Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
XIV / 3, 2011
Dante, oggi / 3
Nel mondo
a cura di
Roberto Antonelli
Annalisa Landolfi
Arianna Punzi
viella
© Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali,
“Sapienza” Università di Roma
ISSN 1127-1140 ISBN 978-88-8334-639-2
Rivista quadrimestrale, anno XIV, n. 3, 2011
Registrazione presso il Tribunale di Roma n. 125/2000 del 10/03/2000
Rino Caputo
Dante in Nordamerica verso e dentro il Terzo Millennio 319
Nicola Bottiglieri
Dante nella letteratura ispanoamericana 333
Sonia Netto Salomão
Dante na tradição brasileira 375
Elisabetta Benigni
La Divina Commedia nel mondo arabo: orientamenti critici
e traduzioni 391
Alessandra Brezzi
Il Novecento cinese di Dante 415
di Maometto agli Inferi e della sua ascensione al cielo, conoscenza che gli sarebbe ar-
rivata attraverso la Spagna, sono state confutate da M. Chiamenti, Intertestualità Liber
Scale Machometi-Commedia?, in Dante e il locus inferni. Creazione letteraria e tra-
dizione interpretativa, a c. di S. Foà e S. Gentili, Roma 1999, pp. 45-51) e da S. Rapi-
sarda, La Escatologia dantesca di Asín Palacios nella cultura italiana contemporanea.
Una ricezione ideologica?, in Echi letterari della cultura araba nella lirica provenzale
e nella Commedia di Dante, Atti del Convegno internazionale, Università degli Studi
di Udine (15-16 aprile 2005), a c. di C. G. Antoni, Pasian di Prato (Ud) 2006, pp. 159-
190, il quale ricostruisce le polemiche seguite alle prime edizioni dell’opera di Asín
Palacios, nonché la sua ricezione in Italia soprattutto a partire dalla pubblicazione della
traduzione italiana per i tipi della casa editrice Pratiche (1994): «Insomma – secondo
Rapisarda –, il quadro è questo: in Italia la tesi di Asín Palacios è stata ignorata, o
osteggiata o confutata, poi è stata in latenza per vari decenni, in un limbo di silenzio
pressoché universale, finché all’improvviso si è scatenato il “fenomeno”, il dibattito,
che è diventato quasi un dibattito sulla World Literature o sulla political correctness in
letteratura» (p. 162). Si veda anche M. Corti, Dante e la cultura islamica, in «Per cor-
rer miglior acque»… Bilanci e prospettive degli studi danteschi alle soglie del nuovo
millennio, Atti del Convegno internazionale (Verona-Ravenna, 25-29 ottobre 1999),
2 voll., Roma 2001, I, pp. 183-202; poi in Ead., D. Della Terza, G. Gorni, Il Dante di
Sapegno nella critica del Novecento, Torino 2002, pp. 19-40, trad. inglese Dante and
Islamic culture (1999), in «Dante Studies», 125 (2007), pp. 57-75 (vol. monografico
dal titolo: Dante and Islam); Ead., La “Commedia” di Dante e l’oltretomba islamico,
in «L’Alighieri. Rassegna bibliografica dantesca», 5 (1995), pp. 7-19 (anche in «Bel-
fagor», 50 [1995], 3, pp. 301-314; poi in Scritti su Cavalcanti e Dante, Torino [2003],
pp. 365-379); A. Celli, Figure della relazione. Il Medioevo in Asín Palacios e nell’ara-
bismo spagnolo, con una presentazione di A. Brandalise, Roma 2005.
9. Che comunque pubblicò il volume De Francesca a Beatriz a Madrid nel
1924 per i tipi della casa editrice Revista de Occidente, diretta da J. Ortega y Gas-
set; anzi fu lui stesso a chiederle il libro. Si veda R. Arqués, Desiderio femminile e
femminismo: Victoria Ocampo fra Francesca e Beatrice, in Per leggere d’amore,
Rimini, in corso di stampa.
10. Non esiste tuttora un catalogo ragionato delle edizioni della Commedia con
le illustrazioni di Doré, ma molte di quelle che abbiamo citato le avevano. Per quanto
riguarda Flaxman (1851) è da citare soltanto La Divina Comedia y La Vida Nueva,
Madrid 1956, e uno studio critico del 1868 di M. Roca de Togores. Le vicende edi-
toriali delle illustrazioni di Dalí sono assai complesse e non è questa la sede per par-
larne. Si vedano in questo senso G. L. Gualandi, L’incubo e la Catarsi: un’ipotesi su
Dalí lettore della Commedia. Analisi critica, in Salvador Dalí. La Commedia e altri
temi, in Id., Salvador Dalí. La Divina Commedia e altri temi: opere grafiche, Bolo-
gna 19942; I. Schiaffini, From Hell to Paradise or the Other Way Round? Salvador
Dalí’s Divina Commedia, in Dante on view. The reception of Dante in the visual and
performing Arts, a c. di A. Braida e L. Calè, Aldershot-Burlington (Vermont) 2007,
pp. 141-150; J. P. Barricelli, Dante’s Vision and the Artist. Four Moderns Illustrators
of the Commedia, New York 1992, pp. 81-93. Per le illustrazioni di Miquel Barceló,
oltre all’edizione in tre volumi, si veda: D. Alighieri, Divina Comedia, ilustrada por
M. Barceló, ed. bilingüe, traducción y notas de A. Crespo (per l’edizione castigliana),
traducción y notas de J. M. de Segarra (per quella catalana), Barcelona 2002.
11. La traduzione gallega, per la quale ricevette la medaglia d’oro della città di
Firenze, è a cura del poeta D. Xohán Cabana: D. Alighieri, A divina comedia, Santiago
de Compostela 1990. Xohán Cabana è anche traduttore del Canzoniere di Petrarca.
12. Impossibile tentare qui di tracciare una ben che minima mappatura delle
tipologie delle diverse traduzioni novecentesche in Spagna. Rimando comunque
a Carrera Díaz, Le traduzioni spagnole della “Divina Commedia” cit. Per quelle
catalane più recenti si veda R. Arqués, Reescriure Dante. La Comèdia de Sagarra y
de Mira, in «Reduccions», 81-82 (2005), pp. 215-225.
13. Ecco un elenco, senza pretese di esaustività, delle traduzioni castigliane
della Commedia dal 1950: La Divina Comedia, trad. de F. Gutiérrez, Barcelona
1958; La Divina Comedia, trad. de A. J. Onieva, en prosa con las ilustraciones de J.
Vaquero Turcios, Madrid 1965; La Divina Comedia, trad. de J. Acerete, Barcelona
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 123
debo decir que, si he tenido que renunciar a situarlas en el mismo lugar que
Dante, he procurado, sin embargo, compensar esta pérdida en donde me ha
deparado una buena oportunidad. (…) También he procurado que en la tra-
ducción no faltasen, en paralelismo con el poema, rimas paronomásicas (…),
rimas duras (…), rimas raras (…) ya procedan del original – cuando ello ha
sido posible – ya nazcan en aquél19.
1.1. L’endecasillabo
L’endecasillabo è il superbissimum carmen, cioè «il più splen-
dido dei versi», come dichiara Dante stesso nel De vulgari eloquen-
tia, II V 3, perché permette ogni sorta di registro. Riguardo al siste-
ma ritmico, l’endecasillabo ammette accanto ai tre tipi fondamentali
(accento in 6ª e 10ª sillaba; in 4ª, 8ª e 10ª; in 4ª, 7ª e 10ª), che diven-
teranno canonici in Petrarca, altri tipi secondari (accento in 1ª, 2ª, 3ª
e 9ª sillaba, variamente combinati) che hanno uno speciale rilievo
nella Commedia. Se il ritmo di tipo anapestico o dattilico (4ª, 7ª,
10º) è ricorrente in situazioni specialmente aspre e brutali («batte col
remo qualunque s’adagia», If 3, 11124) quello di tipo giambico (2ª,
4ª, 6ª, 8ª, 10ª) lo è nelle azioni lente e pausate («Allor si move e io lo
tenni dietro», If 1, 136). Si tengano presenti poi le cesure, soprattutto
quelle in 4ª sillaba, il gioco fra dieresi e sineresi, dialefe e sinalefe,
l’enjambement; tutti effetti ritmici che fanno sì che l’endecasillabo
si trasformi nelle mani di Dante nel verso più duttile per esprimere
sia sentimenti e stati d’animo, sia ragionamenti concettuali. Nel can-
to 5 dell’Inferno si concentrano molti di questi fenomeni metrico-
ritmici, ad esempio i vv. 1 e 8 (2ª, 4ª, 6ª, 10ª), 2 (1ª, 4ª, 8ª, 10ª), 5 (2ª,
6ª, 10ª), 6 (1ª, 4ª, 7ª, 10ª); la cesura in 4ª in un gran numero di versi
(46, 49 ecc.), mentre quella in 6ª nei vv. 37, 63, 58. I tre traduttori
in spagnolo, che rispettano puntigliosamente il numero dei versi,
prediligono l’accento in 6ª e 10ª sillaba, ma a volte fanno uso anche
di accenti secondari (in 1ª, 3ª, 4ª o 8ª sillaba). Martínez de Merlo in
1.2. La terzina
«La sintassi della terzina – scrive Pasquini27 – è un miracolo
non inferiore al metro stesso, gloria solo dantesca, creato per cor-
rispondere a un poema senza precedenti. (…) La terzina, insomma,
asseconda ogni varietà ritmica, ora assestandosi in una calcolata
simmetria (…), ora sciogliendosi in mobili segmenti che disintegra-
no lo schema ternario (…), ora distribuendosi in scansioni logiche
travalicanti i ritmi concettuali del Convivio. (...) Dante pensa per ter-
zine». È indiscutibile la centralità di questa strofa, composta da due
versi esterni (1º e 3º) che rimano fra di loro e un verso interno (2º)
che rima con i due esterni della successiva28. Essa veicola e fonde
insieme lo schema mentale dell’enunciato, le categorie discorsive e
il timbro della parola. Per cui le riprese, le iterazioni, le risonanze
ritmiche, timbriche e lessicali, i rimanti in catena sono sempre figure
stilistiche altamente rivelatrici di «scorrimenti profondi»29. «Al pari
d’ogni edificio gotico, slanciato verso l’alto e progettato per acco-
gliere, esaltare e rifrangere lo spazio-luce, l’opera dantesca con le sue
tre cantiche-navate armoniche nella partizione di ombra (...) e luce
(...), ad ogni peso e spinta fa rispondere controspinte e contrappesi
acconci (...) secondo il principio del parallelismus membrorum»30.
Particolarmente significativi sono i rimanti – veri e propri vocaboli-
guida – sui quali poggia l’intero edificio del poema, determinandolo
ben prima che egli lo concepisca31. Tra le numerosissime sequenze
che si potrebbero citare mi sembra particolarmente importante, pur
nella sua esiguità sillabica, quella di If 5: viso: riso: diviso (vv. 131,
133, 135) che ritroviamo in Pd 30: viso: riso: preciso (vv. 26, 28,
30), con una variazione niente affatto casuale dal momento che qui
Dante sta tentando invano («la mente mia da me medesmo scema»,
v. 27) di ridire ciò che è rimasto per sempre impresso nella sua me-
moria: la prima visione della sua donna (il «dolce riso»).
Di tutta questa rete di segnali apparentemente deboli che sono
invece spie di una volontà forte e profonda, sono ben consci tutti
e tre i traduttori. Ma i due, cioè Crespo e Echevarría, che si sono
posti l’obiettivo di ricostruire nella propria lingua questa cattedrale
gotica32, vale a dire la totalità del senso del poema dantesco del qua-
le la terzina costitutisce il mattone, hanno proceduto aggirando gli
ostacoli in modi diversi, più o meno ingegnosi, ma sempre tenendosi
lontano dal sistema di riverberazioni dell’originale. Per esempio, i
sopraddetti rimanti in catena vengono tradotti nei seguenti modi:
Palidecimos, y nos suspendía Varias veces quedó, con la lectura,
nuestra lectura, a veces, la mirada, blanco el rostro y prendida la mirada;
y un pasaje, por fin, nos vencería. mas fue un punto el que indujo la locura.
Al leer que la risa deseada Al leer que la risa de la amada
besada fue por el fogoso amante, se quebró con el beso del amante,
éste de quien jamás seré apartada, éste, que nunca se me aparte en nada,
la boca me besó todo anhelante. la boca me besó todo temblante.
Galeoto fue el libro y quien lo hiciera: Galeoto el libro fue y quien lo escribiera:
no leímos ya más desde ese instante» ya la lectura no siguió adelante».
(Crespo) (Echevarría)
Bajé desde el primero hasta el segundo Así bajé del círculo primero
circulo, que menos trecho ceñía al segundo, que menos trecho ciñe
mas dolor, que me apiada, más profundo con más dolor y es de ayes hervidero.
(Crespo) (Echevarría)
Digo que cuando el alma malhahada Digo que cuando el alma desdichada
Llega ante él, confiesa de inmediato, se presenta ante él, confiesa todo;
y él, que tiene del mal ciencia acabada, y él, que en esta cuestión no ignora nada,
ve el lugar infernal de su reato; asígnale lugar de extraño modo:
tantas veces el rabo al cuerpo envuelve tantas vueltas se encincha con la cola
cual grados bajará por su mandato. cuantos grados señala a su acomodo.
(Crespo) (Echevarría)
A Dante successe di dover pagare la propria lealtà intatta con esilio, povertà,
soggezione a occupazioni equivoche, condanna a morte crudele e infamante
a un tempo: solitudine.
La trama della sua vita non mostra quasi altra cosa, la trama della sua vita, la
materia dei suoi sogni. E insieme la sua esperienza.
Molti uomini del tempo di Dante passarono per situazioni analoghe e molti ne
vennero letteralmente consumati, mentre lui riuscì a trasformare quel fuoco
su cui la sua città lo aveva condannato a morire arso, in un fuoco che lo fece
vivere ardendo fino alla morte. La sua opera travalica il destino. Ma fu ne-
cessario sopportare quel destino per portarla a compimento. Se sperimentare
un destino siffatto non è sufficiente per creare la Divina Commedia o l’intera
opera che, essendo dello stesso autore, impallidisce un poco sotto lo splendore
di quella, tuttavia non sarebbe stato possibile portare alla luce tenebre tanto
profonde e far discendere tanto celestiale chiarore, senza essere passato in
vita, per opera delle circostanze storiche e dell’amore, attraverso tanti inferni,
purgatori e cieli48.
48. M. Zambrano, Dante specchio umano, edizione con testo a fronte, tradu-
zione, prologo e note di E. Laurenzi, Roma 2007, p. 65.
49. Si veda il recente articolo di M. B. Spanu, La metafora dell’esilio e il suo
significato filosofico nella riflessione di María Zambrano, in «Rocinante. Rivista di
filosofia iberica e iberoamericana», 4 (2009), pp. 183-192.
50. Che a María Zambrano ha dedicato, insieme a molti interessantissimi la-
vori, la tesi di dottorato dal titolo Una lectura de María Zambrano (Universitat de
Barcelona, 2000), diretta dalla professoressa Fina Birulés, a cui ringrazio per aver-
mi prestato il libro Dante specchio umano senza il quale non avrei potuto redigere
queste pur minime note.
51. Zambrano, Dante specchio umano cit., pp. 7-56.
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 143
citava Dante nelle sue lezioni, come ricorda anche José Bergamín52;
così come è molto probabile che le celebrazioni dantesche del 1965
nel settimo centenario della nascita del poeta siano state un’altra oc-
casione di contatto con l’opera dantesca53. Sicuramente nel febbra-
io 1966 scrisse almeno uno di quei due saggi, nei quali concepisce
Dante come uno “specchio” che pone in “rapporto” tutte le cose esi-
stenti. L’uomo è un orizzonte che media fra i due emisferi: la bestia e
l’angelo, l’irrazionale e il razionale. In Dante troviamo la condizio-
ne umana in tutta la sua pienezza, la completa attuazione delle sue
possibilità: «fin qui può abbassarsi l’uomo, fin lì può ascendere (…).
A quest’idea verificata dall’esperienza risponde l’opera di Dante»54.
Perché Dante appartiene all’epoca, a memoria umana, meno scissa,
quella in cui l’uomo percepisce la sua esistenza all’interno di un uni-
verso concentrico, «unitario in forma pluricircolare», nel cui centro
è la divinità, la quale è nel cuore dell’uomo come in uno specchio.
Questo è il vero significato di Emanuele, uno dei nomi del Creatore:
Dio nell’uomo. E lì, nel cuore dell’uomo, si manifesta non solo in
forma di ragione ma di sentimento. «Una ragione trascendente che
muovendo dalla divinità attraversava l’intera creazione e stabiliva
una dimora prediletta nella mente umana»55. Una ragione illuminata
dalla fede e dall’amore che permetteva alla mente di viaggiare «per
i mondi diversi che compongono l’universo visibile e l’invisibile»56.
Nel peregrinare del poeta-personaggio tra i due opposti estremi, la
gravità e l’ingravità, Zambrano coglie significativamente questo ri-
specchiarsi dell’universo nel cuore umano:
L’esperienza è realizzata dal centro, dove il cerchio più ampio racchiude e deter-
mina gli altri; tutte le esperienze assumono questa figura perfetta che è il cerchio,
scenico sono tre: la “trasfigurazione” dell’io che produce, come reazione della Don-
na, il “gabbo”, mentre dovrebbe (agli occhi dell’io provocarne la “pietà”. La “tra-
sfigurazione” è la modalità dell’incontro mistico: rappresenta anzi la sola via che
possa immettere l’uomo nel cerchio della perfezione divina senza che le limitazioni
storiche e terrene vengano infrante. (…) La spinta che aziona il movimento verso
l’alto è ancora troppo debole perché la proiezione extra-terreste e l’ansia di eterno
dell’io possano dirsi realizzate». Si veda anche l’edizione castigliana D. Alighieri,
Vida nueva, ed. bilingue a c. di R. Pinto e Luis Martínez de Merlo, Madrid 2003.
62. “«Come vedremo – scrive Zambrano in Dante specchio umano cit., p. 67
–, già nella Vita Nuova appaiono parole rivelatrici del fatto che l’amore lo condusse
fino ai confini estremi della vita, che si tratta di un amore che trasforma, che di un
semplice uomo quale era Dante fa un uomo nuovo; un amore che lo portò a morire
e rinascere, per quanto è possibile restando un abitante della terra».
63. Questo stesso episodio lo ricorda anche in Dante specchio umano, cit.,
p. 87.
64. Sono molte le pagine che Zambrano ha dedicato a la questione del “me-
todo” nella filosofia, si vedano, ad esempio, Del método en filosofía o de las tres
formas de visión, in «Río Piedras», 1 (settembre 1972), pp. 99-117 o Notas de un
método, Madrid 1989. Forse più che di “nuovo metodo” bisognerebbe parlare di
“negazione del metodo cartesiano” di accesso alla verità, per cui si ipotizza la via
della “ragione poetica”.
65. M. Zambrano, Claros del bosque cit., p. 15.
66. Ibid., p. 16
67. M. Zambrano, L’uomo e il divino, Roma 2001, p. 252.
68. Ead., Dante specchio umano cit., p. 67.
69. Cfr. Laurenzi, La sete naturale cit., p. 45.
Traduzioni e irradiazioni ispaniche novecentesche della Commedia 147
partire da questa azione escono. Asín non coglie neanche il significato della
presenza di Santa Lucia, luce che discende fin nelle tenebre, viatico della luce
nel cuore70.
70. M. Zambrano, Lettera a Elena Croce del 20 dicembre 1969 (inedita), Ar-
chivio della Fondazione María Zambrano, cit. ibid., pp. 18-19.