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FACOLTÀ TEOLOGICA DI SICILIA

ISTITUTO SUPERIORE DI SCIENZE RELIGIOSE

Paper di Antropologia teologica ed escatologica

Il mare colore del vino come luogo metafisico.

Allievo Docente

Gabriella Scalas Ch.mo Prof. Luca Crapanzano.

Anno III

Anno Accademico 2020-2021

PALERMO
«Nel corridoio è uno specchio, che fedelmente
duplica le apparenze. Gli uomini sogliono inferire
da questo specchio che la Biblioteca non è infinita
(se realmente fosse tale, perché questa duplicazione
illusoria?); io preferisco sognare che queste
superfici argentate figurino e promettano
l’infinito... La luce procede da frutti sferici che
hanno il nome di lampade. Ve ne sono due per
esagono, su una trasversale. La luce che emettono
è insufficiente, incessante».

[La Biblioteca di Babele, J.L.Borges


Introduzione.

Sulla base di alcune suggestioni presenti nel saggio proposto1 come orizzonte ermeneutico dei

romanzi di Sciascia, vorrei provare a capire come essi possano essere luoghi metafisici, luoghi cioè

capaci di proporre e stimolare la domanda radicale. Se, come penso che sia, la verità non solo si

fa ricercare dall’uomo nella vita quotidiana, ma pure si palesa nella parola e nelle immagini, allora la

letteratura – non solo quella di Sciascia – può essere un buon veicolo per superare la crisi della

metafisica. Ovvero può essere un buon modo per indurre i lettori di aprirsi all’essere e, dal lato etico

della questione, vedere nel prossimo il fine moralmente buono di ogni loro azione. Una tale valenza

della letteratura, allora, ci imporrebbe di guardarla con altri occhi e da teologi riuscire ad aprire, senza

timore, una finestra verso quest’Altro che, anche attraverso la letteratura laica, ci si fa avanti

chiedendo di essere riconosciuto e proponendosi per il dialogo.2

Una finestra aperta sul vinoso mare sciasciano.

Delineato il senso della questione, bisogna intanto ricordare le parole con cui Claude

Ambroise sostiene che per capire la narrativa di Leonardo Sciascia «conviene avere in mente le

Finzioni borgesiane le quali ci fanno sentire la verità perché dentro di noi lettori, questa zona

dell’essere è stata toccata. Le finzioni sono tutte, inscindibilmente letteratura e verità. Non vanno

confuse con la verità storica e fattuale: sono verità testuali, verità dal significante, in un processo

referenziale, realistico, inventato da ciascun lettore a suo modo».3 Si potrebbe dire, diversamente,

che dopo aver letto le Finzioni di Borges, le storie di Sciascia appaiono anch’esse composte di svariate

realtà ramificate tutte capaci di suscitare la domanda metafisica in modi diversi a seconda del lettore.

1
D. Cambareri - L. Crapanzano, Leggendo Il mare colore del vino di Leonardo Sciascia. Divagazioni Teologico-
Letterarie, Alla Chiara Fonte Editore, Lugano 2021.
2
Potrebbe essere questo il significato dell’immagine proposta da don Domenico Cambareri: «Mattina a Cape Cod» di
Edward Hopper (1950), in occasione della lezione di teologia narrativa del 20 Aprile 2021.
3
C. Ambroise, Quid est veritas in Leonardo Sciascia, Palermo 2012.

3
La complessità della realtà (anche quella narrata) e l’approccio interpretativo dell’uomo mi

riporta alla mente una storia di Umberto Eco.4 Essa racconta di quella volta che l’arcangelo Gabriele

fu mandato a cercare Giuseppe per dirgli della gravidanza di Maria. Il diavolo, avendo saputo della

missione si impegnò per impedire l’impresa. I due cercarono Giuseppe secondo una descrizione ben

precisa: uomo buono, per bene, abitante di Nazareth e via dicendo. Gabriele cercò l’uomo per bene

secondo il suo concetto e il diavolo fece altrettanto. Solo che per il diavolo essere uomo per bene

significava essere un po’ diavolo come lui; per questo motivo non trovò Giuseppe e le cose andarono

come sappiamo tutti.

Insomma, chi per la prima volta un ornitorinco non vede una specie nuova ma solo quello che

il suo bagaglio culturale ed esistenziale gli permette di guardare. Quindi l’uomo è già un po’

predisposto a vedere nelle cose quello che è in grado di vedere e in questo senso il modo di interpretare

umano qualifica l’uomo e la verità che vede in fondo è già in lui.

Per quanto riguarda la realtà che gli è più familiare, Sciascia arricchisce questa modalità

interpretativa con delle dimensioni comportamentali che sembrano connaturate con il popolo

siciliano. Intanto lo scrittore parla dell’ambiguità che è presente in ogni cosa, tanto nella totalità dei

fatti quanto nella totalità delle proposizioni che descrivono i fatti, al punto che «occorre arrendersi

ad una ambiguità presente in ogni cosa e dice l’ambivalenza dell’uomo e la potenza incontrovertibile

della sua libertà che lo rendono indagatore e costruttore della realtà».5

Per esempio, se consideriamo il mare nel romanzo Il mare colore del vino esso viene esposto

in tutta la sua valenza estetica e interpretato come rimembranza omerica e come rimando alla

saggezza; eppure Sciascia non amava il mare, lo aveva visto per la prima volta a cinque anni e non

era stato colpito favorevolmente; anzi, lo considerava porta per conquistatori e pirati di qualsiasi

specie.6 Mi sembra un esempio calzante di ambiguità che si concretizza (in questo caso) nella

4
Cf. U. Eco, Kant e l’ornitorinco, Bompiani, Milano 2008, 146-148.
5
D. Cambareri - L. Crapanzano, Leggendo Il mare colore del vino di Leonardo Sciascia, Lugano 2021,46.
6
Cf. M. Collura, Il maestro di Regalpietra. Vita e opere di Leonardo Sciascia, La Nave di Teseo, Milano 2019, 62.
4
«costruzione e distruzione di legami, nella idealizzazione e disprezzo di uno stesso oggetto» ed

appunto in quel « mare che in estate è simbolo di spensieratezza di notte infonde paura, genera morte

e fa naufragare i sogni».7

Questo linguaggio ambiguo si riflette in un’altra caratteristica su cui Sciascia si sofferma: la

reversibilità. Essa è la modalità con cui la verità di rivela tra le pieghe dell’ambivalenza del

linguaggio, cioè «una verità dal profilo popolare che mette insieme ciò che è dichiarato con ciò che

è taciuto: profilo di contrari, reciprocità di elementi che dovrebbero di per sé escludersi a vicenda,

in un gioco vertiginoso, spesse volte pericoloso ma sempre rivelativo».8

Insomma l’uomo sciasciano è complesso quanto la realtà stessa e quindi per capire il suo

pensiero e la sua opera bisogna trovare delle vie epistemologiche adatte, degli strumenti di

interpretazione e conoscenza. Sciascia, nelle sue riflessioni da delle indicazioni utili in questo senso.

Innanzitutto bisogna comprendere che non basta la ragione per districarsi nel mare delle

parole; farlo significa, rimanere come un atomo in mezzo all’infinito; quindi l’uomo sciasciano deve

essere capace di intuizione, di armeggiare il linguaggio poetico e anche simbolico.

In secondo luogo, l’uomo (Siciliano ma non solo) ha un modo particolare di organizzare la

propria conoscenza che consiste nell’ordine delle somiglianze senza il quale «non c’è ordine, non

c’è conoscenza, non c’è giudizio».9 Il gioco delle somiglianze, fonte di ogni conoscenza, è un vero e

proprio fondamento antropologico dell’uomo ed espressione della ricerca della verità come

certezza. Lo si vede bene nel racconto Un caso di coscienza in cui gli uomini di Maddà cercano

somiglianze tra la donna della confessione e le altre donne del paese, nel disperato tentativo di trovare

dissomiglianze con la propria consorte. In questo modo, attraverso la somiglianza si attua un po’ il

7
Sarebbe interessante qui provare a vedere, ma non è lo scopo dell’elaborato, se l’ambiguità del linguaggio derivi dalla
posizione Platoniana rispetto al “ciò che è e ciò che non è Parmenideo” e soprattutto dall’impianto gnoseologico
soggettivo che ne deriva. Potremmo anche arrivare a concludere che, in fondo, la crisi della metafisica sia proprio partita
da Platone e dal suo concetto di diversità letto soggettivamente.
8
D. Cambareri - L. Crapanzano, Leggendo Il mare colore del vino di Leonardo Sciascia, Lugano 2021,47.
9
M. Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini, Edizioni ETS, Pisa 2013,9.
5
criterio della reversibilità che ribalta le situazioni: se si riesce ad incolpare la donna di altri si discolpa

la propria, automaticamente.

La somiglianza è una sorta di via epistemologica secondo la quale «i rimandi al mondo visuale

sono fondati sulla ricerca di analogie, equivalenze, somiglianze e corrispondenze estetiche e ideali.

»10. Va da se che il tema della somiglianza rimanda immediatamente a quello dell’immagine che per

Sciascia, appassionato di cinema e fotografia, fu fondamentale. Nel rapporto tra la narrazione e la

rappresentazione visiva sciasciana si può dire che «Il caleidoscopico universo visuale sciasciano è

segnato dalla presenza di immagini di differente matrice (reali e mentali, scaturite cioè da opere

d’arte realmente esistite o create dalla sua fantasia), mediate da dispositivi diversi; sono immagini

evocate dalle parole, o a esse complementari, perché portatrici di un discorso analogo dentro la

soglia del libro».11

Ora, Tornando al racconto, nel tentativo di conoscere meglio il personaggio di Gerlanda, per

esempio, si potrebbe usare la somiglianza con il ritratto dell’ignoto marinaio12 di Antonello da

Messina che Sciascia apprezzava più di ogni altro ritratto13. Entrambi (Gerlanda e l’Ignoto) portano

un vestito nero e bianco, hanno occhi lucenti e indagatori e il sorriso beffardo, irrisorio. L’uno è un

marinaio non giovane, forse molto navigato; l’altra che ha viaggiato e ora affronta il viaggio di ritorno

è un po’ come Ulisse (marinaio) che tornò a casa diverso da quando era partito; diremmo un po’

ignoto agli altri. Entrambi, infine, sembrano scrutare chi li guarda per dire “so dormire sul tuo cuore14,

so chi sei e ora forse lo sai un po’ di più anche tu” se non altro perché negli occhi rifulgente ognuno

può vedere specchiata una miniatura di sé, una somiglianza si potrebbe dire. Insomma entrambi sono

due ritratti di persone che spingono l’osservatore ad indugiare sul loro aspetto, sul loro sguardo nel

tentativo di scoprirli sempre un po’ e di più e finendo per capire meglio solo se stesso. Probabilmente

10
M. Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini, Edizioni ETS, Pisa 2013,9.
11
Ib.
12
Si tratta del Ritratto di Ignoto di Antonello da Messina, risalente al 1400 ed esposto al Musea Mandralisca di Cefalù.
13
L. Sciascia, «Questo non è un racconto». Scritti per il cinema e sul cinema, Adelphi Edizioni, Milano 2021, 124.
14
Gerlanda dorme con la testa posata sul petto dell’ingegnere Bianchi e questo gesto che ricorda il passo giovanneo in
cui il discepolo amato che poggia il capo sul petto di Gesù in Gv.13,23-26, indica grande familiarità.
6
era questo effetto che permetteva a Sciascia di definire i ritratti come entelechie cioè luoghi metafisici

per eccellenza: comprendenti in sé la propria origine e telos (la pienezza).

A questo punto, avendo tutti gli strumenti necessari per districarsi nell’universo sciasciano,

vorrei provare, sulla base dell’analisi di Domenico Cambareri a rileggere Il mare colore del vino

cercando di approfondire la sua comprensione e di cogliere in esso dei rilievi ontologici evidenziando,

dove è possibile, anche eventuali rimandi teologici o religiosi.

Innanzitutto si deve notare che la chiave di lettura proposta da D. Cambareri è esistenziale. Il

viaggio è visto (dal protagonista del romanzo) come la rappresentazione della vita ma con dimensioni

spazio-temporali ridotte. Nel piccolo teatro dell’esistenza l’ingegnere Bianchi vive una esperienza di

risveglio che, secondo una analisi narrativa, si articola mediante un processo dialettico tra due realtà

effettivamente molto differenti: nord/tecnica algida come la Svizzera e sud/ natura umana e

cultura classica. Il passaggio tra i termini del duopolio ha il momento centrale lì dove Sciascia narra

che l’ingegnere elabora il significato del Mare colore del vino: «Il bambino ha colto qualcosa di

vero: forse l’effetto, come di vino, che un mare come questo produce. Non ubriaca: si impadronisce

dei pensieri, suscita antica saggezza».15 Va notato che qui il gioco analogico (la somiglianza) tra la

vita e la stessa, rappresentata in piccolo nello scompartimento di un treno, si muove su una logica

circolare: l’ingegnere Bianchi, per il tempo del viaggio, vivrà tutta la sua dimensione esistenziale in

uno scompartimento di treno e, alla fine del viaggio, farà di quella esperienza rimpicciolita il modello

per dare un senso della sua esistenza. Questo ordine di somiglianza permette al lettore di capire che

dal lato narrativo il tecnico vicentino sta gradualmente passando dalla concezione di una vita Svizzera

che vede nei bambini di oggi gli Svizzeri di domani, ad una vita che nei bambini di oggi sa vedere gli

uomini di domani. Mentre dal lato filosofico-esistenziale l’ingegnere veneto si appresta a cambiare

visione da ontica a ontologica; si potrebbe dire, anche, a progettarsi per una dimensione diversa

dell’esistenza.

15
L. Sciascia, Il mare colore del Vino, Adelphi Editore, Milano 2012,43.
7
A mio avviso, si può aggiungere, senza forzare la mano, che c’è anche più di un cambiamento:

quasi una rinascita. In fondo il riferimento all’attraversata dello stretto di Messina ricorda il rito nella

vasca battesimale e in questo senso il viaggio potrebbe essere visto come un percorso di iniziazione.

A ben pensare, anzi, riflettendo proprio sul mare vinoso come immagine epifanica (capace cioè di

introdurre l’uomo al mistero), se ne può cogliere anche tutta la valenza liminale rituale. Nel rito, in

quanto rito, è presente una sorta di «dramma sociale in cui si mette in scena il passaggio dalla morte

alla resurrezione attraverso la liminalità. Il dramma sociale ha inizio quando l’andamento pacifico

della vita sociale regolare, governata da norme, è interrotto dalla rottura di una regola che controlla

una delle sue relazioni salienti».16 Come non pensare, allora, che il òinops pòntos sia per l’ingegnere

quel «caos primordiale necessario per rinascere un’altra volta cambiati e in una posizione sociale

più elevata»17 quell’ «ambiguità che tipicamente regna nella liminalità rituale»18 che gli permette di

accedere ad un altro «livello di esperienza».19 In buona sostanza il mare nel racconto sciasciano

rappresenta - anche e se si vuole - quella potenza caotica che mette l’ingegnere in grado di accogliere

il mistero, di aprire la finestra della propria vita per permettere l’ingresso dell’Altro.

Questo momento di passaggio sarà accompagnato da due testimoni fondamentali: Nenè e

Gerlanda. Il primo, Nenè è un bambino vivace, intelligentissimo (è l’orgoglio del padre che lo vede

somigliante a sé) anche un po’ viziato; il suo linguaggio a tratti sconcerta per via di parolacce che non

si sa come abbia appreso (qui il padre non si fa avanti per reclamare la somiglianza). Il bimbo, però,

scandalizza veramente quando conferma di voler essere povero per i poveri, per non vederli morire o

mangiare nelle lattine vecchie. Da un bambino di appena quattro anni non ci sia aspetterebbe mai un

messaggio evangelico così immediato ma non è la modalità comunicativa di Nenè che stupisce quanto

il messaggio in sé in quanto parola di vita. Qui il rimando analogico è palese e già implicito nel nome

Emanuele che è un nome teoforo. Nel nome si ri-vela la propensione del bambino a donarsi nel gioco

16
G. Bonaccorso (a cura di), La liminalità del rito, Edizioni messaggero Padova, Padova 2014, 65.
17
Ib.
18
Ib.
19
Ib.
8
della reversibilità intesa come volontà di sobbarcarsi la povertà altrui. Qui, nel nome (Emanuele

che viene accorciato in Nenè, quasi a nascondere El) non è minimamente indicata la pesantezza del

fardello che il bambino già sceglie per sé. Come a dire che portare la Croce, in fondo, non né pesante

per chi già ha deciso chi sarà, chi seguirà così da avere in sé la pienezza (il ritratto di Nenè è

entelechia).

Il tema della pesantezza, si vedrà invece, nell’altro testimone: Gerlanda. Ella è una bella e buona

ragazza che sopporta - in agosto - un pesante vestito nero e il cui nome come già detto è pesante,

perché dentro c’è una gerla. Ed è importante che sia la stessa ragazza a farlo presente anche se quello

che non dice è che il termine gerla in sé porta una ambiguità. Infatti nel vocabolario20 la gerla è

descritta come una cesta con delle cinghie che si impone sulle spalle per portare cibarie, verdura,

primizie. In questo senso Gerlanda porta ricchezza, genuinità e sembra strano che questo modo di

essere possa appesantire una persona. Ma il termine gerla ha una variante in zerla21 alla quale è

associato una frase di Sarpi, un teologo anticlericale del 1500 circa, il quale sosteneva che un non ben

identificato pontefice del suo tempo impose la zerla a tutti i religiosi per costruire baluardi. In questo

altro senso Gerlanda può essere vista come una persona che porta un fardello pesante: dover patire

ancora la mortificazione del proprio corpo, dopo essere stata attraversata dalla malattia, per la

convinzione della madre e della zia che l’intercessione di San Calogero meriti ulteriori sofferenza.

Sono entrambe due visioni della stessa persona, entrambe tese a dimostrare come anche in una parola

a suo modo ambiguo (in questo caso polisemantica) possa rivelarsi la verità (Quella che mette a nudo,

soprattutto la differenza tra il peso inesistente della croce prefigurata di Nenè e la devozione

pauperistica della zerla di Gerlanda).

Ma, a parte il gioco dell’ambiguità e della reversibilità che si annidano nelle parole della

narrazione, i due testimoni si esprimono con un linguaggio genuino. Nenè usa parole inequivoche e

20
Cf. AA.VV, Gerla, in Vocabolario Treccani online, 16 Aprile 2021.
11
Cf. AA.VV, Zerla, in Vocabolario Treccani online, 16 Aprile 2021.

9
anche Gerlanda non fa giri di parole quando racconta di aver pensato di traferirsi a Roma, prima della

malattia e di aver cambiato idea dopo aver visto persone dalla vita inautentica ed alienata.

Ella, insieme al bambino Nenè sono il tramite del risveglio dal sonno ontico dell’ingegnere

Bianchi. Heidegger, con il suo linguaggio filosofico direbbe che sono già disposti per la morte, mentre

con un linguaggio morale-teologico si potrebbe dire che si sono già decisi rispetto alla loro opzione

fondamentale. Gerlanda ha deciso di non essere come la gente che è disposta a «tradire gli altri, tutti

gli altri…e ad inseguire la gioia così…»;22 Nenè, come già detto, ha deciso di essere povero per i

poveri. Entrambi pronunciano parole e fanno gesti per fare appello alla capacità dell’ingegnere di

prendersi cura dell’essere. In questo senso essi sono dabar: parola incarnata che contempla in sé

anche il significato di azione. Questi due ritratti riuniscono in se stessi la capacità di «dire il reale e

di farlo»23; In questo senso essi rappresentano «la parola che si connota di pienezza di sensi e di

effetti e che si radica nella tradizione ebraico – cristiana».24 Per dirla in breve sono rivelatori della

presenza di Dio nella storia dell’ingegnere Bianchi e in quella del lettore di ogni tempo. Per fare un

parallelo con Heidegger se l’essere si è fatto di casa nel linguaggio per Sciascia Dio si è fatto casa ed

evento nella parola narrata. Con buona pace di chi vedeva in Sciascia un ateo.

Che l’evento sia stato accolto dall’ingegnere Bianchi si capisce da due riflessioni che egli

stesso presenta: il primo parte dalla somiglianza tra sé e l’ingegnere Faber di Max Frisch, tra la

tragedia greca e il politecnico di Zurigo, per arrivare alla conclusione che la tecnica è buona se serve

per far crescere bene bambini come Nenè, affinché rimangano liberi dai legacci cinici e razionalistici.

Il secondo sta nella decisione che la Domenica successiva andrà a trovare la famiglia Miccichè,

Gerlanda e Nenè; perché alla fine alla ragione prevale sempre il sentimento, anche se esso (il

sentimento) rappresenta quello stare nella morsa paradossale dell’intenzione e dell’affezione.

22
L. Sciascia, Il mare colore del Vino, Adelphi Editore, Milano 2012,35.
23
Cf. A. Di Grado, «La religiosità di Sciascia», presentato al seminario Leonardo Sciascia e la poetica della povertà: la
narrazione come rivelazione, Palermo 16 Aprile 2021.
24
Ib.
10
Districandosi tra le maglie della narrazione sciasciana, grazie a tutte le categorie

antropologiche messe in campo, ci si rende conto di essere stati posti davanti ad un mare vinoso e che

i pensieri sono stati presi dal turbine di poche parole semplici esposte in una struttura semantica

complessa e massimamente espressiva. Del resto quella di Sciascia è certamente un’arte capace di

trasportare il lettore alla ricerca del senso, della pienezza della vita, attraverso una narrazione che

ricorda molto quella dei vangeli. Proprio della letteratura evangelica Sciascia sembra sposare anche

la concezione «del potere e della responsabilità del logos. Nel suo caso della parola letteraria come

fatto e come azione ma anche come chiave privilegiata dell’interpretazione del reale».25 E come non

vedere in questa modalità espressiva la tendenza del poeta Sciascia ad un cristianesimo che torni ad

essere: «una presenza viva ed inquietante, una passione, una agonia»26 quell’inquietudine del bimbo

che vuole lottare la povertà con l’azione diretta del farsi povero che appare un imperativo categorico

contro «un potere piovra e un contesto omertoso e trasformista, fonte di impostura».27

Conclusione

Concludo riflettendo sul fatto come questo breve ed umile elaborato che aveva il compito di

vedere se la narrazione di Sciascia è luogo metafisico ha trovato, alla fine, anche una eco teologica.

Come Sciascia moltissimi autori siciliani hanno prodotto capolavori che si rifanno al messaggio

evangelico: partendo da Fortunato Pasqualino, passando da Federico De Roberto, all’ossimorico

nichilismo/religiosità di Tomasi di Lampedusa, ai personaggi di Gesualdo Bufalino che bestemmiano

a mani giunte e tanti altri scrittori, siciliani e non, che da laici, ognuno a modo proprio ha dato voce

alla dabar. Il tentativo della letteratura laica di descrivere la condizione umana, fino a qualche tempo

fa, non è stato letto secondo la giusta chiave ermeneutica dagli ambienti religiosi. Solo nell’epoca

25
Cf. A. Di Grado, «La religiosità di Sciascia», presentato al seminario Leonardo Sciascia e la poetica della povertà: la
narrazione come rivelazione, Palermo 16 Aprile 2021.
26
Ib.
27
Ib.
11
postconciliare, quando le discipline antropologiche avevano finalmente trovato il modo di dialogare

con la teologia, la letteratura di ispirazione cristiana o religiosa ha spostato la propria attenzione verso

l’aspetto spirituale del vissuto umano, alle ansie dell’uomo. In questo viraggio è stata colta

l’importanza della testimonianza del laicato per il rafforzamento dell’autocomprensione dell’uomo

non solo rispetto alla realtà in cui si esprime ma anche rispetto alla fede.

Questo ruolo importante degli scrittori laici rende urgente l’appello anche ai critici affinché

essi accreditino la letteratura, senza imporre i propri schemi precostituiti. La richiesta è che essi la

rivalutino nella sua capacità fornire modi per intravedere quello che non si fa mai vedere. La critica,

inoltre, non deve soffermarsi alla sola scientificità o restituzione filologica del testo ma deve elaborare

«un’antropologia testuale, che valorizzi la testimonianza e il contatto reale e illuminante di un essere

con altri esseri e testimoni una tensione verso ciò che non si vede, verso una misura ulteriore».28 La

critica quindi deve saper valorizzare il dato ontologico che dalla letteratura scaturisce, la sua capacità

metafisica (e quando è possibile anche teologica) oltre la sua collocazione stilistica in questo o

quell’ambiente e periodo culturale.

28
F.D.Tosto, Letteratura in Dialogo. Incroci tra produzione letteraria e scienze dell’uomo, BastogiLibri, Roma 2019,41.
12
Bibliografia

Studi
D. Cambareri - L. Crapanzano, Leggendo Il mare colore del vino di Leonardo Sciascia, Lugano 2021.
G. Bonaccorso (a cura di), La liminalità del rito, Edizioni messaggero Padova, Padova 2014.
M. Collura, Il maestro di Regalpietra. Vita e opere di Leonardo Sciascia, La Nave di Teseo, Milano
2019.
A. Di Grado, «La religiosità di Sciascia», presentato al seminario Leonardo Sciascia e la poetica
della povertà: la narrazione come rivelazione, Palermo 16 Aprile 2021.
U. Eco, Kant e l’ornitorinco, Bompiani, Milano 2008.
M. Rizzarelli, Sorpreso a pensare per immagini, Edizioni ETS, Pisa 2013.
F.D.Tosto, Letteratura in Dialogo. Incroci tra produzione letteraria e scienze dell’uomo,
BastogiLibri, Roma 2019.
Fonti
L. Sciascia, Il mare colore del Vino, Adelphi Editore, Milano 2012.
L. Sciascia, «Questo non è un racconto». Scritti per il cinema e sul cinema, Adelphi Edizioni, Milano
2021.

Dizionari
AA.VV, Vocabolario Treccani online, 16 Aprile 2021.

Video e sitografia
C. Ambroise, Quid est veritas in Leonardo Sciascia, Palermo 2012.

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