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Critica del testo

XIV / 3, 2011

Dante, oggi / 3
Nel mondo

a cura di
Roberto Antonelli
Annalisa Landolfi
Arianna Punzi

viella
© Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali,
“Sapienza” Università di Roma
ISSN 1127-1140 ISBN 978-88-8334-639-2
Rivista quadrimestrale, anno XIV, n. 3, 2011
Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 125/2000 del 10/03/2000

Sito internet: http://w3.uniroma1.it/studieuropei/critica


criticatesto@uniroma1.it
Direzione: R. Antonelli, F. Beggiato, P. Boitani, C. Bologna, N. von Prellwitz
Direttore responsabile: Roberto Antonelli
Questa rivista è finanziata da “Sapienza” Università di Roma
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tel. 06 84 17 758 – fax 06 85 35 39 60
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Dante nella letteratura italiana del Novecento e in Europa

Nadia Cannata Salamone


Illustri, materne, colte, straniere: le lingue d’Italia
nel Novecento e la lingua di Dante 9
Luigi Severi
Dante nella poesia italiana del secondo Novecento 37
Fabrizio Costantini
Rifrazioni dantesche e altra intertestualità
ne La rosa di Franco Scataglini 85
Valentina Berardini
Il canone scolastico dantesco 103
Rossend Arqués
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche
della Commedia di Dante (Ángel Crespo, Luis Martínez de Merlo,
Abilio Echevarría e María Zambrano) 119
Gabriella Gavagnin
Dante e i miti storiografici
della letteratura catalana contemporanea 149
Giulia Lanciani
La Commedia in area lusofona. Traduzioni e critica 165
Gianfranco Rubino
Dante nel Novecento letterario francese 177
Martine Van Geertruijden
Le traduzioni francesi della Commedia nel Novecento 203
Piero Boitani
Dante in Inghilterra 227
Cesare G. De Michelis
Dante in Russia nel XX secolo 243
Luigi Marinelli
Epica e etica: oltre il dantismo polacco 253
Camilla Miglio
Dante dopo Auschwitz: l’Inferno di Peter Weiss 293
Dante negli USA, in America latina e in Oriente

Rino Caputo
Dante in Nordamerica verso e dentro il Terzo Millennio 319
Nicola Bottiglieri
Dante nella letteratura ispanoamericana 333
Sonia Netto Salomão
Dante na tradição brasileira 375
Elisabetta Benigni
La Divina Commedia nel mondo arabo: orientamenti critici
e traduzioni 391
Alessandra Brezzi
Il Novecento cinese di Dante 415

Riassunti – Summaries 439


Biografie degli autori 451
Rossend Arqués

Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della


Commedia di Dante (Ángel Crespo, Luis Martínez de
Merlo, Abilio Echevarría e María Zambrano)

La ricezione di Dante in Spagna registra una forte impennata nei


periodi relativi ai due anniversari del XX secolo, quello del 1921 e
quello del 1965, se non altro nel campo delle edizioni della Comme-
dia e della Vita nuova, ivi comprese le riedizioni di vecchie quanto
apprezzabili traduzioni ottocentesche1. Joaquín Arce, il più autore-
vole studioso del dantismo spagnolo moderno, pubblicò nel 1965 un
censimento della bibliografia ispanica dantesca compresa tra le due
celebrazioni, così esauriente da consertirci di sorvolare sui partico-
lari bibliografici per concentrarci su alcuni dei principali testi2, senza
dimenticare che «más de cincuenta traducciones de la Divina Come-

1. La Divina Comedia de Dante Alighieri, con notas de P. Costa y traducida


al castellano por D. M. Aranda y Sanjuan, Barcelona 1868 (en prosa) (2ª edizione
1924, ristampe nel 1933, 1941, 1959, 1960 ecc.); La Divina Comedia, según el
texto de las ediciones más autorizadas y correctas, nueva traducción directa del
italiano por C. Rosell; completamente anotada y con un prólogo biográfico-crítico,
escrito por J. E. Hartzsenbusch; ilustrada por G. Doré, Barcelona 1870 (ristampa
nel 1951 con un prologo di J. L. Borges); La Comedia de Dante Alighieri, traducida
al castellano en igual clase y número de versos por el Capitán General J. de la Pe-
zuela, Conde de Cheste, 2 voll., Madrid 1878 (ristampe nel 1931, 1942, 1960, 1963
ecc.). Alle quali bisognerebbe aggiungere anche quella dell’argentino B. Mitre, La
divina Comedia, Buenos Aires 1889, poi in Obra completa, Buenos Aires 1891.
2. J. Arce, La bibliografía hispánica sobre Dante y España entre dos centenarios
(1921-1965), in Dante nel mondo: raccolta di studi promossa dall’Associazione Inter-
nazionale per gli Studi di Lingua e di Letteratura Italiana, a c. di V. Branca e E. Caccia,
Firenze 1965, pp. 407-431. Oltre alle ristampe citate, uscirono anche le traduzioni delle
Opere complete di Dante, a c. di N. González Ruiz e G. M. Bertini, Madrid 1956, e le
versioni di L. C. Manegat (La D.C., con un prólogo de L. Carreras, Barcelona 1924), A.
Cuyás (La D. C., Madrid 1932), F. Gutiérrez (La D.C., traducción y prólogo por F. Gu-

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dia se publicaron entre el 1900 e il 1990»3, in castigliano, catalano4


e gallego, oltre ad alcune interessantissime versioni della Vita nuo-
va5, ad alcune opere dottrinali e a vari frammenti delle Rime e della
Commedia. Fiorì anche una cospicua letteratura critico-biografica,
specialmente attorno al 1921 e in particolar modo in Catalogna6.
Un capitolo a sé stante è quello rappresentato dal saggio di Miguel
Asín Palacios (1871-1944), La escatología musulmana en la Divina
Comedia (del 1919, ma pubblicato nel 1943 insieme alla Historia y
crítica de una polémica) che fino a pochi anni fa era considerato lo
studio più importante del dantismo spagnolo contemporaneo7. Esso
ha generato, al di là delle critiche ricevute e del silenzio posteriore da
cui è stato avvolto, un nuovo approccio alla Commedia che qualche
decennio fa è stato riscoperto in Italia, suscitando l’interessamento
di filologi come Maria Corti, in quanto paradigma “multiculturale”
di cui servirsi nell’interpretazione della Commedia e dei testi medie-
vali; e l’interessamento della filosofa María Zambrano, per quanto la
sua lezione sia stata di recente ridimensionata da altri studiosi8. Ma

tiérrez, Barcelona 1958), E. Rodríguez Vilanova y F. Sales Coderch (Barcelona 1973),


A. Crespo (Barcelona 1973-1981), A. Chiclana (D. C., Madrid 1979).
3. J. Arce, Dante en España, apéndice a Dante Alighieri, Divina Comedia, ed.
di G. Petrocchi e L. Martínez de Merlo, Madrid 1996, p. 761. Di alcune di queste
traduzioni si è occupato M. Carrera Díaz, Le traduzioni spagnole della “Divina
Commedia”, in Letture classensi, 20-21, Ravenna 1992, pp. 21-34.
4. Arce, La bibliografía hispánica cit., pp. 413-418.
5. Essenzialmente quelle castigliane: La Vida Nueva, Barcelona 1912; La Vida
Nueva, Barcelona 1946; Vida Nueva, Buenos Aires-Barcelona-México 1961; e que-
lla catalana: La vida nova, Barcelona 1937.
6.  Per quanto riguarda la bibliografia catalana delle celebrazioni del 1921,
si vedano G. Gavagnin, Classicisme e Renaixement: una idea d’Itàlia durant el
Noucentisme, Barcelona 2005, pp. 214-240, ma soprattutto la sua tesi di dottorato,
La letteratura italiana nella cultura catalana nel ventennio fra le due guerra (1918-
1936). Percorsi e materiali, Universitat de Barcelona, 1998, e R. Arqués, El rastre
de la pantera perfumada. Dante en les poètiques catalanes de la modernitat, in R.
Arqués, A. Garrigós, Sobre el Dant, Barcelona 2001, pp. 23-53. Riguardo invece
la letteratura castigliana, si veda almeno Arce, La bibliografia hispánica cit., pp.
418-423.
7. Sul dantismo critico nella Spagna contemporanea, si veda il mio Il danti-
smo contemporaneo in Spagna. Primo bilancio, in Letture classensi, 39, Ravenna
2010, in corso di stampa.
8. Le tesi di M. Asín Palacios, convinto assertore di una conoscenza da parte di
Dante della tradizione profetica dell’Islam e in particolare delle narrazioni del viaggio
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 121

anche da parte di alcuni importanti scrittori, sono venuti degli spunti


interessantissimi. Basti ricordare gli argentini Jorge Luis Borges e
Victoria Ocampo9, gli spagnoli José Ortega y Gasset, José Bergamín
e la già menzionata María Zambrano, il cubano Lezama Lima, o
anche il messicano Octavio Paz. Tutti loro, come del resto tanti altri
poeti e narratori occidentali contemporanei, hanno sfruttato l’opera
dantesca quale ipotesto delle loro creazioni letterarie. Una grande ri-
levanza hanno inoltre le edizioni accompagnate da illustrazioni che
fungono da veri e propri commenti iconografici. Penso ovviamente
alle numerosissime edizioni con le famose riproduzioni di Gustave
Doré, ma anche a quelle di celebri illustratori europei (Botticelli,

di Maometto agli Inferi e della sua ascensione al cielo, conoscenza che gli sarebbe ar-
rivata attraverso la Spagna, sono state confutate da M. Chiamenti, Intertestualità Liber
Scale Machometi-Commedia?, in Dante e il locus inferni. Creazione letteraria e tra-
dizione interpretativa, a c. di S. Foà e S. Gentili, Roma 1999, pp. 45-51) e da S. Rapi-
sarda, La Escatologia dantesca di Asín Palacios nella cultura italiana contemporanea.
Una ricezione ideologica?, in Echi letterari della cultura araba nella lirica provenzale
e nella Commedia di Dante, Atti del Convegno internazionale, Università degli Studi
di Udine (15-16 aprile 2005), a c. di C. G. Antoni, Pasian di Prato (Ud) 2006, pp. 159-
190, il quale ricostruisce le polemiche seguite alle prime edizioni dell’opera di Asín
Palacios, nonché la sua ricezione in Italia soprattutto a partire dalla pubblicazione della
traduzione italiana per i tipi della casa editrice Pratiche (1994): «Insomma – secondo
Rapisarda –, il quadro è questo: in Italia la tesi di Asín Palacios è stata ignorata, o
osteggiata o confutata, poi è stata in latenza per vari decenni, in un limbo di silenzio
pressoché universale, finché all’improvviso si è scatenato il “fenomeno”, il dibattito,
che è diventato quasi un dibattito sulla World Literature o sulla political correctness in
letteratura» (p. 162). Si veda anche M. Corti, Dante e la cultura islamica, in «Per cor-
rer miglior acque»… Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo
millennio, Atti del Convegno internazionale (Verona-Ravenna, 25-29 ottobre 1999),
2 voll., Roma 2001, I, pp. 183-202; poi in Ead., D. Della Terza, G. Gorni, Il Dante di
Sapegno nella critica del Novecento, Torino 2002, pp. 19-40, trad. inglese Dante and
Islamic culture (1999), in «Dante Studies», 125 (2007), pp. 57-75 (vol. monografico
dal titolo: Dante and Islam); Ead., La “Commedia” di Dante e l’oltretomba islamico,
in «L’Alighieri. Rassegna bibliografica dantesca», 5 (1995), pp. 7-19 (anche in «Bel-
fagor», 50 [1995], 3, pp. 301-314; poi in Scritti su Cavalcanti e Dante, Torino [2003],
pp. 365-379); A. Celli, Figure della relazione. Il Medioevo in Asín Palacios e nell’ara-
bismo spagnolo, con una presentazione di A. Brandalise, Roma 2005.
9. Che comunque pubblicò il volume De Francesca a Beatriz a Madrid nel
1924 per i tipi della casa editrice Revista de Occidente, diretta da J. Ortega y Gas-
set; anzi fu lui stesso a chiederle il libro. Si veda R. Arqués, Desiderio femminile e
femminismo: Victoria Ocampo fra Francesca e Beatrice, in Per leggere d’amore,
Rimini, in corso di stampa.

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Flaxman, Blake), fino ad arrivare a quelle più recenti di Dalí e di


Barceló10. Di tutte queste estese diramazioni che costituiscono le
trame del dantismo moderno, vorremmo qui prendere in considera-
zione soltanto alcune traduzioni, scelte tra le più autorevoli e note,
nonché la ricezione filosofica11 di María Zambrano, che a mio parere
è molto indicativa dell’uso moderno che si fa di Dante.

1. Le traduzioni spagnole novecentesche della Commedia: Crespo,


Echevarría e Martínez de Merlo12
Per ragioni di spazio non terremo conto né delle traduzioni che
da qualche tempo hanno smesso di circolare, alcune delle quali erano
semplicemente frutto di incarichi editoriali più o meno riusciti13, né

10. Non esiste tuttora un catalogo ragionato delle edizioni della Commedia con
le illustrazioni di Doré, ma molte di quelle che abbiamo citato le avevano. Per quanto
riguarda Flaxman (1851) è da citare soltanto La Divina Comedia y La Vida Nueva,
Madrid 1956, e uno studio critico del 1868 di M. Roca de Togores. Le vicende edi-
toriali delle illustrazioni di Dalí sono assai complesse e non è questa la sede per par-
larne. Si vedano in questo senso G. L. Gualandi, L’incubo e la Catarsi: un’ipotesi su
Dalí lettore della Commedia. Analisi critica, in Salvador Dalí. La Commedia e altri
temi, in Id., Salvador Dalí. La Divina Commedia e altri temi: opere grafiche, Bolo-
gna 19942; I. Schiaffini, From Hell to Paradise or the Other Way Round? Salvador
Dalí’s Divina Commedia, in Dante on view. The reception of Dante in the visual and
performing Arts, a c. di A. Braida e L. Calè, Aldershot-Burlington (Vermont) 2007,
pp. 141-150; J. P. Barricelli, Dante’s Vision and the Artist. Four Moderns Illustrators
of the Commedia, New York 1992, pp. 81-93. Per le illustrazioni di Miquel Barceló,
oltre all’edizione in tre volumi, si veda: D. Alighieri, Divina Comedia, ilustrada por
M. Barceló, ed. bilingüe, traducción y notas de A. Crespo (per l’edizione castigliana),
traducción y notas de J. M. de Segarra (per quella catalana), Barcelona 2002.
11. La traduzione gallega, per la quale ricevette la medaglia d’oro della città di
Firenze, è a cura del poeta D. Xohán Cabana: D. Alighieri, A divina comedia, Santiago
de Compostela 1990. Xohán Cabana è anche traduttore del Canzoniere di Petrarca.
12. Impossibile tentare qui di tracciare una ben che minima mappatura delle
tipologie delle diverse traduzioni novecentesche in Spagna. Rimando comunque
a Carrera Díaz, Le traduzioni spagnole della “Divina Commedia” cit. Per quelle
catalane più recenti si veda R. Arqués, Reescriure Dante. La Comèdia de Sagarra y
de Mira, in «Reduccions», 81-82 (2005), pp. 215-225.
13. Ecco un elenco, senza pretese di esaustività, delle traduzioni castigliane
della Commedia dal 1950: La Divina Comedia, trad. de F. Gutiérrez, Barcelona
1958; La Divina Comedia, trad. de A. J. Onieva, en prosa con las ilustraciones de J.
Vaquero Turcios, Madrid 1965; La Divina Comedia, trad. de J. Acerete, Barcelona
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 123

tantomeno delle traduzioni in prosa14. Si prenderà in esame program-


maticamente un corpus ridotto di tre traduzioni metriche: quelle in
terzine di Ángel Crespo e di Abilio Echevarría e quella in endecasil-
labi sciolti di Luis Martínez de Merlo. L’analisi comparata delle loro
versioni si concentra in particolar modo sul canto 5 dell’Inferno.
Il poeta e saggista Ángel Crespo15 fu anche un fine traduttore di
alcuni grandi poeti di lingue romanze, quali il portoghese, il francese
e l’italiano (Pessoa, Dante, Petrarca ecc.) e autore tra l’altro di un’in-
teressante monografia su Dante16. Dopo la pubblicazione nel 1973
della traduzione dell’Inferno, nel 1981 vede la luce la traduzione
dell’intera Commedia, per la quale ottiene numerosi riconoscimenti,
fra cui anche la medaglia d’oro della città di Firenze. L’obiettivo di

1975; La Divina Comedia, trad. de J. Ubeda Maldonado, Barcelona 1983; La Divina


Comedia, trad. de E. de Montalbán, con una introducción de S. Zweig, Barcelona
1987; Divina Comedia, trad. de L. Gil, Barcelona 1991; D. Alighieri, La Divina
Comedia, introd. de I. G. Sanguinetti, Madrid 1991; La Divina Comedia, prólogo
y notas de J. Alarcon Benito, Madrid 1994; La Divina Comedia, Madrid, 1996; D.
Alighieri, La Divina Commedia, Madrid, 1997; La Divina Comedia, a c. de J. M.
Bebes, Madrid 1999. A queste bisognerebbe aggiungere quelle ispanoamericane.
Per una visione globale delle traduzioni di Dante in Spagna si veda il “Catálogo de
traducciones de la literatura italiana”, http://www.ub.edu/boscan.
14. Come quella interessantissima di A. Chiclana, D. Alighieri, Divina Come-
dia, edición e introducción de A. Chiclana Cardona, Madrid 1979. Si veda anche
la recensione di V. Díaz Corralejo in «Cuadernos de Filología italiana», 2 (1995),
pp. 303-304.
15. Crespo pubblica la sua prima versione del Infierno nel 1973, del Purgato-
rio nel 1976 e del Paraíso nel 1977; qualche anno più tardi usciranno le tre cantiche
sotto il nome di Divina Commedia, Barcelona 1981; la stessa casa editrice (Cír-
culo de Lectores) pubblicherà nel 2002-2003 l’edizione illustrata da M. Barceló.
Ma le complesse vicende editoriali delle traduzioni di Crespo non finiscono qui e
non possono essere affrontate in questa sede (ristampe: Barcelona 1986; Barcelona
1992-1995; Barcelona 1995). Si veda G. Chiappini, Ángel Crespo, traductor de
“La Divina Comedia”, in «Anthropos: Boletín de información y documentación»,
15 (1989) (numero speciale dedicato a Ángel Crespo), pp. 186-190. Chiappini pro-
cede ad un’analisi che tende a sottolineare e «ponderar los valores paradigmático-
semánticos» della traduzione e esamina diversi momenti della versione per mostra-
re «el equilibrio con que trabaja Crespo».
16. A. Crespo, Dante y su obra, Barcelona 1999 (anche se la prima edizio-
ne risale al 1979). Recensito da M. Edo in «Quaderns. Revista de Traducció», 3
(2001), pp. 178-180, e da M. J. Calvo Montoro, El Dante de Crespo, in «Revista de
Libros», 58 (2000), pp. 57-58.

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Crespo, espresso nell’Apéndice. La Commedia de Dante: problemas


y métodos de traducción17, è mantenersi fedele all’opera sotto tutti
i profili (metrico, rimico, lessicale e culturale) e nello stesso tempo
renderla fruibile a un pubblico moderno. Questa dichiarazione di
fedeltà comincia proprio dal rispetto del metro, l’endecasillabo, e
della strofa, la terzina, nella quale si plasma il significato globale
del poema e che coincide con il sistema di pensiero sottostante alla
costruzione della Commedia18. Al traduttore non resta altra strada
che quella di riprodurre il sistema strofico e di rispettare il numero di
versi e il ritmo di ogni verso, per quanto quest’ultimo criterio spesso
debba fare i conti con la tradizione metrica spagnola. È evidente che
proprio a causa di questa programmatica fedeltà a metrica, rima e
ritmo dell’originale, la sua versione spesso è costretta a derogare
alla fedeltà semantica e sintattica. E di questo aspetto è ben conscio
il traduttore, che d’altra parte assume l’endecasillabo del Siglo de
Oro, metro nel quale si è forgiata la lingua letteraria spagnola, come
veicolo per rendere fruibile al lettore spagnolo l’alterità poetica di
Dante. Crespo, al contrario di Martínez de Merlo, è critico riguardo
al concetto di “letteralità” in sé e per sé. «El criterio que me ha guia-
do – scrive – ha sido el de conservar cuantos rasgos de literalidad no
perjudicasen al aspecto artístico del texto traducido, recurriendo en
los demás casos a un paralelismo métrico-conceptual». Il dibattito
rimane aperto. È chiaro comunque che l’idea guida del lavoro di
Crespo è la “compensazione”. Le inevitabili infedeltà vanno “com-
pensate” là dove si presenti l’occasione in altre parti del testo. A
questo proposito il traduttore è molto chiaro quando descrive i mec-
canismi compensatori nell’ambito delle rime:

17. D. Alighieri, Comedia. Paraíso, Barcelona 1977, pp. 417-442.


18. Della stessa opinione è il poeta catalano Narcís Comadira, molto critico con
la versione catalana di Francesc Mira in endecasillabi sciolti: «Em sembla una decisió
equivocada. La Divina Comèdia és un poema en tercets encadenats i, si es perd això,
es perd moltíssim. El que es pugui recuperar en canvi, no és prou. De fet, em sembla
que Joan Francesc Mira diu que vol traduir la Divina Comèdia com si fos una narració
o alguna cosa semblant, però Dante va escriure un poema i, com a tal ha de ser traduït.
A més, si es perd el tercet dantesc perdem molt del valor simbòlic que hi ha al text.
L’obra està estructurada en tres parts, de trenta-tres cants cadascuna (a més del primer
cant que fa de pròleg), tot aquest esforç per encabir-ho tot en una estructura trinitària
es perd si no es tradueix en tercets», in P. Sanchís, Entrevista amb Narcís Comadira,
in «Quaderns. Revista de Traducció», 12 (2005), p. 248.
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debo decir que, si he tenido que renunciar a situarlas en el mismo lugar que
Dante, he procurado, sin embargo, compensar esta pérdida en donde me ha
deparado una buena oportunidad. (…) También he procurado que en la tra-
ducción no faltasen, en paralelismo con el poema, rimas paronomásicas (…),
rimas duras (…), rimas raras (…) ya procedan del original – cuando ello ha
sido posible – ya nazcan en aquél19.

Nel caso della versione di Abilio Echevarría20, non conosciamo


nessun tipo di dichiarazione dell’autore circa il proprio metodo tradut-
tivo. Nella pratica però egli poco si discosta dalle linee guida di Cre-
spo, visto che intende essere fedele al senso globale del poema e a tutti
gli aspetti formali che lo veicolano. In mancanza d’altro possiamo
accettare come una sua dichiarazione d’intenti le parole conclusive
dell’introduzione di Carlos Alvar che accompagna il volume:
Traducir la Commedia es un trabajo duro, largo y difícil; hacerlo en verso
es una tarea siempre encomiable; conseguir que el texto en español respete
plenamente el sentido, el metro y el ritmo del original no es labor que se im-
provise; la versión de A. Echevarría ha logrado unir todos esos aspectos en sus
tercetos encadenados, sin perder la grandeza épica del original21.

Il poeta22 Luis Martinez de Merlo (1955)23, autore del libret-


to Francesca, o el infierno de los enamorados (Teatro Olimpia di
Madrid, 1989, con musica di Alfredo Aracil) e ottimo traduttore di
Baudelaire, Corneille, Verlaine, Leopardi e Molière, pubblica nel
1988 la sua versione della Commedia in endecasillabi sciolti, pre-
ceduta da una Nota del traductor in cui spiega i criteri guida a cui
si è attenuto rigorosamente e umilmente, pur nella consapevolezza
dei sacrifici, rispetto all’originale, che questa scelta inevitabilmente

19. A. Crespo, Problemas y métodos de traducción, in Dante Alighieri, Come-


dia. Paraíso, texto original y traducción, prólogo y notas de A. Crespo, Barcelona
1972, pp. 417-442, pp. 433-434.
20. D. Alighieri, Divina Comedia, trad. de A. Echevarría, introd. de C. Alvar,
Madrid 1994; recensione di L. A. de Cuenca, in «Abc literario», 12 aprile 1994, p.
14.
21. D. Alighieri, Divina Comedia, trad. de A. Echevarría, introd. de C. Alvar
cit., p. XXXVI.
22. Autore di De algunas otras veces, cui hanno fatto seguito: Alma del Tiem-
po (1978), Fábula de Faetonte (1982), El Trueno, la Mente Perfecta (1996), Silva
de Sirenas (2001), Maitines y completas (2006).
23. D. Alighieri, Divina Comedia, trad. de L. Martínez de Merlo, ed. de G.
Petrocchi, apéndice di J. Arce, Madrid 1988.

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comportava. Questi criteri sono essenzialmente quattro: letteralità,


intelligibilità, fedeltà allo stile e allo spirito del testo dantesco, sa-
crificio della rima ma non dell’endecasillabo. Di conseguenza la tra-
duzione, in terzine di versi liberi, punta piuttosto al mantenimento
del significato profondo e originale voluto da Dante, non essendo il
suo autore obbligato dal rispetto della terza rima a trovare sempre
e forzosamente delle traduzioni, spesso arcaizzanti. Il risultato è un
testo in castigliano moderno che tuttavia rende molto bene l’italiano
del Trecento.

1.1. L’endecasillabo
L’endecasillabo è il superbissimum carmen, cioè «il più splen-
dido dei versi», come dichiara Dante stesso nel De vulgari eloquen-
tia, II V 3, perché permette ogni sorta di registro. Riguardo al siste-
ma ritmico, l’endecasillabo ammette accanto ai tre tipi fondamentali
(accento in 6ª e 10ª sillaba; in 4ª, 8ª e 10ª; in 4ª, 7ª e 10ª), che diven-
teranno canonici in Petrarca, altri tipi secondari (accento in 1ª, 2ª, 3ª
e 9ª sillaba, variamente combinati) che hanno uno speciale rilievo
nella Commedia. Se il ritmo di tipo anapestico o dattilico (4ª, 7ª,
10º) è ricorrente in situazioni specialmente aspre e brutali («batte col
remo qualunque s’adagia», If 3, 11124) quello di tipo giambico (2ª,
4ª, 6ª, 8ª, 10ª) lo è nelle azioni lente e pausate («Allor si move e io lo
tenni dietro», If 1, 136). Si tengano presenti poi le cesure, soprattutto
quelle in 4ª sillaba, il gioco fra dieresi e sineresi, dialefe e sinalefe,
l’enjambement; tutti effetti ritmici che fanno sì che l’endecasillabo
si trasformi nelle mani di Dante nel verso più duttile per esprimere
sia sentimenti e stati d’animo, sia ragionamenti concettuali. Nel can-
to 5 dell’Inferno si concentrano molti di questi fenomeni metrico-
ritmici, ad esempio i vv. 1 e 8 (2ª, 4ª, 6ª, 10ª), 2 (1ª, 4ª, 8ª, 10ª), 5 (2ª,
6ª, 10ª), 6 (1ª, 4ª, 7ª, 10ª); la cesura in 4ª in un gran numero di versi
(46, 49 ecc.), mentre quella in 6ª nei vv. 37, 63, 58. I tre traduttori
in spagnolo, che rispettano puntigliosamente il numero dei versi,
prediligono l’accento in 6ª e 10ª sillaba, ma a volte fanno uso anche
di accenti secondari (in 1ª, 3ª, 4ª o 8ª sillaba). Martínez de Merlo in

24. Ed. di riferimento Dante Alighieri, Commedia, con il commento di A. M.


Chiavacci Leonardi, Bologna 2001.
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 127

parecchi punti ricorre anche ad alcuni endecasillabi epici (5ª, 10ª),


oppure di 4a, 8ª e 10ª, come in If 5, 112, di cui dà anche una giustifi-
cazione teorica nella Nota del traductor:
Con respecto al endecasílabo dantesco, es necesario hacer una advertencia
capital: junto a los tipos de endecasílabo de ritmo par, con acentos en la 4ª, 6ª
y 8ª sílaba en sus diferentes combinaciones, que es el que se impondrá mayo-
ritariamente en la poesía italiana del Cinquecento, y el que casi en exclusiva
va a ser aceptado por la poesía española posboscaniana, el Alighieri utiliza
con gran profusión un endecasilabo que se caracteriza por su acento obligado
en 4ª y 7ª sílaba (en ocasiones con una cierta cesura tras la silaba 5ª) (…) y
del que el propio Santillana se hace eco en sus primeros tanteos de adaptación
al nuevo metro, pero que la poesía italianizante española (…) rechazó casi
desde el primer momento, de tal forma que resulta bastante extraño a los oídos
acostumbrados a las sonoridades de Garcilaso, Góngora, Quevedo, Lorca o
Jorge Guillén.
Aun siendo en la Comedia claramente mayoritario el primer verso, Dante lo
alterna en muchas ocasiones con el segundo, creando variadas combinaciones
rítmicas, que yo he procurado conservar en mi versión, como fundamental
rasgo estilístico del autor25.

Crespo dedica alcune pagine del saggio Problemas y métodos


de traducción a trovare una risposta alla domanda “quale tipo o qua-
li tipi di endecasillabo usare per tradurre la Commedia”. Per far que-
sto ripercorre la storia dell’endecasillabo nella letteratura castigliana
partendo dai noti Sonetos al italico modo di Santillana, arrivando
alla conclusione che «no cabía otro remedio que atenerse al ende-
casílabo, y al terceto clásicos españoles, que proceden, sí, de Dante,
pero con las modificaciones introducidas en ellos por el cantor de
Laura»26, nelle loro due varianti: quella classica (Garcilaso, Fray
Luis) e quella barocca (Góngora, Quevedo).
Inizialmente era sua intenzione non servirsi di endecasillabi dat-
tilici, in seguito però è ricorso, seppur con scarsa frequenza, a questo
tipo di verso (solo 26 su 4732 versi del Paradiso), ricordando che
la poesia decadente spagnola ne aveva fatto qualche uso. Tuttavia la
varietà di ritmo dei versi nella traduzione di Crespo risponde più al
criterio quantitativo della compensazione che a quello qualitativo del
rispetto della ritmica del verso dantesco. E se è vero che Dante si serve

25. L. Martínez de Merlo, Nota del traductor, in D. Alighieri, Divina Come-


dia, ed. de G. Petrocchi, Madrid 2000, p. 62.
26. Crespo, Problemas y métodos de traducción cit, p. 429.

Critica del testo, XIV / 3, 2011


128 Rossend Arqués

delle diverse varietà ritmiche dell’endecasillabo in funzione della si-


tuazione che sta descrivendo o dello stato d’animo dominante in quel
passo della narrazione, si può ben obiettare che in questo caso, come
in altri aspetti della versione di Crespo, la pratica della “compensa-
zione” appare un espediente decorativo del testo, che attiene al piano
significativo della traduzione più che operare un vero trasferimento
del significante.

1.2. La terzina
«La sintassi della terzina – scrive Pasquini27 – è un miracolo
non inferiore al metro stesso, gloria solo dantesca, creato per cor-
rispondere a un poema senza precedenti. (…) La terzina, insomma,
asseconda ogni varietà ritmica, ora assestandosi in una calcolata
simmetria (…), ora sciogliendosi in mobili segmenti che disintegra-
no lo schema ternario (…), ora distribuendosi in scansioni logiche
travalicanti i ritmi concettuali del Convivio. (...) Dante pensa per ter-
zine». È indiscutibile la centralità di questa strofa, composta da due
versi esterni (1º e 3º) che rimano fra di loro e un verso interno (2º)
che rima con i due esterni della successiva28. Essa veicola e fonde
insieme lo schema mentale dell’enunciato, le categorie discorsive e
il timbro della parola. Per cui le riprese, le iterazioni, le risonanze
ritmiche, timbriche e lessicali, i rimanti in catena sono sempre figure
stilistiche altamente rivelatrici di «scorrimenti profondi»29. «Al pari
d’ogni edificio gotico, slanciato verso l’alto e progettato per acco-
gliere, esaltare e rifrangere lo spazio-luce, l’opera dantesca con le sue
tre cantiche-navate armoniche nella partizione di ombra (...) e luce
(...), ad ogni peso e spinta fa rispondere controspinte e contrappesi
acconci (...) secondo il principio del parallelismus membrorum»30.
Particolarmente significativi sono i rimanti – veri e propri vocaboli-
guida – sui quali poggia l’intero edificio del poema, determinandolo
ben prima che egli lo concepisca31. Tra le numerosissime sequenze
che si potrebbero citare mi sembra particolarmente importante, pur

27. D. Alighieri, Commedia. Inferno, Bari 1982, pp. CXL-CXLI.


28. P. G. Beltrami, Gli strumenti della poesia, Bologna 1996, pp. 137-138.
29. C. Bologna, Il ritorno di Beatrice, Roma 1998, p. 15.
30. Ibid., pp. 16-17.
31. Ibid., p. 31.
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 129

nella sua esiguità sillabica, quella di If 5: viso: riso: diviso (vv. 131,
133, 135) che ritroviamo in Pd 30: viso: riso: preciso (vv. 26, 28,
30), con una variazione niente affatto casuale dal momento che qui
Dante sta tentando invano («la mente mia da me medesmo scema»,
v. 27) di ridire ciò che è rimasto per sempre impresso nella sua me-
moria: la prima visione della sua donna (il «dolce riso»).
Di tutta questa rete di segnali apparentemente deboli che sono
invece spie di una volontà forte e profonda, sono ben consci tutti
e tre i traduttori. Ma i due, cioè Crespo e Echevarría, che si sono
posti l’obiettivo di ricostruire nella propria lingua questa cattedrale
gotica32, vale a dire la totalità del senso del poema dantesco del qua-
le la terzina costitutisce il mattone, hanno proceduto aggirando gli
ostacoli in modi diversi, più o meno ingegnosi, ma sempre tenendosi
lontano dal sistema di riverberazioni dell’originale. Per esempio, i
sopraddetti rimanti in catena vengono tradotti nei seguenti modi:
Palidecimos, y nos suspendía Varias veces quedó, con la lectura,
nuestra lectura, a veces, la mirada, blanco el rostro y prendida la mirada;
y un pasaje, por fin, nos vencería. mas fue un punto el que indujo la locura.
Al leer que la risa deseada Al leer que la risa de la amada
besada fue por el fogoso amante, se quebró con el beso del amante,
éste de quien jamás seré apartada, éste, que nunca se me aparte en nada,
la boca me besó todo anhelante. la boca me besó todo temblante.
Galeoto fue el libro y quien lo hiciera: Galeoto el libro fue y quien lo escribiera:
no leímos ya más desde ese instante» ya la lectura no siguió adelante».
(Crespo) (Echevarría)

Non potendo ovviamente riprodurre la stessa rima viso: riso,


entrambi risolvono con mirada, che d’altra parte è una sineddoche
di viso, la traduzione del primo termine, facendolo poi rimare più
banalmente con un participio (nella versione di Crespo addirittura
due volte). Lo stesso avviene in altri luoghi di questo stesso canto;
per esempio i primi versi (If 5, 1-3) in cui ci imbattiamo in una rima
(primaio: guaio) molto ardua e rarissima nel poema (primaio com-
pare soltanto due volte e guaio una sola), che viene resa dai nostri
traduttori nel seguente modo:

32. Cfr. J. Arce, El terceto dantesco en la poesía española, in Dante en su cen-


tenario, Madrid 1965, pp. 291-303. Il volume è la versione castigliana di A Homage
to Dante, numero speciale di «Books Abroad», maggio 1965.

Critica del testo, XIV / 3, 2011


130 Rossend Arqués

Bajé desde el primero hasta el segundo Así bajé del círculo primero
circulo, que menos trecho ceñía al segundo, que menos trecho ciñe
mas dolor, que me apiada, más profundo con más dolor y es de ayes hervidero.
(Crespo) (Echevarría)

Il sistema di rime dantesco, che qui spicca per arditezza e origi-


nalità, risulta invece appiattito in una soluzione prevedibile se non
addirittura banale, in Crespo, mentre da Echevarría è introdotta una
metafora più ricercata. Altre volte, invece, come nel caso della rima
amante: tremante: avante dei versi già menzionati (vv. 134, 136,
138), i traduttori ben poco si devono discostare della rima dantesca,
se non per questioni di gusto o d’interpretazione.
La terzina rappresenta il «verdadero infierno del traductor», so-
prattutto per le difficoltà di tutti i tipi che derivano dalle sue rime.
Crespo nel suo circostanziato esame delle difficoltà affrontate con lo
scopo di mantenere la stessa rima nello stesso luogo di Dante, dice
ancora una volta che la soluzione sta nell’equilibrarne la perdita con
altre rime in luoghi diversi:
si he tenido que renunciar casi siempre a situarlas [le rime] en el mismo lugar
que Dante, he procurado, sin embargo, compensar esta pérdida en donde se
me ha deparado una buena oportunidad.

Pure con le rime paronomasiche, con le rime “dure” o con quel-


le acute, egli tenta sempre di rispettarne la posizione. Ma quando
questo è impossibile, ricorre alla compensazione. Il ricorso alle rime
tronche, «punto discutible y discutido» secondo quanto afferma lui
stesso, è giustificato dalla volontà di dare «un cierto matiz medieval
(en homenaje a Santillana, sobre todo) a ciertos pasajes de la tra-
ducción», in modo particolare a quelli più filosofico-concettuali o
in cui appaiono termini marcatamente medievali, come virtute, sire,
valore. Un impiego massiccio di rime di questo tipo si trova, per
esempio, all’inizio dell’orazione alla Vergine, Paradiso 33, proprio
«con el proposito de medievalizarlos, es decir, de producir en ellos
algo semejantes a esas aristas cortantes, pero suavemente armonio-
sas en su conjunto, de la arquitectura gótica»33.

33. Crespo, Problemas y métodos de traducción cit., p. 435.


Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 131

1.3. Rifare la lingua di Dante


La gotica costruzione del poema si erge anche sulla lingua e
lo stile danteschi, che costituiscono vere e proprie insidie per un
traduttore. Alla novità della lingua di Dante Auerbach ha dedicato
pagine di grande acume in Mimesis, nel capitolo dedicato a Farinata
e Cavalcante:
(…) la sua espressione possiede una tale ricchezza, concretezza, forza e dut-
tilità, egli conosce e impiega un numero talmente superiore di forme, afferra
le più diverse apparenze e sostanze con piglio tanto più saldo e sicuro, che si
arriva alla convinzione che quest’uomo abbia con la sua lingua riscoperto il
mondo. Spesso si crede d’aver trovato donde egli abbia attinto questa o quella
espressione, e invece le fonti sono tante, egli le accoglie e le impiega in un
modo tanto esatto, originario, e pur così proprio, che tale ritrovamento non
fa che aumentare l’ammirazione per la potenza del suo genio linguistico. In
un testo come il nostro ci si può imbattere dovunque in qualche cosa di stu-
pefacente, in qualche cosa che nelle letterature volgari era rimasto fino allora
inesprimibile34.

Ma anche in Dante als Dichter der irdischen Welt35, Auerbach


evidenzia l’eccezionale, quasi matematica, precisione del linguag-
gio dantesco anche nei momenti di maggior forza lirica, la combina-
zione linguistica fatta di cronaca dei fatti e di dottrina dell’ordine ve-
ritiero, una sintassi semplice quasi prosaica, volutamente paratattica
(la maggior parte dei periodi non supera la terzina), la chiarezza dei
nessi e la precisione semantica delle congiunzioni che strutturano
l’argomento, elementi che concorrono tutti a creare un nuovo lin-
guaggio concettuale, non diverso da quello della Summa theologica,
ma enormemente più ricco.
Vediamo ora qualche esempio significativo di come i valenti tra-
duttori moderni in lingua spagnola hanno affrontato questa insidiosa
mole di ostacoli alla traduzione che la Commedia racchiude in sé.
Nei versi iniziali di Inferno 5 appare subito evidente il problema
di come trattare la sintassi. Crespo, costretto dentro le demarcazioni
di ritmo e rima, sceglie di allungare il terzo verso con un’allusione

34. E. Auerbach, Mimesis. Dargestellte Wirklichkeit in der abländischen Lit-


eratur (1946), tr. it. Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, con un sag-
gio introduttivo di Au. Roncaglia, 2 voll., Torino 1956, I, p. 198.
35. Id., Dante als Dichter der irdischen Welt (1929), tr. cast. Dante, poeta del
mundo terrenal, Barcelona 2008, pp. 257-264.

Critica del testo, XIV / 3, 2011


132 Rossend Arqués

alla pietà provata dal protagonista che non ha riscontro nell’origina-


le e dando vita a un iperbato che rende meno agevole la comprensio-
ne: «más dolor, que me apiada, más profundo».
Dal punto di vista sintattico i versi di Echevarría sono molto più
lineari e quindi più intelligibili, riescono a mantenere la correlazione
men (menos) - tanto più ( más), e risolvono una frase verbale molto
complessa, che avrebbe avuto bisogno di una più estesa spiegazione,
(«tormenta in modo da provocare dolore») con la frase nominale
«de ayes hervidero». Una soluzione molto efficace, pari a quella di
Martínez de Merlo
Así baje del círculo primero
al segundo que menos lugar ciñe,
y tanto más dolor, que al llanto mueve
che utilizza il verbo mover (it. muovere), di grande importanza nel
sistema filosofico-poetico dantesco e cavalcantiano.
Rimane ancora da sottolineare la distinzione fra il tempo ver-
bale che indica l’esperienza umana del viaggio di Dante (discesi) e
quello che si riferisce al tempo eterno delle punizioni e delle azio-
ni che hanno luogo nell’Inferno, nello specifico le punizioni della
misura inferiore del secondo cerchio e il giudizio di Minosse (cin-
ghia: ringhia, avvinghia). La traduzione di Crespo è la sola a far uso
dell’imperfetto anche per queste ultime azioni, almeno nella prima
terzina e all’inizio della seconda, momento in cui cambia tempo
verbale e comincia a usare il presente. Non essendo queste azioni
marcate dalla ripetitività delle punizioni fissate dalla volontà divi-
na, resta al lettore il dubbio se dar loro un carattere di eternità o se
invece rappresentano una delle tante esperienze temporali, nonché
personali, del protagonista.
È poi da sottolineare il coordinamento per lo più asindetico dei
verbi che descrivono le azioni di Minosse: stavvi, e ringhia, esami-
na, giudica e manda, avvinghia. Crespo omette di tradurre stavvi
e comincia l’elenco con «gruñía», seguito da «examina» e da «y
juzga y manda al tiempo que se lía», verso col quale recupera anche
la congiunzione. Anche Echevarría non ritiene necessario tradurre
stavvi, ma poi allunga il primo verso aggiungendo un verbo «riñe»
che non ha riscontro nell’originale, collega le azioni con un nesso
di simultaneità, ripete lo stesso verbo (la seconda volta sostantiva-
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 133

to) e traduce avvinghia con una coppia verbale ossimorica («ciñe y


desciñe»). Martínez de Merlo, come gli altri, omette stavvi, che co-
munque è riecheggiato in un avverbio di luogo «allí», e inizia l’elen-
co con «rechinaba» a cui seguono «examina», «juzga y ordena» e
«se relíe». È abbastanza ovvio che le aggiunte rispetto all’originale e
le ripetizioni siano più frequenti in Crespo e in Echevarría. Vediamo
in proposito i versi 7-12:
Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor de li peccata
vede qual loco d’inferno è da essa;
cignesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.

Digo que cuando el alma malhahada Digo que cuando el alma desdichada
Llega ante él, confiesa de inmediato, se presenta ante él, confiesa todo;
y él, que tiene del mal ciencia acabada, y él, que en esta cuestión no ignora nada,
ve el lugar infernal de su reato; asígnale lugar de extraño modo:
tantas veces el rabo al cuerpo envuelve tantas vueltas se encincha con la cola
cual grados bajará por su mandato. cuantos grados señala a su acomodo.
(Crespo) (Echevarría)

In entrambe le traduzioni si ripete, non necessariamente, il pro-


nome personale «él»; inoltre in quella di Echevarría «esta cuestión»,
nella sua genericità, omette del tutto il significato di peccata – che
Crespo invece traduce con «mal» – e addirittura viene liquidato il
primo e più importante compito, che è quello di vedere, con intu-
izione divina, il luogo infernale a cui l’anima è destinata. Pertanto
resta solo la funzione di assegnare la pena, il cui procedimento – de-
finito come «extraño» – viene minuziosamente descritto. In questo
passo così irto di difficoltà Martínez de Merlo, ancora una volta,
dimostra grande maestria nell’accompagnare il lettore spagnolo alla
comprensione del discorso di Dante, per di più riuscendo a calcare
perfettamente la sintassi, il ritmo e il lessico originali:
Digo que cuando un alma mal nacida
llega delante, todo lo confiesa;
y aquel conocedor de los pecados

Critica del testo, XIV / 3, 2011


134 Rossend Arqués

ve el lugar del infierno que merece;


tantas veces se ciñe con la cola
cuantos grados él quiere que sea echada.
Occupiamoci ora di due altri due passi, che sono particolarmen-
te rappresentativi, sia per l’importanza del loro significato sia per
la loro struttura sintattica: l’ultima similitudine ornitologica tra la
coppia di amanti e la coppia di colombe del canto 5 e l’incipit del
poema. Nel primo passo i due amanti sono comparati a due colombe
colte nel preciso istante in cui arrivano già con le ali ferme ma an-
cora alzate al «dolce nido», corrispondente al virgiliano «Radit iter
liquidum celeris neque commovet alas» (“scendono planando per
il limpido spazio, senza muovere le loro ali veloci”, Aen. V 217).
Usando il verbo venire per descrivere il volo delle colombe, Dan-
te esprime partecipazione e prossimità alle azioni dei due volatili /
amanti e al verbo di moto vegnon fa corrispondere il complemento di
moto al dolce nido. Dei tre traduttori solo Crespo ha capito e tentato
di riproporre l’azione dell’arrivo degli amanti, fissata nell’immagine
plastica delle colombe ancora in volo, ma già quasi ferme:
Quali colombe dal disio chiamate
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vegnon per l’aere dal voler portate

Como palomas del deseo llamadas Y como dos palomas enceladas


que, alta el ala y parada, al dulce nido con ala abierta y firmae al dulce nido
caer se dejan por amor llevadas van por el aire del amor llevadas
(Crespo) (Echevarría)

Tal palomas llamadas por el deseo,


al dulce nido con el ala alzada,
van por el viento del querer llevadas
(Martínez de Merlo)

Ma nessuno sceglie per questioni legate al ritmo il verbo venir.


Crespo traduce «caer se dejan», aggiungendo una connotazione di
casualità di cui non c’è traccia in Dante, mentre gli altri due tradu-
cono «van», verbo con cui invece si perde la relazione di prossi-
mità fisica e emozionale tra i personaggi dell’azione e il soggetto
dell’enunciazione. Ma mentre Echevarría mantiene il vincolo tra il
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 135

verbo di movimento «van» e il complemento di moto a luogo «al


dulce nido», Martínez de Merlo, mosso dall’intento di rispettare la
parole dantesca, costruisce una strofa tripartita, alla quale le virgole
a fine verso conferiscono una forte ambiguità interpretativa, giacché
le colombe possono sia essere chiamate «al dulce nido» sia andarci
trasportate dal vento. Due dei traduttori poi mantengono nella loro
versione le due parole-chiave – disio e volere – del canto, nel quale
non a caso sono punite le anime di coloro che la «ragion sommetto-
no al talento», dove talento è sinonimo di istinto amoroso36.
L’interpretazione di un passo, ma più spesso di una parola, di
una congiunzione, è sempre un’azione che precede la traduzione
vera e propria e il traduttore, chiamato a sceglierne una tra le di-
verse che spesso gli esegeti hanno dato nel corso di tanti secoli di
storia della critica dantesca, si assume in un certo modo la respon-
sabilità di asseverare la bontà di una rispetto a un’altra. Di questa
assunzione, difficile e meditata, di responsabilità, ci sono molti
esempi nella pratica traduttologica dei nostri tre bravissimi autori.
Già all’inizio del poema si pone il problema di che valore dare alla
congiunzione che:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
che la diritta via era smarrita.
La maggior parte degli interpreti la considera una congiunzio-
ne causale (“giacché, poiché”), ma ad altri (come ad esempio Anna
Maria Chiavacci Leonardi) sembra più esatto intenderla come con-
giunzione modale (“nella situazione di aver smarrito la via”). Uno
dei traduttori spagnoli la interpreta nel primo modo («porque mi ruta
había extraviado», Martinez de Merlo), mentre gli altri due nel se-

36. Un’analisi simile fa Chiappini (Angel Crespo traductor cit., pp. 188-189)


con If 5, 55-57 relativi a Semiramis, dove osserva che Crespo rispetta le parole
principali lussuria, libido, licito, legge, biasmo (lujuria, libido, lícito, ley reproche)
ma inserisce alcuni verbi diversi dell’originale, con cui il traduttore «inserta en el
texto dos nuevos elementos semánticos y de energía expressiva: la contradicción
interna a la historia de Semíramis, reina y señora y, al mismo tiempo, “presa” que
mientras actúa en la plenitud de su dominio y autonomía legislativa y normativa
(“ley”) queda sorprendida en una paradójica y gravísima “confusión” de términos y
comportamiento; y además reina cogida en el trance de huir…».

Critica del testo, XIV / 3, 2011


136 Rossend Arqués

condo («con la senda derecha ya perdida», Crespo, e «después de


dar mi senda por perdida», Echevarría).
Nessuno dei tre tuttavia osa sbilanciarsi traducendo selva con
«bosque», che darebbe una patina eccessivamente contemporanea
alla traduzione: infatti nello spagnolo antico selva ha lo stesso signi-
ficato del latino, mentre attualmente significa “giungla”.
Interessante sarebbe poi analizzare i diversi esiti in spagnolo
dei vari modi stilistici del poema dantesco: la presenza dell’autore
nelle invocazioni d’esordio, nelle espressioni di dubbio e di smarri-
mento, nelle esortazioni, nelle imprecazioni, nei motti sarcastici; le
perifrasi eufemistiche, mitiche, astrologiche, geografiche; le simili-
tudini; le sinestesie; le metafore; le metonimie, le figure di sintassi
(simmetrie, parallelismi); le anafore, le paronomasie, gli iperbati, gli
zeugmi, le allitterazioni ecc. Purtroppo dobbiamo qui limitarci ad un
paio di esempi.
Se le sinestesie sembrano in genere più facili da tradurre (d’ogne
luce muto: «de todas luces mudo», Merlo; «en lugar de luz mudo me
vi luego», Crespo37; ma «Ese lugar sin luz», Echevarría), le allitte-
razioni e le metafore danno più filo da torcere nel trasferimento ad
un’altra lingua. Prendiamo l’allitterazione famosissima con cui si
chiude Inferno 5: «E caddi come corpo morto cade» e vediamone
le diverse soluzioni: «y caí como cuerpo inanimado», Crespo; «y
caí como cae un cuerpo muerto», Echevarría; «y caí como cuer-
po muerto cae», Martínez de Merlo. Se da una parte sorprende che
Crespo, a differenza degli altri due traduttori, decida di sacrificare
il quarto elemento di questa importante allitterazione, dall’altra si
può facilmente trovarne la spiegazione nel suo intento di salvare il
sentimento che per lui domina tutto il canto: la pietà. Non a caso fa
rimare il predicativo «inanimado» con «apiadado», mentre già nel
terzo verso della prima terzina di questo stesso canto aveva intro-
dotto un «me apiada» che non ha riscontri nel testo dantesco. In ciò
differisce completamente Echevarría, che fa scomparire il lessema
pietà, anche se ne conserva il concetto: «de pura compasión, cual si
muriera». Infine occupiamoci della breve metafora di If 13, 55-57:

37. Á. Crespo dichiara nei suoi Problemas y métodos de traducción cit., p.


436, che: «Las sinestesias dantescas, tanto luminosas como auditivas o de otra na-
turaleza, han sido objeto de preocupación en el texto traducido».
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 137

E’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi,


ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi
perch’ïo un poco a ragionar m’inveschi.
In questi versi l’anima di Pier delle Vigne, sotto le sembianze di
un tronco, si lascia convincere a parlare dal «dolce dir» di Virgilio:
Y el tronco: «Tu palabra es dulce, y nada, Y el tronco: “son tan dulces tus lisonjas
ya apaciguado, callaré, no graves que no puedo callar, y no os moleste
os sean mi historia y mi habla dilatada. si en hablaros un poco me entretengo…”
(Crespo) (Martínez de Merlo)

Y el tronco: “Mis heridas embalsama


tu dulce hablar, y yo hablaré si, graves,
estorbo no ponéis a mi soflama”.
(Echevarría)

Come si vede, in nessuna delle tre traduzioni i rispettivi autori si


pongono il problema di come trattare la metafora della caccia con il
vischio, che Dante evoca con il primo verbo adeschi legato dalla rima
successiva al verbo inveschi. Crespo e Martínez de Merlo rispettano il
senso generale della terzina ma preferiscono scioglierne quello trasla-
to, rinunciando sia alla metafora dell’animale che si lascia irretire che
a quella dell’animale che si inviluppa sempre più nel vischio. Al con-
trario, Echevarría fa sì ricorso a una metafora (le ferite lenite dal dolce
modo di parlare di Virgilio), ma capovolge le intenzioni del parlante:
Pier delle Vigne non si presenta ai suoi interlocutori nell’atteggiamento
umile di chi chiede attenzione, al contrario, egli pone delle condizioni
al suo proprio dire: parlerà solo se essi non ostacolano il suo discorso.
Per completare questo breve esame sulle diverse strategie tra-
duttologiche dei nostri autori, non si può tralasciare un aspetto molto
importante della variegata lingua dantesca, che non finisce mai di
stupirci e in cui tutti gli stili si ritrovano e l’intera tradizione lin-
guistica italiana si rispecchia. Mi riferisco alla presenza nel lessico
della Commedia di dialettalismi, di gallicismi, di fiorentinismi, di la-
tinismi, di idioletti, di allotropi come trono / truono / tuono, o dicea /
-eva, o imagine / -ago, di termini transalpini che coesistono accanto
ai corrispettivi italiani (gioire / godere, augello / uccello ecc.) molto
spesso per ragioni stilistiche, di oscillazioni tra forme volgari e for-
me latineggianti volte a nobilitare la lingua (radiare / raggiare), di

Critica del testo, XIV / 3, 2011


138 Rossend Arqués

parasinteti che costituiscono il terreno più fertile nel quale si realizza


la creatività dantesca (incinquarsi, indovarsi, trasumanare ecc.), per
non parlare di versi ed emistichi della Commedia che sono entrati
a far parte del parlare comune italiano, e non solo: fiero pasto, nel
mezzo del cammin, amor ch’a nullo amato amar perdona, lo pane
altrui, ecc. Pur non potendo qui riportare esempi di tante tipolo-
gie diverse, vorrei tuttavia commentare brevemente le traduzioni in
spagnolo di alcuni dei verbi parasintetici più noti: s’india (Pd 4,
28); s’addua (Pd 7, 6); s’incinqua (Pd 9, 40); si disuna (Pd 13, 56);
s’intrea (Pd 13, 57); t’insusi (Pd 17, 13); s’infutura (Pd 17, 98); si
trasmoda (Pd 30, 19); s’indova (Pd 33, 138). Ecco come sono resi
dai nostri tre traduttori rispettivamente: «a Dios más se aproxima»,
«se enduaba», «quintuplicará», «desaúna», «que tres hace», «te al-
zas», «se enfutura», «sobrepassa», «en qué sitio» (Martínez de Mer-
lo); «se deigloría», «una doble llama actúa», «pasarán cinco siglos»,
«sin desunión», «el tres con ellos crea», «encumbrecida», «hacia el
futuro vuela», «supera», «centra» (Echevarría); «se endiosa», «se
adúa», «sea quintuplicado», «se desuna», «se entría», «tan alzado»,
«se enfutura», «se transmoda», «como en él estaba» (Crespo).
Lodevole è il loro sforzo, in particolar modo quello di Crespo,
di tenere dietro alla genialità creativa dantesca («se enduaba», «de-
saúna», «se enfutura», «se deigloría»), con esiti a volte eccellenti,
altre volte meno, secondo la polivalenza semantica del neologismo;
ad esempio, nel caso di si trasmoda, di cui solo Crespo osa fare il
calco in spagnolo, il significato non è solo quello di “superamento
della conoscenza umana al fine di godere interamente della divini-
tà”, ma è anche quello della “nuova dimensione in cui si sta entran-
do”. Altrettanto encomiabili sono le traduzioni di un verso, If 5, 43,
esemplare per l’uso particolare che Dante fa degli avverbi,
di qua, di là, di giù, di sù li mena;
nulla speranza li conforta mai,
che i nostri traduttori rendono nei seguenti modi:
Acá, allá, acullá, por vendavales arriba, abajo, aquí y allí los lleva
a turba de las almas es llevada, sin la esperanza, que les dé consuelo
sin esperanza – que les preste aliento – (Echevarría)
(Crespo)
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 139

Arriba, abajo, acá y allá les lleva;


y ninguna esperanza les conforta
(Martínez de Merlo)

In lingua spagnola e in lingua catalana il dantismo filologico e


critico fino a pochi decenni fa non aveva prodotto risultati degni di
nota, fatta qualche eccezione. In questi ultimi anni iniziative e studi
promossi da diverse università spagnole hanno cominciato a colmare
questa lacuna ricevendo riconoscimenti da tutto il mondo38. Malgrado
il ritardo che la filologia dantesca ispanica ha accumulato, bisogna tut-
tavia riconoscere che nell’ultimo trentennio del Novecento il lavoro
di traduzione di tutte le opere di Dante, e in particolare della Comme-
dia, non solo ha proseguito il cammino iniziato nell’Ottocento dai nu-
merosissimi traduttori già sopra menzionati, ma ha anche tentato con
successo, grazie anche ai nuovi strumenti filologici e alle nuove edi-
zioni commentate della Commedia di cui si è giovata, di «dire (quasi)
la stessa cosa» (Eco). Mi auguro soltanto che questa prima analisi sia
riuscita a dimostrarlo. Restano tuttavia ancora aperte molte questioni:
non ultima quella, secondo me molto importante, circa l’opportunità
di mantenere la rima nelle traduzioni moderne. Si tratta di una discus-
sione specifica che si inscrive nella più generale questione di come
si devono tradurre oggi i testi medievali. Jacqueline Risset, nell’in-
troduzione alla sua versione in francese della Commedia, riconosce
che ogni traduzione è sempre una “riduzione”, e che pertanto è inutile
tentare di mantenere la terza rima senza che ciò crei delle ripetizioni
eccessive e un’impressione di meccanicità, tradendo poi un principio
essenziale dell’opera di Dante: «quello dell’invenzione sovrana, che
colpisce e sconcerta il lettore a ciascun passo sulle vie sconosciute
dell’altro mondo»39. Vengono qui a proposito le riflessioni che Mar-
tínez de Merlo dedica alla rima nella sua Nota del traductor e che
coincidono con quelle della traduttrice francese. Le registro alla fine
della mia analisi sperando che possano essere utili a tutti quelli che si
accingono al difficile compito della traduzione in versi rimati:

38. Si vedano, a titolo di esempio, la rivista di studi danteschi «Tenzone» e tut-


ta l’attività critica che gira attorno ad essa; anche il mio, Il dantismo contemporaneo
in Spagna. Primo bilancio cit.
39. Si veda Traduire Dante in D. Alighieri, La divine comédie, traduction de
J. Risset, Paris 1985, p. 21, cit. in U. Eco, Dire quasi la stessa cosa. Esperienze di
traduzione, Milano 2003, p. 186.

Critica del testo, XIV / 3, 2011


140 Rossend Arqués

(…) he prescindido decididamente de la rima y he elegido como vehículo el


endecasílabo blanco, conservando, eso sí, la disposición en tercetos. El oído
actual se ha acostumbrado a lo largo del presente siglo, a la ausencia de rima
en los textos en verso, y ya no necesita de las periódicas similicadencias para
degustar el ritmo y la musicalidad de éstos; y el conservar la noción de rima
(no “la rima”, pues obviamente no se conservan las rimas originales de Dan-
te, sino que es necesario inventarse otras nuevas) obliga al traductor que tal
intenta, a un tour de force excesivo; y, aunque en ocasiones los logros puedan
ser espectaculares, en general la brillantez del resultado suele ir en detrimento
de alguna o de las tres premisas que he planteado inicialmente40.

2. Ricezione dantesca nella letteratura ispanica novecentesca: María


Zambrano e l’inizio della conoscenza poetica.
La percezione che i nostri tempi hanno dell’opera di Dante è
simile a una serie di immagini risultanti dalla frantumazione di uno
specchio che un tempo rifletteva un tutto integro. Incapace persino
di immaginare la compiutezza e la sferica poliedricità di un’opera in
cui erano contenuti tutti i sensi, alti e bassi, razionali e irrazionali, e
in ultima istanza il Senso dei sensi, la modernità si lascia ammaliare
dai bagliori che il poema dantesco continua ad emettere. La Comme-
dia è irripetibile, lo si sa. Ne era ben consapevole Montale quando
scriveva: «Poeta concentrico, Dante non può fornire modelli a un
mondo che si allontana progressivamente dal centro e si dichiara in
perenne espansione. Perciò la Commedia resterà l’ultimo miracolo
della poesia mondiale»41. I riferimenti moderni al sommo poeta sono
simili ai sassi che un tempo formavano una grande montagna, ormai
franata, o ai riflessi dorati di un sole già tramontato. Possiedono tutta
la magia e la potenza evocatrice delle rovine e colpiscono comunque
per la loro forza inusuale ed enigmatica e per la loro densità icastica
e metaforica. I passi, i nomi, le brevi sequenze, le lievi tracce di
una campata o di un arco che riappaiono nelle opere moderne sono
ricordi, o poco più, della monumentale architettura del poema. Ecco
quindi, nella letteratura moderna spagnola, i tanti titoli allusivi: La
mitad de la vida, di A. Cánovas del Castillo, A mitad del Camino

40. Martínez de Merlo, Nota del traductor cit., pp. 61-62.


41.  E. Montale, “Esposizione su Dante”, in Il secondo mestiere, a c. di G.
Zampa, 2 voll. Milano, 1996, II, Prose 1920-1979, pp. 2668-2690, p. 2689.
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 141

(1944), di L. Fernández Ardavín, o En medio del camino (1971), di


Ángel Crespo; le citazioni di versi e momenti dell’opera dantesca in
poeti come Pedro Salinas42, Juan Gil-Albert43 e Eloy Sánchez Rossil-
lo44 o di narratori quali Gonzalo Torrente Ballester45 o Luis Goytiso-
lo46. Nel panorama della narrativa spagnola moderna quest’ultimo è
forse l’autore che ha fatto un riuso più massiccio, per quanto ironico,
della Commedia. Tuttavia qui vorrei soffermarmi sul Dante di María
Zambrano per mettere in rilievo non tanto l’ampiezza delle sue fre-
quentazioni con l’opera del fiorentino quanto la loro profondità e
continuità negli anni.
María Zambrano (Vélez-Malaga, 1904 - Madrid 1991) è una si-
gnificativa figura del pensiero spagnolo del Novecento. Fu una delle
prime donne spagnole ad intraprendere la carriera universitaria in
un contesto storico-sociale, quello della Spagna degli anni Trenta, in
cui «una filosofa (…) era quasi `una donna barbuta’, un’eresia, una
curiosità da circo»47 e una delle maggiori rappresentanti della cultura
repubblicana in esilio, da lei intrapreso fin dal gennaio 1939, giorno
in cui attraversa il confine francese insieme ad alcuni familiari per
poi stabilirsi in diversi paesi dell’America centrale, come il Messi-
co, Puerto Rico e soprattutto Cuba, dove insegnerà in varie univer-
sità, fino al 1964, anno del suo rientro in Europa, allorquando fissa
la sua residenza prima a Roma – da dove si allontana in seguito alle
denunce dei vicini provocate dal gran numero di gatti che accoglieva
nel suo appartamento – e poi nei boschi del Jura francese. L’esilio è
dunque un’esperienza che l’accomuna a Dante, l’«eterno esiliato»:

42. La voz a ti debida, Buenos Aires, 1934. Si veda a questo proposito, R.


Pinto, Irradiazioni di Francesca nella letteratura spagnola Miguel de Cervantes,
Gustavo Adolfo Bécquer, Pedro Salinas, in Un bacio, un mito…, Giornate interna-
zionali di studio dedicate a Francesca da Rimini. Seconda edizione (Rimini, 4-6
luglio 2008), Rimini 2009, pp. 85-98.
43. Ai suoi rapporti con Dante ha dedicato alcune pagine J. Arce, Il ricordo
della “Divina Comedia”, in «Dante Studies», 5 (1982), 1: “Dante in the Twentieth
Century”, pp. 72-74.
44. Nato nel 1948 Intitola una sua poesia Nel mezzo del cammin appartenente
al libro Elegías (1984).
45. J. Arce, Il ricordo della “Divina Comedia” cit., pp. 75-76.
46. Ibid., pp. 76-77.
47. Cfr. A. Galotti, D. Fusaro, María Zambrano, in http://www.filosofico.net/
zambrano.htm.

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142 Rossend Arqués

A Dante successe di dover pagare la propria lealtà intatta con esilio, povertà,
soggezione a occupazioni equivoche, condanna a morte crudele e infamante
a un tempo: solitudine.
La trama della sua vita non mostra quasi altra cosa, la trama della sua vita, la
materia dei suoi sogni. E insieme la sua esperienza.
Molti uomini del tempo di Dante passarono per situazioni analoghe e molti ne
vennero letteralmente consumati, mentre lui riuscì a trasformare quel fuoco
su cui la sua città lo aveva condannato a morire arso, in un fuoco che lo fece
vivere ardendo fino alla morte. La sua opera travalica il destino. Ma fu ne-
cessario sopportare quel destino per portarla a compimento. Se sperimentare
un destino siffatto non è sufficiente per creare la Divina Commedia o l’intera
opera che, essendo dello stesso autore, impallidisce un poco sotto lo splendore
di quella, tuttavia non sarebbe stato possibile portare alla luce tenebre tanto
profonde e far discendere tanto celestiale chiarore, senza essere passato in
vita, per opera delle circostanze storiche e dell’amore, attraverso tanti inferni,
purgatori e cieli48.

Nella sua opera l’esilio trascende la vicenda personale e storica


per diventare cifra di un rituale iniziatico, di un’esperienza di an-
nullamento e di rinascita. L’esilio è anch’esso in qualche modo un
«incipit» di una «vita nova»49.
Sono diversi i momenti della sua vasta opera in cui l’autrice
andalusa si trattiene a riflettere su Dante. La studiosa italiana Elena
Laurenzi50, nella sua lunga e interessantissima premessa all’edizione
di due inediti della Zambrano su Dante, pubblicati con il titolo Dan-
te specchio umano51, fa il punto della situazione proprio sul rappor-
to fra l’opera dantesca e il pensiero della Zambrano, chiarendo tra
l’altro i tempi e i modi con cui essa si è avvicinata al fiorentino. È
probabile che avesse letto la Commedia e la Vita nuova per la prima
volta in piena adolescenza e che negli anni universitari le fosse stata
proposta la rilettura da Ortega y Gasset, il quale spesso e volentieri

48. M. Zambrano, Dante specchio umano, edizione con testo a fronte, tradu-
zione, prologo e note di E. Laurenzi, Roma 2007, p. 65.
49. Si veda il recente articolo di M. B. Spanu, La metafora dell’esilio e il suo
significato filosofico nella riflessione di María Zambrano, in «Rocinante. Rivista di
filosofia iberica e iberoamericana», 4 (2009), pp. 183-192.
50. Che a María Zambrano ha dedicato, insieme a molti interessantissimi la-
vori, la tesi di dottorato dal titolo Una lectura de María Zambrano (Universitat de
Barcelona, 2000), diretta dalla professoressa Fina Birulés, a cui ringrazio per aver-
mi prestato il libro Dante specchio umano senza il quale non avrei potuto redigere
queste pur minime note.
51. Zambrano, Dante specchio umano cit., pp. 7-56.
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 143

citava Dante nelle sue lezioni, come ricorda anche José Bergamín52;
così come è molto probabile che le celebrazioni dantesche del 1965
nel settimo centenario della nascita del poeta siano state un’altra oc-
casione di contatto con l’opera dantesca53. Sicuramente nel febbra-
io 1966 scrisse almeno uno di quei due saggi, nei quali concepisce
Dante come uno “specchio” che pone in “rapporto” tutte le cose esi-
stenti. L’uomo è un orizzonte che media fra i due emisferi: la bestia e
l’angelo, l’irrazionale e il razionale. In Dante troviamo la condizio-
ne umana in tutta la sua pienezza, la completa attuazione delle sue
possibilità: «fin qui può abbassarsi l’uomo, fin lì può ascendere (…).
A quest’idea verificata dall’esperienza risponde l’opera di Dante»54.
Perché Dante appartiene all’epoca, a memoria umana, meno scissa,
quella in cui l’uomo percepisce la sua esistenza all’interno di un uni-
verso concentrico, «unitario in forma pluricircolare», nel cui centro
è la divinità, la quale è nel cuore dell’uomo come in uno specchio.
Questo è il vero significato di Emanuele, uno dei nomi del Creatore:
Dio nell’uomo. E lì, nel cuore dell’uomo, si manifesta non solo in
forma di ragione ma di sentimento. «Una ragione trascendente che
muovendo dalla divinità attraversava l’intera creazione e stabiliva
una dimora prediletta nella mente umana»55. Una ragione illuminata
dalla fede e dall’amore che permetteva alla mente di viaggiare «per
i mondi diversi che compongono l’universo visibile e l’invisibile»56.
Nel peregrinare del poeta-personaggio tra i due opposti estremi, la
gravità e l’ingravità, Zambrano coglie significativamente questo ri-
specchiarsi dell’universo nel cuore umano:
L’esperienza è realizzata dal centro, dove il cerchio più ampio racchiude e deter-
mina gli altri; tutte le esperienze assumono questa figura perfetta che è il cerchio,

52. «Ningún libro se ha escrito en el mundo que contenga ese poder mágico


de ensonación espiritual, tan intenso, tan vivo… Cuando cerramos los ojos después
de leerlo, tan vivo – nos dice el filosofo [appunto Ortega] – sentimos en la mano el
dulce peso de un montón de preciosa pedrería» in J. Bergamín, Fronteras infernales
de la poesía, Madrid 19802, p. 36 (tr. it. Frontiere infernali della poesía, intr.. di
María Zambrano, Firenze 1963).
53. E. Laurenzi, La sete naturale, in Zambrano, Dante specchio umano cit.,
pp. 10-11.
54. Ibid., p. 61.
55. Ibid.
56. Ibid.

Critica del testo, XIV / 3, 2011


144 Rossend Arqués

in cui le cose si ordinano nella loro massima visibilità. Ma succede qualcosa di


strano e forse non conforme con l’immagine geometrica che spontaneamente si
forma nella nostra mente. Perché il cerchio più ampio è il più interno, il più vici-
no al centro, e il centro è l’infinito stesso. È il più ampio dunque, ma non in senso
strettamente spaziale, poiché spazio e tempo sono stati trascesi, siamo oltre57.

In questo viaggio di conoscenza una particolare funzione svolge


Beatrice, sia quella della Vita nuova (VN) che quella della Comme-
dia: l’una terrena e l’altra celeste. Scrive Zambrano, «risulta quasi
impossibile pensare che non ci siano due Beatrici sotto lo stesso
nome»58, e mai la prima è annullata dalla seconda. La sua comparsa
segna, come è risaputo, un prima e un dopo nel pensiero, nella vita e
nell’opera di Dante. L’«origine» della conoscenza è uno dei momen-
ti in assoluto che più affascinano Zambrano, quello che traccia una
soglia a partire dalla quale mai niente sarà come prima, neanche la
propria vita. L’«iniziazione» è quindi il tema fondamentale nel pen-
siero della Zambrano. Utilissime sono, in questo senso, le pagine in
cui Elena Laurenzi ricostruisce i suoi contatti con le letture di Dante
compiute in chiave gnostica, mistica ed esoterica – dal Foscolo al
Valli –59, in particolar modo con la mistica islamica, messa in primo
piano all’inizio del Novecento dal connazionale Asín Palacios60. Alla
catabasi in sé, propria secondo lei della mistica islamica, preferisce
l’idea del percorso che porta dall’oscurità alla luce, dalla gravità alla
leggerezza dell’aria. Da qui deriva il grande valore che essa attribu-
isce alla Vita nuova. Nel capitolo introduttivo a Claros del bosque,
uno dei suoi libri più ispirati, la scrittrice ci ricorda l’episodio del
“gabbo”61 di VN XIV, quando avviene quella “svolta” decisiva che

57. Zambrano, Dante specchio umano, cit., p. 77. Riflessioni che sembrano


proprio dar ragione alle conclusioni a cui di recente è arrivato anche H.-R. Patapie-
vici nel suo libro Gli occhi di Beatrice, in cui si rappresenta la cesura cosmologica
che avviene nei canti 27-28 del Paradiso come un’ipersfera, cioè la sola figura
geometrica che spiega quella sorta di rovesciamento che si da alla fine dell’ultima
cantica per cui l’Empireo e le sfere dei cieli visibili dovrebbero essere tangenti in
tutti i punti della loro superficie, nel cui centro unitario ci deve essere il Creatore,
che è al contempo centro e circonferenza.
58. Zambrano, Dante specchio umano cit., p. 67.
59. Laurenzi, La sete naturale cit., pp. 22-29.
60. Ibid., pp. 17-19.
61. Per il quale si vedano le illuminanti parole di M. Picone in “Vita Nuova” e
tradizione romanza, Padova 1979, p. 126: «I termini che entrano nel sapiente gioco
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 145

segnerà la vita intellettuale e poetica di Dante in seguito menzionata


anche nel poema62:
En la escena de las bodas, único momento en que Dante encuentra cara a cara
a Beatriz, la ve burlarse al modo de una dama sin más, con sus amigas, de la
turbación que el enamorado sin par experimenta al verla vecina, y el amigo
introductor – guía – le pregunta por la causa de tanta turbación. Io tenni li
piedi in quella parte de la vita di là de la quale non si puote ire più per inten-
dimento di ritornare63.

Ecco il momento esatto in cui avviene l’iniziazione, l’«incipit


vita nova». In esso la nostra autrice riconosce il “metodo”64 della
conoscenza, sorto puntualmente in un glorioso istante di lucidità che
si situa al di là della coscienza e che la inonda. Questo metodo non
può essere provocato se non dall’allegria di un essere fino a quel
momento occulto che proprio allora comincia a respirare e a vivere,
«porque al fin ha encontrado el medio adecuado a su hasta entonces
imposible o precaria vida»65. Si tratta del luogo in cui sono nati gli
esempi del metodo cartesiano, gli istanti che precedono l’incontro
di Agostino con quella verità che vivificherà il suo cuore, così come

scenico sono tre: la “trasfigurazione” dell’io che produce, come reazione della Don-
na, il “gabbo”, mentre dovrebbe (agli occhi dell’io provocarne la “pietà”. La “tra-
sfigurazione” è la modalità dell’incontro mistico: rappresenta anzi la sola via che
possa immettere l’uomo nel cerchio della perfezione divina senza che le limitazioni
storiche e terrene vengano infrante. (…) La spinta che aziona il movimento verso
l’alto è ancora troppo debole perché la proiezione extra-terreste e l’ansia di eterno
dell’io possano dirsi realizzate». Si veda anche l’edizione castigliana D. Alighieri,
Vida nueva, ed. bilingue a c. di R. Pinto e Luis Martínez de Merlo, Madrid 2003.
62. “«Come vedremo – scrive Zambrano in Dante specchio umano cit., p. 67
–, già nella Vita Nuova appaiono parole rivelatrici del fatto che l’amore lo condusse
fino ai confini estremi della vita, che si tratta di un amore che trasforma, che di un
semplice uomo quale era Dante fa un uomo nuovo; un amore che lo portò a morire
e rinascere, per quanto è possibile restando un abitante della terra».
63.  Questo stesso episodio lo ricorda anche in Dante specchio umano, cit.,
p. 87.
64. Sono molte le pagine che Zambrano ha dedicato a la questione del “me-
todo” nella filosofia, si vedano, ad esempio, Del método en filosofía o de las tres
formas de visión, in «Río Piedras», 1 (settembre 1972), pp. 99-117 o Notas de un
método, Madrid 1989. Forse più che di “nuovo metodo” bisognerebbe parlare di
“negazione del metodo cartesiano” di accesso alla verità, per cui si ipotizza la via
della “ragione poetica”.
65. M. Zambrano, Claros del bosque cit., p. 15.

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146 Rossend Arqués

l’intera Vita nuova di Dante, «enigmático breviario sinuoso, espiral


que avanza y retrocede para en un instante retrobarse por entero»66.
Quando l’amore entra in gioco il centro dell’essere è svegliato.
L’amore è qualcosa che muove e genera la conoscenza, una strada
pericolosa che bisogna percorrere per raggiungere una “nuova ra-
gione”, senza più paradossi, e che dovrebbe corrispondere anche a
una “nuova vita”. L’amore rappresenta quindi una “trasfigurazione”
(VN XIV 7 e XV 1) che, affinando l’essere che lo subisce e lo sup-
porta, ne sposta il suo centro di gravità, trasferendolo a quello della
persona amata (poetica della lode), e dando inizio al vivere “fuori di
sé” per vivere “oltre sé stessi”.
Vivere disposti al volo, pronti a qualunque partenza. È il futuro inimmaginabi-
le, l’irraggiungibile futuro di quella promessa di vita vera che l’amore insinua
in chi lo sente67.

Quello che Dante ha sperimentato è qualcosa di più dell’amore


umano. «Beatrice – scrive Zambrano in Dante specchio umano –
manifesta e veglia a un tempo un’esperienza di conoscenza amorosa
che secoli dopo si sarebbe detta mistica»68. Ma non si tratta di un
amore «etereo e disincarnato», bensì di una “scala” alla cui base c’è
l’incontro «con una donna in carne e ossa, la cui fisica prossimità
altera e sconvolge la mente»69. Un incontro coincidente con il punto
di svolta del suo pensiero, che è fonte di illuminazione, specchio
che congiunge realtà visibile e invisibile, corporeità e incorporeità,
che piega il percorso dalla tragedia alla speranza. Un itinerario di
espiazione e di riscatto che deve passare necessariamente attraverso
una svolta o capovolgimento profondi e alchemici – punto questo di
discrepanza rispetto a Asín Palacios, in quanto l’escatologia musul-
mana non contempla nessun tipo di riscatto dagli Inferi:
L’inferno di Dante non corrisponde a quello dell’Islam, anche se ha la stessa
forma (…): che l’essenziale dell’Inferno di Dante è che da esso c’è uscita,
che differisce dai Luoghi dei viaggi islamici che Asín Palacios ritiene iden-
tici, senza rendersi conto del fatto che in quei luoghi visitati da Maometto o
da chicchessia, non si fa nulla, mentre Dante e Virgilio fanno qualcosa e a

66. Ibid., p. 16
67. M. Zambrano, L’uomo e il divino, Roma 2001, p. 252.
68. Ead., Dante specchio umano cit., p. 67.
69. Cfr. Laurenzi, La sete naturale cit., p. 45.
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 147

partire da questa azione escono. Asín non coglie neanche il significato della
presenza di Santa Lucia, luce che discende fin nelle tenebre, viatico della luce
nel cuore70.

In conclusione spero di essere riuscito a dimostrare in queste


pagine che Dante, pur all’interno dell’atomizzata e parziale ricezio-
ne moderna della sua opera, impegna tuttora traduttori, filologi e
artisti in svariate tipologie di studi e di creazioni artistiche, diven-
tando perno attorno al quale si continua a riflettere sulla teoria della
conoscenza, su una gnoseologia non scissa tra cuore e mente, su una
ragione poetica appunto.

70. M. Zambrano, Lettera a Elena Croce del 20 dicembre 1969 (inedita), Ar-
chivio della Fondazione María Zambrano, cit. ibid., pp. 18-19.

Critica del testo, XIV / 3, 2011

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