internazionale penale si compone di altri


istituti, non c’è solo la corte penale internazionale.

Un altro istituto interessante è Il principio della


universalità della giurisdizione penale.

Premessa: normalmente perché i giudici di uno stato


possano sottoporre a processo una persona vi
dev’essere almeno uno dei tre criteri di
collegamento —>

Quindi i giudici nazionali possono sottoporre a processo una persona:

• solo se i fatti sono stati commessi sul territorio dello stato

• In relazione a fatti connessi al di fuori del territorio se quella persona è un cittadino di uno stato

• Se la vittima del reato è cittadino dello stato

Il principio della universalità della giurisdizione penale invece va oltre questi tre criteri di collegamento.
Vi sono alcuni stati (come Spagna o Belgio) che a un certo punto hanno ritenuto che i loro giudici potessero giudicare in relazione a
crimini internazionali indipendentemente dai tre criteri di collegamento— alcuni stati hanno introdotto questo principio.

Un altro istituto del diritto penale internazionale sono I tribunali penali misti sono tribunali misti perché:

1. sono un po’ composti da giudici internazionali e un po’ composti da giudici nazionali

2. ai tribunali vengono date competenze in materia di crimini internazionali ma tendenzialmente sono anche competenti a giudicare
per reati previsti dall’ordinamento giuridico nazionale

3. Sono composti da funzionari internazionali e nazionali

4. Le leggi applicabili sono un po’ nazionali e un po’ internazionali

Dopo l’esperienza dei tribunali ad hoc, di fronte ad altre catastrofi si è preferito non creare dei tribunali ad hoc ma dei tribunali
misti e se ne sono creati tantissimi (guarda su internet i tipi di tribunali misti se ti interessa).

I tribunali misti hanno avuto grande successo perché sono stati percepiti come un qualcosa voluto dalle autorità dello stato (e non
qualcosa delle grandi nazioni o delle persone più ricche).

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L’ultimo aspetto interessanti sono le commissioni di verità e riconciliazione, le quali non sono delle vere e proprie corti.

Quando Mandela è stato liberato e il sud Africa ha deciso di abbandonare l’apartheid, e ha deciso di non utilizzare lo strumento
penale. Si sono create delle commissioni di verità e riconciliazione la quale garantiva l’armistia a quelle persone che avrebbero
raccontato la verità sui crimini che avessero connesso.
Quindi se una persona andava davanti alla commissione raccontando i crimini che aveva commesso, questa persona veniva perdonata
da un punto di vista giuridico e gli veniva garantita l’armistia.

Queste commissioni sono utili a ristabilire la verità (e quindi capire cosa era effettivamente successo) ma che allo stesso tempo
hanno lasciato un po’ di amaro in bocca ai familiari delle vittime (vedi apartheid).

Riassumendo, gli strumenti che possono essere adottati all’esito di situazioni, conflitti, guerre civili o situazioni come l’apartheid
possono essere:

• I tribunali ad hoc

• La corte penale

• I tribunali penali misti

• Le commissioni di verità e conciliazione, che sono interessanti in termini di pacificazione perché permettono in tempi più rapidi di
sapere la verità e di riappacificarsi, ma presentano anche elementi meno facili da digerire come per esempio la non giustiziabilità
di queste persone.

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