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LITTERA ANTIQUA

19

SIT LIBER GRATUS,


QUEM SERVULUS EST OPERATUS
STUDI IN ONORE DI ALESSANDRO PRATESI PER IL SUO 90° COMPLEANNO

a cura di
PAOLO CHERUBINI e GIOVANNA NICOLAJ

Tomo I

Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica


CITTÀ DEL VATICANO 2012
Tutti i diritti riservati
© 2012 by Scuola Vaticana di Paleografia,
Diplomatica e Archivistica
ISBN - 978-88-85054-25-7
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 133

Paolo Cherubini

Le glosse latine antiche alla Bibbia di Cava:


considerazioni preliminari *

All’interno del gruppo dei manoscritti biblici più antichi, il Codex Cavensis,
noto anche come Bibbia di Danila dal nome del suo copista principale 1, è
sotto diversi punti di vista uno dei più importanti: per il testo tradito, per
la particolare successione dei libri, per la regolarità della scrittura, per lo
splendore della decorazione, per il contesto storico, politico ed ecclesiastico
all’interno del quale maturò la sua formazione. Ma soprattutto esso è il
più antico in forma di Pandette prodotto in un’area particolare come quel-
la iberica, che proprio nella tradizione delle Sacre Scritture si mostra allo
stesso tempo estremamente innovatrice ed insieme conservativa, com’ebbe
ad affermare più di un secolo fa Samuel Berger. A tutti questi aspetti la
letteratura storica, biblica e paleografica ha dedicato da tempo grande
attenzione. Più di una decina di anni fa ho avuto anch’io la fortuna di
occuparmi del prezioso codice conservato nell’Archivio della Badia della
S.ma Trinità di Cava dei Tirreni. Ad esso ho dedicato un saggio di natura
storico-paleografica che, insieme a un altro più ampio sulle Bibbie d’area
iberica in scrittura visigotica 2, ho rielaborato in occasione della pubblica-
zione in facsimile del prezioso cimelio, programmata per i festeggiamenti
legati al dodicesimo centenario della donazione della Cruz de los Ángeles
da parte del re Alfonso II di Asturie alla chiesa cattedrale di San Salvador

* Per consigli e suggerimenti sono debitore verso gli amici Paolo D’Alessandro e Gian Luca
Potestà, che qui ringrazio di cuore.
1
  ABC, ms. 1.
2
 Cfr. Paolo Cherubini, La Bibbia di Danila: un monumento “trionfale” per Alfonso II di Astu-
rie, in « Scrittura e civiltà », 23 (1999), pp. 75-131: a p. 77 nota 5 la bibliografia sul codice. In
seguito ho trattato del Cavense redigendone la scheda per il catalogo della mostra I Vangeli dei
Popoli. La Parola e l’immagine del Cristo nelle culture e nella storia, Biblioteca Apostolica Vaticana
– Edizioni Rinnovamento nello Spirito Santo, Città del Vaticano – Roma 2000, pp. 181-183
n.  26 e della copia “diplomatica” eseguita tra il 1829 e il 1831 da dom Ignazio Rossi su richiesta
del cardinale Angelo Mai, oggi BAV, Vat. lat. 8484 (pp. 428-429 n. 126); v. inoltre Cherubini,
Le Bibbie spagnole in visigotica, in Forme e modelli della tradizione manoscritta della Bibbia, a cura di
Paolo Cherubini, prefazione di Carlo Maria Martini, introduzione di Alessandro Pratesi, Scuola
Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, Città del Vaticano 2005, pp. 109-173 [Littera
Antiqua 13].
134 PAOLO CHERUBINI

di Oviedo nell’anno 808 3. Per questa iniziativa editoriale – presentata alla


stampa il 20 dicembre 2010 in coincidenza con la conclusione dell’Anno
Santo Giacobeo e dell’undicesimo centenario della morte di Alfonso III il
Grande – ho riassunto e rielaborato in un unico testo i dati esposti in studi
precedenti, dato notizia dei più recenti contributi sulla redazione testuale
del manoscritto spagnolo 4 e fornito la descrizione codicologica e una tabula
analitica del contenuto 5.
Con l’occasione ho potuto segnalare una piccola ma significativa sco-
perta (un particolare sfuggito agli studiosi che, sotto diverse prospettive,
si sono occupati del celebre monumento), scoperta che ho la gioia di ri-
proporre qui, in apertura di questi pochi prolegomeni all’edizione del ric-
chissimo apparato di glosse, in omaggio ad Alessandro Pratesi che con me
ha condiviso, sin dai suoi primi passi, il progetto di studio sul manoscritto
cavense e quello dell’edizione del suo ricco apparato di note. All’interno
del medaglione in cui è inserito il numero del fascicolo diciannovesimo (un
quaternione) nel margine inferiore del verso di f. 152, dunque, s’intravede
una piccolissima scritta, leggibile unicamente attraverso l’ingrandimento
dell’immagine con tecniche digitali e con il contemporaneo aumento del
contrasto dei colori, essendo l’inchiostro molto pallido e perciò praticamente
invisibile ad occhio nudo 6.
La parola che vi compare, scritta in una bella minuscola visigotica pre-
sumibilmente coeva alla scrittura del testo, va letta senza ombra di dubbio

3
 La croce donata da Alfonso II è oggi splendidamente riprodotta e illustrata in Cesar
García de Castro Valdés, Signum Salutis. Crucis de orfebrería de los siglos V al XII, Consejería de
cultura y turismo del Principato de Asturias – KRK Ediciones, Oviedo 2008, pp. 121-127 n. 15.
4
 Legati alla presenza del libro di Baruch di seguito a quello di Geremia: Pierre-Maurice
Bogaert, Le livre de Baruch dans les manuscrits de la Bible Latine. Disparition et réintégration, in
« Revue bénédictine », n. s., 115 (2005), pp. 286-342, il quale – qui e in un successivo lavoro
sulla presenza dei libri dei Maccabei nella Bibbia latina – accetta come possibile la mia proposta
di datazione al primo decennio del secolo IX, pur riportando comunque anche la datazione
tradizionale alla metà circa del secolo (Pierre-Maurice Bogaert, Les livres des Maccabées dans
la Bible latine. Contribution à l’histoire de la Vulgate, in « Revue bénédictine », n. s., 118 [2008],
pp. 201-238, in particolare p. 212 nota 60). Alla bibliografia elencata negli studi citati alla
nota 2 si aggiunga, inoltre, Roger Gryson, Altlateinische Handschriften – Manuscrits vieux latins.
Répertoire descriptif. Première partie: Mss. 1-275, d’après un manuscrit inachevé de Hermann Josef
Frede †, Herder, Freiburg 1999, pp. 308-310 n. 189 [Vetus Latina. Die Reste der altlateinischen
Bibel 1/2°].
5
  Paolo Cherubini, La Biblia de Danila, in La Biblia de Danila (Codex Biblicus Cavensis, Ms. 1
de la abadía de la Santísima Trinidad de Cava dei Tirreni). Estudios, Gobierno del Principato de
Asturias y Gran Enciclopedia Asturiana, [Oviedo] 2010, pp. 5-59; per le vicende che hanno
accompagnato la pubblicazione del volume in facsimile v. la Nota editorial di Cesar García de
Castro Valdés, nel volume della Edición facsímil, pp. [5-6]. Il volume di saggi comprende inoltre
gli studi di José Antonio Valdés Gallego, El texto y la lengua del Cavensis, pp. 61-111, e Alfonso
García Leal, La ornamentación de la Biblia de Cava, pp. 113-203.
6
  Cherubini, La Biblia de Danila, p. 40.
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 135

« Ocedia », termine di difficile comprensione 7 ma da identificare di certo con


un nome proprio di persona di genere maschile d’ambito visigotico termi-
nante in -a, sul modello di altri frequenti in questo periodo nel regno di
Asturie (e in seguito in quello di León) quali Cixila, Framila, Froila, Uigila,
Uimara solo per fare qualche esempio 8, o come ben dieci dei quarantasei
testimoni che sottoscrissero il documento (testamentum Adefonsi regis) con cui
nel novembre dell’812 Alfonso II il Casto donò alla cattedrale della sua città
un codice della Bibbia che ho proposto d’identificare con il nostro manoscrit-
to 9, senza contare lo stesso nome di Danila, scriba principale proprio del
Cavense. La posizione particolarissima in cui si trova la piccola nota farebbe
pensare al nome dell’artista che ha realizzato la bella decorazione all’inter-
no della quale essa si trova, eseguita a cornici concentriche ornate di un
motivo interno a perline bianche su fondo ocra e di una strigilatura esterna
anch’essa bianca su fondo azzurro, scontornata all’interno e all’esterno da
anelli circolari di colore rosso tendente all’arancio. Si tratta di un artigiano
del quale sino ad oggi non si conosce il nome e al quale sembrerebbe di
dover assegnare anche la decorazione delle iniziali incipitarie di ogni singolo
libro e di tutti gli altri disegni presenti nel manoscritto, e cioè le segnature
dei singoli fascicoli e i motivi ornamentali che contengono gli incipit e gli
explicit dei vari libri scritturali e dei diversi elementi extrabiblici, presenti
qui in misura superiore ad ogni altro testimone biblico: prologhi, argumenta,
elenchi e capitula. Si tratta naturalmente soltanto di un’ipotesi, molto labile
eppure assai affascinante, che, in assenza di ulteriori elementi, appare, pur
tuttavia, l’unica plausibile.
Sulla presenza delle glosse marginali molto è stato scritto, anche perché,
sebbene manchi a tutt’oggi una loro completa edizione e le trascrizioni di
cui disponiamo non siano sempre corrette, di un buon numero di esse die-
de notizia spesso approssimativa e con non pochi errori di lettura Teófilo

7
 Comunque, non esiste un termine di tal genere nel latino classico né in quello altomedie-
vale della Penisola iberica.
8
 Per limitarsi a una delle edizioni documentarie più recenti, se si sfogliano le pagine del
bel volume Documentos de la Monarquía Leonesa. De Alfonso III a Alfonso VI, estudio y edición,
León 2006, in ben quindici dei primi diciotto documenti, relativi agli anni 904-1042, si in-
contrano diciotto nomi di questo tipo: Abzulama (doc. 5), Alla (doc. 3), Annala (doc. 15), Atila
(doc. 4), Beila (doc. 17), Cixila (doc. 3), Eita/Eyta (docc. 14, 16), Fafila/Fafjla (docc. 9, 15, 16),
Framila (doc. 5), Froila /Frogila/Frola/Frolla/Froyla (docc. 1, 5, 6, 8, 10, 11, 12, 13), Garsea/Carcia
(docc. 1, 6, 10, 13, 14), Iquila/Ykila (docc. 5, 6), Sonna (doc. 5), Sunila (doc. 10), Uela (doc. 13),
Uigila (doc. 9), Uimara (doc. 12), Uita (doc. 18).
9
 Si tratta di Cintila vescovo, Nunila abate, due uomini di nome Uigila, Somna, Egicka, Ickila,
Chintila, Frola e Theoda. Il documento è edito in Antonio Floriano Cumbreño, Diplomatica españo-
la del periodo Astur (718-910), I, Deputación de Asturias. Instituto de Estudios Asturianos del
Patronato José M.a Quadrado, Oviedo 1949, pp. 118-131; per ulteriori nomi propri maschili
terminanti in -a si può agevolmente sfogliare l’indice Antroponimico di questo volume (pp. 353-
451) e del successivo (II, Oviedo 1951, pp. 417-536).
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Ayuso Marazuela nel 1955 10. Nel riassumere la questione una decina di anni
or sono – pur limitandomi a riferire quanto illustrato da Elias Avery Lowe a
proposito delle tre note del secolo XII (una in scrittura beneventana e due
in minuscola cosiddetta “di transizione” ma vergate da scriba aduso all’inter-
punzione in uso nell’Italia meridionale) apportate quando il codice era già
nell’area salernitana 11, e accennando solo di sfuggita alle poche in scrittura
araba ed ebraica anch’esse aggiunte quando la Bibbia non era più da tempo
nel regno delle Asturie 12 – avevo offerto un panorama complessivo delle note
in scrittura visigotica, osservando come la loro presenza fosse più ricca in
alcuni libri rispetto ad altri e individuando l’intervento di diversi lettori. In-
nanzi tutto, avevo riconsiderato il valore del testo della nota posta accanto ad
At 15, 18, la prima ad essere letta da dom Ambrogio Maria Amelli, il quale
l’aveva genericamente rapportata alla teoria di Godescalco d’Orbais sulla pre-
destinazione, e per tale motivo utilizzata da dom Henry Quentin per datare
il codice (insieme alle note marginali) subito dopo la metà del IX secolo,
con riferimento ai concili che in quegli anni – a Magonza nell’848, a Quiercy
nell’849 e a Valenza nell’855 – avevano condannato le tesi del monaco sas-
sone. Credo di aver dimostrato come le parole usate dal glossatore in quella
circostanza si limitino a riprendere concetti e terminologia ampiamente do-
cumentati in opere di s. Agostino, e non soltanto nel De libero arbitrio e nel
De praedestinatione sanctorum, ma anche nel De civitate Dei 13. Allora mi ero,
inoltre, soffermato in particolare sulla parola « corillibus » vergata a margine
di un passo di Giobbe (28, 16), nota assegnata a quello che ho definito il
“lettore anziano” per via di alcune caratteristiche della visigotica arcaica (l’uso
del semicolon per abbreviare la desinenza -bus) spiegabili soltanto immaginan-
do che a scriverla sia stata una persona educata graficamente nella seconda
metà del secolo VIII. Ho spiegato allora il termine « corillibus » mediante il
ricorso da parte del glossatore in questione a un passo delle Etymologiae in
cui s. Isidoro si sofferma sulla natura del corallium, ma grazie anche a eviden-
te dimestichezza con una versione ebraica di quel brano di Giobbe « che, nei
versetti immediatamente successivi, menzionava proprio ‘coralli’ e ‘pietre’ » 14.

10
 Il quale aveva dedicato loro un paragrafo del suo lungo saggio sul Cavense: Teófilo
Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica de la Cava dei Tirreni, in « Estudios Biblicos », 14 (1955),
pp. 49-65, 137-190 e 355-414; 15 (1956), pp. 5-62: 14, pp. 365-377; un breve cenno anche a
15 (1956), p. 15.
11
  Elias Avery Lowe, The Codex Cavensis: New Light on its Later History, in Quantulacumque.
Studies presented to Kirsopp Lake, Christopher, London 1937, pp. 325-332, rist. in Lowe, Palaeo-
graphical Papers. 1907-1965, ed. Ludwig Bieler, I, Clarendon Press, Oxford 1972, pp. 335-341
e tavv. 55-57.
12
  Cherubini, La Bibbia di Danila, pp. 96-97: al periodo “salernitano” del manoscritto ho
attribuito in quell’occasione anche la presenza di un f minuscolo vergato accanto alla colonna
B di f. 207r, in corrispondenza di Tb 10, 1, la cui funzione non mi è tuttora chiara.
13
  Cherubini, La Bibbia di Danila, pp. 98-100.
14
  Ibid., pp. 101-102.
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 137

In tutto, le glosse in visigotica – quelle, cioè, che costituiscono il bagaglio


iniziale di commento costituito attorno al testo del Cavense in uno spazio di
tempo abbastanza ristretto, che probabilmente non oltrepassa la metà del
secolo IX o è immediatamente a ridosso di tale data – sono circa quattro-
centotrenta. L’incertezza è legata al fatto che talora, in particolare attorno al
testo di Michea ma anche a parti del Salterio iuxta Hebraicum che nel Cavense
segue il Nuovo Testamento 15, l’inchiostro è quasi del tutto svanito a causa di
ampie bagnature che hanno lasciato vistose macchie di umidità, al punto che
non soltanto non è facile riconoscere molte lettere, ma in alcuni casi non è
possibile stabilire con certezza se si tratti di una sola o di più d’una glossa.
Le note sono distribuite tra i singoli libri biblici (e i testi “extra-biblici” ad
essi premessi) nella maniera seguente 16:

Genesi 3 I Maccabei 4
Esodo 3 II Maccabei 1
Levitico 1 Atti degli Apostoli 111
Deuteronomio 3 Romani 17
I Samuele 2 I Corinti 6
Giobbe 5 II Corinti 1
Isaia 4 Efesini 1
Geremia 1 I Timoteo 1
Ezechiele 6 Ebrei 24
Daniele 2 I Pietro 22
Osea 1 II Pietro 9
20 (?)
Michea            I Giovanni 10
I Esdra 6 II Giovanni 1
II Esdra 7 III Giovanni 1
Ester 1 Apocalisse 41
Giuditta 1 Salmi [iuxta Hebraicum] 111

In totale, di tutte queste note ne sono state lette a tutt’oggi duecentotredici,


delle quali ben centosettantotto dal solo Teófilo Ayuso Marazuela più di mezzo
secolo fa, sebbene spesso con incertezze, imprecisioni e spesso senza sciogliere
i compendi, in particolare quelli dei nomina sacra, e tener conto del puntuale
sistema d’interpunzione utilizzato dal loro estensore; settantadue furono pub-
blicate nel 1958 da Pierre Salmon nel saggio sui tituli dei Salmi, ma di que-
ste sessantasette erano a loro volta edite nello studio dell’Ayuso Marazuela 17;

15
 Rispettivamente: ff. 186v-187r e ff. 290r-302v.
16
 Ma, tenendo conto di quanto appena scritto sulla non completa decifrabilità di alcune
note, è possibile che soprattutto in alcuni libri il calcolo potrà essere aggiornato in sede di
edizione.
17
  Pierre Salmon, Les «Tituli Psalmorum» des manuscrits latins, Abbaye Saint-Jérome – Libreria
Vaticana, Roma – Città del Vaticano 1959, pp. 100-113: ser. III [Collectanea Biblica Latina XII].
138 PAOLO CHERUBINI

soltanto due sono riportate in apparato all’edizione critica della Vulgata


dell’abbazia benedettina di S. Girolamo a Roma, una nel libro di Ezechiele,
l’altra in quello di Daniele 18; trentasei ne ho aggiunte nel mio saggio del
1999, delle quali ventisei erano già nel lavoro dell’Ayuso Marazuela e altre
dieci del tutto inedite e, infine, cinquantatré sono state lette ora da José
Antonio Valdés Gallego, trentaquattro delle quali già note da precedenti
studi 19. Per avere un quadro sommario del loro interesse, pur tenendo
conto che la trascrizione delle note è completa ma allo stesso tempo in
continua via di revisione per le difficoltà cui si è accennato, si tenga conto
che trentasei consistono in semplici rinvii generici a libri biblici diversi da
quello cui appartiene il brano cui si riferiscono, diciannove a ben precisi
salmi e uno ad un cantico del Deuteronomio 20; in un caso il glossatore fa
riferimento alla lettera di Giuda 21; trentanove consistono in una sola parola
(cinque volte si tratta della preposizione iux(ta), altre sono semplici varianti
al testo, magari con riferimento a una particolare tradizione biblica come
nel caso della glossa « corillibus », in pochi casi con funzione di meri nota-
bilia); tre iniziano con le parole nota o nota quod, due con hoc est e cinque
con idest; dieci sono introdotte dall’avverbio alibi (una volta nella variante
con aspirazione halibi) e in una sola occasione si legge il riferimento « in
lxx » 22; infine, in diciannove casi, tutti a margine dei Psalmi iuxta Hebrai-
cum, s’incontra l’espressione « In Gr(aeco) » per introdurre la variante dal
Salterio nella versione dei Settanta 23.

18
 Rispettivamente: Biblia sacra iuxta Latinam vulgatam versionem ad codicem fidem iussu Pauli
VI cura et studio monachorum abbatiae pontificiae Sancti Hieronymi in Urbe ordinis sancti
Benedicti edita, II. Liber Ezechielis ex interpretatione sancti Hieronymi cum prologo eiusdem et variis
capitulorum seriebus, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1978, p. 226 (a proposito della parola
« gazophilacia » in Ez 40, 17; cfr. Valdés Gallego, El texto, p. 81), e Biblia sacra iuxta Latinam
vulgatam versionem, XVI. Danihel, 1981, p. 10 (a proposito dell’espressione « in Agiografa » nel
prologo di s. Girolamo al libro).
19
 Nel saggio citato sopra, a nota 5.
20
 A sinistra della col. A di f. 258r, con riferimento a Rm 15, 10: « In Cantico Deutero-
nomii ».
21
 A f. 275v, tra le col. A e B, nella parte alta del foglio, con segno di richiamo su « huti
memores » di II Pt 3, 2: « Hoc et Iudas in epistola sua, era IIII memorat »: Ayuso Marazuela,
La Biblia visigótica, p. 370 e 374.
22
 A f. 187r: «In LXX habet domus ephrata modicus es ut sis in milibus Iude» con riferi-
mento a Mi 5, 1-2 (Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica, p. 366).
23
 Non è, però, convincente l’ipotesi del teologo spagnolo della metà del secolo scorso sulla
sostanziale equivalenza di significato tra le sigle che rinviano ad altro testo (alibi), alla lxx e
genericamente al testo Greco (In Greco), ipotesi sostenuta con determinazione in Teófilo Ayuso
Marazuela, Una importante colección de notas marginales de la “Vetus Latina Hispana”, in « Estudios
Biblicos », 9 (1950), pp. 329-376, quando lo studioso non aveva ancora lavorato sul manoscritto
cavense, e ripresa con decisione in Teófilo Ayuso Marazuela, La Vetus Latina Hispana. I,
Prolegomenos, Imprenta de Aldecoa, Madrid 1953, pp. 409-436, e in maniera più velata in
Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica.
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 139

Dal punto di vista del contenuto sono molti, e spesso assai diversi tra
loro, gli aspetti che emergono già da una loro prima lettura, in particolare
di quelle note che, alcune molto brevi e altre più estese, consistono in spie-
gazioni del passo biblico glossato. Si va da semplici segnalazioni dell’inizio
effettivo di un libro 24 o della presenza di un eventuale riepilogo della mate-
ria scritturale 25 a segnalazioni di utilizzo liturgico di un determinato brano 26.
In qualche caso sono fornite spiegazioni di natura storica, come quando, a
proposito dell’espressione « discipuli christiani » che si legge in Act 11, 26, il
glossatore scrive « Nota quod Antiochiae primum discipuli appellati sunt chri-
stiani » 27 oppure quando, accanto al brano degli Atti degli Apostoli in cui Paolo
esorta Barnaba a visitare le comunità nelle quali in precedenza insieme ave-
vano predicato la Parola di Dio, egli annota « Inc consuetudo horta dioceses
visitandi » 28 o quando, infine, riprende le parole di I Mcc 8,1 – « et audivit
Iudas nomen Romanorum quia sunt potentes virtutibus » – evidenzia a margi-
ne: « De Romanorum virtute » 29. Le glosse più lunghe e articolate sono, però,
quelle d’interesse per così dire “teologico”: una è di carattere escatologico e
si trova accanto al discorso con cui Pietro negli Atti degli Apostoli riferisce tra
l’altro le parole di Gioele sugli avvenimenti degli ultimi giorni 30; poche sono
relative allo Spirito Santo, come quella che spiega distesamente il versetto
che precede di poco le parole di Pietro, dove se ne narra la discesa sugli
Apostoli con le parole « et factus est repente de caelo sonus tamquam adve-
nientis spiritus vehementis et replevit totam domum ubi erant sedentes » 31.

24
 Così ad esempio a f. 197r, tra le col. A e B (II Esr 1, 1): « Hic secundus liber incipit »
(Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica, p. 372; Valdés Gallego, El texto, p. 80) o a f. 211r, a
destra della col. C (I Mcc 9, 23), parzialmente perduta con la rifilatura del margine esterno:
« Explicit Macchab[eorum] liber primus [secun]dum quosdam incipit liber secundus » (Cherubini,
La Bibbia di Danila, p. 101).
25
 A f. 198r, tra le col. A e B (II Esr 7, 6): « Recapitulatio libri primi » (Ayuso Marazuela, La
Biblia visigótica, p. 372; cfr. Cherubini, La Bibbia di Danila, p. 103, e Valdés Gallego, El texto, p. 80).
26
 Accanto a I Esr 10, 9, f. 196v, tra le col. B e C, si legge, ad esempio: « Letanie nobembris
mensis » (Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica, p. 370 e 372; cfr. anche Cherubini, La Bibbia di
Danila, p. 98 e nota 93, e Valdés Gallego, El texto, p. 81).
27
 Tra col. A e B di f. 281r, a circa due terzi dell’altezza: Valdés Gallego, El texto, p. 81.
28
 Ad Act 15, 36, f. 282r, nel margine interno verso la fine della pagina. Qui e in seguito,
al fine di evitare un fastidioso ricorso a ripetitive note di commento del tipo ‹così nel testo›, mi
limiterò in questa sede a fornire la trascrizione delle glosse senza un apposito apparato di com-
mento che avverta il lettore delle varie soluzioni grafiche che caratterizzano la grafia visigotica, a
cominciare dall’uso improprio dell’aspirazione e quello della i- prostetica; per questi fenomeni,
tipici dell’ortografia spagnola v. Paolo Cherubini, Alessandro Pratesi, Paleografia latina. L’avven-
tura grafica del mondo occidentale, Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, Città
del Vaticano 2010, p. 234 [Littera Antiqua 16].
29
 Tra le coll. A e B di f. 211r; cfr. Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica, p. 372; Valdés
Gallego, El texto, p. 80.
30
 Ad Act 2, 19, nel margine esterno di f. 278v.
31
 Act 2, 2 con richiamo su «advenientis», f. 278v, tra le coll. A e B, nella parte alta del foglio.
140 PAOLO CHERUBINI

La stragrande maggioranza, diffusa in diversi libri biblici ma soprattutto del


Nuovo Testamento, ha, però, natura dichiaratamente cristologica e in alcuni
casi coinvolge direttamente le eresie ariana – e prima di tutto l’eresiarca in
persona, con parole come « Et Arrius eum praedicat creaturam », « Et Arrius
dicit: non est verus filius » 32 (ma in alcuni casi il rinvio è sfumato e generico,
come quando il glossatore scrive « Audiat hoc Arrianus et ceteri ») 33 – e ma-
nichea: quest’ultima in un solo caso, ancora una volta posto a margine degli
Atti, quando scrive: « Vir qui dicitur homo esse ostenditur. Frustra ergo Mani-
cheus Christum putat fuisse fantasmaticum » 34; due note, infine, condannano
l’ostinazione dei miseri Iudei a non voler riconoscere la divinità del Cristo 35.
Alcune altre sembrano rinviare, piuttosto, a situazioni ecclesiali o dottri-
narie storicamente vicine a chi scrive, e forse potrebbero farci intravedere
qualcosa della personalità dell’estensore e dell’ambiente in cui è inserito.
Se, infatti, la glossa riportata accanto al versetto della I Pt 2, 25, là dove
l’apostolo esorta i « servi subditi » a riconoscere che « conversi estis nunc ad
pastorem et episcopum animarum vestrarum », si limita a spiegare l’origine
del significato della parola episcopus: « Audiant ępiscopi de cuius episcopi
vocabulo hoc sortiti sunt nomen » 36, sembra, purtuttavia, di cogliere nell’e-
sortazione con cui essa si apre una sorta di richiamo, quasi un monito
non troppo celato ai presuli suoi contemporanei. È un’impressione che si
fa ancora più forte leggendo altri interventi, ad esempio a margine delle
parole pronunciate da Pietro in occasione della guarigione dello storpio di
Gerusalemme – « argentum et aurum non est mihi, quod autem habeo hoc
tibi do » – allorché il nostro glossatore scrive: « Ergo qui argentum et aurum
abet, talia cum Petro et Iohanne non potest hoperari: audiant haec cupidi
sacerdotes » 37. Poco oltre, commentando un altro passo degli Atti, dove si
narra in qual modo gli apostoli, già condotti dinanzi al sinedrio, vengano

32
 Rispettivamente I Io 5, 5 con segno di chiamata su « credit quia Iesus », e I Io 5, 20 con
segno di richiamo a « in vero », entrambe a f. 276v, nel margine esterno (sinistro) e tra col. A
e B, nella parta alta del foglio: Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica, p. 368 e 374 (la prima),
369 (la seconda); cfr. Cherubini, La Bibbia di Danila, pp. 103 e 105 nota 130; Valdés Gallego,
El texto, p. 82.
33
 I Io 5, 8 (che nel Cavense si presenta con sensibili varianti), f. 276v, nel margine ester-
no (sinistro): Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica, pp. 369 e 374; cfr. Cherubini, La Bibbia di
Danila, p. 105 nota 130; Valdés Gallego, El texto, p. 82, che legge erroneamente « audiant hoc
Arriani et ceteri ».
34
 Accanto ad Act 2, 22 (f. 278v): Cherubini, La Bibbia di Danila, p. 105 nota 130; curio-
samente proprio questo genere di note è in grandissima parte ignorato dall’Ayuso Marazuela.
35
 Ad Act 13, 47, nel margine interno di f. 281v in fondo alla pagina (Ayuso Marazuela,
La Biblia visigótica, p. 369, ma con rinvio ad Act 13, 36, e Valdés Gallego, El texto, p. 82), ad
Act 22, 22, tra le col. B e C a circa un terzo dell’altezza di f. 283v.
36
 Tra le coll. A e B di 274v, in fondo alla pagina: Ayuso Marazuela, La Biblia visigótica,
p. 373.
37
 Act 3, 6, f. 278v, tra le coll. B e C nella parte alta del foglio con segno di richiamo su
« argentum » (la nota è edita ora da Valdés Gallego, El texto, p. 82).
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 141

rilasciati a seguito delle parole di Gamaliele non prima di essere stati fu-
stigati e ammoniti a non predicare più la parola del Signore, a proposito
delle parole con cui si chiude l’episodio – « et illi quidem ibant gaudentes a
conspectu concilii, quoniam digni habiti sunt pro nomine Iesu contumeliam
pati, omni autem die in templo et circa domos non cessabant docentes et
evangelizantes Christum Iesum » – egli annota: « Audiant haec nostri temporis
sacerdotes » 38, con un richiamo ai suoi giorni che potrebbe forse riferirsi a
quanto era di recente accaduto nella Chiesa di Toledo. Alla metà del secolo
IX doveva essere ancora fresco il ricordo della condanna di quelle frange
residuali di adozionismo con cui Elipando e i suoi seguaci avevano in qual-
che modo cercato di ammorbidire la persecuzione islamica, un’eresia della
sede episcopale spagnola che era stata fortemente osteggiata da Roma (con
richiami dei pontefici Leone III e Adriano I), dalla Francia (con l’intervento
diretto di Carlo Magno) e nel regno delle Asturie dalle nette prese di posi-
zione dell’ormai anziano Beato di Liébana che in essa indicava la causa che
aveva portato alla caduta della capitale e, di conseguenza, all’affermarsi di
Oviedo come nuova guida del regno visigoto 39.
Ma c’è un altro fragoroso richiamo alla situazione contemporanea che
non passa inosservato: le parole poste accanto al racconto dell’episodio di
Simon Mago – « Audiant haec qui nostra etate vendunt aut conparant cleri-
catum » – alludono senza alcun dubbio a situazioni che il glossatore sembra
conoscere bene, e non escludo che il deciso invito con cui egli denuncia la
compravendita del chiericato possa lasciare intravedere l’animosità tipica di
un monaco nei confronti del clero e delle gerarchie secolari 40. Infine, il tono
sembra essere solo in apparenza più indulgente (ma nello stesso tempo pare
quasi confermare l’impressione di una sotterranea ma consolidata ostilità
verso vescovi e preti) nel commento a quel brano degli Atti in cui Paolo, ac-
comiatandosi dalla comunità di Efeso, ne esorta i presbiteri a prendersi cura
con attenzione del loro gregge: « Queso hut haec verba diligenter audiant
sacerdotes » 41. Va detto anche che in un unico caso è presente un’aggiunta

38
 Act 5, 42, 279v, nel margine esterno, alla sinistra della col. A, all’incirca alla metà della
pagina, con segno di richiamo su « Omni autem » (anche questa nota è stata letta soltanto, re-
centemente, da Valdés Gallego, El texto, p. 82).
39
 Mi permetto di rinviare per questo a Cherubini, La Bibbia di Danila, p. 126.
40
 Act 8, 20, f. 280r, tra le coll. A e B a un terzo circa dall’alto con segno di richiamo
su « pecunia » (questa nota, al pari della successiva, è anch’essa riferita qui per la prima volta).
41
 Act 20, 28, nel margine esterno di f. 283r con segno di chiamata su « adtendite ». A
proposito di questo richiamo a episcopi e presbyteri, lascia perplessi l’interpretazione dell’Ayuso
Marazuela (La Biblia visigótica, p. 370) secondo il quale mostrerebbero carattere liturgico un esi-
guo numero di glosse, alcune consistenti in semplici notabilia altre in brevi frasi che si limitano
a richiamare quanto scritto nel testo, addirittura con l’idea che la Bibbia « debió servir algún
tiempo de libro de lectura en Coro »; lo studioso spagnolo porta ad esempio una glossa a Ex
3, 2 a f. 14v, altre sette a I Esr (rispettivamente: 2, 36; 2, 40; 2, 43; 3, 1; 3, 8; 10, 9), tutte a
f. 195r, tranne l’ultima che si legge a f. 196v.
142 PAOLO CHERUBINI

interlineare che, a voler essere perfino esageratamente puntuali, potrebbe


far pensare a copia da una nota esistente su altro manoscritto; ma si tratta
comunque di un caso isolato 42.
Una glossa, infine, più di tutte le altre mette in luce un aspetto relativo
alla preparazione culturale e alle letture del nostro glossatore che merita
certamente di essere chiarito in futuro. A margine del discorso di Paolo
all’Areopago, al momento di introdurre il verso dei Phaenomena di Arato che
l’Apostolo cita implicitamente con la frase « ipsius enim et genus sumus » per
affermare di fronte agli Ateniesi che Dio non è lontano da noi, dal momento
che in esso viviamo, ci muoviamo ed esistiamo “poiché di lui anche noi sia-
mo stirpe” 43, citazione che Paolo genericamente riferisce ad “alcuni dei vostri
poeti”, egli scrive sorprendentemente: « Quendam Haratum nomine ipsorum
poeta ex testem in hoc versiculo vocat, qui est clausola versus /rohici » 44. Non
soltanto, dunque, mostra di sapere chi è l’autore (rimasto anonimo nel testo di
s. Luca) del breve passo poetico, ma giunge a indicare correttamente quest’ul-
timo come emistichio di un verso eroico, perché con ogni probabilità egli – o
meglio, la fonte da cui trae quest’informazione – ne conosce l’originale greco
che nella forma originale riprodotta nella versione greca della Bibbia, costi-
tuisce per l’appunto il primo emistichio di un esametro dattilico inciso – come
mi fa notare Paolo D’Alessandro – dalla cesura del terzo trocheo: « tou gavr
kai genovò ejsmen » 45. Il dato è di grande interesse, in primo luogo se si tiene

42
 A f. 286v, nella frase « Bene ait ipsorum, quia in gloria Patris et in gloria sua veniet »
con cui è commentato Apc 6, 17 con segno di richiamo su « irae ipsorum », in è aggiunto sopra
la g- di gloria.
43
 Seguo qui il testo della nuova Bibbia CEI – Editio princeps, Libreria Editrice Vaticana,
Città del Vaticano 2008.
44
 Act 17, 28, nel margine esterno della parte inferiore di f. 282v, con segno di richiamo
sulla parola « sicuti ».
45
 A partire da Clemente Alessandrino (StromateÔò I, 91, 5) tutti gli autori greci sono
concordi nell’assegnare al poeta di Soli la citazione di Paolo: v., da ultimo, Michel Gourgues,
O. P., La littérature profane dans le discours d’Athènes (AC 17, 16-31): un dossier fermé?, in « Revue
biblique », 109 (2002), pp. 241-269 [in spagnolo con il titolo La literatura profana en el discurso
de Athenas, in « Anámnesis », 13/2 (2003), pp. 15-45], in particolare le pp. 247-249, dove si ac-
cenna anche alla possibilità, peraltro alquanto remota, che con l’accenno ai «quidam vestrum
poetarum» Paolo potrebbe far riferimento, oltre al poeta suo corregionario (Soli come Tarso
è in Cilicia), al poeta Cleante che all’inizio dell’Inno a Zeus si esprime in termini pressoché
identici (« ejk so™ gaVr gevnoò ejsmevn »). Al contrario, non ho trovato mai effettuato esplicitamente
questo collegamento nei Padri e negli altri autori latini, neppure in coloro che mostrano di
conoscere quanto meno la traduzione dell’opera di Arato: cfr. Pierre Courcelle, Les lettres grec-
ques en occident de Macrobe à Cassiodore, nouv. édit. revue et augmentée, De Boccard, Paris 1948
[Bibliothèque des Écoles françaises d’Athènes et de Roma 159], pp. 48-49 e 51 (a proposito di
s. Girolamo), 132 (per Paolino di Nola), 155 (per s. Agostino), 244 (per Sidonio Apollinare) e,
infine, 251 (a proposito di Venanzio Fortunato). Tra l’altro, nel caso di Agostino, la citazione
attribuita da Paolo ai poeti pagani è alquanto confusa ed erroneamente riferita al versetto pre-
cedente quello che contiene il verso di Arato: « Et dixisti Atheniensibus per Apostolum tuum,
quod in te v i v i m u s e t m o v e m u r e t s u m u s , s i c u t e t q u i d a m secundum
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 143

conto del fatto che il discorso di Paolo all’Areopago fu oggetto di conti-


nue riflessioni tra II e inizio V secolo dal momento che esso, al di là della
questione della fede nella resurrezione, da una parte costituiva un modello
di contrapposizione assai utile nella dialettica teologica tra ortodossia e ete-
rodossia, dall’altra implicava più in generale il tema sempre attuale e assai
sentito già nel cristianesimo delle origini dell’evangelizzazione dei popoli e
dell’incontro del messaggio cristiano con le culture pagane, in questo caso
con le filosofie epicurea e stoica. Esso fu perciò preso in esame e commen-
tato da Origene nella sua invettiva contro Celso; da Tertulliano a proposito
di certe posizioni gnostiche e da Gregorio di Nissa nella spiegazione, alla
sorella Macrina, delle tesi platoniche del Fedone, ma anche nella disputa
contro gli Eunomiani (i cosiddetti “neo-Ariani”); da Basilio di Cesarea contro
Eunomio; da s. Agostino in più occasioni (contro Vincenzo Vittore e Pela-
gio, contro Cresconio e i Donatisti). Di esso avevano trattato, poi, Clemente
Alessandrino a proposito del “Dio sconosciuto” degli Ateniesi e s. Ambrogio
nella controversia relativa all’altare della Vittoria per cui nell’anno 383 aveva
avuto una disputa con il prefetto Simmaco; vi aveva fatto cenno s. Girolamo
nel commento alla Lettera a Tito per ricordare l’abitudine di Paolo a citare
poeti pagani (oltre ad Arato, Menandro ed Epimenide) e, soprattutto, gli
aveva dedicato una specifica omelia s. Giovanni Crisostomo 46. Ciononostante,
non esiste, però, brano dei Padri latini che lo metta in relazione con il passo
degli Atti: non vi accenna minimamente neanche Beda, che pure fu il solo
a dedicare agli Atti degli Apostoli un commento, una retractatio e un indice
dei nomi geografici in essi citati 47. In secondo luogo, non si ha notizia a
tutt’oggi di una conoscenza così precisa della Bibbia greca in area asturiana
in questo periodo (una conoscenza che si manifesta comunque soltanto in
altre pochissime occasioni) 48, la quale rivela comunque un atteggiamento

eos d i x e r u n t , et utique inde erant illi libri » (Augustinus, Civ., VII, 9, 15). Infine, Arato
era noto in Spagna quanto meno a Isidoro di Siviglia (Jacques Fontaine, Isidore de Seville et la
culture classique dans l’Espagne wisigothique, Études Augustiniennes, Paris, 1959, II, pp. 577-578).
46
 V., per tutto questo, Michael Friedrowicz, Die Rezeption und Interpretation der paulinischen
Areopag-Rede in der patristischen Theologie, in « Trierer Theologische Zeitschrift », 111 (2002), pp. 85-
105; le pp. 98-99, in particolare, sono dedicate alla citazione di Arato.
47
 Rispettivamente la Super Acta Apostolorum expositio, il Libellus retractationis in Actus Apostolo-
rum e i Nomina regionum seu locorum de Actibus Apostolorum. D’altronde, Arato non è menzionato
neanche nelle Complectiones in Epistulas Apostolorum, Actuum Apostolorum et Apocalypsis Ioannis di
Cassiodoro, nel Commentarium in Novum Testamentum attribuito dalla Patrologia latina a tal Lucu-
lenzio, nelle Questiones de veteri et novo Testamento di s. Isidoro; infine, Aratore riporta il verso
degli Atti ma non cita il poeta greco (Historia Apostolica, II, 461).
48
 Sostanzialmente accanto ai Salmi (le diciannove varianti di cui si è detto sopra, nel testo
relativo alla nota 20) e soltanto in altre due occasioni, entrambe accanto agli Atti, la prima in
una traduzione della parola « Penthecostes » ad Act 2, 1 (f. 278v), la seconda per spiegare il
significato del termine « Heresis » ad Act 24, 14 (f. 284r). Si tenga presente, peraltro, che (come
accennerò tra poco) non è del tutto certa l’identificazione della mano che scrive accanto al
Salterio mozarabico con quella del glossatore principale.
144 PAOLO CHERUBINI

erudito di livello assai elevato e ricorda la notevole preparazione filologica


che, come ho detto in precedenza, portò colui che ho definito il “glossatore
anziano” a spiegare la glossa « corillibus » mediante il ricorso al testo ebraico.
In realtà, il nostro attento glossatore, con un’iniziativa del tutto autonoma,
non fa altro che collocare al posto che le compete una frase inserita in un
più ampio brano della lettera di s. Girolamo a Magno, oratore a Roma, nel
quale il santo di Stridone spiega l’uso dei versi in s. Paolo e la trasposizione
della metrica dei Greci in contesti prosastici latini, un brano di cui peraltro
utilizza l’espressione « Martis curia » per illustrare un altro passo degli Atti
(Act 17, 22) in cui è citato l’Areopago per spiegare che « Ariopagus locus
erat celeberrimus in urbe Atheniensium et interpretatur nomen iudicii con-
stitutum, qui locus ab ipsis appellabatur Martis curia » 49:
« sed et Paulus apostolus Epimenidis poetae abusus versiculo est scribens ad
Titum: “Cretenses semper mendaces, malae bestiae, ventres pigri”. cuius heroici
hemistichium postea Callimachus usurpavit. nec mirum, si apud Latinos metrum
non servet ad verbum expressa translatio, cum Homerus eadem lingua versus
in prosam vim cohaereat. in alia quoque epistula Menandri ponit senarium:
“corrumpunt mores bonos confabulationes pessimae”. et apud Athenienses in
Martis curia disputans Aratum testem vocat: “ipsius enim et genus sumus”, quod
Graece dicitur: to™ gaVr kaiV gevnoò ejsmevn et est clausula versus heroici ».

Si tratta di un’operazione esegetica alquanto raffinata, di cui non mi


pare se ne conosca una analoga, la quale ci pone di fronte a un ulteriore
domanda, alla quale al momento non sono in grado di rispondere: che
conoscenza si aveva dell’epistolario geronimiano nelle Asturie della prima
metà del IX secolo?
Per quanto concerne l’aspetto grafico, vanno fatte alcune osservazioni
finali che possono fornire indicazioni utili a inquadrare meglio il nostro glos-
satore: collocazione, inchiostro usato, segni di richiamo e aspetto con cui le
glosse si presentano sulla pagina, infatti, non sono sempre uniformi, al punto
da far sospettare che, nonostante la generale somiglianza di scrittura, esse
siano in realtà opera di più di un lettore. Ogni nota è collocata in linea di
massima nel margine sinistro del brano cui si riferisce e, salvo alcuni pochi
casi in cui viene data loro una disposizione a forma di piramide rovesciata,
presentano un normale incolonnamento più o meno ampio a seconda che
occupino i due margini laterali (molto ampi) oppure i due intercolonnari
(notevolmente più stretti), eventualmente con l’ultimo rigo più breve e giu-
stificato a destra invece che a sinistra, abbellito da segni decorativi che scen-
dono in verticale sotto l’ultima lettera. In alcuni casi, come ad esempio nel

49
  Sancti Eusebii Hieronymi Epistulae, rec. Isidorus Hilberg, I, Tempsky – Freytag, Vienna –
Lipsia 1910, pp. 700-708 [Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum LIV], ep. LXX, ad
Magnum. Oratorem urbis Romae, in particolare pp. 701-702.
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 145

libro di Michea, il glossatore non ha trovato sufficiente lo spazio marginale


a sua disposizione o ha accumulato note su parole molto vicine di un me-
desimo brano, e questo fa sì che il suo commento s’insinui all’interno delle
righe del testo biblico: poiché in questo caso è stato usato un inchiostro di
tonalità molto chiara, la differenza è subito evidente. In un solo caso la nota
è disposta obliquamente rispetto alle linee rettrici e con forma a piramide
rovesciata 50; si tratta certamente di una soluzione del tutto atipica (non mi è
mai capitato d’incontrarla in manoscritti con glossa o commento e non solo
d’argomento biblico), di cui ho trovato al momento corrispettivo unicamente
in area spagnola: è stata evidenziata da Isabel Velázquez in alcune ardesie
della fine del secolo VI i cui testi la studiosa spagnola pone in relazione con
ambienti monastici della Meseta Centrale, nelle quali le sottoscrizioni dei te-
stimoni sono talora disposte sulla medesima faccia del supporto lungo linee
traversali rispetto al testo principale 51; non credo, però, che si possa andare
oltre il pur suggestivo accostamento né trovare analogie più consistenti, no-
nostante la relativa vicinanza tra le Asturie e il luogo di rinvenimento delle
lastre in questione.
L’inchiostro non ha sempre la stessa tonalità: a parte due note vergate in
colore rosso, poste l’una sotto l’altra accanto al Prologo di Daniele (che spiega-
no a quali libri rinviino le espressioni « in legem » e « in agiografa » 52), tutte le
altre sono in un bruno talora di tonalità scura come nella scrittura del testo,
tal altra invece tendente all’ocra e in alcuni casi di tonalità decisamente chia-
ra. Se si confronta la diversità dell’inchiostro con alcune peculiarità grafiche,
sembrerebbe di poter intravedere una distinzione di usi e di mani differenti:
ad esempio, mentre il glossatore che utilizza l’inchiostro più chiaro non im-
piega mai segni d’interpunzione, questi ultimi sono impiegati con regolarità
e appropriatezza dal glossatore che scrive con inchiostro più scuro. Anche
la forma della A maiuscola (ad esempio nella parola Aeclesia con cui iniziano
alcune note ai Salmi) sembrerebbe divergere da una mano all’altra (dal mo-
dello della capitale libraria privo di traversa alla forma onciale con foglietta
tondeggiante o appuntita), senza contare che anche il rapporto tra nucleo
delle lettere e aste non è sempre costante; ma per questo ed altri aspetti
specifici, occorrerà un’analisi puntuale e completa di tutte le note, per la
quale rinvio alla loro edizione. I segni utilizzati come richiamo al testo sono
molteplici e anch’essi potrebbero far riconoscere usi specifici di un glossatore
rispetto ad un altro: alcune note ad esempio sono contraddistinte da lettere

50
 A f. 292r nel commentare Ps 21, 2 con segno di richiamo su « Deus, Deus »: cfr. Ayuso
Marazuela, La Biblia visigótica, che la pubblica due volte, a p. 366 con non poche inesattezze
e a p. 375.
51
  Isabel Velázquez, Ardesie scritte di epoca visigota. Nuove prospettive sulla cultura e la scrittura,
in Die Privaturkunden der Karolingerzeit, hrsg. von Peter Erhart, Karl Heidecker, Bernhard Zeller,
Urs Graf, Dietikon-Zürich 2009, pp. 31-45, in particolare le pp. 35-36.
52
 Tra col. B e C di f. 177r; cfr. anche, sopra, la nota 16.
146 PAOLO CHERUBINI

dell’alfabeto greco maiuscolo e ciò accade soltanto in alcuni libri biblici e,


di nuovo, in corrispondenza di una tonalità d’inchiostro più tenue. In alcuni
casi, a cominciare dai libri del Nuovo Testamento, la nota è preceduta da un
segno costituito da tre punti posti uno sopra l’altro e in due occasioni da una
grande T maiuscola di tipo visigotico con il caratteristico ricciolo alla sinistra
dell’asta 53, senza che di tali segni siano al momento chiari, in entrambe le
situazioni, funzione e significato.
La grafia usata dal glossatore (o dai glossatori) è molto simile a quella di
Danila e del suo collaboratore e farebbe pensare a una datazione abbastanza
vicina a quella del testo. È quasi del tutto uguale la morfologia delle lettere,
che s’inquadra nel periodo più antico della visigotica: il repertorio di abbre-
viazioni è grosso modo quello consolidato alle soglie del IX secolo, e così
l’uso di scrivere la u al di sopra delle lettere tr e ts finali per le desinenze
-tur e -tus; sono identici possibili indicatori cronologici quali la totale assen-
za di diversità di segni per esprimere i diversi suoni del gruppo ti seguito
o meno da vocale; anche nell’uso della punteggiatura, regolarissimo e del
tutto appropriato nella maggior parte delle note, si riscontrano abitudini che
caratterizzano anche il testo biblico. Rispetto alla minuscola del testo, però,
vi sono alcune differenze significative: innanzi tutto, la r non lega mai nella
maniera che è tipica della scrittura asturiana, con innalzamento del secondo
tratto al di sopra del binario centrale allorché precede c, m, n e r 54, sebbene
anche nelle glosse essa s’incontri talora di forma ‘rialzata’ (ma con secondo
tratto disposto sempre ad angolo con il primo e mai rotondeggiante in alto)
quando è in legamento con m e con n 55; inoltre, sono rare, ma non del tutto
assenti, sia la a ‘verticalizzata’ sia la I alta e biforcuta (simile a Y) che s’incon-
tra quasi sempre ad esempio nella parola IsaYa 56; per la desinenza -or(um),
poi, in particolare in alcune note sulla cui appartenenza a una medesima
mano non sembrano esserci dubbi, accanto alla successione di o e r staccate
(la seconda con tratto finale allungato verso il basso e tagliato dal segno ab-
breviativo) 57, compare anche uno (pseudo)nesso oR in cui la R (questa volta
di forma maiuscola) è munita dell’intera asta, che costituisce anche gran

53
 A f. 174v, accanto a Ez 40, 17, e a f. 175r, accanto a Ez 41,18.
54
  Cherubini, Pratesi, Paleografia latina, pp. 245-246 e fig. 10a-c.
55
 A f. 276v nella parola « permanent » della glossa a II Io 1, 9, dove la lettera non sale
quando (per due volte) entra in legamento con e; a f. 278r nella parola «carnem» della glossa
ad Act 3, 13, dove non lega dall’alto quando è seguita da a; a f. 280v nella parola « carnis » della
glossa ad Act 10, 6, dove a sua volta lega dal basso con i seguente.
56
 Una a verticalizzata è alla fine della parola « divinitas » della glossa ad Act 3, 20 a f. 278v;
il primo caso di I alta e biforcuta s’incontra a f. 262r nella glossa a II Cor 6, 2; su questo fe-
nomeno, che caratterizza la visigotica già in età molto antica v. Cherubini, Pratesi, Paleografia
latina, pp. 235-236.
57
 V., ad esempio, la glossa a f. 151v, a proposito di Is 45, 5, in analogia alla desinenza
-er(um) che si vede nella glossa a f. 175r citata alla nota 53.
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 147

parte della curva di destra della o 58, grafema che s’incontra normalmente
in forme corsive antiche della visigotica. Soprattutto, in ben quattro casi,
tutti molto vicini tra loro e verosimilmente riconducibili ad unico glossatore,
incontriamo un fenomeno che contrasta apparentemente con l’impianto ri-
gidamente visigotico della scrittura: per scrivere la sillaba p(er) l’annotatore
usa la p con taglio perpendicolare all’asta secondo l’uso continentale al posto
della tipica nota spagnola con segno disposto obliquamente sotto il rigo di
scrittura alla sinistra dell’occhiello 59.
Se si tiene conto che la sillaba per ricorre, nell’intero complesso delle
note, ottantasette volte e che, se si escludono le quattro in questione, nelle
restanti essa è sempre scritta per esteso, il fatto costituisce senz’altro una
anomalia di qualche interesse, alla quale credo si può dare una delle seguen-
ti spiegazioni: a) le note sono molto antiche, appartengono cioè ad una fase
in cui ancora non si era passati ovunque dalla primitiva forma dell’antica
nota iuris alla tipica abbreviazione visigotica, come già ipotizzava Agustín
Millares Carlo sulla base di precedenti considerazioni di Charles Upson
Clark 60: l’ipotesi potrebbe trovare parziale conferma nel fatto che anche nel
testo compare una volta (l’unica, se non ho visto male) la medesima nota iuris
nella sua forma originaria con segno abbreviativo disposto orizzontalmente 61;
b) il glossatore è d’origina catalana; proviene, cioè, da quell’area orientale
della Penisola, a ridosso dei Pirenei, che, dopo la conquista franca e la sua
costituzione in Marca Hispanica, subì un forte influsso da parte della scrittu-
ra carolina: in questo caso, però, gli elementi cronologici non risulterebbero
del tutto armonizzati, in quanto sembrerebbe che fino al IX secolo in quella
regione si sia continuato a scrivere in visigotica e che l’influsso carolino si
sia cominciato a far sentire verso la fine del secolo, quando le nostre glosse
erano state verosimilmente già scritte 62; c) lo scrivente è uno spagnolo (di
buone conoscenze e abile calligrafo) che, forse costretto da qualche motivo

58
 Cfr. i ff. 278r: « eor(um) » (ad Act 2, 2); 281v: « s(an)c(t)or(um) » (ad Act 14, 13); 282r:
« apostolor(um) » (ad Act 16, 6); 282v: « ipsor(um) » (ad Act 17, 28, la glossa su Arato).
59
 Rispettivamente ai ff. 279r: « p(er) angelum » nella glossa ad Act 3, 13; f. 286v: « p(er) loca »
ad Apc 6, 4; f. 293r: « p(er)sona » in corrispondenza con l’inizio di Ps 29; f. 295r: « p(er)sona »
in corrispondenza con l’inizio di Ps 48.
60
  Agustín Millares Carlo, Tratado de paleografía española, con la colaboración de José Manuel
Ruiz Asencio, Espasa-Calpe, Madrid 1983, I, pp. 88-98 (testo relativo alla fig. 59). È possibile
verificare l’affermazione anche in schede di codici in visigotica pubblicati nei CLA, in particolare
CLA V, 677, BNF, Nouv. acq. lat. 260: Cassiano, De coenobiorum institutis, secolo VIII-IX; CLA XI,
1630, Esc, P. I. 8: Isidoro, Etymologiae, secolo VIII-IX (prima dell’812); CLA XI, 1638, BNM,
Vitr. 14-3 (già Toletanus 15. 8): Isidoro, Etymologiae, secolo VIII-IX; CLA XI, 1654, CUL, Plimpton
27: Liber Iosue, secolo VIII-IX.
61
 In « perpetuum » a f. 186v, col. C rigo 5: « a parvulis earum tulistis laudem meam in
perpetuum » (Mi 2,9).
62
 Per un riassunto delle vicende grafiche che caratterizzarono la Marca Hispanica cfr.
Cherubini, Pratesi, Paleografia latina, pp. 252-254.
148 PAOLO CHERUBINI

facilmente intuibile a rifugiarsi in Francia, si trova a lavorare abitualmente


a contatto con persone di cultura grafica carolina del cui uso abbreviativo si
è impratichito, in particolare proprio per quanto riguarda la sillaba p(er) la
quale, scritta secondo la tecnica compendiaria d’area iberica, nel suo nuovo
contesto poteva essere scambiato per p(ro) che gli scribi visigotici scrivono in-
vece per esteso; tornato in un secondo momento nella sua terra, ad Oviedo,
dove ha letto e glossato il codice scritto da Danila, ha continuato a usarlo.
Quest’ultima spiegazione (che peraltro non esclude affatto la prima) mi
pare la più convincente: tiene conto, tra l’altro, di un’osservazione che, più
di dieci anni or sono, fece dom Jean Mallet suggerendomi di procedere
con estrema cautela nel marcare per questo periodo le distanze tra le due
aree geografiche in questione e lasciando intendere che talora anche dietro
una scrittura carolina può intravedersi l’influenza di un modello visigotico
(e viceversa, mi permetto di aggiungere) 63. Ovviamente, il pensiero corre
ai tanti esuli che lasciarono la Spagna a causa delle persecuzioni islamiche
della fine dell’VIII e del IX secolo, in particolare, per quanto riguarda la
situazione ovetense: personaggi come Teodulfo d’Orleans o il monaco Vin-
cenzo del Toribio, confratello di Beato di Liébana che nell’anno 800 si recò
a S. Martino di Tours secondo quanto narra Alcuino 64. Per quanto concerne
Teodulfo, però, un paio di considerazioni indurrebbero a escluderne l’iden-
tificazione: in primo luogo, le glosse che il dotto presule visigoto collabo-
ratore di Carlo Magno appose, parrebbe di propria mano, ai manoscritti
biblici da lui fatti copiare nello scriptorium di Micy, sebbene anch’esse in una
microscrittura che ricorda tanto da vicino quella usata nel cavense, sono in
una perfetta carolina delle origini 65; in secondo luogo, nell’unico caso in cui
Teodulfo ha occasione di riportare in forma letterale il brano del discorso
all’Areopago di Atene di cui si è parlato a proposito dell’identificazione con
Arato, anch’egli, al pari dei Padri latini che lo avevano preceduto, mostra
chiaramente di non conoscere l’autore del verso citato da s. Paolo 66. Lungi,
quindi, dall’aver svelato l’identità del glossatore (o di uno dei glossatori nel
caso venisse confermata l’attività di più persone), resta il profilo culturale di
un lettore capace di eseguire confronti e verifiche sul testo greco e con ogni

63
 Ho riportato il passo della lettera inviatami da Jean Mallet in Cherubini, La Bibbia di
Danila, p. 103 nota 120.
64
 Per quest’ultimo mi permetto di rinviare a Cherubini, La Bibbia di Danila, testo relativo
alla nota 18; un cenno è anche in John C. Cavadini, The Last Christology of the West. Adoptionism
in Spain and Gaul, 785-820, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1993, p. 166 nota 1
[Middle Ages Series].
65
 È quanto al momento ho potuto constatare di persona per quanto riguarda le note
presenti sui margini del BNF, Lat. 9380.
66
  Opus Caroli regis contra Synodum (Libri Carolini), hrsg. von Ann Freeman unter Mitwirkung
von Paul Meyvaert, Hahn, Hannover 1998, in MGH, II. Supplementum, c. 17, pp. 138 v. 30 – 139
v. 1: «sicut Apostolus confirmat, quod ‘in eo vivimus, movemur et sumus’».
le glosse latine antiche alla bibbia di cava 149

probabilità su testimoni diversi dalla Vulgata, senza con questo voler ripro-
porre l’esistenza di una presunta Vetus Hispanica cara all’Ayuso Marazuela
ma che poco convinse i Benedettini di S. Girolamo 67. Forse è un monaco,
attento alla realtà ecclesiale e politica del suo tempo e sensibile anche ad
ambiti inusuali nei commenti latini (ad esempio la poesia greca) e capace
di stabilire un collegamento erudito tra il verso paolino e il poeta di Soli,
un uomo che, a giudicare dalla scrittura, pur appartenendo in pieno alla
cultura asturiana, mostra forse di avere relazioni più o meno continuate con
la cultura e con gli eruditi franchi del suo tempo: proprio lo studio attento
e puntuale del contenuto delle note ci permetterà in un futuro, spero non
troppo lontano, di giungere più vicini alla sua identificazione.

67
 La questione è stata riproposta ora con una verifica più analitica del testo biblico copiato
da Danila, con un’esemplificazione dai primi capitoli del Genesi, in Valdés Gallego, El texto, in
particolare pp. 63-71.
150 PAOLO CHERUBINI

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