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MARKETING

CAP.1 – INTRODUZIONE AL PROCESSO DI MARKETING CONCEPT.

1. La filosofia del marketing, ovvero il Marketing concept:


• L’idea base del marketing è realizzare un profitto soddisfacendo i bisogni di gruppi di clienti.
• Orientarsi a soddisfare bisogni della clientela (quindi orientamento al cliente) piuttosto che a produrre
(orientamento alla produzione) o a cercare di indurre il cliente ad acquistare i prodotti offerti in quel momento
(orientamento alle vendite)
• Non tutte le organizzazioni interpretano il marketing in questo modo.
• Molte continuano ad avere un orientamento alla produzione o alle vendite ma un’efficace attività di marketing
deve necessariamente tenere in considerazione i bisogni dei consumatori nonché instaurare relazioni durevoli con i
clienti (CRM)
• In alcuni casi i bisogni del consumatore potranno essere secondari rispetto ai bisogni della collettività – es.
necessità del consumatore di beni inquinanti e/o secondari rispetto alla tutela dell’ambiente.
• Elementi base del Marketing Concept
2. Che cos’è il marketing?
• Tutti vivono costantemente nella vita di ogni giorno, sia pure in modo inconsapevole esperienze di marketing.
• Tuttavia, trovare una definizione di Marketing sembra essere un intramontabile problema concettuale
• American Marketing Association: Il processo di pianificazione ed esecuzione delle attività di ideazione,
determinazione del prezzo, promozione e distribuzione di idee, beni e servizi, al fine di creare uno scambio che
soddisfi, allo stesso tempo, gli obiettivi degli individui e delle organizzazioni
• Il concetto di marketing, i suoi principi e le sue tecniche possono essere proficuamente utilizzati in diverse aree di
scambio e non soltanto nell’ambito strettamente commerciale (area non profit, Pubblica Amministrazione ecc.)
3. La funzione del Marketing Management nelle aziende
Per comprendere il ruolo del marketing è opportuno riprendere il concetto di azienda assimilabile ad un
“contenitore” al cui interno hanno luogo processi produttivi per la creazione di un bene (tangibile) o di un servizio
(intangibile). L’ output del processo produttivo può essere rivolto:
•al consumatore finale (business to consumer)
•ad un’azienda (business to business) A volte esistono situazioni ibride (cioè sia business to consumer che business
to business – es. la Rai, i quotidiani) Per il processo produttivo l’azienda attinge risorse dal mercato quali materie
prime, servizi, persone, capitali, impianti (processo di input)
4. Il processo di Marketing Management
Alle varie risorse si associa in genere una funzione aziendale specifica es: risorse umane, finanza, acquisti e
produzione. Ovviamente l’impresa deve vendere i propri prodotti o servizi (output) al target di riferimento. La
funzione aziendale che si pone come interfaccia tra l’azienda e il mercato di riferimento è il marketing che si è
affermato sempre più come disciplina autonoma e specifica rispetto alla classica funzione commerciale man mano
che si è passati da una situazione di sostanziale monopolio ad una concorrenza sempre più marcata.

Il processo di Marketing Management


Definizione di marketing: “Un gruppo di attività programmate, organizzate, controllate, che partono dallo studio del
consumatore e, in generale, della domanda e della concorrenza, che attuandosi in forma integrata, sono volte al
conseguimento degli obiettivi aziendali nel medio-lungo termine attraverso la soddisfazione del cliente” – S.
Cherubini, Il Marketing in Italia, 2005.
Il processo di Marketing Management si divide in 3 fasi:
1) Fase analitica
2) Fase strategica
3) Fase operativa
Fase analitica: Qualsiasi decisione di marketing deve essere basata su un certo numero di informazioni raccolte sia
sul mercato che all’interno dell’azienda L’analisi avviene a 3 livelli
•Ambiente esterno
•Lo specifico business in cui compete l’azienda
•Il singolo consumatore e il suo comportamento d’acquisto
La fase analitica di primo livello è relativa a varie tipologie di ambiente:
•Cooperativo: comprende le imprese e i soggetti individuali che hanno interesse all’effettivo conseguimento degli
obiettivi da parte dell’azienda (fornitori, distributori e in genere stakeholder);
•Economico: evidenziare l’andamento delle principali variabili dello scenario economico nazionale e internazionale
(sviluppo del reddito, andamento della produzione, tassi di inflazione, consumi e risparmio...);
•Sociale: individuare e analizzare i modelli culturali di riferimento e le tendenze evolutive in atto nei mercati- Paese
in cui l’impresa opera o intende operare (cultura, valori di fondo, valori culturali secondari: opinioni, idee…);
•Demografico: conoscere la struttura demografica della popolazione e le sue dinamiche evolutive (invecchiamento
della popolazione, nuclei familiari poco numerosi, aumento dei single…);
•Politico e Giuridico: individuare gli interventi legislativi che possono rappresentare improvvise minacce o notevoli
opportunità per l’impresa (modernizzazione Pubblica Amministrazione, finanziamenti…)
•Tecnologico: individuare e valutare le principali applicazioni e innovazioni tecnologiche in termini di minacce e di
opportunità per l’impresa (trasmissione a banda larga, Wi-Fi, telefonia…)
Fase analitica di secondo livello è relativa allo specifico business in cui compete l’azienda basata sostanzialmente su:
•Domanda (clienti attuali e potenziali)
•Offerta (concorrenti)
Fase analitica di terzo livello relativa al singolo consumatore e il suo specifico comportamento d’acquisto
(segmentazione)
Fase strategica: Terminata l’analisi e lo studio si decide “cosa fare” ed in particolare “come” cioè sulla base di quali
criteri/principi competere sul mercato nel rivolgere la propria offerta ad un determinato target, con un determinato
posizionamento che differenzi l’offerta dalla concorrenza e raggiungendo determinati obiettivi.
Fase operativa: Decisa la strategia, dovrà essere attuata usando le leve operative del marketing mix
1)Prodotto
2)Comunicazione (promotion)
3)Prezzo
4)Distribuzione (place)
CAP. 2 – IL COMPORTAMENTO D’ACQUISTO DEL CONSUMATORE E DELLE ORGANIZZAZIONI.
Il comportamento d’acquisto del consumatore si divide in:
-Comportamento d’acquisto del Consumatore (Marketing B to C o Business to Consumer)
-Comportamento d’acquisto delle Organizzazioni (Marketing B to B o Business to Business)
Il processo decisionale del consumatore:
Il Marketing concept sottolinea la necessità di individuare e comprendere i bisogni del consumatore da soddisfare
grazie ad una profittevole attività di marketing. Non esiste una singola teoria che possa spiegare e aiutare a
prevedere il comportamento d’acquisto del consumatore ma più teorie prese in prestito da varie discipline. Il
processo decisionale viene caratterizzato da alcune influenze:
1) Le influenze sociali (Famiglia, Religione, Scuola, Trend e tendenze, Effetto generazionale baby boomers e/o
anziani, la classe sociale). In questa sezione di influenza dividiamo i gruppi di riferimento in primari (famiglia, amici) e
secondari (associazioni ed altro)
2) Le influenze di marketing: Influenze del prodotto (differenziazione, design, emozioni), Influenze del prezzo,
Influenze della comunicazione (Adv e promozioni), Influenze della distribuzione (il punto vendita, store e non store
retailing)
3) Le influenze situazionali: L’ambiente fisico, L’ambiente sociale (persone presenti, caratteristiche e ruoli), La
prospettiva temporale (stagionalità, acquisti reiterati), La definizione del compito (acquisto per me stesso o per altri
– regali Natale o altre ricorrenze significative), Le condizioni antecedenti (inclinazioni momentanee che determinano
un particolare stato d’animo es. film)
4) Le influenze psicologiche: due fattori psicologici molto significativi sono:
-Product knowledge: Un complesso di informazioni immagazzinate nella memoria del consumatore a proposito di
particolari classi e forme di prodotto, di marche, modelli e modi di acquistarli. Influisce sulla rapidità del processo.
-Product involvement: La percezione di un consumatore in merito all’importanza o all’interesse personale di un
bene. In caso di acquisto a elevato coinvolgimento il consumatore tenderà ad acquisire una elevata product
knowledge Alto grado di product knowledge allunga il processo decisionale.
Il processo decisionale: può essere:
a) estensivo
b) in un contesto di scelta limitata
c) di routine
Le 5 fasi del processo decisionale
1. Riconoscimento del bisogno secondo la classificazione Abraham Maslow: - fisiologici - di sicurezza - di
appartenenza e amore - di stima - di realizzazione
2. Ricerca delle alternative - fonti interne - fonti sociali - di marketing - pubbliche – esperienza
3. La valutazione delle alternative
4. La decisione d’acquisto: il consumatore riflette sul rischio percepito
5. Le impressioni post-uso.
CAP. 3 – LA SEGMENTAZIONE DEL MERCATO
Segmentazione: è l’insieme delle attività tese a determinare la suddivisione del mercato in gruppi di consumatori
simili per il comportamento d'acquisto. Un singolo prodotto non può soddisfare tutti i consumatori (si pensi solo a
quante varietà di chewing gum esistono sul mercato). Vi sono tuttavia gruppi di consumatori che condividono gusti e
preferenze simili e che di conseguenza possono essere soddisfatti adeguatamente da uno stesso prodotto. Se tale
gruppo di consumatori o di organizzazioni può essere servito con profitto, esso costituisce un attraente segmento di
mercato.
La segmentazione è un processo che si attua in 5 fasi:
•Determinazione dei bisogni del consumatore
•Divisione del mercato in base a dimensioni significative: tre sono gli aspetti chiave da prendere in considerazione:
1. Tipo di segmentazione da adottare: a priori o a posteriori
2. Scelta delle basi per la segmentazione
3. Scelta delle variabili da utilizzare per la segmentazione
•Sviluppo del posizionamento del prodotto
•Decisione in merito alla strategia di segmentazione
•Progettazione della strategia di marketing mix Le prime due fasi sono una tipica attività analitica del marketing e
verrano analizzate in questo capitolo. Mentre le altre hanno una valenza più strategica e verranno esaminate più
avanti.
Segmentazione a priori: viene effettuata dal management aziendale sulla base di ipotesi formulate a tavolino in base
all’esperienza e al buon senso senza effettuare ricerche di mercato preliminari. Il limite è quello di non poter
approfondire bisogni e motivazioni del consumatore e quindi di non poter individuare tutti coloro che presentano
omogeneità di comportamento e preferenze. La segmentazione a priori è di norma un primo passo dopo il quale è
necessario di norma una definizione più approfondita del profilo dei potenziali clienti.
Segmentazione a posteriori: si propone come obiettivo quello di raggruppare la popolazione in segmenti omogenei
sulla base di ricerche effettuate utilizzando tecniche di analisi che non richiedono di predeterminare rigidamente i
criteri di segmentazione. Tramite opportune ricerche si riesce ad ottenere informazioni rilevanti sulle caratteristiche
degli acquirenti e ad effettuare previsioni sull’interesse di un certo segmento nei confronti di un certo prodotto
esistente o da creare. Questo approccio consente di ottimizzare la strategia di marketing e tarare con maggior
efficacia le leve del marketing mix.
Variabili di segmentazione: la segmentazione avviene considerando diverse variabili, come:
• In base ai benefici: mira all’identificazione dei bisogni e dei desideri dei consumatori al fine di soddisfarli.
• psicografica (in base agli stili di vita): è focalizzata sulle caratteristiche personali del consumatore. L’approccio
psicografico detto anche “orientato allo stile di vita” è un tipico modello di segmentazione “post hoc”.
• geodemografica: mediante l’uso di indicatori economici, sociali e demografici è possibile classificare famiglie in
relazione a macroaree in cui la gente vive e fa acquisti; le aree sono reali, individuabili con coordinate geografiche e
rappresentabili tramite mappe. In Italia, Consodata ha effettuato la classificazione di aree microterritoriali sulla base
delle caratteristiche sociodemografiche e comportamentali dei residenti nelle aree stesse. I comportamenti di
interesse riguardano generalmente le abitudini di consumo, gli interessi, l’uso del tempo libero, la propensione al
risparmio, ecc.
La scelta delle variabili su cui basare la segmentazione: le variabili su cui basare la segmentazione sono molte e ha
senso definirle giuste o sbagliate solo considerando i segmenti che consentono di individuare; se questi sono poco
“caratterizzati” le variabili prese in considerazione non sono le migliori. Le variabili e i segmenti che si ottengono
vanno poi considerati in relazione agli obiettivi che si intende raggiungere. La segmentazione non deve essere troppo
spinta in quanto si rischia di avere segmenti poco rilevanti. Alcune variabili tipo sono l’età, il reddito, la localizzazione
geografica, l’intensità d’uso. Se ognuna di queste viene suddivisa in classi il numero di segmenti può diventare molto
elevato.
Caratteristiche fondamentali dei segmenti: indipendentemente dalle variabili utilizzate, un determinato segmento
per poter essere considerato un reale bersaglio d’offerta deve possedere alcune caratteristiche quali:
- Misurabilità
- Accessibilità
- Significatività
- Differenzialità
- Esaustività
- Stabilità
I segmenti emergenti: sono gruppi ragguardevoli di consumatori ancora non bene esplorati perché per esempio
stanno venendo solo ora alla luce Esempi: Gli anziani, Gli immigrati (marketing interculturale)
CAP. 4 – LA CONCORRENZA
Per analizzare la concorrenza bisogna considerare dei punti fondamentali, quali:
1) La situazione in cui l’azienda opera: gli elementi da considerare in un’analisi del settore industriale sono
sostanzialmente quattro:
- condizioni in cui il settore opera: ecco i principali elementi che descrivono le condizioni di un settore d’industria.
•Materie prime - (nei settori in cui sono fondamentali). Per esempio, la possibilità o meno di accedere facilmente alle
materie prime.
•Tecnologia - È un settore altamente tecnologico? Si può fare innovazione? Le competenze tecnologiche sono
accessibili? A che costo?
•Legislazione - Alcuni settori altamente delicati e/o strategici sono regolamentati dalle autorità (esempio il settore
sanitario o quello militare).
•Elasticità - Certi settori e mercati sono particolarmente sensibili al prezzo.
- caratteristiche del mercato: ecco i principali elementi che descrivono le caratteristiche del mercato in cui si opera:
•Struttura: monopolio, oligopolio, oligopolio differenziato, concorrenza monopolistica, concorrenza perfetta.
•Barriere: – Presenza o meno di una privativa industriale (per esempio nell’ industria farmaceutica). – Barriere
all’ingresso, sia legali (per esempio licenze) sia pratiche (necessità di grandi investimenti). – Struttura della proprietà;
presenza di joint ventures o di una forte integrazione
- comportamenti tipici: ogni concorrente è diverso, tuttavia, alcuni settori presentano profili di comportamento
omogeneo. Ci sono contesti più aggressivi e competitivi, ci sono contesti più ‘’tradizionali’’
- prestazioni economiche (marginalità): ogni azienda è diversa. Tuttavia, i singoli settori tendono a presentare
caratteristiche piuttosto simili:
– Alcuni ambiti offrono grossi profitti a fronte di alti rischi (ad esempio finanza speculativa);
– oppure hanno maturato una particolare efficienza operativa (ad esempio industria delle costruzioni navali);
– oppure sono caratterizzati da tassi di crescita particolarmente aggressivi (che possono generare spazi per ampi
margini).
2. Le cinque forze di Porter: altro strumento che può essere usato per descrivere la competitività di un mercato sono
le 5 forze di Porter:
-Minaccia di nuovi entranti: nuovi soggetti che potrebbero entrare nel mercato
-Potere contrattuale dei compratori: sono concentrati? possono comprare altrove?
-Potere contrattuale dei fornitori: sono concentrati? Quanto è oneroso approvvigionarsi altrove?
-Minaccia di prodotti o beni sostitutivi: esistono beni o prodotti sostitutivi?
-Caratteristiche di competitività del settore: per esempio: maturità, concentrazione, sovrapproduzione
3. Chi sono i concorrenti?
Non è sempre ovvio individuare chi sono i concorrenti. Molte aziende, pur vendendo beni o servizi diversi
potrebbero (anche involontariamente) sottrarci clienti o comunque danneggiarci. Dividiamo la concorrenza in:
-Concorrenza tradizionale: coloro che offrono lo stesso prodotto o servizio.
-Concorrenza di categoria merceologica: coloro che offrono prodotti della stessa categoria merceologica (ad
esempio, nel periodo estivo, snack e gelati).
-Concorrenza per analogia: coloro che offrono lo stesso servizio con modalità diversa (ad esempio compagnie aeree
e treno).
-Concorrenza per potere d’acquisto: coloro che competono per la stessa capacità di spesa (ad esempio i prodotti
“status symbol”).
-Concorrenza potenziale: coloro che offrono prodotti contigui ai nostri e che possono facilmente entrare nel nostro
mercato.
-Concorrenza totalmente scollegata: altri operatori che possono decidere di investire i propri capitali in un mercato
che considerano attrattivo.
4. Che caratteristiche hanno i concorrenti?
Ecco di seguito alcuni elementi da considerare per una prima classificazione dei nostri concorrenti:
•Caratteristiche generali:
– Dimensione. Fatturato, numero di dipendenti, numero di sedi, quantità vendute, – Finanza. Profittabilità, flusso di
cassa, costi, indebitamento
– Mercato. Quota di mercato, tipologia di clienti serviti, marchio
– Offerta. Prodotti e servizi offerti, che qualità presentano, prezzo
– Organizzazione. Organizzazione aziendale, qualità ed esperienza del management
•Storia: Andamenti che hanno caratterizzato nel tempo i concorrenti. Per ognuna delle cinque grandezze suddette.
•Punti di forza e debolezza
5. Mappa di posizionamento
Un’analisi che può essere di grande aiuto per avere una visione strategica del mercato è la mappa di posizionamento
dei concorrenti. Sulla base delle informazioni raccolte:
•Individuare le due principali variabili che caratterizzano il settore.
•Una volta definite le due variabili determinanti del settore, posizionare i nostri concorrenti sulla mappa È uno
strumento semplicistico, ma consente una visione complessiva evidenziando:
– Raggruppamenti - gruppi di concorrenti con caratteristiche simili.
– Posizionamento relativo: come siamo collocati rispetto ai nostri concorrenti.
– Individuazione degli spazi vuoti: dove non esistono aziende operanti.
– Linee strategiche di sviluppo: prevedere mosse dei concorrenti ed avere suggerimenti per le nostre strategie.
6. Gli obiettivi dei concorrenti
Fondamentale chiedersi quali possano essere gli obiettivi dei concorrenti. Sono sostanzialmente riconducibili a due
categorie:
•Obiettivi di profitto
• Controllo costi
• Sfruttamento economie di scala
•Obiettivi di crescita dimensionale
• Nuovi mercati
• Nuovi prodotti
7. Il profilo comportamentale dei concorrenti
Dobbiamo chiederci come si comporteranno i concorrenti di fronte ad uno stimolo. Esistono sostanzialmente tre
grandi categorie di stimoli:
•Modifiche dell’ambiente in cui si opera (per esempio una crisi economica)
•Mossa di un concorrente (per esempio una variazione dei prezzi)
•Aggressione specifica (un’azione specificatamente diretta verso il concorrente in questione come una pubblicità
comparativa)
Fattori che determinano il profilo comportamentale dei concorrenti
Ecco i principali fattori che determinano la reazione dei concorrenti ad uno stimolo esterno:
•Cultura aziendale.
•Management.
•Posizione sul mercato (per esempio un’azienda con una solida posizione potrà reagire più liberamente di una con
una posizione precaria).
•Caratteristiche interne. Tutte le variabili interne (per esempio la dimensione, la struttura dei costi la struttura e la
liquidità) condizionano la capacità di reagire.
•Caratteristiche del mercato. Un mercato “giovane” sarà presumibilmente più reattivo e aggressivo di uno maturo.
8. Confronto comparativo
La tabella di confronto comparativo è uno strumento utilissimo per rappresentare sinteticamente i punti di forza e di
debolezza dei concorrenti. Consiste nel considerare tutte le componenti del marketing mix dei vari operatori e
assegnargli un punteggio. È possibile anche assegnare ad ogni parametro individuato un peso (da 1 a 100, con totale
100%). In questo modo è possibile calcolare il livello di competitività presunto di ognuno dei concorrenti, calcolato
come media ponderata (ossia punteggio per peso percentuale).
9. Competizione e catena del valore
Altro metodo per analizzare la concorrenza e l’analisi della catena del valore. Si assume che i clienti scelgano i
prodotti dell’azienda che gli offre il maggior valore. Questo valore viene creato in una serie di operazioni o passaggi.
La teoria della catena del valore consiste nell’ analizzare i passaggi nei quali l’azienda crea valore. Ovviamente un
esercizio completo comporta l’analisi anche della catena del valore dei fornitori, dei distributori e infine degli stessi
clienti.
La catena del valore applicata alla concorrenza: applicarla all’analisi della concorrenza consiste nell’analizzare la
catena del valore dei concorrenti. Individuare i punti in cui essi creano la maggior parte del valore finale ovvero su
cui si basa il loro vantaggio competitivo. In particolare, consente di:
•conoscere i concorrenti tramite l’analisi delle loro modalità operative,
•conoscere gli elementi critici in cui i concorrenti creano valore per i clienti,
•individuare opportunità per fornire ai nostri clienti un valore superiore a quello offerto dai concorrenti.
La catena del valore secondo Porter: Porter ha analizzato la catena del valore e ha suddiviso le operazioni di
un’impresa in nove attività:
– cinque attività primarie
1. Logistica interna
2. Operazioni
3. Logistica esterna
4. Marketing e vendite
5. Servizi
– quattro attività di supporto:
1. Infrastruttura
2. Gestione risorse umane
3. Sviluppo tecnologia
4. Approvvigionamenti
10. I “co-petitors”:
Si usa l’espressione “co-petitors” per indicare aziende che competono, talvolta aspramente, su alcuni mercati ma
collaborano in altri. Di seguito le principali ragioni alla base di questi comportamenti:
•Condivisione del rischio: un’opportunità troppo rischiosa può essere affrontabile se condivisa con altri.
•Condivisione degli investimenti: due o più aziende collaborano per condividere l’onere di un investimento.
•Attacco a nuovi mercati: quando rischi e i costi dell’operazione sono troppo grandi per un singolo o perché le
caratteristiche specifiche del mercato richiedono un insieme di capacità che la singola azienda non possiede.
•Coabitazione forzata: quando aziende sono contemporaneamente partner e concorrenti sullo stesso mercato (per
esempio nel caso dei prodotti marchiati dal supermercato che vengono venduti accanto ai prodotti analoghi di grandi
aziende).
11. Considerazioni finali sulla concorrenza:
Vantaggi di un mercato concorrenziale (in aggiunta alle considerazioni macroeconomiche):
•Sicurezza: la presenza di più operatori offre al consumatore delle alternative.
•Miglioramento della specie: la concorrenza obbliga i produttori a migliorare continuamente per battersi a vicenda.
•Diversificazione: per competere le aziende sviluppano continuamente nuovi prodotti o ridefiniscono quelli esistenti.
•Efficienza: la concorrenza spinge le aziende a essere sempre più efficienti.
CAP. 6 - LA STRATEGIA CORPORATE:
1. La pianificazione strategica e il marketing management
È la pianificazione dell’intera organizzazione che parte da un contesto generale per poter poi effettuare uno “zoom”
su aspetti specifici; es. dalla P.S. deriva la pianificazione di marketing per singole divisioni/Asa (aree strategiche di
affari) /reparti. Comprende tutte quelle attività (dalla definizione della missione aziendale all’individuazione della
strategia più appropriata) che permettono il conseguimento degli obiettivi dell’intera organizzazione. La strategia
aziendale deve essere il riflesso di un ambiente in continua evoluzione e la missione dell’Impresa deve essere quella
di creare valore per gli stakeholder dell’impresa assicurando equilibrio tra logiche gestionali di breve e lungo
termine.
2. Il processo di pianificazione strategica
Il piano viene suddiviso in 4 componenti:
• Missione aziendale: la definizione della missione di un’organizzazione è costituita dalla descrizione delle ragioni
della sua esistenza. Costituisce la visione di ciò che l’azienda tende ad essere. Condivisione e adeguamento della
Mission. Nel definirla la Direzione deve tenere in considerazione tre elementi chiave:
1.La storia dell’organizzazione
2.Le sue competenze distintive
3.L’ambiente di riferimento
• Obiettivi aziendali: sono il punto d’arrivo della missione aziendale e rappresentano, in concreto, ciò che essa pensa
di realizzare in un tempo determinato. Tali obiettivi devono essere: specifici, quantificabili e coinvolgenti, al fine di:
- essere convertiti in azioni specifiche
- fornire un orientamento per tutti
- stabilire le priorità
- facilitare il controllo Il Management deve tradurre la Mission aziendale in quegli obiettivi specifici che ne
permettono la realizzazione
• Strategie aziendali: la strategia comporta la scelta delle principali direttive che l’organizzazione dovrà seguire nel
perseguimento dei propri obiettivi. A questo fine è importante che le strategie siano coerenti con la missione e gli
obiettivi proposti. Le strategie sono riportabili a 3 principali tipologie, basate su:
1.prodotti/ mercati: si basa su
- Penetrazione del mercato (aumentare le vendite presso la clientela già acquisita)
- Sviluppo del mercato (nuovi clienti per i prodotti già commercializzati)
- Sviluppo del prodotto (nuovi prodotti per i clienti attuali)
- Diversificazione (nuovi prodotti, nuovi clienti)
2.vantaggio competitivo: si differenzia in:
- Leadership di “costo” per il cliente (Ryanair)
- Differenziazione (aziende cercano di diventare “uniche” nel proprio settore o segmento di riferimento sviluppando
quelle caratteristiche dell’offerta alle quali la clientela dà maggior valore. Rolex, Ferrari ecc.)
3.valore: comprende:
- Il miglior prezzo (Dell Computers, Virgin Express)
- Il miglior prodotto (Nike, Nescafé)
- Il miglior servizio al cliente (Singapore Airlines, Mercedes)
• Portafoglio attività aziendali: la maggior parte delle Organizzazioni non offre al mercato un solo prodotto o
servizio. Al contrario spesso ha un vero e proprio portafoglio di attività. Un’azienda che produce elettrodomestici
può avere più linee di produzione di beni affini come lavatrici, televisori, frigoriferi ecc oppure anche ampiamente
diversificate come per es la General Electric che fabbrica dagli elettrodomestici ai prodotti di intrattenimento, ai
motori d’aeroplano ecc. Diversi prodotti richiedono differente impegno di risorse e “rendono in modo diverso”.
Inoltre, risorse e reddito mutano nel tempo. Il mercato evolve ed esige nuovi prodotti. Decisione critica sul piano
strategico generale è l’individuazione delle Aree strategiche di affari (ASA) individuate analizzate e selezionate tra
quelle a maggior potenziale di sviluppo e più coerenti con le risorse, le competenze e le capacità dell’azienda. Una
ASA si può definire un ambito dove si realizzano o si potranno realizzare transazioni tra consumatori con un bisogno
specifico e aziende in grado di soddisfarlo con reciproca soddisfazione. A seconda del tipo d’impresa, una SBU può
essere rappresentata da un singolo prodotto, una linea di prodotti o una divisione dell’azienda.
Le Asa o SBU - Strategic Business Unit - hanno le seguenti caratteristiche:
- una missione distinta
- dei concorrenti specifici
- sono costituite da un’attività singola o da un gruppo di attività correlate
- possono essere oggetto di pianificazione separata rispetto a quelle della intera organizzazione.
Il modello più utilizzato per individuare le varie ASA è quello di Abell che utilizza 3 variabili (funzioni d’uso, gruppi di
clienti e tecnologie).
Caratteristiche ASA
• La combinazione delle 3 variabili (funzioni d’uso, gruppi di clienti e tecnologie) consente di individuare un’ASA e
cioè un business con caratteristiche peculiari da servire con un’offerta appositamente concepita, che viene
considerata un’opportunità di sviluppo per l’Azienda
• Nell’individuare le ASA si devono evitare sia eccessive generalizzazioni che iperframmentazioni in modo che il
Business potenziale presenti contorni precisi e differenziati.
• A livello di strategia generale si fissano le linee di indirizzo per le strategie di sviluppo e inoltre si verifica il
bilanciamento delle attività complessive in portafoglio stabilendo l’allocazione delle risorse
• Un’ASA non è quindi solo uno schema concettuale teorico ma al contrario è il frutto di uno sforzo creativo che
dovrebbe servire a identificare nuovi mercati con bisogni non soddisfatti, tali da offrire all’azienda nuove opportunità
di business.
La matrice BCG (Boston Consulting Group):
Una volta analizzate le varie Asa, la dirigenza deve decidere il ruolo che ciascuna dovrà avere nel complesso disegno
strategico dell’impresa. Per ogni ASA sarà possibile scegliere tra quattro tipi di obiettivi
•Sviluppo o build share
•Mantenimento o hold share
•Mietitura o harvest
•Disinvestimento o disinvest
La matrice BCG prende in considerazioni due fattori, la quota di mercato relativa e il tasso di sviluppo del mercato e
in base alla combinazione di questi due divide le ASA in:
STARS: quota di mercato ALTA e tasso di sviluppo ALTO
CASH COW: quota di mercato ALTA e tasso di sviluppo BASSO
QUESTION MARK: quota di mercato BASSA e tasso di sviluppo ALTO
DOGS: quota di mercato BASSA e tasso di sviluppo BASSA
Limiti del modello:
•Si basa sull’assunto che il mercato sia incontrollabile
•La quota di mercato non sempre è determinante per il rendimento dell’Azienda
•Non è vero che la fonte di finanziamento dell’Impresa sia solo interna
•Non viene presa in considerazione l’interdipendenza sinergica tra le varie SBU
•Non viene presa in considerazione la soddisfazione del cliente
•La strategia aziendale sembra essere solo di tipo reattivo basandosi sull’analisi della posizione competitiva
La matrice Mckinsey: È un modello più complesso della Boston che prende in considerazione due parametri
fondamentali:
• attrattività del settore
•competitività del settore
Tali parametri sono tuttavia un indice composito che tiene in considerazione tutti gli elementi. Per es. l’attrattività è
determinata da valori ponderati della dimensione, della crescita, della redditività ecc. La competitività è anch’essa un
indice composito al quale concorrono vari fattori quali la quota di mercato, qualità del prodotto ecc.
Si delineano in tal modo 3 aree (indicate con diversi colori)
1. Area di forte attrattività e bassa competitività dove è opportuno investire
2. Area di media attrattività e competitività dove è opportuno mantenere la quota di mercato
3. Area di bassa attrattività e alta competitività dove è opportuno mietere più che possibile o disinvestire
L’analisi SWOT e le sue fasi
1.Definizione di forze e debolezze che caratterizzano l’Azienda
2.Esplorazione dell’ambiente per individuare minacce e opportunità
3.Graduazione dell’importanza di minacce/opportunità e forze/debolezze
4.Combinazione dei fattori interni con quelli esterni per verificare la presenza di elementi di criticità
5.Individuazione di possibili alternative d’intervento Sono le caratteristiche del singolo sistema competitivo di
business in esame a permettere di stabilire se determinati attributi o eventi costituiscano rispettivamente punti di
forza/debolezza o opportunità/minacce
SWOT: Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats
I due vantaggi dell’analisi SWOT
• il contributo in chiave di conoscenza fornito dall’esame combinato di variabili interne ed esterne
• l’insieme di valutazioni in chiave strategica che il processo consente di delineare
Forze e debolezze vengono misurate rispetto a due parametri fondamentali. Le forze rispetto a:
• la performance e cioè la capacità dell’azienda rispetto alla variabile osservata
• l’importanza e cioè quanto il possesso di capacità rispetto alla variabile osservata risulti critica per l’acquisizione di
un vantaggio competitivo.
Stabiliti i punteggi di performance e importanza si moltiplicano tra di loro per individuare la priorità di ciascuno. Si
possono configurare in tal modo 4 diverse ipotesi:
1.Alta performance e alta importanza = l’azienda ha una forza da valorizzare e mantenere
2.Alta performance e bassa importanza = l’azienda possiede una forza che non ha particolare rilevanza nell’Area
strategica di riferimento
3.Bassa performance e alta importanza = l’azienda ha un punto di debolezza in un ambito importante
4.Bassa performance e bassa importanza = l’azienda ha una debolezza che ha un rilievo marginale
Per le minacce e le opportunità i parametri fanno riferimento
• alla gravità o all’attrattività dell’evento
• alla probabilità che l’evento si verifichi.
Anche in tal caso possono risultare 4 diverse soluzioni:
1. Alta gravità/attrattività e alta probabilità = si è in presenza di una minaccia/opportunità da fronteggiare/sfruttare
2. Alta gravità/attrattività e bassa probabilità = evento da monitorare adeguatamente che non richiede azioni
nell’immediato
3. Bassa gravità/attrattività e alta probabilità = evento non si prefigura come particolarmente pericoloso o
interessante
4. Bassa gravità/attrattività e bassa probabilità = evento privo di ripercussioni sull’azienda
Limiti analisi Swot:
La staticità.
Forze/debolezze e minacce/opportunità sono dinamiche per definizione. Occorre pertanto ripeterla con regolarità.
CAP. 7 – LA STRATEGIA DI MARKETING
1. Relazione tra strategia aziendale e strategia di marketing
I piani elaborati dalle diverse aree funzionali devono tutti discendere dal piano strategico ed essere con questo in
sintonia.
2. Gli obiettivi
Il Marketing Manager fissa gli obiettivi di Marketing che guideranno la strategia nell’ambito di una determinata ASA.
Stabiliscono ciò che la funzione Marketing è chiamata a realizzare perché possano essere realizzati gli obiettivi
generali dell’Azienda. Vengono di norma formalizzati in modo che tutta l’Azienda ne sia a conoscenza. Caratteristiche
degli obiettivi:
• sono di norma quantitativi
• hanno una declinazione rispetto al tempo e allo spazio
• hanno a che fare con risultati economici e di mercato
• devono essere realistici ma al tempo stesso sfidanti
Definire correttamente gli obiettivi è fondamentale.
Gli obiettivi sono fondamentali per:
•avere un buon piano.
•avere un riferimento per misurare i risultati aziendali
•avere un elemento per motivare i collaboratori e aggregarli attorno ad uno scopo comune (danno il senso della
direzione nella quale tutti si devono muovere).
La definizione degli obiettivi tiene in considerazione tre elementi principali.
•L’ ecosistema: cosa succede nel contest in cui opera l’azienda e cosa probabilmente succederà non solo in termini
di mercato, ma anche nella società (legislazione, evoluzione della popolazione, mode, scoperte scientifiche).
•L’azienda: qual è la condizione attuale dell’azienda e cosa è in grado di realizzare (risorse attuali, risorse future,
competenze).
•Gli stakeholder: quali obiettivi abbiamo ricevuto dal piano aziendale, cosa ricercano gli azionisti, i dipendenti, i
sindacati, la collettività in cui operiamo.
Il processo di definizione degli obiettivi
La definizione degli obiettivi avviene grazie alla sintesi di due processi distinti ma correlati.
1. L’ interazione con i vertici aziendali ed i rispettivi piani.
2. La sintesi dell’analisi svolta con la prima fase (fase analitica) del piano di marketing.
Un obiettivo correttamente definito dovrebbe:
• Sfruttare le opportunità
• Mitigare le minacce
• Fare leva sui punti di forza
• Minimizzare i danni delle debolezze
Le caratteristiche degli obiettivi: un obiettivo correttamente definito deve avere 5 caratteristiche principali che gli
anglosassoni sintetizzano con l’acronimo SMART.
• Specifico (Specific). L’obiettivo fissato deve essere chiaro e preciso.
• Misurabile (Measurable). Un obiettivo, per essere tale, deve essere misurabile ovvero espresso in un numero.
• Raggiungibile (Achievable). Gli obiettivi devono essere ambiziosi, ma raggiungibili. Traguardi troppo difficili possono
demotivare la squadra.
• Rilevante (Relevant). Gli obiettivi devono essere rilevanti per il raggiungimento della missione aziendale. Devono
avere un impatto concreto sull’azienda.
• Declinato Nel Tempo (Time related). Un obiettivo deve avere un orizzonte temporale, prevedere una data entro la
quale deve essere raggiunto.
La comunicazione degli obiettivi: comunicare gli obiettivi è di vitale importanza; un obiettivo non comunicato è un
obiettivo inesistente. Ovviamente la comunicazione va calibrata a seconda dei livelli, dei ruoli e delle circostanze. Ci
sono infiniti modi per comunicare. Ad esempio:
• comunicazioni aziendali ai dipendenti,
• riunioni di inizio d’anno,
• riunioni di reparto nei quali i capi illustrano gli obiettivi ai propri collaboratori calandoli nella realtà specifica del
reparto.

Gap analysis
Serve ad individuare lo sforzo aggiuntivo che il piano di marketing richiede. La Gap Analysis mira appunto a
individuare il divario (in inglese ‘’gap’’) fra i risultati previsti in due diversi scenari.

1.La previsione di cosa succederebbe se le cose rimanessero invariate. Ovvero una previsione in ‘’assetto costante’’.

2.I risultati previsti dal piano di marketing.

Il divario che individuato può essere suddiviso logicamente in due aree distinte:

Divario operativo: è quel divario che può essere indirizzato con interventi operativi che migliorano le attività in
essere (ad esempio un aumento di produttività o un miglioramento del marketing mix).

Divario strategico: è il divario che deve essere indirizzato con azioni strategiche; ovvero mettendo in essere nuove
attività (ad esempio attaccando nuovi mercati oppure lanciando nuovi prodotti).

3. Il Targeting

Avendo già portato a termine il processo di segmentazione occorre selezionare i segmenti ai quali l’Azienda intende
rivolgersi con la propria offerta. Questa operazione viene definita Targeting. I principali criteri che vengono
considerati per effettuare il targeting:

1. capacità dell’azienda di offrire un prodotto di successo

2. andamento crescente della domanda

3. possibilità di alti profitti

4. intensità competitiva bassa

Strategie di copertura:

Per essere presenti nei rispettivi mercati le Aziende adottano diverse strategie di copertura:

1. marketing indifferenziato: si propone un unico prodotto valido per tutti i mercati serviti

2. marketing differenziato: si adegua la propria offerta a seconda della diversa tipologia di acquirenti

3. marketing concentrato: l’azienda decide di specializzarsi puntando a servire in via esclusiva pochi o addirittura un
unico segmento di domanda

4. Il posizionamento

Dopo il targeting il passo successivo è il posizionamento e cioè “posizionare il prodotto nella mente dei consumatori
in maniera distinta e in contrapposizione ai prodotti della concorrenza”. Per posizionamento si intende quindi il
modo in cui i consumatori percepiscono un certo prodotto, in rapporto a tutti gli altri prodotti concorrenti.
L’obiettivo dell’Azienda è di riuscire a:

• realizzare il prodotto che i consumatori desiderano

• accrescerne il valore percepito e la “personalità”

• valorizzare l forza della marca rispetto ai concorrenti

• massimizzare le performance economiche Importanza della ricerca sul consumatore

Analizziamo 5 aspetti fondamentali del posizionamento

1. A cosa mira: mira a 3 obiettivi primari:

- definire i punti di forza e debolezza di ogni offerta

- misurare le distanze tra concorrenti ed eventuali ambiti inesplorati

- favorire la realizzazione di prodotti “mirati” sul target.


2. Quali regole da seguire:

- il posizionamento è riferito alla percezione dei clienti

- perché sia efficace deve essere memorizzato dai clienti

- per posizionare il nuovo prodotto meglio degli altri concorrenti si deve cercare di riempire spazi vuoti nella mente
dei consumatori

3. I quesiti a cui rispondere:

- esistono prodotti concorrenti con un posizionamento analogo a quello che l’azienda intenderebbe adottare?

- gli attributi utilizzati per posizionare il prodotto sono realmente importanti per i consumatori di riferimento?

- il prodotto è effettivamente in grado di mantenere le promesse che saranno veicolate attraverso la comunicazione?

4. Le caratteristiche al termine del processo: Il posizionamento al termine del processo dovrebbe essere:

- semplice

- rilevante

- credibile

- coerente

5. Le strategie:

- superiorità nei confronti della concorrenza per uno o più attributi (prodotto meno costoso come Hiunday o più
sicuro es. Volvo)

- in base all’utilizzo o funzione (aceto balsamico)

- in funzione di una particolare categoria di utenti (es shampoo Johnson’s Baby non esclusivo per bambini ma esteso
anche a chi effettua lavaggi frequenti)

- in base alla classe di appartenenza del prodotto (Actimel tra gli alimenti probiotici e non negli yogurt) • in antitesi
ad uno specifico concorrente (Pepsi contro Coca Cola)

in base al gusto (es. Seven up)

6. L’analisi dei concorrenti per effettuare il posizionamento

Lo studio della concorrenza viene generalmente attuato con la cosiddetta attività di

marketing intelligence, che raggruppa tutte le iniziative tese a raccogliere il maggior

numero possibile di informazioni sulle altre aziende presenti sul mercato.

Diventa essenziale quando:

- I concorrenti sono tanti e hanno risorse

- la domanda cresce poco e la tecnologia è stabile

- i prodotti sono maturi e poco differenziabili

Per concorrenti non vanno solo intesi quelli “diretti”, ossia presenti all’interno della

stessa categoria merceologica,ma anche le aziende operanti in mercati più o meno

continui che offrono soluzioni alle stesse esigenze degli stessi consumatori.

7. Le fonti

Esistono 3 tipologie di fonti:


PRIMARIE: clienti, venditori, distributori, fornitori, banche

SECONDARIE: stampa, bilanci, pubblicità, materiale promozionale, associazioni di categoria, studi di settore,
consulenti

ALTRE: fiere di settore, reverse engineering (l’acquisto di prodotti concorrenti e analisi dettagliata del packaging,
qualità materie prime utilizzate ecc. cercando di identificare i plus del prodotto), assunzione di personale di imprese
concorrenti in ruoli chiave

Gli istituti di ricerca specializzati monitorano costantemente gli acquisti relativi a numerose categorie di beni. In
particolare utilizzano i panel (campione continuativo) di dettaglianti in modo da rilevare

Informazioni generali di mercato :

- vendite in valore assoluto e in pezzi

- quote di mercato a volume e a valore

- distribuzione numerica

- distribuzione ponderata

- indicatori di copertura distributiva

- Indicatori di penetrazione del servizio

Informazioni sull’attività di comunicazione dei concorrenti

- prodotti lanciati

- spesa in pubblicità

- tipo di pubblicità

Informazioni sul pricing dei prodotti della concorrenza (per effettuare le seguenti comparazioni)

- prezzo per unità di prodotto

- indice del prezzo per unità di prodotto rispetto al leader

- formato del prodotto

- confronto tra livello di prezzo e quota di mercato dei

Concorrenti.

Da tutte queste informazioni è possibile valutare l’intensità competitiva all’interno di ciascun segmento, la presenza
di target meno serviti e il posizionamento adottato da ciascun concorrente,

8. Mappa di posizionamento

Un modo per rappresentare il posizionamento è la mappa a due dimensioni, che presenta sugli assi i due fattori
d’acquisito più rilevanti per i consumatori.

La mappa di posizionamento è una raffigurazione della percezione dei clienti che traduce in forma visiva e

sinottica le analisi svolte sulle preferenze dei consumatori rispetto a prodotti e marche di un certo

mercato.

Il criterio con il quale vengono definiti gli assi della mappa e quindi il modo di posizionare le diverse offerte

concorrenti, è il risultato di due approcci differenti:

1-Tecniche statistiche (analisi discriminante, analisi fattoriale, Multiattribute attitude model, Quest’ultima è
strutturata
i 6 fasi:

- individuazione attributi qualificanti il prodotto/marca

- richiesta al consumatore di due ordini di valutazione (ranking di importanza degli attributi e assegnazione di un

punteggio di valore o capacità del prodotto rispetto all’attributo.

- ponderazione di ciascun attributo, sommatoria dei punteggi

- confronto con marche concorrenti utilizzando modalità identiche)

2-Metodo empirico, individuando i FRA ( fattori rilevanti d’acquisto), il loro peso e i giudizi presumibilmente espressi

dai consumatori.

Con le tecniche statistiche (cluster analysis) è anche possibile costruire mappe multivariate.

ESEMPI DI POSIZIONAMENTO:

Il posizionamento può essere determinato:

- da una specifica superiorità del prodotto rispetto a uno o più attributi rilevanti per il consumatore (meno costoso, di
maggiore prestigio, più funzionale, ecc.)

- dallo specifico utilizzo del prodotto.

-sulla base della specifica categoria di consumatori.

-dalla classe di appartenenza del prodotto.

Mappa di posizionamento e mappa del valore

La mappa del valore tiene conto oltre che degli attributi di performance anche del fattore prezzo.

9. Implementazione e controllo della strategia di marketing

Definito il posizionamento l’Azienda può ora procedere a disegnare “il” o “i” Marketing mix (per ciascuno dei
segmenti ai quali intende rivolgersi concentrandosi su 4 variabili fondamentali, le 4 P.

•prodotto

•comunicazione (promotion)

•prezzo

•punto vendita (distribuzione)

Marketing mix: Insieme di strumenti attraverso i quali l’impresa può influenzare i clienti attuali o potenziali
all’interno di uno specifico mercato competitivo. Le sue attività convergono in quattro categorie, anche

chiamate “4 P”: il prodotto, la distribuzione (place), il prezzo e la comunicazione (promotion).


10. Il controllo

Il controllo è parte fondamentale di qualunque tipo di piano.

Un piano non è tale se non include dei criteri di controllo per monitorarne l’implementazione.

Un piano senza controllo è solo un bel documento senza alcuna utilità.

11. L’analisi del risultato

E’ la fase più delicata e complessa

Qualunque esse siano le ragioni dello scostamento possono essere ricondotte a tre grandi gruppi:

• Fattori esogeni. Ad esempio una crisi di mercato o un evento catastrofico o una mossa di un concorrente. • Fattori
endogeni. Ad esempio mancanza di competenze o risorse inadeguate.

• Stime errate. Le assunzioni del piano erano errate. Ad esempio il mercato non ha la dimensione prevista, il prezzo
stabilito non è corretto.
Caratteristiche di un sistema di controllo:

•Formalità. I controlli devono essere codificati e devono essere applicati secondo criteri e tempistiche standard.

•Necessità. Devono essere necessari ed essere percepiti come tali dall’organizzazione (no ritualità). •Priorità. I
controlli devono concentrarsi sugli elementi principali.

•Misurabilità. Devono essere oggettivi e quindi basati su dati e misurazioni quantitative.

•Regolarità. I controlli devono essere applicati regolarmente secondo un calendario codificato.

L’applicazione di un sistema di controllo

Strumenti principali per controllare l’efficacia di un piano di marketing:

•Analisi delle vendite.

– Numero di pezzi venduti.

– Valore del fatturato.

•Analisi della quota di mercato.

– Quota del mercato globale.

– Quota del mercato servito.

•Analisi dei costi di marketing.

Il rapporto fra costi di marketing e vendite. Quante risorse abbiamo impiegato per raggiungere i nostri obiettivi di
vendita.

•Analisi dell’orientamento cliente.

Alcuni metodi per rilevare l’atteggiamento della clientela.

• Analisi dei reclami. • Panel di clienti o focus group.

• Indagini presso la clientela. • Incontri “one-to-one”.

Le decisioni relative al prodotto Cap. 8


Il prodotto

Due punti fondamentali:


1. Elementi di base nella gestione del prodotto
2. Sviluppo di nuovi prodotti

1. Elementi di base nella gestione del prodotto

1.1 Definizione

Il prodotto può essere definito:

• In base al suo aspetto fisico e materiale (prodotto tangibile)

• In ottica più estesa considerando il prodotto materiale e i servizi accessori abbinati (prodotto esteso)

• In modo generico (prodotto generico) considerando i benefici essenziali che l’acquirente si aspetta di ottenere

E’ in generale un errore per il responsabile marketing definire i prodotti in modo meramente materiale.

Esempio dei produttori di dentifrici che hanno commercializzato i dentifrici non solo per l’igiene orale, ma come
cosmetico (per eliminare le macchie dei denti o per rimuovere il tartaro), come aiuto per le persone che portano la
dentiera ecc. .

L’ottica da adottare è quella della soddisfazione di un bisogno dei consumatori Nell’ottica del marketing concept il
prodotto si può definire come “la somma della soddisfazione fisica, psicologica e sociale che l’acquirente ricava
dall’acquisto, dal possesso e dal consumo”.

1.2 Classificazione

Importante per l’uomo di marketing anche perché prodotti simili possono essere commercializzati in modo simile.

I criteri possono riguardare l’utilizzo finale o il mercato cui sono destinati o il grado di elaborazione e/o
trasformazione fisica

1. Prodotti agricoli e materie prime

2. Beni strumentali (organizational goods) cioè i beni che vengono acquistati per essere utilizzati nel processo
produttivo di altri beni

3. Beni di consumo tra cui:

- convenience goods o di largo consumo,

- shopping goods o beni durevoli e semidurevoli

- prodotti speciali o specialty goods che per la loro importanza ri chiedono per il consumatore un impegno
particolare per effettuare la scelta.

1.5 Package

Una parte rilevante delle decisioni d’acquisto avviene sul punto vendita.

Il package – insieme ad altri fattori - gioca un ruolo importante in tal senso.

Tre tipi di package:

1. primario che contiene il prodotto

2. secondario, è un involucro che avvolge il prodotto

3. terziario, sono i cartoni di imballaggio

Il package, soprattutto a livello di primario e secondario illustra al consumatore gli attributi fisici del prodotto e della
marca di cui costituisce il prodotto visibile.
Da ciò la rilevanza degli aspetti estetici nella progettazione e la necessità di considerare attentamente le
associazioni sensoriali (materiale, forma, dimensioni, caratteri ecc.) nonché di coerenza con la categoria di
appartenenza e con il brand in genere.

Il responsabile marketing deve considerare attentamente le esigenze d’uso dei consumatori nonché quelle dei
distributori e ovviamente i costi.

Si pensi per esempio alle confezioni monodose o le scatole di biscotti con chiusura salvafreschezza.

In sintesi il package (primario e secondario) deve:

• attrarre i consumatori

• comunicare correttamente le caratteristiche del prodotto e i valori del brand puntando ad evocare adeguate
associazioni sensoriali nel consumatore

• essere funzionale nell’uso

• garantire la conservazione del prodotto

• favorire la logistica in termini di trasportabilità e sistemazione sugli scaffali

1.6 Ciclo di vita del prodotto

Di norma i prodotti attraversano un ciclo di vita rappresentato da una curva a “esse” chiamata “logistica” dove si
evidenziano quattro fasi: Introduzione, crescita, maturità declino

La dinamica evolutiva della domanda può riguardare uno specifico prodotto, un brand, una categoria di prodotti o
un intero settore industriale.

La gestione strategica del ciclo di vita è molto complessa in considerazione dei molteplici fattori endogeni (sotto il
controllo dell’impresa) ed esogeni che sono invece al di fuori del controllo. (si pensi per esempio alla tecnologia).

Le multinazionali si possono trovare nella situazione che un prodotto sia in declino in un paese e per es. nella fase di
maturità o di lancio in un altro.

Per poter essere usato come strumento di diagnosi e previsione occorre:

• stabilire la posizione attuale del prodotto lungo la curva

• capire il momento in cui transita da una fase all’altra

Le serie storiche relative alla domanda di prodotti evidenzia nella realtà molteplici varianti della classica curva del
ciclo di vita per cui spesso è davvero complesso stabilire la posizione nel ciclo di vita di una categoria osservando
solo l’andamento delle vendite.

Per uscire dall’impasse occorre prendere in considerazione le percentuali di crescita o diminuzione delle vendite da
un anno all’altro calcolando l’incremento o la diminuzione in un intervallo temporale significativo e di verifica come
le variazioni si distribuiscono intorno alla media.

E’ praticamente impossibile azzardare previsioni in merito alla lunghezza di ciascuna fase e quindi prevedere il
passaggio a quella successiva visto che ciò dipende da n variabili (caratteristiche prodotto, livello accettazione da
parte consumatori, azioni concorrenza, andamento generale mercato ed economia ecc.)

Il confronto tra ciclo di vita del prodotto (in declino) e quello della categoria (ancora in espansione) può essere un
indicatore utile per comprendere quando è opportuno innovare. Oppure quando pubblicità e promozione non
danno più i risultati attesi.

Il concetto di ciclo di vita del prodotto è fondamentale in quanto evidenzia per il management la necessità di
considerare i prodotti in ottica di lungo periodo prevedendo cambiamenti nella situazione di mercato e nella
domanda del prodotto ai quali il responsabile marketing deve rispondere adeguando il marketing mix.
Nella fase iniziale sono alti sia i costi di produzione che di marketing e i profitti sono bassi mentre man mano che si
avanza lungo la curva del ciclo di vita – se regolare- la situazione cambia, gli investimenti diminuiscono e i profitti
aumentano.

Quando le vendite entrano nella fase di declino, il responsabile marketing dovrà decidere se:

•smettere di commercializzare il prodotto

•modificare il prodotto aggiungendogli attributi che ne innalzi il valore •cercare nuovi utilizzi del prodotto

•cercare nuovi mercati

Se utilizzato con il buon senso il modello del ciclo di vita può aiutare nelle attività di previsione degli scenari
competitivi, nella determinazione dei prezzi ecc..

Quindi, Ciclo di vita del prodotto:

 Vendite
 Profitti
 Introduzione
 Crescita
 Maturità
 Declino
 Perdite/ Tempo investimenti

Capitolo 10 - Le decisioni relative al prezzo (pricing)


Prezzo. Definizione: Quantità di denaro che un soggetto economico riceve o paga per fornire o
rispettivamente ottenere un determinato prodotto/servizio. Può assumere una molteplicità di
denominazioni:
(affitto, tasse scolastiche, parcella, tariffa, canone, onorario, pedaggio, premio, quota associativa,
contributo, salario, stipendio ecc.)
Per il Marketing ha particolare rilevanza il prezzo come espressione di valore, visto da due punti di vista
diversi e cioè:

 Per il consumatore: il costo, il “sacrificio”, l’ammontare di reddito a cui deve rinunciare per
ottenere un determinato prodotto/servizio, “sacrificio” che viene rapportato al beneficio ne ricava
quindi
 Per il venditore: l’ammontare dei ricavi che remunerano gli sforzi sostenuti per la produzione di un
bene o di un servizio
Per l’impresa il prezzo è l’unico elemento del marketing mix che produce ricavi (gli altri producono solo
costi); quindi è il fattore determinante della redditività dell’impresa e contemporaneamente influenza la
domanda.
Tutte le organizzazioni economiche - e buona parte di quelle senza scopo di lucro- devono affrontare il
compito di fissare un prezzo per i loro prodotti o servizi.

Pricing. Definizione: Processo e politica di determinazione e variazione del prezzo di un prodotto o servizio
Le 3 problematiche principali:
•La determinazione del prezzo iniziale (per un nuovo prodotto)
•Le manovre del prezzo (aumento o diminuzione)
•Le modifiche del prezzo (price discrimination)
Le 3 variabili critiche da considerare

Il prezzo di un nuovo prodotto o servizio - I vettori di prezzo in una situazione competitiva


Domanda: valore assegnato dai clienti ai benefici del prodotto/servizio → Fattori demografici, fattori
psicologici, prezzo = valore assegnato ai benefici del prodotto/servizio = funzione di domanda (parametro:
valore percepito)
Ambiente: In senso lato → Concorrenza, Contesto socio-economico Leggi Stato, ecc. (parametro: prezzi
correnti)
Offerta : Caratteristiche→ Costi e caratteristiche (parametro: costi)

Prezzo di un nuovo prodotto o servizio


Principali obiettivi dell’impresa:
• massimizzazione ricavi (quota di mercato a valore)
• massimizzazione volumi di vendita ( quota di mercato a volume) • scrematura di mercato
• leadership qualità prodotto
•massimizzazione profitti
•sopravvivenza
Avremo di norma un orientamento prevalente definito anche in base agli obiettivi dell’azienda che
comunque difficilmente potrà prescindere sistematicamente dagli altri due. L’orientamento potrà
ovviamente mutare nel tempo
Pricing. Aspetti Offerta
Caratteristiche prodotto/servizio
• Differenziabilità
• Deperibilità
• Ciclo di vita
• Costi
Costi
• Variabili
• Semivariabili
• Fissi
• Diretti
• Indiretti
Ricavi P x Q
Risultato operativo (profitto o perdite) Ro = CF + (CV xQ)

Metodologie di determinazione dei prezzi basate sui costi:


• Metodo del ricarico o mark up pricing
• Metodo del cost plus pricing
• Metodo del profitto obiettivo o rate of return pricing
• Metodo della break even analysis o del punto di pareggio

Metodo del ricarico o mark up pricing:


Consiste semplicemente nell’ applicare una maggiorazione percentuale al costo di produzione o di
acquisto di un determinato bene per ottenere il prezzo di vendita finale.
Procedimento:
• per avere la percentuale di maggiorazione da applicare al costo si può utilizzare la seguente relazione
Y/(1-Y); se Y è il 30%, e quindi 0,30, segue che Y/(1-Y) = 0,30/(1-0,30) = 42,85% circa che è appunto la
percentuale da applicare su 70 per avere 100.
• per avere il prezzo finale si può usare la formula
P = C/(1-Y) cioè P = 70/(1-0,30) =100;
Limiti del metodo: Non si tiene conto dei costi fissi e dei costi indiretti
Metodo del cost plus pricing
Affine al precedente è il metodo del cost plus pricing, che però tiene conto anche dei costi indiretti (fissi o
di gestione o altro) e del risultato atteso da ciascuna unità di prodotto e pertanto viene anche definito, in
maniera impropria, il metodo del costo totale.
Il calcolo si effettua in questo modo:
P = (Cd+ kCi)x(1+Mkp) dove
• Cd = costi diretti
• k = coefficiente di ripartizione dei costi indiretti Ci
• Mkp = è il mark up o risultato atteso da ogni prodotto (oneri finanziari e tasse escluse).

Rate of return pricing o del profitto desiderato


•Stima vendite 75.000 pezzi
•Stima costi totali 300.000
•Profitto desiderato 20% del costo
Prezzo = (300.000 + (300.000 x 0,20))/75.000 = 4,80
Mancano ancora informazioni critiche

Metodo della break even analysis o del punto di pareggio


Consiste nell’individuazione della quantità di prodotto che è necessario vendere per realizzare il pareggio
dei costi e dei ricavi connessi a uno specifico progetto.
Per esempio
• PV = 100
•costi fissi, CF = 2000
•costo variabile per unità di prodotto, CV = 120
Pricing aspetti offerta. Il volume di pareggio in quantità
Qp= 25 * sistema di controllo Merchant McGraw-Hill

Q = CF / MC
Qp = 2.000 / (200-120) Analisi economiche per le decisioni Aziendali – Antony
Pricing aspetti offerta. Formule base break even
Break even point: formule

 Quantità di pareggio Qbeap = CF/ (P–CV)1


 Fatturato di pareggio Fbeap= CF/ (1 – (CV/P))2 Costi fissi diviso MC %
(1 (P –CV) = Margine contribuzione unitario 2 (1 – (CV/P)) = Margine di contribuzione percentuale)
Pricing aspetti offerta. Margine contribuzione
Margine di contribuzione
Precisazioni:
• Finché P>CV conviene vendere
• Dovendo scegliere tra due prodotti A e B conviene scegliere il prodotto con MC superiore
• MC unitario resta costante al variare delle quantità ( P-CV)
• MCt aumenta con l’aumentare delle quantità

I limiti del modello del Break even point


•Validità per imprese monoprodotto
•I costi fissi
•Ipotesi di ricavi e costi lineari
•Ipotesi di vendite illimitate
Concetto di “intervallo di rilevanza” o “ambito di valenza”

Pricing Aspetti legati alla Domanda


Elasticità e funzione di Domanda Elasticità della domanda al prezzo:
rapporto tra la variazione percentuale della quantità domandata e la variazione percentuale del
cambiamento di prezzo in formula e =- dq/dp x p/q
e = 1 variazione % di variazione di p comporta stessa variazione % di Q
e = minore di 1: poca reattività domanda a variazioni di p e = maggiore di 1:-molta reattività di Q a p
La Domanda di un bene ha di norma un andamento decrescente al crescere del prezzo e viceversa
Esistono n funzioni di domanda
(qui la prof ha lasciato spazio in bianco ???)
Prezzi e pricing
Le manovre di prezzo
Riduzione del prezzo : Contesti , criticità possibili effetti/reazioni Eccesso di capacità produttiva in caso non
sia possibile aumentare il fatturato in altro modo – controindicazioni: deterioramento immagine- possibile
guerra di prezzi
Aumento del prezzo : Contesti e criticità possibili effetti/reazioni Eccesso di domanda. Altri motivi e
modalità: inflazione, clausole revisione prezzi ecc. - controindicazione: possibile contrazione domanda.
Nel caso di diminuzione di prezzo conviene che l’elasticità sia alta ( e>1) Se diminuisco i prezzi del 10%
l’incremento delle vendite sarà per es. del 12%
Nel caso di aumento di prezzo conviene che l’elasticità sia bassa ( e<1) Se aumento i prezzi del 10% le
quantità vendute calano per es. dell’8%
Le modifiche del prezzo
Prezzo iniziale unico per tutti e per tutte le situazioni ? Evidentemente no!
Differenziazione geografica del prezzo
Sconti, abbuoni e prezzi promozionali
Discriminazione prezzi (Price discrimination) in base alla
• Clientela
• Versione prodotto
• Immagine
• Ubicazione
• Tempo
Prezzi per combinazione di prodotti
La gestione dei canali distributivi – CAP.11

I canali distributivi
1.1 il ruolo degli intermediari di marketing - Concetti di base
• I prodotti devono materialmente pervenire all’acquirente finale sia questi un individuo o
un’Organizzazione; a questo provvede la Distribuzione tramite i suoi canali.
• Esistono diverse figure di intermediari di marketing che a vario titolo e con diverse modalità concorrono
a realizzare il processo di distribuzione
• Esistono diversi tipi di rapporti tra produttori e distributori
• Gli intermediari accrescono l’efficienza del sistema nel suo complesso evitando che ogni individuo o
famiglia debba necessariamente rivolgersi direttamente al produttore
1.2 Una classificazione degli intermediari
1. Intermediario
2. Intermediario commerciale
3. Agente
4. Grossista
5. Dettagliante
6. Broker (pone in contatto clienti e fornitori) 7. Agente del produttore
8. Distributore
1.2 Le attività di svolte dagli intermediari nei canali di distribuzione
1. Acquisto
2. Vendita
3. Assortimento (Sorting out, Accumulation, Allocation, Assorting) 4. Aggregazione
5. Finanziamento
6. Stoccaggio
7. Classificazione
8. Trasporto
9. Assunzione di rischio
10. Ricerca di Marketing

1.3 I canali di distribuzione - Tipologie


• Diretto: quando il produttore svolge direttamente attività di vendita sul mercato senza intermediari.
Rientrano in tale caso le vendite effettuate direttamente su catalogo, per telefono, per posta ecc..
• Indiretto: che prevede uno più intermediari tra il produttore e il consumatore finale.

Si distingue tra
- canale breve: quando ci si avvale solo dei dettaglianti
- canale lungo: quando invece è prevista anche la figura del grossista/agente
1.4 La selezione dei canali
Elementi generali da considerare nella pianificazione di un canale
1. Le caratteristiche del cliente (numero, dispersione ecc.)
2. Le caratteristiche del prodotto (valore unitario, deperibilità ecc.) 3. Le caratteristiche dell’intermediario
(disponibilità, attività di marketing svolte, ecc.)
4. Le caratteristiche della concorrenza (numero, dimensioni quote mercato, canali distribuzione e
strategie, ecc.)
5. Le caratteristiche dell’impresa (dimensione e quota di mercato, condizioni finanziare e budget di
marketing, ecc.)
6. Le caratteristiche dell’ambiente (condizioni economiche, norme e vincoli legali, problemi politici ecc.)
In molti settori si sono sviluppati canali di distribuzione divenuti in qualche misura tradizionali e
largamente accettati come efficienti.
Le categorie di prodotto a volte possono avere maggiore o minore importanza per la scelta del canale. Si
pensi per esempio ai prodotti deperibili che impongono l’utilizzo di canali brevi.
Un elemento importante nella scelta del canale di distribuzione è il livello di controllo desiderato dal
produttore che, di norma, sarà massimo nel canale diretto e minimo nel canale indiretto lungo.
I criteri sono 4:
1. La copertura distributiva desiderata
2. Il livello di controllo desiderato
3. Il costo totale della distribuzione
4. La flessibilità del canale
1.4.a) La copertura distributiva desiderata
I diversi prodotti necessitano di una diversa copertura distributiva.

 Distribuzione intensiva: quando il produttore cerca di ottenere il massimo livello di copertura


avvalendosi del maggior numero di grossisti e dettaglianti. E’ il caso dei beni di largo consumo
tenendo presente le caratteristiche del prodotto (basso valore unitario) e bisogni/aspettative
acquirente (alta frequenza e praticità d’acquisto)
 Distribuzione selettiva: ci si limita ad utilizzare solo gli intermediari ritenuti migliori. La scelta può
dipendere dai servizi offerti, da come sono organizzate le vendite all’interno della specifica formula
commerciale o dalla reputazione dell’intermediario
 Distribuzione esclusiva: quando il produttore restringe drasticamente l’ampiezza della
distribuzione e conferisce agli intermediari diritti esclusivi nell’ambito di un determinato territorio.
Situazione analoga si verifica quando il numero di potenziali acquirenti è molto ridotto. Si pensi per
es. ai beni di lusso.

Si utilizzano prevalentemente tre indicatori:


1. La distribuzione numerica : rapporto tra numero di punti vendita in cui la marca è presente sul
totale dei punti vendita che prevedono quella tipologia di bene nel loro assortimento. Es: Le
bottiglie di un’azienda vinicola si trovano in 84.000 negozi su un totale al livello nazionale di
140.000. La distribuzione numerica è del 60%.

2. La distribuzione ponderata: calcolata come il rapporto tra fatturato punti vendita in cui la marca è
presente è il fatturato totale di quel canale (sempre in relazione a quella specifica tipologia di
bene). Es: Le bottiglie di vino si trovano in 84.000 negozi che realizzano il 90% delle vendite totali.
La distribuzione ponderata è del 90%. Questo secondo indicatore viene preferito perché tiene
conto della diversa importanza dei punti vendita.

3. Per misurare la penetrazione si utilizza la cosiddetta “quota trattanti” e cioè la percentuale delle
vendite di una determinata marca che vengono effettuate dai punti vendita in cui essa è presente
sul totale dei prodotti della stessa tipologia Es. Negli 84.000 negozi in cui sono presenti le bottiglie
di un’azienda vinicola rappresentano il 20% delle vendite complessive dei punti vendita

Quota di mercato: La quota di mercato di un’impresa per un determinato prodotto può essere
calcolata a volume o a valore:
• a volume corrisponde al rapporto tra i volumi di vendita del prodotto specifico dell’impresa e l’intero
volume di prodotti della stessa tipologia prodotti dall’intero mercato.
• a valore corrisponde al rapporto tra i ricavi delle vendite realizzati dall’impresa con il prodotto
specifico e il fatturato dell’intero mercato per i prodotti della stessa tipologia.
La quota di mercato può essere calcolata come il prodotto tra distribuzione ponderata e quota
trattanti:
Quota mercato = copertura ponderata x quota trattanti
•Es I punti vendita i cui è presente l’azienda vinicola del ns esempio trattano il 90 % delle vendite dei
vini, in quei punti vendita la quota trattanti è del 20% ne consegue che la quota di mercato è del 18%
in quanto 0,90 x 0,20 = 0,18
A parità di quota di mercato si può quindi avere una situazione diversa per quanto riguarda la
distribuzione ponderata e l’indice quota trattanti. In caso di bassa ponderata e alta quota trattanti,
avremo presumibilmente una distribuzione selettiva mentre in caso contrario sarà di tipo intensivo.
1.4.b) ll livello di controllo desiderato
In generale il livello di controllo è maggiore quando la distribuzione è diretta.
Quando vengono utilizzati canali indiretti il produttore deve cedere almeno in parte il controllo sulle
politiche di marketing dei propri prodotti agli intermediari
1.4 c) Il costo totale della distribuzione
Tipi di costo:

 Costi di trasporto
 Costi di gestione dell’ordine
 Costo transazioni non andate a buon fine
 Costo di gestione delle merci a magazzino (magazzino, capitale investito, tasse, assicurazioni,
obsolescenza e deterioramento)
 Costi di confezionamento
 Costi per la gestione materiale delle merci
 Nel caso del canale diretto i costi sono prevalentemente fissi 8. Nel canale breve sono un mix di
fissi e variabili
 Nel canale lungo sono prevalentemente variabili
1.4.d) La flessibilità del canale
Occorre infine considerare le possibili fluttuazioni della domanda in particolare in periodi turbolenti come il
nostro.
Per esempio negli ultimi anni parte della popolazione si è spostata dal centro in periferia e di conseguenza
tende ad effettuare acquisti nei grandi centri commerciali più che in passato.
In tale contesto un produttore che abbia rapporti contrattuali consolidati con distributori che operino in
città potrebbe trovarsi in difficoltà.
In tali condizioni è opportuno evitare di legarsi troppo e soprattutto di puntare a strutture distributive che
rappresentino prevalentemente un costo variabile anziché fisso.
La gestione dei canali distributivi
- I rapporti con gli intermediari
2.1 Il Trade marketing
Per Trade Marketing si intendono specifiche attività di marketing rivolta dalle imprese verso gli
intermediari volte a sviluppare relazioni solide e durature
Le principali leve operative del trade marketing sono:
•I listing fees. Compenso una tantum richiesto dal distributore al produttore per l’inserimento di un nuovo
prodotto sugli scaffali
•Gli sconti cioè la percentuale del prezzo di vendita al consumo trattenuto da intermediario
•Attività promozionali
•Logistica
•Category management inteso come gestione efficace ed efficiente in particolare in termini di spazi
dedicati sugli scaffali alle diverse marche di un’intera categoria merceologica all’interno del punto vendita
•Integrazione e scambio delle informazioni sui prodotti e sul mercato
2.2 I Sistemi verticali
I sistemi verticali sono canali i cui membri sono legati da una forte interdipendenza di varia natura,
nell’ambito dei quali sono sviluppate relazioni durature al fine di migliorare efficacia ed efficienza del
sistema. Distinguiamo:

 I sistemi amministrativi (administered system) : Sono simili ai sistemi convenzionali di marketing


salvo un maggior livello di pianificazione organizzativa. La dipendenza può derivare dal fatto che
nel canale c’è un’azienda che assume una posizione dominante
 I sistemi contrattuali (contractual system): In questo caso società di produzione e di distribuzione
indipendenti stabiliscono accordi contrattuali formalizzati per lo svolgimento di specifiche attività
di marketing. Possiamo distinguere:
• i gruppi d’acquisto in caso di accordi di cooperazione tra dettaglianti (Conad)
• le unioni volontarie cioè associazioni tra dettaglianti promosse da un grossista (Despar)
• vari tipi di franchising (Ford, Mobil, McDonald’s)
 i sistemi aziendali (corporate system) : In tal caso una singola azienda controlla direttamente due o
più livelli del canale di distribuzione. L’integrazione è:
 a valle se è il produttore ad acquistare aziende all’ingrosso o al dettaglio,
 a monte se è il il grossista o i dettaglianti ad acquistare aziende del canale in uno stadio
precedente
2.3 Il commercio all’ingrosso
Gli elementi che favoriscono una relazione tra produttore e grossista durevole e redditizia sono la fiducia,
la capacità di apportare reciproci benefici e un flusso di comunicazione che tenga nella debita
considerazione problemi e opportunità.
I grossisti hanno facilità nel piazzare presso i dettaglianti prodotti o marche note che detengono quote di
mercato elevate; devono fare un maggior sforzo di marketing per le merci poco note o con quote di
mercato modeste.
Le aziende per la distribuzione al dettaglio dei propri prodotti devono assumere molte decisioni (per es.
store e non store retailing, scelta che implica altre decisioni logiche quali per esempio il tipo di negozi di
cui avvalersi – se store based – o quale canale utilizzare nel caso del non-store.
2.4 Store retailing
E’ la vendita di beni e servizi nei punti vendita ed è quello che si verifica nella stragrande maggioranza dei
casi.
A distiguere i dettaglianti non è solo il genere della merce che vendono ma anche l’ampiezza (numero di
linee o categorie di prodotto) e la profondità (numero di prodotti per linea) dell’assortimento.
La Gdo (Grande distribuzione organizzata) si avvale di supermercati e grandi magazzini dove si cerca di
offrire una nutrita varietà di numerose categorie di diversi prodotti oppure di ipermercati, discount, hard
discount o outlet dove si cerca di offrire un vasto assortimento a prezzi inferiori.
Principali tipologie di punti vendita
• Grande magazzino. Pv operante nel settore alimentare con almeno 400 mq e almeno 5
distinti reparti
• Supermercato. PV operante nell’alimentare, superficie superiore ai 400 mq con vasto
assortimento alimentari e anche prodotti per la casa organizzato a self service.Sulla base
della superficie si distingue:
 Superette, tra i 200 e 399 mq
 Minimarket tra 120 e 199
 Micromarket in caso di dimensioni inferiori
 Ipermercato. Superficie di vendita di almeno 2500 mq organizzato
prevalentemente a self service con vasto assortimento di prodotti alimentari e
non
• Centro commerciale all’ingrosso. Sostanzialmente come il precedente ma destinato
esclusivamente allo svolgimento dell’attività all’ingrosso.
• Cash and carry: Esercizi all’ingrosso organizzati a self service con superficie di vendita
superiore ai 400 mq. I clienti comprano senza nessuna influenza del personale, ricevono
la fattura, pagano in contanti e ririrano la merce
• Discount :PV caratterizzato da minor servizio, minore assortimento con prodotti
ubranded o commerciali (private label) ma prezzi ridotti- L’hard discount accentua tali
caratteristiche.
• Outlet o spacci aziendali: Pv dove è possibile acquistare prodotti a prezzo ridotto. Viene
utilizzato per smaltire le giacenze di fine stagione o nell’abbigliamento i prodotti fuori
collezione.
• Specialty store: Pv che offre un profondo assortimento di prodotti appartenenti ad un
numero limitato di categorie (Ikea, Media World). Spesso tali Pv. mirano a dominare il
mercato di una particolare categoria merceologica con prezzo ridotto (Category Killer)
2.5 Nonstore retailing
Le cinque principali modalità di “Non-store retailing”
a) I distributori automatici
b) Le televendite
c) La vendita diretta
d) Il commercio elettronico e il marketing multicanale

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