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Misure di moto
5.1 - Spostamenti relativi lineari ed angolari: Trasduttori resistivi - Trasformatori differenziali -
Captatori induttivi e capacitivi - Sistemi Synchro - Captatori piezoelettrici - Sistemi elettroottici -

Generalmente si intraprende lo studio dei dispositivi di misura cominciando dai sensori per misure
di moto e misure dimensionali perché si basano su due grandezze fondamentali in natura ( tempo e
lunghezza) e inoltre perché numerose altre grandezze fisiche sono spesso misurate mediante una
loro conversione in spostamenti (ad es. forza, pressione, temperatura) per misurare quindi il moto
risultante (intendendo per moto uno spostamento variabile nel tempo.
Si tratta principalmente (ma non esclusivamente) di trasduttori elettro-meccanici che convertono il
moto (quale variazione di una grandezza meccanica come la forza o lo spostamento vero e proprio)
in una grandezza elettrica che è quindi monitorata (cioè osservata) come una tensione elettrica dopo
un opportuna elaborazione (condizionamento) del segnale in uscita dallo strumento di misura.

Misure dimensionali
Sono di interesse principale nel campo della metrologia di officina e di laboratorio. Tra gli
strumenti più diffusi per misure e
controlli dimensionali si
rammentano:
- calibro passa – non passa
- calibro a verniero
- blocchetti calibrati
- micrometro
- comparatore meccanico
- comparatore elettronico
- comparatore pneumatico
- dischi ottici e sorgenti
monocromatiche
- interferometri

Tralasceremo nel seguito tutti quegli


strumenti che rientrano nell’ambito
di applicazione della metrologia
generale di officina per soffermarci
solo sul comparatore pneumatico e
sull’interferometro Michelson.

Comparatore pneumatico
Largamente utilizzato per controlli dimensionali di
precisione principalmente per applicazioni in ambienti di
produzione.
Si basa su una disposizione di un doppio orifizio come
illustrato nello schema.
Il valore della pressione intermedia dipende dalla sorgente di
pressione Ps e dalla caduta di pressione attraverso gli orifizi
O1 (tarato) e O2 la cui sezione effettiva dipende dalla distanza
d tra la superficie terminale e la superficie di misura. La
variazione della pressione Pi è utilizzata come indicazione di
misura proporzionale alla distanza d.
Con riferimento alla configurazione ripresa nella figura
seguente, è stata determinata una relazione empirica che mette in relazione il valore misurato della
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pressione Pi (grandezza misurata) con il


rapporto tra le due sezioni di efflusso A1 e
A2, per un valore prefissato di Ps = 15 psi =
103425 Pa ed un diametro dell’orifizio
tarato O1 = 0,08302 mm :
(A2/A1)2= Ps/Pi – Pi/Ps
Nel campo Pi/Ps 0,440,9 la relazione
approssima da vicino la retta :
Pi/Ps=1,10-0,50*A2/A1
Con una risoluzione pari a circa 10-7 mm.

Interferometro ottico
Sebbene misure nel campo di 10-5 mm non siano di grande diffusione in ambito meccanico, ma lo
sono nel campo dei materiali non convenzionali, sono quantomeno necessarie come misura di
riferimento per la taratura di blocchetti calibrati, ma ormai anche per numerose applicazioni di
micro tecnologia.
Per la taratura dei blocchetti calibrati, si effettua il confronto diretto con la lunghezza d’onda di
specifiche sorgenti luminose, ottenendo una risoluzione dell’ordine della lunghezza d’onda della
sorgente impiegata.
L’interferometro Michelson, che con leggere
variazioni di configurazione è tuttora
largamente utilizzato, impiegando una
sorgente Laser può essere schematizzato
come in figura.
Un fascio di luce emessa dalla sorgente,
attraversa il separatore di fascio (beam-
splitter) che ne trasmette il 50% lungo la
direzione originaria (fascio di misura) e ne riflette il restante 50% lungo una direzione a 90° con
quella originaria (fascio di riferimento).
Il fascio di misura incontra quindi uno specchio mobile, solidale con il corpo del quale si vuole
misurare il moto, e viene riflesso indietro per tornare sul separatore di fascio.
Il fascio di riferimento viene invece riflesso da uno specchio fisso (cube corner) per ritornare sul
separatore di fascio, avendo percorso un cammino ottico di entità nota.
Sul separatore di fascio si ricompongono i due fasci di misura e di riferimento, e vengono riflessi in
direzione di un fotorivelatore che converte l’energia luminosa in un segnale elettrico), dopo avere
attraversato una apertura (diaframma).
La combinazione dei due fasci di misura e di riferimento, che hanno percorso cammini ottici diversi
darà luogo punto per punto (istante per istante) a fenomeni di interferenza costruttiva o distruttiva in
funzione della differenza istantanea di cammino ottico (optical path difference - OPD) percorso dai
due fasci . In pratica ad ogni spostamento δ del riflettore mobile su cui è indirizzato il fascio di
misura, la differenza di cammino ottico tra i due fasci si incrementa di 2 δ .
Il numero Ν di successive frange nere che si presentano al sensore durante il moto dello specchio
mobile è legato alla distanza da esso percorsa attraverso la relazione: 2 δ = Ν λ , essendo λ la
lunghezza d’onda della sorgente luminosa impiegata (632,8 nm nel caso di un laser He-Ne).
Con particolare attenzione è possibile ottenere una risoluzione di misura fino ad 1/100 di frangia.

Misure di spostamento
Tra i sensori che sono intrinsecamente sensibili agli spostamenti e alle deformazioni, quelli
maggiormente diffusi sono i seguenti:
- potenziometri a resistenza
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- estensimetri elettrici a resistenza


- dispositivi ad induttanza variabile
- trasduttori capacitivi
- trasduttori piezoelettrici

Generalmente gli spostamenti, al pari delle accelerazioni vengono misurati direttamente mentre la
velocità talvolta è ricavata per integrazione dal corrispondente segnale di accelerazione.
E’ invece trascurata nella pratica di misura, la possibilità teorica di ricavare l’accelerazione
mediante un processo di derivazione del segnale di velocità, perché il processo di differenziazione
amplifica eventuali errori causati da rumore e altri disturbi del segnale derivato. Al contrario il
processo di integrazione è più stabile in quanto riduce l’entità dell’errore e quindi viene utilizzato
per ricavare la velocità mediante integrazione del segnale di accelerazione o per ricavare lo
spostamento mediante integrazione semplice della velocità o mediante duplice integrazione del
segnale di accelerazione.

Sistema inerziale primario


Un’altra considerazione fondamentale circa le misure di spostamento in generale, riguarda la
definizione (individuazione) del sistema di riferimento rispetto al quale effettuare la misura di
grandezze cinematiche (spostamento- velocità- accelerazione). Idealmente per applicazioni di
natura “meccanica” si considera come riferimento il cosiddetto “Sistema inerziale primario” che
consiste in un immaginario sistema di assi rettangolari fisso nello spazio.
Le misure effettuate in questo sistema di riferimento sono indicate come misure assolute.
In questo sistema di riferimento sono valide le leggi della meccanica newtoniana finchè le velocità
considerate sono piccole rispetto alla velocità della luce (circa 300.000 km/s).

Sistema di riferimento terrestre


Un sistema di riferimento vincolato alla superficie della terra presenta movimenti nel sistema
inerziale primario e quindi nel caso di misure effettuate rispetto ad un sistema di riferimento
terrestre, bisogna apportare alcune correzioni alle equazioni fondamentali della meccanica.
Per questo motivo nei calcoli delle traiettorie dei razzi bisogna tenere in considerazione anche il
moto assoluto della Terra.

Nel caso di misure di interesse ingegneristico che riguardino componenti, strutture e macchine
ubicate sulla superficie terrestre, l’entità di queste correzioni è significativamente trascurabile e
pertanto se ne può fare a meno.

Base di riferimento
La realizzazione pratica di una grandezza di moto (spostamento, velocità o accelerazione) comporta
ove possibile la scelta di una base fissa (piano) di
riferimento. Questa necessità pratica determina
quindi due differenti approcci in funzione del
riferimento disponibile all’atto della misura:
- base del trasduttore vincolata ad un piano fisso
di riferimento, se questo esiste
- trasduttore cosiddetto sismico (assoluto) quando
non è disponibile un piano di riferimento fisso a cui
vincolare rigidamente la base del trasduttore.
Un tipico esempio a confronto tra misure “terrestri” ossia riferite ad un sistema di riferimento
solidale alla terra e misure “assolute” cioè riferite ad un sistema primario inerziale riguarda il
pendolo (misura dello spostamento angolare riferito alla direzione della forza di gravità) ed il
giroscopio (misura di spostamento angolare e di velocità assoluti).
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Nella pratica misuristica sono piuttosto rari i trasduttori che permettono la misura di accelerazioni
relative.

Misure di moto in un sistema di riferimento fisso (terrestre)


Le misure effettuate in un sistema di riferimento
fisso sono appunto caratterizzate dall’esistenza di
una base (piano) fisso che cioè non è dotato di
moto proprio (x(t)=0 nella figura).
Con la notazione riportata in figura, rispetto ad un
riferimento fisso possiamo scrivere l’equilibrio di
corpo rigido della massa sismica m:
m &y& + C ( y& − x& ) + k ( y − x) = F (t )
z= y− x
m &z& + C z& + + k z = F (t ) − m &x& = R (t )
essendo k la costante elastica della molla, C la costante di smorzamento viscoso, x lo spostamento
della base a cui è vincolato il sensore e y lo spostamento della massa sismica.
La grandezza F(t) è la funzione esterna di sollecitazione risultante dall’applicazione di forze e/o
pressioni ed Fb è la forza tra la base del trasduttore e la struttura di supporto. Il trasduttore non è
affetto da questa forza che si applica esclusivamente alla sua struttura esterna (carcassa).
Con l’espressione R(t) si rappresenta quindi la sollecitazione esterna risultante (eccitazione del
trasduttore) causata da forze esterne [F(t)] e da forze d’inerzia.
Il sensore di spostamento relativo z, nel caso di un trasduttore sismico è posto tra la base e la massa
sismica (v. figura nella pagina precedente).
Nel caso di misure rispetto ad un riferimento fisso, essendo base solidale alla struttura (x(t)=0), le
misure sono relative al sistema di riferimento fisso.
La frequenza naturale di un trasduttore così fatto è data dall’espressione ωn=(k/m)1/2 .

Potenziometro a resistenza
Il potenziometro più semplice, raffigurato in figura, è costituito
da una resistenza lineare a filo, di lunghezza l, alimentata ai suoi
capi da una sorgente in tensione Vi .
La relazione che lega la tensione di uscita (grandezza misurata)
alla posizione x (misurando) del cursore a scorrimento che si
muove sulla resistenza di lunghezza l si esprime come segue:
x Vo
Vo = ⋅ Vi ⇒ x= ⋅l
l Vi
Limiti di funzionamento del potenziometro: limitata
sensibilità determinata dalla limitata resistenza di brevi
tratti di filo, ciò richiede pertanto l’alimentazione con
sorgenti in tensione di elevata ampiezza Vi che
comporta perdite non trascurabili per effetto Joule.
Per superare questi problemi si ricorre alla costruzione
di potenziometri a filo avvolto sia per le configurazioni
da spostamento lineare che per quelle per la misura di
spostamenti angolari, i cui schemi sono raffigurati a
fianco.
Valori tipici di resistenza per i potenziometri a filo
avvolto variano da 10 a 106 V (dipendono dal diametro e dalla lunghezza totale di filo impiegato).
Limiti d’impiego: risposta dinamica limitata a causa dell’inerzia del dispositivo di contatto (uso
statico o quasi statico)
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Variazione a tratti della resistenza al variare della posizione del contatto strisciante del cursore
(soglia di mobilità).

Valori tipici di risoluzione (l/n, con n numero di spire) da 0,05% a 1%


Campo di misura : pot. lineari fino a 1 [m], pot. angolari fino a 7200 deg (configurazione ad elica).

Potenziometri a film sottile


Sono utilizzati per elevate risoluzioni, minore rumore e durate maggiori fino a 107 cicli contro
valori tipici di 106 cicli di quelli a filo avvolto. Valori tipici di sensibilità da 50 a 100 V/mm con
risoluzione fino a 10-3 mm.

Circuito di misura per potenziometri: elementi del circuito


Potenziometro con resistenza Rp
Strumento di misura con resistenza Rm
Sorgente di energia che fornisce una tensione Vs ai capi di Rp
Capacità C (opzionale) (per potenziometri a filo avvolto, per “addolcire” il segnale di uscita quando
il contatto strisciante si muove tra due fili adiacenti.

La resistenza Rm del dispositivo di misura dà luogo ad un effetto di carico che si ricava come segue:
V o = i m ⋅ R m

Vo = (i − i m ) ⋅ R , sistema di tre equazioni in tre incognite (im, i, Vo)
V = V − i ⋅ ( R − R)
 o s p

Si ricava im
Vo
im = ;
Rm
Vo Vo Vo  1 1 
i= + im = + = Vo ⋅ + 
R R Rm  R Rm 
 
V s − Vo
i=
Rp − R
Risolvendo rispetto a Vo e Vs

Vo ⋅ R p ⋅ ( R m + R p − R ) = V s ⋅ R ⋅ R m
R  Rm + R p − R   Rp R 
Vs ⋅ = Vo ⋅  = Vo ⋅  1 + − 
Rp  Rm   Rm Rm 
   
Risolvendo ulteriormente rispetto a Vo/Vs:
R
Vo Rp R xi
⋅= ; ponendo =
Vs Rp R R p xt
1+ −
Rm Rm
V 1
si ottiene : o =
Vs 1 Rp  x 
+ 1 − i 
xi Rm  xt 
xt
Rp
che in condizioni di funzionamento ideali, = 0, cioè in condizioni di circuito aperto, diventa:
Rm
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Vo x i
=
V s xt
In condizioni reali, introducendo un fattore di non-
linearità h l’equazione che descrive il caso reale si
può scrivere:
Rm
Vo = (1 + η ) ⋅ ⋅ Vs
Rp

La non-linearità della risposta si traduce in un errore


massimo del 12% circa del fondo scala in corrispondenza
Rm R
di = 1 e si riduce a circa 1% per m = 10. Per valori
Rp Rp
Rm
> 10 la posizione di massimo errore è nell’intorno di
Rp
xi/xt = 0,67 (cioè a 2/3 della corsa) e questo errore vale
Rm
circa 15 ⋅ % del fondo scala.
Rp

La scelta di Rp è dettata quindi da un compromesso tra


sensibilità ed effetto di carico.

Dispositivo a resistenze multiple per misura di spostamenti


Una applicazione di dispositivo di misura a resistenze multiple consiste di una sequenza di
resistenze in parallelo, alimentate a tensione costante Vs.

Inizialmente l’uscita Vo del circuito è rappresentata dall’espressione:


Ro
Vo = V s dove Re è la resistenza equivalente calcolata come segue
Ro + Re
1 1 1 1
= + + ............ + .
Re R1 R 2 Rn
Il movimento dell’oggetto raffigurato interrompe fisicamente le resistenze (ad una ad una) e si
incrementa (a salti) la resistenza equivalente Re per cui la tensione di uscita Vo decresce come
illustrato nel grafico in figura…
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Questo dispositivo, nella configurazione incollata è utilizzato per misurare e monitorare la


propagazione di una cricca. La risoluzione dipende dalla spaziatura fisica delle resistenze.

Breve richiamo del calcolo della caduta di potenziale ai capi di singoli elementi circuitali

Si rammenta che la caduta di potenziale ai capi di una resistenza è proporzionale al valore R della
ii
resistenza e della corrente i che la attraversa, quello ai capi di una
induttanza è proporzionale al valore dell’induttanza ed alla derivata della
corrente che la attraversa mentre la caduta di tensione ai capi di un
V=Ri

Vs =Vi (t) R

condensatore è direttamente proporzionale al’integrale nel tempo della


corrente i ed inversamente proporzionale a valore C della capacità.
ii

L’induttanza è un avvolgimento a spire multiple di conduttori di piccolo


V=L di/dt

Vs =Vi (t) L diametro. Presenta una bassa resistenza ai flussi stazionari di corrente, ma
una elevata resistenza a correnti variabili nel tempo.

Il condensatore, costituito da una coppia di elettrodi separati da un


V=1/C * ∫ idt

Vs =Vi (t) C
dielettrico che serve da isolante, presenta ai suoi capi una caduta di
potenziale proporzionale alla quantità di carica “immagazzinata”.

Trasduttori induttivi per misure di spostamento

Trasformatore differenziale LVDT (Linear Variable Differential Transformer)


Questo trasduttore si basa sul principio delle variazioni di induttanza.

I trasduttori ad induttanza variabile si basano sulla lettura della


tensione di uscita di un avvolgimento la cui induttanza varia in
risposta alla variazione del misurando.
L’avvolgimento è spesso alimentato con una tensione di
eccitazione alternata. Tra questi trasduttori il più diffuso è il
trasformatore differenziale lineare variabile (LVDT – linear
variable differential trasformer) che fornisce un segnale di
uscita (tensione alternata) proporzionale allo spostamento di
un’anima (nucleo mobile) attraverso gli avvolgimenti.
L’LVDT è un dispositivo di mutua induttanza
che generalmente fa uso di tre avvolgimenti
simmetricamente disposti, avvolti su una bobina
isolata. Un nucleo magnetico di ferro dolce
realizza il percorso per il concatenamento del
flusso magnetico tra l’avvolgimento del
primario e i due avvolgimenti secondari.
La posizione del nucleo magnetico controlla la
mutua induttanza tra l’avvolgimento centrale e i due avvolgimenti esterni secondari. Alimentando il
primario, generalmente con una tensione sinusoidale di ampiezza compresa tra 3 e 15 V r.m.s. , a
frequenze che vanno da 50 Hz a 25 kHz, si induce nei due secondari perfettamente identici tra loro,
una tensione sinusoidale di frequenza uguale a quella con cui viene alimentato il primario, e con
ampiezza che varia in funzione della posizione assunta dal nucleo mobile di ferro dolce.
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I due avvolgimenti secondari vengono collegati in


serie in opposizione di fase ed esiste una
posizione del nucleo mobile in corrispondenza
della quale la tensione in uscita dai due secondari
è nulla ( o pressoché nulla).
Da questo punto, il movimento del nucleo in
ferro, determina una mutua induttanza maggiore
per un secondario rispetto a quella che si
determina nell’altro secondario e l’ampiezza eo
del segnale di uscita diventa una funzione quasi
lineare della posizione del nucleo per un
apprezzabile intervallo di spostamenti del nucleo
in entrambe le direzioni a partire dalla posizione
iniziale cui corrisponde il valore nullo del segnale
di uscita eo .
La tensione di uscita eo transitando per lo zero subisce un salto di fase pari a 180° e generalmente è
sfasata rispetto alla tensione di eccitazione. Per ogni LVDT esiste, ed è indicato dal costruttore, un
valore della frequenza della tensione di eccitazione del primario, per il quale lo sfasamento tra
ingresso ed uscita è nullo.
Comunque ciò è rilevante se si utilizzano sistemi di “lettura” che richiedono piccoli sfasamenti tra
eex ed eo , mentre è indifferente se si utilizza un oscilloscopio o un AC meter.

Con riferimento allo schema circuitale riportato in figura, applicando la legge di Kirchoff, con
l’uscita a circuito aperto si ha
di p
AL PRIMARIO: i p Rp + Lp − eex = 0; che si può riscrivere come ( L p D + R p )i p = eex
dt
di p di p
AI DUE SECONDARI: es1 = M 1 ; es 2 = M 2
dt dt
essendo rispettivamente M1 ed M2 le due mutue induttanze. Per il collegamento in serie-opposizione
dei due secondari, la tensione risultante al secondario è espressa da:
di p
es = es1 − es 2 = (M 1 − M 2 ) ; che si può scrivere anche es = (M 1 − M 2 )(D ) i p ;
dt
la mutua induttanza risultante (M1 - M2) varia linearmente con la posizione del nucleo di ferro. Per
fissata posizione del nucleo si ottiene:
D
e o = e s = (M 1 − M 2 ) eex
Lp D + Rp
La funzione di trasferimento diventa allora:
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 (M − M ) 
1 2
 D
eo 
R p  Lp
(D ) = ; essendo τ p =
eex τ pD + 1 Rp
La funzione di trasferimento sinusoidale sarà quindi:
 (M − M )   (M − M ) 
1 2 1 2
  ⋅ iω   ⋅ω
eo  Rp   Rp 
(iω ) =  =
eex iω ⋅ τ p + 1 ω ⋅τ p − i
(M 1 − M 2 )
⋅ω
eo (M 1 − M 2 ) 1 1 Rp
(iω ) = ⋅ω ⋅ ⋅ =
eex Rp ω ⋅τ p − i ω ⋅τ p + i (ω ⋅ τ p )2 + 1
eo 1
∠ (iω ) = φ ; ⇒ tgφ =
eex ω ⋅τ p

La potenza impegnata per il funzionamento è generalmente inferiore a 1 [W].


La sensibilità tipica per diversi LVDT varia da 0,02 a 0,2 V/mm di spostamento per volt di
eccitazione applicata ai capi dell’avvolgimento primario.

I valori di sensibilità più elevata si raggiungono generalmente tra 1 e 5 kHz di frequenza di


eccitazione al primario ed inoltre sono maggiori per LVDT a corsa corta (62 mm) mentre sono
inferiori per LVDT a corsa lunga (campo di utilizzo 6150 mm).

Si riportano due tabelle relative ai parametri tipici per LVDT commerciali (in versione lineare e
angolare).
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Vantaggi:
- a differenza di altri dispositivi per misure di spostamento che necessitano di un trasduttore
secondario (ad es. elemento elastico per gli E.R.), l’LVDT converte direttamente uno
spostamento meccanico in un segnale elettrico)
- non è soggetto a sovraccarichi meccanici
- è insensibile alle alte o basse temperature di funzionamento

Svantaggi:
- sono principalmente legati alla massa non trascurabile del nucleo mobile che ne penalizza le
prestazioni per applicazioni dinamiche.

Analoga applicazione per misure di spostamento


angolari, utilizzando come nucleo una camma di
ferro dolce opportunamente profilata.

Potenziometro induttivo
E’ costituito da un avvolgimento su uno statore ed un avvolgimento su un rotore, entrambi confinati
in uno spazio limitato intorno ad una generatrice della carcassa cilindrica dello statore e del rotore,
così da poterli considerare avvolgimenti concentrati, ossia idealmente costituiti da una unica spira e
pertanto sono così rappresentati in figura.
L’avvolgimento primario realizzato al rotore è eccitato con una corrente alternata che induce una
tensione al secondario realizzato sullo statore. La tensione indotta al secondario dipende quindi
dall’accoppiamento magnetico (mutua induttanza) tra primario e secondario, le cui condizioni
variano al variare dell’angolo di rotazione ui tra essi.
Per i potenziometri con avvolgimenti (primario e secondario) concentrati, ossia a spira singola, la
variazione della tensione indotta al secondario al variare dell’angolo di rotazione ui avrà un
andamento sinusoidale e pertanto l’uscita del secondario, che rappresenta il segnale di misura, potrà
essere considerata lineare solo per piccole rotazioni ui intorno al valore iniziale di zero.
Particolari disposizioni costruttive dei due avvolgimenti, distribuendo in maniera opportuna gli
avvolgimenti sul rotore e sullo statore consentono di ottenere una relazione lineare tra angolo ui e
valore della tensione misurata ai capi del secondario per un campo di variazione di ui sino a 690°,
con non-linearità dell’ordine di 0.25% in questo campo.
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Valori tipici di frequenza di eccitazione al primario ωex


sono 50 Hz (60Hz nei paesi americani) e 400 Hz,
sebbene questi trasduttori possano funzionare bene in
un ampio campo di frequenze di eccitazione del
primario. Dimensioni tipiche del diametro variano da
circa 10 mm (1/2 in.) a 75 mm (3 in.). Valori tipici di
sensibilità dei potenziometri induttivi sono dell’ordine
di 1 V/deg di rotazione con una tensione a vuoto in
corrispondenza dello zero, compresa tra 10mV e 100
mV.
Analogamente agli LVDT i potenziometri induttivi
richiedono uno stadio di condizionamento del segnale
che realizzi una demodulazione sensibile alla fase (per
distinguere spostamenti nelle due direzioni opposte
rispetto alla posizione di zero), per fornire un segnale elettrico di uscita che mostri lo stesso
andamento della grandezza meccanica in ingresso che si vuole misurare.
La risposta dinamica di questo tipo di trasduttori è limitata innanzitutto dalla frequenza di
eccitazione impiegata al primario e dalle caratteristiche del circuito di filtraggio che opera la
demodulazione, analogamente a quanto accade per i trasduttori LVDT.
Date le caratteristiche costruttive, l’unico effetto di carico riscontrabile è quello determinato
dall’inerzia del rotore cui è collegato l’oggetto del quale si vuole misurare la rotazione.

Trasduttori ad induttanza variabile e a riluttanza variabile


Questa famiglia di trasduttori, dal nome differente ma costruttivamente realizzati in maniera
analoga agli LVDT e ai potenziometri induttivi, è costituita da sensori di movimento variamente
chiamati ad induttanza variabile o a riluttanza variabile o a permeabilità variabile (essendo questa il
reciproco della riluttanza).
Un sensore a riluttanza variabile è un dispositivo elettromagnetico che conciste in un magnete
permanente su cui è realizzato un avvolgimento mediante un filo conduttore. Il sensore è utilizzato
insieme ad un target di materiale ferroso. L’avvicinamento o l’allontanamento del target rispetto
all’avvolgimento realizzato sul magnete determina una variazione del flusso magnetico che a sua
volta determina un segnale analogico in tensione nell’avvolgimento del sensore.
Questo principio si applica sia alla configurazione lineare per misure di spostamento che alla
configurazione angolare per misure di rotazione. In quest’ultimo caso il target di materiale ferroso,
costituito da un disco opportunamente configurato con incavi o sporgenze, viene posto in rotazione
in prossimità dell’avvolgimento o degli avvolgimenti del sensore. Una tipica configurazione
angolare è quella del Microsyn.

Trasduttore ad induttanza variabile


Una tipica configurazione lineare è quella mostrata in
figura, apparentemente analoga a quella dell’LVDT, cui
questi trasduttori somigliano molto sia per la forma
esterna che per le dimensioni, salvo che in questo caso
sono presenti solo due avvolgimenti induttivi che
formano due bracci di un ponte che viene eccitato in
corrente alternata con valori compresi tra 5V e 30V a
frequenze comprese tra 50 e 5000 Hz.
Quando il nucleo mobile è in posizione centrale
l’induttanza assume valori uguali nei due avvolgimenti
e la tensione di uscita eo assume valore nullo essendo il
ponte bilanciato. Il movimento del nucleo dalla sua
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posizione centrale determina una variazione della riluttanza dei percorsi magnetici dei due
avvolgimenti che si osserva attraverso uno sbilanciamento del ponte e quindi una tensione di uscita
eo. Realizzando il dispositivo con opportuni accorgimenti costruttivi è possibile entro un certo
campo di variazione dello spostamento da misurare, rendere lineare la relazione xi - eo. Nella figura
mostrata, sono riprodotte due differenti configurazioni circuitali. L’impedenza complessiva del
trasduttore (Z1+Z2) varia usualmente, in corrispondenza alla frequenza di oscillazione, tra 100 e
1000 Ohm. Le resistenze R utilizzate nel circuito hanno un valore di impedenza uguale a quello
delle due induttanze, mentre per il circuito di misura della tensione di sbilanciamento del ponte, si
sceglie di solito un valore di impedenza almeno di un ordine di grandezza maggiore per evitare i
noti problemi di effetto di carico per inserzione dello strumento di misura.
Per rendere elevata la sensibilità si ricorre ad elevati valori della tensione di eccitazione, che pero’
comporta elevati valori di potenza dissipata per effetto Joule attraverso le due resistenze R. Una
soluzione costruttiva per ovviare a questo inconveniente prevede l’utilizzo di un trasformatore di
alimentazione bilanciato con valori di uscita nullo in corrispondenza alla situazione di ponte
bilanciato.
Valori di corsa utile per questi dispositivi vanno da qualche millimetro fino a circa 500 mm, con
risoluzione infinitesima e non linearità dell’ordine tipico dell’1%. La sensibilità tipica è compresa
(in funzione del tipo di trasduttore scelto) da 0.2 a 1.5 V/mm.

Microsyn
E’ un trasduttore a riluttanza variabile ampiamente utilizzato come elemento di misura nella
costruzione di strumenti giroscopici. In figura è raffigurato in posizione di zero, quando le tensioni
indotte negli avvolgimenti 1 e 3 sono esattamente bilanciate da quelle degli avvolgimenti 2 e 4 che
sono infatti di pari ampiezza e di segno opposto. Il movimento ui del target dalla posizione iniziale
di zero, ad esempio in senso orario, aumenta la riluttanza (cioè diminuisce l’induttanza) tra gli
avvolgimenti 1 e 3 e diminuisce la riluttanza (cioè aumenta l’induttanza) tra gli avvolgimenti 2 e 4
fornendo quindi una tensione di uscita eo.
Analogo effetto è determinato da una rotazione del target in
senso antiorario salvo che la tensione di uscita mostra uno
sfasamento di 180° rispetto a quella ottenuta con una rotazione
in senso orario.
Anche in questo caso, ove sia necessario discriminare il verso
di rotazione, è necessario uno stadio di condizionamento del
segnale fornito dal trasduttore, che realizzi una demodulazione
sensibile alla fase.
Valori utilizzati per la tensione di eccitazione eex variano da 5V
a 50V con frequenze comprese tra 50 e 5000 Hz. Questi
trasduttori mostrano sensibilità statica compresa tra 0.2 e
5V/deg di rotazione, con non-linearità pari a circa 0.5% per
rotazioni di 67° e pari a circa 1% f.s. per rotazioni di 610°.
Valori di tensione a vuoto in posizione di zero sono estremamente bassi e inferiori a quelli misurati
per una rotazione di 0.01° che pertanto rappresenta sicuramente un limite superiore del valore di
soglia. Non si osservano effetti di carico significativi in quanto la coppia torcente di natura
magnetica è significativamente piccola e non è presente attrito meccanico dato che non essendoci
avvolgimenti sul rotore, questo è privo di contatti striscianti.

Trasduttori capacitivi

Un moto traslatorio o rotatorio può essere utilizzato per variare la capacità di un condensatore
variabile in modo da mettere in relazione (nota) la variazione di capacità con il moto realizzato.
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E’ così possibile, mediante trasduttori capacitivi, convertire un segnale di ingresso meccanico


(spostamento) in una grandezza di uscita elettrica.
Tuttavia, per questa applicazioni, i trasduttori capacitivi richiedono spesso l’impiego di circuiti
elettrici più complessi di quelli finora visti per le precedenti classi di trasduttori.
A fronte di questo svantaggio, questa categoria di trasduttori presenta però numerosi vantaggi tra i
quali : semplicità meccanica, limitati effetti di carico, elevata sensibilità.

La tipologia più comune di condensatore variabile utilizzata per la


realizzazione di trasduttori di moto è quella del condensatore ad
armature piane e parallele con l’aria come dielettrico.
Dalla teoria si ottiene la capacità di questa configurazione:
C=0.00085*A/x [pF] essendo A l’area delle armature del
condensatore (in millimetri quadrati) e x la distanza delle armature
(in millimetri).

Questa tipologia di trasduttori presenta un elevato livello di


impedenza (1/iωC) che è la causa di alcuni tipici problemi di
funzionamento (rumore, sensibilità alla lunghezza e alla posizione
dei cavi di connessione elettrica) oltre alla evidente non-linearità
nella relazione ingresso-uscita al variare della distanza tra le
armature del condensatore stesso.
La sensibilità del condensatore alla variazione della distanza tra le
armature, si ricava dalla precedente relazione ed è pari a:
dC 0.00085 ⋅ A
=− , ossia è inversamente proporzionale al quadrato
dx x2
della distanza x.

Si osserva però che la percentuale di variazione della capacità C, per piccole variazioni di x dalla
posizione iniziale, è uguale alla variazione percentuale di x, come si ricava da:
dC C dC dx
= − ; = −
dx x C x
Quando le armature sono poste a distanza costante xo non circola corrente nel circuito in figura che
mostra quindi un segnale di uscita eo= 0. Appena si determina uno spostamento xi dalla posizione
iniziale, ai capi dei terminali di misura si determina una tensione (a circuito aperto) legata alla
variazione nel tempo di xi mediante la seguente funzione di trasferimento operazionale:
eo Kτ D
(D ) = , essendo Eb la tensione continua di alimentazione del circuito, K= Eb/xo la
xi τD + 1
sensibilità del sistema e t la costante di tempo espressa in secondi.
L’equazione della funzione di trasferimento mostra che questa configurazione di trasduttore
capacitivo non consente di effettuare misure statiche, poiché eo assume valore nullo per ciascun
valore di xi . Il trasduttore mostra invece una buona sensibilità in risposta a variazioni rapide di xi
per le quali fornisce un segnale in tensione di uscita che riproduce abbastanza fedelmente la
variazione nel tempo dello spostamento xi.
Ciò si osserva meglio passando alla funzione di risposta in frequenza:
eo Kτ i ω eo
(iω ) = che per valori vtä1 diventa (iω ) ≈ K
xi iωτ + 1 xi

Per rendere questo trasduttore adatto a misurare anche variazioni di xi a bassa frequenza è
necessario realizzare un circuito con un elevato valore di t, che si può ottenere con elevati valori di
resistenza R. Come è logica conseguenza, per misurare correttamente un valore di tensione eo ai
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capi di un circuito ad elevata impedenza di uscita è necessario impiegare un circuito di misura con
una impedenza di ingresso ancora più elevata (generalmente maggiore di 10 MΩ, tipica di
amplificatori a transistor a effetto di campo - FET).

Trasduttori piezoelettrici
L’effetto piezoelettrico fu scoperto da Pierre e Jacques Curie nel 1880, ma rimase una mera
curiosità scientifica fino al 1940 circa; la proprietà che hanno alcuni cristalli di generare carica
elettrica se sottoposti a stress meccanico non ha avuto infatti alcuna utilità pratica fino alla
comparsa degli amplificatori ad alta impedenza d’ingresso.
Il principio che sta alla base dell’amplificatore di carica è stato brevettato da W.P. Kistler nel 1950
e ha trovato ampio utilizzo negli anni 60.
La comparsa dei dispositivi Mosfet a stato solido e lo sviluppo di materiali ad alto isolamento quali
il Teflon e il Kapton hanno contribuito a migliorare sensibilmente le prestazioni dei sensori
piezoelettrici, che oggi trovano posto virtualmente in tutte le aree della moderna tecnologia.
I sensori piezoelettrici sono sistemi elettrici “attivi”; in altre parole, i cristalli producono un’uscita
elettrica solo quando si verifica una variazione nel carico (stress) meccanico.
Per questa ragione, non sono in grado di effettuare misure statiche nel vero senso della parola; non è
comunque corretto affermare che la strumentazione piezoelettrica è in grado di effettuare solo
misure dinamiche: trasduttori a quarzo, accoppiati ad adeguati circuiti per il condizionamento del
segnale, possono effettuare misure quasi statiche in modo eccellente e con ottima precisione, su
intervalli di minuti e finanche di ore.
I sensori piezoelettrici sono utilizzati ampiamente sia nei laboratori che nelle linee di produzione, in
tutte quelle applicazioni che richiedono misure accurate dei cambiamenti dinamici di grandezze
meccaniche quali la pressione, la forza e l’accelerazione.

Come funzionano
I materiali che mostrano un significativo effetto piezoelettrico appartengono principalmente a tre
gruppi: cristalli naturali (quarzo, sale di rochelle) e sintetici (solfato di litio, fosfato di-idrogeno di
ammonio), materiali ceramici ferroelettrici polarizzati (titanato di bario etc.) e alcuni film polimerici
(PVDF e PV2-3F).
Attualmente la maggior parte dei trasduttori piezoelettrici utilizza il quarzo come sensore, in virtù
delle sue eccellenti caratteristiche: elevata resistenza allo stress meccanico (20.000 psi), resistenza a
temperature fino a 500 °C, alta rigidità, alta linearità, isteresi trascurabile, sensibilità costante in un
ampio range di temperature e bassissima conducibilità. Sono comunque in uso anche elementi
piezo-ceramici e micromachine in silicio e va crescendo anche la diffusione dei film polimerici
piezoelettrici per numerose applicazioni.
I trasduttori in quarzo consistono essenzialmente in sottili lastre di cristallo tagliate in modo
opportuno (rispetto agli assi del cristallo), a seconda della specifica applicazione; il cristallo genera
un segnale (una carica da pochi picocoulomb) che è proporzionale alla forza applicata.
Il meccanismo piezoelettrico è semplice: quando al cristallo viene applicata una forza meccanica, le
cariche elettriche si spostano e si accumulano sulle facce opposte.

Si illustrano ora le principali caratteristiche dei trasduttori


piezoelettrici con riferimento al segnale di uscita elettrico
per data grandezza meccanica di moto applicata al
trasduttore stesso, riferendosi alla modalità thickness-mode,
una delle più utilizzate modalità di deformazione dei
materiali piezoelettrici.
La notazione prevede l’uso di due pedici, il primo si
riferisce alla direzione dell’effetto elettrico e il secondo a
quella dell’effetto meccanico.
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Usualmente si considerano I seguenti coefficienti piezo e piro elettrici:


d3j (in C/N) indica la piezo attività del materiale. Corrisponde alla carica elettrica liberata da una
superficie di 1m² quando questa è sottoposta all’azione meccanica di una pressione di 1Pa lungo
l’asse "j";
g3j (in V*m2/N) indica il campo elettrico che si instaura quando il materiale è sottoposto ad una
tensione meccanica (stress) di 1Pa applicata lungo l’asse "j".
Il coefficiente g è legato al coefficiente d mediante la relazione: g3j=d3j/ε, essendo ε la costante
dielettrica del materiale piezoelettrico considerato.
Conoscendo il valore di g per dato materiale e noto lo spessore t del cristallo si può calcolare la
differenza di potenziale elettrico tra le due facce del cristallo per unità di stress meccanico
applicato.

Sulla base delle informazioni e dei parametri introdotti, si procede nella descrizione degli elementi
piezo elettrici come trasduttori per misure di moto, osservando che la grandezza di moto misurata è
spesso una prima conversione già operata a partire da una grandezza meccanica di altra natura
(forza o pressione) o è direttamente una grandezza di moto (velocità, accelerazione).
Ai fini dell’analisi del funzionamento e quindi delle prestazioni di questi trasduttori si considerano
tutti i componenti che sono presenti nel sistema di misura, e cioè il trasduttore piezoelettrico
insieme ai cavi di collegamento ed all’amplificatore di carica utilizzato per il condizionamento dei
segnale.
Il trasduttore piezoelettrico è un trasduttore ad elevata impedenza, pertanto si rende necessario
l’impiego di un amplificatore ad impedenza ancora maggiore e quindi viene utilizzato un
amplificatore di carica piuttosto che un amplificatore ad elevato guadagno in tensione. Anche la
capacità dei cavi può essere significativa ai fini dell’effetto di carico, per cui si ricorre all’uso di
cavi a bassa impedenza di limitata lunghezza e con particolari soluzioni per la schermatura da
sorgenti elettriche esterne di disturbo.
Le caratteristiche di questi trasduttori non permettono la misura di spostamenti statici in quanto lo
schiacciamento iniziale del trasduttore piezoelettrico determina un rilascio di cariche verso la
coppia di superfici esterne interessate alla deformazione applicata, e quindi si instaura una
differenza di potenziale tra queste due superfici. Questa differenza di potenziale, in presenza di un
collegamento ad un circuito di misura, poniamo ad esempio che si utilizzi un voltmetro per la sua
misura, determina una circolazione di corrente sulla
resistenza dell’apparecchio di misura che in breve tempo
ristabilisce la condizione di equilibrio elettrico annullando
al differenza di potenziale iniziale pur in presenza del
mantenimento della sollecitazione statica che ha
determinato lo schiacciamento costante del cristallo del
trasduttore.
In realtà, anche se in tempi appena più lunghi, questo
annullamento della tensione sulle due facce opposte del
cristallo si manifesta anche a circuito aperto, ossia senza
collegare i terminali elettrici dei contatti realizzati sulle due
facce opposte del cristallo, in quanto la corrente circola
sulla resistenza interna propria del materiale stesso piezo
elettrico secondo l’andamento mostrato in figura.

Una descrizione quantitativa del fenomeno, con la


notazione riferita alla figura è data da:
q = Kqxi
essendo Kq [C/m] e xi [cm] è l’abbassamento
(schiacciamento) del cristallo.
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Passando dal generatore di carica q al generatore di corrente si


scrive:
dq  dx 
icr = = Kq  i 
dt  dt 

essendo icr = ic + i r ; eo = ec =
∫ ic dt = ∫ (icr − i R )dt
C C
deo   dxi  eo
C  = (icr − i R ) = K q  −
 dt   dt  R
eo Kτ D Kq
(D ) = ; essendo K = [V/cm] e τ = RC [ s ]
xi τD + 1 C

In figura sono mostrate tre diverse risposte di un trasduttore piezoelettrico al segnale costante di
ampiezza xi=A, in corrispondenza a valori di τ crescenti e si osserva come una costante di tempo
più elevata migliora la “fedeltà” del segnale di uscita eo rispetto alla grandezza di misura xi.
Ad esempio, volendo mantenere una differenza tra il segnale di uscita ideale e quello reale entro un
margine del 5%, il valore di τ [che ha le dimensioni di un tempo -RC=(m2· kg· s-3· A-2 )*(m-2· kg-1· s4· A2)]
deve essere almeno pari a 20 T con riferimento alla durata del segnale costante di ingresso.
Ove sia richiesto o necessario incrementare il valore di τ si può operare incrementando R oppure C.
Un incremento di C è facilmente realizzabile collegando una
capacità esterna in parallelo al trasduttore piezoelettrico, poiché
le capacità in parallelo si sommano. Il limite di questa soluzione
è rappresentato da una diminuzione della sensibilità K=Kq/C, che
tuttavia spesso è accettabile data l’elevata sensibilità dei
trasduttori in oggetto. Dall’altra parte un incremento del valore
della resistenza R porta come diretta conseguenza la necessità di
un amplificatore con una più elevata impedenza di ingresso,
senza però sacrificare la sensibilità . Accettando invece di
sacrificare la sensibilità si può collegare una resistenza esterna
all’amplificatore senza la necessità di utilizzare un nuovo
amplificatore a maggiore impedenza di ingresso, secondo lo
schema riportato in figura.

Sistemi per misure di velocità


Stroboscopici
Una tecnica utile per la misura di velocità rotazionali è realizzata mediante l’impiego di una
lampada stroboscopia con velocità di lampeggiamento regolabile dall’utilizzatore, da utilizzare per
illuminare un oggetto posto in rotazione sul quale è stato apposto uno o più marcatori su cui
“sincronizzare “ l’immagine del corpo in rotazione.
Il marcatore in oggetto può anche essere un semplice target di dimensioni limitate da incollare
direttamente sul pezzo, questo target deve presentare un elevato contrasto rispetto al tono del fondo
rappresentato dall’oggetto sul quale viene posto.
Durante la rotazione del pezzo del quale si vuole misurare la velocità angolare, si regola
opportunamente la frequenza di lampeggiamento della lampada stroboscopica fino a raggiungere la
condizione per cui l’immagine del target appare “stazionaria”.
Questa condizione corrisponde ad un sincronismo “reale” o “apparente” tra la frequenza di
lampeggiamento della lampada e la frequenza di rotazione dell’oggetto sul quale è stato posto il
target. La condizione di sincronismo reale è quella in cui il target viene illuminato ad ogni
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passaggio di fronte alla lampada, quella di sincronismo apparente è invece quella in cui il target
viene illuminato una volta ogni n passaggi davanti alla lampada.
Se invece si osserva una immagine stazionaria nella quale sono presenti m immagini del target,
siamo in una condizione di sincronismo in cui senza altre informazioni aggiuntive non si può dire se
sia la frequenza di lampeggiamento un multiplo intero della velocità angolare dell’oggetto osservato
o se siamo nella condizione inversa.
Per accertarlo è sufficiente incrementare la frequenza di lampeggiamento ed osservare la variazione
del numero di target visualizzati, se questo numero decresce al crescere della frequenza di
lampeggiamento, questa è un sottomultiplo della frequenza di sincronismo reale viceversa questa è
già un multiplo intero della frequenza di rotazione dell’oggetto.
Valori tipici di variazione della frequenza di lampeggiamento per lampada stroboscopica sono
compresi tra 110 e 25.000 lampi/minuto. E’ quindi possibile osservare direttamente sincronismi su
oggetti con un solo marcatore, fino a 25.000 giri/minuto.
Per velocità di rotazione superiori, ove non si disponga di lampada stroboscopia più veloce si può
ricorrere alla tecnica “dei sottomultipli”. Si procede come segue: si porta la lampada alla massima
frequenza di lampeggiamento disponibile e quindi si riduce la frequenza dei lampi fino ad un valore
r1 in cui si raggiunge la prima condizione di sincronismo e si osserva un solo marcatore stabile .
Quindi si procede a ridurre ulteriormente fino al successivo valore di sincronismo r2. Il valore n del
sincronismo reale cercato sarà fornito dall’espressione:
n=r1r2/(r1-r2)
Tuttavia è più conveniente operare il calcolo fornito dall’espressione riportata sopra, scegliendo due
condizioni di sincronismo apparente non consecutive tra loro, per limitare l’effetto sul calcolo di n
di piccole approssimazioni sulla lettura delle frequenze r di sincronismo apparente.
La relazione mostrata sopra, nel caso di condizioni di sincronismo successive diventa:
n=r1rN*(N-1)/(r1-rN)
Così è possibile estendere questa metodologia di misura di velocità rotazionali fino a
250.000 giri/min.

Ad avvolgimento o a magnete mobile


Il principio dei trasduttori ad avvolgimento mobile
all’interno di un campo magnetico è basato sulla nota
legge della tensione indotta su una spira che attraversa
un campo magnetico:

eo=(Blvi)*10-8

essendo
eo la tensione di uscita a circuito aperto
B la densità di flusso (in Gauss)
l la lunghezza dell’avvolgimento
vi la velocità relativa che s vuole misurare

Poiché B ed l si mantengono costanti durante la misura la


tensione in uscita eo segue linearmente l’andamento della
velocità vi e cambia polarità quando la velocità cambia segno.
Poiché la densità di flusso disponibile con un magnete
permanente non supera generalmente l’orine di grandezza di
10.000 G, per incrementare la sensibilità si può agire sulla
lunghezza del filo nell’avvolgimento. Come è noto tuttavia un
incremento della lunghezza dell’avvolgimento comporta u
incremento della sua impedenza e quindi si richiede un
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dispositivo a maggiore impedenza di ingresso per misurare la eo senza effetto di carico da parte
dello strumento di misura.
Valori di resistenza dell’avvolgimento di 500 Ohm portano ad una sensibilità di 0.15 V/(in/s) ed un
fondo scala do 0.15 in e non-linearità di +/- 1%. Avvolgimenti più sensibili sono utilizzati per la
realizzazione di sismometri ed hanno valori tipici di resistenza di 500 kΩ e sensibilità di
115V/(in/s).

Il trasduttore mostrato in
figura successiva è
realizzato facendo
muovere un magnete
permanente all’interno di
un supporto su cui sono
realizzati i due
avvolgimenti connessi
elettricamente secondo lo
schema in figura. Questa tipologia consente di realizzare trasduttori con
corsa a partire da 1 mm e fino a 500 mm. valori tipici di sensibilità variano
da 0.02 V/(mm/s) a 0.0002 V/(mm/s).

Strumenti a massa sospesa per misure di spostamenti, velocità ed accelerazioni assolute


La generalità dei possibili movimenti di un corpo rigido riguarda la traslazione e la rotazione lungo
tre direzioni mutuamente ortogonali.
Tuttavia il vettore globale di questi spostamenti non è misurabile per via diretta. Si utilizzano allora
array di trasduttori monoassiali orientati lungo assi selezionati per misurare le componenti
ortogonali dei singoli vettori, la cui combinazione consente di calcolare il vettore totale delle
ampiezze e delle direzioni.

In figura è mostrato lo schema costruttivo di un dispositivo per


misure di moto di tipo sismico nelle differenti configurazioni per
misure di spostamento lineare o angolare.
Entrambi sono utilizzati per misure di spostamenti vibrazionali
nella situazione (piuttosto frequente) in cui non è disponibile un
sistema di riferimento fisso per misure di moto relativo.
Ciò in quanto la vibrazione di un corpo può misurarsi solo se una
estremità del trasduttore può essere resa solidale con un sistema
fisso di riferimento.
Quando questa condizione non è realizzabile (ad esempio su un
veicolo in movimento) si realizzano misure di spostamenti
assoluti, che sono più semplici da effettuare.

Principio di misura
Sensori di vibrazione e accelerometri sono usualmente di tipo “sismico” ossia con una massa
sospesa ad una molla, alloggiata all’interno di una apposita struttura o “case” oppure “instrument
housing” ove è posto anche un trasduttore adatto misurare il moto relativo tra la massa e la struttura
dell’housing.
Generalmente è presente anche un componente opportunamente vincolato alla massa sismica che
svolge la funzione di smorzatore viscoso.
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In linea di principio l’azione dello strumento sismico è una funzione dell’accelerazione, attraverso
l’inerzia della massa.
L’applicazione di questo principio, configurando in maniera opportuna i parametri fisici che ne
determinano il funzionamento (le prestazioni), realizza due varietà di strumenti a massa sospesa: il
vibrometro e l’accelerometro.

Dispositivo per la misura di spostamenti assoluti


Applicando la legge di Newton alla
massa m in figura si scrive
l’equazione di equilibrio di corpo
rigido della massa sismica:

m&y& + C ( y& − x& ) + k s ( y − x) = F (t )


ponendo z=y-x, cioè riferendosi al
moto relativo z che viene misurato
dal sensore di moto relativo posto
tra la struttura e la massa sismica,
si può riscrivere l’equazione
precedente
m&z& + Cz& + k s z = F (t ) − m&x& = R (t )
Nell’ipotesi che sia F(t)=0, ossia è nulla la risultante delle azioni esterne l’equazione precedente
diventa:
m&z& + Cz& + k s z = − m&x&
Operando la sostituzione (simbolica ) dell’operatore D all’operatore d/dt si scrive:
(mD 2 + CD + k s ) z = − D 2 x
ks C  D2 2ζ  D2
ponendo ωn = eζ = l’equazione diventa:  + D + 1 z = x
m 2 ks ⋅ m ω2 ωn  2
ωn
 n 
da cui si ricava la funzione di trasferimento operazionale che lega il segnale z misurato dal
trasduttore secondario allo spostamento x della base a cui è vincolata solidalmente la struttura del
trasduttore sismico:
D2
2
z ωn
(D ) = 2
x D 2ζ
+ D+1
2
ωn ωn
Dal momento che questo trasduttore è utilizzato come sensore di vibrazioni (vibrometro) è
importante conoscere la sua funzione di risposta in
frequenza o funzione di trasferimento sinusoidale,
che si ottiene sostituendo all’operatore simbolico D
l’operatore matematico iω:
(iω )2
2
z ωn
(iω ) =
x (iω )2 2ζ
+ iω + 1
ωn
2 ωn

Per frequenze al di sopra della frequenza naturale


ωn, lo spostamento relativo tra la massa e la
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struttura è molto prossimo allo spostamento assoluto, poiché la massa sismica tende a restare
immobile, e questo è il campo di impiego consigliato per questo strumento. Bisogna inoltre tenere
conto delle caratteristiche di risposta in frequenza del trasduttore secondario che converte lo
spostamento relativo z in una tensione eo.
Quindi per ampliare il campo di utilizzo di questo strumento bisogna rendere bassa la frequenza
naturale ωn, e ciò si ottiene mediante l’impiego di masse sismiche grandi o con molle cedevoli.
Per motivi costruttivi (di ingombro) si preferiscono molle cedevoli (che limitano l’effetto di carico
sul sistema oggetto della misura). Intenzionalmente si realizza uno smorzamento z ≈ 0.6 - 0.7 (cioè
60-70% del valore critico) per minimizzare la risposta risonante ai transitori lenti.
Con questi parametri si ottiene una risposta di fase pressoché lineare è ciò è accettabile in quanto
non c’è distorsione nella forma della risposta temporale ma solo un ritardo nel tempo del segnale di
uscita rispetto al segnale di ingresso.

Accelerometro
La sua realizzazione non differisce sostanzialmente da quella del vibrometro tranne che per la scelta
dei valori dei parametri fondamentali che sono “regolati” in maniera da rendere l’uscita dello
strumento proporzionale all’accelerazione applicata.
Questo strumento viene utilizzato per misurare vibrazioni, urti e movimenti assoluti di diversa
origine e per differenti campi di applicazione.
Le sue principali caratteristiche si possono così riassumere:
- risposta in frequenza da zero fino ad un limite superiore piuttosto elevato e capace di misurare
accelerazioni stazionarie (tranne per gli accelerometri dotati di trasduttore piezoelettrico);
- è particolarmente indicato per le misure di transitori (urti, shock etc.);
- l’accelerazione è una indicazione più utile dello spostamento o della velocità per il
monitoraggio di macchinari in quanto le azioni degradanti sono legate in maniera più
significativa alla storia di accelerazione subita che alla storia di velocità o di spostamento.

La risposta in frequenza già vista per il trasduttore di spostamento sismico a massa sospesa viene
riscritta come segue in funzione dell’accelerazione:
1
2
z z ωn K 1
(D ) = (D ) = 2 = avendo posto K =
2
D x &x& D 2ζ D 2
2ζ 2
ωn
+ D+1 + D+1
ωn
2 ωn ωn
2 ωn
Poiché per molti trasduttori la tensione di uscita eo=ke*z , la relazione precedente ha anche la forma
corretta della funzione di trasferimento accelerazione – tensione eo. Questa altro non è che la
classica forma della funzione di trasferimento sinusoidale per uno strumento del secondo ordine.

Considerazioni di carattere pratico in merito alla scelta dei parametri di funzionamento


La risposta in frequenza va da zero (tranne il caso degli accelerometri piezoelettrici) ad una frazione
della frequenza naturale ωn,. Dato che la sensibilità K=1/ωn2, bisogna cercare un compromesso tra
le opposte esigenze di elevata sensibilità e di ampia gamma dinamica.
Volendo misurare la forza di inerzia m&x& è richiesta una molla piuttosto rigida e massa piccola.
Infatti la misura dell’accelerazione desiderata si riporta alla misura della forza richiesta per
accelerare una massa di valore noto. Quindi l’accelerometro non distingue tra la forza dovuta
all’accelerazione e quella dovuta alla gravità.

La gran parte degli accelerometri può essere classificata come segue:


- accelerometri a deflessione
- accelerometri a bilanciamento di zero
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Quest’ultimo tipo si utilizza quando si necessita di misure di estrema accuratezza.


Il primo tipo è invece quello sin qui trattato.
In funzione delle necessità pratiche per le varie applicazioni si utilizzano accelerometri dotati di
differenti tipologie di traduttori secondari:
potenziometri a resistenza per accelerazioni che variano lentamente e per vibrazioni di bassa
frequenza (campo di impiego da ±1g a ±50g, con frequenze tra 10 e 100Hz)
estensimetri elettrici non incollati per accelerometri di impiego generale (campo di misura da ±5g a
±200g, con frequenze tra 17 e 800Hz)
estensimetri elettrici incollati (massa sospesa ad una sottile trave a flessione su cui è incollato
l’estensimetro), frequentemente di tipo a semiconduttore per avere elevata sensibilità (elevato
livello del segnale di uscita 0.2-0.5V a fondo scala)
trasduttore piezoelettrico: di largo impiego nel campo delle prove d’urto e nelle misure di
vibrazioni: presenta una elevata frequenza naturale, elevato livello del segnale diuscita, piccolo
formato ossia costruzione molto compatta. Ciò rende gli accelerometri di questo tipo molto adatti a
misurare urti, ma date le caratteristiche del trasduttore secondario piezoelettrico sono non adatti per
misurare accelerazioni costanti o lentamente variabili.

Accelerometri piezoelettrici
La forma e le dimensioni del cristallo dipendono dall’applicazione specifica; gli accelerometri in
genere dispongono di una massa aggiuntiva (detta “sismica”).

Esistono due diverse soluzioni: a flessione e a compressione.


La configurazione a compressione ha il vantaggio di
un’alta rigidezza meccanica, che la rende adatta per
la rilevazione di pressioni e forze ad alta frequenza.
Alla semplicità del sistema a flessione si
contrappone il limitato range di frequenze di
funzionamento e la bassa tolleranza ai sovraccarichi
meccanici.
La configurazione “shear” (o a taglio) è quella
tipicamente adottata negli accelerometri in quanto
offre il giusto equilibrio tra range di frequenze
utilizzabili, bassa sensibilità alle sollecitazioni fuori
asse, bassa sensibilità alle sollecitazioni della base e
bassa deriva termica.

La risposta in frequenza si ottiene dal prodotto della risposta del trasduttore piezoelettrico di
eo Kτ D
spostamento - già vista e data dall’espressione (D ) = - e quella riportata in precedenza per
xi τD + 1
l’accelerometro a massa sospesa.
La loro combinazione (prodotto nel dominio delle frequenze) fornisce l’espressione:
Kq
⋅ τD
eo Cω n2
(D ) =
&x&  D2 2ζ 
(τ D + 1) + D + 1
ω2 ωn 
 n 

La risposta in bassa frequenza è limitata dalle caratteristiche proprie del trasduttore piezoelettrico,
quella alle alte frequenze è invece limitata dal fenomeno della risonanza meccanica.
Lo smorzamento z può essere praticamente considerato nullo per questa categoria di accelerometri.
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Per ottenere segnali di uscita di livello adeguato è necessario ricorrere all’uso di amplificatori di
carica esterni o grazie alla miniaturizzazione spinta dei componenti elettronici anche già assemblati
all’interno dell’housing dell’accelerometro.

Tecniche per la taratura degli accelerometri


Una possibile classificazione dei metodi usualmente impiegati è la seguente:

Taratura statica (=accelerazione costante):


- metodo del ribaltamento che consente di applicare un transitorio di ampiezza ±1g
- metodo della centrifuga

Taratura periodica stazionaria (=moto sinusoidale)


- Rotazione in un campo gravitazionale
- Impiego di attuatori sinusoidali (tavola vibrante)

Taratura ad impulso
- Applicazione di un transitorio in caduta libera = gradino di 1g
- Metodi ad elevati g (fino a 40.00g) pendolo balistico, drop test.

Il taglio del cristallo è spesso oggetto di brevetto; la maggior parte dei sensori Kistler, ad esempio,
includono un elemento che è sensibile a carichi sia di compressione che shear; altri tagli
“specializzati” includono il taglio trasversale (per alcuni trasduttori di pressione) e il taglio
“polistabile” per trasduttori di pressione ad alta temperatura.
La struttura tipica di sensori di forza, pressione e accelerazione è la seguente: è presente un
contenitore del sensore, il cristallo piezoelettrico e l’elettrodo dove si localizza la carica generata
per effetto piezoelettrico prima che sia condizionata dall’amplificatore. L’accelerometro incorpora
anche una massa. Non c’è molta differenza nella configurazione interna tra i diversi tipi di sensore.
Negli accelerometri, che misurano la variazione di moto, la massa sismica viene costretta dal
cristallo a seguire i movimenti della base e della struttura a cui è attaccata.
Dalla forza risultante è possibile ottenere l’accelerazione tramite la legge di Newton F=MA.
I sensori di pressione e forza sono quasi identici, e in entrambi i casi la forza viene applicata
direttamente sul cristallo; differiscono principalmente nel fatto che i sensori di pressione utilizzano
un diaframma per convertire la pressione (che è forza per unità di area) in forza. A causa delle
suddette analogie, i sensori progettati per misurare una grandezza spesso sono sensibili anche ad
altre sollecitazioni.
Questa sensibilità è spesso indesiderata, e può essere ridotta con una progettazione accurata: nei
sensori di pressione, ad esempio, può essere introdotto un elemento di compensazione per ridurre la
sensibilità all’accelerazione; detto elemento altro non è che un accelerometro opportunamente
calibrato connesso in serie al sensore di pressione, con polarità opposta.
Un altro problema è la deriva termica del cristallo; questa può essere compensata mediante
l’utilizzo di amplificatori con caratteristica termica opposta.

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